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IL “CANNOCCHIALE” DELLO STORICO: MITI E IDEOLOGIE

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IL “CANNOCCHIALE” DELLO STORICO: MITI E IDEOLOGIE

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Direttore

Achille OUniversità degli Studi di Padova

Comitato scientifico

Corinne L-FUniversité de la Sorbonne Nouvelle Paris

Jean-Claude M *

Université François-Rabelais de Tours

François RUniversité Paul-Valéry Montpellier

Comitato redazionale

Jacques RÉcole des Hautes Études en Sciences Sociales

Mario RScuola Normale Superiore di Pisa

Sandra S OUniversità degli Studi di Padova

Segretario di redazione

Daniele SLARHRA CNRS UMR , Lyon

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IL “CANNOCCHIALE” DELLO STORICO: MITI E IDEOLOGIE

La collana trae la sua genesi da una lettura di Galileo: la scoperta diuna forma nuova di sapienza. I temi sviluppati riguardano: l’influenzadi Erasmo nella cultura europea dal Cinquecento al Settecento; ilruolo di Montaigne e del Sarpi; lo studio delle strutture e delle con-giunture economiche e sociali; l’influenza di Galileo nella cultura delNovecento. Le metamorfosi della mentalità pertanto accompagnanole ricerche dello “storico sperimentale”.

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L’elaborazione del volume è stata condivisa da autori e curatori: lepagine da a sono state scritte da Elina Gugliuzzo; le pagine da a sono state scritte da Rosario Moscheo; le pagine da a daCarmelita e Pamela Arena; le pagine da a , da a , da a e da a sono state scritte da Giuseppe Restifo.

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Elina GugliuzzoRosario MoscheoGiuseppe Restifo

Lezioni di storia ambientale

Con vista sullo Stretto di Messina

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Copyright © MMXIIIARACNE editrice S.r.l.

[email protected]

via Raffaele Garofalo, /A–B Roma()

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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.

Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.

I edizione: dicembre

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Indice

Prefazione

Lezione IChe tempo che faceva

Lezione IIPaesaggi storiografici e paesaggi geografici

Lezione IIIVerso la environmental history

Lezione IVPrecursori: Gambi, Natale, Caracciolo

Lezione VEconomia e ambiente

Lezione VIWorld History: an Overviewdi Elina Gugliuzzo

Lezione VIIEnvironmental History e Big Historydi Elina Gugliuzzo

Lezione VIIIUna storia glocale

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Indice

Lezione IXAspetti magici e parascientifici nella vita e nell’opera di FrancescoMaurolicodi Rosario Moscheo

Lezione XVerifiche metodologiche: il caso della peste

Lezione XIAndamenti climatici del passato e fonti storiche

Lezione XIIVulcani, venti e cavallette

Lezione XIIIIn visita all’Osservatorio meteorologico di Messina

Lezione XIVAppunti agro–climaticidi Carmelita Arena e Pamela Arena

Nota bibliografica

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Prefazione

“Che tempo che faceva” è la domanda che docenti e studenti di Scien-ze storiche di Messina si sono posti all’inizio del corso di lezioni eincontri dell’insegnamento di Storia dell’Europa moderna. Nel passag-gio dall’inverno alla primavera del sullo Stretto si era verificatoun violento rovescio di grandine, con un crollo rapido di quattro gradinella temperatura sulla costa. A distanza di pochi giorni dalla grandi-nata, una pioggia di cenere e sabbia vulcaniche si rovesciava sempresullo Stretto, lasciando tracce durevoli anche nei cortili dell’Università.

Un corso sugli ultimi mille anni di storia del clima non poteva averemiglior inizio!

In una città — Messina — prima bianca per la grandine e poi neraper la sabbia eruttata dall’Etna e portata dal vento, occorreva spalarecon metodo per sgombrare il campo dal sovraccarico di “avvenimenti”e poi, sollevando gli occhi da terra, allungare lo sguardo: da una partesulla lunga durata, dall’altra sulla storiografia dell’ultimo mezzo secolo.Ne è scaturito un libro sulla storia ambientale, con una particolareattenzione alle conoscenze scientifiche degli andamenti climatici negliultimi mille anni.

La decisione di “scrivere un libro” così deriva dal sentirsi inappagatidallo stato della discussione in merito alla storia ambientale, nell’am-bito della ricerca italiana. Allo stesso tempo il reperimento e la letturadei lavori della storiografia nazionale ha mostrato la possibilità, visti igrandi vuoti di conoscenze, di contribuire, seppur modestamente, aldibattito scientifico e metodologico nell’ambito della disciplina storica.Peraltro, ciò che è già noto a livello internazionale — quanto a storiadel clima — non sembra ancora adeguato a dar compiuta cognizionedi causa per quanto riguarda la regione mediterranea. Quindi unagrande attenzione è stata dedicata agli studi che vertono su quest’area,alla ricerca di tasselli scientifici che tendenzialmente aiutino ad andaroltre il già conosciuto, e possibilmente, aggiungere una tessera almosaico che si va componendo.

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Prefazione

Lo Stretto di Messina.

Questo libro, nel suo formarsi, ha avuto due contributi importanti:Elina Gugliuzzo ha operato un’ariosa messa a punto dello stato del-l’arte rispetto a World History, Big History e Environmental History;Rosario Moscheo ha approfondito l’indagine, accuratissima, su ungrande rappresentante della scienza rinascimentale, il matematicoFrancesco Maurolico.

Progressivamente è andato emergendo un approccio “glocale”, perla necessità di sostanziare “localmente” le ricche e preziose indicazioni,spesso però di taglio “globale”, date da studiosi e ricercatori di diversaprovenienza disciplinare.

D’altronde la storia ambientale non può procedere che così, met-tendo a profitto ciò che viene offerto dalla ricerca, nei campi chevanno dalla geografia alla climatologia, dall’economia all’antropo-logia. Al ricombinare quello che gli studiosi sanno, ognuno nelproprio campo disciplinare, vanno aggiunti però nuovi elementi diconoscenza, che magari si possano desumere da ambiti spaziali piùcircoscritti ma allo stesso tempo con elementi di comparabilità. Daquesto ha origine il tentativo di guardare alla storia del clima dalla

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Prefazione

“finestra” dello Stretto di Messina, luogo significativo dell’ambientemediterraneo.

Una forte cura è stata messa nel reperimento non solo della lettera-tura ambientale esistente su quest’area, ma anche delle fonti primarie,che possano dare originalità a future ricerche.

Proprio pensando a queste, si è curata una lunga nota bibliogra-fica, che segue il testo, fornendo una pluralità di indicazioni, chepotrebbero risultare stimolanti per indagini nuove.

Infine: i curatori del libro sono gli studenti del corso di Storia del-l’Europa moderna che si sono voluti impegnare in questa non usualeoperazione editoriale. Il confronto con i tre autori non sempre è statofacile, ma una cosa univa tutti: la considerazione condivisa che l’U-niversità è una comunità non solo di docenti e discenti, ma anchedi ricercatori esperti e di “aspiranti” ricercatori. I lavori preparatoridel libro sono stati elaborati a cura di Carmelita Arena, Pamela Are-na, Daniela Ballarino, Enrica Oddo, Fabrizio Passalacqua, MariannaRomano.

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Lezione I

Che tempo che faceva

“Che tempo che faceva” è l’intitolazione che si è voluto dare al corsodi Storia dell’Europa moderna dell’anno , ricavandolo con tonolieve dal titolo di una affermata trasmissione televisiva, puntata peròsul presente “Che tempo che fa”.

Malgrado la levità del tono suggerita appunto dal titolo, l’impegnoè però gravoso: cercare di fare la storia del clima negli ultimi milleanni, prendendo a laboratorio un’area geografica circoscritta, come lamicro–regione dello Stretto di Messina, non è per niente semplice.

La storia del clima è un indirizzo di conoscenza che dobbiamoinquadrare in un contesto più ampio, perché abbraccia più elementi,quali ad esempio la geografia e la storia del paesaggio.

L’elemento paesaggistico è l’elemento fondante di una comunità,perché ne designa per alcuni versi la identità. Ma il paesaggio è ancheil frutto di condizioni climatiche che si sono succedute nel tempo.

Ci poniamo la domanda su che tempo che faceva. Ma insiemea questa domanda, e forse prima, dobbiamo riconoscere che abbia-mo costruito finora una storia altamente antropocentrica. Siamo pursempre i figli dell’Umanesimo, di quell’Umanesimo che ci dice chel’uomo è al centro dell’universo. Occorre quindi accettare un pri-mo “incipit”: l’opportunità di deantropocentrizzare. Con un atto diumiltà, bisogna cioè entrare nell’ottica che alla fine noi umani siamoun elemento trascurabile e temporaneo del mondo naturale, siamoun’associazione precaria di minerale, di polpa e d’acqua.

La seconda indicazione potrebbe essere quella che parte dalle “mi-rabilia”, dalle cose “meravigliose”, straordinarie che accadono in na-tura. Questo sarebbe un percorso che punta molto sull’antropologia,perché la percezione che gli uomini hanno non solo dei fenomeniatmosferici in particolare, ma anche dei fenomeni naturali in genera-le, insieme alle credenze, diventa strutturale rispetto alle mentalità.

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Lezioni di storia ambientale

E quindi questo tipo di relazione con i fenomeni naturali poi porta acomportamenti, atteggiamenti e modi di strutturazione della società.

Il terzo approccio appartiene alla storia economica. I nostri storicidell’economia, come Paolo Malanima, alle spalle hanno avuto unabuona storia dell’agricoltura, con opere intessute di cambiamentidel paesaggio e cambiamenti dei sistemi agricoli, come la Storia delpaesaggio agrario italiano di Emilio Sereni. Inoltre si sono confrontaticon geografi come Lucio Gambi. Allora gli storici dell’economiahanno iniziato a scavare in direzione delle risorse naturali dei sistemiproduttivi, e a un certo punto la loro attenzione s’è soffermata moltosulle disponibilità energetiche.

La rivoluzione industriale, punto focale degli studi di storia dell’eco-nomia, è un vero rivolgimento anche sul piano energetico. Da allora inavanti non sono più il legno o i carboni artificiali a produrre energia.Esistevano delle altre fonti energetiche, dette oggi “rinnovabili”, chevenivano utilizzate nel periodo pre–industriale: l’acqua, il vento.

Le tecniche di utilizzo e le attività consentite da queste fonti ener-getiche pure diventano un impegnativo punto di rimando alla ricercanell’ambito della storiografia economica, che vuole verificare l’azionee le reazioni tra società e sfide ambientali, tra uomini e caratteristichedelle regioni abitate.

L’idea attuale della limitatezza delle risorse energetiche ha solle-citato l’indagine storica ed ha costituito un campo di ricerca di quelsettore particolare della storiografia italiana, che è appunto la storiaeconomica. C’è un presente che è fatto di preoccupazione e di ansiaper il progressivo esaurirsi delle risorse di combustibili fossili; allo stes-so tempo c’è anche il desiderio di individuare il punto di rottura conil regime energetico precedente, che invece utilizzava quelle che oggidefiniamo risorse rinnovabili: acque, vento, sole. Queste sono le forzevive e naturali della cosiddetta “civiltà vegetale”: il termine “vegetale”avvicina subito alla vicenda del rapporto con gli alberi, da cui si ricavail legno, che per la gran parte dei secoli qui presi in considerazionerappresenta una decisiva risorsa delle società preindustriali. Questo èl’approccio che ci suggeriscono gli storici dell’economia.

Nella formazione culturale della civiltà europea siamo abituati afare una storia antropocentrica, cioè noi possiamo fare benissimola storia di Maria Antonietta o di Luigi XVI, senza assolutamentepreoccuparci di collocarli in uno spazio; al massimo li immaginiamo

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. Che tempo che faceva

nella reggia di Versailles, da lì poi possiamo partire per parlare dellarivoluzione francese, ecc. Ma questo potrebbe non bastarci; troppedomande rimarrebbero senza risposta.

Ogni generazione, per affrontare delle questioni presenti nel pro-prio quotidiano, ha necessità assoluta di vedere come si è arrivatia quella determinata situazione che provoca interrogativi. Si facciamente locale al global warming, cioè al riscaldamento globale entrocui stiamo vivendo. È una condizione che le generazioni precedentihanno dovuto affrontare? No, nessuno si era mai posto fino a tempiabbastanza recenti il problema del global warming, perché non si eramai mostrato nei suoi possibili effetti, uno fra gli altri, il problema chela calotta del Polo Nord potesse progressivamente sciogliersi.

Ogni generazione, arrivando in successione alle precedenti, si ritro-va con nuovi problemi, anche ambientali. Gli scienziati oggi diconoche ci si pone davanti la questione del riscaldamento globale; lo af-ferma anche un’organizzazione internazionale come l’Onu, che haal suo interno la World Meteorological Organization, ovvero l’Or-ganizzazione meteorologica mondiale. Questa, a sua volta, ha datoluogo nel a una commissione sul “cambio climatico” e ad unprogramma sul clima del pianeta. Come si fa a capire dentro qualecontesto ambientale siamo inseriti e quali sfide questo contesto ci stalanciando? L’unico sistema possibile è “fare la storia” del contesto edelle questioni, quindi comprendere come si è arrivati alle realtà entrocui stiamo vivendo.

In tempi recenti qualcuno si è chiesto se non siamo in presenza della“fine della strada”. Questa “fine del mondo” sarebbe un’autentica crisiesistenziale della civiltà messa di fronte alle conseguenze del mutamentoclimatico di origine umana. Ma, pur rimanendo scettici di fronte agliscenari di apocalittico catastrofismo spesso avanzati sui media, potrebbeessere fruttuoso assumere la prospettiva dei tempi di questa “fine”pensando ai punti di passaggio di culture e civiltà. L’ultimo lo stiamovivendo, e riguarda non solo le forme tradizionali di ricerca e di studiodella storia, ma anche la attuale organizzazione capitalistica della società.Mettersi nell’ottica della “fine del mondo” offre un momento fertile dicontraddizione, capace di aprire punti di vista culturali anti–egemonici.Una buona conoscenza del passato può essere attivata per trasformare emigliorare la nostra attuale condizione umana; potrebbe essere crucialeper farci passare attraverso questa “fine del mondo” in direzione della

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Lezioni di storia ambientale

possibilità di avvenire e di trasformazione e costruzione attiva di ciòche è possibile in quel futuro.

In genere i cronisti d’un tempo scrivevano la storia partendo dallanascita del mondo, fino ad arrivare ai loro giorni. Invece noi dovrem-mo iniziare dalla data odierna e a marcia indietro risalire fino a dove ciportano le radici lontane del fenomeno del global warming, affrontan-do cioè storicamente la questione del riscaldamento globale, in attooggi con forti preoccupazioni da parte del mondo più avvertito e diquello più colpito.

Tutte le grandi compagnie assicurative, ad esempio, stanno pren-dendo in serissima considerazione il global warming, perché questofenomeno climatico si mostra non solo con l’innalzamento della tem-peratura media, ma si presenta anche con perturbazioni violente: bastipensare l’uragano Katrina, che arriva su New Orleans.

Allora le compagnie assicurative debbono stipulare contratti peri rischi sulle case, sui trasporti, sugli aeroporti, ecc. Gli assicuratorisono parte di gruppi economici che “giocano” sul futuro, sulla pre-visione, che si chiedono cioè: che cosa potrà avvenire? Si fanno dei“pronostici”, si gioca su indizi più o meno sicuri. Allora se il cambia-mento climatico globale è un processo in crescita, quando si presentaad esempio un armatore che decide di portare un carico dall’Americadel sud all’Europa del nord, la compagnia di assicurazione dovrà chie-dersi se durante questa traversata atlantica la nave potrebbe andareincontro ad un uragano o ad una tempesta, e con quante probabilità.Gli indizi climatici possono far crescere i premi assicurativi.

Il cambiamento climatico può incidere pure sulle economie, suisistemi idrici, sui livelli delle desertificazioni. Quando si parla di pro-cessi di desertificazione, tali fenomeni vengono comunemente riferitiall’espandersi delle grandi aree desertiche. In realtà riguardano purele fasi iniziali di deterioramento della copertura vegetale e del suolo,interessando anche i Paesi europei mediterranei. Le ripercussioni suisistemi agricoli e sui patrimoni boschivi sono facilmente intuibili.

Abbiamo oggi una fortissima preoccupazione ambientale, che pe-raltro non è neanche recentissima. In realtà già a partire dal siè affermata sul piano internazionale, presentandosi con il cosiddettorapporto Brundtland; questo rapporto per la prima volta introduce ilconcetto di sviluppo sostenibile come alternativa da percorrere per farfronte alla crisi ambientale.

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. Che tempo che faceva

Sostenibile significa che ci si rende conto che non si può proseguireai ritmi che sono stati tenuti negli ultimi – anni. Ci si pone ilproblema delle scorie, perché qualsiasi processo produttivo o qualsiasiprocesso di consumo produce scorie, ovvero scarti, rifiuti: un conto èla pastina che si lascia nel piatto per metterla poi nel sacchetto delladifferenziata (questo è un rifiuto umido che può essere recuperatocome compost), un altro conto sono le scorie radioattive.

Se prendessimo in esame, ad esempio, le forme dell’inquinamento,in un saggio di Livio Rossetti si ritrova il probabile primo decreto“ecologico” conosciuto, emanato nell’antica città di Atene nel a.C.Già a quel tempo uno degli inquinamenti più visibili era la contami-nazione dei fiumi da parte delle concerie dei cuoi; per conciare le pellibisognava usare degli acidi e i residui venivano buttati nei fiumi o nellecampagne circostanti. Una buona regola di nettezza urbana prevedevadi gettare la spazzatura a non meno di due chilometri di distanza dallemura della città, ma non tutti lo facevano. Ne deriva, dunque, cheesistono diverse forme di inquinamento e uno studioso italiano si èapplicato all’approfondimento della storia della “munnizza”, comesi direbbe in Sicilia, ovvero la storia dei rifiuti: si chiama Ercole Soried è uno storico dell’economia che insegna all’Università di Ancona.Questo ricercatore si è posto il problema della “munnizza” nella storiad’Italia. Al di là della spiritosità del termine dialettale siculo adoperato,la produzione dei cosiddetti rifiuti solidi urbani (pure di quelli che noioggi chiamiamo rifiuti speciali), l’inquinamento dei fiumi (“da fiume afogna” è il titolo di una dei tanti saggi di Sori) e anche la produzione diemissioni nocive in atmosfera, rappresentano problemi storiograficidi non poco conto, sia sul piano della storia dell’economia che suquello della storia sociale.

È questo un discorso molto interessante anche perché ci sono molteregolamentazioni da parte dei Comuni o degli Stati italiani preunitari.Ad esempio: i Borboni del Regno delle Due Sicilie si pongono il pro-blema della macerazione del lino e della canapa, che vanno lavorati,per estrarne le fibre tessili, facendoli ammollare in delle vasche piened’acqua. Ma da queste esalano dei gas che, peraltro, venivano conside-rati pericolosi per la salute. Per questo i Borboni fanno delle ordinanze,con cui dicono di allontanare quanto più possibile dai centri abitatile vasche di macerazione del lino e della canapa. Dunque, esistonodei provvedimenti perché ci si rende conto che c’è un inquinamento

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Lezioni di storia ambientale

anche atmosferico e, a questi provvedimenti, in qualche maniera lapopolazione cerca di adattarsi.

Studiando la storia non breve di Taormina, si può osservare chenella prima metà dell’Ottocento, anche qui c’erano dei bacini di mace-razione in luoghi ben determinati, dal momento che pure i taorminesivolevano produrre dei tessuti di lino.

Quindi, essi coltivavano la pianta del lino; questa pianta andava poimacerata. Il signor Bottari, che era il “boss” del settore tessile taorminesedel tempo, per comodità aveva fatto costruire le vasche molto vicineal centro abitato. Allora, l’autorità borbonica e l’autorità comunale gliimpongono di spostarle distanziandole rispetto alle abitazioni.

Ovviamente, tutta questa problematica, con il ventesimo secolo,assume un’altra piega.

Quando si dismette una centrale nucleare, c’è il problema dellescorie radioattive; così come abbiamo pure il problema della plastica,il problema dei rifiuti tossici e nocivi, dei rifiuti pericolosi come quelliospedalieri, cioè abbiamo una situazione problematica molto grandee questo è fatto nuovissimo per l’umanità.

Se noi facciamo una ricerca sulla “immondizia nella storia”, dicia-mo che, se prendiamo le vicende dall’inizio dell’età moderna fino al, questo è un problema relativo.

C’erano delle forme d’inquinamento anche nel passato; ad esempio,si potevano vedere le concerie che versavano i rifiuti nei fiumi onelle strade, perché non c’era il servizio di spazzamento pubblico;comunque però questa spazzatura nelle strade era relativa.

Anche gli abitanti versavano nelle strade i rifiuti organici che aveva-no prodotto durante la notte, però in questo caso ogni mattina c’eranoalcuni individui che passavano con le carriole e raccoglievano questirifiuti e li portavano via, per farli usare come concime per gli orti.Siamo quindi dentro un mondo che produce pochissimi rifiuti e inmolti casi li ricicla.

La mela veniva mangiata fino al torsolo, compreso; siamo all’oppo-sto della concezione dello spreco. Allora anche questa considerazionesul nostro passato, relativamente remoto, riguarda il rapporto dellesocietà con l’ambiente in generale, ma pure quello del quotidianovissuto da chi ci ha preceduto e la vita odierna di ciascuno di noi.Una cosa che possiamo fare è chiederci: come mai siamo giunti aquesto punto? Qual è il contesto che si è creato e come? Cioè, come

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. Che tempo che faceva

si è arrivati allo stato delle cose dell’epoca presente? Evidentementedobbiamo fare la storia a ritroso e senza limitare la nostra visione aun unico ordine di fenomeni soltanto.

Il problema dell’enorme massa di rifiuti che incombe su terre eoceani, ovviamente, non è l’unica questione ambientale con cui ci sidebba confrontare nei tempi odierni.

Prendiamo in considerazione anche la sempre maggiore frequenzadegli eventi climatici estremi.

Ma è mai possibile che si debba stare col fiato sospeso in presenzadi fenomeni atmosferici? È mai possibile che i messinesi, e non sololoro, debbano guardare al cielo con spavento?

È quanto accade nella regione dello Stretto, dopo la sera del ° ot-tobre , quando una pioggia molto intensa, una cosiddetta “bombad’acqua”, fece vittime nella zona immediatamente a sud della cittàdi Messina. D’altronde gli studi sulle precipitazioni piovose diconoche fra il e il la caduta della pioggia, soprattutto nel mese disettembre, si fa più intensa e violenta rispetto al periodo –.

L’impatto sull’ecosistema è severo, perché quantità elevate d’acquaprecipitano su una terra secca per l’estate siccitosa, quindi moltovulnerabile. Insomma un vero diluvio, anche per l’energia con cuile masse d’acqua colpiscono il suolo. Non si può più dire: fuori c’è ildiluvio, perché i rovesci d’acqua, fango e detriti entrano nelle nostrecase, a volte trascinandole via.

Non si tratta però solo di fatti naturali: l’attività umana ha il suoruolo, come dimostra, fra i tanti esempi, l’attività di produzione dellapece nelle foreste della Sila in Calabria. In una zona climatica comequella mediterranea, in cui i boschi sono molto vulnerabili e si ri-costituiscono difficilmente, in cui l’erosione del suolo è l’inevitabileeffetto dell’alternanza di estati aride e inverni piovosi, attività comequella della produzione di pece, già di per sé altamente distruttive,comportavano un vero e proprio dissesto ecologico.

Lasciamo agli scienziati della terra e ai meteorologi di studiareciò che sta accadendo nell’hic et nunc; a noi compete di rilevare chedi variazioni dell’andamento climatico nel passato ce ne sono state,e che già le società nella loro storia si sono trovate di fronte allesfide ambientali. Ad esempio, negli anni passati molti studiosi hannoapprocciato il tema dei villages desertès, i villaggi abbandonati. Si trattad’un tema molto interessante sotto il profilo metodologico, poiché

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Lezioni di storia ambientale

emerge che non sempre una comunità è in grado di fornire risposteall’altezza della sfida (non solo ambientale) e preferisce abbandonare.

A tal proposito viene in mente un bellissimo libro di Clive Ponting,intitolato Storia verde del mondo, che si apre con un capitolo dedicatoall’isola di Pasqua. Alla vicenda dell’isola del Pacifico si ispira il film“Rapa Nui” (). Tracce di ogni genere ci dicono che nella nottedei tempi qui arrivarono, con le loro piroghe, i polinesiani, i qualisi insediarono e iniziarono a coltivare. Poi, per ingraziarsi gli dei,hanno cominciato a scolpire delle teste “pazzesche”, i monoliti, statuedi pietra di circa sei metri d’altezza a carattere religioso. A questopunto comincia una vera e propria gara di deforestazione, perché percoltivare si disbosca, e si disbosca anche per ricavare i rulli di legnonecessari al trasporto delle enormi statue di pietra. Ad un certo puntola comunità si trova del tutto priva di vegetazione, con un cambio dimicroclima, e per questo, dopo aver attraversato anche una fase dicannibalismo, “evapora”, scomparendo del tutto.

Macroclima e microclima sono aspetti concorrenti da prenderein esame, quando si voglia studiare una regione, soprattutto nelMediterraneo.

Il mare Mediterraneo — come ha insegnato Fernand Braudel — èun mare che sta tra le terre; queste terre però non sono tutte pianeg-gianti, ma anzi sono terre piuttosto montagnose. Se noi guardiamoquesto ambiente possiamo dire che è un mare in mezzo alle monta-gne; questa osservazione mette fuori uso l’idea riguardante il clima delMediterraneo adagiata sulle opinioni correnti, sull’immagine patinatadelle escursioni turistiche, su una realtà climatica portata all’estremodella mitizzazione.

Se noi guardiamo lo Stretto di Messina non in orizzontale, ma inverticale, dalle coste calabresi fino verso le cime dell’Aspromonte, ilcambiamento paesaggistico e climatico è veramente sensibile. Sullacosta abbiamo i palmeti, più in su abbiamo i castagneti. Nell’arco diun paio di chilometri andiamo dalla linea di costa, in cui la vegetazioneè tipicamente mediterranea (nel senso comune che si dà a questoaggettivo), a un’area prettamente montagnosa, in cui prevale un climache favorisce una vegetazione simile a quella delle foreste del nord. Siridiscende, quindi, dalle cime delle montagne ai piedi dell’Aspromontebagnati dal mare, per giungere in un sud siccitoso e solare (soprattuttosul versante ionico del massiccio aspromontano).