il golpe inglese

6
Questo libro Il colpo di stato più lungo della storia Questo libro si basa quasi interamente su documenti con- sultati negli archivi di Stato britannici di Kew Gardens, nei pressi di Londra, nel corso di ricerche durate anni. Centi- naia di lettere, cablogrammi, informative e analisi dell’in- telligence, della diplomazia, dei ministeri e dell’ufficio del premier. Rapporti classificati confidential, secret, top secret. Sono lì, a disposizione degli studiosi. Ma nessuno si era mai preso la briga di cercarli e di esaminarli nella loro totalità, con metodo. Soltanto il quotidiano «la Repubbli- ca», dopo il 2007, ha iniziato a pubblicarne alcuni impor- tanti frammenti. Eppure, è un materiale enorme, ricchis- simo. Per un ricercatore, è una vera e propria miniera d’oro che consente di ricostruire, per la prima volta in questo libro, quello che si potrebbe definire il colpo di stato più lungo della storia, perché durato oltre mezzo secolo: il «golpe inglese» attuato in Italia a partire almeno dal 1924 (anno del sequestro e dell’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti) fino al 1978 (anno del sequestro e dell’assassinio del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro). Non un rovesciamento repentino e violento di un governo da parte di un altro organo dello stesso Sta- to, secondo i classici pronunciamenti militari di stampo

Upload: staff-grillo

Post on 06-Mar-2016

218 views

Category:

Documents


4 download

DESCRIPTION

Questo libro apre uno squarcio importante nella storia del nostro paese e fornisce nuove chiavi di lettura ad accadimenti indecifrabili come il delitto Matteotti la morte di Mattei e quella di Moro. Dai DOCUMENTI DESECRETATI emerge con chiarezza che non è Washington a ordire piani eversivi per l’Italia, ma Londra. Ogni volta che gli italiani hanno provato a decidere del proprio destino, gli inglesi sono intervenuti. Una guerra devastante mai interrotta.

TRANSCRIPT

Page 1: Il golpe inglese

Questo libro

Il colpo di stato più lungo della storia

Questo libro si basa quasi interamente su documenti con-sultati negli archivi di Stato britannici di Kew Gardens, nei pressi di Londra, nel corso di ricerche durate anni. Centi-naia di lettere, cablogrammi, informative e analisi dell’in-telligence, della diplomazia, dei ministeri e dell’ufficio del premier. Rapporti classificati confidential, secret, top secret. Sono lì, a disposizione degli studiosi. Ma nessuno si era mai preso la briga di cercarli e di esaminarli nella loro totalità, con metodo. Soltanto il quotidiano «la Repubbli-ca», dopo il 2007, ha iniziato a pubblicarne alcuni impor-tanti frammenti. Eppure, è un materiale enorme, ricchis-simo. Per un ricercatore, è una vera e propria miniera d’oro che consente di ricostruire, per la prima volta in questo libro, quello che si potrebbe definire il colpo di stato più lungo della storia, perché durato oltre mezzo secolo: il «golpe inglese» attuato in Italia a partire almeno dal 1924 (anno del sequestro e dell’assassinio del deputato socialista Giacomo Matteotti) fino al 1978 (anno del sequestro e dell’assassinio del presidente della Democrazia cristiana Aldo Moro). Non un rovesciamento repentino e violento di un governo da parte di un altro organo dello stesso Sta-to, secondo i classici pronunciamenti militari di stampo

Page 2: Il golpe inglese

4 Il golpe inglese

sudamericano. Bensì il tentativo complesso e multiforme, per la durata e le tecniche utilizzate, attuato da una nazio-ne straniera, la Gran Bretagna, per condizionare la politica interna ed estera di un altro paese. Con l’obiettivo di tra-sformarlo in una sorta di protettorato, una base da cui favorire e proteggere le proprie rotte commerciali, a comin-ciare dalla più strategica: quella petrolifera.

Le mire britanniche sull’Italia nascono, si può dire, con la stessa Italia. Anzi, l’Italia e la sua unità politico-territoriale sono in qualche modo il prodotto delle ambizioni inglesi. Alla vigilia della faraonica realizzazione del canale di Suez da parte dei francesi, Londra intuisce le potenzialità di quella striscia d’acqua che consentirà di raggiungere in breve tem-po i propri possedimenti in Oriente senza doppiare il capo di Buona Speranza. Il canale viene inaugurato nel 1869; mentre un anno dopo, nel 1870, la regina Vittoria annette all’Impero britannico India, Pakistan, Birmania e Bengala. La Gran Bretagna comprende fin da subito l’importanza geopolitica della nostra penisola: collocata nel bel mezzo del Mediterraneo, e quindi delle linee di comunicazione Nord-Sud ed Est-Ovest, se controllata con sapienza, in un futuro non lontano consentirà il dominio di una delle aree più strategiche del mondo. E così avviene. In quel nuovo oriz-zonte, l’idea dell’unità italiana, che si realizza per lo più nel triennio 1859-1861, prende corpo soprattutto negli ambien-ti politico-diplomatici, militari e finanziari britannici. Gli inglesi hanno già una loro presenza economica in Sicilia, con forti interessi nell’industria dello zolfo e nella produzione del vino. Ora però accarezzano progetti ben più ambiziosi, e non solo appoggiano senza riserve i disegni di Giuseppe Mazzini e di Camillo Benso di Cavour, ma creano addirit-tura le condizioni per lo sbarco dei Mille a Marsala, guidato

Page 3: Il golpe inglese

Questo libro 5

dal massone Giuseppe Garibaldi, che da sempre mantiene assidue frequentazioni con l’Inghilterra.

Tuttavia, le loro idee sul futuro della penisola non sempre collimano con quelle di una parte delle classi dirigenti nostra-ne. L’Italia vista da Londra è uno Stato monarchico domina-to dalla dinastia dei Savoia e dalle famiglie aristocratiche a essa legate, sotto la discreta ma fortissima influenza anglofila. Uno Stato robusto al punto da riuscire a contenere l’espan-sionismo nell’Europa meridionale e nel Mediterraneo dei nemici storici degli inglesi: Austria, Francia e Russia zarista. Ma non tanto da potersi sottrarre alla tutela del governo di Sua Maestà britannica, minacciandone gli interessi.

Nei decenni successivi, la visione strategica di Londra finisce inevitabilmente per entrare in conflitto con le pul-sioni di una giovane nazione ansiosa di crescere e di rita-gliarsi un proprio spazio vitale. Accade all’inizio del Nove-cento. Quando, ormai al tramonto l’era del carbone, una nuova risorsa energetica determina lo scombussolamento di tutti i giochi politici e degli assetti geopolitici: il petrolio. Necessario come l’aria per lo sviluppo dell’industria, dei commerci e della macchina bellica, l’oro nero diviene al tempo stesso l’arma e la posta in gioco di ogni guerra, aperta o segreta che sia, combattuta con mezzi convenzio-nali o con metodi non ortodossi. Tutti i conflitti finiscono così per scaricarsi nell’area più ricca di quella risorsa, il Mediterraneo e il Vicino Oriente. L’importanza dell’Italia, dal punto di vista degli interessi britannici, appare ancora più evidente. E controllarne la vita politica interna, con-dizionarne la crescita economica, indirizzarne la politica estera diventa per Londra un’esigenza prioritaria. Tanto più che un nuovo nemico si è materializzato in Europa: il comunismo sovietico. E un nuovo concorrente si sta minac-

Page 4: Il golpe inglese

6 Il golpe inglese

ciosamente affacciando nell’area del petrolio: gli Stati Uni-ti d’America. Per il più potente impero coloniale della storia moderna, quindi, mantenere in pugno l’Italia, e dominare, attraverso questa, il Mediterraneo e la via d’ac-cesso al Vicino e all’Estremo Oriente, diventa addirittura una questione vitale, di sopravvivenza.

L’Italia non può essere autonona

Sin dal Risorgimento, attraverso il suo braccio massonico-finanziario e la sua rete d’intelligence, Londra esercita nel nostro paese un’influenza fortissima sull’aristocrazia, la politica, le forze armate, l’industria privata, l’informazione e la cultura. In virtù di tale autorità, contribuisce all’ascesa del fascismo e al suo consolidamento. Salvo poi provocar-ne la crisi, quando nel regime si manifestano tendenze a una politica energetica nazionale che minacciano gli inte-ressi britannici, e la sua caduta quando Benito Mussolini, una «creatura» inglese a partire dal 1917, tradisce i vecchi padroni finendo per schierarsi al fianco della Germania nazista nella seconda guerra mondiale.

Nell’ultima fase del conflitto, quando le sorti volgono decisamente a favore degli Alleati (perché dispongono di abbondanti risorse petrolifere, mentre quelle dell’Asse scar-seggiano), gli inglesi pensano già al dopo, alle nuove bat-taglie da combattere a partire dal 1945. E rafforzano la rete di influenza in Italia inglobando nella loro intelligence ambienti mafiosi e repubblichini, il cui apporto alla causa britannica sarà decisivo nei decenni a seguire. Conclusa la guerra, a differenza degli americani, Londra non considera gli italiani un popolo che ha combattuto per la propria

Page 5: Il golpe inglese

Questo libro 7

liberazione dal nazifascismo al fianco degli Alleati, ma come una nazione sconfitta. E dunque soggetta alle leggi dei vincitori. Il nostro paese non può avere un regime piena-mente democratico. Non può provvedere autonomamen-te alla propria sicurezza. E, soprattutto, non deve seguire una linea di politica estera basata su un proprio interesse nazionale. Quei divieti segreti, imposti nel 1945 dalla dottrina del leader conservatore Winston Churchill, ven-gono poi di fatto recepiti nel trattato di pace del 1947 e nelle clausole dell’Alleanza atlantica nel 1949: coperti da un manto di ipocrisia e di indicibilità, condizioneranno i rapporti tra i due paesi lungo l’intero arco della guerra fredda. E persino dopo la caduta del Muro di Berlino.

Nel dopoguerra, la storia dei conflitti invisibili tra Roma e Londra si snoda lungo un sentiero strettissimo. Delimi-tato, da un lato, dalle strategie di una gran parte della clas-se dirigente italiana, desiderosa di entrare a pieno titolo nel gioco delle grandi potenze economiche; dall’altro, dalla dottrina Churchill, con le sue successive rielaborazioni. La scaltrezza e le astuzie di una nazione bisognosa anch’essa di espandere i propri mercati e di affrancarsi dalla dipendenza energetica si scontra quindi con il cinismo e le furbizie di Sua Maestà britannica. In questa partita a scacchi all’ultimo sangue, si misurano così le aspirazioni di un paese giovane – che è pronto a sfruttare ogni varco, ogni occasione per emergere – con gli interessi di una gloriosa potenza colo-niale in declino, che mette in campo la sua rete d’influenza e le sue quinte colonne, sempre pronte a scattare al minimo segnale di pericolo. È una storia che corre continuamente sulla lama di un rasoio. Chiunque, nel ceto politico o indu-striale italiano, osi disubbidire alle regole segrete della dot-trina Churchill, si chiami Enrico Mattei o Aldo Moro, è

Page 6: Il golpe inglese

8 Il golpe inglese

considerato dagli inglesi alla stregua di un nemico mortale. Da combattere con ogni mezzo.

A raccontarcela per la prima volta in modo organico, questa storia, ora sono gli stessi britannici. Attraverso le loro carte segrete. E leggendo i documenti non si può fare a meno di pensare al modo in cui gran parte del mondo politico, degli ambienti intellettuali e dell’informazione italiani tendono ancora oggi ad affrontare i nodi della nostra storia. «Non c’è più niente da sapere!» Lo abbiamo sentito dire troppo spesso, sui giornali o dagli schermi televisivi. E da accreditati opinionisti che hanno «occupato» ogni spazio dedicato alla memoria per imporre la loro chiave di lettura, ripetuta come un mantra: tutto è nato, si è svilup-pato e si è consumato esclusivamente dentro i nostri con-fini, senza alcuna responsabilità di menti e mani straniere. Come se l’Italia fosse un’entità a parte, isolata da un con-testo più ampio, e non interagisse con il resto del mondo, a cominciare da quello più vicino.

È un limite culturale, un macigno calato sulla via della comprensione degli aspetti indicibili della nostra storia: si poteva dire all’opinione pubblica, per esempio, quanto le vicende interne italiane fossero condizionate dalla dottrina Churchill? Ma se da parte del ceto politico e di governo ci si può anche aspettare un atteggiamento «omertoso», maga-ri giustificato dalla ragion di Stato, dagli uomini dell’in-formazione e dagli intellettuali no. Questi hanno il dovere di aprire le menti a nuovi orizzonti: se invece loro per pri-mi si rifugiano in quel «non c’è più niente da sapere», vuol dire che nel sistema c’è qualcosa di profondamente sbaglia-to. E non sempre si può spiegare tutto alla luce del «limite culturale». A volte può essere semplicemente cattiva coscien-za. Ma non è un’attenuante. Semmai un’aggravante.