il canzoniere n°1

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Page 1: Il Canzoniere N°1
Page 2: Il Canzoniere N°1

INDICEEDITORIALE, 2

SCUOLA NOSTRA, 2ATTUALITÀ SPOTTED, 3

Il MONDO IN GUERRA, 4LA QUESTIONE UCRAINA, 4

THIS LAND IS MINE, 6L’ AUTUNNO ISLAMICO, 6

SIRIA GIORNO 1297, 7CONFLITTI DIMENTICATI, 7

PAGINA INTERCULTURALE, 9RECENSIONI, 10

RACONTI BREVI, 11GIOCHI, 12

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EDITORIALEE’ tempo di cambiare. Non starò qui a dirvi “Poveri ragazzi, mi spiace che l’estate sia finita” o “Com’è dura eh ricominciare la scuola!”. Non che non lo pensi, ma dopo più di venti giorni suppongo ve ne siate accorti pure voi che iera meio star a tirar clanfini a Barcola. Benvenuti, ai più piccoli, in questo incredibi-le nuovo mondo che è il Petrarca, bentornati ai veterani. Quest’anno i ragazzi della redazione hanno in serbo per voi una vasta serie di novità. Prima su tutte il ritorno al Dossier, al quale dedichiamo le prime pagine di ogni nu-mero. Quello di oggi è “Mondo in Guerra”, forse un po’ pretenzioso, penserete, forse esagerato. Ma lasciate che vi spieghi; abbiamo voluto partire trattando un tema spi-noso, complesso, colla volontà di documentare da ragazzi per i ragazzi l’attuale situazione mondiale. Non sperate di trovare articoli precisi, dettagliati minuti ricchi di dati; ab-biamo voluto lasciare che ciascuno esprimesse la propria

idea personale, il proprio modo di vedere i vari conflitti. Niente informazione oggettiva, mi spiace per i buonisti. Non stupitevi dunque se tra gli articoli troverete pensieri totalmente diversi dai vostri e, potrebbe anche succede-re, un’informazione sbagliata. In quel caso , sareste calda-mente invitati non a sbraitare contro l’alunno che abbia commesso l’errore, cosa già successa (non solo ad opera di studenti, nda), ma a contattare il Caporedattore che vi inviterà a scrivere un articolo in risposta. Tra le altre no-vità, stata inaugurata la pagina di “Attualità Spotted”, e il nome parla da sé; abbiamo inoltre deciso di modificare la grafica del giornalino, dandole un taglio più accattivante e moderno. Oltre a tutto questo, la solita parte dedicata a “Scuola nostra”, le recensioni e gli immancabili racconti brevi. E’ un numero che non potete perdervi.Buona Lettura.Matteo Giugovaz

SCUOLA NOSTRA

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ATTIVITÀCome attività quest’anno il Petrarca dovrebbe avere due gruppi di teatro: teatro Palio e teatro Classico. Il destino del gruppo di coro, che non ha più il suo precedente diret-tore, è incerto. Certo è invece il destino del progetto PEG che quest’anno non vedrà luce.

ASSEMBLEEL’assemle d’istituto dove avverrà la presentazione delle liste per l’elezione dei rappresentanti d’istituto avrà luo-go molto probabilmente a metà ottobre. Non si sa ancora niente sull sede e sulle modalità.

BARLa gestione del bar in sede centrale è cambiata comple-tamente a causa della fine del precedente contratto e si concretizza la possibilità di un bar nella sede succursale ma cisono ancora tante questioni e problemi da definire e non c’è nessuna data precisa.

SPORTLe attività sportive dovrebbero riprendere con i corsi di pallavolo, i vari tornei e forse qualche sorpresa ma il desti-no di questi progetti dipende dalla voglia e dall’interesse degli studenti di organizzarsi e mettersi in gioco sia nei corsi che nelle competizioni organizzate.

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SPOTTED Il Referendum per l’indipendenza scozzese tenutosi il 18 settembre si è risolto nel mi-gliore dei modo per l’Unione Europea. Il “no” all’indipendenza ha trionfato con la netta maggioranza del 55,3% (oltre 2.3 milioni di voti). Il risultato della votazione è stato una doccia fredda per tutti i movimenti indipen-dentisti, dalle Fiandre a Cipro passando per la Catalogna. Stando alle ultimissime notizie, però, la ricca regione spagnola non si è fatta scoraggiare dal fallimento degli scozzesi e il suo presidente ha siglato pochi giorni fa il documento per convocare il referendum per il 9 novembre. Il Governo, dal canto suo, si è già pronunciato al grido:”Questo refe-rendum non s’ha da fare, né ora, né mai” e ha fatto ricorso alla Corte costituzionale, che ha prontamente, forse un po’ troppo, approvato la mozione del governo. Staremo a vedere.

NO INDIPENDENCE

Il 3 settembre 2014 il presidente del Consiglio ha presentato “La buona scuola”, il suo piano di riforma per l’ istruzione ita-liana. Le intenzioni di Matteo Renzi sono state semplificate in vari punti che comprendono un massiccio intervento per il problema dei precari nel nostro sistema scolastico, la volon-tà di rendere la scuola più digitale e conseguentemente più trasparente (con dati e registri online) e l’ abolizione di proce-dure burocratiche gravose e inutili. Tutto questo in un ottica di rinnovamento ma anche di riduzione dei costi e sempli-ficazione, continuando nella proposta di innovare l’Italia in ogni settore chiave cercando di eliminare i vecchi schemi e rendendo le cose più semplici a trasparenti. Renzi ha cercato di portare un’ innovazione culturale in Italia e ha diffuso idee di una qualità più alta. Ma con un governo di larghe intese, i vincoli di bilanci, il debito pubblico e soprattutto con parte del suo stesso partito che cerca un ritorno allo status quo precedente alla sua forte figura protagonista e meno basato su di essa è davvero tutto da vedere.

Il 5 ottobre il quinto stato più popoloso al mondo si recherà alle urne per eleggere il proprio presidente, o meglio la propria pre-sidente. Infatti le candidate che si conten-deranno la poltrona più ambita del Brasile (molto probabilmente al ballottaggio) sono Dilma Rousseff (Partito dei Lavoratori) e Marina Silva (Partito Socialista Brasiliano). Nonostante la prima sia data come vincitri-ce dai sondaggi, sono in molti a sostenere che queste siano le elezioni più incerte degli ultimi trent’anni.

ELEZIONI VERDORO

A partire dal 22 settembre le strade di Hong-Kong si sono ri-empite di manifestanti, scesi in piazza per chiedere maggior libertà e democrazia. I dimostranti, in gran parte studenti, hanno bloccato il centro della città, coll’intenzione di sgom-berare la zona solo quando il governo avrà aperto un dialogo con i leader del movimento. Gli Stati Uniti (ma guarda te che caso) sono già all’erta, controllando che “Il Governo cinese agisca nel rispetto della democrazia”. Simbolo della manife-stazione: centinaia di ombrelli che hanno tappezzato le stra-de e le pizze occupate dai manifestanti.

OMBRELLI AD HONG-KONG

LA “BUONA SCUOLA”

L’ebola è un virus che causa principalmente febbre emor-ragica e si trasmette tramite contatto con fluidi corporei di soggetti infetti. Ha origine animale e ha un tasso di mortalità molto elevato. Questa malattia è stata scoperta per la prima volta nel 1976 in Congo e ha una vasta diffusione negli Sta-ti africani occidentali dove la povertà e le scarse condizioni igieniche non permettono di avere un ambiente adeguato al trattamento dei malati. Dalla sua scoperta questa è sta-ta l’epidemia più seria verificatasi, con un numero di vittime pari a 2.288 su 4.269 casi(fonte: OMS). L’ebola è arrivata in America, dove due medici hanno contratto il virus e sono stati curati con un vaccino sperimentale (che si pensa di usa-re presto in Liberia), mentre ci sono stati dei falsi allarme in Svezia e in Turchia e in Italia; in Spagna è deceduto un mis-sionario colpito dalla malattia. Le possibilità che questo virus giunga in Italia è del 5% (fonte: ANSA).

EBOLA, VIRUS SOTTOVALUTATO

ATTUALITÀ

In Francia il centrodestra ha determinato la terza sconfitta consecutiva per il partito so-cialista di Hollande (PS), attualmente al go-verno, vincendo le elezioni del 28 settembre per il rinnovo del Senato. Dopo le ammini-strative di marzo e le europee (dove aveva preso il 14%) il PS conferma un prevedibile pronostico, in un paese dove il Senato ha un peso politico non indifferente. Il “ Front Na-tional” di Marine Le Pen per la prima volta dalla sua fondazione nel 1972 ha ottenuto due seggi in parlamento, evento descrit-to dalla presidente di FN come “Una vitto-ria storica”. Ora il FN è presente in tutte le assemblee e prosegue la crisi del partito di François Hollande

UNA FRANCIA PIÙ BLU

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ELEZIONI VERDORO

LA QUESTIONE

Andrej Brazhevskij, 27 anni, nato a Odessa nel 1987. Odessa è una città dell’Ucraina meridionale, che si af-faccia sul Mar Nero, a maggioranza russofona. Ha una storia singolare ma recente, la città infatti è nata ufficial-mente sul finire del Settecento “fondata da un mercena-rio napoletano, battezzata da un’imperatrice, governata dal marito segreto di lei, costruita da due nobili france-si in esilio e celebrata dall’amante russo della moglie di quest’ultimo” (Charles King, “Odessa”, Einaudi, 2013). All’inizio il suo nome era “Odesso” ma la zarina Cateri-na, facendone un perno fondamentale dell’Impero, la ri-nominò al femminile. Fu porto franco, città cosmopolita, nuova Bisanzio sotto l’Impero Russo che pose fine alla dominazione islamica ai confini dell’Europa. Rifugio per gli ebrei prima e inferno per essi poi. Tra il 22 e il 24 otto-bre 1941 si consumava infatti il massacro di Odessa at-tuato dall’esercito Rumeno con supporto tedesco come

rappresaglia per un attentato terroristico: un numero compreso tra 25000 e 34000 ebrei furono uccisi a colpi di arma da fuoco o bruciati vivi. Odessa contava inoltre una grande presenza di italiani, come commercianti abi-tanti, come mercanti di passaggio e come architetti. Mol-ti edifici della città infatti sono stati ideati e costruiti da italiani. E tra alcuni di questi edifici si è consumata una delle giornate più sanguinose della guerra civile ucraina.

Il 2 maggio 2014 Andej si trovava nell’accampamen-to di anti-maidan nella piazza chiamata Kulikovo Pole, davanti al Palazzo dei Sindacati, insieme a decine di al-tre persone. In Ucraina gli scontri civili andavano avan-ti da più di quattro mesi. “Maidan” vuol dire “piazza” in ucraino, in arabo e in persiano. “Majdan Nezaležnosti”, a Kiev, è letteralmente la “Piazza dell’Indipendenza”, l’e-picentro della rivolta ucraina (che viene infatti indicata

RACCONTI DA ODESSA

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Li vedi? Si, lo sto chiedendo a te. Riesci a vederli, contarli tenerli a mente tutti? Ne sei capace? Sì? Beato te. Io no. Sono troppi, incredibilmente confusi, continuamente pe-scati e rigettati nel dimenticatoio da social network, tele-visioni, giornali, radio. Io provo a tenere il conto ma ogni volta “BAM” esplode una bomba da un’alta parte, altri 100 morti, perdo la concentrazione ed è tutto da rifare. Ma stavolta ce la faccio, mi impegno per davvero. Siria, guerra civile ininterrotta da più di tre anni tra l’eser-cito regolare ed i ribelli, città rase al suolo, intere regioni sprofondate nell’anarchia, ad oggi quasi 200.000 morti; e siamo a uno. Due, la lotta per l’indipendenza delle regioni dell’est dell’Ucraina si protrae ormai da più di sei mesi, de-vastando la regione; bilancio: più di 3.000 morti. Nell’ulti-ma operazione da parte di Israele ai danni della Palestina (penso che riassumere il susseguirsi di 2500 anni di con-flitto sia un po’ difficile) vi sono state svariate centinaia di morti tra i palestinesi, abitazioni distrutte, terrore diffuso tra la popolazione. E con questa fanno tre, stanno diven-tando parecchi. L’avanzata dello Stato Islamico, colla sua logica (sempre che logica si possa chiamare) del terrore e la barbarica brutalità, terrorizza l’occidente e ha già mie-tuto numerosissime vittime. Per non parlare delle contro-

rivoluzioni in Egitto e Libia, dove ormai gli scontri armati, le proteste in piazza e gli attacchi terroristici si sono fusi in una quotidianità invivibile. Possiamo poi aggiungere le forti proteste in Venezuela, il golpe in Thailandia e, perché no, i soprusi di Boko Haram e degli altri gruppi terroristici nell’Africa Centrale. Aspettate! A quanto eravamo arrivati? Ah, finisce sempre così, non c’è nulla da fare. Forse è proprio questo il punto forte della situazione, ogni volta che uno cerca di prende-re gli avvenimenti nel loro insieme finisce per focalizzarsi su questo o quel caso, che alla fine viene bollato come “situazione strettamente pertinente ad un particolare contesto geopolitico” e viene messo nel dimenticatoio. Ma pensateci un attimo, perdete qualche minuto a con-nettere con una linea su una mappa tutte le aree in cui infiamma un qualche conflitto, osservate i giochi di alle-anze ed evidenziate i vari stati coinvolti a seconda dello schieramento. Pensate davvero di vedere aree bianche, pensate che davanti ai vostri occhi non si delineeranno due blocchi monocromatici fin troppo ben definiti? Il mondo è in guerra, signori miei, tutto. Ma noi facciamo finta di non saperlo.Matteo Giugovaz

IL MONDO IN GUERRA

UNA FRANCIA PIÙ BLU

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“gli anti-maidan di Kulikovo Pole, i filo-russi, non milizia-ni, non armati, comuni abi-

tanti di Odessa.”

con il nome di “maidan”) cominciata la notte del 21 no-vembre 2013 a seguito di una scelta politica di allonta-namento dall’Unione Europea compiuta dal governo di Viktor Yanukovych, ai tempi primo ministro ucraino. Quest’ultimo era, infatti, politicamente vicino alla Russia.Andrej Brazhevskij era un militante, e non era il solo lì quel giorno. Accanto a lui filorussi, sindacalisti, fede-ralisti, accampati da due mesi davanti al Palazzo dei Sindacati per protestare contro ciò che stava accaden-do in Ucraina, contro i manifestanti di Piazza dell’Indi-pendenza e contro il colpo di stato. Quest’ultimo av-venuto nel febbraio 2014, grazie al supporto di forze paramilitari nelle proteste civili a Kiev e grazie a un im-peachment incostituzionale (con conseguente incostitu-zionalità delle misure adottate dal governo ad interim).Secondo gli articoli 108-112 della Costituzione ucraina, infatti, il presidente in carica può perdere la sua carica pri-ma delle elezioni in quattro modi: dimissioni, interdizione, morte o impeachment. L’impeachment ( “імпічменту” in ucraino) è regolamentato dall’articolo 111 e deve seguire un iter specifico: il Parlamento deve votare per mettere il presidente sotto accusa e conseguentemente convocare un comitato per indagare. In seguito alle indagini deve ri-ferire in Parlamento, il quale deve votare i capi di accusa. La votazione finale sulla questione può avvenire solo in presenza di una sentenza della Corte Costituzionale se-condo la quale “gli atti di cui il Presidente dell’Ucraina è accusato, contengono elementi di tradimento o altri cri-mini”. Non solo. Questa votazione finale deve avere il voto di almeno tre quarti dei deputati (338). Tutto questo pro-cedimento, se mai effettuato, manca di trasparenza e inol-tre è reso invalido da un dato: hanno votato per l’ impea-chement di Yanukovych solo 328 deputati, meno di quelli necessari per legge, rendendo il processo incostituzionale.

Duemilaottocento metri da dove si trovava Andrej, alle 14.00 ora locale, sarebbe cominciata una manifestazione per l’unità nazionale Ucraina. Partecipavano principalmen-te ultras sportivi (del Chernomorets Odessa) e membri di Pravy Sektor (“Settore Destro”, partito politico nazionali-sta e unione di vari organismi paramilitari, che furono fon-damentali nel corso della rivolta di Piazza dell’ Indipendan-za). Ma le tensioni cominciarono prima. In Hretska Street, lontano da Sobornaya Square che era il punto di raccolta dei manifestanti, tra gli unitari e un gruppo di filorussi (Odesskaya Druzhina). Il tutto con mazze e armi da fuoco. Alle 13.40 ora locale moriva la prima vittima di Odessa.

La guerriglia continuò fino a che tramite i social-network i manifestanti si organizzarono per colpire un obietti-vo specifico: gli anti-maidan di Kulikovo Pole, i filo-rus-si, non miliziani, non armati, comuni abitanti di Odessa.Andrej Brazhevskij e i suoi compagni vennero sopraffatti e il loro accampamento dato alle fiamme. Trovandosi ac-cerchiati dai pro-ucraini, che erano armati e nettamente superiori in numero, non poterono fare altro che cercare rifugio dentro le grandi porte del Palazzo dei Sindacati.

Alcuni membri di Pravy Sektor durante questi mesi di scontri hanno attuato strategie sotto falsa bandiera, indos-sando i nastri di San Giorgio. Un nastro di San Giorgio è un nastro di colore nero e arancione, che si rifà probabilmente allo stemma imperiale dei Romanov, nato ai tempi dello zar in Russia(creato dalla zarina Caterina dopo la prima guerra di Crimea, nel 1769). In questi mesi è diventato il simbolo degli attivisti anti-maidan. Alcuni membri dei gruppi para-militari si intrufolavano nelle loro file organizzando provo-cazioni contro i loro reali alleati pro-ucraini, per scatenare violenza e incolpare così i filo-russi. All’interno del Palazzo dei Sindacati non c’erano solo attivisti anti-maidan. In se-guito all’incendio nella piazza i pro-ucraini cominciarono a lanciare Molotov contro l’edificio. Il fuoco si propagò all’in-terno, bruciò completamente la porta, indusse coloro che erano dentro il palazzo a buttarsi per cercare di salvarsi.

Andrej non morì per le fiamme. Si gettò da una finestra e sopravvisse al salto, e tra le percosse dei pro-ucraini ra-dunati intorno all’edificio trovò la morte. Come lui mol-ti altri: non morivano nel disperato tentativo di saltare ma per mano di chi li aspettava di sotto, o cadevano già morti colpiti con armi da fuoco mentre si affacciavano dalle finestre (colpiti da manifestanti, da paramilitari e, come testimoniano vari video apparsi in rete, da agenti di polizia). Ma anche coloro che rimasero dentro l’edificio non morirono solo per le fiamme. Le fotografie scattate dopo la tragedia danno un’immagine diversa dell’acca-duto. All’interno del Palazzo dei Sindacati i corpi carbo-nizzati riportavano ferite da arma da fuoco o da mazze e le ustioni si concentravano sul viso, sulle mani e sugli avambracci come se qualcuno avesse versato del mate-riale infiammabile sulla parte alta del corpo delle perso-ne e le avesse poi bruciate. Ci sono corpi visibilmente spostati, uno in particolare di una donna senza vestiti, probabilmente violentata, bruciata viva e poi trascina-ta su un cumulo di rifiuti; al terzo piano dell’edificio c’è una stanza in cui è stata ritrovata una segretaria incinta strangolata con il cavo del telefono che aveva sulla sua scrivania, ci sono corpi carbonizzati accanto a barricate di mobili che stranamente non sono stati toccati dal fuoco, queste barricate impedivano alle persone bloccate all’in-terno dell’edificio di scappare ai piani superiori, così da intrappolarle. Molti sono stati assassinati dentro l’edificio, da infiltrati o da persone che si trovavano già all’interno.I pompieri arrivarono praticamente un’ora dopo l’inizio delle fiamme. Dalle foto si vedono forze dell’ordine an-ti-sommossa fuori dal palazzo che stanno a guardare mentre in alcuni casi la polizia locale, come scritto prima, si univa ai manifestanti e i paramilitari che lanciavano molotov, pietre o sparavano contro l’edificio. Secondo le fonti ufficiali ucraine sarebbero 38 i morti, secondo altre circa cento e secondo altre ancora quasi trecento. Erano cittadini di Odessa, non erano armati, solo alcuni di loro facevano parte di milizie filo-russe e non erano collega-ti con gli scontri avvenuti in Hretska Street prima della manifestazione per l’Ucraina unita. Nello stesso giorno la parlamentare ucraina di Svoboda (partito nazionalista ucraino) Irina Farion esprimeva questo commento: «Bra-va, Odessa [...] fai bruciare all’inferno questi demoni».Andrej Brazhevskij è stato seppellito il 7 maggio 2014, circondato da fiori rossi, nel cimitero di Odessa.Lorenzo Gallo

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PARENTESIMEDI

Parlare di un argomento sconosciuto è difficile, ma non immaginavo lo fosse fino a questo punto. Per scrive-re sull’ “autunno islamico” ho avuto bisogno di pazien-za e costanza, e ringrazio una gentile professoressa per avermi fornito i nomi di alcuni siti ben informati. Sicu-ramente non sono la persona più indicata per parlar-ne, ma spero che questo articolo serva ad ampliare gli orizzonti di qualcuno, perché a me è servito davvero. Parto facendo un breve riassunto della guerra civile in Libia che ha avuto luogo tra Febbraio e Ottobre del 2011. Nata per il malcontento popolare e dal desiderio di rinnovamento politico, dopo aver vissuto la cosiddet-ta “rivoluzione del 17 Febbraio” sull’onda della primavera araba, ha conosciuto lo sbocco della rivolta in un con-

flitto civile che ha portato alla sanguinosa conclusione della ultraquarantennale “guida” di Mu’ammar Ghedafi. Dopo la cacciata del dittatore sembrava che la Li-bia potesse trovare un assetto politico stabile, cosa che invece non è accaduta. La faida interna conti-nua, tanto da spingere sempre più persone a fuggire dal Paese, andando spesso incontro alla morte su bar-coni precari e strapieni che fanno rotta verso l’Italia. Gli Stati Uniti e gli storici alleati arabi avrebbero do-vuto affrontare la questione Libia, dopo aver siste-mato in qualche modo il problema Egitto, ma il presi-dente Barak Obama e i suoi collaboratori sono stati totalmente spiazzati dall’insorgere inaspettato e pre-potente del pericolo ISIS, il califfato Islamico ultra inte-

AUTUNNO ISLAMICO

Per comprendere appieno l’attuale situazione della guerra tra lo Stato di Israele e la Palestina bisogna conoscere gli avvenimenti che hanno portato ad un ciclico ritorno alle armi da parte delle due parti interessate.Tutto ha inizio dopo la fine della Prima Guerra Mondia-le quando, dopo la caduta dell’impero ottomano, il terri-torio palestinese passa in mano alla Gran Bretagna che aveva principalmente il compito di aiutare le popolazioni autoctone a formare proprie istituzioni. Con l’arrivo degli anni ’20 in Europa inizia a diffondersi l’idea di una possi-bile creazione di uno Stato di Israele e cominciano alcune migrazioni verso la Palestina. Come spesso accade,questo aumento dei flussi migratori non furono ben visti dai pa-lestinesi, per la maggior parte mussulmani , e ciò causo l’inizio degli scontri tra le due fazioni, una, quella ebrea, spinta dal desiderio di fondare uno stato con a capo Ge-rusalemme, l’altra, quella mussulmana, desiderosa di man-tenere i propri territori. Nel 1939 gli inglesi, ancora su territorio palestinese, tentano di porre un freno alle mi-grazioni dando agli ebrei ancora cinque anni per trasferirsi e in un massimo di 75mila. Naturalmente sono gli anni della strage nazista e ciò fa si che, con l’aiuto degli Usa, gli ebrei ignorino il tetto massimo posto dalle autorità bri-tanniche e raggiungano in massa la Palestina. Nel 1947 la popolazione ebrea raggiunge il 55% del totale e, dopo il ritiro della Gran Bretagna, la neonata ONU propone di dividere il territorio. Non esisteva uno stato palestinese come non ne esisteva uno israeliano e la proposta delle Nazioni Unite è per la creazione di entrambi: gli israeliani accettano ma i paesi arabi circostanti la rifiutano, così che nel maggio del 1948 nasce soltanto lo stato di Israele. Ciò

provoca l’invasione dell’ora territorio israeliano da parte di cinque stati, Egitto, Siria, Transgiordania, Libano ed Iraq, per testimoniare il loro dissenso. La guerra viene vinta da Israele che al contempo aumenta anche il suo territorio, ma che ancora non comprende la striscia di Gaza. Infat-ti nel 1956 si riaccendo i conflitti tra Israele ed Egitto a causa dell’occupazione della seconda del Canale di Suez. La guerra si conclude grazie alla mediazione anglo- fran-cese che si assume il controllo del canale, garantendo il libero passaggio ad entrambe le parti. Nel giugno del ’67 scoppia la cosiddetta “Guerra dei sei giorni” dove Egitto, Siria e Giordania mobilitano le loro truppe contro Israele, che lancia un attacco preventivo che distrugge gli aerei egiziani a terra. In solo tre giorni riesce a conquistare via terra le penisola del Sinai, le alture del Golan, la Cisgior-dania, la Città vecchia di Gerusalemme e a occupare la Striscia di Gaza. Durante l’occupazione vengono posti al-cuni insediamenti e l’amministrazione di impianti civili e dei servizi è affidata ad Israele. Dal 1994 comincia inve-ce un progressivo passaggio di autorità all’ ANP (Autorità Nazionale Palestinese) che gestirà la Striscia fino al 2007. Intanto il 14 agosto 2005 il governo di Israele fa evacuare la popolazione israeliana e smantella tutte le colonie co-struite a Gaza. Nel 2007 la Striscia passa sotto il controllo dell’organizzazione terroristica “Hamas”. Fino ad oggi ci sono state varie operazioni israeliane a Gaza in risposta al continuo lanci di razzi o colpi di morta-io (Israele impone un embargo verso la Striscia ma Hamas riesce ad armarsi tramite altri paesi arabi come l’Egitto), in una spirale infinita di violenza.Giulia Kakovic

THIS LAND IS MINE!

RIENTE

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Boom.È questo il rumore che fa una bomba nei fumetti, o nei cartoni animati. Il sangue, i gemiti, il dolore... Questo non entra in quell’universo.Resta fuori, nel mondo reale.Quello in cui si muore davvero. È incredibile e ironico - o incredibilmente ironico - pensare alla quantità di morti ogni anno, ogni giorno, nonostante “Non uccidere” sia alla base della maggioranza delle reli-gioni. Guerre dalle dimensioni impensabili portate avanti in nome di Dio. Guerre di sangue, gemiti e dolore. In Siria il conflitto è cominciato il 15 marzo 2011, sebbene in quel periodo si sia trattato più che altro di semplici manifesta-zioni. Le rivolte, le armi... Quelle sono arrivate dopo. E con loro, anche la guerra civile.Hanno dato via al tutto le proteste verso Bashar al-Assad, che sono velocemente sfociate in arresti e uccisioni, morti dai volti dimenticati e un’identità - come popolo, come Stato - persa nella polvere da sparo e nelle grida. L’eserci-to è sceso nelle strade nello stesso momento in cui i ribelli nascevano e imparavano a far sentire la propria voce.“Il regno del silenzio”, lo Stato che prima di quel momento non aveva mai avuto la forza di pronunciare il suo dis-senso, aveva appena deciso di alzare il capo e le spalle,

di tendere i muscoli e di alzarsi. E noi, dagli schermi lucidi dei nostri televisori, abbiamo osservato la distruzione e la sofferenza, commentandola con un triste cenno del capo e niente di più. Abbiamo smesso di stupirci delle notizie dei massacri, dimentichi di un’innocenza perduta ormai da tempo. Ora a scuoterci sono solo le dirette, i fatti nudi e crudi, i video shock guardati con la morbosità silenziosa delle buone famiglie, che osservano lo schifo e quasi chiu-dono gli occhi, indecisi se tornare alle loro vite occidentali o restare davanti allo schermo.I conflitti siriani continuano da più di tre anni. Ogni tanto la notizia ritorna, con nuovi avvenimenti di cui tutti discu-tono per giorni... E che tutti dimenticano con il passare del tempo, come se averne parlato avesse fatto sparire il problema. Il punto di questa guerra, ormai, è che il nu-mero delle vittime non è più sostenibile. Ogni morte è uno spreco e un fallimento per tutti quanti. Bisognerebbe darsi una svegliata e smettere di vivere solo nel contesto occidentale - “Sta succedendo qualcosa... In quelle solite parti là” - a cui siamo tanto abituati.Bisognerebbe fare qualcosa, agire meno in nome di Dio e più in nome di quell’umanità che molti sembrano aver perduto.Agire prima che tutto faccia boom.Sveva Nistri

gralista che sta seminando il terrore tra l’Iraq e la Siria. Sembrava che la zona del Medio Oriente potesse tro-vare un po’ di equilibrio dopo la resa dei conti con l’E-gitto. Accantonati i fratelli islamici che pur avevano vinto le elezioni politiche, stroncato sul nascere il pro-getto di imporre la legge islamica, confinato in carce-re il “democraticamente eletto” presidente Morsi, il governo spalleggiato dagli USA e puntellato dall’eser-cito stenta comunque a creare una situazione di con-vivenza pacifica e sostenuta da obbiettivi condivisi. A rendere ancor più difficile e preoccupante per il mondo intero la situazione del Medio Oriente c’è sempre la mina vagante Al Quaeda. Ben lontana dall’essersi dissolta dopo la cattura e la misteriosa uccisione del leader Osama Bin laden la formazione terroristica adesso lancia preoccu-

panti segnali di possibili alleanze nei confronti dell’ISIS. Sempre nel 2011 c’è stata la rivolta egiziana, anche det-ta rivoluzione del Nilo, rappresentante un vasto mo-vimento di protesta che lamentava il forte malessere della popolazione giovanile, la corruzione, la fame, la povertà e richiedeva una svolta della gestione po-litica retta per più di trent’anni da Hosni Mubarak. Risoltasi con le dimissioni del presidente e con il cambia-mento al vertice dello Stato, la situazione è ancora oggi instabile. Tanto che la speranza legata alle rivolte in Egitto e Libia, che aveva spinto anche i più prudenti osservatori della situazione in Medio Oriente a parlare di primavera islamica e di rinascita dei due paesi, rischia di affondare già in un grigio autunno islamico.Caterina Mezzena Lona

SIRIA GIORNO 1297

Dimenticati per davvero. Che lavoro è stato trovare qual-che notizia abbastanza recente da essere considerata at-tualità. Lo ammetto, non sono per niente un’esperta; ma solo trovare fonti per questo articolo è stato difficile, ol-tre che scriverlo. Ho appreso che la Thailandia è in crisi e soggetta a colpi di stato causati dal malgoverno da ormai 8 anni. Partiamo dal principio. La crisi iniziò quando l’ex Primo Ministro Thaksin Shinawatra fu destituito nel 2006 e accusato di conflitto d’interesse, corruzione e riciclaggio di denaro sporco; le fazioni schierate contro di lui, le cami-cie rosse del Fronte Unito per la Democrazia contro la Dit-

tatura, stavano avendo la meglio contro i suoi sostenitori, perciò si rifugiò all’estero nel 2008, prima di essere con-dannato in contumacia a due anni di carcere. In seguito il governo fu affidato al Partito del Potere Popolare, vici-no alla famiglia Shinawatra; furono eletti due membri del partito come Primi Ministri, ma entrambi furono destituiti dopo poco tempo per le accuse di conflitto d’interessi e brogli elettorali. Il partito fu sciolto e i conservatori torna-rono lentamente al governo. Salì al potere senza elezione Abhisit Vejjajiva, del Partito Democratico. Questo causò scontri e proteste sempre più violente che culminarono

VENEZUELA E THAILANDIANON SOLO MEDIORIENTE - I CONFLITTI DIMENTICATI

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nella crisi della primavera 2010, quando i sostenitori di Thaksin organizzarono dure manifestazioni per ottenere nuove elezioni. Intervenne addirittura l’esercito e ci furo-no circa 90 morti e 2000 feriti. Nel maggio 2011 furono indette nuove elezioni che videro vincere con schiaccian-te maggioranza Yingluck Shinawatra, sorella di Thaksin; inizialmente il suo governo di coalizione fu scarsamente contestato, anzi, ebbe riconoscimenti positivi, a eccezio-ne del discorso della gestione del programma che avrebbe garantito agli agricoltori un prezzo minimo sul riso. Tale progetto infatti non solo non venne mai realizzato ma por-tò lo stato a perdere grandi somme e fece accusare il par-tito di aver intrapreso una politica populista. La respon-sabilità di malgoverno ricadde su Yingluck contro la quale fu aperto un procedimento della Commissione anti-corru-zione. Ad ottobre 2013 cominciarono nuovamente mani-festazioni anti-governative che bloccarono a lungo parte della capitale a causa di una legge sull’amnistia per i reati legati alla crisi politica, finché all’inizio del 2014 la crisi si acutizzò nuovamente. Tali manifestazioni determinarono la caduta dell’esecutivo di Yingluck che rimase al governo in attesa delle nuove elezioni, fissate per l’inizio di feb-braio ma boicottate a causa dell’occupazione dei seggi da parte dell’opposizione. Dopo mesi di proteste, nel maggio 2014 Yingluck è stata destituita dalla Corte Costituzio-nale riconosciuta colpevole di abuso di potere politico a fini personali, dato che nel 2011 rimosse l’incarico all’ex capo del consiglio di sicurezza nazionale per affidarlo a un proprio parente. Come Primo Ministro ad interim fu eletto l’ex ministro del commercio Niwatthamrong Boon-songpaisan. La destituzione di Yingluck ha causato grandi preoccupazioni per la conseguente vicinanza fra le ca-micie rosse e i dimostranti anti-governativi, che avrebbe potuto scatenare una guerra civile. Il 20 maggio i militari del nuovo Consiglio Nazionale per il Mantenimento della Pace e dell’Ordine capeggiati da Prayuth Chan-ocha han-no proclamato una legge marziale e il 22 maggio hanno effettuato un colpo di stato. Il governo provvisorio è stato sciolto, è stato istituito il coprifuoco dalle 22 alle 5 e i dimostranti dispersi. In seguito i canali radio e televisivi sono stati oscurati o censurati, i social network sottoposti a controlli e sono state proibite manifestazioni di più di 5 persone. Il 23 maggio Prayuth Chan-ocha si è autopro-clamato Primo Ministro ad interim e ha convocato più di cento fra politici e attivisti nazionali, fra cui Yingluck, che assieme a vari esponenti delle camicie rosse è stata arre-stata e rilasciata dopo alcuni giorni durante i quali non si è saputo nulla di preciso sulla sua sorte. Durante la riunione in una base militare di Bangkok Prayuth ha detto: “Voglio che tutti i dipendenti pubblici ci aiutino a mettere a posto il paese. Servono riforme economiche, sociali e politiche prima delle elezioni. Quando la situazione sarà sistemata potremo ridare il potere alle persone”. A oltre 155 leader politici è stata vietato di lasciare il paese senza autorizza-zione. Il 26 maggio il re di Thailandia Bhumibol Adulyadej ha approvato ufficialmente il colpo di stato. Il 21 agosto Prayuth Chan-ocha è stato eletto primo ministro dall’As-semblea Nazionale di Bangkok; era l’unico candidato e ha ottenuto 191 voti su 197. Il re gli ha consegnato i tre più importanti poteri del paese: capo dell’esercito, capo della giunta e primo ministro; non c’è mai stato un accumulo di potere del genere nella storia del paese. Secondo l’Human Rights Watch la giunta militare al potere è ormai una dit-

tatura e Amnesty ha dichiarato che il governo sta violan-do ripetutamente i diritti umani: ci sono stati centinaia di arresti e casi di persone torturate, denunce di limitazioni alla libertà d’espressione e di manifestazioni pacifiche, ol-tre che di processi irregolari tenuti da corti marziali. Varie persone che non hanno risposto a convocazioni si sono viste togliere il passaporto o minacciare i parenti; un’at-tivista politica ha dichiarato ad Amnesty di essere stata presa a pugni e quasi soffocata durante un interrogatorio. Ancora più criptica è la situazione in Venezuela; le infor-mazioni che ho rimediato sono veramente poche e piut-tosto vaghe. Le proteste contro il governo del presiden-te Nicolás Maduro sono cominciate il 2 febbraio con la contestazione di una squadra di baseball cubana sull’isola Margarita. Nei giorni successivi degli studenti universita-ri hanno manifestato per ottenere maggiore sicurezza; le proteste sono cominciate nello stato di Táchira ma poi si sono estese in tutte il paese. Il 12 febbraio, durante una protesta per chiedere le dimissioni di Maduro, la situa-zione è degenerata e tre persone hanno perso la vita a colpi di arma da fuoco. Inoltre ci sono stati un centinaio di arresti. Hanno avuto luogo molte manifestazioni non solo per per questo motivo, ma anche per l’alto tasso di criminalità, la carenza di prodotti di base, i frequenti blackout, la corruzione e l’inflazione che ormai è oltre al 50%. Queste manifestazioni hanno diviso l’opposizione; un avversario di Maduro, Henrique Capriles, ha rifiutato di parteciparvi dichiarando che non sono il modo giusto per far cadere un governo, lasciando quindi la scena da le-ader a Leopoldo López. Il giorno seguente Maduro ha ac-cusato López di incitamento alla violenza, danni alla pro-prietà pubblica e omicidio e terrorismo per aver guidato le manifestazioni; ha inoltre emesso un’ordine d’arresto. Le ultime due accuse sono cadute ma resta quella di in-citazione alla violenza, per cui López rischiava 10 anni di carcere. Il 17 febbraio, tre ambasciatori statunitensi sono stati accusati di cospirazione contro il governo ed espulsi dal paese, per questo il 25 tre diplomatici vene-zuelani sono stati espulsi da Washington. Intanto López ha latitato per alcuni giorni fino al 18 febbraio, quando si è consegnato. Il 21 febbraio il ministro dell’interno Miguel Rodríguez Torres ha annunicato che altri tremila soldati sarebbero stati mandati nello stato di Táchira per seda-re le rivolte. Il 23 febbraio Henrique Capriles ha preso il posto di López come leader dell’opposizione in una ma-nifestazione anti-governativa a Caracas. Il 27 febbraio Maduro ha convocato una conferenza di pace, ma non ho trovato notizie all’infuori di quelle sulle intenzioni di Capriles, ovvero di boicottarla; ha detto di essere stanco delle bugie del governo e delle repressioni della polizia contro i manifestanti. Il 5 marzo, anniversario della mor-te del precedente presidente, Hugo Chavez, Maduro ha dichiarato di voler interrompere le relazioni diplomatiche con Panama, e il 7 marzo ha espulso l’ambasciatore e tre diplomatici, sempre per evitare che si cospirasse contro il governo. Da allora ci sono state innumerevoli proteste, altrettante morti e arresti e sono state aperte delle inda-gini per presunte violazioni ai diritti umani. E’ ovvio che la situazione in entrambi i paesi è al limite dell’assurdo e ogni commento da parte mia mi sembra superfluo. Dirò solo che trovo incredibile il fatto che non si accenni mini-mamente a queste realtà.Teresa Kucich

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Care lettrici (auspico tante) e lettori (penso molto pochi), rieccomi qui anche quest’anno a snocciolarvi curiosità ed informazioni sulle regioni e sugli Stati più remoti, incredi-bili ed esotici del mondo intero. Siccome noto che la mia sviscerata passione per le isolette si rispecchia forse un po’ troppo negli articoli, per questo inizio d’anno sono fi-nalmente approdata – per metà – sulla terraferma: pronti a scoprire la Guinea Equatoriale?NOTIZIE IN PILLOLE: Superficie: 28.050 km². Popolazio-ne: 622.000 (stimata. 85.7% Fang, 6.5% Bubi, 3.6%, altri). Capitale: Malabo. Lingue: Spagnolo, Francese (ufficiali). Altri idiomi: Fang, Bube, Annobonese, creolo ed altre. Religioni: Cristianesimo (93%), animismo ed altro, islam. Moneta: franco CFA. Forma di governo: ufficialmente, repubblica.GEOGRAFIA E BIODIVERSITÀ: Innanzitutto, occorre sa-pere che questo stato NON giace proprio sull’Equatore, ma si compone di una regione continentale, Río Muni (26 mila km²), a nord della linea, e di una piccola regione insulare che comprende Bioko (dove ha sede la capitale Malabo) ed Annobón. Il suo punto più alto si trova a ben 3008 metri slm e la sua superficie è pari circa a quella del Galles! In Guinea Equatoriale troviamo più di tremila specie di piante, di cui 66 endemiche: la regione conti-nentale è dominata dalla foresta tropicale umida, dove vivono moltissimi uccelli, gorilla e scimpanzè, nonché un carinissimo topolino chiamato crocidura crenata. Sull’isola di Bioko abbiamo alcune specie particolari quali il cercopi-teco dalle orecchie rosse, il galagone scoiattolo e dei ragni alquanto minacciosi. ANNOBÓN, L’ISOLA SFORTUNATA: Sull’isola di Anno-bon, purtroppo, non si sa molto in quanto essa è – secon-do svariate fonti - teatro di smaltimento di rifiuti radioat-tivi e tossici delle multinazionali: il Presidente riceverebbe ben 200 milioni di dollari all’anno per seppellire questi scarti. Ciò avrebbe portato l’ecosistema dell’isola sull’or-lo del collasso, e la situazione umanitaria sarebbe anco-ra più disastrosa: i duemila annobonesi sarebbero senza elettricità e acqua corrente, mentre la scuola e l’ospedale sarebbero stati chiusi. È inoltre proibito scattare foto e l’unica emittente radio del posto, costretta dalle autorità a sloggiare nel 2003, è riuscita a reinstallarsi sull’isola solo nel 2012. Gli abitanti vivono in condizioni orribili: non ci sono più gatti, ed i ratti mordono anche le persone oltre a devastare le coltivazioni; i pesci scarseggiano e le pian-te seccano. La salute degli abitanti è ormai compromessa del tutto: basti pensare al dato della mortalità infantile, che pur non essendo recente ammonta al 17%. Sinora, i

risultati ottenuti cercando di mobilitare le organizzazioni internazionali sono stati molto modesti, sia perché l’isola è sita in Africa, sia - suppongo - sotto la pressione delle multinazionali e del governo equatoguineano. GOVERNO: L’isola, diventata indipendente dalla Spagna nel 1968, dopo un periodo di dittatura dichiarata durato fino al 1979 è governata dal nipote del dittatore, Teodo-ro Obiang Nguema Mbasogo. Malgrado il governo si fregi del titolo di “repubblica”, in realtà molti parlano di clep-tocrazia e sistema ereditario visto che, in un susseguirsi di elezioni, il presidente ha sempre vinto – inolte, nella maggior parte dei casi i partiti dell’opposizione si ritirano alla fine della campagna elettorale. Le violazioni di diritti umani sono innumerevoli (si parla di tortura, di processi truccati e recentemente di violazione del diritto di pro-testa) e il denaro si mantiene in una ristretta elite etnico - familiare. Nel 2004, causa le riserve di gas e petrolio del-lo stato, finanzieri britannici e mercenari hanno tentato di rovesciare il governo, fallendo. Nel golpe, è probabile il coinvolgimento del figlio di Margaret Tatcher, Mark Ta-tcher.TRADIZIONI E CURIOSITÀ: Da quando è diventata in-dipendente, la nazione sta riscoprendo la sua identità culturale; sebbene la maggior parte della popolazione sia ufficialmente cristiana, molti combinano questa religione con antiche credenze tradizionali. L’etnia maggiore è quel-la dei Fang, la quale è anche quasi l’unica che partecipa alla vita politica. Una delle celebrazioni più famose è l’ abi-ra, che si crede allontani il male dalle comunità: attorno a Natale si balla la danza balélé lungo le città ed i villaggi costieri come parte del cerimoniale. Ora, alcuni fatti interessanti: la Guinea Equatoriale è l’u-nico stato africano ad avere come lingua ufficiale lo spa-gnolo, vi è una sola Università ed in campo sportivo la situazione è disastrosa: due atleti partecipanti alle Olim-piadi del 2000 chiusero le rispettive competizioni ( 50 m femminili e 100 m maschili) con tempi incredibilmente alti - più del doppio del tempo medio di tutti gli altri par-tecipanti. Uno diede addirittura l’impressione di rischiare l’affogamento. Entrambi i nuotatori avevano imparato a nuotare pochi mesi prima, ed erano stati ammessi ai Gio-chi nell’ambito di un programma di sviluppo sportivo per i paesi in via di sviluppo. Le disastrose prove dei due atleti li resero comunque celebri, con interviste alle televisioni di tutto il mondo e contratti pubblicitari con le maggiori aziende produttrici di attrezzature sportive per centinaia di migliaia di dollari.Beatrice Grigorev

PAGINAINTER ULTURALEC

GUINEA EQUATORIALE

RE ENSIONI

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INTER ULTURALE

RE ENSIONIE tanti saluti pure a quest’estate, che ahimè se n’è in un niente, perché su 90 giorni di vacanza, ben 67 sono sta-ti rovinati dal mal tempo... Sembrava proprio un’enorme presa in giro. Comunque, bentornati o ben arrivati, preparatevi a una bella recensione che, spero, vi piacerà! In questo nu-mero voglio essere particolarmente sdolcinata, quindi maschietti cambiate articolo e mie care, cominciamo. Vi proporrò un film con nientemeno che Channing Tatum e Rachel McAdams, che interpretano una coppia di sposini felicemente innamorati che vivono una vita soddisfacen-te a Chicago. In una notte, i due rimangono vittime di un incidente di macchina a causa di una forte tempesta di neve. Leo, il marito, ne esce fuori senza nemmeno un graffio, mentre un forte trauma alla testa cancella total-mente la memoria di Paige e del suo matrimonio (lo so, fa tanto soap opera, ma continuate a leggere). Quando si risveglia dal coma, Leo è un perfetto sconosciuto per lei. All’improvviso deve ricostruire il rapporto della sua vita e riconquistare l’amore di sua moglie. Poco a poco Paige torna mentalmente a cinque anni prima, quando ancora studiava giurisprudenza e frequentava il suo ex Jeremy, per il quale riaffiorano gli antichi sentimenti (che poi tra l’altro, chi lascerebbe da parte un bel Channing Tatum pur avendo un vuoto totale?!?). Ad un tratto si sente estranea alla sua famiglia e a suo marito Leo, quasi intrappolata in

una vita senza tempo, non riuscendo a capire come fare a tornare alla normalità. La nostra protagonista durante tut-to il film scopre sempre più episodi della sua vita, pur non ricordandosene. In questo vortice di confusione il nostro amatissimo e bellissimo Channing fa di tutto per ripren-dersi l’amore della sua vita, infatti, quando è al limite pro-nuncia queste struggenti parole (che sicuramente avrete letto su Facebook): ’Vedo come lo guardi, lo vedo perché era il modo in cui guardavi me.’’ E ammettiamolo, con quelle belle lacrimucce, la nostra simpatica smemorata si sarebbe dovuta gettare ai suoi piedi! Comunque, durante tutto il tempo in cui la nostra amichetta deve riflettere sul significato profondo della (sua) vita, il bellissimo Leo (e qui non mentirò, mi annoiavo) va incontro ad un periodo di solitudine... Come si può mi chiedo, vabbè. Ma dopo molti tentativi di riacquistare la memoria la nostra eroina ce la fa e il suoprincipe azzurro, che è rimasto paziente-mente ad aspettarla, è pronto per ricominciare la sua vita con lei. FINE. Ma per favore, mica vi “spoilero” il finale, siete libere di credermi o no, come volete; ma fossi in voi, se aveste un po’ di tempo libero, un bel po’ di cioccolata e vi andasse di vedere un bel, bel, bel ragazzo, cercatevi ‘’La memoria del cuore’’. Un saluto ragazze mie e un buon inizio! (anche ai ragazzi, se avranno letto e non si saranno annoiati troppo)Giorgia Fumarola

LA MEMORIA DEL CUORE

la Guinea Equatoriale

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Come quando improvvisamente un giorno ti svegli e non ci sei più, portata via da ciò che amavi e che se n’è andato; era quella la sensazione.Dopo la corsa settimanale, verso qualcosa che non com-prendevo a fondo, venivo sempre interrotta dal mare, mi immergevo nella melodia delle onde, che fungevano da accompagnamento musicale al bluastro salato dell’im-mensa distesa d’acqua; mi riempiva dentro quel suono irrecuperabilmente malato. Spostando lo sguardo al cielo, sospirando per la stanchezza, mi lasciavo scivolare e mi distendevo, accanto a quell’infinito colore. Non mi piace la felicità, pensavo, lo pensavo ogni volta, immersa in una solitudine completamente mia, vedendolo arrivare.

Si fermava a pochi passi da me, sedendosi, mi guardava, mi spogliava i pensieri. E un po’ diventavano suoi, quei rumori nella mia testa. Rimanevo lì per ore e lui non se ne andava mai, non diceva niente e nemmeno io parlavo.Era la nostra promessa, completamente indefinita, infini-tamente chiara, una promessa di sguardi e d’amore. Un giuramento silenzioso, urla nel bianco, colore tra le onde.Indossava una camicia angelicamente bianca quando arri-vò, quando arrivò per l’ultima volta; stessa ora, medesimo passo e abituali orme lasciate nella sabbia, i piedi nudi, la chioma d’oro al vento e l’anima in sospeso.Si avvicinò quella volta, non l’aveva mai fatto, e mi parlò, con una voce che non avevo mai sentito, eppure la co-noscevo da sempre. Dentro di me, non ebbi il tempo di pensare a quanto vero potesse essere, ne ero terribilmen-te terrorizzata, sapevo che sarebbe arrivato quel giorno, eppure mi rilassai non appena continuò. La sua calma era simile ad una melodia, mi guariva.Mi sussurrò dolci parole, come a racchiuderle nella sua conchiglia, perché la sua voce era il mare e, per lui, potevo custodirne i segreti. Mi invase interamente il mondo, un’ondata di vita, qualco-sa che non avevo mai provato, sentivo un’assurda libertà invadermi dentro, mi procurava vuoto, un eccesso, eppu-re, con sincera naturalezza, sorrisi, quasi senza accorger-mene.“Devo andare davvero questa volta.” mi disse, guardando il mare. Piansi. Non c’era molto da replicare. Non mi guar-dò, le mie lacrime cadevano silenziosamente, ma le sentì.“Cerca di capire.” sussurrò. Ed io capii. Iniziarono a tremar-

mi le mani, mi doleva fortemente lo stomaco, l’idea mi ap-pesantiva e avevo una seria paura di non farcela, ma capii.Si voltò dolcemente a sfiorarmi la guancia, mi accarezzò con cura; pensai che poteva scomparire tutto e non me ne sarei accorta e pensai anche che ero esageratamente presa dal momento e nemmeno mi rendevo conto di star realmente pensando. Avrei voluto smettere di farlo, seria-mente. E respirare, respirare davvero. Alzandomi, non ebbi il tempo di realizzare, mi avvolse dentro di sé, mi strinse con ferma dolcezza, sentii freddo, tutt’intorno un biancore surreale. La felicità era in quei momenti, quel momento, esisteva e mi piaceva, l’amavo, ad essere sinceri. Mi sarei sempre portata quell’attimo dentro, per non farla mai terminare. Capii che faceva per me, se realmente la volevo. Durò mi-nuti interi, forse ore, ma sembrò un’intera vita e io iniziai finalmente ad apprezzarla. Quando mi lasciò dolcemente andare, avevo addosso il suo profumo, sapeva d’autunno, un viale alberato colmo di foglie; lui era quella più rossa, pensai, vissuta dentro. Si rivolse verso l’immenso blu, mi sfiorò il volto con lo sguardo un’altra volta.

“A presto” mi disse. Sorrisi. Girandosi, s’incamminò verso la distesa, proseguendo con passo calmo e deciso. For-tunatamente, non si voltò nemmeno una volta, finchè i suoi riccioli d’oro non furono sommersi, o la mia indefinita decisione di seguirlo avrebbe vinto su tutte le altre, senza resistere ai suoi occhi che debolmente mi pregavano di seguirli, ma non ne ebbi il coraggio.Il mare era la sua casa e lui era la mia, ma lo capii trop-po tardi. Sentivo di aver vissuto interamente tra le sue braccia, avevo sentito ogni odore, assaggiato ogni sapore, ascoltato ogni rumore ed abbracciato ogni amore, eppure avrei continuato sempre e non sarebbe mai bastato, ne avrei conosciuto sempre uno nuovo e poi ancora un altro. Era bastato un giorno a vivere un’intera vita e mi sarebbe bastato il ricordo per apprezzarne tante altre.“Anch’io ti ho sempre amato.” sussurrai finalmente ciò che mi premeva dentro per fuoriuscire, lo vidi scoppiare in un bianco arcobaleno, rivelando la perla della sua conchiglia, che ero diventata io; me l’aveva rivelato e io lo rivelai al mare, perchè sapevo che lui mi avrebbe sentito. “A presto.” dissi piangendo.Bess Binqui

RACCONTII BREV

LA PROMESSA DEL MARE

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'Non so se lo sai, ma io so'.'Che cosa?'.'Io so.''Okay, ma che cosa?'.'Tutto'.'Non capisco'.'Certo che non capisci, tu non sai'.'Fammi capire allora'.'Non ci riuscirai'.'Vediamo'.'No'.

'No', risposi, e lo dissi con una sicurezza che non avevo mai provato. E tacque, proprio perché non capiva.A quel punto ero sola con i miei pensieri, tutti quei demoni infiniti nella mia testa, mi graffiavano la mente e uccideva-no le certezze. Ormai erano solo loro la certezza, le om-bre che mi erano state imposte, o che forse io stessa ave-vo creato. Lunghi filamenti di insicurezza, ansia, tristezza, disperazione e ansia che strozzavano ogni sogno nascosto o speranza insospettata, tutto schiacciato, soffocato, mor-to. Tutto ciò che restava erano ceneri e resti smembrati di un giardino appassito.La consapevolezza che niente è per sempre, che niente è sicuro, che tutto è in bilico, a un passo dal cominciare e a mezzo dal finire; la pesantezza della casualità che domi-na questo mondo caotico e irrazionale, l'oblio inevitabi-le e imminente, la nostra insignificante presenza quanto l'enormità dell'essere, tutto destinato a finire, spegnersi, smettere, fermarsi. Il sapere che le cose, non avendo un motivo, possono accadere e non accadere; il comprende-re che non a tutti spetta tutto e che non tutti ottengono ciò che vogliono. Queste cose le pensavo già, ma per la prima volta il cinismo di tutto ciò mi ricadeva addosso.

Mi feriva.Faceva male.Rendersi conto che il 'perché' è una parola inutile. Niente ha un perché, è tutto solo un ammasso di colori e di as-senze di colore, di materia e cose indefinite, di parole e silenzi.E' difficile sapere. E' un peso incredibilmente gravoso. Procura male ai desideri e male alla vita.A quel punto stavo inarcando la schiena, perché non riu-scivo a guardare avanti e avevo un macigno sul diafram-ma; e boccheggiavo perché non riuscivo a respirare.E poi sentii delle braccia cingermi i fianchi in un abbraccio che mi avrebbe tolto il fiato, se avessi avuto aria nei pol-moni; e affondai il viso nella sua spalla, per respirare lei e la sua innocenza. 'Magari non so, e magari non posso neanche sapere, ma so che farò di tutto per capirlo, così che saremo in due a portare questa grande verità che non riesci a rivelare, e ucciderà entrambe, ma più lentamente e caritatevolmen-te, perché moriremo insieme. Io non lo vedo un mondo senza di te, capito?'.Annuii nel suo abbraccio, gli occhi umidi e le labbra che facevano finalmente fuoriuscire l'aria e le emozioni inca-strate nella gabbia toracica.Avevo capito, ma stavolta per davvero.La vita non ha perché ma solo tanti come, e noi possiamo scegliere di vivere quei come nel modo che preferiamo. La vita non ha senso, allora tocca a noi darglielo. La vita è puro caso, ma in una piccola parte possiamo influenzarlo. La vita finisce, quindi dobbiamo assaporare quel che ab-biamo.E per la prima volta ero davvero grata di quel che avevo, ogni frammento sembrava una scaglia d'oro puro e tutto ciò che mi circondava era così colorato e vivo. E il suo sorriso era la cosa più luminosa di tutte. Teresa Kucich

CASUALITÀ PARZIALMENTE INFLUENZABILI

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RACCONTII BREV

SUDO KU

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1. Li teme l’attore 5. Ispettore in breve 8. Lo firma il notaio 9. Si aprono nell’ar-madio 10. Si dice dopo “pronti” 11. Uno sport 13. Regione del canada 15. Avanti Cristo 16. Il nome di Da Vinci 19. Isole Italiane 18. Può esserlo una raccoman-data 20. Fa rima con cor 23. Vi si spre-mono le olive 26. E’ bello farlo con gli amici 27. Ci può andare il pugile 28. Si dice quando si ha un dubbio

1. Si racconta ai bambini 2. Percorsi 3. Nazione 4. Sigla di como 5. Fiume austriaco 6. Gabbia per galline 7. Vi si compra il pesce 9. In coppio col catodo 11. Preposizione semplice 12. Irlanda del Nord 14. Una provincia marchigia-na 17. Si ottiene dalle olive 21. Il nome dell’attore Dillon 22. Consonanti di Rita 23. Foggia 24. Tutto bene in America 25. Può essere tecnico per il pugile

ORIZONTALI VERTICALI

La redazione del CanzoniereRedattore: Matteo GiugovazCopertina, grafica, impaginazione: Lorenzo GalloRedazione: Maria Tremuli, Teresa Kucich, Bess Binqui, Giulia Kakovic, Giorgia Fumarola, Sveva Nistri, Caterina Mezzena Lona, Beatrice Grigorev

Moltissime grazie alla signora Luisa ed alla bidella Anna per collaborazione