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Metodologia CLIL e competenze dei docenti ISBN 978-88-548-9626-0 DOI 10.4399/97888548962606 pag. 109–146 (settembre 2016) Il CLIL come incentivo all’apprendimento socioemotivo N C * Le lezioni emozionali possono fonder- si naturalmente con attività quali let- tura e scrittura e con discipline quali educazione alla salute, scienze, studi sociali ed altre ancora. D. G We cannot all dance as artistically as Fred Astaire, but even he had to learn how. We can all learn the craft of dan- cing and teaching, and become artists in our own right. We might even try doing the two at the same time. Now that really would be an art. H.G. W . In prospettiva diacronica Nel il Networking English Language Learning in Europe (NELLE), una rete europea di associazioni di inse- gnanti di lingue avente il fine di promuovere la diversità * Docente, formatrice di formatori.

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Metodologia CLIL e competenze dei docentiISBN 978-88-548-9626-0DOI 10.4399/97888548962606pag. 109–146 (settembre 2016)

Il CLIL come incentivoall’apprendimento socioemotivo

N C∗

Le lezioni emozionali possono fonder-si naturalmente con attività quali let-tura e scrittura e con discipline qualieducazione alla salute, scienze, studisociali ed altre ancora.

D. G

We cannot all dance as artistically asFred Astaire, but even he had to learnhow. We can all learn the craft of dan-cing and teaching, and become artistsin our own right. We might even trydoing the two at the same time. Nowthat really would be an art.

H.G. W

. In prospettiva diacronica

Nel il Networking English Language Learning inEurope (NELLE), una rete europea di associazioni di inse-gnanti di lingue avente il fine di promuovere la diversità

∗ Docente, formatrice di formatori.

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Nicoletta Cherubini

linguistica e l’insegnamento delle lingue, oltre che quel-lo di dare sostegno agli insegnanti di lingue, tenne il suoquarto convegno sul tema Teaching and Learning Englishin a Multi–Cultural Europe. Teacher Development and ActionResearch (Sebbage, Sebbage ). L’evento, con più di partecipanti provenienti da paesi, contava fra i relato-ri principali van Essen, linguista, presidente del NELLE,Widdowson, un’autorità nel settore della Linguistica ap-plicata e dell’insegnamento dell’inglese (cfr. infra, par. .)e Edelhoff, chairman del Department of Modern Langua-ges presso lo Hesse State Institute for Teacher In–ServiceEducation and Training (HLF) e consulente esperto delCouncil for Cultural Cooperation del Consiglio d’Europa,e scaturiva dal comune intento di NELLE, dell’associazio-ne TEA (Teachers of English Austria) e del Dipartimentod’Inglese dell’Università di Innsbruck di fare il punto sullaformazione dei docenti di lingue e sulla Ricerca–Azione,in un ambito europeo sempre più multiculturale.

.. CBI/CLIL sperimentale: imparare una lingua straniera e larisoluzione dei conflitti

In questa variegata cornice la rete di NELLE ci ha offertol’opportunità di presentare per la prima volta agli insegnan-ti d’inglese alcune nostre unità di Glottodidattica veicolare,che proponevano di fare qualcosa di propriamente nuovonella classe di lingue straniere: integrare l’insegnamentoe apprendimento della lingua inglese (EFL/ESL) con uncontenuto veicolare ancora poco sfruttato, costituito dallarisoluzione dei conflitti.

Il nostro workshop, dal titolo di EFL — Teaching andLearning for Resolving Conflicts Creatively, era inserito nellasezione Cross/Multi Cultural Teaching e presentava un mo-

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dello di unità di apprendimento linguistico elaborato inbase alla metodologia della Content–Based Instruction o CBI(cfr. infra, par. ), analoga a quella che oggi in Europa vasotto il nome di Content and Language Integrated Learning oCLIL.

.. Use as you learn and learn as you use

La costruzione di unità di apprendimento così concepi-te da Cherubini permette agli studenti non anglofoni diqualunque nazionalità di imparare a usare tecniche di ri-soluzione pacifica dei conflitti mentre studiano l’inglese e,allo stesso tempo, di usare la lingua inglese mentre fannorisoluzione dei conflitti.

La metodologia di questa proposta è infatti perfetta-mente in linea col principio di «veicolarità» che Marsh,co–fondatore del CLIL nel , avrebbe più tardi riassun-to con la frase: «Use as you learn and learn as you use»,contrapponendola al consueto processo di apprendimen-to linguistico tradizionale, «Learn now and (maybe) uselater» (Marsh ).

Vivere nel Nord America negli anni Ottanta, per lun-ghi periodi a New York, a contatto con educatori comeLantieri () responsabile con Roderick del ResolvingConflicts Creatively Program (RCCP) sponsorizzato daNew York City Public Schools e da Educators for SocialResponsibility (Metropolitan Area), come Edward Welch,direttore del Family Life Theatre, il primo teatro d’improvvi-sazione fatto da/con/per i giovani, che girava nelle scuoledi New York per risolvere dal vivo le più diffuse proble-matiche giovanili, e come Loffredo (), della Women’sDivision, dell’ufficio del Governatore dello Stato di NewYork, attiva nella promozione di azioni di sensibilizzazione

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a favore delle donne e delle adolescenti, aveva avuto in for-te influsso su di noi. Erano infatti persone caparbiamentee coraggiosamente impegnate nella costruzione di nuoveinfrastrutture concettuali, sperimentali, politiche e finan-ziarie, rivolte allo sviluppo di conoscenze, consapevolezzee life skill nei giovani.

Sentivamo chiaramente la necessità di diffondere fraalunni, insegnanti e genitori (in pratica, nell’intera comuni-tà di appartenenza) le tecniche di gestione del conflitto e dicostruzione dell’autostima necessarie a rendere più sicurele aule, le strade e lo stile di vita di centinaia di ragazzie adolescenti e delle loro famiglie. La prima volta in cuichi scrive visitò una scuola di Manhattan non riusciva acredere ai suoi occhi: alle porte d’ingresso erano installatidei metal detector simili a quelli degli aeroporti e la salaprofessori era dotata di una porta con vetri rinforzati, achiusura automatica, apribile solo dall’interno per consen-tire massimo controllo e protezione. Se ben ricordo, suigradini davanti a quella scuola si erano verificati gravi attidi violenza fra studenti.

Lavorare alla risoluzione dei conflitti, in quell’ambientedi apprendimento, non era un’opzione, era un doverepedagogico imprescindibile. Inoltre, le valutazioni esternea cui cominciavano a essere sottoposti i programmi dirisoluzione dei conflitti a scuola che stavano nascendo intutti gli Stati Uniti, avevano abbastanza dati per elaborare iprimi risultati, molto positivi.

Per chi, come noi, era impegnato nell’educazione lin-guistica e fin dalla tesi di laurea nel aveva scelto dilavorare sulla pragmatica della comunicazione in base alla(allora misconosciuta in Italia) Teoria degli atti linguisticidi Austin, e investigava il potere illocutorio e perlocutoriodelle parole in ambito cross–culturale, era del tutto pos-

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sibile credere di poter «fare cose con le parole» (Austin), soprattutto cose buone, cose che anche i bambinidella scuola dell’infanzia, in base alle ricerche applicate dimatrice nordamericana allora disponibili, erano in gradodi capire e di usare nei rapporti interpersonali fra i pari:per esempio, diventare consapevoli delle frasi denigratorieche si pronunciano e imparare a non pronunciarle più, op-pure capire e assimilare profondamente una fondamentalecompetenza per la vita, secondo la quale si può scegliere fravarie alternative di risposta al conflitto ugualmente valide(l’attacco, la fuga, o l’assertività) a seconda delle singolesituazioni, e che il conflitto non è una negatività, bensì faparte della vita e molto spesso tutti possono vincere senzacreare perdenti.

Cercare un metodo per insegnare la risoluzione dei con-flitti nella classe di lingue straniere per mezzo di unità diapprendimento appositamente progettate per integrarefra loro lo sviluppo linguistico e lo sviluppo emotivo degli ap-prendenti si configurava come un passo naturale, una sortadi uovo di Colombo, una didassi nuova e innovativa, e nelcontempo antica, come l’insegnamento in immersione lofu per Sant’Agostino, che fin dal IV secolo d.C. istruiva eformava i giovani novizi in latino trasmettendo i contenutiper mezzo dell’apprendimento linguistico.

Con quel tipo di intenzionalità intendevamo dare unforte riconoscimento alla diffusione di una disciplina nonlinguistica, la risoluzione dei conflitti, che contavamo diportare, e che poi abbiamo portato in Italia, sebbene coni necessari accorgimenti cross–culturali (Cherubini ).Si trattava della nascita di un tipo di CBI/CLIL che finoa oggi, al meglio delle nostre attuali conoscenze, non èstata ripresa da altri studiosi di educazione linguistica. Soloquest’anno abbiamo rilevato che sul concetto di «integra-

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zione della risoluzione dei conflitti con l’insegnamentodella lingua inglese» è stato pubblicato un fascicolo con-tenente materiali desunti da pubblicazioni che trattanoquegli argomenti, ma che non presenta alcun tipo di di-dattizzazione linguistica della risoluzione dei conflitti inchiave di Content–Based Instruction (Wenden ).

Dagli anni Ottanta in poi non ci ha più abbandonato l’in-tento d’integrare lo studio delle lingue straniere e secondecon la risoluzione dei conflitti, per coinvolgere i docentidi lingue nell’educazione al conflitto di giovani e adulti,pertanto sollecitiamo vivamente riscontri e segnalazioniin merito su eventuali ricerche avviate su questo tipo diCBI/CLIL al fine di costituire un gruppo di interesse.

.. Un impatto forte

In quel nostro primo workshop di Innsbruck del (a cuine sarebbe seguito un altro su committenza di due entieducativi locali l’anno successivo) chiedevamo agli inse-gnanti d’inglese europei di impegnarsi in varie direzioni,facendosi carico (nella misura del possibile per ciascuno) dinuove responsabilità pedagogiche e matetiche, e di crederein se stessi a vari livelli. In pratica dovevano:

a) sul piano metodologico e didattico: accettare di lavora-re, agli albori del CLIL in Europa, in regime veico-lare; impegnarsi nella stesura e nell’utilizzo di unitàdidattiche o moduli basati su contenuti disciplinariafferenti a una disciplina non–linguistica, la risoluzio-ne dei conflitti, fondamentalmente extra–curricolare(a differenza dell’ambito nordamericano dove in-vece già era praticata a scuola), che nel % dei

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casi poteva essere considerata “esotica” dalle loroistituzioni educative di appartenenza;

b) sul piano (auto)formativo: accettare di predisporsi aimparare e a sperimentare, a scuola, a casa e nellavita di tutti i giorni, i rudimenti della risoluzione deiconflitti, nella consapevolezza che questa disciplinaè rivolta allo sviluppo delle abilità comunicative ditutti gli attori coinvolti nell’apprendimento e nell’in-segnamento: studenti, insegnanti e genitori nellascuola; formatori, manager e professionisti nell’am-bito della formazione per adulti, e non solo, poichéinclude anche la comunità in senso lato;

c) sul piano filosofico: valutare se, a livello personale,in quanto insegnanti di lingue, sentissero di poterfare proprio l’obiettivo di migliorare le proprie e lealtrui abilità comunicative e competenze socioemo-tive, facendosi promotori di un passo innovatore nelmondo della scuola;

d) sul piano istituzionale: dare il via a una riflessionesulla fattibilità di questo nuovo tipo di didattica vei-colare nelle loro rispettive strutture di insegnamen-to, in termini di disponibilità della dirigenza e delcorpo insegnante a farsene promotori e apprenden-ti, organizzando un ampio e adeguato training dirisoluzione dei conflitti;

e) sul piano cooperativo e sistemico: formulare ipotesi eporre domande durante il workshop per creare unarete per dare impulso a questa nuova espressionedella Content–Based Instruction.

Prima di riferire l’output espresso da alcuni partecipantie le successive iniziative formative da noi intraprese con gliinsegnanti d’inglese in Austria, è utile tracciare un breve

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quadro di come si presentavano in quel momento, da unlato, la ricerca sull’insegnamento integrato di lingua e con-tenuto e, dall’altro, il settore dello sviluppo socioemotivonel panorama internazionale. Un panorama, peraltro, chenegli anni Novanta e Duemila avrebbe ricevuto sempremaggiori finanziamenti e attenzione in ambito statuniten-se, con l’avvento del Social and Emotional Learning (SEL).Il movimento del SEL si è fondamentalmente evoluto so-prattutto a metà degli anni Novanta, in seguito alla pub-blicazione di Emotional intelligence di Goleman (/)e di Multiple Intelligences di Gardner (/) (cfr. infra,parr. ., .). La definizione di Social and Emotional Lear-ning del Collaborative for Academc, Social, and EmotionalLearning (CASEL) è la seguente:

[SEL] is the process through which children and adults acqui-re and effectively apply the knowledge, attitudes, and skillsnecessary to understand and manage emotions, set and achie-ve positive goals, feel and show empathy for others, establishand maintain positive relationships, and make responsibledecisions. (CASEL )

Il CASEL () è un ente americano di ricerca e di mo-nitoraggio che si dedica all’avanzamento della scienza edella prassi dell’apprendimento emotivo a scuola e che hala missione di contribuire a rendere l’apprendimento so-cioemotivo di provata efficacia una parte integrante dell’i-struzione, dalla scuola materna alla scuola superiore. Oggi,attraverso la ricerca, la pratica e le sue politiche, il CASELcollabora per assicurare che tutti gli studenti diventinomembri della società informati, responsabili, premurosi ecoinvolti (cfr. Elias et al. ).

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. Verso la diffusione della emotional literacy

.. Le «intelligenze personali» di Gardner

Nel viene dato alle stampe Frames of Mind: The Theoryof Multiple Intelligences di Gardner (), Docente di Scien-ze cognitive e dell’educazione e Psicologia all’Università diHarvard, opera tradotta in italiano nel col titolo di For-mae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza. Il testo èprofondamente innovativo poiché sfida l’idea tradizionaleed esclusiva di un singolo «quoziente di intelligenza», a cuisostituisce la descrizione di varie «intelligenze» che ciascunindividuo possiede in misura diversa. Fra queste, la teoriagardneriana propone in particolare due intelligenze perso-nali: quella interpersonale e quella intrapersonale. L’intelli-genza interpersonale coinvolge la capacità di distinguere edempatizzare con gli stati d’animo, i comportamenti, le mo-tivazioni e le emozioni degli altri, di coltivare e gestire unterreno di socialità positiva per sé e per gli altri, ed è quindidi natura estrospettiva. L’intelligenza intrapersonale, invece,si rivolge all’interiorità di ciascun individuo, che la utilizzaper sviluppare l’auto–consapevolezza, per la gestione delleproprie emozioni e a fini di auto–motivazione, e ha quindicarattere introspettivo: «È una capacità correlativa rivoltaverso l’interno. È l’abilità di formarsi un modello accuratoe veritiero di se stessi e di usarlo per operare efficacementenella vita» (Gardner /: ). Grazie all’impulso datoagli studi e sperimentazioni seguiti alla pubblicazione neglianni Ottanta del saggio sulla pluralità dell’intelligenza diGardner, il terreno è pronto per l’aggiunta di un ulterioretassello.

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.. L’«intelligenza emotiva» di Salovey e Mayer

Nel Salovey e Mayer propongono per la prima voltail modello dell’intelligenza emotiva nel loro noto articolointitolato Emotional Intelligence (Salovey, Mayer ). Laloro definizione di «intelligenza emotiva» e dei suoi risvolticollegati alla ricerca di Gardner è la seguente:

We define emotional intelligence as the subset of social intel-ligence that involves the ability to monitor one’s own and others’feelings and emotions, to discriminate among them and to use theinformation to guide one’s thinking and actions. (Salovey, Mayer: — il corsivo è degli autori —)

Si tratta dunque della capacità che ciascuno di noi ha dicontrollare o monitorare le proprie e le altrui emozioni, dieffettuare distinzioni fra loro e di usare tali informazioniper gestire i propri processi razionali e comportamentali.Riallacciandosi a Gardner, i due autori continuano attri-buendo all’intelligenza emotiva il ruolo di un sottoinsiemeappartenente al concetto di social intelligence:

Emotional intelligence is also a part of Gardner’s view of socialintelligence, which he refers to as the personal intelligence.Like social intelligence, the personal intelligences (dividedinto inter– and intra–personal intelligence) include knowledgeabout the self and about others. One aspect of the personalintelligence relates to feelings and is quite close to what wecall emotional intelligence. (Salovey, Mayer : )

Salovey e Mayer () poi riprendono e citano il se-guente ragionamento di Gardner, che attribuisce moltepli-ci funzioni simbolico–sociali ai processi di riconoscimentoe di utilizzo dei propri e altrui stati emotivi, proprio aifini della risoluzione dei problemi e per la regolazione del

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comportamento, e che definisce la vasta gamma in cui siesprime l’intelligenza intrapersonale:

The core capacity at work here is access to one’s own feelinglife — one’s range of affects or emotions: the capacity instantlyto effect discriminations among these feelings and, eventually,to label them, to enmesh them in symbolic codes, to drawupon them as a means of understanding and guiding one’sbehavior. In its most primitive form, the intrapersonal intelli-gence amounts to little more than the capacity to distinguisha feeling of pleasure from one of pain [. . . ]. At its most advan-ced level, intrapersonal knowledge allows one to detect and tosymbolize complex and highly differentiated sets of feelings[. . . ] to attain a deep knowledge of [. . . ] feeling life. (Gardner: , cit. in Salovey, Mayer : )

E aggiungono che, dal canto suo, l’intelligenza inter-personale coinvolge fra l’altro la capacità di tenere sottocontrollo gli stati d’animo e i temperamenti degli altri e diutilizzare questa conoscenza per predire il loro comporta-mento. Pertanto concludono che l’intelligenza emotiva èun sottoinsieme delle intelligenze personali di Gardner.

A loro volta, estendono le abilità socioemotive delineateda Gardner a cinque ambiti principali, che per motivi dispazio non è possibile sviluppare in questa sede e che sonocosì riassumibili:

a) conoscenza delle proprie emozioni;b) controllo delle emozioni;c) motivazione di se stessi;d) riconoscimento delle emozioni altrui;e) gestione delle relazioni.

In sintesi, i due studiosi presentano un quadro di riferi-mento sull’intelligenza emotiva, considerandola

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un insieme di abilità che si ipotizza contribuiscano all’accuratavalutazione ed espressione dell’emotività in se stessi e neglialtri, all’efficace regolazione dell’emotività in se stessi e neglialtri, e all’utilizzo dei sentimenti per motivare, pianificare eraggiungere il conseguimento nella propria vita». (Salovey,Mayer : — traduzione dell’autrice —)

Incidentalmente, in base alle sperimentazioni didattichesulla risoluzione e la mediazione dei conflitti da noi con-dotte con centinaia di alunni della scuola di base italianatra il e il , la forma più «primitiva» di intelligenzaintrapersonale, definita da Gardner come poco più che lacapacità di distinguere una sensazione di piacere da una didolore, corrispondeva chiaramente al livello di consapevo-lezza emotiva della stragrande maggioranza degli alunnidella scuola primaria, ai quali era prima di tutto importan-te insegnare il «lessico delle emozioni», per consentire lorodi uscire dalla gamma limitante delle parole che in genereusavano per descrivere uno stato emotivo: «(stare) bene» e«(stare) male».

.. La «emotional literacy» di Goleman

Tornando agli anni Novanta, era tuttavia possibile fare unulteriore passo avanti, aggiungendo un altro tassello al qua-dro che si andava rapidamente delineando. Il tassello vieneaggiunto nel da Goleman, già docente di Psicologiaa Harvard, quando pubblica l’altrettanto noto Intelligenzaemotiva (Goleman /). Il suo concetto di emotional

. A tal proposito si rimanda alle già citate esperienze svolte da Cherubi-ni con/per/da insegnanti e alunni della scuola primaria dell’area fiorentina,nell’ambito di un nostro corso di formazione triennale che ha dato luogo ainteressanti e innovative elaborazioni didattiche nell’ambito dell’educazioneall’affettività (Cherubini : –, ).

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literacy, letteralmente «alfabetizzazione emotiva», affon-da le sue radici nel movimento per l’educazione affettivadegli anni Sessanta, ma si differenzia da quest’ultimo: «Ilmovimento per l’alfabetizzazione emotiva rovescia peròcompletamente il senso della educazione affettiva, perchéinvece di usare l’affettività per educare, educa la stessa af-fettività» (Goleman /: ). Lo studioso sviluppaulteriormente il quadro messo a punto da Gardner () eda Salovey e Mayer (), mirando a delineare un concet-to di «intelligenza emotiva» che avrebbe profondamentetrasformato il panorama formativo globale, sia nell’ambitodella scuola che in quello del lavoro. Per farlo, pone atten-zione a un aspetto che ritiene trascurato dai precedentistudi sull’intelligenza emotiva:

Sebbene la descrizione delle intelligenze personali di Gardnerlasci ampio spazio alla comprensione del gioco delle emozionie della capacità di dominarle, Gardner e collaboratori non han-no tuttavia studiato a fondo il ruolo del sentimento in questeintelligenze, concentrandosi più che su di esso, sulla cognizio-ne relativa ad esso. Questo approccio lascia inesplorato, forsenon intenzionalmente, il mare di emozioni che rende la vitainteriore e le relazioni umane così complesse, così irresistibilie spesso tanto sconcertanti. E lascia ancora inesplorati dueconcetti: in primo luogo, la possibilità che l’intelligenza siapresente nelle emozioni, e in secondo luogo, quella che vi vengaportata. (Goleman /: )

Infatti, il lavoro di Goleman ha cercato di mostrare co-me portare l’intelligenza nella sfera delle emozioni, crean-do una vasta ricaduta positiva che ha avuto il merito diattirare l’attenzione degli educatori internazionali sul costodell’analfabetismo emotivo per la società. Si è così com-preso anche il ruolo socioeducativo che la capacità di co-municare, ascoltare e gestire consapevolmente le emozio-

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Nicoletta Cherubini

ni riveste indifferentemente per adulti e ragazzi. Diventadunque sempre più ragionevole sostenere che fanno partedell’educazione scolastica anche vari aspetti dei rapportiinterpersonali, quali:

a) imparare a saper ascoltare e a porre domande;b) distinguere tra ciò che qualcuno dice o fa e le pro-

prie reazioni o i propri pregiudizi;c) essere sicuri di sé, invece di arrabbiarsi o restare

passivi;d) imparare l’arte di collaborare, di risolvere i conflitti

e di negoziare i compromessi (Goleman /:).

Quanto al contesto di applicazione scolastico della suaricerca, lo psicologo cognitivista concorda con Gardnersulla necessità di tener conto delle intelligenze personaliper «alzare il livello della competenza sociale ed emozio-nale nei ragazzi come parte della loro istruzione regolare:non si tratta di un insegnamento di recupero per ragazzipoco sicuri, ritenuti “in difficoltà”, ma di un insieme di abi-lità e di comprensioni essenziali per chiunque» (Goleman/: ).

. L’insegnamento di lingua e contenuto insieme

Cosa non sorprendente, il termine CLIL non comparivanei numerosi titoli degli interventi del convegno NEL-LE, tuttavia nei primi anni Novanta insegnare una materiain lingua straniera affinché l’apprendente imparasse si-multaneamente delle abilità linguistiche e un contenutodisciplinare non era affatto un concetto nuovo, essendo

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stato elaborato qualche anno prima all’Università della Ca-lifornia di Los Angeles da Brinton, con Snow e BinghamWesche, col nome di «Content–Based Instruction» (CBI)o «Content Teaching» (Brinton et al. /).

La CBI aveva già fatto molta strada nell’area dell’inse-gnamento linguistico anglosassone: basti pensare che nel, al XXVII Convegno Internazionale TESOL di Atlan-ta, erano stati presentati ben centoventotto interventi sulContent Teaching. Fra i numerosi vantaggi di questa me-todologia di insegnamento linguistico vi è la sua capacitàdi fare appello simultaneamente alle capacità cognitive ecreative degli apprendenti, facendoli lavorare su materia-li caratterizzati da «input comprensibile» (Krashen ),autenticità ed eterogeneità testuale e obiettivi di appren-dimento sensibili agli interessi degli apprendenti e allanecessità di prepararli alla vita.

.. Content–Based Instruction e CLIL in Italia

Anche in Italia si apriva la riflessione sull’insegnamentoContent–Based riferito alla risoluzione dei conflitti e allaeducazione alla salute: nel viene pubblicato sull’argo-mento un numero della rivista «Scuola e Lingue Moderne»,organo ufficiale dell’ANILS, curata da Serena e diretta daBalboni, sul tema monografico «Insegnare le lingue pervivere il mondo d’oggi: due esempi di Content–Based In-

. L’ANILS (Associazione Nazionale Insegnanti di Lingue Straniere), èla più antica associazione professionale italiana di docenti di lingue stranieree si propone di promuovere e sostenere l’insegnamento delle lingue nellescuole di ogni ordine e grado: si rivolge quindi principalmente a insegnantidi lingue straniere, di lingue classiche, di italiano come lingua maternae straniera in una concezione integrata di educazione linguistica. È entequalificato per la formazione del personale della scuola, riconosciuto dalMIUR (DM /C/ dell’ marzo ).

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Nicoletta Cherubini

struction». La rivista presentava osservazioni di metodo(Cherubini b) e attività di apprendimento elaborate daCherubini in inglese lingua veicolare, con contenuti desun-ti da due ambiti disciplinari non–linguistici già ben rodatinei curricoli scolastici anglosassoni, quali l’educazione allasalute e l’educazione alla pace (peace education) (Cheru-bini b), intesa, quest’ultima, come termine “ombrel-lo” che comprende tecniche di risoluzione dei conflitti,mediazione, negoziazione ecc.

... Le prime proposte di CBI/CLIL di inglese e risolu-zione dei conflitti

Nell’intento di sviluppare il nuovo ambito veicolare di in-glese EFL/ESL e risoluzione dei conflitti, appoggiandocia esperienze di formazione e ricerca sulla risoluzione deiconflitti intesa come disciplina a sé stante, maturate ne-gli Stati Uniti e nel Regno Unito, abbiamo delineato su«Scuola e Lingue Moderne» moduli tematici incentrati sul-le opzioni alternative alla cosiddetta «reazione di attacco ofuga» in caso di conflitto, basati sui seguenti obiettivi adoppia focalizzazione:

a) obiettivi di apprendimento linguistici: gli studenti sa-ranno in grado di dare suggerimenti e di informarsisu atteggiamenti emotivi altrui;

. Rimandiamo a un’altra sede la discussione dell’esperienza di CLILdi EFL/ESL sulla prevenzione dell’AIDS/HIV sviluppata e presentata dachi scrive insieme a esperte della disciplina non–linguistica in un workshopal convegno TESOL di Roma del . A questo proposito, si vedano ledue unità elaborate da Cherubini, «The interview» e «Saying No», riportatenell’articolo di Loffredo, McArthur : –.

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Il CLIL come incentivo all’apprendimento socioemotivo

b) obiettivi della materia non–linguistica: gli studenti ac-quisiranno maggiore consapevolezza del loro com-portamento; gli studenti saranno in grado di com-prendere gli effetti del proprio comportamento insituazioni di conflitto (Cherubini b).

Nello stesso anno si sono aperti altri canali di confrontoe condivisione dei nostri lavori sulle emozioni al conve-gno Expolingue di Milano con il nostro intervento«Educazione alla pace nell’insegnamento linguistico mul-ticulturale». Abbiamo presentato unità di apprendimentofinalizzate all’insegnamento veicolare dell’inglese, aven-ti come contenuto disciplinare la gestione della assertivi-tà contrapposta all’aggressività verbale, basati sui seguentiobiettivi doppiamente focalizzati:

a) obiettivo di apprendimento linguistico: gli studenti svi-lupperanno un repertorio di strategie per gestire lacollera verbalmente; gli studenti saranno in gradodi fare uso del linguaggio assertivo;

b) obiettivo della materia non–linguistica: lo scopo del-l’attività non è tanto quello di far adottare agli ap-prendenti un modo anziché un altro di affrontare lacollera, quanto, da un lato mostrare loro che quandovanno in collera hanno delle scelte, d’altro lato accre-scere il loro repertorio di strategie per affrontare lacollera. In determinate circostanze, uno qualunquedei tre tipi di comportamento descritti nell’unitàpotrebbe essere appropriato (Cherubini ).

In tema di educazione dell’intelligenza intrapersonale,dalla collaborazione con un’esperta di public health è nataun’unità CLIL di inglese orientata sullo sviluppo dell’autosti-

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Nicoletta Cherubini

ma (Cherubini, Mercado ) che abbiamo poi adattato etradotto in italiano per essere utilizzata dagli insegnanti diitaliano L/L (Cherubini, b). I destinatari erano nonsolo gli alunni con problematiche di apprendimento, maanche, indistintamente, i loro compagni di classe, al fine difavorire in tutti lo sviluppo dei «talenti compensativi», unacompetenza che pertiene la didattica dell’inclusione e chene facilita la messa in opera:

a) obiettivo di apprendimento linguistico: gli alunni cono-sceranno il linguaggio che costruisce l’autostima;

b) obiettivo della materia non–linguistica: gli alunni sa-ranno più consapevoli dei propri talenti unici e delleloro abilità speciali; gli alunni sapranno individuarei propri talenti, che li sosterranno nello sviluppodell’autostima (Cherubini b).

L’arte del negoziato elaborata da Fisher e Ury () e laversione pratica e ispirazionale di Beale e Fields () dellarisoluzione senza perdenti dei conflitti (win–win solution) ci è ser-vita come contenuto non–linguistico di un modulo orientatosul CLIL di lingua inglese e le relazioni sociali che prevedel’obiettivo non–linguistico di imparare a distinguere fra i con-cetti di «interessi» (o motivazioni, o bisogni) e di «posizioni»nel negoziato di principi, al fine di raggiungere una risoluzionecreativa dove tutti possono essere vincitori. Questa competen-za comunicativa fornisce strumenti utili in un’ampia gammadi situazioni: dal negoziato all’ONU, alle dispute fra genitorie figli. Gli obiettivi dual–focussed su cui si basa l’acquisizioneveicolare in questo modulo sono i seguenti:

. Per un resoconto della versione italiana, ripresa e sperimentata inclasse da alcune insegnanti della scuola primaria, cfr. Cherubini : –.

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a) obiettivo di apprendimento linguistico: gli studenti sa-ranno in grado di fornire e di richiedere informa-zioni sugli interessi e sulle posizioni che soggiaccio-no a una situazione conflittuale caratterizzata daposizioni che si presentano come non negoziabili;

b) obiettivo della materia non–linguistica: le parti in con-flitto verranno sensibilizzate e rese consapevoli del-l’importanza di individuare gli interessi che soggiac-ciono alle posizioni delle parti, allo scopo di raggiun-gere un accordo senza perdenti (Cherubini ).

Negli anni successivi l’incarico di sviluppare e condurreun progetto pluriennale di formazione linguistica su CLILdi italiano L e materie scolastiche nelle classi con alunnistranieri, rivolto a insegnanti e alunni della scuola di base

ci ha permesso di cooperare alla rilevazione di concretibisogni linguistico–pedagogici e alla costruzione di unadidattica innovativa e inclusiva, fondata sulla centralità del-l’apprendente e sullo sviluppo delle intelligenze, inclusele intelligenze personali e l’intelligenza emotiva. Infatti,oltre alle modalità di apprendimento e insegnamento vei-colare delle discipline normalmente incluse nel curricolo(Italiano, Storia, Geografia ecc.), abbiamo coinvolto gliinsegnanti e gli alunni nella sperimentazione di contenutiextra–curricolari inerenti le tecniche di risoluzione dei con-

. Progetto «Accoglienza degli alunni stranieri in classe», organizzatodal Centro Interculturale del Comune di Pontassieve (Firenze) e dai Comunidi Pelago e Rufina, per insegnanti e alunni delle scuole primarie e medieinferiori, per i quattro anni scolastici compresi tra il e il . Il nostrolavoro è proseguito con un tutorato di Ricerca–Azione sull’ascolto nellaclasse di lingua straniera e di italiano L, per il corso di formazione onlineALIAS (Approccio alla Lingua Italiana per Allievi Stranieri), organizzatodal Dipartimento di Scienze del linguaggio dell’Università Ca’ Foscari diVenezia per conto del Comune di Pontassieve (a.s. –).

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flitti. Questo lavoro si è poi concretizzato in indicazioni dimetodo e, per quanto ci sia dato sapere, nel primo esempionel suo genere di CLIL finalizzato all’integrazione dell’ita-liano L e dello sviluppo dell’intelligenza emotiva a scuola(Cherubini c).

Il nostro lavoro sulla formazione in comunicazione effi-cace è proseguito per un triennio nel territorio di ReggioEmilia, dove ha trovato terreno fertile e molto incoraggia-mento nella sensibilità, apertura e curiosità di funzionari,docenti e genitori di numerose scuole primarie e seconda-rie di I grado, e anche, nell’ambito dei corsi di formazionedocenti organizzati dalla Provincia, di insegnanti delle scuo-le superiori e della scuola dell’infanzia. Con queste retiabbiamo messo alla prova l’apprendimento socioemotivoin laboratori, seminari e interventi mirati nelle classi, al fi-ne di costruire le competenze e l’infrastruttura intrapersonale einterpersonale per la gestione delle prepotenze a scuola.

Abbiamo sviluppato e valutato inoltre percorsi di speri-mentazione sulla gestione innovativa della classe fortemen-te orientati sulla didattica inclusiva, rivolta alla formazionedi buoni comunicatori fra studenti, docenti e formatoridi formatori. Insieme abbiamo gettato le basi formativeper la diffusione delle conoscenze e competenze necessa-rie ai giovani allievi per sperimentare in prima persona ilpotenziamento e l’autoaffermazione che derivano ai pro-tagonisti della mediazione dei conflitti fra i pari, un processofinalizzato alla creazione di una rete di studenti mediatorinominati dai compagni in varie classi di una stessa scuolamedia, nell’intento di risolvere i conflitti e di imparare a

. Cfr. i capitoli afferenti alla Sezione di «Alfabetizzazione emotiva»del manuale, materia trattata sia a livello di auto–formazione dell’insegnantenella Guida, sia mediante la proposta di attività didattiche ben sperimentate,nel Libro dello studente.

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riconoscere e modificare non solo i comportamenti inac-cettabili, ma anche l’intero ambiente socioemotivo dellapropria scuola.

La crisi economica nel ha messo un brusco fermoalle aspirazioni di chi scrive e di molta parte dei parteci-panti coinvolti in questo movimento di fiducia nel sé enell’altro (enti pubblici, insegnanti, alunni, genitori, for-matori) e ha riportato nei camerini gli attori di questoscenario potenziante, rimandando la prossima chiamata inscena a chissà quando, in attesa di tempi di spesa propizi.

Eppure il risanamento dei comportamenti e dei rapportinella vita scolastica e familiare, il miglioramento dell’abilitàdi comprensione in lingua straniera, la padronanza dellecompetenze di base per la vita (life skills), la capacità di ascol-tare e di farsi ascoltare, di riconoscere le proprie e le altruiemozioni e di adottare comportamenti non reattivi, ma dirisposta, documentati da centinaia di schede di gradimentorestituite dai nostri corsisti (insegnanti, genitori e alunni)non sono cosa da poco. Altro fattore è che la formazionein questo settore dello sviluppo dell’intelligenza emotivaforse, e a torto, da talune parti può parere un “lusso” odi “avanguardia” di fronte a ben altri tipi di emergenze,specialmente economiche, a scuola.

Non bisogna tuttavia permettere all’economia di offu-scare i bisogni o di rallentare l’evoluzione socioemotivadelle giovani generazioni (specialmente quelle di oggi, co-sì spaesate per mancanza di sicurezze e di lavoro all’uscitadel mondo scolastico, generazioni di ragazzi che avrebbe-ro più che mai bisogno di formarsi al coraggio, alla resi-lienza e alla fiducia in se stessi), a rischio di commettereun evitabile “crimine” generazionale.

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... Alcune cifre sull’impatto dell’educazione socioemoti-va nella scuola

Esistono già molti studi, fra cui anche un’autorevole me-ta–analisi (Durlak et al. ), che fanno il punto sull’im-patto esercitato dal potenziamento dell’educazione socioe-motiva nella scuola. I risultati rilevati su un campione di programmi universali di apprendimento socioemotivo,svolti nelle scuole statunitensi, che hanno coinvolto uncampione di . studenti circa, hanno rivelato che piùdella metà dei programmi (%) era rivolta ad alunni dellascuola primaria, poco meno di un terzo (%) ad alunnidella scuola media e il resto a studenti della scuola supe-riore. Gli attuali risultati dimostrano che i programmi dieducazione socioemotiva hanno prodotto effetti di rilievosugli obiettivi pre–individuati, rappresentati dalle compe-tenze socioemotive e dagli atteggiamenti riferiti a se stessi,agli altri e alla scuola; inoltre, i programmi SEL hannomigliorato l’adattamento comportamentale degli studenti,alimentando lo sviluppo di comportamenti prosociali, han-no ridotto i problemi di condotta e di interiorizzazione ehanno migliorato il rendimento scolastico nei test di pro-fitto e i voti (Durlak et al. : ). Fondamentalmente,i risultati vanno a corroborare le prove empiriche già esi-stenti sull’impatto positivo dei programmi di educazionesocioemotiva e indicano ciò che ci preme sottolineare: gliestensori di politiche scolastiche, gli educatori e il pubblicopossono contribuire allo sviluppo sano ed equilibrato deiragazzi, sostenendo l’integrazione nella pratica educati-va standard di programmi di educazione socioemotiva diprovata efficacia (Durlak et al. : ).

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. Le sfide

Il tema delle sfide ci riporta nell’aula del workshop del e alle reazioni dei partecipanti, che vanno a introdurre ilsuccessivo argomento di riflessione.

Le nostre prime riflessioni metodologiche e la primaunità di apprendimento, da noi costruita in base a modellioriginali e incentrata sulla didattizzazione della risoluzio-ne dei conflitti nella lezione di lingua inglese, sono statepresentate e diffuse mediante i canali del convegno NEL-LE (Cherubini a; b), al quale ora ritorniamo percondividere una serie di osservazioni scaturite dalla di-scussione con i partecipanti internazionali del nostro work-shop e successivamente con quelli di un secondo workshopsvoltosi in Austria per i soli docenti di EFL austriaci.

Lo ricordiamo: al convegno di Innsbruck nel nostrolaboratorio sul CLIL di inglese e risoluzione dei conflittiavevamo ipotizzato che

a) alcuni insegnanti di lingue volessero assumersi ilcompito;

b) tutti gli insegnanti motivati sarebbero stati in gradodi farlo efficacemente.

Ma due decenni fa, prima dell’avvento in Europa delCLIL, queste sfide erano apparse ardue ad alcuni dei parte-cipanti: fra i molti che vedevano con favore la possibilità dicominciare a integrare l’insegnamento dell’inglese e dellarisoluzione dei conflitti, qualcuno si preoccupava legitti-mamente di ricevere formazione (problematica attinentealle conoscenze e competenze riferite alla disciplina nonlinguistica e alla competenza pedagogica a essa afferente,rimediabile ricevendo formazione in risoluzione dei con-

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flitti); qualcun altro, per fortuna una sola persona, cedevaal timore di essere giudicata «folle» (citazione letterale)dai colleghi, se avesse portato la risoluzione dei conflittinelle sue lezioni d’inglese (questa sembra più che altrouna questione di immagine di sé, che richiede un lavorointeriore per uscire indenni dalla paura di innovare e dalpregiudizio altrui). Altri partecipanti austriaci appartenentia un’associazione nazionale si sono subito attivati attraver-so i loro canali istituzionali per richiedere un seminariodi formazione–aggiornamento in CLIL di inglese e riso-luzione dei conflitti, che si è svolto l’anno successivo sultema: Peace Education in the English as a Second Langua-ge Classroom (content teaching), sotto la conduzione di chiscrive, per la parte linguistica (CLIL di inglese EFL), e diquella di Welch, esperto della materia non linguistica. Gliorganizzatori del corso hanno ricevuto pareri molto posi-tivi su quell’esperienza formativa e ci hanno riferito periscritto il desiderio dei partecipanti di proseguire la forma-zione, sebbene il progresso dell’iniziativa abbia poi subitouna battuta d’arresto per questioni istituzionali (amara-mente pronosticate dai partecipanti) dovute a difficoltà direperimento dei finanziamenti.

Va comunque osservato che le ricerche effettuate negliUSA in anni successivi hanno dimostrato la necessità diinvestire sulla formazione SEL degli insegnanti, perchéemerge un’alta percentuale di successo degli insegnanti stes-si nel proporre le lezioni emotive: oggi la più importantemeta–analisi del settore fornisce le prove che tutti gli in-segnanti possono condurre con successo i programmi diapprendimento socioemotivo per i loro alunni. Infatti, irisultati dei programmi SEL a «conduzione svolta dall’inse-gnante», paragonati a quelli condotti da personale esterno,producono risultati migliori, riguardanti un miglioramento

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delle abilità socioemotive e dei comportamenti prosocialie dalla diminuzione dei problemi di condotta (Durlak et al.: ).

.. La sfida nella dimensione della formazione in apprendimen-to socioemotivo

Se è vero che, in base alla citata meta–analisi, una sfidafondamentale per le scuole del XXI secolo è rappresentatadall’insegnamento rivolto ad apprendenti culturalmentediversi, aventi abilità diversificate e livelli disomogenei dimotivazione all’apprendimento; se è vero che sfortunata-mente molti di loro sono sprovvisti di competenze socioe-motive quali empatia, abilità di risoluzione dei conflitti ecapacità decisionali, e che tali carenze finiscono per favori-re il loro progressivo distacco dalla scuola con il procederedella carriera scolastica; se è vero che questa mancanzadi connessione influisce negativamente non solo sul lororendimento scolastico, ma anche sul loro stato di salute; seè vero che con l’aumentare dell’età aumentano i comporta-menti a rischio degli studenti delle scuole superiori, qualiuso di sostanze, attività sessuale, violenza, depressione etentativi di suicidio, che interferiscono col rendimentoscolastico e che compromettono le possibilità di successonella loro vita (Durlak et al. : ), allora ci si deveseriamente chiedere: a chi tocca il compito di “portare inaula” queste abilità per metterle a disposizione di questa edi future generazioni di studenti bisognosi di sviluppare lapropria intelligenza emotiva e i loro strumenti di successoe di cittadinanza? Si tratta idealmente di uno sforzo con-giunto attuabile da scuola, famiglie, istituzioni (e anchedal coinvolgimento di sponsor adatti).

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.. La sfida nella dimensione della competenza pragmaticadegli insegnanti di lingue

Per dare alcuni motivi di riflessione agli insegnanti di lin-gue che potrebbero chiedersi se sia opportuno assumersi ilcompito di portare la pragmatica della gestione dei conflittinelle loro lezioni, e se questo (sempre volontario) allarga-mento delle proprie conoscenze e competenze rientri nelproprio ruolo, può essere utile riflettere su un ragiona-mento di Widdowson. Nel suo intervento al convegnoNELLE del questo insigne linguista britannico, a cuisi deve l’elaborazione del concetto di «English for SpecificPurposes» (ESP) (Widdowson ), poneva infatti l’accen-to sulla competenza pragmatica degli insegnanti di lingue,individuandola come componente fondamentale della com-petenza pedagogica (Widdowson ). Il suo obiettivo eraquello di pervenire a definizioni di competenza pedagogicae di competenza pragmatica dell’insegnante di lingue chefacessero leva su una reale autorità pedagogica; ma per farquesto trovava sulla sua strada due miti da rimuovere.

Il primo è il mito settecentesco, ma nell’opinione diWiddowson per molti versi ancora in auge nel sistemaeducativo britannico dei primi anni Novanta, secondo cuiteaching is common sense e tutti, alla stregua di operatoridel gesso e della lavagna, sarebbero capaci di insegnarein base al senso comune; ma questo non è esatto, poichéspesso il senso comune si appoggia a principi sbagliati ere-ditati dal passato e, più che di common sense, si può parlaredi communal sense, inteso come il sapere convenzionale,retrospettivo di un’intera comunità, che in quanto tale èorientato sul passato e ha bisogno di essere riconvalidato(Widdowson : .). Il secondo è quello in base a cuigli insegnanti native speaker di una lingua sarebbero meglio

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qualificati di un non–native speaker per insegnare quella lin-gua. Premesso che in questa sede non ci interessa in alcunmodo cercare di stabilire a chi spetti il primato, vogliamoevidenziare un aspetto pedagogico del processo logico dicui il linguista si serve per individuare la reale fonte diautorità del docente di lingue. A questo proposito sottoli-nea la necessità di distinguere, da un lato, l’inglese comefenomeno linguistico generale e, dall’altro, l’inglese come ma-teria di studio. Questo consente di tracciare una profondadistinzione concettuale fra, da un lato, considerarsi teachersof English which happens incidentally to be a foreign language,ovvero insegnanti di inglese, che incidentalmente è unalingua straniera e, dall’altro, the teaching of a foreign langua-ge which happens to be English o insegnanti di una linguastraniera che si dà il caso sia l’inglese. Puntare i riflettorisulla foreignness della lingua (ciò che la rende straniera)anziché sulla nativeness (ciò che la rende nativa) permettecioè di capire come una lingua straniera potrebbe essereinsegnata nel modo migliore.

It has generally been the case, I think, that teachers of EFLhave been considered (or consider themselves) as teachers ofEnglish which happens incidentally to be a foreign language.In this definition of the subject, English is paramount and itsspeakers privileged. But we can also conceive of EFL as theteaching of a foreign language which happens to be English.Now the focus of attention is on the foreignness and not thenativeness of the language, on what makes it foreign, andhow, as a foreign language, it might be most effectively taught.(Widdowson : .)

. Per questo aspetto, si rimanda a un successivo studio di questo autore,interamente incentrato su come l’inglese debba essere concepito in quantomateria di insegnamento o subject for teaching (Widdowson ).

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Widdowson insiste sulla confusione persistente fra l’in-glese inteso come fenomeno (inglese madrelingua) e l’in-glese come materia (inglese lingua straniera), che nell’opi-nione comune evoca un’infondata supposizione:

There is a persistent confusion, I suggest, between the pheno-menon English as a native language, and the subject Englishas a foreign language. And the invalid assumption that arisesfrom it that experience in one readily transfers to an expertisein the other. (Widdowson : .)

In altre parole, per Widdowson è infondato pensare chela competenza pedagogica, l’expertise per insegnare l’Ingle-se come materia di studio, possa derivare spontaneamentea un insegnante dalla sua competenza in inglese madrelin-gua. Peraltro, oggi questa visione trova d’accordo anche ilfondatore del CLIL, Marsh (), quando si riferisce allaquestione della «titolarità» (ownership) della lingua inglese.

The recent criticism of CLIL is ten years late — I thought itwould come ten years ago. CLIL has threatened the Englishlanguage teaching industry [. . . ] principally because the ow-nership of the language has shifted from the person from Ala-bama [. . . ], to Tom Dick and Harry who speak the languageand use the language. And that is a fundamental problem foran industry which makes so much money out of claiming theownership of the language. I would never ever use the term«native speaker» again. I don’t like the term native speaker, I’venever liked the term native speaker. (Marsh : )

Siamo giunti alle domande cruciali: ma allora che cosarende «insegnanti esperti» di questa materia, se non bastal’esperienza profonda e personale del parlante di madrelin-gua? Dove va a parare questo ragionamento in termini pe-

. Permesso di citare concesso da Marsh.

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dagogici? Qual è la definizione di competenza pedagogicaformulata da Widdowson?

... L’expertise dell’insegnante come capacità pragmaticadi raggiungere il fine comunicativo

Widdowson () afferma che parlare di competenza co-municativa del parlante madrelingua in termini generali nonha senso, poiché una tal cosa non esiste, infatti anche frapersone della stessa madrelingua sorge l’incomunicabilità,come nel caso del diverso linguaggio (inteso come diversaintenzionalità, referenzialità, enfasi ecc.) parlato da uomi-ni e donne, o da adolescenti e genitori. Si può piuttostoparlare di competenza comunicativa in termini specifici, equi lo studioso fa l’esempio dell’inglese per scopi specifici,introducendo un primo accenno pedagogico all’utilità e allachiarezza che l’aspetto pragmatico delle lingue per scopispecifici/speciali proietta sul contesto:

Qui si può prevedere quali contesti incontreranno gli studentie quali sono le comunità discorsive a cui aspirano a unirsi. Maquesti scopi specifici non sono distintivi dei madrelingua. Nésono gli unici a essere specifici. Tutti gli usi pragmatici dellinguaggio sono specifici rispetto a uno scopo, nel senso chesi accordano appropriatamente a particolari contesti. Nell’in-segnamento dell’inglese internazionale invece non possiamosapere quali siano questi scopi, perché semplicemente nonsiamo in grado di prevedere i diversi contesti nei quali glistudenti finiranno per imbattersi e quali forme linguistichepotrebbero essere appropriate in ciascun caso. (Widdowson: ., traduzione dell’autrice)

Il concetto di «appropriatezza» (appropriateness) riferitaal contesto e agli usi pragmatici della lingua, genera poi laseguente definizione di competenza comunicativa:

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L’appropriatezza in questa prospettiva non rappresenta unapeculiarità fissa riferita a determinate espressioni, bensì unprocesso per mezzo del quale si sfruttano le risorse lingui-stiche e si indirizza il potenziale semantico generico versoparticolari scopi pragmatici. Se questo è ciò che si intende percompetenza comunicativa, questo sia. Ma non ha nulla a chefare con l’accumulo di enunciati appropriati, e sicuramentenon presenta assolutamente alcun collegamento necessariocon le comunità dei parlanti nativi, né con i loro contesti d’usolinguistici. (Widdowson : ., traduzione dell’autrice)

In questa prospettiva la appropriateness perde il legameprivilegiato con la nativeness, per avvicinarsi alla capaci-tà di usare la lingua in maniera pragmaticamente corretta,riuscendo cioè a formulare enunciati capaci di assicurare all’e-mittente il fine pragmatico che intende prefiggersi con il suo attocomunicativo.

... La competenza pragmatica trascende lo status dimadrelingua

Questa capacità fa capo sia ai madrelingua che ai non ma-drelingua. Potremmo dire che è patrimonio globale dellarazza umana. In un nostro corso di Italiano L presso l’U-niversità per Stranieri di Siena, dopo aver svolto un’attivitàdi argomentazione (due studenti dovevano esemplificarecome difendere la posizione contraria alla propria, poichéil fuoco dell’attività non era quello di convincere l’altrodella propria opinione, bensì l’apprendimento e la mes-sa in pratica di funzioni linguistiche adatte a mantenereil proprio turno di parola e a evitare di essere interrottimentre si parla), durante l’esecuzione del debriefing unastudentessa espresse la propria soddisfazione affermando:«Neanche in tedesco [la sua lingua materna] io ero capace

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di fare questo, ma ora, sì, e quando torno a casa lo userò!».Dopo avere acquisito consapevolezza di fare e ricevere leistessa interruzioni, e dopo aver imparato le funzioni lin-guistiche utili per mantenere la parola («Lasciami finire,»«Per favore, non interrompere», «Scusa, non ho finito»)in vari contesti d’uso (formale, informale ecc.), chiunque— madrelingua o non–madrelingua — ha aggiunto untassello alla propria competenza pragmatica.

L’autorità dell’insegnante di lingue si basa sulla sua com-petenza specialistica, fondata sulla competenza pedagogica,che non è language proficiency bensì «conscious, declarativeknowledge about the language as a resource of encodedmeanings» (Widdowson : .). Si tratta di una cono-scenza che non va confusa con il senso comune, che nonproviene semplicemente dall’esperienza (non si accumulacasualmente), che ha carattere analitico e che secondo illinguista va studiata a tavolino anche dai parlanti madrelin-gua, proprio come fanno i parlanti non–madrelingua cheapprendono quella lingua straniera.

Ben venga, allora, la formazione dei docenti CLIL fi-nalizzata all’acquisizione di competenze nell’ambito prag-matico della risoluzione dei conflitti e dell’apprendimentosocioemotivo, un incentivo allo sviluppo di quella compe-tenza pedagogica che Widdowson collega all’insegnamen-to autorevole. L’ultimo tassello, determinante per coglierele radici della pedagogia linguistica, è quello aggiunto perultimo da Widdowson (): la capacità degli insegnantiESP di saper creare le condizioni adatte, i contesti giustiper stimolare gli apprendenti a realizzare il potenziale se-mantico di una lingua attraverso un uso, cioè «dotato diuno scopo» (purposeful). Si tratta di un tema molto vastoche qui non è possibile sviluppare, ma che va alla radicedella metodologia CLIL (Coonan ) e che si applica

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molto bene anche all’ambientazione delle lezioni emotivea scuola.

Grazie alle osservazioni appena desunte da Widdow-son, è possibile affermare con ragionevole fiducia che lanostra proposta di inserire la risoluzione dei conflitti nel-l’insegnamento linguistico presenta, oltre a un risvoltosocioemotivo, anche una sua ragion d’essere pedagogi-ca nell’ambito della glottodidattica, afferente sia alla di-mensione pratica, sia a quella teorica riferita alla ricerca dimodelli operativi efficaci. Da questa prospettiva l’insegnan-te CBI/CLIL che insegna una lingua straniera insieme adei contenuti di risoluzione dei conflitti non fa altro cheattenersi al progetto di conoscere/far conoscere ai suoistudenti le funzioni pragmatiche relative a una disciplina perscopi specifici, la «risoluzione dei conflitti» e idealmentelo fa creando un contesto di apprendimento adatto perguidare ogni apprendente nella realizzazione del potenzia-le semantico della risoluzione dei conflitti, attraverso unuso purposeful del linguaggio della risoluzione dei conflittiin LS o L. Prevedibilmente, sarà fondamentale la capa-cità dimostrata da quel docente CBI/CLIL di risoluzionedei conflitti nel creare le condizioni adatte a favorire l’inte-grazione di contesto (negoziazione, mediazione, sviluppodell’autostima ecc.) e lingua (obiettivi linguistici veicolari)per i suoi allievi ed è per questo che quel docente vorràacquisire una formazione specifica.

. Visione futura

Quali sono, ci si chiede, le cose che conteranno di piùnel settore dell’istruzione e dell’educazione nei prossimivent’anni? Difficile dire se ci saranno sbalzi involutivi o

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se invece si assisterà al potenziamento dei segnali che giàoggi indicano la necessità di ricreare/riappropriarsi dellascuola in quanto comunità di apprendimento inclusiva.Certo è che visione futura può essere sinonimo di futuravisione, ma questo richiede resilienza e coraggio.

.. Creare nuovi ambienti di apprendimento che fondano cogni-zione ed emozione

In presenza di sempre nuove difficoltà di apprendimentoespresse dai ragazzi e della rivoluzione portata da com-puter, tablet e telefoni cellulari, comprendiamo che devecambiare il concetto di come insegniamo e anche quellodi cosa insegniamo, e di quanto ne insegniamo (a scapitodello sviluppo cognitivo). Ma soprattutto bisogna apriregli occhi su a chi insegniamo e su come sono cambiate lemodalità di apprendimento di questi studenti.

Attualmente sembra preminente una riflessione sullanatura dell’apprendimento in quanto attività in cui cogni-zione ed emozione giocano un ruolo fondamentale. Nonè un caso che oggi si riaffermi un forte interesse per laricerca in ambito neurolinguistico, in particolare gli studisulla plasticità del cervello nell’apprendimento linguisti-co (bilingue, trilingue) e il bisogno di fornire ai giovanimodalità d’insegnamento interattive, interessanti e ricchedi ispirazione (Marsh , ). Le icone del Social andEmotional Learning degli anni Novanta del secolo scorsooggi lavorano per educare alla virtù nel XXI secolo (Gard-ner /) e sulla scienza dell’attenzione e l’eccellenza(Goleman ). Lantieri raggiunge decine di migliaia diinsegnanti e alunni attraverso lo Inner Resilience Program,che ha fondato nel in risposta agli effetti suscitatidagli eventi dell’ settembre sulle scuole di New York

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e che oggi promuove approcci e pratiche contemplativeche favoriscono la creazione di un ambiente favorevole,sviluppando in insegnanti e alunni competenze di auto-regolamentazione e attenzione, e la cura per gli altri. Leparole d’ordine che provengono da più parti, anche dagliambiti del counseling per l’orientamento alle scelte, pia-cerebbero molto a Don Milani e sono: resilienza, verità,coraggio, felicità, bontà, bellezza.

. Conclusioni

Come sempre un’innovazione, o il semplice intento in-novativo, finiscono per rivelare la presenza di fattori siacostruttivi, sia de–costruttivi. Fra questi ultimi, la propostadi integrare l’educazione socioemotiva nell’insegnamen-to linguistico pone la necessità di rivalutare il ruolo dellacompetenza pragmatica dell’insegnante di lingue nella de-finizione della sua competenza pedagogica. In tal senso, ilgenerico adagio «Non conta ciò che sappiamo ma comelo sappiamo usare» (Langé : ) non perderà mai signi-ficato nel dominio della plasticità cerebrale, che decreta lacontinua evoluzione del cervello umano e quindi anchedell’apprendimento e dell’insegnamento.

Costruttivamente parlando, ovunque nelle scuole delmondo — anche in Italia dopo la recente introduzionedell’educazione all’affettività nei curricoli scolastici e conle sperimentazioni che ne stanno nascendo — è auspica-bile la creazione di reti di insegnanti interessati alla spe-

. Cfr. i servizi offerti dal Laboratorio di Ricerca e Intervento perl’orientamento alle Scelte (LaRIOS) dell’Università degli Studi di Padova(http://larios.psy.unipd.it/courage_group.php).

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Il CLIL come incentivo all’apprendimento socioemotivo

rimentazione e diffusione di nuove esperienze di CLIL dilingue straniere e seconde integrate alle abilità socioemotive,nella convinzione che l’insegnamento linguistico possadare un sostanziale contributo alla creazione di ambientidi apprendimento basati sul sostegno all’apprendente e allacomunità di appartenenza, nutrendo la consapevolezzacomunicativa di tutti gli attori coinvolti e alimentando lavolontà di far posto alla dimensione interpersonale nellasfera dell’apprendimento, lasciandosene coraggiosamenteguidare.

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