il libro della vita

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di Luca Ventura, fantasy per ragazzi

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Luca Ventura

Il Libro della Vita

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IL LIBRO DELLA VITA Copyright © 2010 Zerounoundici Edizioni

Copyright © 2010 Luca Ventura ISBN: 978-88-6307-324-9

In copertina: Shutterstock.com

Finito di stampare nel mese di Novembre 2010 da Logo srl

Borgoricco - Padova

A Barbara per aver ritrovato le bozze della prima versione del libro

a Rosella

per avermi accompagnato a spedire il contratto

a Ilaria per avermi prestato il portatile per lavorare all'ultima versione

a Pigi

per la chiavetta Internet per spedire il file definitivo

a Tina per il meraviglioso lavoro di editing svolto

a Sara

che crede in me più di quanto faccia io stesso.

Perché un libro non è mai opera del solo autore, ma somma di tutte le piccole azioni delle persone che gli sono intorno e che gli permettono da una piccola idea di realizzare una grande storia.

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1. IL MIO LIBRO DELLA VITA È una mattina come tante altre e non ho alcuna voglia di alzarmi quando la sveglia suona. Alzo lentamente la serranda della mia camera e da fuori entra una bella luce forte, il sole brilla alto in questo giorno di maggio e l’azzurro del cielo mette di buon umore, qualche sperduta nuvoletta vaga felice dandomi un meraviglioso senso di libertà. La strada per arrivare a scuola è lunga ma questo non è un problema dato che mi permette ancora per un po’ di ammirare il cielo e sognare di essere una di quelle splendide nuvolette, magari quella che così bianca sembra un coniglietto o una bella coppa di panna montata. Purtroppo so che la meta della mia camminata si avvicina finché alla fine mi si para davanti il vecchio edificio della scuola media. Un velo di sconforto mi prende quando saluto la nuvoletta che mi ha accompagnato fin qui e che ora se ne vola via felice mentre a me non resta che entrare. Le ore di lezione scorrono leggere. L’aria comincia a scaldarsi ma ancora non si suda, non ci sono interrogazioni nell’aria e tutto sembra essere fatto apposta per conciliare il sonno. Persino la voce del vecchio professore di italiano, che sta spiegando latino (secondo me lo fa perché è la sua madrelingua), è ancora più cantilenante del solito al punto che sembra mi stia cantando una ninna nanna piuttosto che stia cercando di insegnarmi qualcosa. Recupero un po’ di sonno dormendo appoggiato sul banco esibendomi nella mia miglior interpretazione di uno studente intento ad ascoltare. Nessuno lo nota ma sinceramente non so se ci sia qualcuno sveglio in questa classe, ho persino dubbi che il professore in questo momento sia sveglio (magari quello che sento non è latino, è solo il suo buffo modo di russare). Le ore che seguono sono tutte di spiegazioni perciò quando suona l’ultima campana mi stiracchio un po’ come se mi fossi appena svegliato (in effetti…), prendo le mie cose dal banco e con una calma tipica della primavera mi avvio tranquillo verso la fermata

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dell’autobus… in fondo un giorno senza interrogazioni è un giorno fortunato! Appena il meraviglioso cielo smette di essere coperto dalla terrificante immagine della scuola mi immergo nella ricerca della nuvoletta di stamattina (chissà se, dopo avermi accompagnato, è anche venuta a riprendermi), così cado nell’errore tipico di chi cammina guardando il cielo: un tombino aperto. È un attimo e scompaio nel buco, solo che, invece di sbattere a terra come mi aspettavo, continuo a cadere. Una sensazione strana, cadere senza toccare mai il fondo. Cadere e cadere. Senza arrivare mai a terra. Quanto sarà passato? Dieci, venti minuti? Quasi la paura lascia il posto alla noia che alcune candele compaiono ai lati del pozzo, dandomi così l’idea della mia velocità pazzesca. Cadendo a terra in questo modo servirà un cucchiaino per riprendermi! Ogni volta che scorgo una luce in basso penso che sia il fondo, in un modo o nell’altro la fine della mia caduta, invece è solo la candela successiva. Alla fine eccola, laggiù: una luce grande e bella, il fondo. Paura, paura e paura, sto per arrivare a terra! A questa velocità! Chiudo gli occhi. Passano secondi che sembrano eterni, poi li riapro. Mi guardo le mani: sono ancora attaccate alle braccia, e le braccia ancora al corpo. Mi controllo un attimo, direi che sono intero. Sono intero e non tocco il pavimento, c’è un getto d’aria che ha attutito la caduta e che mi sostiene. In alto vedo l’immensità del pozzo nel quale sono caduto; nel buio spiccano solamente le candele che sono poste ai lati ma da qui riesco a vederne solo un paio; in basso c’è il pavimento in questo punto pieno di buchi da cui esce l’aria che mi sostiene. Riesco, non senza difficoltà, a scendere (ma non esisteva un modo più facile per fermare la caduta? Che so, un bel materasso, sarebbe stato molto più facile scendere!) e mi trovo davanti una grotta buia, nessuna traccia della luce che avevo visto prima. Anzi no, è lì, sembra che si sia spostata in fondo alla galleria. La grotta è molto grande e tetra, il soffitto è alto e tutte le pareti sono di un brutto marrone scuro che puzza di muffa; la luce viene solamente dal fondo della grotta che non vedo ma riesce a illuminare molto bene il punto in cui mi trovo. In fondo il luogo dove sono è un misto fra l’ambientazione di un film horror e la grotta dei sette nani; dal soffitto spuntano radici di alberi e tutto è avvolto dal più nero silenzio, rotto

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solo dal rumore di acqua che cade dal soffitto in terra e si infrange al suolo come gocce di cristallo. Il pavimento sembra marmo bianco, ingiallito dal tempo, e le gocce che cadono dal soffitto hanno scavato dei piccoli solchi nei quali scivolano fino a cadere in qualche crepa (un posticino allegro insomma…). Certo che ho paura, mi sembra ovvio, sento i brividi lungo la schiena! Tento di convincermi che è solo causa del freddo ed avanzo, in fondo rimanere qua non serve a molto, a meno che non voglio passare alla storia come l’ottavo nano in un film horror. Man mano che cammino vedo la luce che si avvicina, eppure la grotta diventa sempre più buia (o forse è la mia paura che cresce e scurisce tutto?). Un gran rumore mi fa sobbalzare, mi giro spaventato, ma su di un muro vedo l’ombra di un topolino che corre. È lui la causa! (ma da dove esce l’ombra se non vedo fonti di luce?). Mentre me lo domando il topolino mi passa davanti, terrorizzato. È immenso. Non come un cane, diciamo grande come un pony. Mentre mi chiedo cosa può averlo spaventato così tanto, la risposta mi passa davanti: un gatto grosso quanto un elefante che lo insegue. Sono entrati da una porta alla mia sinistra che non avevo notato, ed escono da una porta alla mia destra, che si richiude appena sono usciti. Guardo a sinistra: la porta non c’è più. Guardo a destra: idem. Mi avvicino al muro alla mia sinistra, lo tocco ma non c’è nessun segno di un’apertura, nulla di nulla la parete è integra ed è un pezzo unico. Un po’ scoraggiato vado a vedere dalla parte opposta ma il risultato è lo stesso, il muro non ha nessun segno di un’apertura (o hanno trovato un nuovo antifurto perfetto, che oltre a chiudere la porta la fa anche sparire, o c’è decisamente qualcosa di strano in questa grotta). Proseguo (d'altronde, che altro dovrei fare?) e la triste grotta lascia il posto ad un bel corridoio, le pareti marroni vengono sostituite da mattoni di un rosso scuro. Non ancora un castello, ma ci stiamo avvicinando. Avanzo, ma quando arrivo a metà il pavimento comincia a crollare (peccato, piastrelle di un rosso scuro, con un po’ di disegni vari, non erano brutte). Faccio una corsa e riesco ad arrivare alla fine del corridoio prima di fare la fine del pavimento, ma mi guardo alle spalle e vedo che non ho nessun modo per tornare indietro… l’unica possibilità è proseguire. Avanzo ancora nell’oscurità ma stavolta la luce davanti a me comincia ad illuminare il corridoio, che è rimasto identico al punto che è crollato

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solo che il pavimento è tornato del triste marmo bianco della grotta, fino ad esplodere in un lampo di luce che mi accoglie in una sala sfarzosa, stavolta sì degna di un castello, anche se con le pareti completamente spoglie. Appena i miei occhi si abituano al forte cambio di luce mi guardo attorno, qui il soffitto è molto più alto e di un bel bianco ben curato, stessa cosa le pareti che sono però ornate da disegni concentrici di un rosso scuro simile a quello dei mattoni. I disegni non hanno una logica, li osservo un po’ a bocca aperta prendendo un punto di riferimento e seguendo per un po’ un tratto ma non ci riesco, abbasso lo sguardo e allora lo noto: al centro della sala troneggia, come lo scettro scintillante di un re d’altri tempi, un leggio d’oro tempestato di gemme. Sopra, chiuso, un libro antico con la copertina spessa, marrone scuro, con attaccato un fregio con la forma di un corpo umano senza braccia, gambe e testa. Ormai sono arrivato fin qui, apro il libro senza esitare, alla prima pagina leggo: "NON FAR VOCE E NON FAR ARRIVARE VOCE A CHIUNQUE DEL PROPRIO DESTINO, ALTRIMENTI DIMENTICHERAI TUTTO CIO' CHE E' SCRITTO SU QUESTO LIBRO E QUESTO SCOMPARIRA’" Ho un brivido lungo la schiena. Un po’ intimorito apro il volume e la sua stranezza mi colpisce subito, non solamente per l’effetto che mi fa sfogliarlo ma soprattutto per quello che c’è scritto al suo interno: in ogni pagina ci sono il nome ed il cognome di una persona e c'è scritta la sua vita per filo e per segno. Rimango perplesso, scorro le pagine ed alla fine decido di prendere il libro, lo infilo nel mio zaino e cerco una via d’uscita, ma in questa stanza non ce n’è. L’unico ingresso è quello da cui sono passato io e questa stanza è la fine della galleria, dato che non ho incontrato nessuna deviazione venendo qui. L’unica possibilità è tornare indietro anche sapendo che non ha molto senso dato che il pavimento è crollato, ma forse rimanere qui per sempre ne avrebbe? Comincio così a ripercorrere la strada lentamente, un po’ ciondolando come se il mettere più tempo possibile fra me e quel pavimento gli desse il tempo di ritirarsi su e di permettermi di uscire. Istintivamente metto una mano sullo zaino; quello strano, stranissimo libro mi mette i brividi eppure mi attira in modo molto forte. Possibile che sia veramente quello che ho visto? Possibile che ci sia scritta veramente la vita delle persone? Permetterebbe di scoprire molti misteri del passato, se poi ci fosse anche il futuro…

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Ma rimango a bocca aperta, i pensieri in un colpo immobili: il corridoio che prima era crollato ora è di nuovo in piedi, davanti a me. È questo per forza dato che il pavimento è di un colore totalmente diverso dal resto ed è impossibile confonderlo. Stando ben attento a restare sul bianco mi chino e tocco con la mano quel pezzo di corridoio rosso. Sembra solido. Ci batto col pugno un paio di volte, dal rumore sembra reggere e sicuramente non è un’illusione. Mi rialzo e rimango per un momento a guardarlo, è un tratto di almeno una ventina di metri; prima ero riuscito a salvarmi solamente perché quando aveva cominciato a cadere ero già quasi alla fine, se cedesse troppo presto non avrei modo di salvarmi. Resto per un po’ lì a soppesare la situazione, poi decido che in fondo non ha alcun senso rimanere lì immobile, tornare nella stanza dov’era il libro ne ha ancora meno così muovo il primo passo. Solido. Il pavimento resiste. Muovo il secondo, il mio peso è tutto sopra le mattonelle rosse ma non succede nulla. Muovendomi svelto, ma cercando di non fare passi pesanti, mi incammino per il corridoio. Sono precisamente a metà, tutto è stabile. Mi guardo indietro: una decina di metri. Mi guardo avanti: una decina di metri. Allungo il piede per un nuovo passo e tutto trema, e crolla. Stavolta non ho il tempo di lanciarmi di corsa per non precipitare. A dirla tutta non ho neanche il tempo per decidere da quale dei due lati mi conviene correre che mi manca la terra sotto i piedi, chiudo gli occhi. Ancora una volta in questa avvincente mattinata apro gli occhi, mi guardo ed il mio corpo è tutto intero. Ancora una volta sto galleggiando a mezz’aria, solo che stavolta non c’è nessun getto d’aria a sostenermi! Sono lì, in mezzo ad un pavimento crollato in una grotta chissà quanti metri sotto la mia scuola e galleggio in aria! La situazione è talmente strana che per un attimo rimango a bocca aperta guardando il nero vuoto sotto di me, poi sinceramente mi stufo di quella situazione e cerco di trovare la maniera di muovermi. L’unica che mi viene in mente è tentare di nuotare fino a raggiungere la riva del pavimento bianco integro, e così faccio. Non è facile ma pian piano trovo il modo e riesco ad arrivarci. Appena poggio i piedi a terra tiro un sospiro di sollievo, mi sento decisamente più al sicuro così.

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Guardo indietro ed il pavimento rosso si sta ricreando, ma non me ne curo e ricomincio a camminare in avanti velocemente. Superato senza brutti incontri il punto contenente le porte fantasma (ammetto che mi sono nuovamente messo a cercare aperture senza trovarne) mi trovo di fronte al punto di partenza della mia esplorazione: la base del pozzo nel quale ero caduto. Vedo a terra i buchi da cui esce l’aria, ne sento il rumore ma evito di avvicinarmi troppo in quanto esce ad una forza veramente notevole e non vorrei finire di nuovo in cima al gettito. Non vorrei proprio… (o forse sì?). Nella mia mente comincia a formarsi un’idea su come risolvere il problema dell’uscita da quel pozzo: a quanto pare (non so perché ed ora scoprirlo è l’ultimo dei miei problemi) prima quando è crollato il pavimento io sono rimasto a mezz’aria, in pratica ho volato (ci sono veramente molte cose strane in questa grotta, ma questa le batte proprio tutte), certamente non sono in grado di volare fino alla cima del pozzo, a meno che… A meno che non usi il getto d’aria come slancio, e con quello voli in alto! È un vero azzardo ma sinceramente nella mia testa scarseggiano idee dotate di buonsenso ed al massimo il peggio che mi può capitare, se il volo di prima fosse stato solo un caso o un’allucinazione, è di precipitare di nuovo e trovarmi come prima sospeso grazie al getto d’aria, perciò perché non tentare? Faccio un bel respiro e mi lancio nel getto d’aria che come una fionda mi spara verso l’alto. Nel momento in cui sento che la forza d’inerzia diminuisce cerco di concentrarmi, inizialmente mimo goffamente una nuotata ma poi sento che effettivamente la spinta che mi porta verso l’alto aumenta, così tiro le braccia indietro e sento l’aria sempre più fresca che mi sbatte in faccia; sento la velocità che aumenta e le candele che scorrono sempre più veloci poi spariscono dai lati del pozzo, sento che riesco a controllare il volo, cerco di aumentare la velocità, cerco il limite… ma non lo trovo perché sbuco fuori. Sono in strada e tutto è esattamente come lo avevo lasciato: le persone che aspettavano l’autobus, la nuvoletta che mi augurava buon ritorno a casa, persino il mio corpo, un attimo prima del passo che mi aveva fatto cadere nel tombino, è lì davanti a me; tutto immobile, tutto in bianco e nero. Mi avvicino al mio corpo incuriosito e spaventato e ne vengo risucchiato; tutto ricomincia a muoversi come se niente fosse successo, ma ho il libro in mano.

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2. IL SECONDO LIBRO DELLA VITA Il ritorno a casa è stato molto diverso rispetto all’andata, stavolta corro! Tengo tra le mani un libro che ho trovato su un piedistallo dorato in un pozzo sotto ad un tombino aperto, solo che dopo che ho ripreso possesso del mio corpo l’apertura era chiusa! E sì che ho controllato, mi sono fermato e inginocchiato sul marciapiede provando ad aprirlo ma non si è mosso di un millimetro e non sembrava proprio possibile che un attimo prima io ci fossi caduto dentro. Però in mano ho il libro! Lo tengo stretto come se fosse la schedina vincente del totocalcio e non vedo l’ora di arrivare a casa per aprirlo, per cercare di capire cosa c’è veramente scritto dentro! Apro la porta in fretta; nessuno è in casa oggi ma il pranzo aspetterà perché ho cose ben più importanti da fare: entro in camera, getto lo zaino in terra mi fiondo sul letto e finalmente apro il libro. Lo so che avrei anche potuto cominciare a leggere il testo per strada ma sento che è troppo prezioso per farlo vedere al mondo, mi son curato di non farmi notare da nessuno tornando a casa anche perché avrei avuto paura, se mi avessero chiesto qualcosa, che il libro sparisse. Le mani che tremano un po’ sono l’unica traccia della paura di prima, ora sento solo un’immensa curiosità per quello che ho in mano. L’avvertimento troneggia sempre nella prima pagina, lo osservo un momento timoroso ma poi faccio un cenno di assenso con la testa e subito scorro le pagine e le studio. I nomi sono scritti in ordine alfabetico e la prima cosa che noto è che sono tutte persone nate in Europa. Non so se faccio bene o se contravvengo alla regola in prima pagina ma la curiosità è troppo forte così cerco il mio; sfoglio le pagine, con curiosità ma sempre più velocemente mentre mi avvicino alla mia lettera, al mio nome… che non c’è! Al suo posto c’è quello di Henrikis Rick! Ma perché non c’è il mio nome? Possibile che su un libro di questo genere ci sia un errore? Forse… forse se io ho la biografia di questo ragazzo, lui avrà la mia. Chiudo un momento il libro. Due cose mi hanno colpito ma devo tenere un attimo il libro chiuso in mano fissandone la copertina per capirle.

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La prima è che il nome di quel ragazzo è totalmente fuori dall’ordine alfabetico, è inserito dove doveva trovarsi il mio! La seconda cosa è che è una persona nata in America, più precisamente negli Stati Uniti. Apro il libro e trovo nuovamente il suo nome, non leggo niente della sua vita ma, da un’occhiata veloce, non è presente nessun recapito né nessun modo dove rintracciare il ragazzo, tranne il nome del paese dove vive. Ha la mia stessa età. Comincio subito una ricerca basandomi solamente sul nome del suo luogo d’origine che scopro essere un piccolo paesino situato nella zona centrale del Texas, uno degli stati più a sud. La sua cittadina conta poche centinaia di abitanti dato che, dopo un fiorente periodo in cui era tappa necessaria per attraversare le zone desertiche per andare da una costa all’altra, con l’introduzione degli aeroplani ha perso ogni interesse ed è stata abbandonata da quasi tutti i residenti; sono rimaste solamente le famiglie che possiedono i pochi pascoli nelle vicinanze. Purtroppo non riesco a trovare nessun elenco telefonico e niente che mi permetta di contattare questo ragazzo legato a me in un modo che non riesco ad immaginare. Non so perché io abbia questo libro, non so cosa significhi eppure se al posto del mio nome c’è il suo devo trovarlo per sperare di avere risposte alle domande che questo volume nelle mie mani mi ispira, scoprire se anche lui ha un libro come questo. Dovrei forse andare lì? Mi sembra un’assurdità, prendere ed andarsene in America a cercarlo? E poi in che modo, con quali soldi… L’idea viene in un lampo, talmente veloce e talmente folle da farmi decidere all’istante che è proprio la pensata che fa per me: volare fin da Rick. Non con aeroplani, ma cercando di imparare bene a volare come ho fatto nel corridoio di quella grotta, se è possibile. Esco nuovamente di casa; quando passo davanti alla porta della cucina il mio stomaco mi ruggisce contro ma in questo momento il pranzo è l’ultima cosa che mi interessa. Sul retro della mia casa c’è un grosso spiazzo abbandonato, anni fa avevano spianato tutto quanto per costruirci un palazzo ma i lavori sono fermi così da allora. Ho portato con me il libro. Lo poggio su un mucchio di mattoni, mi sposto al centro dello spiazzo e mi concentro per sollevarmi in aria. Non succede nulla.

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Mi sistemo un momento, faccio un respiro profondo, chiudo gli occhi e sento l’aria attorno a me, cerco di immaginarla solida come acqua e penso di starci nuotando in mezzo. Faccio un salto e cerco di spingermi verso l’alto. Il tonfo del mio sedere sulla terra indica che non ho avuto successo. Faccio un colpo di tosse imbarazzato come se lì ci fosse stato pubblico, ma mi guardo intorno e per fortuna non c’è nessuno in vista. Cerco nuovamente di concentrarmi, tento di ricordare cosa ho provato, tutte le sensazioni che avevo quando il pavimento è crollato e quando sono volato su per il pozzo e faccio un nuovo salto. Non succede nulla. Do un calcio ad un sasso che è li vicino e torno a prendere il libro. “Ma che c’è che non va adesso? Ho forse troppa fame? Eppure prima ho fatto proprio così…” l’ultima parola mi muore in gola, sento il terreno staccarsi da sotto i miei piedi. Rimango a bocca aperta, allento la presa della mano ed il libro mi scivola, ma il tonfo della sua caduta a terra è coperto del tonfo della mia caduta a terra. “Ma allora… sei tu?” faccio al libro guardandolo storto. Non mi risponde. Lo prendo in mano, mi concentro e nuovamente mi stacco da terra. Torno a terra, lo poggio e riprovo. Non succede nulla. Guardo nuovamente il libro. Eh si, a quanto pare è proprio lui. Le vacanze estive… il caldo, il sole, il mare, i voli notturni… soprattutto questi ultimi dato che ho passato praticamente tutta l’estate ad esercitarmi a volare! I primi tempi esercizi semplici qui nel cantiere la sera, col cane che mi guardava molto seccato dal fatto che invece di portarlo a spasso e fargli godere il fresco lo portassi sempre in questo posto privo di odori interessanti da annusare e di qualsiasi altra attrattiva per fargli vedere come sono bravo a volare. Ma poi le cose sono cambiate, una volta presa confidenza col potere del libro, che è sempre nel mio monospalla beige che diventerà il mio più fidato compagno di viaggio, ho cominciato ad esercitarmi per coprire distanze più ampie; non posso attraversare un oceano senza avere la certezza della velocità che posso raggiungere, di quanto tempo ci impiegherò prima di rivedere la terraferma e di quanto posso volare senza crollare. Non è particolarmente faticoso fisicamente ma richiede una concentrazione notevole (una volta per raccogliere una sfida che mi sembrava mi avesse lanciato un piccione per poco non precipitavo!).

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Lo ammetto: non è stata un’estate come le altre ma oggi, il primo giorno di scuola, sono pronto a partire (ammetto che il giorno non è stato scelto casualmente…). Niente libri di scuola nello zaino ma un cambio di vestiti, il libro che mi permette di volare e che mi farà da guida, un po’ di provviste. C’è un bel cielo stamattina, niente nuvole. Sono pronto a volare nell’azzurro. Un biglietto sul mio cuscino avverte della mia partenza “Sto andando a fare un viaggio molto importante ma torno presto, non preoccupatevi” (“non preoccupatevi”… come se fosse possibile! Sono preoccupato anche io per quello che mi aspetta!). La frangetta dei capelli biondi che finisce davanti agli occhi, che fastidio! “Forse dovrei tagliarli; ormai sono quasi due mesi che mi alleno a volare in questo squallido cantiere abbandonato con vista sul deserto ed ogni giorno rischio di cadere per colpa dei capelli che mi finiscono negli occhi! Come se non bastasse il vento e tutta questa polvere! Il viaggio che mi attende è bello lungo; su quello stranissimo libro che ho trovato, con sopra un braccio destro, c’è la vita di tutti gli abitanti Americani tranne la mia! Al suo posto c’è il nome di quel ragazzo nato in Africa… chissà chi è… non so perché, non so cosa sia quel libro però sento che è una cosa importante e che devo andare a cercarlo per scoprire qualcosa, e poi se io ho la sua vita è probabile che lui abbia la mia!” Così pensava Rick, volando rasente lo scheletro di un grattacelo che doveva diventare il centro economico della sua cittadina, e che invece era stato abbandonato diversi anni prima, lasciando quella struttura come monumento alle opere iniziate e mai finite. Una volta in cima si ferma ad ammirare il panorama per un attimo, il deserto rosso che si perde a vista d’occhio; poi sente forte sulla pelle il vento, si sistema nuovamente la frangetta, piena di quella terra fina che gli si infila sempre nei capelli, infine guarda per un attimo in basso e si lancia in picchiata. Accelera avvicinandosi a terra per poi virare bruscamente per evitare l’impatto, piroetta e risale velocemente con gli occhi socchiusi per l’alta velocità, sta per lanciarsi nuovamente in picchiata quando si ferma improvvisamente, a bocca aperta. Davanti si trova un ragazzo immobile a mezz’aria come lui che lo guarda sorridendo, con capelli neri arruffati sulla testa, due occhi

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azzurri lucenti, uno zaino sulle spalle ed un libro identico al suo in mano. “Ciao, tu devi essere Rick.” Esordisco guardando questo ragazzo decisamente più alto di me, abbastanza magro e con i capelli lunghi biondi con una frangetta che quasi gli copre gli occhi, un paio di Jeans strappati sulle ginocchia ed una maglia nera addosso. “Allora tu sei Nadir?” Risponde lui riprendendosi dalla sorpresa. “No” lo guardo strano “Sono Daniele, vengo dall’Italia; ho trovato un libro con un corpo disegnato e la descrizione della vita di tutte persone nate in Europa, solo che sul mio libro, invece di esserci la mia vita c’è la tua!” “Sul mio libro c’è un braccio destro, la vita di tutti gli Americani, ed al posto della mia c’è la storia di un ragazzo Africano.” Rimango per un momento a bocca aperta fissando il libro che Rick tiene in mano mostrandomi la copertina con il braccio. “E così non siamo soli… ero convinto che i libri fossero solo i nostri due, e che le nostre storie fossero state invertite, invece a quanto pare la ricerca si allarga fino all’Africa…” poi, squadrandolo un po’ “come te la cavi col volo?” “Bene, sono quasi due mesi che mi alleno!” “Ti alleni per andare a cercare quel Nadir?” “Esatto.” “Be’, a quanto pare non sarai solo nel tuo viaggio, voglio scoprire anche io cosa c’è dietro questa storia e di certo non sono arrivato fin qui per fermarmi. Ho trovato il libro un mese prima di te, se vuoi possiamo allenarci al volo un po’ di tempo insieme e poi partire, appena ti sentirai pronto. Sulla strada dovremmo trovare qualche isola, il viaggio dovrebbe essere più agevole rispetto a quello fatto da me per arrivare fin qui.” Atterriamo e ci dirigiamo verso casa sua. Il paese è veramente piccolo tanto che non mi rendo neanche conto che nel momento in cui lungo la strada comincia a vedersi qualche costruzione isolata ci siamo dentro, finché Rick non comincia ad illustrarmi le bellezze della cittadina. Trattengo un momento un commento sul genere di “Questa sarebbe la cittadina? Credevo che dovessimo ancora arrivarci” quando lo sento dire “eccoci qua.”

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Non è una reggia ma al confronto delle altre costruzioni questa le somiglia molto. È una casa di sicuro molto vecchia, una facciata bianca con un piccolo portico con un dondolo e la grande porta d’ingresso. Entriamo e mi stupisco di trovare una persona che prende la sua giacca per riporla e cerca di fare altrettanto col mio zaino, che non le lascio toccare. La porta di casa immette in un grande atrio da cui parte una scalinata coperta da un pesante tappeto rosso che porta alle camere al piano superiore, mentre le due porte che si aprono ai lati portano una alla sala da pranzo, l’altra alle stanze della servitù: una cameriera ed un cuoco. I suoi genitori tornano a casa la sera e li conosco a cena, ma nel frattempo sono stato già sistemato in una camera al secondo piano in fondo al corridoio. È evidente che la famiglia di Rick non se la passa male, probabilmente sono tra le famiglie che possiedono i pochi pascoli qui intorno. “Come mai dato che sei ricco non sei andato in Africa in aereo?” Esordisco incuriosito, in fondo io avevo preso in considerazione questa ipotesi. “Ci avevo pensato ma ho lasciato perdere per un paio di motivi: il primo è che in quel modo dalla compagnia aerea chiunque sarebbe stato in grado di scoprire dove ero andato, ma soprattutto ho pensato che se il libro mi da la possibilità di volare ci deve essere un motivo, altrimenti avrei trovato un biglietto aereo nelle pagine!” (in effetti non fa una piega…). Mentre parliamo arriva la cameriera nella camera di Rick, dove mi sono sistemato sul letto per riposarmi dal lungo volo, che ci informa che la cena è pronta e che i genitori di Rick sono ansiosi di conoscere il nuovo ospite. Non starò qui a raccontarvi cosa si è mangiato o com’è stato mangiare in una casa con una persona che girava attorno al tavolo e riempiva i bicchieri appena vuotati, però merita veramente nota quello che Rick ha raccontato ai genitori: “Vi ricordate quando ho fatto la gara di nuoto lo scorso anno in città? Oltre alle gare locali a cui ho partecipato io c’erano anche atleti internazionali venuti per una dimostrazione e che poi sono andati qui vicino per delle gare dei mondiali. Ebbene, lui è stato uno dei più bravi! Pensate che, non ve lo avevo raccontato per non farvi preoccupare ma ora che c’è lui non posso non dirvelo: dalla tensione quando ero in acqua per il riscaldamento mi è venuto un crampo e lui è stato il primo

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ad accorgersene, era vestito ma appena ha visto che avevo un problema non ha esitato a tuffarsi e venire ad aiutarmi!” Silenzio stupefatto e sguardi di ammirazione nei miei confronti (io non so neanche nuotare…). “Poi per fortuna è andato tutto bene ma dopo la gara, quando ero seduto a guardare le altre categorie lui è venuto vicino a me per chiedermi se era tutto ok ed abbiamo cominciato a parlare, e così siamo diventati amici!” “Ed ora come mai è da queste parti?” Io ero totalmente immerso nella cena dato che l’unico panino che mi ero portato da mangiare mi era caduto nell’acqua mentre tentavo di scartarlo (ma questo non lo rivelerò mai a nessuno…) così quando ho alzato lo sguardo per il silenzio che si era creato sono rimasto di sasso vedendo che tutti mi guardavano. “Ehm…” “Dicevo, come mai è di nuovo qui? Per un'altra gara?” “Esatto, l’anno scorso c’è stato un buon successo di pubblico per le gare così quest’anno si è deciso di replicare.” Guardo Rick che mi annuisce. “E come mai non hai partecipato Rick caro?” “Quest’anno c’è stata solamente l’esibizione.” “Capisco.” Il resto della cena per fortuna è scivolato via senza troppi intoppi. Delle due settimane di allenamenti fatte insieme in realtà una sola vicenda merita di essere raccontata: era il terzo giorno, forse il quarto, stavamo facendo una pausa nell’allenamento. “Complimenti, ne hai veramente di fantasia!” “Anche tu non te la cavi male!” “Solo per colpa tua! Un campione di nuoto, io che non so neanche nuotare! L’idea che ti ho salvato in piscina…” “Hai visto come ti hanno guardato i miei? Sei il loro eroe!” “Già, peccato che ogni giorno mi chiedano di altre gare e di altre imprese! La mia fantasia ha un limite!” “Be’ dai che non te la cavi male. Tra l’altro sei anche bravissimo a parlare Americano, non si sente neanche un accento fuori posto! Lo parli talmente bene che i miei hanno creduto veramente che per un periodo hai vissuto qui per allenarti.” “No aspetta un attimo, come il mio Americano? Vorrai dire che voi siete bravissimi a parlare Italiano!”

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Mi guarda strano alzando un sopracciglio: “Scusa in che lingua credi di star parlando adesso?” “Nella mia!” Dico allargando le mani davanti a me, come a dare più enfasi alla frase. “Strano perché io ti sento nella mia. E stai certo che io di Italiano non conosco una parola.” “Ma…” Balbetto io prima di rimanere in silenzio, come Rick. D’un tratto ci giriamo entrambi verso i libri, poi ci guardiamo e li guardiamo di nuovo. Lascio il mio libro, mi allontano di alcuni passi e parlo. Lui scuote la testa e dice qualcosa in una lingua incomprensibile. Mi riavvicino e prendo il libro, guardo Rick ma non c’è bisogno di parlare. Dopo due settimane di allenamento e di ricerche partiamo. Anche su Nadir non sappiamo nulla se non il nome della città dove vive, che ho letto io per evitare che Rick potesse leggere qualcosa di troppo e svelare poi qualcosa sull’incontro di questo ragazzo egiziano con noi. Dopo una breve ricerca abbiamo scoperto che la città dove vive è alla periferia di una grande città sul Nilo, non resta perciò che recarci lì. Ci siamo esercitati molto insieme per riuscire a volare vicini; una volta partiti troviamo la nostra velocità di crociera e riusciamo ad andare bene in formazione senza troppo sforzo, riusciamo persino a parlare un po’, per quanto il rumore del vento lo consenta. “Ma secondo te cosa sono questi libri?” Mi chiede Rick. “Non ne ho idea. Hai letto qualche biografia?” “No ma ho visto che alcune sono, come dire… future. Ci sono scritti anche fatti non ancora accaduti, ma non mi sono azzardato a leggere nulla.” “Già. Pensa che io ho la tua biografia ma non ho letto neanche una parola per paura di dirti qualcosa di troppo; se è vero quello che c’è scritto nella prima pagina i libri scompariranno.” “Già, arrivati a questo punto sarebbe una bella seccatura perderli!” “Speriamo una volta trovato Nadir di scoprire qualcosa.” “Già. Ah, stupenda l’idea di dire ai miei che andavamo via per una gara. Sei veramente diabolico!” “Di niente, dato che mi hanno esaltato come un eroe del nuoto mi è sembrata la scelta migliore. Dai controlla sulla mappa se stiamo andando nella direzione giusta, si va alla ricerca del terzo libro!”

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3. IL TERZO LIBRO DELLA VITA E così eccoci a chiedere in giro della casa di Nadir Bganga. Il libro è molto impreciso riguardo le indicazioni geografiche dato che ci sono solo nomi di paesi ma non indicazioni sui luoghi perciò non ci resta che raggiungere la città dove risiede e chiedere informazioni. Lo spettacolo non è certo entusiasmante, siamo atterrati in uno spiazzo isolato praticamente desertico ed abbiamo camminato per una mezz’ora buona per avvicinarci a quello che doveva essere un grosso centro per il commercio; in realtà siamo arrivati in quella che potrebbe essere tranquillamente definita come una squallida periferia di una qualsiasi città del mondo. Già da lontano si vedevano palazzine tutte diverse eppure con in comune una quadratura ed uno squallore tipico delle periferie ed ora che siamo qui il giudizio negativo su questo posto rimane e, anzi, forse aumenta. Tutto sembra tranne che un centro per il commercio. Anche se grazie ai libri non abbiamo problemi per la lingua ci abbiamo messo molto per trovare una persona che ci rispondesse, per altro senza darci indicazioni. La cosa che più di ogni altre ci ha colpito è che questa periferia è in realtà fine a se stessa, non c’è attaccata una città. “La città in realtà c’è” ci spiegano in un bar “è ad un’ora di macchina in quella direzione, nel deserto. Quella strada è l’unica via di accesso e di fuga da questo posto”. Gentili, ma nessuna indicazione. Giriamo per quasi tre ore in un groviglio di strade che si incastrano ed incrociano in ogni modo finché troviamo una signora anziana che, anche se guardandoci con sospetto, ci indica la casa di Nadir. È una palazzina diroccata di due piani, in fondo ad una stretta strada. Il colore giallognolo del muro esterno non è invitante e le crepe che si vedono dal di fuori non sono rassicuranti, eppure la signora ci ha mandati qui senza ombra di dubbio dicendo: “è lì è lì in fondo alla strada, che roba che roba” prima di girarsi e sparire in una via laterale.

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Bussiamo e dopo poco una signora apre la porta. Ha i capelli corti e neri, lo sguardo triste ed un vestito addosso che ha visto decenni migliori. “Scusi, è questa la casa di Nadir Bganga?” Per tutta risposta la signora scoppia a piangere. Noi rimaniamo fermi a guardarla, in notevole imbarazzo (che possiamo fare?) quando arriva lentamente un signore con un gilet rosso scuro su una camicia chiara, una pipa in bocca e degli occhiali da vista sulla punta del naso; poggia una mano sulla spalla della moglie che singhiozza un po’ meno e ci guarda: “Si, è questa la casa di Nadir” Senza aggiungere altro. Dopo un momento di silenzio chiedo di vederlo ma la risposta mi lascia di sasso: è in prigione, in attesa di essere trasferito in un manicomio! (cavoli, andiamo bene…) “In prigione? In manicomio? Ma cosa è successo?” devo ammettere che in quel momento, e solo in quello, ho pensato di prendere il libro di Rick e leggere tutta la vita di Nadir, per capirci qualcosa. Fino ad allora ci siamo sempre limitati a leggere il minimo possibile per rintracciarlo per il rischio di scoprire troppo essendo, in qualche modo, le nostre vite incrociate leggere troppo è un grande rischio: scoprire qualcosa che ci riguarda equivale a perdere i libri. Il padre scuote lentamente la testa “È convinto di saper” pausa, sospira “è convinto di saper volare” e la madre, che si è appena calmata, si scioglie nuovamente in lacrime. “Ma scusa, se ha un libro come noi, anche lui sa volare per davvero! Non può semplicemente farsi un voletto davanti ad un po’ di gente, così gli credono e lo liberano?” mi sussurra Rick all’orecchio. “Nessuno ci dice che lui sappia che è il libro a permettergli di volare” poi, rivolto al padre che è ancora lì “cosa ha fatto di preciso?” “Si è buttato dalla finestra della sua camera dicendo che tanto sapeva volare, ed ovviamente è caduto. Volare, ma come gli è venuto in mente, mi chiedo io! Eppure era un così tanto bravo ragazzo, ma cosa gli è preso! E domani me lo porteranno via, in manicomio, nella grande città qui vicino! Domani mattina me lo porteranno via!” la madre scoppia a piangere ancora di più. Rick saluta e fa per andarsene, io lo seguo salvo girarmi verso il padre che stava già chiudendo la porta: “Solo una cosa, avevo prestato a Nadir un libro come questo, può restituirmelo per favore?” La madre rientra in casa e torna subito dopo col libro con una gamba destra sulla copertina (Nadir non ha capito niente…).

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Quando siamo lontani ci si interroga sul da farsi… non abbiamo molte scelte: dobbiamo far scappare Nadir e portarlo via con noi! Troviamo una locanda dove passare la notte (comodi i dollari di Rick) e lì, dopo aver mangiato, a sera decidiamo un piano di azione per il giorno seguente. Avevamo pensato di rimanere al tavolino del locale dove abbiamo mangiato ma è rischioso farsi sentire mentre si organizza un’evasione così siamo tornati in camera e, sfidando le zanzare che infestano i pochi metri quadri che ospitano due letti singoli, una piccola scrivania con una sedia, un mobile per riporre i vestiti e la porta di un piccolo bagno, ci mettiamo a riflettere. Il piano è tanto semplice quanto diabolico: dato che c’è un'unica strada per uscire dalla periferia sappiamo che passeranno di lì domattina, perciò organizzeremo in quel tratto la sua fuga. Il giorno dopo sono appostato a metà strada tra il quartiere e la città, in un punto isolato avvolto solamente dal deserto. Un paio di chilometri più in là è pronto Rick. Appena vedo la macchina della polizia all’inizio della grande strada, immersa nella sabbia a perdita d’occhio, volo verso Rick e gli faccio un segno così lui, con una corda appesa al collo, attaccato al ramo di un grosso albero proprio sul bordo della strada, comincia a pendere. Volando fa in modo che la corda non sia completamente tesa per evitare di farsi male, ma devo ammettere che l’effetto è veramente realistico. Appena la macchina si avvicina viene visto dai due uomini di scorta che scendono e corrono verso l’albero mentre Rick, per richiamare l’attenzione, comincia ad urlare come un pazzo (che buffone…). Quando sono in mezzo alla strada per me è fin troppo facile lanciarmi addosso a loro dall’alto e buttarli a terra; l’autista scende ma Rick, che intanto si è tolto la corda dal collo, lo colpisce. Mi avvicino al retro del furgone che è rimasto aperto dopo la discesa delle guardie e saluto con un grande sorriso il ragazzo di colore, con i capelli corti e crespi, che mi fissa con grandi occhi neri interrogativi. “Salve, sei Nadir se non sbaglio? Queste sono le chiavi delle tue manette, le aveva uno dei tuoi simpatici amici in tasca.” “Ma chi sei?” “Un amico. Tanto per informarti: tu non hai nessun potere, senza il libro non puoi volare.” “Volare? Ma allora voi mi credete!”

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“Ti crediamo e ti cercavamo, ecco il libro, cerca di non lasciarlo in giro altrimenti rischi di farti davvero male lanciandoti dalle finestre.” “C’è anche Jessica con voi?” (andiamo bene…) “Jessica?” “Kargoo Jessica, dall’Australia.” “È la nostra prossima meta, ora prendi quel libro ed andiamocene in fretta, altrimenti rischiamo tutti di finire male.” Ci spostiamo in volo in un punto desertico lontano dalla strada e dai poliziotti che rimettendosi in piedi rimangono a bocca aperta mentre noi ci alziamo in volo e ci allontaniamo. Atterrati in un punto riparato dal vento Nadir comincia a chiederci immediatamente chi siamo: “Quindi… voi venite uno dall’America ed uno dall’Europa?” “Esatto, ed ora andiamo in Australia.” “Quindi poi dovremo andare in Asia?” “Probabilmente. Quanto ti sei allenato prima che ti arrestassero? Pensi di riuscire a fare tutto il viaggio?” “Mi sono allenato per circa tre mesi.” “E in tre mesi non ti sei mai accorto che era il libro che ti faceva volare?” interviene Rick stupito. “Sinceramente no… mi allenavo nel deserto e il libro lo portavo perché è troppo importante, lo porto sempre con me quando non sono in casa, e così lo tenevo nello zaino sulle spalle, ma non ho mai pensato che fosse quello che mi faceva volare… in effetti questo spiega perché son caduto dalla finestra, il libro era sulla scrivania. Ma… quindi è una specie di libro magico?” “Non lo sappiamo, di certo dà alcuni poteri a chi lo tiene con sé, tipo volare o parlare un po’ in tutte le lingue, ma non sappiamo se questi poteri valgono solo per la persona che lo ha trovato o per chiunque lo tiene; l’unica cosa certa è che non è salutare lasciare il libro sulla scrivania e buttarsi giù dalla finestra.” “Concordo” annuì Nadir. “Sai dove dobbiamo cercare Jessica?” “So il nome del posto ma non ho idea di dove sia in Australia” (tanto è piccola l’Australia…) “Be’, forse ci conviene cominciare ad andare lì ed una volta arrivati cercare il posto preciso?” “Sì Rick credo che tu abbia ragione. Vuoi per caso passare a casa, ti serve qualcosa Nadir?”

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“Tutto quello che mi serve è il libro; di certo mi cercheranno subito lì quindi credo mi convenga mettere più chilometri possibile fra me e loro.” “Partiamo subito?” Entrambi convengono con me e così facciamo, d'altronde anche Nadir si è allenato parecchio dato che aveva un deserto intero a disposizione, non dovrebbe avere problemi ad arrivare fino alla nostra prossima meta. Dopo un’ora circa di volo ci fermiamo in una grande città dove io e Rick andiamo a comprare dei vestiti per Nadir che ha ancora addosso la tuta che gli avevano dato in prigione e facciamo una breve ricerca sulla città dove si trova Jessica, poi riprendiamo il nostro viaggio. Dopo un po’ la terra scompare da sotto i nostri piedi per lasciar posto all’oceano così, guidati da una bussola, voliamo per buona parte della giornata alla ricerca di Jessica. FINE ANTEPRIMACONTINUA...