il fenomeno dell'inurbamento - il caso di korogocho a nairobi 17

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea triennale in Scienze Umane dell’Ambiente, del Territorio e del Paesaggio Il Fenomeno dell’Inurbamento: Il caso di Korogocho a Nairobi Elaborato Finale di: Luca Massimo PANZERI Matricola: 659556 Relatore: Chiar.ma Prof. Maristella BERGAGLIO Anno Accademico 2006/2007

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Page 1: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI MILANO

Facoltà di Lettere e Filosofia

Corso di Laurea triennale in Scienze Umane dell’Ambiente, del Territorio e del Paesaggio

Il Fenomeno dell’Inurbamento:

Il caso di Korogocho a Nairobi

Elaborato Finale di:

Luca Massimo PANZERI

Matricola: 659556

Relatore:

Chiar.ma Prof. Maristella BERGAGLIO

Anno Accademico 2006/2007

Page 2: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

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SOMMARIO:

Introduzione………………………………………………………………….p 2

1. Cap1…Il Fenomeno dell’Inurbamento…………………………………..p 4

1.1.Un fenomeno di vecchia data……………………………………p 4

1.2.Un fenomeno globale. La situazione demografica mondiale……p 6

1.3.Lo sviluppo dei PVS. Le metropoli del terzo mondo……………p 10

1.4.La nascita degli Slum……………………………………………p 13

2. Cap2…Il Caso di Nairobi………………………………………………..p 16

2.1.Nairobi: Una città giovane…………………………………………..p 16

2.2.Storia e origini degli Slums a Nairobi……………………………….p 19

3. Cap3…Il Caso di Korogocho……………………………………………p 24

3.1.Confusione e Caos: vivere a Korogocho…………………………….p 24

3.2 Progetti in corso a Korogocho……………………………………….p 28

3.3 Analisi necessaria sui recenti avvenimenti a Nairobi…..……………p 34

Conclusione…………………………………………………………………p 39

Bibliografia………………………………………………………………….p 41

Indice Immagini……………………………………………………………..p 44

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INTRODUZIONE A lato della strada il matatu aspetta paziente di essere pieno, o meglio stracolmo, della

gente più diversa. L’autista grida a gran voce il percorso che il piccolo pullman

effettuerà, unico mezzo di trasporto per tanti abitanti di Nairobi. La musica al suo

interno è assordante, un mix tra i bassi possenti da discoteca e un canto tradizionale

africano. Le piccole cose mi danno subito una vaga idea del caos di questa città; un

miscuglio di suoni, odori, immagini. Una signora robusta si siede di fianco a me, lo

spazio negli stretti sedili è veramente poco, faccio fatica a non avere un contatto con lei.

Nei sedili a fianco Roberta ed Emanuel, sembrano molto più comodi; sento già bisogno

di spazio. Il matatu si mette in moto e parte. Ad ogni fermata, qualche nuovo

passeggero prende il posto di altri arrivati a destinazione: sembra che tutti siano

indaffaratissimi. Dopo circa mezz’ora di strada Emanuel ci avvisa che è il nostro turno:

il matatu si ferma e scendiamo. Un piccolo tratto di strada asfaltata percorsa a piedi ci

porta verso Korogocho. Ai lati della strada, dai balconi delle case, si affacciano tanti

bambini…How are you? Ripetono in maniera cantilenante. Per la maggior parte di loro

sono le uniche tre parole in inglese conosciute, ma in qualche modo ti mettono più a tuo

agio, ti senti benvenuto. Ed ecco: in un istante che mi è sembrato chiaro e netto siamo

entrati nello slum. L’odore dei fumi della discarica e delle fogne a cielo aperto entra

subito aggressivo nelle narici e anche una volta fuori dalla baraccopoli fatica ad

andarsene. Le sensazioni di un’unica giornata passata a girare per le stradine sterrate tra

le strette baracche, sono troppo poche e troppo superficiali probabilmente. Ma il

desiderio, dopo 4 anni da quell’esperienza, di compiere un lavoro di tesi su quel luogo,

dimostra come Korogocho, anche se conosciuto in un tempo brevissimo, ti entri dentro;

che le impressioni avute in quel caldo e secco pomeriggio africano ristagnino dentro,

pronte a saltar fuori in un qualche momento futuro. Girovagando in mezzo alle baracche

di lamiera della quarta baraccopoli di Nairobi, mi vergogno della mia necessità di

spazio provata precedentemente. Qua dentro lo spazio è una delle cose che più manca.

Le baracche sono ammassate una accanto all’altra lasciando spazio talvolta a

strettissime stradine. Korogocho è solamente una delle moltissime baraccopoli nel

mondo. Il mio lavoro di ricerca parte proprio da questo aspetto. Ciò che ho vissuto, è

una minima parte della situazione mondiale.

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Questo percorso vuole affrontare il fenomeno dell’inurbamento e della formazione degli

slums su tre livelli: partendo da un’analisi a livello globale fino ad arrivare ad un caso

specifico. I semplici dati che analizzano l’incremento della popolazione inurbata,

aiutano a capire l’entità del fenomeno su scala mondiale, ma non permettono di farsi

un’idea di come si viva tutti i giorni nello slum. La mia minima esperienza in

baraccopoli non mi consente certo una conoscenza completa dei meccanismi che la

regolano, ne tanto meno una visione come quella di chi la baraccopoli la vive

quotidianamente. Ma la ricerca, la lettura e lo studio di esperienze di chi ha vissuto e

vive tuttora a contatto con gli emarginati, è stato spunto per cercare di comprendere la

difficoltà di una vita ‹‹[…]al di sotto della linea fognaria››1, con la speranza che,

cercando di stare vicino con le proprie forze a chi combatte tutti i giorni in prima linea,

si possa insieme creare un mondo più umano possibile.

1 ZANOTELLI A., (2003), Korogocho. Alla scuola dei poveri, Milano, Feltrinelli

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CAP. 1 IL FENOMENO DELL’INURBAMENTO

1.1 Un fenomeno di vecchia data

Nasce tutto da un sogno, da una speranza...

…La principale motivazione per la quale le persone, decidono di spostarsi dalla

campagna per insediarsi in una città, si basa proprio sulla diffusione di informazioni,

relative all’occasione di ottenere migliori possibilità di sostentamento, di condizioni di

vita e di lavoro. La fuga dai villaggi è determinata dalla scelta di cercare un “altrove”

dove soddisfare la pluralità di bisogni, che la vita nei villaggi non è in grado di

soddisfare. Questa ricerca si concentra nella sola alternativa possibile: la città2.

Ogni giorno circa 175.000 persone si muovono verso la città. Il termine stesso che

descrive questa migrazione, inurbamento, dà il senso di movimento: “in urbs”, verso la

città3.

Questo fenomeno ha radici antiche: le prime società sedentarie di pastori\agricoltori,

che rimpiazzarono quelle nomadi dei cacciatori\raccoglitori, furono il primo caso di

sviluppo delle abitazioni permanenti. Con il progredire delle tecniche di coltivazione,

aumentava anche il sostentamento che un territorio poteva offrire ad un numero molto

maggiore di uomini e donne, di conseguenza si svilupparono sia l’estensione che la

popolazione di questi primi insediamenti stabili4. Questa situazione esercitava una forte

attrattiva sulle popolazioni limitrofe che, sia per motivi naturali (carestie), economici

(scambi commerciali), politici (difesa, vie di comunicazione), diedero inizio ad un

movimento migratorio verso la città.

Nelle epoche successive, lo spostamento di masse dalla campagna, si legò sempre di più

ad un fattore di tipo economico, vale a dire la possibilità di lavoro, soprattutto di tipo

artigianale, e di commercio, favorito dagli sviluppi e dai traffici commerciali,

decisamente superiori in un ambiente urbano.

L’inurbamento è forse l’unica tendenza perpetua nella storia dell’umanità. L’incremento

di questo processo, infatti, fu continuo nel susseguirsi dei secoli, ma il radicale

mutamento del rapporto fra città e campagna, si verificò agli inizi del secolo

2 FLORIS F., (2007), “Il pianeta bidonville”, Missioni Consolata, p. 34 3 LEONE U., (2006), La metropoli sostenibile è un’utopia?, in L’ Unità 4 BAGNASCO A., BARBAGLI M., CAVALLI A., (2001), Sociologia. Cultura e società, Bologna, il Mulino, p. 24

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diciannovesimo, con quella che passerà alla storia come rivoluzione agricola.

L’importanza di quest’ultima sta nel suo strettissimo legame con la rivoluzione

industriale del 1800. Con l’utilizzo di macchine e nuove tecniche agricole, la

produzione dei campi aumentò a dismisura, creando sia un surplus sempre maggiore ma

anche un numero notevole di contadini disoccupati, perché non più necessari, che

decidevamo di trasferirsi nei centri urbani, che si popolavano quindi di grandi masse di

disoccupati. Con l’avvento della rivoluzione industriale e quindi l’ulteriore aumento di

emigrati rurali, si verificò un’estensione sempre maggiore dei mercati, di conseguenza

dei mezzi di trasporto, per spostare quantità sempre maggiori di beni e infine della

superficie delle città stesse, che man mano inglobavano le cittadine limitrofe. E’ una

crescita direttamente proporzionale, fra i nuovi spazi occupati dal suolo urbano e il

numero di “nuovi” abitanti che lo occupano. Le zone periferiche diventano

inevitabilmente quella parte delle città, svantaggiata rispetto al centro, dove si ammassa

la parte povera della popolazione urbana in un ambiente di degrado e povertà.

I tassi di urbanizzazione5, aiutano meglio a capire come l’effetto della rivoluzione

industriale sia stato dirompente nel movimento migratorio campagna-città.

Considerando tutte le differenziazioni e le evoluzioni che portano naturalmente con sé

50 secoli di sviluppo, la storia della città può essere definita comunque un percorso

omogeneo, e per certi versi pure statico6. Dalle prime città del 2700 a.c., fino alle

capitali europee del ’700, ci sono stati certamente cambiamenti notevoli, ma un dato è

rimasto sostanzialmente costante: il tasso di urbanizzazione appunto. In questo periodo,

in un mondo a economia tradizionale, il tasso si è sempre mantenuto tra il 7 e il 13%7.

Con l’avvento della rivoluzione industriale, nel 1850 l’Europa toccò un livello di

urbanizzazione del 16%, che mai era stato raggiunto da un grande insieme economico.

Agli inizi del ‘900, il 40% della popolazione europea viveva in città, anche se con una

notevole differenza tra le nazioni. Durante tutto il XX secolo l’evolversi

dell’urbanizzazione rispecchiò le fasi di vita economica e politica del periodo

(rallentamento durante gli anni 30 e le guerre, incremento nel secondo dopo guerra). I

5 Il tasso di Urbanizzazione indica in percentuale la crescita urbana di una città, sommando all’interno di quella conurbazione i tassi di natalità, mortalità, immigrazione e emigrazione. 6 BAIROCH P., (1996), Storia della Città, Milano, Jaca Book, p 23 7 Cfr.: Ibidem BAIROCH P., (1996), Storia della Città, Milano, Jaca Book, p. 34

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tassi di crescita in Europa però, non raggiungeranno più i tassi toccati nella seconda

metà dell’Ottocento.

1.2 Un fenomeno globale. La situazione demografica mondiale

La crescita della popolazione urbana, si spostò soprattutto nei paesi del Terzo Mondo,

che a partire dagli anni 20 e 30 del Novecento, registrarono tassi di incremento mai

visti8. Nel corso del XX secolo, la popolazione inurbata dei paesi in via di sviluppo, è

passata da 150\160 milioni a un miliardo e 400 milioni, con un ritmo di crescita annuo

medio del 4,5 % (in Europa alla fine dell’Ottocento, in cui la crescita urbana è stata più

elevata, si sono raggiunti al massimo tassi del 2,1% annuo), passando da un tasso di

urbanizzazione del 12% ad uno del 32%9.

Questi dati, che dimostrano la presenza di un fenomeno in netta crescita, di rilevante

importanza, ci introducono ai giorni nostri, dove l’attenzione al processo di

urbanizzazione si è spostata quasi totalmente ai paesi del sud del mondo.

Citando Mike Davis: ‹‹Nei prossimi uno o due anni, una donna partorirà nello slum di

Ajegunle a Lagos, un giovane abbandonerà il suo villaggio a Giava ovest per le mille

8 BAIROCH P., (1996), Storia della Città, Milano, Jaca Book 9 Cfr.:Ibidem

Grafico n°1: The Urban and Rural Population of the World, 1950-2030

Fonte: United Nations, Department of Economic and Social Affairs

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luci di Giacarta, un contadino si trasferirà con la sua famiglia impoverita in uno degli

innumerevoli pueblos jovenes di Lima. L’evento specifico in sé non sarà niente di

speciale, e passerà del tutto inosservato. E però costituirà uno spartiacque nella storia

umana[…]. Per la prima volta la popolazione urbana della Terra supererà

numericamente quella rurale››10.

Secondo le stime del World Urbanization Prospects: The 2003 Revision11 (grafico. 1),

la popolazione urbana ha superato la popolazione rurale nel 2005, ma come ricorda lo

stesso Davis, l’imprecisione dei censimenti nel Terzo Mondo, rende difficile stabilire

con esattezza l’entità di questo fenomeno12. Sta di fatto, che il processo di

urbanizzazione del pianeta, è stato molto più rapido di quanto fosse stato predetto nel

1972 dal Club di Roma, con il suo “I limiti dello sviluppo”13. Questa crescita ha subito il

suo più ampio incremento a partire all’incirca dal 1950: in poco più di mezzo secolo il

genere umano è passato da 2,5 miliardi a 6 miliardi di abitanti. Il 60% di questo

incremento si è verificato proprio nelle aree urbane ed in particolar modo nelle aree dei

paesi in via di sviluppo, dove la popolazione è cresciuta di più di 6 volte in soli

cinquant’anni. Nel 1950, le città con una popolazione superiore al milione di abitanti

erano 86 in tutto il mondo; oggi sono 400 e le previsioni per il 2015 sono di 550

metropoli14. All’alba del nuovo millennio, il pianeta presenta 19 città con più di 10

milioni di abitanti, 22 città con popolazione compresa fra i 5 e i 10 milioni, 370 città da

1 a 5 milioni di abitanti, 433 città con popolazione da 0,5 a 1 milione. Inoltre circa un

altro miliardo e mezzo di persone vive in aree urbane inferiore al mezzo milione di

abitanti. I dati ci presentano lo stato di trasformazione dell’umanità verso un modello

decisamente urbano, considerando il fatto che probabilmente questi numeri

rappresentano un processo giunto a metà del suo percorso. Le stime che descrivono

l’aspetto globale futuro, prevedono infatti che nel 2030, oltre il 60% di tutti gli abitanti

del pianeta (5 miliardi su 8,1 miliardi) vivrà in una città15. La popolazione rurale,

10 DAVIS M., (2006), Il pianeta degli Slum, Milano, Feltrinelli Ed., p 11 11 World Urbanization Prospects: The 2003 Revision, (2004), New York, http://www.un.org/esa/population/publications/wup2003/2003Highlights.pdf 12 DAVIS M., (2006), Il pianeta degli Slum, Milano, Feltrinelli Ed. 13 MEADOWS D.H., (1972), The Limits to Growth, New York, Universe Books 14 World Urbanization Prospects: The 2003 Revision, (2004), New York 15 UN-Habitat, State of the World Cities, (2007), Nairobi http://www.unhabitat.org/documents/media_centre/sowcr2006/SOWCR%201.pdf

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invece, sempre secondo i dati studiati dall’agenzia Un-Habitat16, subirà una

contrazione, che porterà il tasso di crescita media annua ad un -0,32%, vale a dire meno

155 milioni di persone che abiteranno le campagne.

E’ molto importante sottolineare, che l’esperienza di intensa urbanizzazione, che

caratterizzò l’Europa, il Nord America e l’America Latina a metà del XX secolo, si

spostò in questi dati di previsione futura, principalmente sui continenti di Africa e Asia.

Figura n°1: Incremento della popolazione mondiale urbana e rurale

Fonte: elaborazione su dati United Nations, Population Divisions, 2005

16 United Nations Human Settlements Programme, agenzia delle Nazioni Unite, fondata nel 1978, con sede a Nairobi, Kenya, che ha il compito di favorire un’urbanizzazione socialmente ed ambientalmente sostenibile.

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Secondo la prospettiva ricavata, le aree maggiormente interessate dall’incremento

urbano saranno le zone dell’africa sub-sahariana con un tasso di crescita urbana del

4,58%, seguito dal sud-est asiatico (3,82%), l’Asia dell’Est (3,39%), dall’Asia

dell’Ovest(2,96%), dal Sud Asia (2,89%) e infine dal Nord Africa con il 2,48%. La

crescita urbana delle città del mondo sviluppato sarà intorno allo 0,75% annuo (fig1).

Queste cifre si aggiungono ai dati in nostro possesso per stabilire che gli anni futuri,

saranno decisamente caratterizzati dall’esplosione demografica nelle città. Ad oggi, la

popolazione mondiale aumenta di 70 milioni di unità, l’equivalente di 7 megacittà17;

considerando che il numero di abitanti delle campagne ha raggiunto la sua soglia limite,

circa 3,2 miliardi di persone, e che comincerà a decrescere a partire dal 2020, spetterà

alle zone urbane dover assorbire la futura crescita della popolazione.

Questo sviluppo esagerato, dovrebbe, sempre secondo i dati delle Nazioni Unite,

attestarsi intorno al 2100, quando il pianeta arriverà ad ospitare 9 miliardi di persone,

soglia massima che dovrebbe mantenersi anche nei secoli successivi18.

Un aspetto che è importante sottolineare riguardo questi dati, è che i paesi in cui si

pensa esploderà la cosiddetta “bomba demografica”, sono quelli che presentano la

minore densità di popolazione. E’ opinione comune, ritenere che i paesi del Terzo

Mondo siano zone fortemente sovrappopolate, mentre se si osservano gli indici e i

grafici a livello globale, si può notare come i paesi sviluppati abbiano una densità molto

maggiore rispetto ai PVS (fig. 2). Ma perché mai nessuno pensa ad un paese europeo

come sovrappopolato? Il concetto di sovrappopolamento non viene definito

semplicemente sulla base della densità della popolazione, ma anche sull’adeguatezza

delle risorse di un paese a sostenere la sua popolazione. I paesi “ricchi” possono

sostenere il loro alto incremento di popolazione, proprio perché tanti altri paesi non

possono farlo.

17 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, p 5 18 UN, (2004), World population to 2300, New York,

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11

Figura n°2: Densità della Popolazione a livello globale

Fonte: Un-Habitat, http://www.unchs.org , 2007 Questa idea, è la base di una diversa visione, sostenuta dai coniugi Ehrlich19, riguardo al

problema della densità demografica. Il concetto è, che l’impatto dell’umanità sul pianeta

e quindi il limite di sopportazione di quest’ultimo, non è dato solamente dal numero di

persone che lo abitano, ma anche dal loro comportamento. Questa diversa osservazione,

incentra il problema non tanto sull’aumento della popolazione nei paesi poveri, ma

piuttosto sul metodo di comportamento dei paesi ricchi. E’ un approccio diverso alla

questione, che però deve essere considerato, quanto meno per offrire un’idea diversa sui

problemi demografici mondiali.

In ogni caso, sotto qualunque punto di vista si consideri la questione, i dati dimostrano

che le nazioni ma soprattutto le città, in particolar modo quelle dei paesi in via di

sviluppo, devono affrontare problemi enormi, per fornire un’ assistenza adeguata a

miliardi di persone vale a dire abitazioni, servizi e infrastrutture.

1.3 Lo sviluppo dei PVS. Le metropoli del terzo mondo

Come detto in precedenza, l’enorme tasso di inurbamento che sta investendo il pianeta,

interessa principalmente i paesi del Sud del mondo. Questa tesi è dimostrata dal fatto

19 Paul e Ann Ehrlich sono rispettivamente professore e coordinatrice del centro di conservazione biologica all’università di Stanford, California. Sono co-autori di diversi libri sulla sovrappopolazione e sull’ecologia.

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che il maggior numero delle grandi e grandissime conurbazioni urbane si trovano, non

nei paesi occidentali, bensì in quelli in via di sviluppo.

Delle numerose mega-città20 che sono presenti sul nostro pianeta, la maggior parte

appartengono a stati del Terzo Mondo: Bombay (13milioni), Lagos (9milioni), San

Paolo (11milioni), Città del Messico (8,5milioni), Dhaka (7milioni), Karachi

(12milioni), Delhi (13milioni), Calcutta (4,5milioni)21…Osservando l’elenco delle 30

città più popolose al mondo possiamo notare come negli ultimi venti\trent’anni la

posizione delle città dei paesi sviluppati sia stata sostituita da quelle dei paesi in via di

sviluppo. Va considerato che le metropoli dell’ “occidente”, non avranno un regresso di

popolazione nei prossimi 10\15 anni, ma semplicemente un tasso di incremento pari ad

¼ rispetto a quello per esempio delle città asiatiche. Questo è dimostrato dal fatto che

l’Asia sta diventando un continente urbanizzato nella metà del tempo che è stato

necessario all’Europa o all’America del Nord per mettere in atto questo processo. E non

è solo un processo che riguarderà le capitali o i grandi centri urbani, si conta infatti che

le città, con popolazione superiore al milione di abitanti, presenti in Asia nel 2015,

saranno ben 26722.

Il recente rapporto di UN-Habitat, definisce ed identifica, quante e quali città nel 2020

saranno da considerarsi meta-città o iper-città23. E’ molto importante notare, dando

ancora più sostegno a questa tesi, che delle 9 iper-città che si presenteranno al mondo

nel 2020, solo 2 (Tokyo e NewYork) fanno parte di nazioni sviluppate; le altre 7

(Bombay, Delhi, Città del Messico, San Paolo, Dhaka, Jakarta e Lagos), si trovano in

paesi poveri o per lo meno considerati in via di sviluppo24.

La domanda quindi è legittima: quali sono le cause che hanno portato ad un' esplosione

così rapida ed immediata dell’urbanizzazione e soprattutto come mai proprio in quei

paesi in via di sviluppo?

Il processo di urbanizzazione dei paesi sottosviluppati, si discosta moltissimo da quello

che si verificò in Occidente nell’Ottocento e agli inizi del Novecento, sia come entità

che come rapidità del fenomeno. Basti solo pensare alla città di Lagos in Nigeria che nel

20 Mike Davis definisce così le città con 10 o più milioni di abitanti 21 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra 22 UN-Habitat, (2001), The State of the World Cities, Productions MR, Montreal 23 Conurbazioni con una popolazione superiore ai 20 milioni di abitanti 24 UN-Habitat, (2006/2007), State of the world’s cities, Nairobi, http://www.unhabitat.org/documents/media_centre/sowcr2006/SOWCR%202.pdf

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1956 ospitava 300.000 abitanti e che oggi ne conta quasi 10 milioni25. Un incremento

inimmaginabile e spropositato rispetto alle città, per esempio, europee. La causa di

questo incremento non va cercata solamente nell’aumento totale della popolazione; o

meglio, questo non è il motivo principale di uno sviluppo così gigantesco, ma si basa

piuttosto sugli eventi storici dei paesi. L’Ottocento è il periodo dove le città europee

vivono il momento di massima crescita, ma con l’avvento del nuovo secolo, si sviluppa

l’idea, nei paesi “ricchi”, di svilupparsi oltre i confini nazionali. L’influenza dei paesi

colonizzatori sullo sviluppo dei grandi agglomerati urbani del terzo mondo, non è da

ricercarsi però sotto un aspetto economico o urbano-architettonico, dato che le città

create sotto il dominio coloniale, dipendevano in tutto e per tutto dalla madre patria. Si

trattava quindi di conurbazioni che sostanzialmente erano estranee al territorio

circostante, in quanto create come avamposto per la nazione dominante piuttosto che

grande centro del paese colonizzato. Gli aspetti principali che segnarono l’incremento

urbano di queste città, sono principalmente due. Il primo aspetto è da ricercarsi nella

crescita naturale dei cittadini. Questa causa che può sembrare ovvia e banale, è stata la

differenza principale fra l’entità del fenomeno nei paesi sviluppati e in quelli in via di

sviluppo. Le città europee, prendendole come esempio, erano estranee a questo

fenomeno, in quanto la popolazione era mantenuta costante dall’afflusso dalle

campagne. Nei paesi del Terzo Mondo, questo fenomeno è diventato fondamentale agli

inizi del Novecento, quando la modernizzazione, soprattutto in campo sanitario, ha

portato ad un calo delle morti non affiancato da una riduzione delle nascite26. Inoltre,

questi contesti sociali erano e sono tuttora caratterizzati da gravi carenze sia sul campo

dell’istruzione che dell’educazione in particolare fra le donne. Questo fatto, ha

comportato che le giovani popolazioni inurbate continuassero a adottare stili riproduttivi

della campagna, causando appunto tassi di crescita impensabili e mai visti nei paesi

occidentali.

Questo elevato numero di nascite si è lievemente abbassato negli ultimi anni, sia per un

aumento (se pur minimo in certe parti del mondo) del livello di istruzione ma

soprattutto per le politiche di controllo delle nascite di certi paesi (uno su tutti il caso

cinese).

25 SUDJIC D., (2008), Cities on the Edge of Chaos, in The Observer, Phaidon, New York 26 PETRILLO A., (2000), La città perduta, Bari , Edizioni Dedalo

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L’aumento quindi della popolazione inurbata mondiale sembra quindi strettamente

collegata all’aumento di quest’ultima nei paesi del Terzo Mondo, ma dal loro punto di

vista le città del sud del mondo subiscono se così può dire, un’evoluzione e una

modernizzazione nel campo della medicina e della salute che ha portato ad un aumento

dell’allungamento della vita ma soprattutto una diminuzione notevole dei tassi di

mortalità infantile. Si possono aggiungere a questi fattori fondamentali anche

motivazioni sempre importanti, ma di minore intensità, come la frequente presenza di

conflitti e instabilità politica in questi paesi, che hanno generato masse di profughi in

fuga verso le città.

Non esiste quindi un nesso fra l’urbanizzazione di tipo industriale che ha caratterizzato i

paesi occidentali dell’Ottocento e l’urbanizzazione dei paesi del Terzo Mondo, proprio

perché in questi paesi le grandi metropoli presentano sempre tassi altissimi di

disoccupazione. La ragione per cui i centri urbani in queste zone esercitano sempre una

grandissima attrattiva sulle popolazioni rurali è dovuta al fatto che la vita in città anche

in condizioni di assoluta povertà è spesso percepita come migliore rispetto alla vita

povera rurale; interviene, dunque, un fattore di tipo psicologico. La città diventa

un’aspirazione per riuscire finalmente a cambiare vita.

1.4 La nascita degli Slums

L’inadeguata situazione delle città del Terzo Mondo, non attrezzate, a livello di strutture

e servizi, ad accogliere un numero così elevato di immigrati, costringe questi ultimi a

costruirsi spazi illegali per poter sopravvivere. Questo diventa l’unico modo per

appropriarsi di risorse vitali cui altrimenti non potrebbero avere accesso: il suolo per

un’abitazione, l’acqua, l’elettricità e un lavoro, per la maggior parte dei casi irregolare.

Il rapporto di UN-Habitat descrive la relazione fra slum e povertà27; questa

considerazione è fondamentale per chiarire chi sono i poveri degli slums ed evitare facili

classificazioni degli abitanti di una baraccopoli. La povertà non è da considerarsi solo

ed esclusivamente come una semplice misurazione monetaria: le persone povere sono

anche coloro che vivono in un’abitazione insicura e sovraffollata, coloro che non hanno

accesso ai servizi (acqua, servizi igienici, sanità, educazione), coloro che non sono

27 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, pp 28-29

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protetti da leggi o che non hanno voce nel panorama politico28. Certo, non tutti i poveri

urbani vivono in slum, ma la possibilità di accedere a risorse che altrimenti sarebbe

impossibile ottenere rende la baraccopoli una delle poche soluzioni possibili.

Ma cos’è uno slum? Le prime volte che si sentì parlare di slum, fu nei primi anni

dell’Ottocento, anche se diversi scrittori utilizzavano questo nuovo termine con le più

diverse accezioni. In comune, però, avevano tutti l’idea di un luogo malfamato e

caratterizzato da abitazioni fatiscenti, sovraffollamento, malattia e miseria29. L’idea

comune era data dalla realtà della Londra vittoriana, che come detto in precedenza,

avendo subito il processo di industrializzazione e l’arrivo di grandi masse di contadini,

non era riuscita ad assorbire la numerosa quantità di nuovi operai, che andarono ad

affollare aree della città, solitamente situate in periferia, che divennero presto ambienti

miseri, poveri e degradati. Nell’Inghilterra forte della rivoluzione industriale, le

condizioni di questi luoghi migliorarono abbastanza in fretta, sia per l’impegno di

diversi movimenti e pensatori politici, ma soprattutto grazie ad un notevole progresso

economico. Il già più volte citato rapporto The challenge of Slums sostiene proprio che

la differenza principale tra l’urbanizzazione (e di conseguenza la formazione degli slum)

del XVIII e XIX secolo in Inghilterra rispetto a quella dei paesi del Terzo Mondo sta

proprio nel fatto che a questi ultimi non si accompagna un’adeguata crescita economica.

Si possono riscontrare alcune caratteristiche comuni fra gli slum odierni e quelli del

1800, anche se le peculiarità delle baraccopoli del Terzo Mondo sono nuove e tipiche

solo di questa realtà. La definizione principale che descrive uno slum di oggi lo

dimostra: …a contiguous settlement where the inhabitants are characterized as having

inadequate housing and basic services. A slum is often not recognized and addressed by

the public authorities as an integral or equal part of the city30.

Un’altra definizione descrive i caratteri principali degli slum moderni: “Slums are

neglected parts of cities where housing and living conditions are appallingly poor.

Slums range from high-density, squalid central city tenements to spontaneous squatter

28 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, pp 28-29 29 DAVIS M., (2006), Il pianeta degli Slum, Milano, Feltrinelli Ed. 30 UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, p10 (“Insediamenti adiacenti dove gli abitanti sono caratterizzati dall’avere abitazioni e servizi di base inadeguati. Uno slum spesso non è riconosciuto e considerato dalle pubbliche autorità come una parte integrante o uguale della città”)

Page 16: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

16

settlements without legal recognition or rights, sprawling at the edge of cities. Slums

have various names, favelas, kampungs, bidonvilles, tugurios, yet share the same

miserable living conditions.” 31.

Nonostante ci siano delle immagini comuni nelle diverse definizioni, è difficile

descrivere con chiarezza ma soprattutto universalmente cosa sia uno slum. Questo per

diversi motivi: innanzitutto la complessità degli slums non permette di identificarli sotto

un singolo parametro; essi sono una realtà in continua crescita e cambiamento, quindi i

criteri con cui si identificano spesso non sono duraturi nel tempo. Inoltre molto spesso

aree che sono considerate slum in alcune città vengono ritenuti spazi adeguati in altre.

Questa difficoltà di definizione è dimostrata dai molti termini, anche nella stessa lingua,

che vengono utilizzati per nominare queste aree32.

E’ proprio grazie al rapporto delle Nazioni Unite, che per la prima volta viene

presentato un quadro globale del fenomeno delle baraccopoli. Il termine Slum diventa

quindi il più appropriato per identificare proprio quelle zone caratterizzate da

isolamento sociale ed economico, proprietà terriera irregolare e condizioni sanitarie e

ambientali sotto gli standard33. Gli elementi chiave per identificare una zona come slum

sono dunque i seguenti: alta densità, bassi standard abitativi e “squallore”.

Visto la difficoltà di definire con chiarezza cosa sia uno slum, i dati elaborati danno

un’idea di quanto sia immenso sulla Terra il problema delle baraccopoli.

Nel 2001 le stime delle Nazioni Unite riportavano che gli abitanti degli slums erano

almeno 921 milioni, vale a dire il 31% della popolazione urbana mondiale. Nel 2005

avevano già superato il miliardo. La maggioranza di queste persone si trovano nei paesi

31 Definizione data da Cities Alliance Action Plan, citata in The challenge of Slums, p 10 (“Gli slum sono parti dimenticate di città dove le condizioni di abitazione e di vita sono terribilmente povere. Gli slum vanno da alloggi squallidi e ad alta densità nei centri cittadini a insediamenti occupati spontaneamente ai margini delle città. Gli slum hanno vari nomi, favelas, kampungs, bidonvilles, tugurios, ma indicano le stesse miserrime condizioni di vita”) 32UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement, Londra, p 10 • Francese: bidonvilles, taudis, habitat précaire, habitat spontané, quartiers irréguliers; • Spagnolo: asentamientos irregulares, barrio marginal, barraca (Barcellona), conventillos (Quito), colonias populares (Messico), tugurios and solares (Lima), bohíos or cuarterias (Cuba), villa miseria; • Tedesco: Elendsviertel;• Arabo: mudun safi, lahbach, brarek, medina achouaia, foundouks and karyan (Rabat-Sale), carton, safeih, ishash, galoos and shammasa (Khartoum), tanake (Beirut), aashwa’i and baladi (Cairo)• Russo: trushchobi • Portoghese: bairros da lata (Portogallo), quartos do slum, favela, morro, cortiço, comunidade, loteamento (Brasile) • Turco: gecekondu • Americano: ‘hood’ (Los Angeles), ghetto• Sud-Asia: chawls/chalis (Ahmedabad, Mumbai), ahatas (Kanpur), katras (Delhi), bustee (Kolkata),zopadpattis (Maharashtra), cheris (Chennai), katchi abadis (Karachi), watta, pelpath, udukku or pelli gewal (Colombo) • Africa: umjondolo (Zulu, Durban), mabanda (Kiswahili, Tanzania). 33 Cfr.: Ibidem

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17

in via di sviluppo, dove costituiscono il 43% della popolazione urbana, contro il 6% di

quella dei paesi sviluppati. Secondo UN-Habitat, le più alte percentuali di abitanti di

slum si trovano in Etiopia con il 99,4% della popolazione urbana, in Ciad (99,4%),

Afghanistan (98,5%) e in Nepal (92%). Considerando il numero totale di abitanti delle

baraccopoli, la capitale globale è Bombay con dieci o dodici milioni di occupanti

abusivi seguita da Città del Messico e Dhaka (in Bangladesh) con 9\10 milioni. Gli

sviluppi e le previsioni future delineano un quadro ancora più drammatico: nei prossimi

30 anni si pensa che gli abitanti delle bidonville aumenteranno di altri 2 miliardi.

Sulla terra esistono probabilmente più di 250.000 baraccopoli. Karachi, Bombay, Nuova

Delhi, Calcutta e Dhaka contengono da sole 15.000 slums con una popolazione stimata

intorno ai 20 milioni di persone. Anche in questo caso però i dati statistici non sono

precisi, sia per la difficoltà di reperire informazioni in un mondo di abusivismo e

illegalità, ma anche e soprattutto perché le popolazioni povere degli slum sono spesso

intenzionalmente e in maniera massiccia sottostimate dalle autorità34.

Queste cifre mettono in luce l’entità e la diffusione planetaria di questo fenomeno e

dimostrano come in nessuna parte del mondo si sia riusciti a risolvere o per lo meno ad

arginare il problema, lasciando che questa tendenza continui a crescere.

34 DAVIS M., (2006), Il pianeta degli Slum, Milano, Feltrinelli Ed., p 29

Page 18: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

18

CAP. 2 IL CASO DI NAIROBI

2.1 Nairobi: Una città giovane

Prima di approfondire la storia e lo sviluppo della città di Nairobi e poter comprendere

la nascita delle baraccopoli, è importante dare uno sguardo generale al fenomeno di

migrazione campagna\città dell’intero paese, dato che la capitale keniota ha rivestito da

sempre un ruolo centrale nel processo di inurbamento.

L’urbanizzazione in Kenya ha una storia recente, per lo meno per quanto riguarda le

zone interne del paese. Anche il Kenya seguendo il trend mondiale dei paesi in via di

sviluppo, ha subito un incremento notevole dalla seconda metà del XX secolo, che ha

portato ad un aumento importante del numero di abitanti dell’area urbana. I tassi di

urbanizzazione mostrano come da una percentuale dell’8% del 1963, anno

dell’indipendenza, si è passati al 20% nel ’9535, fino a raggiungere un tasso di

urbanizzazione nel 2007 del 40%36. Di conseguenza, con l’aumento dell’inurbamento

della popolazione, sono aumentati anche i centri urbani. Nel 1948, erano presenti 17

centri urbani che raccoglievano un totale di 176.000 persone, delle quali l’83% erano

concentrate nelle zone di Nairobi e Mombasa. Dal censimento del 1962 risulta che il

numero di centri urbani è raddoppiato, arrivando a 34 e la loro popolazione raggiunse le

671.000 unità. Nel 1979, la percentuale del totale degli abitanti delle città era salita al

9,9%, il 36% del quale si trovava nella capitale Nairobi. Il censimento dello stesso anno

indicava un numero di 90 centri urbani con un totale di 2,3 milioni di abitanti, che

divennero 3,7 milioni nel 1989. In quell’anno la percentuale di popolazione residente in

aree urbane era salita al 18% e il numero di città era notevolmente aumentato

raggiungendo la quota di 139 centri, dei quali Nairobi restava ancora il più grande, ma

conservando una percentuale simile a quella del ’79 sul totale della popolazione

inurbata (circa il 36%)37. I dati attuali dimostrano un aumento della popolazione del

Kenya a ritmi elevati: nel giro di vent’anni è pressoché raddoppiata (36.913.721 al

luglio 2007), facendo incrementare in modo sostanzioso anche il tasso di

urbanizzazione che si attesta intorno al 40%. Diminuisce solamente, rispetto ai dati del

35 OBUDHO R. A., (1997), The urban challenge in Africa: Growth and management of its large cities, New York, The United Nations University 36 Dati elaborati dall’ University of Nairobi reperibili al sito: www.uonbi.ac.ke/governance/history.php 37 OBUDHO R. A., (1997), The urban challenge in Africa: Growth and management of its large cities, New York, The United Nations University

Page 19: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

19

’89, il rapporto tra la percentuale della popolazione inurbata dell’intera nazione e quella

residente a Nairobi (intorno al 23%). Questo calo non dimostra una diminuzione del

fenomeno dell’urbanizzazione nella capitale keniota, che anzi ha raggiunto una

popolazione di quasi 4 milioni di abitanti, ma è dovuto all’aumentare del numero di

centri urbani su cui viene calcolato il rapporto38.

La città di Nairobi deve la sua nascita e crescita alla Kenya Uganda Railway (KUR), la

linea ferroviaria che era in costruzione tra Mombasa e l’Uganda. La città fu fondata nel

1899 come deposito degli approvvigionamenti della KUR. Lo spostamento della sede

ferroviaria da Mombasa a Nairobi da parte dell’ingegnere capo, Sir G. Whitehouse, fece

in modo che la città di Nairobi si sviluppasse successivamente come centro economico e

commerciale del protettorato britannico nell’Africa Orientale. Già dal 1900, Nairobi era

diventata una grande e fiorente città, caratterizzata da un insediamento formato

principalmente dagli edifici della ferrovia e da aree separate per gli Europei e gli

Indiani, quest’ultimi impiegati per la maggior parte come braccianti nella costruzione

della linea. Agli inizi del ‘900 un’epidemia di peste e l’incendio della città originaria

portò alla distruzione totale della città, che venne interamente ricostruita. Con lo

sviluppo successivo e la considerevole crescita, divenne nel 1907 capitale del

protettorato dell’Africa orientale Britannica e nel 1963 capitale del Kenya indipendente.

Dal 1909 molte strutture interne subirono un notevole sviluppo, soprattutto la rete

stradale. Il confine cittadino si ampliò nel 1927 in maniera considerevole, grazie

all’espansione sia in termini di popolazione che di infrastrutture del centro cittadino che

raggiunse i 77 km² di superficie. Dal 1928 al 1963, invece questo confine, rimase grosso

modo lo stesso con solamente qualche piccola aggiunta. Dal 1963, la superficie di

Nairobi fu estesa fino a raggiungere l’attuale area di circa 686 km². Grazie a questa

precoce crescita, le attività della città si svilupparono ed espansero, raggiungendo un

notevole dominio a livello politico, sociale, culturale ed economico sia per la gente del

Kenya ma anche per l’intera regione dell’Est-Africa39. Questo ha fatto sì che Nairobi

diventasse la più vasta conurbazione dell’Africa orientale, nonostante sia la città più

giovane della regione.

38 Elaborazioni statistiche a partire dai dati reperiti su http://www.nationsencyclopedia.com/Africa/Kenya-poluation.html 39 SITUMA F., (2002) “The Environmental Problems in the City of Nairobi” African Urban Quarterly

Page 20: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

20

La storia della crescita demografica della città ci aiuta meglio a comprendere quale sia

l’entità del fenomeno dell’inurbamento nella capitale del Kenya e a capire di

conseguenza anche perché proprio in questa città si siano formati numerosi slums, tra i

più popolati al mondo.

Come detto in precedenza lo sviluppo della città iniziò agli inizi del XX secolo: con

l’estensione dei confini amministrativi la popolazione subì un aumento dalle 8 mila

unità del 1901 alle 118.579 del 1948. Al tempo dell’indipendenza nel 1963, la

popolazione crebbe e raggiunse all’incirca 350 mila individui, proprio perché gli anni

che seguirono all’indipendenza dall’Inghilterra, furono quelli di massima espansione dei

confini cittadini. La popolazione della città nel 1994 fu stimata essere intorno a 1,5

milioni di abitanti con un tasso di crescita del 5% annuo, per raggiungere ai giorni nostri

i 4 milioni di persone (grafico. 2).

Grafico n°2: La crescita della Popolazione di Nairobi, 1901 - 2007

0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000Migliaia

1901 1921 1929 1939 1948 1957 1962 1969 1989 1999 2007

Fonte:elaborazione su dati Un-Habitat, City Mayors Society, 2007

La crescita è notevole e per questo Nairobi continua ad essere, tra le città del Kenya,

quella con il maggior numero assoluto di abitanti, nonostante il suo tasso di crescita sia

inferiore alla media nazionale di aumento della popolazione urbana, il quale si stima

essere intorno al 7.7%. Anche in questo caso, i dati ci hanno dimostrato che la

popolazione della capitale è in aumento, ma la continua crescita di piccole e medie città,

Page 21: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

21

sta creando una strategia di decentralizzazione che fortunatamente limita, anche se di

poco, la rapida urbanizzazione di Nairobi40.

2.2 Storia e origini degli Slums a Nairobi

La nascita degli slums a Nairobi è il risultato di una varietà di fattori sia storici che

contemporanei. Le forze che hanno contribuito alla segregazione degli spazi urbani

sono molte e varie41. Alcune sono di tipo legale ed economico mentre altre sono

culturali. Più di tutto però è stato considerevole l’impatto del colonialismo sulle forme

di distribuzione della terra. Nell’epoca pre-coloniale, in tutta l’Africa sub-sahariana,

nonostante le rilevanti differenze esistenti tra le varie popolazioni indigene, il possesso

della terra poggiava sul concetto di proprietà comune. La terra apparteneva alla

comunità e veniva amministrata dagli anziani. Ogni adulto aveva diritto di usare la terra

e questo diritto variava a seconda dell’età, dello status ecc. di ogni individuo. Il capo

della comunità aveva il potere e la responsabilità di destinare la terra non utilizzata,

oltre che di arbitrare le dispute e i diritti di usufrutto ereditabili. I modelli

dell’organizzazione coloniale hanno modificato sia i rapporti esistenti tra le tribù, sia le

relazioni all’interno delle tribù, con effetti progressivamente negativi42. La conflittualità

è così aumentata, favorendo anche l’insorgere di guerre. Ma l’impatto più radicale si è

notato nelle città dove si è stato instaurato il concetto europeo di proprietà terriera.

Nasce il mercato della terra, le transazioni derivano dalla capacità economica dei

contraenti e si sviluppa il sistema della domanda e dell’offerta che determina un

incremento dei prezzi e una crescita della speculazione.

Nel periodo coloniale, agli africani fu negato il diritto di essere proprietari di terreni,

così come era vietato loro costruire case. Di conseguenza, chi fra loro aveva il permesso

di lavorare in città adattò il proprio concetto di utilizzo della terra all’interno della

nuova realtà urbana. Le leggi della madre patria, non permettevano ai locali di essere

proprietari dell’abitazione, e questa misura serviva da garanzia del loro ritorno al

villaggio una volta terminato il periodo lavorativo. Durante la loro residenza in città,

questi lavoratori erano muniti di un permesso di occupazione a durata predefinita, di un

40 UN-Habitat, (2006) Nairobi: Urban Sector Profile, Nairobi 41 OLIMA W.H.A., (2001), “The Dynamics and Implication of Sustaining Urban Spatial Segregation in Kenya – Experiences from Naiorbi Metropolis” Lincoln Institute of Land Policy in Cambridge 42 FLORIS F., (2007), “Il pianeta bidonville”, Missioni Consolata, p.34

Page 22: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

22

permesso di abitazione revocabile in ogni momento e non trasferibile o ereditabile. Il

governo della colonia limitava le possibilità di risiedere in modo permanente nelle aree

urbane, esclusivamente a chi possedeva un regolare contratto di lavoro. Nacquero così,

e furono mantenuti, speciali “insediamenti indigeni” per gli africani, i quali, a causa

dell’eccessiva espansione della città, furono successivamente trasferiti verso la

periferia43. A Nairobi in particolare, il governo dispose una segregazione spaziale basata

sulla razza. La segregazione\divisione lungo le linee razziali divise la città in 4 distinti

settori; il Nord e l’Est erano definiti i settori Asiatici; l’Est e il Sud-Est i settori Africani

e infine la zona del Nord e dell’Ovest assegnato all’area Europea44. Con la fine del

colonialismo, gli stati africani indipendenti hanno ereditato questo sistema di possesso

della terra: da un lato quindi, è stato applicato il modello europeo di proprietà terriera, di

cui usufruivano ovviamente gli europei, mentre dall’altro lato gli africani hanno dovuto

inventare forme di adattamento loro proprie. In pratica, l’accesso alla terra risultava

bloccato per gli africani. Ne è derivata, di conseguenza, la costruzione di case abusive,

senza alcun tipo di servizio e in aree prive di infrastrutture.

Figura n° 3 Nairobi: tetti di lamiera nello slum di Libera

Fonte: Affordable Housing Institute, 2005

43 FLORIS F., (2007), “Il pianeta bidonville”, Missioni Consolata, p.34 44 OLIMA W.H.A., (2001), “The Dynamics and Implication of Sustaining Urban Spatial Segregation in Kenya – Experiences from Naiorbi Metropolis” Lincoln Institute of Land Policy in Cambridge

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23

Col tempo, il problema ha assunto dimensioni imponenti. Gli insediamenti si sono

consolidati e per certi versi organizzati: è iniziata la commercializzazione delle

abitazioni abusive, si sono diffusi i contratti d’affitto, sono nate e cresciute sia le attività

commerciali sia quelle artigianali. In pratica, quelli che inizialmente erano dei dormitori

temporanei per lavoratori provvisori, sono diventati luoghi permanenti, si sono

trasformati in vere e proprie “città” all’interno della città.

L’indipendenza del Kenya nel 1963 dalla madre patria Inghilterra, ha segnato un altro

momento importante della crescita delle baraccopoli a Nairobi.

L’autonomia, con il conseguente ammorbidimento nelle politiche e leggi che proibivano

la migrazione della popolazione verso la città, ha causato un maggior spostamento verso

il centro urbano di gente in cerca di un’occupazione, senza essere però accompagnata da

un adeguato sviluppo delle dimore. Questo inurbamento massiccio ha di conseguenza

causato una crescita degli slums a Nairobi, sia a livello di numeri che di popolazione. I

numeri delle abitazioni negli insediamenti informali crebbero da circa 500 dimore nel

1952 alle 22.000 nel 1972 e si moltiplicò fino a 111.000 nel 197945. Molti degli

insediamenti che esistono oggi a Nairobi furono costituiti dopo l’Indipendenza. Dal

1963 fin verso la fine degli anni ’70 la politica era quella di sradicare gli insediamenti

informali. Questo atteggiamento ostile tuttavia, venne sostituito da una posizione

conciliatoria e remissiva. C’era un tacito consenso di mantenere gli insediamenti, con le

autorità che adottarono un approccio del “lasciar fare” in base a cui generalmente non

demolivano le abitazioni, ma non provvedevano nemmeno a creare programmi di

miglioramento46. Questa politica ha causato di conseguenza un’espansione e

prolificazione incontrollata delle baraccopoli che col tempo ha assunto dimensioni

imponenti. Si è tornati quindi ad una politica ostile, cercando di dare una soluzione al

problema attraverso le demolizioni. Si pensava che, in questo modo, le persone

sarebbero ritornate ai villaggi di origine, ma il risultato, di certo non atteso, è stato un

semplice spostamento di questi gruppi verso periferie vicine e più esterne. Anzi, questo

sistema non ha fatto altro che ingigantire il problema, mantenendo di fatto lo stesso

numero di abitanti ma riducendo notevolmente lo spazio disponibile.

45 NGAU P.,(1995), Informal Settlements in Nairobi, Nairobi 46 OLIMA W.H.A., (2001), “The Dynamics and Implication of Sustaining Urban Spatial Segregation in Kenya – Experiences from Naiorbi Metropolis” Lincoln Institute of Land Policy in Cambridge

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24

I dati ci aiutano meglio a capire le dimensioni che ha raggiunto il problema attualmente.

Nonostante i dati sugli slums siano limitati, per il fatto che sia molto difficile censire

questo tipo di zone, è comunque presente una discreta quantità di numeri che analizzano

la situazione. Come già ricordato, la popolazione attuale di Nairobi è di quasi 3 milioni

di abitanti nell’area urbana, 4 milioni considerando l’area metropolitana. Circa il 65%

della popolazione, vale a dire circa 2,5 milioni di persone, vive negli slums che

occupano solamente il 5% del territorio urbano, terreno che è di proprietà del comune e

dello Stato. In questa zona ristretta prendono posto 199 baraccopoli, alcune di piccole

dimensioni con meno di 2000 abitanti, altre di dimensioni enormi come Kibera che ha

raggiunto il milione di abitanti, la più popolosa dell’Africa e la seconda a livello

mondiale47.

Un sondaggio eseguito nella baraccopoli di Korogocho (la quarta per popolazione a

Nairobi), mette in luce lo stato di vivibilità di questi luoghi. Lo studio indica che in

media una famiglia vive in una piccola stanza di 3m x 3.5m dove vengono svolte tutte le

funzioni domestiche. Il nucleo famigliare più comune è composto da 5 individui. Una

famiglia di 4 unità vive con meno di 6.100 scellini al mese (circa 70 €) e l’85% delle

persone è sotto la soglia di povertà assoluta. Uno studio della Shelter Afrique48,

dimostra inoltre che sia ben raro che gli abitanti delle baraccopoli siano anche

proprietari dalla baracca stessa. Infatti l’80% dei baraccati sono affittuari della loro

abitazione49. Da qui nasce la grande contraddizione che caratterizza gli slums; luoghi di

povertà assoluta, che diventano però un business notevole per i privati proprietari delle

baracche.

Anche gli insediamenti informali sono diventati di fatto un punto dell’economia urbana,

non solo per gli affitti ma anche perché la baraccopoli si è in qualche modo organizzata

per autosostenersi. Si formano così mille piccole attività economiche illegali, che vista

l’immensa quantità di persone garantisce il 20% del PIL del Kenya.

In conclusione, gli spazi informali e non pianificati, non solo forniscono un posto dove

vivere, offrono piccole opportunità di crescita. Tuttavia, ci sono ostacoli ed enormi

difficoltà per riuscire a sradicare la segregazione spaziale urbana. Quello di cui c’è

47 Da www.kibera.net 48 Organizzazione fondata nel 1982 con lo scopo di garantire un adeguato sviluppo degli insediamenti informali in Africa 49 MITULLAH W., (2005), “The Case of Nairobi, Kenya”, Nairobi, University of Nairobi, Kenya

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25

bisogno, è l’integrazione dei vari settori delle baraccopoli in un programma di

pianificazione urbana e uno sviluppo dei meccanismi di controllo. Il vero cambiamento

si potrà avere solamente quando la soluzione alla segregazione spaziale sarà basata sulla

comprensione dei bisogni della popolazione.

Page 26: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

26

CAP. 3 IL CASO DI KOROGOCHO

3.1 Confusione e Caos: vivere a Korogocho

Korogocho vuol dire “confusione” in lingua kikuyo. E’ il nome di uno dei tanti slums di

Nairobi, è nato agli inizi degli anni ‘80 ed è ancora considerato dal governo come un

insediamento abusivo. E’ «l’Out-città, il posto dove nessuno vuole stare, che si

definisce per differenza a tutto ciò che non è. Pur essendo dentro la città o ai suoi

estremi confini ha uno spazio mentale differente››50.

Padre Daniele Moschetti51, definisce una baraccopoli come: ‹‹gruppi di costruzioni

irregolari messi insieme con materiale di recupero (soprattutto bidoni appiattiti) prive di

qualsiasi pianificazione e persino di un minimo di infrastrutture preliminari; abitati da

una popolazione ad alta densità che risiede in tuguri sovraffollati, occupando

temporaneamente e illegalmente aree isolate e malsane assolutamente inadatte a scopi

abitativi, e vivendo alla giornata, senza un lavoro fisso o semplicemente sopravvivendo

attraverso forme di guadagno informali e addirittura illegali››52. (fig. 4)

Figura n° 4: Veduta di Korogocho

Fonte: www.korogocho.org

50 FLORIS F., (2003), Baracche e burattini? La città-slum di Korogocho in Kenya, Torino, L’Harmattan Italia 51 Padre Daniele Moschetti, missionario comboniano che da 6 anni vive e lavora nello slum di Korogocho 52 MOSCHETTI D., (1997), Urban ministry in Africa: need for new models, p.12, AMECEA Gaba Publications, Eldoret

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27

Korogocho sorge su un’area di proprietà del governo keniota a 11 chilometri a Est dal

centro città, lunga un chilometro e larga un chilometro e mezzo. La zona è delimitata

dal fiume che dà il nome alla capitale del Kenya e la discarica di Dandora. Qui vivono

circa 150.000 “slums dwellers” (abitanti dello slum), stipati in 11.500 baracche costruite

con fango, lamiere arrugginite o altro materiale di scarto, tutte di carattere temporaneo e

non conformi agli standard minimi di abitabilità. Padre Alex Zanotelli ha definito

questo fenomeno di elevatissima densità di popolazione come la ‹‹sardinizzazione dei

poveri››. Ogni baracca è composta da 5 o 6 stanze, in ognuna delle quali vive una

famiglia; un lenzuolo divide la zona giorno dalla zona notte, il pavimento è di terra

oppure, nel migliore dei casi, di cemento. Ogni residente dispone per le sue esigenze

abitative e di movimento di uno spazio pari a 10-15 metri quadrati. Le baracche sono

separate solo dalle fogne a cielo aperto, che si presentano come piccoli canaletti scavati

con una zappa nel mezzo delle stradine sterrate(fig. 5).

Figura n° 5: Le fogne a cielo aperto

Fonte: www.korogocho.org

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28

Durante la stagione delle piogge fango ed escrementi formano fiumi in piena. Non ci

sono ospedali o ambulatori a portata della gente, solo qualche piccolo dispensario,

qualche clinica privata o gestita da organizzazioni umanitarie: Korogocho è un’enorme

incubatrice di batteri e di malattie come tifo, colera, tubercolosi, malaria, malattie

respiratorie (causate dai fumi della vicina discarica) e soprattutto AIDS, che colpisce il

50% della popolazione della baraccopoli. I rifiuti non vengono raccolti, ma gettati lungo

le strade più ampie in attesa che vengano bruciati. Avere l’elettricità è un lusso

permesso a pochi perché sia un contatore che l’allacciamento alla rete elettrica costano

troppo, ma è un fattore essenziale per la sicurezza e per svolgere attività lavorative.

L’acqua arriva tramite un collegamento con l’acquedotto comunale e poi viene venduta

da chioschi privati in bidoni da venti litri. Non ci sono servizi igienici, solo pochi gruppi

di case hanno una latrina, che consiste in una buca racchiusa fra quattro vecchie lamiere

e una porta di legno; il resto della popolazione getta i suoi rifiuti direttamente

all’esterno, nella fogna.

Korogocho è un enorme campo profughi. In questo luogo di transito ci sono keniani di

tutte le etnie, rifugiati di ogni regione del corno d’Africa: regnano sovrane l’insicurezza

e la povertà, a cui si aggiungono la bassa attesa di vita, l’alta mortalità infantile e

l’analfabetismo53. Uno dei problemi più rilevanti è la violenza: una “tremenda

abitudine” che fa vivere la gente in uno stato di paura permanente. Violenza generata

dalle privazioni, dalla povertà, dalla vulnerabilità, dal sovraffollamento, dall’instabilità,

dalle rivalità etniche, dalla mancanza di diritti: qui si vive alla giornata, ogni giorno

senza sapere se sarà concesso arrivare fino a sera54.

Questa tragica realtà è tipica di ogni baraccopoli ma Korogocho è anche un simbolo dei

baraccati perché ha tre peculiarità. Il terreno su cui è costruita non è di proprietà di chi

ci vive ma dello stato del Kenya, che lo gestisce attraverso la figura del responsabile di

governo per il quartiere (Chief), il quale rilascia dei permessi di occupazione

temporanea e revocabili in ogni momento. Questo è un fattore davvero unico, perché

solitamente la prima rivendicazione che riescono a ottenere i baraccati è la proprietà

della terra sulla quale risiedono, seguita da quella della baracca. Il secondo aspetto è

proprio la non proprietà della baracca, infatti a Korogocho la maggior parte dei residenti

paga l’affitto agli “structures owners” (proprietari delle strutture abitative). Alcuni studi 53 RADICE R., (2004), R-esistere a Korogocho, Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca 54 Cfr.:Ibidem

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29

attestano che oltre il 65% dei residenti è in affitto, il 70% non ha terra nelle zone di

origine e il 40% dei proprietari delle case non vive a Korogocho55. Ultima particolarità è

che lo slum di Korogocho è adiacente alla discarica municipale di Dandora, il più

grande sito di raccolta rifiuti di Nairobi, situato a 8 chilometri dal centro economico

della città. La discarica si trova in quel posto da oltre 30 anni e i suoi effetti colpiscono

anche la popolazione di Dandora, Kariobangi e Baba Dogo, con un totale di

popolazione coinvolta di circa 900.000 abitanti. Il consiglio della città di Nairobi, aprì la

discarica a metà degli anni ’70 all’interno di una cava in disuso. Quest’area è ora la casa

di un milione di persone circa. L’intenzione era quella di colmare la cava ma ora l’area

si è trasformata nel più grande disastro ambientale e umano per la popolazione della

capitale keniana, in particolare appunto per i residenti nelle zone di Korogocho,

Kariobangi e Dandora. Padre Moschetti si sta battendo da anni coinvolgendo la

popolazione locale per ricollocare il deposito di rifiuti in un’area meno densamente

popolata.

Il problema non è solo ambientale. Dandora costituisce una risorsa preziosa per i

numerosi scavengers che sopravvivono grazie alla loro attività di recupero e riciclaggio

dei rifiuti. La discarica è diventata sopravvivenza per i poveri residenti delle zone

limitrofe ma anche oggetto di grandi interessi economici di poche persone. Tutti i rifiuti

delle industrie, alberghi, ristoranti, aeroporto e aree residenziali di Nairobi sono gettati

qui. Il sito è diventato inevitabilmente un affare multimilionario, interessando i politici

locali che hanno tutta l’intenzione di mantenere la discarica in una posizione

conveniente per i propri interessi personali. Sono presenti un buon numero di

cooperative di giovani e donne che lavorano per smistare e riciclare alcuni di questi

rifiuti. Questa gente lavora in condizioni durissime senza nessun tipo di protezione con

un misero salario, guadagnando tra i 50 e 150 scellini (da 0.75 a 2.3 dollari) al giorno. I

datori di lavoro non garantiscono nessuna copertura sanitaria. Le malattie in questa zona

sono molto comuni, dovute ai vapori nauseabondi e velenosi generati dal continuo

ardere dei rifiuti56. Un’indagine medica Unep57 svolta su 328 bambini e ragazzi di

55 FLORIS F., (2003), Baracche e burattini? La città-slum di Korogocho in Kenya, Torino, L’Harmattan Italia 56 OLUOCH J.O., MOSCHETTI D., Dandora Dumpsite:Struggling for health, security and dignità, da www.korogocho.org 57 UNEP (United Nations Environment Programme), (2007), Environmental Pollution and Impacts on Public Health: Implications of the Dandora Municipal Dumping Site in Nairobi, Nairobi, Kenya

Page 30: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

30

Dandora di età compresa tra i 2 e i 18 anni ha documentato la presenza di metalli

pesanti in quantità più che velenose. Come dato esemplare, il rapporto confronta i valori

medi di analoghe analisi in Olanda e quelli riscontrati a Dandora: 150 ppm (parti per

milione) di piombo per i bambini europei a confronto con 13.500 ppm dei bambini di

Korogocho e 5 ppm di cadmio rispetto ai 1058 ppm. Per quanto espressa in termini

tecnici, la differenza è evidentemente vertiginosa e analizza l’elevato tasso di tossicità

della zona. Una situazione decisamente tragica, aggravata inoltre dalla presenza di gang

criminali che controllano la discarica, le quali chiedono il pizzo a coloro che vogliono

rovistare tra i rifiuti58.

E’ fondamentale quindi riuscire a trovare una soluzione sostenibile al problema della

discarica di Dandora. Oltre alla necessità principale di trovare un altro sito dove

ricollocarla è inoltre indispensabile garantire alternative di lavoro per coloro che vivono

dei “prodotti” della discarica. Sono infatti molti e di ogni età coloro che sopravvivono

recuperando quotidianamente nell’immondizia tutto il recuperabile, respirando in tal

modo ogni giorno veleni e sostanze tossiche. Come dice padre Daniele, in prima linea

nel trovare una soluzione realmente sostenibile: ‹‹Quando si ha fame, poco importa se i

fumi dei fuochi accesi su queste vere e proprie colline di immondizia sono tossici e

bruciano i polmoni. Qui la gente soffre di svariati mali, anche gravi, ma la

preoccupazione quotidiana è tentare di sopravvivere…anche ai veleni››59.

3.2 Progetti in corso a Korogocho

All’interno di questa situazione fortemente problematica e caotica, vivono e lavorano

persone che hanno deciso di dedicare totalmente la propria vita ai poveri, creando

progetti per rendere lo slum di Korogocho un luogo dove sia possibile vivere. I

missionari comboniani hanno cominciato la loro attività a Korogocho nel 1983, quando

la parrocchia di Kariobangi apre all’interno dello slum la cappella di St.John. Nel 1990

Padre Alex Zanotelli sceglie di vivere nelle baracche condividendo lo stato di disagio

dei baraccati. Per ben 12 anni Padre Alex ha portato avanti molti progetti di promozione

umana come la scuola informale, l’asilo, cooperative di riciclaggio di rifiuti e cura degli

58 MOSCHETTI D., (2007), I veleni di Dandora:il punto di vista di un missionario, da www.korogocho.org 59 Cfr.: Ibidem

Page 31: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

31

ammalati. Dal 2002 la comunità è guidata da Padre Daniele Moschetti che porta avanti

questi programmi per migliorare la condizione della baraccopoli e dei baraccati.

I progetti in corso coinvolgono le fasce di popolazione più a rischio, dalla rieducazione

dei bambini di strada, all’assistenza dei malati, dalle donne, ai cercatori della discarica.

L’analisi dei diversi tipi di progetto attuati dimostrerà come in tutta questa miseria ci sia

voglia di vita e di cambiamento. Ci sono decine di attività economiche: negozi e piccole

rivendite di ogni tipo, artigiani di qualsiasi genere, baracche che si improvvisano

ristoranti, alberghi o cinema60. In tutta questa miseria pulsa la vita.

Come detto, i progetti spaziano all’interno delle problematiche della baraccopoli.

Il Boma Rescue Center nasce nel 1995, per arginare la carenza dei bisogni più basilari

dei bambini di Korogocho e Dandora. La necessità di cibo, riparo, vestiario costringe

quest’ultimi ad inoltrarsi nella discarica per soddisfare i propri bisogni primari. Questo

li espone ad una condizione di estrema vulnerabilità. Lo scopo del centro è quello di

intervenire e salvare i bambini dalla discarica e da altre forme di abusi. Circa 100

bambini, con un’età compresa tra gli 8 e i 16 anni sono stati accolti nel centro. Lo scopo

è quello di riabilitare e reintegrare i bambini che si trovano a vivere in condizioni

difficili, grazie ad un programma basato su diverse attività: gruppi di ascolto, terapia di

gruppo, sport e giochi, manufatti, arte, attività culturali, acrobatiche, scoutismo,

programma nutrizionale, pulizia ed igiene. Nonostante l’instabile e malsano ambiente

nel quale molti bambini vivono, un buon numero riesce ad avviarsi ad una

trasformazione positiva che dà loro la possibilità di essere reintegrati nella società.

Sempre a sostegno dei bambini, una delle fasce più a rischio in un ambiente

caratterizzato dalla mancanza di opportunità di lavoro, programmi sanitari, servizi

sociali e infrastrutture di base, la comunità cattolica di St. John, ha avviato nel 1997 un

progetto per i bambini di strada di Korogocho (KSCP). Il programma mira ai bambini,

sia maschi che femmine, che vivono in strada e nella discarica e che usano diversi tipi di

droghe come colla, hascisc, tabacco. Il KSCP (Korogocho Street Children Program),

prova a migliorare la vita di questi bambini che vivono in circostanze difficili

agevolando un processo di riabilitazione e di reintegrazione nelle famiglie. Il centro è

sostanzialmente un ritrovo dove i bambini tolti dalla strada possono avere un’istruzione

di base, attività ricreative, attività culturali e sportive, cure mediche e cibo. A questo 60 RAITANO P., (gennaio 2007), Korogocho non esiste, in “Altraeconomia: l’informazione per agire”, 79 p. 22

Page 32: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

32

progetto si lega strettamente la Napenda Kuishi Home. Un centro di riabilitazione creato

nel 2006 e situato a 40 km di distanza da Korogocho. La casa è un luogo residenziale

per quei bambini di strada che arrivano dal KSCP. L’obbiettivo del progetto è quello di

riabilitare e reintegrare i bambini in circostanze difficili, cercando di dare l’opportunità

e la libertà di migliorare le proprie condizioni di vita.(fig. 6)

Figura n°6: Bambini del Korogocho Street Center Program

Fonte: www.korogocho.org

Affiancato a questi due ultimi progetti, è sorto un Servizio per lo Sport, ricavato

all’interno di un cortile, dove più di 250 giovani, di etnie e religioni diverse, si allenano

ogni giorno. L’educazione allo sport è completata dalla formazione settimanale che

prevede svariati corsi: prevenzione all’AIDS, religiosità, lavoro, pulizia dello slum e

degli ambienti.

Tra le categorie di popolazione che più soffrono in un contesto di disperazione e

povertà, vi sono certamente le donne. Padre Zanotelli analizza la grave situazione

femminile nelle baraccopoli: ‹‹[…]C’è ancora un gruppo profondamente emarginato a

Korogocho: quello delle ragazzine che si prostituiscono soprattutto in città. Partono la

sera e vanno negli alberghi, nei night-club, nei pub. E’ prostituzione spicciola, fatta per

poter vivere. A Korogocho quasi tutte le ragazzine a quattordici-quindici anni hanno un

bimbo. Devono mantenersi e mantenere il loro piccolo. E intanto sono esposte al

Page 33: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

33

disprezzo generale e alla violenza maschile, che è paurosa››61. Per arginare questo

problema, nel 1991 è stato formato il primo gruppo Pro Life. Lo scopo del progetto è

stato quello di individuare ragazze incinte disperate e propense all’aborto. Alcune di

loro sarebbero disposte a tenere i propri bambini ma l’impossibilità di far fronte ai

bisogni basilari di un bambino le spinge all’aborto. Le ragazze sono seguite con

counseling ed insegnanti, che aiutano le ragazze ad accettare la loro situazione. A

sostegno di coloro che non hanno un posto dove stare o che non riescono a far fronte

alle difficoltà economiche, sono stati avviati due progetti satellite: la Jamaa Home, una

casa per giovani donne abbandonate e la Kutetea Uhai (scuola per parrucchiere), proprio

per aiutare quelle ragazza che hanno bisogno di lavorare e provvedere ai loro bambini

piuttosto che rischiare di essere assorbite dal giro della prostituzione.

‹‹Non sono solo le ragazze a soffrire a Korogocho; un po’ tutto l’universo femminile

paga pesantemente. Le mamme, soprattutto quelle senza marito, portano il peso della

famiglia. Il 60-70% delle famiglie di Korogocho è guidato da donne sole. Ci sono

mamme talmente schiacciate dai problemi che ti domandi come facciano a non

suicidarsi››62. Uno dei problemi principali dell’universo femminile è sicuramente quello

della disoccupazione. Il Bega Kwa Bega, che significa “spalla a spalla”, è una società di

cooperative autonome di autosostentamento. Ha cominciato la sua attività nel 1991 con

due gruppi chiamati Udada e Vyondo , con lo scopo di creare diversi tipi di manufatti.

L’obbiettivo del progetto è quello di dare la possibilità alle giovani disoccupate di

produrre le entrate sufficienti per se stesse e per le loro famiglie. Attualmente la

cooperativa è composta da 4 gruppi: Udada, attualmente conta 10 donne che creano e

cuciono collane, cinture, ecc, Mama wa Vyondo, conta 20 membri per la maggior parte

ragazze madri, Kochikanga, dove vengono prodotti tovaglie, magliette, lenzuola e borse

e infine Dolls, specializzata nella manifattura di bambole. I prodotti sono venduti

localmente ma in particolar modo all’estero attraverso la catena del commercio equo e

solidale.

Di fondamentale importanza infine, sono i due progetti di educazione scolastica attivati

all’interno dello slum: la scuola informale di St. John e la scuola materna St. John.

61 ZANOTELLI A., (2003), Korogocho. Alla scuola dei poveri, Milano, Feltrinelli 62 Ibidem

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34

L’idea generale della scuola è quella di avere una Korogocho dove tutti i bambini

possano accedere ad un’istruzione di qualità, a dispetto dell’ambiente economico e

sociale nel quale vivono.

La scuola di St. John è stata fondata nel 1990, recuperando i bambini di strada e quelli

più vulnerabili dello slum. Le attività all’interno del progetto scolastico sono molte e

mirano ad accrescere l’auto-stima, a vivere una vita fondata sull’onestà e a rendere i

ragazzi responsabili. Nella scuola vengono assicurati uguali opportunità per tutti i

bambini indipendentemente dalla loro religione e vengono sostenuti coloro che non

possono permettersi la retta mensile. Attualmente la scuola conta 24 insegnanti e circa

850 alunni che possono usufruire di attività sportive, di teatro, di educazione alla pace e

alla vita. La scuola materna conta invece 4 insegnanti e 4 classi, per un totale di circa

150 bambini.(Fig. 7)

Figura n° 7: I bambini della scuola materna St. John

Fonte: www.korogocho.org Quelli che frequentano la scuola, sono per lo più orfani e poveri. Gli obbiettivi

principali sono quelli di dare un’istruzione di base, consigliando e preparando bambini

che una volta usciti dalla struttura scolastica, dovranno affrontare problemi e condizioni

Page 35: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

35

di assoluta povertà. Una biblioteca aperta nel 2001, aiuta a fornire un’istruzione basilare

e necessaria per i più bisognosi di Korogocho. La presenza di queste strutture dimostra

una notevole voglia e necessità di educazione, alimentata da un desiderio anche degli

adulti a sviluppare un programma d’istruzione. Sorge per questo nel 2003 il programma

d’istruzione per gli adulti, che conta circa 80 alunni. Il principale obbiettivo del

programma è quello di insegnare a leggere e a scrivere alle donne, agli uomini e a quei

giovani che non hanno mai avuto un’istruzione. Il Ndoto Arts People si unisce a questo

desiderio, a questo “Ndoto”(in lingua swahili “sogno”), di creare uno slum migliore

dove poter raggiungere i propri traguardi. Sin da quando è stato costituito nel 2002, il

gruppo si è sempre mosso in prima linea nell’utilizzo di un’arte che fosse utile per

l’educazione e lo sviluppo della comunità.

“People united for a new Korogocho”, tutti uniti per una nuova Korogocho si legge tra

le pagine del sito d’informazione dello slum. L’impegno e la determinazione

nell’attuare questi progetti, in un ambiente dove regnano miseria e disperazione,

dimostrano il desiderio dei baraccati di lottare e resistere quotidianamente per la vita,

per mangiare, per un lavoro, per poter studiare, semplicemente per poter sopravvivere63.

Le parole di padre Daniele esprimono tutta la voglia di cambiamento:‹‹Il nome

Korogocho è sempre stato legato a una dimensione negativa, che indubbiamente esiste.

Tuttavia, in questa situazione di profondo disagio si deve trovare il modo di rendere

vivibile lo slum. In questa “confusione” c’è un ordine, una dimensione di grande

positività. Pur essendo povera, non tutta la gente è disperata. C’è una forte ricerca di

vita e di uscita dalla miseria. L’informalità del lavoro è normale. In generale la gente

non è passiva. Il problema è dare loro almeno qualche sicurezza. E l’opportunità di

migliorare le proprie vite››.

63 RADICE R., (2004), R-esistere a Korogocho, Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca

Page 36: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

36

3.3 Analisi necessaria sui recenti avvenimenti a Nairobi

I recenti avvenimenti che hanno scosso lo stato keniota tra la fine dell’anno 2007 e

l’inizio del 2008 in concomitanza con le elezioni politiche necessitano, all’interno di

questo lavoro, di essere analizzati, per il fatto che le zone delle baraccopoli ed in

particolare lo slum di Korogocho, sono state punti nodali delle violenze che hanno

colpito il paese. Il motivo apparente che ha fatto scoppiare il conflitto tra le diverse

etnie che compongono la popolazione del Kenya, sono state le elezioni del 27 Dicembre

2007. Questa è stata la scintilla che ha acceso uno scontro tra etnie, ma che maschera un

conflitto che è prima di tutto economico e sociale. In ogni caso serviva solamente un

“collante” che facesse confluire la frustrazione e il risentimento individuale nel

collettivo, in qualcosa che riguardasse tutti64. I brogli elettorali che hanno segnato le

ultime elezioni sono stati un ottimo pretesto per far uscire la rabbia e la violenza che

covava all’interno delle persone.

E’ necessario però fare un passo indietro per comprendere l’assetto politico del paese e

di conseguenza gli stretti legami che uniscono gli uomini al potere e le loro etnie di

appartenenza. Il paese è suddiviso in 8 province abitate da diverse 8 etnie.(Fig. 8)

Fig n° 8: Presenza etnica nelle 8 diverse province del Kenya

Fonte: www.korogocho.org

Come si vede in figura 8, la più popolosa è l’etnia Kikuyu con 7 milioni di appartenenti,

seguita da quella Luo con 6.4 milioni.

64 FLORIS F., (2008), Kenya. La violenza e il risentimento, riflessioni di Fabrizio Floris

Page 37: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

37

I 3 diversi presidenti che si sono susseguiti alla guida del paese dal 1963, anno

dell’indipendenza, ad oggi, hanno sempre cercato innanzitutto l’interesse del proprio

gruppo di appartenenza adottando una politica clientelare ed elitaria ad esclusivo

sostegno della propria etnia65. Questo tribalismo è da sempre un fattore importante nella

politica keniana, ma non è il problema centrale. Il popolo del Kenya cerca innanzitutto

di eleggere quei leader che possono offrire cambiamenti positivi nelle loro vite.(Fig. 9)

Nel 2002 Mwai Kibaki, l’attuale presidente del Paese, fu eletto raccogliendo i voti di

tutti i gruppi etnici perché rappresentava il cambiamento rispetto al passato regime di

Daniel arap Moi, dato che il suo governo fu caratterizzato da una forte corruzione,

autoritarismo, incompetenza e deliberata divisione etnica. I cambiamenti promessi dal

presidente Kibaki purtroppo non si sono realizzati facendo in modo che molti

spostassero, nelle ultime elezioni, il proprio supporto in favore del partito di

opposizione Odm, il Movimento Democratico Arancione, guidato da Raila Odinga.

Fig. n° 9: Desiderio di cambiamento

Fonte: www.korogocho.org Il fattore etnico viene sfruttato soprattutto dai partiti, come strumento per nascondere

agli occhi della popolazione povera le cause profonde dello sfruttamento economico,

65 MOSCHETTI D. (2008), Intervista ad ANSA

Page 38: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

38

politico e sociale. E’ un meccanismo per attirare l’attenzione altrove66. I partiti non si

basano su una politica efficace per il popolo e quindi fondata sulla coscienza degli

oppressi. L’Odm include tra le sue fila alcune delle persone più ricche del paese. La

stessa famiglia Odinga è proprietaria della fabbrica di melassa Spectre International e ha

legami con una multinazionale petrolifera e mineraria per l’estrazione dei diamanti. Di

conseguenza anche un partito di opposizione come l’Odm, non si lega al popolo grazie

ad una politica di lavoro con e per il popolo stesso, ma può solamente sollevare il

malcontento puntando sul fattore etnico, generando inevitabilmente conflitti fra diverse

tribù.

Gli scontri, in un paese dove la povertà colpisce il 60% degli abitanti, sono

inevitabilmente aspri e violenti, fomentati dai fatti e anche da false informazioni che

danno nuova linfa agli attacchi, causando in breve tempo, circa 4 mesi, un notevole

numero di morti (1.500) e di sfollati (300.000).

Le notizie che direttamente sono arrivate da Korogocho, da padre Daniele e padre

Paolo, che in prima persona hanno vissuto i momenti critici di questi incidenti,

dimostrano sia l’entità e la violenza che hanno caratterizzato i combattimenti tra le

diverse etnie, ma anche come ci fosse l’interesse da parte dei politici oppositori al

governo a fomentare la rivolta. Il prof. Fabrizio Floris dichiara come sia stata verificata

la presenza di bande debitamente retribuite per creare disordini.

La cronologia dei fatti mostra come un susseguirsi di reazioni a catena abbia scatenato

una crescente violenza e scontri tribali che hanno avuto l’epicentro proprio negli slums,

tra cui Korogocho, luoghi di povertà in cui convivono persone di origini diverse.

Il 27 Dicembre 2007 è il giorno stabilito per il voto elettorale. Le elezioni tanto attese

dalla popolazione keniana, fiduciosa nel cambiamento, si svolgono con ordine e calma.

Il giorno seguente si attende la proclamazione del vincitore, con la previsione di una

vittoria, con un margine di circa 1 milione di voti, del capo dell’opposizione Raila

Odinga. L’annuncio dei risultati da parte della commissione elettorale viene però

rinviata più volte e in seguito annunciata per il giorno seguente. Il 29 Dicembre, la

tensione in città aumenta man mano che i voti del presidente Kibaki crescono,

raggiungendo e superando quelli di Odinga. I primi scontri si verificano nella

baraccopoli di Kibera, circoscrizione del candidato Odinga, espandendosi poi anche a

66 MUKOMA W.N., (2008), Non cerchiamo rivoluzionari dove non esistono

Page 39: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

39

Korogocho dove si verificano i primi 7 morti di etnia Luo, tribù di origine del

presidente in carica. Con il passare dei giorni lo scontro tra le diverse etnie, verificati

anche gli evidenti brogli elettorali compiuti da Kibaki, si allargano aprendo così una

grave crisi politica e sociale per il paese. Le prime offensive di vendetta da parte dei

gruppi Luo contro i gruppi Kikuyo, si scatenano nella baraccopoli di Korogocho. In

tutto il paese si svolgono atti di violenza verso i Kikuyo come anche verso i Luo. Il fatto

più grave si verifica nella città di Eldoret (città a Nord-Ovest del paese) dove 200

persone di etnia Kikuyo si rifugiano in una chiesa e 50 vengono arse vive. Le violenze

sembrano non fermarsi, anche perché i due leader dei principali partiti politici non

riescono a trovare una soluzione d’intesa.

Fig n° 10: Disordini nello Slum di Korogocho

Fonte: www.korogocho.org Il 28 Febbraio 2008, le pressioni internazionali e la mediazione di Kofi Annan, ex

segretario generale dell’Onu, favoriscono un accordo tra i due contendenti per la

creazione di un governo di coalizione67. La riforma principale garantita da questo

accordo è l’introduzione della carica di primo ministro, che spetta al leader

67 Da Unimondo.org, (2008) Kenya: progressi nei negoziati, permane l'emergenza sfollati, http://www.unimondo.org/article/view/157675/1/5033

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40

dell’opposizione Odinga, che consente la divisione dei poteri con il presidente Kibaki.

La soluzione garantita dalla nuova riforma costituzionale sembra risolvere i problemi

politici del paese. Nel mese di Marzo però le trattative tra i due contendenti trovano

nuove difficoltà sull’ assegnazione di posti chiave all’interno del governo. Un ulteriore

intervento di Annan, incaricato alla mediazione nella crisi keniana, garantisce un

accordo tra le due parti firmato il 13 Aprile 2008, che stabilisce un governo di

coalizione tra i partiti capeggiati da Kibaki e Odinga, e assegna a quest’ultimo il ruolo

di primo ministro.

L’incontro tra i due contendenti sembra avere riportato il paese ad una situazione di

stabilità. Il difficile percorso che ha portato alla creazione di questo nuovo governo, si

spera possa essere un punto di partenza per lo sviluppo di una nazione che nonostante i

grossi problemi che ha dovuto affrontare è stata sempre capace di uscire indenne dai

momenti drammatici, con una capacità di sopportazione della gente senza precedenti68.

68 ZANOTELLI A., (2008), Kenya:Guerra tra i poveri, in Il grido dei poveri, mensile di riflessione non-violenta

Page 41: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

41

CONCLUSIONE Più ci si inoltra negli stretti vicoli di Korogocho, abbandonando la via principale, e più

si ha la sensazione di un aumento della povertà e del degrado. Questo nostro percorso

ha cercato di addentrarsi nei “vicoli stretti” della povertà, provando ad analizzare un

fenomeno che è sicuramente uno dei più problematici attualmente: l’inurbamento nei

paesi in via di sviluppo. Lo studio dei dati a livello globale, ci ha permesso di

inquadrare l’entità di un processo in continua crescita. Lo smisurato aumento del

fenomeno in tempi brevissimi, dimostra come la città sia diventata l’unica alternativa

possibile per la popolazione rurale di soddisfare i propri bisogni nel momento in cui la

vita nel villaggio non sia più sufficiente. Una crescita incontrollata che nel 2005 ha fatto

si che la popolazione urbana superasse quella rurale. Un evento storico, un momento di

vera svolta per le dinamiche globali. L’analisi di una città come Nairobi, investita in

pieno dall’effetto migratorio campagna-città, ha aiutato a comprendere gli sviluppi di

questo processo. L’aumento indiscriminato di popolazione in spazi ristretti come quelli

urbani, ha inevitabilmente creato segregazione spaziale, confinando le parti di

popolazione più svantaggiate in luoghi sempre meno adatti per vivere. Infine il nostro

percorso ci ha portato all’interno di questi luoghi. Roberto Radice, concludendo il suo

lavoro di tesi sulla baraccopoli di Korogocho dice: ‹‹con umiltà è necessario affermare

che non si è arrivati ad alcuna conclusione, nel senso di certezza››69. E in effetti in

questi luoghi la certezza e la sicurezza faticano ad esistere. Le considerazioni sulla

situazione attuale, dimostrano come i meccanismi di convivenza tra persone di etnie,

religioni, abitudini così diverse siano fragili e pronti ad esplodere, generando conflitti e

violenze. Una lettera di Padre Daniele riguardo gli scontri nello slum dimostra come il

rapporto fra le popolazioni della baraccopoli siano difficili e complesse: ‹‹[…] non

dovevamo essere noi a farci la guerra e nessuno sarebbe venuto ad aiutarci se non

trovavamo noi una soluzione[…]ora chi si faceva la guerra erano proprio poveri contro

poveri››70. Questo lavoro però non vuole finire con questo punto di totale perdita di

sentimenti e valori; ma vuole tentare di raccontare di tutti quegli uomini, donne e anche

bambini, che lottano ogni giorno all’interno di tutti gli slums della terra. Vuole , senza

69 RADICE R., (2004), R-esistere a Korogocho, Milano, Università degli Studi di Milano Bicocca 70 MOSCHETTI D., (2008), Lettere:Una lunga quaresima

Page 42: Il Fenomeno Dell'Inurbamento - Il Caso Di Korogocho a Nairobi 17

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pretese, cercare di essere un punto di partenza, una speranza per chi questo mondo lo

crede realmente un posto bello dove vivere.

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http://lists.peacelink.it/economia/2006/05/msg00005.html

• UN-Habitat, (2007) State of the World Cities, Productions MR, Montreal

http://www.unhabitat.org/documents/media_centre/sowcr2006/SOWCR%201.p

df

• UN-Habitat, (2003), The challenge of slums, global report on human settlement,

Londra, Earthscan Publications Ltd

• UN-Habitat, (2006) Nairobi: Urban Sector Profile, Nairobi

• United Nations, (2004), World population to 2300, New York, United Nations

• United Nations, Department of economic and Social Affairs, (2004), World

Urbanization Prospects: The 2003 Revision, New York,

http://www.un.org/esa/population/publications/wup2003/2003Highlights.pdf

• ZANOTELLI A., (2003), Korogocho. Alla scuola dei poveri, Milano, Feltrinelli

• ZANOTELLI A., (2008), Kenya:Guerra tra i poveri, in Il grido dei poveri,

mensile di riflessione non-violenta

Sitografia

• http://affordablehousinginstitute.org/

• www.korogocho.org

• www.uonbi.ac.ke/governance/history.php

• www.unimondo.org/article/view/157675/1/5033

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Indice Immagini

Grafico n° 1: The Urban and Rural Population of the World, 1950-2030........p 6

Figura n° 1: Incremento della popolazione mondiale urbana e rurale……….p 8

Figura n° 2: Densità della Popolazione a livello globale…………………….p 10

Grafico n° 2: La crescita della Popolazione di Nairobi, 1901 – 2007………...p 19

Figura n° 3: Nairobi: tetti di lamiera nello slum di Libera…………………..p 21

Figura n° 4: Veduta di Korogocho…………………………………………...p 25

Figura n° 5: Le fogne a cielo aperto………………………………………….p 26

Figura n° 6: Bambini del Korogocho Street Center Program………………..p 31

Figura n° 7: I bambini della scuola materna St. John………………………...p 33

Figura n° 8: Presenza etnica nelle 8 diverse provincie del Kenya……………p 35

Figura n° 9: Desiderio di cambiamento………………………………………p 36

Figura n°10: Disordini nello Slum di Korogocho……………………………p 38

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RINGRAZIA (MO) MENTI

Finire un lavoro di Tesi e di conseguenza il mio percorso di studi, non è solamente il

raggiungimento di un obbiettivo, ma diventa piuttosto un MOMENTO di cambiamento,

l’inizio di un nuovo periodo della mia vita, fatto di nuove e future esperienze, sogni,

incontri. La strada fatta finora, che mi ha portato fino a qua, è ricca di persone,

discussioni, litigate, confronti e tanta crescita. Questa tesi è stata il culmine di questa

parte di viaggio che è la mia vita, raccogliendo tanti di quei MOMENTI che mi hanno

portato ad essere come sono ora: sognatore ma consapevole che la bellezza e la

grandezza dei propri sogni sia totalmente legata all’impegno e alla voglia che bisogna

metterci affinché questi si realizzino.

Sono tante le persone che hanno contribuito a farmi capire come i MOMENTI belli

della vita siano quelli che, con fatica, ti fanno sentire soddisfatto; in modi molto diversi

ognuno ha aggiunto un pezzetto importante.

Papà Mario: perché cerca, credendo in me, di mettermi di fronte alla realtà, che spesso

cerco di evitare

Mamma Giglio: che mi ha fatto capire quanto sia fondamentale l’impegno di chi lavora

dietro le linee

Dani, Vale, Ali e Pietrino: perché le scelte che comportano più impegno e difficoltà

sono in fondo quelle che più soddisfano

La Robi: con cui ho avuto la fortuna di fare questo viaggio africano e con la quale mi

sono confrontato sulle disparità del mondo. Da Korogocho a Lamu, pochi chilometri

che racchiudono differenze e disuguaglianze enormi. E’ stato bello vivere questa

esperienza con te.

Le persone d’Africa, padre Daniele e Fabrizio Floris: persone che vivono ogni giorno

situazioni di povertà assoluta e nonostante questo, disponibili e capaci di aiutare chi

questo mondo vuole conoscerlo e tentare di capirlo. Persone che mettono i loro grandi

sogni a disposizione di chi non può permettersi di sognare.

Gli Amici: quelli con cui è più facile raccontarsi, mettersi a nudo e farsi capire

Il Kiki: perché si sa mettere in gioco e vuole che anche tu lo faccia. Per quella sera a

Monte, perché è stato un MOMENTO di vero cambiamento, senza mai lasciare che la

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pendenza influenzi il verso ( a Sem, che questa frase l’ha pensata e ci butta anima e

corpo per fare in modo che sia vera)

Sbrizio e la Ele: che sanno lanciarsi in scelte coraggiose per vivere a fianco della

persona che ami

Il Bertz: con cui è bello affrontare i MOMENTI divertenti e perché non mi fa mettere la

testa a posto

Bi: con cui ho capito cosa vuol dire costruirsi il proprio futuro, sia in un alba in mezzo

al Danubio sia una sera a Campsirago

La Lusy e la Vage: perché anche se le scelte e i MOMENTI ci hanno portato un po’

lontani, vi sento vicine

La Francy: perchè quello che c’è stato non è stato solo bello, ma lo tieni dentro e ti fa

pensare e crescere

Marco, Skazzo, Frà, Maurino, la Giò: per i discorsi e gli appunti, il br1 e il quinto piano,

i racconti, le prese male e i confronti. Amici veri con cui ho vissuto MOMENTI forse

brevi ma intensi

Miki, Mala e quelli del Basket: amici nuovi ma da cui è impossibile separarsi

Luigi e la Capanna, Ino e il Boe e le corse: perché ho scoperto quanto sia bello staccarsi

dal quotidiano, fare fatica su un sentiero, credere nei sogni e cambiare la propria vita a

quarant’anni (passati…). E poi dalla cima, giù veloce, rischiando un po’, ma con il

desiderio di fare sempre meglio

E poi Ire,Lemon (!!!), Ce, Billa, Linda, Giulia, Vala, Envi, Sel, Coto e il Ve amici vicini

e altri forse ormai lontani. Da tutti ho avuto qualcosa….

Gli Scout: perché sono tutto quello detto finora…discorsi, amori, amici, montagna,

fatica… MOMENTI…

Un ringraziamento particolare alla prof.ssa Maristella Bergaglio, che ha saputo

incentivare la mia voglia di riscoprire l’Africa, sperando che questo lavoro sia stata

un’occasione per far ripensare a luoghi visti e vissuti.

E un grazie all’Africa. Terra che ti fa vivere MOMENTI di rabbia, di gioia, di

desolazione e amicizia. Un paese dove c’è poco, ma c’è tutto. Sperando di poter passare

ancora su quelle strade rosse…un giorno