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ISMEA
Dicembre 2007
Il mercato dei prodotti biologici:tendenze generali e nelle
principali filiere
SSTTUUDD
II
AAGGRR
IICCOOLL
TTUURRAA
BBII
OOLLOOGG
IICCAA
SS
Responsabile della ricerca: Ezio Castiglione
Responsabile scientifico: Raffaele Borriello
Coordinamento tecnico: Maria Rosaria Napoletano
Lo studio è stato curato da:Enrico De Ruvo
RedazioneEnrico De Ruvo ha redatto i capitoli 2 e 3 e i paragrafi 4.1, 7.2, 7.3 e 8.2
Giovanni Luppi ha redatto il capitolo 1
Il Prof. Davide Marino, Università del Molise, ha redatto i capitoli 5 e 6 e i paragrafi 4.2. 7.1, 7.4 e 8.1
La ricerca è stata eseguita con il contributo del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali
Indice
3
Introduzione 7
Sezione I: Le tendenze del mercato 9
Capitolo 1 - Lo scenario internazionale 101.1 - L’agricoltura biologica nel mondo: uno sguardo d’insieme 101.2 - Il biologico in Europa 13
1.2.1 - La Germania 151.2.2 - Il Regno Unito 161.2.3 - La Francia 171.2.4 - La Svizzera 191.2.5 - L’Austria 191.2.6 - L’Olanda 201.2.7 - La Danimarca 211.2.8 - La Spagna 21
1.3 - Il Nord America 221.3.1 - Gli Stati Uniti 231.3.2 - Il Canada 25
1.4 - L’Africa 251.5 - L’Asia 261.6 - L’Oceania 271.7 - L’America Latina 28
Capitolo 2 - L’evoluzione strutturale dell’agricoltura biologica in Italia 312.1 - Gli operatori e le superfici bio 312.2 - La zootecnia bio 36
Capitolo 3 – Le importazioni e la distribuzione di prodotti biologici in Italia 383.1 - Le importazioni 383.2 - I grossisti bio 42
3.2.1 - L’approvvigionamento 433.2.2 - Il mercato 453.2.3 - Le prospettive 47
3.3 - La Gdo 473.3.1 - L’approvvigionamento 483.3.2 - Il mercato 493.3.3 - Le strategie 513.3.4 - Le prospettive 52
3.4 - I negozi specializzati bio 523.4.1 - L’approvvigionamento 523.4.2 - Il mercato 543.4.3 - Le prospettive 55
Capitolo 4 - L’evoluzione dei consumi di prodotti biologici in Italia 57Introduzione 574.1 - L’andamento dei consumi domestici 59
4.1.1 - Il valore degli acquisti 594.1.2 - Le quantità acquistate 604.1.3 - Un confronto con altri comparti 62
4.2 - Il comportamento di acquisto 63
4.2.1 - La spesa per prodotti biologici secondo le principali variabilisocio-economiche 63
4.2.2 - I principali prodotti biologici acquistati 664.2.3 - L’elasticità della domanda e la disponibilità a pagare 68
Capitolo 5 – L’andamento dei prezzi dei prodotti biologici in Italia 765.1 - L’andamento dei prezzi medi al consumo 765.2 - Le differenze su base geografica 775.3 - I prezzi per prodotto 785.4 - Il differenziale di prezzo con il convenzionale 80
Sezione II: Le filiere vegetali e zootecniche bio 83
Capitolo 6 - Il quadro strutturale delle imprese che operano nelle filieredell’agroalimentare biologico 84
Premessa 846.1 - Le aziende agricole biologiche 846.2 - Le aziende zootecniche biologiche 906.3 - Il profilo dell’imprenditore delle aziende agricole e zootecniche bio 956.4 - Le aziende di trasformazione biologiche 97
Capitolo 7 – Le filiere vegetali bio 102Premessa 1027.1 - La filiera dei cereali biologici 102
7.1.1 - La produzione primaria 1027.1.2 - Il mercato alla produzione 1077.1.3 - Le attività di trasformazione: le filiere della pasta e del riso bio 1127.1.4 - Il mercato dei prodotti trasformati nelle filiere della pasta e del riso bio 1157.1.5 - Le attività di trasformazione: la filiera dei prodotti da forno bio 1227.1.6 - Il mercato dei prodotti trasformati nella filiera dei prodotti da forno bio1267.1.7 - L’intermediazione commerciale 1327.1.8 - La mappatura della filiera 1337.1.9 - I consumi domestici 1367.1.10 - I punti di forza e di debolezza 139
7.2 - La filiera dell’olivo biologico 1407.2.1 - La produzione primaria 1407.2.2 - Il mercato alla produzione 1447.2.3 - La trasformazione 1487.2.4 - Il mercato dei prodotti trasformati 1527.2.5 - L’intermediazione commerciale 1597.2.6 - La mappatura della filiera 1607.2.7 - I consumi domestici 1617.2.8 - I punti di forza e di debolezza 161
7.3 - La filiera dell’ortofrutta biologica 1627.3.1 - La produzione primaria 1627.3.2 - Il mercato alla produzione 1707.3.3 - La trasformazione 1777.3.4 - Il mercato dei prodotti trasformati 1817.3.5 - L’intermediazione commerciale 1907.3.6 - La mappatura della filiera 1907.3.7 - I consumi domestici 1927.3.8 - I punti di forza e di debolezza 194
7.4 - La filiera della vite biologica 1957.4.1 - La produzione primaria 1957.4.2 - Il mercato alla produzione 199
4
7.4.3 - La trasformazione 2037.4.4 - Il mercato dei prodotti trasformati 2087.4.5 - L’intermediazione commerciale 2147.4.6 - La mappatura della filiera 2157.4.7 - I consumi domestici 2177.4.8 - I punti di forza e di debolezza 217
Capitolo 8 - Le filiere zootecniche biologiche 2198.1 - La filiera della carne biologica 219
8.1.1 - La produzione primaria 2198.1.2 - Il mercato alla produzione 2248.1.3 - La trasformazione 2298.1.4 - Il mercato dei prodotti trasformati 2338.1.5 - L’intermediazione commerciale 2398.1.6 - La mappatura della filiera 2408.1.7 - I consumi domestici 2418.1.8 - I punti di forza e di debolezza 242
8.2 - La filiera lattiero-casearia biologica 2448.2.1 - La produzione primaria 2448.2.2 - Il mercato alla produzione 2508.2.3 - La trasformazione 2548.2.4 - Il mercato dei prodotti trasformati 2588.2.5 - L’intermediazione commerciale 2658.2.6 - La mappatura della filiera 2668.2.7 - I consumi domestici 2678.2.8 - I punti di forza e di debolezza 267
Conclusioni 270
Riferimenti bibliografici 273
5
7
Introduzione
l presente Rapporto analizza i dati e le informazioni disponibili provenienti dal-
le consuete indagini svolte da Ismea nell’ambito del suo Osservatorio biologico,
istituito ormai da alcuni anni.
Tale Osservatorio è divenuto un’importante fonte di informazione sia per le Istitu-
zioni sia per gli operatori del settore, mettendo a disposizione una notevole mole di in-
formazioni, relative a numerose variabili economiche che riguardano il settore delle
produzioni biologiche.
Nel presente Rapporto, in particolare, viene fornito un quadro esaustivo sulle dina-
miche produttive, economiche e di mercato delle produzioni biologiche nazionali, con
una sezione specifica sulle principali filiere che compongono il comparto bio.
Il primo capitolo del Rapporto è dedicato, come nelle precedenti pubblicazioni, al-
l’analisi dello scenario dell’agricoltura biologica a livello mondiale, che sta sempre
più evolvendosi sia nelle nazioni storicamente più evolute, sia in molti paesi in via di
sviluppo.
Nel secondo capitolo viene effettuata, invece, un’analisi sull’evoluzione strutturale
del biologico in Italia, sulla base delle serie storiche dei dati ufficiali del Ministero
delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf) relativi alle superfici, al nu-
mero dei capi e alla numerosità degli operatori bio, dati che pongono il nostro paese in
prima posizione nella graduatoria comunitaria, nonostante alcune difficoltà registrate
nel triennio 2002-2004.
La prima parte del Rapporto viene completata dai capitoli 3, 4 e 5, in cui sono illu-
strate le tendenze, a livello nazionale, del mercato dei prodotti biologici. In particola-
re, nel capitolo 3 vengono illustrati i principali risultati di indagini field realizzate da
Ismea che mostrano l’andamento delle vendite, le strategie e le problematiche eviden-
ziate dai distributori di prodotti biologici (grossisti, GDO, negozi specializzati); nel
capitolo vengono analizzati, inoltre, i dati ufficiali sulle importazioni bio dai Paesi ter-
zi. Il capitolo 4 è, invece, dedicato all’analisi dei dati Ismea/ACNielsen sui consumi
domestici di prodotti bio confezionati e focalizza l’attenzione, oltre che sulle tendenze
recenti, anche sul grado di elasticità dei principali prodotti bio, quantificando il valore
del sovrapprezzo che il consumatore paga nello scegliere i prodotti bio anziché quelli
convenzionali.
Il successivo capitolo 5 analizza, come nei precedenti Rapporti, le tendenze dei
prezzi al consumo di prodotti bio, evidenziandone le differenze su base geografica,
per prodotto e rispetto ai prodotti convenzionali.
Il Rapporto si compone, inoltre, di una seconda sezione dedicata all’analisi del
mercato e delle principali problematiche di approvvigionamento e commercializzazio-
I
ne nelle più importanti filiere bio sia vegetali sia zootecniche; a tal fine sono stati uti-
lizzati i dati provenienti da diverse indagini Ismea svolte in collaborazione con la so-
cietà di ricerche di mercato Pragma su elenchi di aziende bio forniti da Federbio.
In particolare, il capitolo 6 illustra le caratteristiche strutturali del panel di aziende
agricole, zootecniche e di trasformazione intervistate; quello successivo si occupa del-
l’analisi delle principali filiere biologiche vegetali (cereali, olivo, ortofrutta, vite); infi-
ne, il capitolo 8, analizza le problematiche ed il mercato delle filiere zootecniche (car-
ne e latte), aspetto questo molto interessante in quanto poco si conosce attualmente in
Italia di questi comparti bio.
Completa, infine, il Rapporto, che in tutte le sue parti presenta un’ampia sezione
grafico-tabellare, un paragrafo conclusivo che sintetizza le principali dinamiche sul-
l’andamento complessivo del mercato del bio nel 2006.
Il volume è corredato da un CD-ROM in cui si potranno trovare su file in pdf i
contenuti dello stesso.
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1.1 - L’agricoltura biologica nel mondo: uno sguardo d’insieme
agricoltura biologica a livello mondiale sta continuando la sua ascesa ed è attual-
mente praticata in oltre 120 nazioni; si può però ragionevolmente presumere che
tale metodo sia attuato anche in altri Paesi, anche se in assenza di certificazione.
Secondo le più recenti indagini, sono attualmente coltivati a biologico circa 31 mi-
lioni di ettari da oltre 634 mila aziende agricole. Se si considerano però i prodotti bio-
logici spontanei, le cui superfici ammonterebbero, secondo stime, a circa 62 milioni di
ettari si raggiungerebbe un ammontare estremamente cospicuo di estensioni bio.
Occorre precisare, comunque, che negli ultimi anni è aumentata la disponibilità di
dati sul settore che ha consentito di migliorare le informazioni sul comparto.
Analizzando l’ammontare delle superfici nei singoli continenti, si osserva che l’O-
ceania detiene la quota più elevata, pari al 39% del totale mondiale, seguita ad una
certa distanza dall’Europa (23%) e dall’America Latina (19%), mentre percentuali mi-
nori si riscontrano per l’Asia (9%), il Nord America (7%) e l’Africa (3%).
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1. Lo scenario internazionale
Africa3%
Nord America7%
Asia9%
America Latina19%
Europa23%
Oceania39%
Figura 1.1 - Distribuzione percentuale delle superfici biologiche per continente nel 2005
Fonte: Fibl-IFOAM
Le nazioni con maggiori superfici destinate al biologico sono nell’ordine l’Australia (con
poco meno di 12 milioni di ettari), l’Argentina (3,1 milioni), la Cina (2,3 milioni), gli Stati
Uniti (1,6 milioni) e l’Italia (1,07 milioni). Mentre l’Australia conferma il suo ruolo di leader
L’
in relazione alle superfici bio, sono in crescita le estensioni in Argentina (300 mila ettari in
più rispetto al 2004) e soprattutto negli Usa (oltre 400 mila), che in questo modo si collocano
al quarto posto in graduatoria a discapito dell’Italia. Da rilevare che i primi dieci paesi per
superfici biologiche coprono più di 3/4 del totale delle superfici biologiche mondiali.
La graduatoria muta se si considera la percentuale di estensioni biologiche rispetto
alle aree agricole complessive di ciascun paese. In prima fila si pone il Liechtenstein
(circa il 27%), seguito dall’Austria (14%), dalla Svizzera (11,5%) e dall’Italia (8,4%).
Si può notare che i paesi con le più alte incidenze di superfici biologiche sul comples-
so dei terreni agricoli si collocano in prevalenza in Europa, mentre livelli più bassi si
registrano in altri continenti.
Per quanto riguarda il numero di aziende biologiche nei vari continenti primeggiano
l’Europa con un’incidenza sul totale mondiale del 30% e che ora figura al vertice di tale
graduatoria, e l’America Latina (28%); seguono poi appaiate l’Asia e l’Africa (20%),
mentre i contributi del Nord America (2%) e dell’Oceania (0,5%) appaiono poco rilevanti.
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Oceania0,5% Nord America
2%Africa20%
Asia20%
Europa30%
America Latina28%
Figura 1.2 - Distribuzione percentuale delle aziende biologiche per continente nel 2005
Fonte: Fibl-IFOAM
Nella graduatoria delle nazioni con il maggior numero di imprese bio si colloca al
primo posto il Messico con oltre 80 mila aziende agricole, seguito dall’Italia (quasi 50
mila), dall’Uganda (40 mila) e dallo Sri Lanka (35 mila).
Riguardo alla suddivisione delle superfici mondiali per orientamento produttivo, si
osserva che i prati e i pascoli permanenti rappresentano il 64% delle superfici biologi-
che, seguiti dai seminativi con il 14% e dalle colture permanenti con il 5%; altre colture
rappresentano un 6%, mentre non si hanno informazioni dettagliate del restante 11%.
In riferimento al valore del mercato complessivo del biologico nel mondo, si os-
serva che le vendite di alimenti e bevande bio sono cresciute nel 2005 dell’8,5%, rag-
giungendo i 25,5 miliardi di euro. Le stime per il 2006, inoltre, indicano un ulteriore
incremento che porterebbe il valore del mercato biologico a circa 31 miliardi di euro.
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Seminativi 14%
Colturepermanenti 5%
Prati e pascolipermanenti
64%
Altrecolture
6%
Nessunainformazione
11%
Figura 1.3 - Orientamento produttivo delle superfici biologiche nel mondo nel 2005 (in %)
Fonte: Fibl-IFOAM
Europa52%
Altri3%
Nord America45%
Figura 1.4 - Ripartizione percentuale del valore delle vendite mondiali di prodotti biologiciper continente nel 2005
Fonte: Organic Monitor
Il Nord America e l’Europa sono i principali mercati ed insieme rappresentano il
97% degli introiti mondiali. In particolare, il vecchio continente continua ad avere una
quota importante (e crescente) del mercato mondiale complessivo (52% il suo peso),
mentre minore è l’incidenza del Nord America (45%), che sta perdendo terreno negli
ultimi anni a favore proprio dell’Europa.
Rimane ancora minoritario il ruolo delle altre aree, che non superano nel comples-
so il 3%.
In conclusione, i dati esposti evidenziano dal lato dell’offerta una crescita complessi-
va e abbastanza diffusa della produzione, mentre da quello della domanda una forte con-
centrazione sui paesi dove più è alto il potere di acquisto. Questi Paesi, quindi, non ri-
escono a far fronte alla crescente domanda di prodotti biologici con la produzione interna
e ricorrono, per soddisfare le richieste, ad un crescente quantitativo di prodotto importato.
Vi è quindi una asimmetria tra i luoghi di produzione e quelli di consumo, con la
creazione di una grossa distinzione nell’ambito delle varie nazioni produttrici tra paesi
produttori e consumatori di prodotti biologici.
1.2 - Il biologico in Europa
Come noto, dall’inizio degli anni ‘90 l’agricoltura biologica si è rapidamente svi-
luppata in quasi tutte le nazioni europee, mostrando però dai primi anni del nuovo
millennio un rallentamento fino al 2004. Nel 2005, si è registrata una nuova crescita
dovuta, nell’ambito dell’Ue, agli alti tassi di crescita registratisi in alcuni nuovi Stati
membri (come ad esempio Lituania e Polonia) ed in paesi come l’Italia e la Spagna.
Nel 2005, in Europa sono risultati coltivati a biologico quasi 7 milioni di ettari (+8%
sul 2004), da circa 190.000 aziende agricole; nella sola Ue, le superfici nello stesso anno
hanno superato i 6,3 milioni di ettari (+8,5% sul 2004) coinvolgendo un totale di circa
160.000 aziende agricole. Nell’Ue l’incidenza delle superfici destinate a biologico sulle
aree agricole complessive è del 3,8% e la percentuale di aziende bio su quelle totali è
dell’1,7%. In relazione alle superfici, incidenze sulle estensioni agricole ben superiori
alla media comunitaria si riscontrano tuttavia in Austria (14,1%), Italia (8,4%), Estonia
(7,2%), Finlandia (6,5%) e Svezia e Portogallo (6,3% in entrambi i casi).
Anche riguardo il numero di aziende bio, spicca dal punto di vista dell’incidenza
sul totale aziende agricole ancora il ruolo dell’Austria (11,5%) e della Finlandia
(6,1%), ma emerge anche quello della Danimarca (6%).
Analizzando la distribuzione delle superfici per orientamento colturale, in Europa,
secondo un’indagine Fibl, il 44% delle estensioni a biologico è destinato a prati e pa-
scoli e il 40% a seminativi, mentre le colture permanenti detengono una quota del 7%.
È, invece, limitata la quota delle colture per le quali non si hanno informazioni. Nel-
l’ambito dei seminativi il ruolo più importante è svolto dai cereali e dalle colture forag-
gere. Tra le colture permanenti, invece, primeggiano le olive, la frutta, le noci e l’uva.
Il valore del mercato europeo è stato stimato nel 2005 in 13-14 miliardi di euro,
con un notevole incremento rispetto al 2004 (+10%). Il mercato più importante è quel-
lo tedesco con 3,9 miliardi di euro di giro d’affari, seguito da quello italiano (2,4 mi-
liardi, comprensivo del valore dell’export), da quello del Regno Unito (2,3 miliardi) e
da quello francese (2,2 miliardi).
Riguardo alla spesa pro-capite annua, gli ultimi dati disponibili confermano la
Svizzera come paese a più alto consumo per abitante (105 euro), seguita a distanza da
13
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Tabella 1.1 - Superfici e numero di aziende biologiche nella Ue nel 2005
Nazione Superficie bio (ha) % della superficie Numero di % delle aziendeagricola totale aziende bio agricole totali
Austria 360.972 14,16% 20.310 11,49%
Belgio 22.996 1,66% 693 1,37%
Cipro 1.698 1,12% 305 0,68%
Rep. Ceca 254.982 5,97% 829 2,01%
Danimarca 145.636 5,62% 2.892 6,04%
Estonia 59.862 7,22% 1.013 3,66%
Finlandia 147.587 6,52% 4.296 6,12%
Francia 560.838 2,03% 11.402 2,03%
Germania 807.406 4,74% 17.020 4,38%
Grecia 288.255 3,15% 14.614 1,24%
Ungheria 123.569 2,90% 1.553 0,22%
Irlanda 35.266 0,84% 978 0,74%
Italia 1.067.102 8,40% 44.733 2,59%
Lettonia 118.612 4,78% 2.873 2,24%
Lituania 69.430 2,49% 1.811 0,72%
Lussemburgo 3.243 2,51% 72 2,95%
Malta 14 0,13% 6 0,06%
Olanda 48.765 2,49% 1.377 1,71%
Polonia 167.740 1,03% 7.183 0,38%
Portogallo 233.458 6,34% 1.577 0,49%
Rep. Slovacca 92.191 4,91% 196 0,30%
Slovenia 23.499 4,84% 1.718 2,23%
Spagna 807.569 3,20% 15.693 1,45%
Svezia 200.010 6,27% 2.951 3,93%
Regno Unito 619.852 3,90% 4.285 1,72%
Unione Europea 6.260.553 3,84% 160.380 1,71%
Fonte: Organic Europe e Fibl-IFOAM
Tabella 1.2 - Spesa procapite per prodotti biologici in alcune nazioni europee*
Nazioni Euro pro-capite/anno Svizzera 105
Danimarca 51
Svezia 47
Germania 42
Finlandia 38
Austria 35
Francia 32
Regno Unito 30
Olanda 26
Italia 25
Spagna 6
Norvegia 4
Grecia 2
Repubblica Ceca 0,9
Ungheria 0,3
Polonia 0,04
*I dati presenti in tabella sono i più recenti alla data del febbraio 2007Fonte: Fibl-IFOAM
Danimarca (51 euro), Svezia (47 euro) e Germania (42 euro). L’Italia, invece, presenta
una spesa ancora abbastanza limitata (25 euro).
Riguardo all’incidenza del mercato dei prodotti biologici sul totale dell’agroalimen-
tare, si osserva che la Danimarca e la Svizzera (4,5% circa in entrambi i casi) si conten-
dono i primi due posti in Europa, seguite dalla Svezia (3,0%), dalla Germania (3%) e
dalla Francia (2%), mentre gli altri principali paesi si collocano al di sotto del 2%.
Sul fronte distributivo1, in Paesi quali Germania, Francia e Olanda prevalgono for-
me di veicolazione dei prodotti diverse dai super e ipermercati convenzionali (ossia
negozi specializzati, tradizionali, vendita diretta, altre forme di distribuzione) con
quote di mercato che vanno da oltre il 50% al 65%
In altri paesi, al contrario, discreta è la prevalenza della Grande Distribuzione a
discapito di altri canali. Questo fenomeno è particolarmente accentuato in Norvegia,
Danimarca, Svizzera, Regno Unito e Svezia dove le quote di mercato della Gdo oscil-
lano tra il 73 e l’80%, mentre più contenuto ma comunque importante risulta il peso in
Austria (64%).
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Tabella 1.3 - Quote di mercato dei canali distributivi in alcuni paesi europei**
Paesi GDO Altri canali*Norvegia 80% 20%
Danimarca 80% 20%
Svizzera 76% 24%
Regno Unito 75% 25%
Svezia 73% 27%
Austria 64% 36%
Olanda 49% 51%
Francia 45% 55%
Germania 41% 59%
* negli altri canali sono compresi i negozi specializzati bio, i negozi tradizionali, la vendita di-retta e le rimanenti forme di distribuzione.**I dati presenti in tabella sono i più recenti alla data del febbraio 2006.Fonte: convegno “Biologico in Europa” (fiera SANA 2006), relatore Gerald A. Herrmann diOrganic Services
Di seguito, viene analizzato il mercato del biologico nei principali paesi europei,
utilizzando principalmente i dati di fonte Fibl-IFOAM2. Altre fonti utilizzate sono
state per la Germania quelle provenienti dall’Istituto ZMP e per la Francia dall’A-
gence bio.
1.2.1 - La GermaniaNel 2005 le superfici destinate al biologico in Germania sono ammontate a oltre
807 mila ettari, con un incremento intorno al 5% sull’anno precedente, ed hanno rap-
presentato il 4,7% delle aree agricole nel complesso; le aziende bio di questo paese
sono risultate, invece, pari a oltre 17.000 (il 4,3% di quelle complessive), con un pro-
gresso del 2,5% rispetto al 2004.
Sul fronte commerciale, le vendite di alimenti biologici nel 2005 sono state pari a
3,9 miliardi di euro, con un incremento dell’11% circa sull’anno precedente (dopo il
+13% del 2004) ed un’incidenza del 3% sul totale agroalimentare.
La Germania è, quindi, il più grande mercato europeo per questi prodotti. Le ra-
gioni del successo sono dovute anche ad una buona organizzazione della fase agricola:
gran parte delle aziende agricole bio si sono unite in associazioni e a quelle più impor-
tanti come Bioland e Demeter si sono aggiunte altre sigle quali Naturland, Biokreis,
Ecoland e Biopark.
Negli ultimi anni, tutti i canali distributivi hanno registrato un sviluppo significati-
vo nella vendita di prodotti bio ed in particolare i drug stores3, sebbene il loro contri-
buto alle vendite totali sia ancora limitato.
I supermercati convenzionali sono divenuti il canale principale di distribuzione di
prodotti bio, con una quota del 36% del mercato, anche se i negozi di alimenti saluti-
stici continuano ad avere un ruolo importante (con una quota del 34%). Un ulteriore
16% è commercializzato attraverso la vendita diretta.
Si sta diffondendo, inoltre, tra i supermercati e i discount l’utilizzo di private la-bels specializzate in prodotti biologici, favorendo l’abbassamento dei prezzi di vendita
di questi alimenti.
La Germania è anche una delle nazioni con il più elevato numero di supermercati
dedicati interamente al biologico, che sono in forte crescita.
I prodotti attualmente più richiesti dal consumatore tedesco sono, oltre ai lattiero-
caseari e agli ortofrutticoli, anche gli emergenti prodotti cosmetici e per la cura del
corpo e quelli da acquacoltura bio.
Riguardo alle prospettive future, si stima una forte domanda di alimenti bio nel
settore del catering, il che contribuirebbe ancor di più allo sviluppo del settore.
In conclusione, il mercato tedesco dei prodotti biologici si sta mostrando in ottima
salute. Per alcuni prodotti di punta la domanda supera l’offerta ed occorre, quindi, fare
ricorso alle importazioni che, di conseguenza, crescono molto di più della produzione
interna.
L’incremento del mercato è dovuto anche ad un abbassamento dei prezzi, grazie
alla crescente incidenza nel mercato del biologico dei discount, presso i quali sono in
crescita prodotti come le carote e le patate bio, che sono in calo nei negozi specializ-
zati, a testimonianza della sensibilità del consumatore bio rispetto al fattore prezzo.
1.2.2 - Il Regno UnitoNel Regno Unito, le superfici destinate al biologico nel 2005 sono risultate pari a
619 mila ettari, in calo del 10% rispetto al 2004, mentre le aziende agricole bio hanno
sfiorato le 4.300 unità registrando un incremento del 6,9% nel confronto con i 12 mesi
precedenti. L’insieme delle superfici rappresenta quasi il 4% di quelle agricole totali
(esclusi i pascoli), mentre più limitata è l’incidenza sul totale in termini di aziende
(1,7%), che porta la dimensione media delle unità produttive biologiche ad essere tra
le più alte nella Ue.
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Le aree a biologico sono quasi sempre cresciute rispetto al 2004 per le diverse col-
ture, mentre i terreni in conversione sono diminuiti in quasi tutti gli orientamenti col-
turali. Così, nel complesso, le aree bio ed in conversione sono diminuite.
Riguardo all’orientamento produttivo, il 74% dei terreni biologici e in conversione
sono rappresentati da prati e pascoli permanenti, ai quali si aggiunge un ulteriore 11%
di pascoli temporanei; i cereali occupano invece il 6%, gli ortaggi il 2%, la frutta fre-
sca e in guscio appena lo 0,2%.
Riguardo all’incidenza sui rispettivi comparti complessivi di appartenenza, quella
più elevata si registra per i pascoli temporanei (6,3%) e quelli permanenti (5,1%) e per
la frutta fresca e in guscio (5%).
Più basso invece il peso per gli ortaggi (pari al 2%) e per i cereali biologici
(1,4%).
In riferimento alla zootecnia bio, nel 2005 si stima che il numero di animali alle-
vati secondo il metodo biologico sia ammontato a circa 3,6 milioni di capi, di cui oltre
200 mila bovini, 688 mila ovini, circa 55.200 suini e 2,6 milioni di pollame.
Il valore del mercato biologico nel 2005 è stimato in 2,3 miliardi di euro, con un
incremento di quasi il 30% rispetto all’anno precedente e un’incidenza sul totale
agroalimentare dell’1,3%.
Gli acquisti nei supermercati continuano a crescere ma ad un tasso più basso
(+1,5%) degli anni precedenti, e rappresentano una quota importante (il 75%) di quelli
totali di questi alimenti. Gli altri canali, quali la vendita diretta, i mercatini e gli acqui-
sti per corrispondenza (“box schemes”), che rappresentano il 12% del mercato biolo-
gico, hanno invece aumentato le vendite di un terzo rispetto al 2004, mentre nella Dis-
tribuzione Organizzata (13% del mercato bio) l’incremento è stato ancora più elevato
(oltre il 40% in più).
Quindi anche il mercato inglese del biologico manifesta buone performance. Non-
ostante il calo delle superfici, il mercato cresce ancora a tassi elevati e quasi tutti i ca-
nali stanno contribuendo allo sviluppo del comparto.
Sono in crescita anche i servizi collegati al prodotto e offerti al consumatore: quasi
tutti i cosiddetti “multiple retailers” stanno cominciando a effettuare i loro servizi di
consegna dei prodotti a domicilio.
A trainare il mercato vi è, infine, la forte domanda per i prodotti ad alto contenuto
di servizio quali gli snack, le cui vendite sono in aumento del 75%, i piatti pronti
(+46%) e per i prodotti cosmetici e la cura del corpo (+49%).
1.2.3 - La FranciaIn Francia, i dati strutturali più recenti mostrano una nuova crescita delle superfici
e del numero di aziende biologiche. Nel 2005, infatti, le estensioni a biologico sono
risultate pari a quasi 561 mila ettari (+5% sul 2004), suddivisi su 11.402 imprese
(+3%). L’incidenza sulle superfici e sulle aziende complessive si aggira intorno al 2%.
Le superfici bio sono costituite per l’8% (47.473 ettari) da aree in conversione e
per il restante 92% (513.365 ettari) da superfici certificate biologiche.
Nell’ambito delle produzioni vegetali, l’orientamento produttivo prevalente è quel-
lo dei foraggi (347.860 ettari), che ha registrato una variazione del +4% rispetto al
2004, seguito dai cereali (95.417 ettari; +7%), semi oleosi (19.187 ettari; +2%), vite
(18.133 ettari; +10%), colture proteiche (11.439 ettari; -9%), frutta (8.958 ettari; +4%)
e ortaggi (8.827 ettari; +14%).
Anche a livello di aziende di trasformazione (specializzate in gran parte nella pre-
parazione e lavorazione di colture vegetali), nel 2005 si è registrato un aumento del
2,5% per un ammontare che ha sfiorato le 5.000 unità.
Riguardo alle aziende esportatrici, delle oltre 5.000 imprese che vendono all’este-
ro, una quota minoritaria, ovvero l’8%, esporta prodotti biologici essenzialmente ver-
so paesi dell’Ue. Il vino e i liquori ottenuti da materia prima biologica sono le princi-
pali referenze commercializzate oltrefrontiera, seguite dai prodotti a base di carne e da
frutta e ortaggi freschi.
Nell’ambito della zootecnia bio, sempre nel 2005 il numero di capi è cresciuto per
tutte le categorie di animali allevati, con percentuali comprese tra il 6% e il 12%, con
l’eccezione del pollame che è rimasto sostanzialmente stabile.
Il mercato al consumo del biologico è cresciuto di circa il 15% nel 2005, raggiun-
gendo i 2,2 miliardi di euro4, pari al 2% dell’agroalimentare nel complesso.
Secondo un’indagine condotta dall’Istituto Agence Bio, i prodotti bio in Francia
sono distribuiti essenzialmente tramite tre canali: negozi specializzati e tradizionali,
grandi e medie superfici della Gdo e vendita diretta.
Il primo canale ha sviluppato nel 2005 un giro d’affari di circa 600 milioni di euro,
con un peso del 42% sul totale delle vendite bio.
Un’incidenza percentuale leggermente inferiore (quasi del 40%) presenta, invece,
la Gdo, per un valore di 619 milioni di euro, mentre la rimanente quota, il 18%, spetta
alla vendita diretta il cui fatturato sfiora i 300 milioni di euro.
È ancora modesto al momento il ruolo dei canali extradomestici, anche se le pro-
spettive sono molto interessanti soprattutto nelle scuole.
I prodotti bio più venduti sono i lattiero-caseari e le uova che rappresentano il 21%
delle vendite complessive, per un valore di 326 milioni di euro. Seguono l’ortofrutta,
con 264 milioni di euro ed un peso del 16%, ed i prodotti della panetteria, con 190 mi-
lioni (12%). Stesso peso si registra anche per i vini ottenuti da uve biologiche e per le
altre bevande alcoliche. Anche le carni hanno un ruolo non secondario, con un peso
dell’11% (179 milioni), al pari dei biscotti e delle confetture (166 milioni).
Il 9% delle vendite complessive è attribuibile agli oli e ai condimenti, per un valo-
re di 134 milioni di euro.
I negozi specializzati vendono più frequentemente e relativamente di più prodotti
di salumeria e preparazioni pronte, mentre la Gdo vende maggiormente latte, uova,
caffè e carne. Le aziende agricole che si rivolgono direttamente ai consumatori, ven-
dono in misura relativamente maggiore ortofrutta e vino.
Sebbene molte catene distributive abbiano ampliato le loro referenze di prodotti biologi-
ci, la gamma di offerta rimane ancora limitata rispetto a quelle presenti nei paesi confinanti.
18
In termini prospettici, secondo i risultati di un’indagine condotta da Agence Bio i
responsabili dei punti vendita della Gdo e dei negozi specializzati hanno dichiarato di
avere intenzione in futuro di diversificare l’offerta, ampliare le dimensioni del punto
vendita e in generale di stimolare lo sviluppo del settore.
La Francia, come il Regno Unito, è un importatore netto di prodotti bio poiché al
positivo sviluppo della domanda si contrappone una certa rigidità nell’offerta da parte
dei produttori. Dal 2005 le importazioni extra-Ue possono esporre il logo nazionale
biologico “AB”, favorendo la maggiore riconoscibilità da parte del consumatore dei
prodotti provenienti dall’estero.
1.2.4 - La SvizzeraNel 2005 le superfici coltivate a biologico sono state pari a 117 mila ettari (-3,2%
sul 2004) distribuite su 6.400 aziende agricole bio (+0,7%).
Nonostante la lieve flessione del 2005, le superfici bio rappresentano, comunque,
una quota rilevante sul totale delle estensioni agricole del paese (circa l’11%).
Il mercato del biologico si stima nel 2005 in lieve calo rispetto all’anno prece-
dente, per un totale di 750 milioni di euro, pari al 4,5% dell’agroalimentare nel
complesso.
Oltre l’80% dei prodotti biologici venduti è di origine svizzera. Gli acquisti medi
annui pro-capite di biologico (105 euro) pongono questo paese al primo posto della
graduatoria europea per spesa pro-capite.
Circa l’80% delle vendite bio passa attraverso due principali catene della Gdo:
CO-OP e MIGROS. La restante quota è distribuita, invece, dai negozi specializzati, at-
traverso la vendita diretta e i negozi di vicinato.
Le due catene leader seguono differenti strategie nell’assortimento biologico.
Mentre CO-OP (397 milioni di euro di vendite di alimenti bio nel 2004) continua ad
estendere il numero delle linee di prodotti biologici, MIGROS (193 milioni di euro)
ha lievemente ridotto il suo impegno verso il biologico. Con l’entrata nel mercato del-
la catena di discount tedesca ALDI, CO-OP e MIGROS hanno accresciuto i loro sfor-
zi verso una maggiore comunicazione riguardante i prodotti più economici.
1.2.5 - L’AustriaNel 2005, le superfici agricole destinate al biologico sono risultate pari a circa 361
mila ettari (+4,6% sul 2004), mentre oltre 20.000 sono state le aziende agricole bio
censite (+1,6%).
Come già evidenziato, l’Austria è una delle nazioni europee con la maggiore inci-
denza delle aziende agricole e delle superfici bio sul totale agricoltura, con un peso
che nel 2005 si è attestato rispettivamente sull’11,5% e sul 14,2%.
Il settore biologico è stato rafforzato dalla fondazione, nel gennaio 2005, di una
organizzazione, “Bio Austria”, che riunisce tutti gli agricoltori biologici presenti nel
paese. L’obiettivo di questa organizzazione è non solo quello di divenire la principale
rete di informazioni e comunicazione per il comparto, ma anche di promuovere lo svi-
19
luppo del settore, incentivando la creazione di nuove aziende e l’ampliamento delle
superfici, possibilmente del 10% ogni anno.
Il valore del mercato biologico austriaco è stimato nel 2005 in circa 500 milioni di euro.
Relativamente alla struttura distributiva, i supermercati convenzionali giocano un
ruolo importante in quanto coprono una quota del 64% delle vendite complessive di
prodotti bio, mentre anche in questo paese si sta diffondendo la vendita del biologico
nei discount, nei quali vi è un’alta presenza anche di prodotti locali.
Da rilevare, inoltre, che l’Austria è anche la patria dei Bio-Hotels, una giovane as-
sociazione di hotel indipendenti che offrono vacanze basate sui prodotti della natura,
con cibi biologici e tipici.
1.2.6 - L’OlandaL’Olanda non figura tra le primissime nazioni europee per superfici e valore del
mercato ma, come altri paesi del Nord Europa, è una di quelle nazioni in cui il biolo-
gico si è sviluppato da molto tempo. Le superfici agricole coltivate a biologico nel
2005 sono state pari a quasi 49 mila ettari, con una crescita dell’1,5% sull’anno prece-
dente, mentre le aziende agricole bio sono risultate pari a 1.377, con un calo di oltre il
6% sul 2004. L’incidenza di superfici e numero di aziende sul totale agricoltura, inol-
tre, non è molto elevato e si aggira intorno al 2%.
Il mercato al consumo si è sviluppato con tassi di crescita di circa il 5% e si stima
per il 2005 pari a 467 milioni di euro, con un incremento dell’11% rispetto all’anno
precedente e un’incidenza dell’1,8% sull’agroalimentare nel complesso.
In relazione ai canali distributivi in cui il bio è maggiormente diffuso, i supermer-
cati convenzionali non superano la quota del 43%, mentre anche in questo paese si sta
diffondendo la vendita del biologico nei discount, poiché la differenza di prezzo con il
convenzionale ha costituito e costituisce un problema per il consumatore locale. Un
canale di distribuzione in qualche modo atipico è, inoltre, quello che vede la presenza
di negozi biologici all’interno di ipermercati convenzionali.
I buoni risultati finora raggiunti possono essere attribuiti agli sforzi del governo
nel migliorare il mercato del biologico.
L’esecutivo olandese, infatti, sta cercando di verificare se ribassi nei prezzi al con-
sumo ottenuti attraverso finanziamenti statali possano stimolare la domanda. Se l’ini-
ziativa avrà successo, l’intenzione è quella di aumentare le vendite di biologico del
30% ogni anno con una spesa di 61 milioni di euro fino al 2007. Il governo spera che,
stimolando la domanda, possano crescere le superfici biologiche fino ad incidere per il
10% sulle aree agricole complessive.
Anche dal lato degli operatori privati si riscontra un impegno allo sviluppo del
biologico. Infatti, sul fronte interno EOSTA, un grande operatore commerciale che
tratta ortofrutta biologica, ha intenzione di aumentare la trasparenza delle etichette at-
traverso un sistema di valutazione a punteggio dei prodotti secondo diversi criteri di
tipo ecologico, sociale e nutrizionale. Sul mercato estero, inoltre, gli esportatori olan-
desi hanno l’intenzione offrire una più ricca gamma di prodotti.
20
21
1.2.7 - La DanimarcaNel 2005 le superfici coltivate a biologico (pari a 145 mila ettari) ed il numero di azien-
de bio (poco meno di 2.900 unità) sono diminuite rispettivamente del 6 e del 9% circa.
La battuta d’arresto nello sviluppo dell’agricoltura biologica segue però un perio-
do di sostenuta crescita durato più di dieci anni che ha reso molto importante questo
settore per il mondo agricolo danese.
Il mercato dei prodotti biologici ha inoltre continuato a crescere nel 2005
(+21,5%), raggiungendo il valore di 333 milioni di euro, con un peso che oscilla tra il
3,5% e il 5,0% dell’agroalimentare complessivo.
1.2.8 - La SpagnaLa Spagna è uno dei paesi leader dal punto di vista delle superfici e del numero di
aziende biologiche; minore la sua importanza, invece, in termini di valore del mercato.
Nel 2005, le superfici bio hanno oltrepassato gli 807 mila ettari, con un incremento
del 10% rispetto all’anno precedente, mentre gli operatori complessivi hanno raggiunto
le 17.509 unità, composte da 15.693 produttori, 1.764 trasformatori e 52 importatori.
Gli operatori agricoli nel 2005 hanno registrato una lieve flessione, pari al 2%, che
ha portato le aziende bio a incidere per un 1,5% sul totale agricoltura, mentre circa il
doppio (3,2%) è il loro peso in termini di superfici.
Riguardo agli orientamenti produttivi, escludendo pascoli e boschi, cereali e leguminose
occupano il 26% degli ettari destinati a biologico, l’olivo il 25%, i terreni a riposo il 22%, la
frutta secca il 12%, la vite il 5%, le piante aromatiche e medicinali il 4%. Un peso più limi-
tato è rappresentato da frutta e agrumi (2%), ortaggi e tuberi (1%) e altre colture (3%).
Il mercato spagnolo (250 milioni di euro nel 2004) si sta sviluppando lentamente e
solo pochi negozi offrono un’ampia gamma di prodotti al consumatore. La maggior
parte dei trasformatori di questi alimenti si concentra in due regioni (Catalogna e Anda-
lusia), ma manca una rete sviluppata di trasformatori e grossisti e di conseguenza i ne-
gozi trovano difficoltà nel rifornimento. Gran parte dell’ortofrutta spagnola biologica è
destinata all’export e conseguentemente l’offerta destinata al mercato interno è carente.
Al contrario, le importazioni rappresentano una discreta quota dei prodotti biolo-
gici venduti. Tuttavia, esiste un crescente impegno da parte di alcune società di svilup-
pare il mercato domestico, ma i prezzi alti rimangono una barriera all’incremento de-
gli acquisti; per contrastare questo fenomeno, dettaglianti specializzati e grossisti han-
no recentemente attivato una più efficiente rete commerciale.
Il governo spagnolo, inoltre, ritiene che per lo sviluppo di questo settore occorrano
continui e vigorosi sostegni statali verso la produzione, la trasformazione, la promozione
della domanda interna e il rafforzamento della rete commerciale biologica e delle organiz-
zazioni dei produttori. La produzione e la trasformazione di alimenti biologici sono consi-
derate anche di grande importanza per il loro contributo allo sviluppo rurale del paese.
Da un’indagine sul consumatore svolta dal Ministero dell’Agricoltura locale è
emerso che il 72,5% degli intervistati ha sentito parlare dei prodotti biologici e di que-
sti solo il 15,6% li associa ad un marchio specifico e il 38% li consuma. Tra le ragioni
dell’acquisto di questi alimenti primeggiano come di consueto le motivazioni legate
alla salute e al miglior sapore, mentre chi non li compra non li conosce bene, non li
trova con facilità e ritiene che abbiano un prezzo troppo alto.
Anche gli operatori della distribuzione, intervistati nella stessa indagine, hanno in-
dicato come principale problema nella commercializzazione il prezzo eccessivamente
elevato, benché la maggior parte di essi si dichiari fiducioso sullo sviluppo nei prossi-
mi anni di questo settore.
1.3 - Il Nord America
Nel Nord America sono coltivati con il metodo biologico quasi 2,2 milioni di ettari che
rappresentano approssimativamente lo 0,6% dell’area agricola totale, mentre le aziende
agricole bio ammontano a circa 12.000. Rispetto alle altre aree del mondo, il Nord Ameri-
ca presenta la crescita più elevata delle superfici, che nel 2005 sono aumentate del 30%.
Per quanto riguarda i tipi di coltivazione, i seminativi rappresentano il 50% delle
superfici biologiche, il pascolo permanente il 32% e le colture permanenti il 2%, men-
tre del restante 16% non si conosce la destinazione. Circoscrivendo l’analisi ai semi-
nativi, che occupano quasi 685 mila ettari, i cereali rappresentano il 32% di questi, il
19% i foraggi, il 9% le colture proteiche, il 5% gli ortaggi, il 2% i semi oleosi e l’1%
le colture industriali, mentre del rimanente 32% non si hanno dettagli.
In termini di valore, il mercato nord-americano di prodotti bio ha fatto registrare nel
2005 una crescita delle vendite del 5,5% per un valore di 11,5 miliardi di euro: poco me-
no di quanto riscontrato nel frattempo per il mercato europeo (13-14 miliardi di euro).
La domanda di cibi biologici è elevata e molte industrie del settore trovano diffi-
coltà nei rifornimenti; l’insufficiente offerta interna viene quindi superata con un fre-
quente ricorso alle importazioni da tutto il mondo. In particolare sementi e cereali pro-
vengono da Europa e Asia, spezie ed erbe da America Latina e Asia, carne di manzo
dall’Australia e dall’America Latina.
Una caratteristica del mercato nord-americano è la forte concentrazione su poche
grosse imprese che stanno acquistando piccole aziende biologiche, che in alcuni casi
sono anche quotate in borsa. Tale fenomeno tra l’altro sta avvenendo anche a livello dis-
tributivo, in quanto ad esempio Whole Foods Market, la più grande catena di alimenta-
zione biologica al mondo, ha incorporato il suo principale concorrente, Wild Oats.
L’acquisizione di Wild Oats da parte del gigante americano dell’alimentazione natu-
rale è avvenuta per la cifra di 565 milioni di dollari. Wild Oats è una catena presente in
Canada e negli Usa con oltre 110 punti vendita e si trova sul mercato sin dal 1987. La
motivazione alla base dell’acquisizione è il rallentamento nella crescita delle vendite re-
gistrato nell’ultimo trimestre. Secondo Whole Foods, proprietario di ben 190 supermer-
cati, l’acquisto dei 110 punti vendita di Wild Oats, permetterà alla catena di accedere a
nuovi mercati e recuperare così, un lieve calo delle vendite che si era verificato negli ul-
timi tempi, determinata dall’aumento dell’offerta di prodotti bio all’interno dei circuiti
convenzionali. Una situazione che ha generato una forte concorrenza a livello commer-
ciale e che ha costretto in molti casi Whole Foods ad intervenire per tagliare i prezzi.
22
1.3.1 - Gli Stati UnitiNel 2005, le superfici biologiche negli Usa sono cresciute enormemente (+400 mi-
la ettari sull’anno precedente), che ha portato questo paese a possedere un’estensione
a biologico di quasi 1,6 milioni di ettari.
Gli ultimi dati disponibili indicano inoltre un numero di aziende agricole bio pari
a oltre 8.000 unità nel 2005.
Riguardo ai dati economici, si stima5 che il mercato Usa degli alimenti biologici
nel 2005, sia stato pari a 11,9 miliardi di euro (+15,5% rispetto all’anno precedente).
Anche se i prodotti freschi e i latticini biologici costituiscono gran parte del giro d’af-
fari, tutti i settori hanno mostrato elevati tassi di crescita.
Limitando l’analisi al valore delle vendite industriali di prodotti biologici, un’in-
dagine OTA mostra che tale valore sia cresciuto fortemente, passando dai 3,6 miliardi
di dollari del 1997 ai 13,8 miliardi del 2005, con tassi di crescita annui che variano tra
il 14,6% e il 21% .
Anche l’incidenza delle vendite industriali bio sul totale agroalimentare è cresciu-
ta costantemente, dallo 0,8% del 1997 al 2,5% del 2005 (+16,2% nel 2005).
Riguardo alla suddivisione percentuale delle vendite industriali tra i vari comparti,
si nota una crescita della quota dei lattiero-caseari (dal 13% del 2003 al 15% del
2005), di quella del pane (dal 9% al 10%) e di quella di carni, pesci e pollame
(dall’1% al 2%). Si ridimensiona, invece, nei due anni il peso dell’ortofrutta (dal 42%
al 39%) e delle bevande (dal 15% al 14%), mentre restano immutate le quote di cibi
preparati (13%), snack (5%), salse e condimenti (2%).
Per quanto riguarda i prodotti biologici non alimentari, il loro loro valore nel 2005
risulta, sempre secondo i dati dell’OTA, pari a 744 milioni di dollari, con un incre-
mento del 32,5% sull’anno precedente. La suddivisione per tipologia di prodotto evi-
denzia una crescita della quota delle fibre (dal 19% del 2003 al 21% del 2005) e di
quella dei prodotti classificati come “altri” (prodotti per la casa, fiori, cibo per anima-
li) che passano dal 7% al 9%. Si riduce invece il peso dei prodotti per la cura della
persona (dal 40% al 38%) e quello degli integratori nutrizionali (dal 34% al 32%).
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Tabella 1.4 - Valore delle vendite industriali di cibi biologici negli Usa(in milioni di dollari)
Anni Cibi Tasso Beni alimentari Penetrazionebiologici di crescita in generale del bio
1997 3.594 n.d. 443.790 0,81%
1998 4.286 19,2% 454.140 0,94%
1999 5.039 17,6% 474.790 1,06%
2000 6.100 21,0% 498.380 1,22%
2001 7.360 20,7% 521.830 1,41%
2002 8.635 17,3% 530.612 1,63%
2003 10.381 20,2% 535.406 1,94%
2004 11.902 14,6% 544.141 2,19%
2005 13.831 16,2% 556.791 2,48%
Fonte: stime basate sull’indagine OTA 2006.
L’aumento dei canali distributivi ha fatto da volano alla crescita del mercato e il
tradizionale sbocco al dettaglio degli alimenti organici, i negozi di cibi naturali (47%
del mercato nel 2005), è stato sostituito in parte dal mass-market channel che include
supermarket e rivendite tradizionali e che ora commercializza il 46% degli alimenti
bio. Inoltre la gamma di prodotti biologici continua a crescere anche nei discount. In-
fine, il rimanente 7% del mercato è costituito dai mercatini e da altri canali minori.
24
13%
9%
15%
42%
5%
13%2%
1%15%
10%
14%
39%
5%
13%
2% 2%
Lattiero-caseariPaneBevandeOrtofruttaSnackCibi preparatiSalse e condimenti Carni, pesci e pollami
2005
2003
Figura 1.5 - Ripartizione percentuale delle vendite industriali di cibi biologici nel 2003 enel 2005 negli Usa
Fonte: indagine OTA
Cura della persona
Integratori nutrizionali
Fibre
Altro (prodotti per la casa, fiori, ciboper animali)
2005
40%
34%
19%
7%
38%
32%
21%
9%
2003
Figura 1.6 - Ripartizione percentuale delle vendite industriali di bio non food nel 2003 e nel2005 negli Usa
Fonte: indagine OTA
Per quanto riguarda le importazioni, necessarie per far fronte alla crescente do-
manda, esse hanno interessato non solo prodotti tradizionali quali le banane e il caffè,
ma anche semi di soia, carne bovina e molti prodotti ortofrutticoli. In conclusione, il
mercato statunitense del biologico continua ad essere in buona salute, mostrando sia a
livello strutturale e produttivo sia economico come vi siano in questo paese ancora
forti margini di crescita.
1.3.2 - Il CanadaAlla fine del 2004, ultimo anno di cui si dispone dei dati, le aziende agricole bio
certificate in questo paese erano 3.673, mentre le superfici biologiche ammontavano a
quasi 489.000 ettari.
Riguardo al tipo di coltivazione, una buona parte dei terreni è destinata a cereali e
leguminose, seguiti da ortaggi e piante erbacee, da frutta fresca e secca e da vigneti. A
queste colture vanno aggiunti oltre 132.000 ettari a pascolo, fieno e foraggio.
Passando ai dati di mercato, il Canada sta mostrando una forte crescita che ha por-
tato le vendite complessive di alimenti bio nel 2004 a 760 milioni di euro. Questa na-
zione importa l’80% dei prodotti biologici venduti nel paese ed esporta l’80% della
produzione bio. In particolare il frumento è il prodotto esportato di maggior valore
(12,7 milioni di euro), seguito dal lino e dai semi di soia.
Così come negli Usa, lo sviluppo della distribuzione ha avuto un ruolo importante
per la crescita del mercato, con un aumento dei supermercati convenzionali che offro-
no alimenti bio.
Tale aumento è il risultato anche dell’applicazione di una normativa tramite la
quale l’industria canadese fin dal 1999 ha avuto modo di rendere più agevoli le rela-
zioni commerciali con i maggiori mercati, quali quelli degli Stati Uniti, dell’Unione
Europea e del Giappone.
1.4 - L’Africa
In Africa la produzione biologica è raramente certificata e per molti paesi non so-
no disponibili statistiche ufficiali. Tuttavia l’agricoltura biologica è in crescita nelle
aree del Sud di questo continente.
Quasi 900 mila ettari (lo 0,1% delle superfici agricole africane) sono coltivati e
certificati biologici e a questi si possono aggiungere 6,8 milioni di ettari certificati co-
me foreste e produzione spontanea, mentre le aziende agricole censite sono 124.800.
Riguardo alla destinazione delle superfici certificate, si osserva che il 33% circa di que-
ste sono colture permanenti, il 6,8% seminativi, il 4% pascoli, il 5% “altre colture” e per il
51% delle superfici non si hanno informazioni sulla destinazione di uso. Una ragione di
sviluppo importante è la crescente domanda di prodotti biologici da parte dei paesi svilup-
pati, che orienta all’export la produzione africana. Un’altra ragione è la necessità di mante-
nere e rafforzare la fertilità del suolo in terreni minacciati dall’erosione e dal degrado.
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Con poche eccezioni (Egitto e Sud Africa) il mercato interno africano non è svi-
luppato, sia per i bassi livelli di reddito sia per la limitata struttura degli enti di ispe-
zione e certificazione. Gran parte della produzione certificata è, dunque, destinata al-
l’export, con l’Europa come principale mercato di destinazione.
Tuttavia, se si escludono i paesi del Nord Africa, la possibilità per gli altri di
esportare verso il vecchio continente è limitata dagli alti costi di trasporto e dalla po-
vertà delle infrastrutture. L’unica opportunità è quella di concentrarsi su prodotti di
volume ridotto e non deperibili come caffè, spezie, erbe o succhi di frutta disidratati.
Mercati interni per i prodotti biologici si stanno sviluppando in Egitto e Sud Afri-
ca e nelle grandi città dove si riscontra una domanda di alimenti naturali, che tuttavia
non sempre sono certificati.
Riguardo alla normativa, al momento la Tunisia è la sola nazione africana con pro-
pri standard biologici (compatibili con quelli della Unione Europea) e un sistema di
certificazione ed ispezione. Egitto e Sud Africa hanno però fatto significativi progressi
in questa direzione, creando nuovi enti di certificazione e incominciando a sviluppare
degli standard per i prodotti biologici.
1.5 - L’Asia
In Asia, le estensioni a biologico sono relativamente limitate rispetto al vasto terri-
torio del continente e le vendite sono ovviamente concentrate nei paesi più ricchi.
L’ammontare totale delle superfici biologiche nel 2005 è risultato pari a quasi 2,9
milioni di ettari (lo 0,2% dei terreni agricoli) coltivati da circa 130.000 aziende agri-
cole. A queste estensioni si possono aggiungere, altri 6,46 milioni di ettari circa certifi-
cati come foreste e produzioni spontanee.
Tra le nazioni più significative per la produzione biologica e di cui si dispone di
statistiche attendibili, emergono la Cina, l’India e la Russia.
Riguardo alla destinazione dei terreni biologici, quasi il 25% è rappresentato da
pascoli, il 3% è coltivato a seminativi, il 2% a colture permanenti, mentre per un 35%
le statistiche indicano la destinazione alla generica voce “altre colture”. Per quasi un
36%, infine, non si conosce l’orientamento produttivo.
In Asia operano più di 100 organismi di controllo, anche se gran parte degli espor-
tatori continuano a essere certificati da organismi stranieri che operano nel continente.
Passando ai dati economici, il mercato asiatico è stato valutato nel 2005 in circa
625 milioni di euro (+10-15% sull’anno precedente), di cui più della metà sono relati-
vi al solo Giappone, nel quale le importazioni giocano un ruolo importante.
La crescita più alta del mercato domestico si è riscontrata negli ultimi anni in Cina,
dove i supermercati stranieri ricorrono alle importazioni dall’Europa e dove crescono i
negozi specializzati bio per far fronte all’aumento della domanda interna. Le motivazioni
alla base di questo sviluppo sono da ricondurre alla promozione da parte dello Stato, alla
crescita degli organismi di controllo locali, alla richiesta di questi alimenti da parte delle
26
classi con redditi più alti, alle preoccupazioni per la salute e alla maggiore informazione
sull’agricoltura biologica. Allo stesso tempo, l’incremento dell’export cinese è stimato
pari al 10% e sta aumentando anche la varietà dei prodotti certificati offerti oltrefrontiera.
Le altre nazioni con un ampio mercato per il biologico sono la Corea del Sud, Tai-
wan, Singapore e la Malesia, paesi nei quali il consumatore ha generalmente un reddito
disponibile relativamente più elevato e riconosce che questi prodotti sono più salutari.
Una crescita della domanda si registra in India, Thailandia e Filippine, dove la
produzione interna riesce a soddisfare gran parte delle richieste di prodotti biologici.
Riguardo, infine, alla normativa, si osserva che la maggior parte delle attività di
produzione rimane fuori da regolamentazioni e certificazioni, anche se alcuni paesi
quali India, Giappone, Corea, Filippine, Taiwan e Thailandia si siano già dotati di re-
gole sul biologico.
1.6 - L’Oceania
In Oceania, nel 2005, sono stati coltivati a biologico più di 11,8 milioni di ettari (il
2,6% delle aree agricole del continente), da oltre 2.600 aziende. Tuttavia gran parte
dei terreni sono destinati a pascoli con bassa intensità di sfruttamento, cosicché la pro-
duttività di queste aree è molto bassa e non comparabile con quella di paesi che pur
piccoli hanno produzioni piuttosto importanti (come ad esempio la Danimarca).
L’Australia concentra la maggior parte delle superfici e delle aziende (rispettiva-
mente 99,6 e 69,5%). Le produzioni principali sono rappresentate da frutta, ortaggi,
carne bovina e latticini (un settore in crescita), ma anche grano e carne ovina. In Nuo-
va Zelanda, invece, dove la dimensione del settore in termini di superfici ed aziende è
decisamente minore (45.000 ettari e 820 aziende nel 2004), le coltivazioni più impor-
tanti sono quelle del kiwi e delle mele.
Nonostante l’Oceania comprenda quasi la metà delle superfici agricole mondiali
ed il 39% di quelle bio in particolare, il mercato è molto ridotto ed è stimato nel 2005
in circa 250 milioni di euro (+15% rispetto al 2004).
Lo sviluppo dell’agricoltura biologica in Australia e Nuova Zelanda è stato in-
fluenzato dalla rapida crescita della domanda estera, che ha orientato la produzione
verso l’export. Il mercato più importante per le esportazioni australiane è l’Europa e
in particolare il Regno Unito, l’Italia, la Svizzera, la Francia, l’Olanda e la Germania,
che insieme rappresentano oltre il 70% delle esportazioni di prodotti biologici.
Il mercato domestico in Australia e Nuova Zelanda sta crescendo ad un ritmo so-
stenuto e, sebbene la maggior parte delle vendite sia rappresentato da prodotti freschi,
l’attività di trasformazione di questi alimenti è in espansione. Inoltre, il numero di det-
taglianti convenzionali che vendono cibi biologici sta aumentando, così come quello
dei negozi specializzati.
Nel mercato interno i prodotti biologici godono di un differenziale di prezzo molto
alto, che in Australia è in media dell’80% e per molti prodotti supera il 100%.
27
Riguardo, infine, alla normativa, l’Australia si è dotata di standard nazionali per i pro-
dotti biologici fin dal 1992, mentre la Nuova Zelanda lo ha fatto solo dal 2003; inoltre en-
trambe le nazioni sono nella lista dei Paesi terzi in equivalenza con la normativa Ue.
1.7 - L’America Latina
In America Latina le superfici destinate all’agricoltura biologica sono risultate nel
2005 pari a 5,8 milioni di ettari (lo 0,9% dei terreni agricoli complessivi) ai quali van-
no aggiunti 6 milioni di ettari circa certificati come foreste e produzioni spontanee. Il
numero di aziende agricole bio è, invece, pari a oltre 176 mila.
Riguardo alla destinazione delle superfici biologiche in America Latina, il 65% di
esse è destinato a pascoli, l’8,5% a colture permanenti, il 5,3% a seminativi e un 1%
ad altre colture, mentre per il 20% delle estensioni (contro il 38% del 2004) non si co-
nosce l’orientamento produttivo.
Nell’ambito dei seminativi, la coltura principale è rappresentata da piante aromati-
che e medicinali e spezie (41%), seguite dagli ortaggi (28%), i cereali (16%), le coltu-
re proteiche e industriali (6% per entrambi), i semi oleosi (3%) e altre colture (1%).
In quasi tutti gli Stati di questo continente vi è la presenza di un comparto biologi-
co, anche se il livello di sviluppo varia molto da paese a paese. Le nazioni con la più
alta proporzione di superfici biologiche sul totale delle aree agricole sono l’Uruguay
(5,1%), l’Argentina (1,6%) e il Costa Rica (0,5%), anche se gran parte dei 2,8 milioni
di ettari biologici dell’Argentina sono costituiti da prateria.
L’export è ancora il principale sbocco di mercato per l’America Latina. In partico-
lare, caffè e banane rappresentano i prodotti più esportati del Centro America, così co-
me lo zucchero per il Paraguay e i cereali e la carne per l’Argentina. Tuttavia, risulta
difficile per i piccoli produttori biologici latino-americani adeguarsi agli standard di
qualità e ai regolamenti dei mercati di esportazione, anche a causa della mancanza di
informazione e supporto da parte dello Stato.
Si registra, però, un interesse da parte delle multinazionali straniere nell’acquisto
di ampi terreni da destinare a produzioni biologiche, con la possibilità quindi di ap-
portare un adeguato livello di competenze e di strutture commerciali avanzate che le
imprese locali non possono detenere.
Paesi quali il Brasile e l’Equador, hanno un mercato interno, sia pur molto ristret-
to, che consente la commercializzazione di prodotti bio principalmente attraverso
esperienze di filiera corta.
Se è vero infatti che i supermercati nel continente stanno cominciando a commer-
cializzare prodotti biologici, probabilmente la forma più popolare di commercio di
questi alimenti sono le fiere e i mercatini, dove i produttori offrono i loro beni diretta-
mente al consumatore, senza l’esigenza di intermediari. Questo tipo di commercio, so-
stenuto in alcuni casi da aiuti statali (logistica e pubblicità), è di grande aiuto soprat-
tutto per i piccoli produttori.
28
29
Anche i negozi specializzati nel biologico e negli alimenti naturali sono presenti in
gran parte dell’America Latina e godono del vantaggio di informare meglio il cliente
nelle sue scelte.
Questi negozi spesso sono nati da esperienze positive legate ad un’altra forma di
distribuzione molto presente, che è quella delle associazioni di produttori che conse-
gnano a domicilio frutta, verdura, latte e uova bio nelle grandi città.
Focus su caffè e cacao biologici
Il caffè e il cacao rappresentano per molti Paesi non industrializzati una voce cospicua nelle
esportazioni verso i paesi più ricchi ed il relativo mercato in molti casi è capace di influenzare le
economie nazionali delle nazioni produttrici.
In particolare, il caffè, secondo i dati dell’International Coffee Organization, dal 2000 ha subi-
to un forte calo dei prezzi che è durato fino a novembre 2004 e che ha fatto registrare nei paesi
esportatori un incremento della povertà, disoccupazione nelle campagne ed emigrazione verso le
città.
Spesso la produzione di caffè biologico è legata al commercio equo e solidale. Infatti, l’80%
del caffè biologico è venduto con le etichette del “fair trade”. Questa forma di distribuzione, come
noto, mira a garantire una più equa distribuzione dei redditi all’interno della filiera, a vantaggio dei
produttori. Alcuni studi hanno messo in luce che nei paesi sviluppati, il consumatore è disponibile
a pagare tra il 15% e il 25% in più per il caffè biologico rispetto al convenzionale e tra il 20% e il
50% in più se esso è anche garantito “equo e solidale”.
Di conseguenza la combinazione tra biologico e commercio equo e solidale attira i consensi sia
dei consumatori, che riconoscono un valore aggiunto al prodotto, sia dei produttori, che possono
praticare prezzi alla produzione più alti.
Il caffè biologico commercializzato nel mondo ammonta a circa 20 mila tonnellate e rappre-
senta l’1,5% del caffè complessivo scambiato a livello internazionale. I più grandi mercati per que-
sto prodotto sono gli Stati Uniti, l’Europa e il Giappone. Altri mercati in crescita sono il Brasile e
il Sud Est asiatico.
Secondo un’indagine Fibl7 nel mondo si coltivano circa 324 mila ettari a caffè biologico.
Nell’ambito dell’America Latina, che è il continente più importante per la produzione di que-
sto alimento, si trovano le due nazioni con la maggiore superficie, Messico (147 mila ettari) e Perù
(75 mila ettari). In particolare in Messico il 18,9% della produzione nazionale di caffè è biologico
e la regione del Chiapas produce da sola il 53,5% del caffè bio dello Stato.
In Africa, sebbene manchino dati specifici su molte importanti nazioni produttrici, risulta che
l’Uganda è il paese con la maggiore superficie (più di 18.000 ettari).
In Asia, sulla base delle statistiche disponibili, risulta che in ordine di importanza per superfici col-
tivate, si collocano l’Indonesia (26.882 ettari), seguita ad una notevole distanza dalla Cina (260 ettari).
Riguardo alla varietà robusta, l’India è il maggiore produttore asiatico con una produzione sti-
mata di 500 tonnellate nel 2004.
Per questo prodotto bio è emersa da più parti la necessità di armonizzare le regole di certifica-
zione tra i vari paesi, l’esigenza di garantire un maggiore reddito ai produttori e la preoccupazione
per lo sviluppo di produzioni che fanno utilizzo di ingegneria genetica e di pesticidi.
Per quanto riguarda il cacao biologico, nei primi anni ’90 la produzione di questo prodotto nel
mondo era limitata a piccole aziende che lo commercializzavano tramite negozi salutistici e specia-
lizzati, mentre oggi anche i supermercati vendono cioccolato biologico benché la produzione sia
30
rimasta nelle mani di aziende medio-piccole. Anche per il cacao come per il caffè vi è, specialmen-
te in Europa, un interesse da parte del consumatore, dei produttori e dei trasformatori all’abbina-
mento tra biologico e commercio equo e solidale.
Il commercio internazionale di cacao vede passare tale prodotto dai paesi produttori del Sud
del mondo (America Latina, Africa) alle industrie di trasformazione europee, che riforniscono sia
il mercato interno che quello americano di cioccolato biologico, in quanto negli Usa non esistono
ancora trasformatori certificati.
Ai paesi esportatori viene richiesta dai trasformatori europei un’alta qualità del cacao che non
sempre è garantita e di conseguenza solo parte della produzione dei primi è destinata al mercato
del vecchio continente. Emblematico il caso della Repubblica Dominicana, che pur essendo uno
dei principali produttori riesce a esportare solo il 60% del prodotto.
Un altro problema nel commercio internazionale di cacao biologico è la forte variabilità del
prezzo, che dipende dalla situazione della domanda e dell’offerta nei diversi paesi e che può frena-
re il mercato di questo prodotto, impedendo investimenti duraturi.
Sulla base dei dati disponibili, emerge che l’America Latina, è il continente leader nella colti-
vazione di questo alimento, ed in particolare i principali produttori sono la Repubblica Domenica-
na con 31 mila ettari e 43 mila tonnellate prodotte ed il Messico con 17 mila ettari e 9.419 tonnel-
late. Seguono ad una certa distanza l’Equador (7.574 ettari) e Panama (4.850 ettari), mentre Perù,
Brasile e Costa Rica coltivano ciascuno tra i 2 e i 3 mila ettari.
1) Secondo i dati diffusi nell’ambito del SANA 2006.2) Il primo è un Istituto di ricerca svizzero e il secondo un’organizzazione internazionalesull’agricoltura biologica. I due enti congiuntamente redigono un rapporto annuale sulletendenze del biologico a livello mondiale.3) In particolare, nel 2004 le vendite di prodotti bio nei drug stores sono cresciute del 25%rispetto all’anno precedente.4) La fonte del dato è Fibl-IFOAM. 5) Stime dell’OTA (Organic Trade Association).6) Stime relative all’anno 2004.7) I dati però non sono disponibili per tutte le nazioni.
31
2.1 - Gli operatori e le superfici bio
ino al 2001 l’agricoltura biologica in Italia ha registrato una crescita costante in
termini sia di superfici sia di numerosità di operatori. In particolare, nel 2001 si è
registrato a livello strutturale il massimo sviluppo del biologico, con una crescita degli
operatori nel complesso del 12% e delle superfici del 19% su base annua. Più nel detta-
glio, nel 2001 i produttori agricoli sono aumentati di oltre il 10%, mentre più consisten-
ti, sebbene associati ad un ammontare in valore assoluto più basso, sono stati gli incre-
menti per le aziende di trasformazione (+40%) e per quelle di importazione (+82%).
Dal 2002 al 2004, invece, ha avuto inizio un processo di ristrutturazione del settore
che ha portato ad una discreta contrazione delle estensioni e delle aziende (Figura. 2.1).
2. L’evoluzione strutturale dell’agricoltura biologica in Italia
F
0
10.000
20.000
30.000
40.000
50.000
60.000
70.000
1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006
N. A
ziend
e
0
200.000
400.000
600.000
800.000
1.000.000
1.200.000
1.400.000
SAu
(Ha)
Totale Operatori SAU
Figura 2.1 - Evoluzione del numero di aziende e delle superfici biologiche in Italia
Fonte: Mipaaf-Sinab
L’inversione di tendenza rispetto agli enormi tassi di crescita del passato, protratta-
si nel tempo, aveva quindi fatto pensare ad un fenomeno più di natura strutturale che
congiunturale, dovuto al progressivo affievolirsi degli effetti del Reg. CE 2078/92.
Gli operatori nel complesso sono scesi di circa un 8% nel 2002 e poi a tassi molto
più sostenuti nel 2003 e nel 2004 (-13,3% e -15% rispettivamente), mentre le superfici
sono diminuite a tassi relativamente più contenuti (del 5,5% nel 2002 e del 9-10% nel
biennio 2003-2004).
Ad accusare il calo in questo periodo è stata in particolar modo la fase della pro-
duzione agricola, (Tabella 2.1). Invece le aziende di trasformazione, dopo la crescita
del 2002 (+10%), hanno registrato un moderato calo nel 2003 e 2004 (rispettivamente
-2 e -3 per cento).
Assolutamente in controtendenza, inoltre, è risultata la variazione del numero, sia
pur esiguo, di aziende di importazione, che sono cresciute a tassi a doppia cifra nel
triennio in esame.
Questi dati mostrano quindi una sostanziale tenuta delle fasi più a valle della filie-
ra, che testimonia quindi il raggiungimento di una certa stabilità e maturità del settore.
Questo processo di ristrutturazione a livello di produzione primaria ha comunque
consentito un notevole riequilibrio territoriale e una distribuzione più equilibrata delle
superfici nelle varie circoscrizioni del Paese.
Nel 2005 si è verificata poi un’inversione di tendenza, con una nuova crescita del-
le aziende biologiche, che hanno raggiunto circa le 50.000 unità (+20,7% sul 2004), e
delle superfici, che hanno oltrepassato l’importante soglia del milione di ettari
(+11,8%). Tale crescita è dovuta alla riapertura dei bandi dei PSR che molte regioni
hanno indirizzato quasi esclusivamente al biologico.
La crescita è poi proseguita nel 2006, anno in cui si è registrato un nuovo aumento
delle aziende biologiche, che hanno superato le 51.000 unità (+2,4% sul 2005) e delle su-
perfici, che hanno sfiorato gli 1,15 milioni di ettari (+7,6%). Ciò ha consentito al nostro
paese di consolidare la leadership in Europa per numero di aziende ed estensioni bio.
Gli oltre 51 mila operatori sono quindi attualmente suddivisi tra 45.100 produttori,
oltre 4.700 trasformatori, quasi 200 importatori e più di 1.000 imprese rientranti nella
categoria “altri”.
L’incremento più elevato rispetto al 2005 si è registrato per le aziende di trasfor-
mazione (+4,5%) e di importazione (+4,9%), mentre più contenuto è stato l’aumento
per quelle di produzione primaria (+0,9%).
La crescita complessiva degli operatori nel 2006 è stata determinata esclusivamen-
te dal contributo del Sud, dove la numerosità delle aziende bio è salita dell’11,6% ri-
spetto al 2005.
Le dinamiche su descritte hanno cambiato la ripartizione geografica degli operatori
rispetto al 2001. A livello di aziende di produzione emerge la tendenza ad un riequilibrio
della distribuzione delle unità produttive. Infatti, il Sud e le Isole nel 2006 incidono per
il 62,5% sul totale delle aziende agricole biologiche, seguiti dal Nord e dal Centro con la
32
Tabella 2.1 - Variazione % del numero di operatori bio per tipologia di attività in Italia
Anno Produttori Trasformatori Importatori Totale2000/1999 8,7% 44,2% 294,1% 10,2%
2001/2000 10,4% 40,1% 82,1% 12,0%
2002/2001 -8,9% 10,1% 27,0% -7,6%
2003/2002 -14,3% -1,9% 12,9% -13,3%
2004/2003 -16,8% -3,0% 13,1% -15,5%
2005/2004 22,1% 9,7% -6,6% 21,7%
2006/2005 0,8% 4,3% 4,9% 2,4%
2006/2000 -11,8% 68,1% 189,6% -5,5%
Fonte: Mipaaf-Sinab.
33
2000 2001 2002 2003 2004 2005 20060
5.000
10.000
15.000
20.000
25.000
Nord
Centro
Sud
Isole
Figura 2.2 - Evoluzione del numero totale di aziende (produzione - trasformazione - im-portazione) per aree geografiche
Fonte: Mipaaf-Sinab
2001 20060
10
20
30
40%
50
60
70
80
19,8%
12,6%
67,6%
18,6% 19,0%
62,5%
Nord
Centro
Sud e Isole
Figura 2.3 - Evoluzione del peso % delle varie macro aree geografiche in riferimento alleaziende agricole bio
Fonte: Mipaaf-Sinab
stessa incidenza (19% circa). In confronto con il 2001, il Sud e le Isole hanno perso qua-
si 5 punti di quota, perdita che poteva essere anche più importante se non vi fosse stato
un aumento del numero degli operatori in queste aree nell’ultimo biennio.
In lieve calo, risulta invece il peso del Nord (18,6% contro 19,8%), mentre è cresciuto
il peso delle aziende agricole del Centro sul totale (+6,5 punti percentuali, Figura 2.3).
Non emergono significative variazioni, invece, per quanto riguarda le aziende di
trasformazione (Figura 2.4).
Per gli importatori, infine, i dati 2006 evidenziano rispetto al 2001 una più equili-
brata distribuzione tra le varie aree, anche se permane ancora il forte predominio del
Nord. Quest’ultima area ha nel 2006 un peso del 73,7%, a fronte di un 16% del Cen-
tro e di un 10% del Sud e delle Isole.
Rispetto al 2001 si evidenzia una perdita di quota abbastanza significativa del
Nord (-8,3 punti percentuali), a fronte di un recupero soprattutto da parte del Centro
(+5,3 punti) e in misura minore del Sud e delle Isole (+3).
Nel quinquennio in esame, quindi, le aziende del Centro sembrano essere quelle
che più sono cresciute, in tutte le tipologie di imprese considerate.
Tornando all’analisi dei soli dati relativi al 2006 e scendendo nel dettaglio delle
singole regioni, quelle che presentano il maggior peso in termini di numero di aziende
complessive8 sono la Sicilia con un’incidenza sul totale del 16% e la Calabria con una
del 13,3%, mentre lievemente più bassa è quella della Puglia (11%). Seguono la Basi-
licata (9,6%), l’Emilia Romagna (7,6%), prima regione del Nord e la Toscana (5,6%),
regione leader del Centro.
Riguardo alle variazioni intervenute nel 2006, è da rilevare il forte incremento re-
gistrato in Calabria, dove gli operatori sono passati da poco più di 4.000 nel 2005 a
6.800 nel 2006. Gli altri aumenti si sono registrati in poche regioni, tra l’altro anche
meno importanti sotto il profilo della numerosità aziendale: +6,6% la Campania,
34
2001 20060
5
10
15
20
25%
30
35
40
45
5046,5%
19,1%
34,4%
47,0%
20,7%
32,3%
Nord
Centro
Sud e Isole
Figura 2.4 - Evoluzione del peso % delle varie macro aree geografiche in riferimento alleaziende di trasformazione bio
Fonte: Mipaaf-Sinab
2001 20060
10
20
30
40%
50
60
70
80
9082,0%
10,7%7,4%
73,7%
16,0%10,3%
Nord
Centro
Sud e Isole
Figura 2.5 - Evoluzione del peso % delle varie macro aree geografiche in riferimento alleaziende di importazione bio
Fonte: Mipaaf-Sinab
35
Cereali Orticoltura Foraggi Fruttifere Agrumi Olivo Vite Prati epascoli
0
50.000
100.000
150.000
200.000
250.000
300.000
350.000
400.000
450.000
500.000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
Figura 2.6 - Superficie totale (biologico e conversione) per tipologia colturale 2001 - 2006(in ettari)
Fonte: Mipaaf-Sinab
+2,4% l’Umbria e +0,8% la Toscana. In definitiva l’incremento complessivo del nu-
mero di operatori è stato determinato quasi esclusivamente dal forte aumento registra-
to in Calabria.
In calo, al contrario, risulta il numero delle aziende in Puglia (-7,3%) e in Sicilia (-
4%), mentre più contenute sono le flessioni per Emilia Romagna (-3,8%) e Basilicata
(-0,8%). Una diminuzione di circa il 2% si registra nel Lazio e nelle Marche, mentre
più elevata è la contrazione in Piemonte (-7,5%).
Analizzando la ripartizione delle superfici bio per orientamento colturale, i dati prove-
nienti dal Sinab relativi al 2006 indicano per l’Italia una prevalenza delle colture foraggere
(oltre 297 mila ettari), dei prati e pascoli (oltre 261 mila ettari), dei cereali (239 mila etta-
ri), seguiti da olivo (oltre 107 mila ettari), frutta fresca (45.600 ettari) e vite (circa 37.700
ettari). Un ruolo più limitato è rivestito invece da ortive, colture industriali e agrumi.
In riferimento alle variazioni delle superfici rispetto al 2005, crescono di quasi il
15% le superfici a prati e pascoli e in misura minore quelle a foraggi (+3% circa),
mentre in diminuzione di oltre il 7% risultano quelle a cereali. Sostanzialmente stabili
sono invece gli investimenti ad olivo, mentre un incremento si registra per le superfici
ad ortofrutta (+55% circa).
Le tendenze di questi orientamenti produttivi negli ultimi anni hanno comunque
quasi sempre seguito il trend complessivo descritto per le superfici totali. In particola-
re, ciò si è verificato per foraggi, olivo e vite, che costituiscono la maggior parte delle
superfici biologiche, mentre un andamento differente si è riscontrato per i prati e pa-
scoli, che hanno registrato un aumento (sia pur gradualmente più debole) fino al 2003,
per poi calare progressivamente nel 2004 e nel 2005 e riprendere quota nel 2006.
La frutticoltura, invece, pur registrando un andamento fino al 2004 del tutto in li-
nea con la media complessiva, rappresenta una delle poche colture che nel 2005 hanno
segnato un calo rispetto all’anno precedente (-12,1%). Tuttavia nel 2006 tali superfici
hanno registrato una ripresa.
36
In conclusione, a livello strutturale le oscillazioni delle superfici e del numero di
operatori avvenute negli ultimi anni, prima negative e poi positive, non sono indicatori
di una dipendenza dell’assetto produttivo dalle fluttuazioni della domanda, ma sono
soltanto legate ai flussi di finanziamento relativi al biologico.
La diversa entità della variazione delle superfici e del numero delle aziende bio nel
2006 ha portato ad un aumento delle dimensioni medie aziendali, dopo il calo dello
scorso anno che seguiva però ad un progressivo aumento dei periodi precedenti. Vi è
comunque in atto negli ultimi anni un processo di concentrazione che vede uscire dal
settore le aziende più piccole e marginali, e rimanere sul mercato quelle più strutturate
e di più grandi dimensioni. Le aziende biologiche italiane, del resto, presentano una
dimensione media ben superiore a quella delle aziende agricole convenzionali (oltre
25 ettari contro i poco più di 7 delle “non bio”).
2.2 - La zootecnia bio
Passando ad analizzare i pochi dati disponibili sulla zootecnia biologica, se si os-
serva il trend del numero dei capi nel periodo 2001-2006 si nota una crescita genera-
lizzata in tutte le tipologie di animali, ad eccezione dei bovini.
Il calo dei bovini nel periodo considerato è però attribuibile al forte calo registrato
nel 2002 (-50% sul 2001) in quanto negli anni successivi il numero dei capi è sempre
cresciuto, sia pur a tassi progressivamente minori, nel confronto con il periodo prece-
dente.
Inoltre, nell’arco di tempo più “critico” (2002-2004) in cui il numero di aziende e
le superfici biologiche destinate alle produzioni vegetali sono calate fortemente, le
produzioni animali hanno mostrato una maggiore tenuta.
Analizzando infine le sole variazioni 2006/2005 che si riferiscono all’ultimo anno
di disponibilità dei dati, si nota ancora una tendenza positiva per tutte le specie, ad ec-
2001 2002 2003 2004 2005 20060
500.000
1.000.000
1.500.000
2.000.000
2.500.000
bovini
ovini
caprini
suini
pollame
conigli
api (in arnie)
Figura 2.7 - Evoluzione del numero di capi zootecnici in agricoltura biologica per specie
Fonte: Mipaaf-Sinab
37
cezione dei suini e degli equini, il cui numero di capi è sceso del 5% in entrambi i casi
rispetto all’anno precedente.
In particolare si registra una buona crescita, per i capi di pollame e cunicoli, ma
anche per il comparto apistico e ovino. Più contenuto è invece l’incremento per il set-
tore caprino bio. Sostanzialmente stabili sono rimasti infine i capi bovini.
In definitiva quindi, a giudicare dai soli numeri ufficiali disponibili, sembra che
la zootecnia biologica sia un segmento di mercato estremamente interessante, con
margini di crescita ancora notevoli. In ogni caso un approfondimento ulteriore sul-
le specifiche problematiche di questo comparto sarà effettuato nei capitoli succes-
sivi, quando si analizzeranno i risultati dell’indagine Ismea sulle aziende foragge-
ro-zootecniche.
Tabella 2.2 - Variazione % anno su anno precedente del numero di capi zootecnici bioper specie
2002 2003 2004 2005 2006Bovini -50,2% 15,4% 13,3% 3,5% 0,1%
Ovini 101,8% -28,3% 14,6% 47,8% 15,3%
Caprini 127,3% 69,4% -43,9% 52,3% 4,7%
Suini -21,7% 3,0% 29,2% 18,2% -5,1%
Pollame 44,8% 37,0% 67,2% -54,6% 60,7%
Conigli -18,1% -22,4% 3,8% 16,6% 81,2%
Api (in alveari) 39,7% 13,7% -11,6% 6,7% 18,3%
Fonte: Mipaaf-Sinab.
8) Produttori+trasformatori+importatori
38
3.1 - Le importazioni
er analizzare l’andamento delle importazioni di prodotti biologici, sono stati
presi in esame gli ultimi dati disponibili aggiornati al 2005-2006 provenienti dal
Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali (Mipaaf) e dal Sistema d’in-
formazione nazionale sull’agricoltura biologica (Sinab).
Il Mipaaf e il Sinab forniscono ogni anno i dati relativi alle autorizzazioni ad im-
portare in Italia prodotti biologici dai paesi extra-Ue e non in equivalenza, rilasciate
dal Mipaaf stesso alle aziende che ne fanno richiesta.9
Nel 2005 i dati consentono di individuare soltanto la tipologia di prodotto impor-
tato, i paesi di provenienza e le quantità autorizzate dal Mipaaf all’importazione. Essi
sono quindi relativi alle sole quantità potenzialmente importate, ossia rispecchiano i
volumi massimi richiesti dalle aziende che hanno fatto domanda al Ministero e non in-
dicano pertanto l’ammontare effettivamente importato.
Nel 2006, invece, sono disponibili anche i quantitativi realmente importati forniti
dalle ditte importatrici, inviati costantemente al Mipaaf tramite relazioni mensili. Va,
infine, evidenziato che questi dati non tengono conto dei prodotti giunti in Italia attra-
verso triangolazioni con paesi dell’Unione Europea.
In particolare, nel 2006, i dati di fonte Sinab forniscono un quadro che fa dedurre
un crescente ricorso al prodotto importato. Il numero di autorizzazioni concesse è sta-
to pari a 319, quasi il triplo dei livelli del 2005 (pari a 115), per un volume complessi-
vo autorizzato pari a oltre 260 mila tonnellate, con un incremento di oltre il 28% sul
2005.
L’incremento delle autorizzazioni concesse, ha portato ad una sostanziale modifica
delle quote dei vari continenti.
L’Europa non comunitaria è l’unica area che presenta un aumento rispetto all’anno
precedente del numero di autorizzazioni sia in termini assoluti sia in termini relativi:
la quota di autorizzazioni concesse per questa area sul totale è, infatti, passata
dall’11% del 2005 a quasi il 43% nel 2006. Con una quota sul totale pari a circa il
20% segue il Sud America, che segna un calo di oltre sette punti percentuali, mentre
scende al 18,6% il peso dell’Asia dal 27% del 2005.
Lievemente più bassa risulta nel 2006 la quota del Nord e Centro America, scesa
al 15% dal 21% del 2005, mentre in forte calo è il peso dell’Africa che ora presenta
un’incidenza di appena il 3,6%.
Riguardo alla variazione delle quantità autorizzate per prodotto/categoria di prodotto,
nel 2006 tra quelli più importanti dal punto di vista dell’import si registra un incremento
3. Le importazioni e la distribuzione di prodotti biologici in Italia
P
per le colture industriali (+30,9%) per un ammontare richiesto di circa 58.500 tonnellate
e per lo zucchero di canna (+26%, 24.100 tonnellate). Forti aumenti si registrano per il
cacao, che ha più che raddoppiato le quantità autorizzate (14.000 tonnellate), mentre più
contenuto è l’incremento per le colture ortive (+1,8%, 7.700 tonnellate).
Tra le colture che invece presentano una flessione rispetto al 2005 si segnala il ca-
lo (-24%) dei cereali per un ammontare sceso sotto le 25.000 tonnellate e quello molto
più intenso (-80%) delle colture arboree (8.100 tonnellate circa). In forte flessione ri-
sultano anche le autorizzazioni per il caffè (-51%, 800 tonnellate).
39
2005 20060
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
27,0%
14,0%
11,0%
27,0%
21,0%
18,6%
3,8%
42,8%
19,8%
15,2%
Asia
Africa
Europa non UE
Sud America
Nord e Centro America
Figura 3.1 - Numero di autorizzazioni ad importare suddivise per continente di provenienza nel 2006 e2005
Fonte: Mipaaf-Sinab
Tabella 3.1 - Confronto 2006/2005 delle autorizzazioni ad importare per i principalicomparti bio(tonnellate)
2005 2006 Var. % 06/05Tonnellate autorizzate 202.648 260.268 28,4%di cui:Colture industriali 44.710,00 58.538,02 30,9%
Colture arboree 41.263,00 8.117,76 -80,3%
Cereali 32.299,00 24.517,33 -24,1%
Zucchero di canna 19.142,00 24.130,40 26,1%
Colture ortive 7.569,00 7.708,50 1,8%
Cacao 6.037,00 14.008,00 132,0%
Caffè 1.679,00 821,00 -51,1%
Fonte: Elaborazione Ismea su dati Mipaaf-Sinab.
A fronte di queste autorizzazioni, i quantitativi effettivamente importati sono
ammontati a circa 31 mila tonnellate. Al primo posto risultano le colture industriali,
con un peso sul totale di quasi il 40% e provenienti in larga parte dall’Europa non
comunitaria. Segue lo zucchero, con un’incidenza del 12%, proveniente prevalente-
mente dal Sud e dal Centro America. Un altro importante prodotto di importazione,
tra l’altro molto consumato nel nostro paese, è rappresentato dalle banane, con un
peso di circa il 10%, proveniente dal Sud America per una buona quota. Al quarto e
quinto posto con un peso analogo (poco più dell’8%) figurano, invece, le ortive e le
leguminose, originarie esclusivamente dall’Africa del Nord le prime e dall’America
del Nord e dall’Euopa non Ue le seconde. Una quota simile (intorno al 6%) si ri-
scontra anche per riso e cacao, le cui aree di provenienza sono evidentemente quelle
dove la produzione mondiale è maggiormente concentrata (rispettivamente Asia e
America Centrale).
Confrontando i dati delle quantità autorizzate con quelle effettivamente importate,
emerge che solo il 12% delle quantità autorizzate sono effettivamente importate.
Tale rapporto sale al 40% per le importazioni dall’Africa del Nord e al 34% nel
caso dell’America del Nord, mentre è in linea con la media nell’Europa non Ue
(12,7%).
In relazione ai principali comparti, il rapporto più elevato tra i quantitativi effetti-
vamente importati e quelli autorizzati10 si ha nel caso delle ortive (34%), del caffè
(25% circa) e delle colture industriali (21%). Più basso della media è invece tale rap-
porto nello zucchero e nel cacao (13-15%) e nelle arboree (7,7%).
Incrociando i dati sulle incidenze a livello di continenti con quelli per comparto si
ottengono indicazioni altrettanto interessanti11.
40
Colture industriali 39,5%
Zucchero 12,0%
Banane 9,7%
Ortive 8,5%
Leguminose8,3%
Riso 6,5%
Cacao 6,0%
Olio 3,6%Arboree 2,0%
Arbustive 1,9%
Caffè 0,7%
Semi 0,6%
Cereali 0,3%
Tè 0,1%
Altro 0,4%
Figura 3.2 - Ripartizione percentuale delle importazioni effettive in Italia di prodotti bionel 2006
Fonte: Mipaaf-Sinab
L’incidenza più elevata delle importazioni effettivamente realizzate si registra negli
acquisti di ortive (43,5%) e dell’olio (42,7%), in entrambi i casi dall’Africa del Nord.
Una quota piuttosto elevata si ha anche per le leguminose ed il caffé12 provenienti
dall’America del Nord rispettivamente con un peso del 38 e del 31 per cento. Un’inci-
41
Africa delNord
AmericaCentrale
America delNord
America delSud
Asia Europanon UE
0
20.000
40.000
60.000
80.000
100.000
120.000
9.4983.787
35.886
4.043 3.485 1.188
51.564
5.012
48.318
3.016
111.518
14.206
Tonn
ella
te
Autorizzate
Importate
Figura 3.3 - Tonnellate autorizzate all’importazione a confronto con quelle effettiva-mente importate nel 2006 per continente di provenienza
Fonte: Mipaaf-Sinab
Tabella 3.2 - Distribuzione dei quantitativi effettivamente importati in Italia nel 2006 per continentee per comparto bio(in tonnellate)
Europa non Africa del Sud America AmericaUE Asia Nord America centrale del Nord Totale
Arboree 321 29 178 94 - - 622Arbustive 598 - - - - - 598Banane - - - 2.362 654 - 3.016Cacao - - - - 1.869 - 1.869Caffè - - - - 179 25 204Cereali 67 20 - - - - 87Colture industriali 12.214 135 - - - 10 12.359Funghi - - - - - - 0Leguminose 986 486 - - - 1.133 2.605Olio - - 948 174 - - 1.122Ortive - - 2.646 - - - 2.646Riso - 2.043 - - - - 2.043Semi - 157 - - - 20 177Tè - 27 - - - - 27Zucchero - 118 15 2.268 1.340 - 3.741Totale 14.186 3.015 3.787 4.898 4.042 1.188 31.116
Fonte: Elaborazione Ismea su dati Mipaaf-Sinab.
42
denza intorno al 24% si ha invece ancora per il caffè13, proveniente dall’America Cen-
trale e per le arboree14 provenienti dall’Africa del Nord.
Vi sono al contrario dei comparti per i quali non vi è stato alcun utilizzo delle au-
torizzazioni concesse all’importazione, e cioè nessun quantitativo importato. Ciò è av-
venuto per i funghi e per le ortive provenienti dall’Europa non comunitaria, per l’olio
asiatico, per le leguminose provenienti dall’Africa del Nord e ancora dell’olio prove-
niente dall’America Centrale.
Nell’ambito dei comparti da cui si importa maggiormente, per le colture industria-
li il peso maggiore (22,3%) si riscontra nell’Europa non comunitaria, mentre per lo
zucchero a fronte di percentuali comunque superiori alla media ma in assoluto basse,
prevale leggermente l’incidenza del Sud America (19,4%) rispetto a quella presente in
continenti quali l’Asia15 o l’Africa del Nord16 (Tabella 3.9).
Per le banane, al contrario, il peso dell’import effettivo su quello potenziale è mol-
to basso (6-7%) nei continenti da dove proviene in modo esclusivo (Centro-Sud Ame-
rica), a dimostrazione delle potenzialità enormi che può avere tale import, visto che
già sui livelli effettivi attuali gli acquisti dall’estero di banane occupano il terzo posto
in graduatoria.
3.2 - I grossisti bio
Il canale dei grossisti di prodotti biologici costituisce un importante anello nel-
l’ambito della filiera bio.
Tabella 3.3 - Incidenza delle importazioni effettive italiane di biologico su quelle autorizzate nel 2006per continente e comparto
Europa non Africa del Sud America AmericaUE Asia Nord America centrale del Nord
Arboree 5,5% 3,0% 24,0% 17,4% - -
Arbustive 9,1% - - - - -
Banane - - - 6,3% 7,1% -
Cacao - - - - 13,3% -
Caffè - - - - 24,2% 31,3%
Cereali 0,3% 1,9% - - - -
Colture industriali 22,3% 3,9% - - - 5,0%
Funghi 0,0% - - - - -
Leguminose 6,7% 9,0% 0,0% - - 38,2%
Ortive 0,0% - 43,5% - - -
Olio - 0,0% 42,7% 13,1% 0,0% -
Riso - 6,7% - - - -
Semi - 6,8% - - - 8,3%
Tè - 10,1% - - - -
Zucchero - 17,4% 15,0% 19,4% 11,5% -
Media continente 12,7% 6,2% 39,9% 9,7% 11,3% 34,1%
Fonte: Elaborazione Ismea su dati Mipaaf-Sinab.
Si tratta di un canale quasi sempre costituito da aziende specializzate in prodotti
biologici e che hanno un ruolo rilevante soprattutto (ma non solo) nella fornitura di
canali specializzati ed extradomestici.
Tra l’altro, in riferimento al canale dei grossisti bio, fino ad ora sono state svolte
poche indagini di approfondimento e quindi si è ritenuto utile effettuare in questa sede
un focus su questa tipologia di operatori nell’ambito dell’analisi della distribuzione di
prodotti biologici.
A tale scopo, l’Ismea ha effettuato un’indagine su un campione di dieci importanti
grossisti e distributori. La numerosità del campione è stata negativamente condiziona-
ta dall’effettiva disponibilità dei soggetti a rilasciare interviste. In ogni caso i dieci
contatti sono ampiamente rappresentativi della realtà nazionale.
Le aziende intervistate sono rappresentate da società dotate di una certa struttura
organizzativa: 9 sono società di capitali e 1 soltanto è una società cooperativa.
Si tratta di un gruppo di aziende composto da otto piccole imprese (con un insie-
me di dipendenti non superiore a 15) e due sole grandi (oltre 50 dipendenti).
Il numero di dipendenti mediano è pari a 15 unità17, con due casi in cui è estrema-
mente alto (100 e 500 dipendenti) e un caso in cui è piuttosto basso (3 dipendenti).
Le aziende si dividono sostanzialmente in due grossi gruppi: quelle con un fattura-
to lordo annuo inferiore ai 10 milioni di euro (4 aziende) e quelle con uno superiore a
tale limite (5)18. Sotto il profilo territoriale, il gruppo di aziende rilevato rappresenta
sostanzialmente la distribuzione reale delle aziende sul territorio nazionale. Le aree
con maggiore presenza di imprese sono il Centro con 6 aziende, il Nord Est con 3 ed
il Sud e le Isole con una.
Sette aziende trattano esclusivamente prodotti bio, mentre le restanti tre anche pro-
dotti convenzionali. Di queste tre, in un solo caso l’incidenza del biologico sul totale
delle vendite è limitata, mentre nei restanti due casi è abbastanza significativa o molto
elevata.
Si tratta quindi di imprese sostanzialmente specializzate nel biologico e che tratta-
no in misura marginale anche prodotti convenzionali.
La piccola dimensione e la specializzazione di queste imprese distributrici è una
caratteristica che è frequente anche in anelli della filiera più a monte, come quello del-
le aziende di trasformazione bio.
3.2.1 - L’approvvigionamentoIn relazione ai fornitori dei dieci grossisti biologici, dall’indagine emerge che
essi sono mediamente pari a 45. Soltanto con una frequenza minoritaria essi risulta-
no superiori a 100. Si fa quindi ricorso, nell’ambito delle molte referenze offerte dai
distributori di prodotti bio, a relativamente poche aziende specializzate in prodotti
biologici.
I grossisti bio si riforniscono in media (Figura 3.5) principalmente da aziende
agricole (32%) e cooperative e consorzi (28%), a dimostrazione della presenza di
un’offerta completa, costituita anche da prodotti freschi, oltre che trasformati.
43
L’approvvigionamento di prodotti trasformati non è infatti trascurabile, in quan-
to viene fatto ricorso ai trasformatori per un 24%, di cui il 16% è imputabile a tra-
sformatori generalistici che commercializzano anche convenzionale e un 8% a pre-
paratori specializzati. Per il 16% si riforniscono attraverso importatori, vista la cre-
scente importanza che il biologico sta assumendo per alcuni prodotti provenienti
dall’estero (caffè, tè, banane, ecc.) che hanno forti legami anche con il commercio
equo e solidale.
Gli acquisti effettuati sono principalmente di provenienza nazionale (88%), mentre
il peso delle importazioni dirette dall’estero è abbastanza limitato (12%).
Più nello specifico, i prodotti bio che provengono dal territorio nazionale vengono
reperiti in media principalmente al Centro (32%) e al Nord (31%), mentre un peso mi-
nore è rivestito dal Sud (24%) e dalle Isole (13%). La prevalenza del Centro-Nord è
probabilmente dovuta al fatto che le aziende di distribuzione di prodotti bio, come già
accennato, commercializzano oltre al prodotto fresco rispetto al quale il Centro può
essere un importante fornitore, anche un’ampia gamma di referenze di prodotto tra-
sformato, tipicamente prodotto nelle aree settentrionali del Paese.
I prodotti bio acquistati all’estero provengono invece principalmente da paesi del
Nord Europa: il peso maggiore spetta a Danimarca, Germania, Olanda e Austria, men-
tre più bassa è l’incidenza per Francia e Spagna e, tra i paesi extra –Ue, per Giappone
e Marocco.
In relazione alle problematiche relative all’approvvigionamento, la maggior parte
delle aziende intervistate (7) dichiara di incontrare alcune difficoltà, tra le quali: la
qualità non sempre costante dei prodotti bio acquistati e la reperibilità (Figura 3.5).
Strettamente collegata con la reperibilità è la fornitura non regolare dei prodotti
bio che è un problema per 3 intervistati su 10, mentre un’importanza lievemente mi-
nore rivestono la crescente ascesa dei costi e la stagionalità dei prodotti.
44
Aziende agricole32,0%
Cooperative/consorzi 28,0%
Aziende ditrasformazione
16,0%
Importatori16,0%
Trasformatori specializzati8,0%
Figura 3.4 - I canali di approvvigionamento dei grossisti bio
Fonte: Indagine Ismea sui grossisti biologici.
3.2.2 - Il mercatoIn relazione alle vendite di prodotti biologici, i grossisti bio commercializzano
principalmente pasta, riso e olio di oliva (5) e prodotti da forno (4). Tre intervistati
hanno invece citato l’ortofrutta fresca e i derivati dei cereali, mentre in due casi sono
stati nominate l’ortofrutta trasformata e il vino. In 6 casi, infine, sono stati citati i
comparti zootecnici: formaggi e altri prodotti lattiero caseari, carni (fresche e trasfor-
mate) e uova e miele.
Le vendite dei prodotti sopra elencati nel 2006 hanno registrato un andamento
soddisfacente per 6 intervistati su 10 che ritengono che il mercato sia cresciuto. I re-
stanti 4 hanno invece giudicato il mercato stabile.
Sul fronte distributivo, quindi, il 2006 ha registrato un andamento di mercato posi-
tivo.
L’aumento delle vendite, secondo la maggioranza degli intervistati, è dovuto alla
maggiore domanda (4 imprese) o alla più elevata competititività dell’impresa (altre 4).
La crescita della domanda in parte può essere dovuta alla ripresa dei consumi alimen-
tari, in parte anche al presumibile abbassamento dei prezzi dovuto all’ottimizzazione
dei costi.
In effetti un’impresa ha dichiarato esplicitamente che il contenimento dei costi di
produzione e della conseguente riduzione dei prezzi al consumo ha stimolato un incre-
mento della domanda, mentre un’altra azienda ritiene che le vendite siano cresciute
grazie alle maggiori richieste provenienti dall’estero.
Oltre l’85% delle vendite dei grossisti è destinata al mercato interno, mentre il ri-
manente 14,8% va all’estero. Il 48% delle vendite destinate al mercato interno va ver-
so i canali di distribuzione “più classici” per gli acquisti domestici, ossia principal-
mente Gdo (22%) e negozi specializzati (17%), mentre un ruolo minore spetta ai ne-
gozi tradizionali (9%).
45
Qualità non semprecostante5
Reperibilità5
Fornitura nonregolare
3
Costi crescenti2
Stagionalità1
Figura 3.5 - Principali difficoltà incontrate nell’approvvigionamento di prodotti biologi-ci da parte dei grossisti bio (in numero di risposte)
Fonte: Indagine Ismea sui grossisti biologici.
46
Past
a-ris
o
Olio
di o
liva
Prod
otti
da fo
rno
Orto
frutta
fres
ca
Deriv
ati d
ei c
erea
li
Orto
frutta
tras
form
ata
Vino
Form
aggi
Altri
pro
dotti
latti
ero
case
ari
Carn
i fre
sche
Carn
i tra
sfor
mat
e
Uova
Mie
le
Altri
0
0,5
1 1 1 1 1 1 1
1,5
22 2
2,5
33 3
3,5
44 4
4,5
55 5
Figura 3.6 - Principali prodotti commercializzati dai grossisti bio(frequenza di citazioni, risposta multipla)
Fonte: Indagine Ismea sui grossisti biologici.
Mercato domestico48,3%
Estero14,8%
Mercatoextradomestico37,0% Ristorazione collettiva,
scuole26,0%
Ristoranti, bar, enoteche10,9%
Figura 3.7 - Ripartizione delle vendite dei grossisti bio
Fonte: Indagine Ismea sui grossisti biologici.
Di un certo rilievo anche la quota che si orienta verso i canali extradomestici che nel
loro insieme coprono il 37% delle vendite complessive sul mercato interno. Di queste, il
26% è attribuibile al crescente canale della ristorazione collettiva e delle scuole, mentre
l’11% circa è di competenza della ristorazione commerciale (Figura 3.7).
In relazione alle eventuali problematiche incontrate nella commercializzazione,
quattro aziende delle dieci hanno dichiarato di non riscontrare difficoltà. Le altre han-
no, invece, elencato tra i problemi i prezzi non remunerativi rispetto ai costi e le dif-
ficoltà di collocamento del prodotto.
Un altro problema legato alla commercializzazione ma meno importante è la diffi-
coltà a garantire una costanza quantitativa ai clienti, mentre relativamente meno rile-
vanti sono ritenuti i prezzi al consumo alti, lo scarso interesse nei confronti del bio.
Riguardo alla destinazione geografica delle vendite dei grossisti bio, più della me-
tà è rivolta ai mercati del Nord Italia, mentre più limitato è il peso prodotto destinato
al Centro e ancora molto contenuto è del quello diretto al Sud e nelle Isole (2,8%).
Emerge quindi un’asimmetria tra luoghi di produzione e distribuzione-consumo,
che vede prevalere il Sud e le Isole dal punto di vista produttivo e il Centro Nord da
quello commerciale.
Otto delle dieci aziende intervistate effettuano anche vendite all’estero. Il paese di
destinazione più citato dagli intervistati è la Germania, seguita da Danimarca, Gran
Bretagna, Austria e Spagna. Più limitate le vendite verso nazioni come Francia, Giap-
pone, Grecia e Svizzera.
3.2.3 - Le prospettiveRiguardo all’andamento delle vendite nei prossimi 2-3 anni, la maggior parte dei
grossisti bio (9 su 10) ritiene che il mercato crescerà ancora.
In riferimento alle strategie future da attuare, gli intervistati hanno dichiarato di avere
intenzione di raggiungere nuovi mercati, aumentare l’offerta bio e introdurre nuovi prodotti.
Meno frequente, infine, è la volontà di cambiare o diversificare i canali di vendita
o realizzare campagne di comunicazione o pubblicità sul bio.
47
Raggiungerenuovi mercati30,8%
Introdurre nuoviprodotti
19,2%
Cambiare e/o diversificarei canali di vendita
11,5%
Attuare forme dipubblicità
e comunicazionespecificheper il bio
11,5%
Incrementarel‘offerta bio26,9%
Figura 3.8 - Strategie future dei grossisti bio
Fonte: Indagine Ismea sui grossisti biologici.
3.3 - La Gdo
Il presente paragrafo analizza le principali problematiche e tendenze di mercato
del biologico in riferimento al canale della Distribuzione Moderna19.
L’indagine presso la Gdo è stata effettuata attraverso interviste dirette a 70 opera-
tori, distribuiti per il 51,4% al Nord (in egual misura al Nord Ovest e al Nord Est), per
il 21,4% al Centro, per il 17% al Sud e per il restante 10% nelle Isole.
Il 43,3% del campione è costituito da supermercati di media e grande dimensione
(da 1.000 a 2.500 metri quadrati), il 31% da quelli medio-piccoli (da 400 a 1.000 me-
48
tri quadrati), il 13,4% da superette (fino a 400) e quasi il 12% da ipermercati (oltre
2.500).
Tabella 3.4 - Distribuzione del campione per ampiezza delle superfici del punto vendita e per areageografica
Media nazionale Nord Ovest Nord Est Centro Sud e IsoleIpermercati 11,9% 17,6% 0,0% 6,7% 22,2%
Supermercati medio-grandi 43,3% 58,8% 41,2% 40,0% 33,3%
Supermercati medio-piccoli 31,3% 11,8% 47,1% 40,0% 27,8%
Superette 13,4% 11,8% 11,8% 13,3% 16,7%
Totale 100,0% 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Fonte: Indagine Ismea sulla Gdo.
Rispetto alla forma giuridica dei punti vendita della Gdo intervistati, emerge che
la maggior parte delle aziende appartiene a società piuttosto strutturate: il 55,7% è in-
fatti rappresentato da società di capitali, mentre una quota più bassa ma comunque
consistente (quasi il 33%) è costituita da società cooperative.
Il numero medio dei dipendenti è pari 48 e il fatturato dichiarato si situa nelle due
classi “tra i 5 e i 10 milioni di euro” e “da 500 mila a 2,5 milioni di euro”.
A rispondere alle interviste sono stati soprattutto i Direttori dei punti vendita
(61,4% del totale) e i responsabili di reparto (30%).
Per completare l’analisi delle dinamiche della Gdo, è stata realizzata anche un’in-
dagine presso sei Centrali di acquisto, ossia quelle strutture che fanno capo alla catena
distributiva madre, dotate di piattaforme logistiche che effettuano gli acquisti di pro-
dotti agroalimentari e che successivamente smistano la merce presso i vari punti ven-
dita della Gdo. In particolare, sono state intervistate principalmente centrali presenti
nel Nord Italia, mentre, coerentemente con la rappresentazione reale dell’universo, più
limitato è stato il ricorso a piattaforme presenti nel Centro-Sud.
3.3.1 - L’approvvigionamentoSul fronte dell’approvvigionamento della Gdo, analizzando i risultati dell’indagine
presso le Centrali di acquisto, emerge innanzitutto che gli acquisti vengono effettuati
in gran parte da fornitori specializzati. In tre aziende su sei l’approvvigionamento, in-
fatti, proviene da trasformatori specializzati ed in due casi da grossisti specializzati.
Una sola azienda invece ricorre ai trasformatori anche di prodotti convenzionali.
Gli acquisti provengono pressoché totalmente dal mercato nazionale, e principal-
mente dal Centro e dal Nord, mentre quote più basse spettano al Sud e alle Isole.
Le Centrali di acquisto si riforniscono per il biologico da non molti fornitori, pari in
media a circa dieci. Cinque intervistati su sei non incontrano problemi nell’approvvi-
gionamento, mentre chi li riscontra ritiene che la reperibilità e la stagionalità dei pro-
dotti rappresentino degli ostacoli da dover superare, probabilmente in quanto la Gdo
deve poter garantire una continuità della fornitura e uno standard qualitativo elevato.
49
In effetti più di 2/3 degli intervistati effettua ulteriori controlli sulla produzione. I
prodotti bio maggiormente acquistati, che comunque hanno un peso per ora ancora
marginale (meno del 5%) sul totale complessivo degli approvvigionamenti delle cen-
trali, le carote ed alcuni prodotti legati alla trasformazione del pomodoro, come le pas-
sate e i pomodori in polpa. Un ruolo di primo piano hanno anche i legumi secchi, le
mele, l’olio extravergine e i vini Doc-Docg e Igt.
Un ruolo minore hanno prodotti frutticoli come i limoni e le banane, mentre tra gli
ortaggi emergono le zucchine. Non mancano anche prodotti ad elevato contenuto di
servizio, come la verdura fresca pronta all’uso e salutistici, come i succhi di frutta.
La maggior parte delle centrali dichiarano in prevalenza di non aver mutato l’am-
montare degli acquisti di biologico negli ultimi 12 mesi. A tal proposito, la metà degli
intervistati ha intenzione in futuro di aumentare l’offerta tramite l’incremento degli
acquisti di prodotti bio che già tratta.
Quote minoritarie di intervistati pensano di aumentare l’incidenza del bio sul tota-
le acquisti, incrementare la produzione bio a marchio commerciale, o al contrario di-
minuire l’incidenza del bio sul totale degli acquisti.
3.3.2 - Il mercatoCome confermato anche dall’indagine sulle centrali di acquisto, il biologico nella Gdo,
pur essendo rappresentativo di prodotti di eccellenza qualitativa, ha un ruolo soltanto mar-
ginale sul totale delle vendite: il 79% degli intervistati infatti dichiara che il bio presenta un
peso inferiore o al massimo uguale al 5% e soltanto un 17% rileva che il peso sia compre-
so in una fascia tra il 6 e il 20%; appena il 4% dichiara un’incidenza superiore al 20%.
Del resto gli intervistati ammettono anche che il ruolo dei prodotti bio nella strategia
del punto vendita o della catena sia in prevalenza di completamento di gamma (34,3% del-
le risposte), marginale o addirittura in declino (21,4%) o destinato a soddisfare una richie-
sta di nicchia (18,6%). Una percentuale degli intervistati abbastanza importante ritiene in-
vece che il ruolo del biologico nell’ambito del punto vendita sia in deciso sviluppo (30%).
I prodotti bio più venduti nella Gdo, secondo le risposte degli intervistati, nel 2006
sono risultati nell’ordine la pasta di semola (25,7% delle risposte), la lattuga (24,3%)
e le banane (20%). Seguono poi i biscotti (15,7%) e altri prodotti ortofrutticoli come i
pomodori (14,3%) e le arance (12,9%). Subito dopo si colloca il latte fresco, con un
peso dell’11,4%.
Tornando all’indagine presso la Gdo, in relazione all’andamento delle vendite nel
2006, più della metà degli intervistati ha giudicato il mercato stabile, mentre una dis-
creta quota, il 37%, lo ha valutato in aumento. Una percentuale molto più limitata
(11,4%) del campione ritiene invece che le vendite 2006 siano diminuite.
Le motivazioni alla base dell’aumento delle vendite sono da imputare principal-
mente al cambio dei gusti del consumatore (50%) e alla maggiore informazione e
pubblicità sui prodotti bio svolta dalle varie catene (42,3%). Una quota più bassa (il
15,4%) ritiene invece che le classiche motivazioni che spingono al consumo dei pro-
dotti bio (prodotti più sani, di qualità più elevata) siano state determinanti per la cre-
50
scita delle vendite. Altre cause, ma decisamente minoritarie, riguardano dal lato del-
l’offerta l’inserimento di nuovi prodotti o la diminuzione dei costi.
Tra gli intervistati meno ottimisti sull’andamento delle vendite del mercato bio, le mo-
tivazioni del calo di mercato sarebbero da imputare principalmente all’aumento dei costi
(62,5%), seguito a larga distanza dalla sfiducia dei consumatori nei prodotti biologici.
Riguardo agli eventuali problemi incontrati nella commercializzazione, quasi il 63% de-
gli intervistati dichiara di non averne. Per la restante quota, i problemi evidenziati riguarda-
no il problema del prezzo troppo alto (quasi il 23% delle risposte su un totale appunto del
37%), seguito dallo scarso interesse e dalla diffidenza del consumatore (11,4%). Un ulterio-
re 4,3% si riferisce invece alla difficoltà a garantire una costanza qualitativa dell’offerta bio.
Volendo suddividere le vendite bio dei punti vendita della Gdo tra prodotti a marchio
della catena distributiva (private labels) e a marchio del produttore, emerge che in media
prevale leggermente (55,5%) la cessione di prodotto a marchio commerciale, mentre il re-
stante 44,5% viene venduto direttamente con il marchio del produttore bio. Tuttavia la
maggior parte degli intervistati attribuisce una percentuale del 70-80% al marchio privatelabel e un 20-30% al marchio del produttore, a dimostrazione di una tendenza delle cate-
ne della Gdo a vendere i prodotti bio associando alle garanzie insite nel prodotto bio,
quelle offerte dall’insegna in termini di maggiori controlli e di affidabilità del prodotto.
Si nota, inoltre, una differenziazione di comportamento tra i diversi punti vendita
della Gdo. In particolare si osserva sostanzialmente che man mano che cresce l’am-
piezza del punto vendita, maggiore tende ad essere il peso delle private labels e mino-
re quello dei prodotti a marchio del produttore.
3.3.3 - Le strategieI prodotti bio venduti nella Gdo vengono collocati quasi sempre (nell’83% dei casi) a
fianco di quelli convenzionali, mentre solo una percentuale molto bassa degli intervistati
superette supermedio piccoli
supermedio grandi
ipermercati0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
marchio produttore
private labels
Figura 3.9 - Distribuzione % delle vendite nei vari punti vendita della Gdo tra prodottibio a marchio del produttore e private labels bio
Fonte: Indagine Ismea sulla Gdo.
51
li pone in un’area specifica. Rispetto ai risultati della precedente indagine svolta da Ismea
sulla Gdo20, è aumentata la percentuale dei punti vendita che colloca i prodotti bio accan-
to a quelli convenzionali, a dimostrazione del fatto che i prodotti bio sono ormai perfetta-
mente in grado di competere, praticamente in tutte le filiere, con i prodotti convenzionali.
I punti vendita della Gdo effettuano anche promozioni sui punti vendita per i pro-
dotti biologici, probabilmente anche a causa della flessione della domanda che ha in-
teressato quasi esclusivamente tale canale negli anni scorsi.
Il 51% degli intervistati pratica offerte di prezzo, mentre una percentuale molto
minore (23,5%) promuove il bio tramite volantini e folder. Una quota molto più bassa,
pari al 4%, effettua degustazioni di prodotti bio, mentre alla cartellonistica e alla co-
municazione multimediale si dedica il 2-3% degli intervistati.
Da notare inoltre che un 15% degli intervistati dichiara di non effettuare attività
promozionale sui prodotti biologici.
I motivi per cui il consumatore può essere spinto a scegliere la Gdo anziché i negozi
specializzati nella scelta del bio sono, secondo l’opinione degli intervistati, legati alla
possibilità di poter effettuare la spesa recandosi in un unico punto vendita (26% delle ri-
sposte) dove si possono acquistare anche prodotti convenzionali (tale affermazione è stata
dichiarata esplicitamente da un ulteriore 9% del campione) e perché si trovano prodotti
bio più a buon mercato (19,3%). Quasi il 16% degli intervistati ritiene invece che il ricor-
so alla Gdo piuttosto che ai negozi specializzati possa dipendere da una maggiore diffu-
sione dei punti vendita o da un maggiore assortimento dei prodotti (12,5%). Percentuali
più basse fanno riferimento a controlli più accurati e alla maggiore fedeltà all’insegna.
Si p
uò e
ffettu
are
la s
pesa
inun
uni
co p
unto
ven
dita
Prez
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Mag
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0
5
10
15%
20
25
30
26,1%
19,3%
15,9%
12,5%
9,1%8,0%
5,7%
9,6%
Figura 3.10 - Cosa spinge il consumatore a rivolgersi alla Gdo piuttosto che ai negozispecializzati per l’acquisto dei prodotti bio?(domanda a risposta multipla)
Fonte: Indagine Ismea sulla Gdo.
3.3.4 - Le prospettiveIn riferimento, infine, alle prospettive del mercato bio, gran parte degli intervistati
ritiene che nei prossimi 2-3 anni le vendite aumenteranno. In prevalenza vi è chi so-
stiene che esse aumenteranno non di molto (38,6%), mentre relativamente più limitata
è la percentuale di chi le giudica in forte aumento (28,6%). Quasi un 26% invece pen-
sa che esse rimangano stazionarie, mentre un 7% circa le prevede in diminuzione.
Sembra quindi che la ripresa delle vendite di biologico nella Gdo nell’ultimo anno
possa essere il punto di partenza per un nuovo rilancio del bio in questo canale.
Quasi la metà degli intervistati ha inoltre anche espresso la volontà in futuro di au-
mentare la gamma dei prodotti da proporre. Ciò è avvenuto soprattutto in riferimento
alle categorie verso le quali vi è un maggior consumo di prodotti biologici come quel-
le dell’ortofrutta fresca (12,6%), dei prodotti lattiero-caseari (9,7%) e dei biscotti, dol-
ciumi e snack (7,8%). Altre categorie di prodotto sempre di largo consumo citate sono
quelle del riso e pasta e degli oli di oliva (5% il loro peso sul totale delle risposte in
entrambi i casi).
Da rilevare comunque che un 11% circa degli intervistati non pensa di aumentare
la gamma di offerta futura nelle principali famiglie di prodotti bio, mentre ben il 27%
non sa al momento quale potrà essere la propria strategia nei prossimi anni.
3.4 - I negozi specializzati bio
Per l’analisi delle le tendenze di mercato che riguardano i negozi specializzati si è
fatto ricorso, come nei casi precedenti, ad un’indagine effettuata presso 60 punti ven-
dita distribuiti per il 65% al Nord (33,3% al Nord Est, 31,7% al Nord Ovest), per il
21,7% al Centro e per il 13,3% al Sud e nelle Isole.
I punti vendita intervistati sono prevalentemente di dimensioni limitate (minore o
uguale a 400 metri quadrati); in soli due casi i responsabili dei punti vendita hanno di-
chiarato di avere una superficie pari a 600 metri quadrati.
Rispetto alla forma giuridica, si tratta per la maggior parte dei casi di aziende indi-
viduali (38,3%) o società di persone (35%); il 20% è rappresentato da società di capi-
tali, mentre una quota molto più bassa appartiene a società cooperative e altre forme
societarie (6,6%).
Il numero medio dei dipendenti è a livello nazionale pari 3 e il fatturato dichiarato
dai vari punti vendita prevalentemente fino a 500.000 euro. A rispondere alle intervi-
ste sono stati soprattutto i titolari o i direttori dei punti vendita (81,7% del totale) e in
misura minore i responsabili di reparto (8,3%).
3.4.1 - L’approvvigionamentoGli acquisti vengono effettuati in gran parte dai grossisti (60%), in leggera preva-
lenza (31%) specializzati, mentre leggermente più bassa è la quota delle aziende agri-
cole (24,7%), a cui i negozi specializzati ricorrono soprattutto per l’approvvigiona-
52
mento di ortofrutta fresca, sia confezionata che sfusa. Seguono a larga distanza nel-
l’ordine le aziende di trasformazione (5,5%), le cooperative e i consorzi (4,5%) e i tra-
sformatori specializzati (3,5%).
53
Grossistispecializzati31,0%
Grossisti29,0%
Aziende agricole25,0%
Aziende ditrasformazione
6,0%
Coop-consorzi4,0%
Trasformatorispecializzati
3,0%Altro2,0%
Figura 3.11 - Provenienza degli acquisti di prodotti bio da parte dei negozi specializzati
Fonte: Indagine Ismea sui negozi specializzati.
Gli acquisti provengono prevalentemente (86,4%) dal mercato nazionale, mentre il
restante 13,6% arriva dall’estero.
Da notare, quindi, che il ricorso all’estero è molto più elevato nei negozi specializ-
zati che nella Gdo (dove è pari all’1,7%), probabilmente a causa della maggiore “pro-
fondità” e varietà di gamma offerta da tali negozi, che necessita quindi del ricorso a
prodotti provenienti anche da oltrefrontiera.
I principali paesi fornitori sono innanzitutto la Germania (54% del totale), seguita
a larghissima distanza da Francia e Olanda (10% circa ciascuna) e ancora più staccate
da Giappone e Spagna.
Gli approvvigionamenti effettuati sul territorio nazionale sono effettuati principal-
mente al Nord (58,7%) e al Centro (21%), mentre quote più basse spettano al Sud
(12,3%) e alle Isole (8%). Tale dato è in linea con la distribuzione dei punti vendita
specializzati sul territorio nazionale, localizzati soprattutto nell’Italia centro-setten-
trionale, il che fa presumere che tali negozi si approvvigionino a livello locale per cer-
care di comprimere i costi di trasporto. Tali risultati inoltre sono anche coerenti con
quelli emersi dalle altre indagini Ismea illustrate in tale Rapporto effettuate su soggetti
che si trovano nelle fasi immeditamente più a monte della filiera.
Ognuno dei 60 negozi specializzati intervistati si rifornisce in media da 24 fornito-
ri. Tuttavia ben 27 aziende delle 60 non oltrepassano i 10 fornitori, altre 23 si trovano
nella classe 11-50 e solo 5 superano i 100.
54
La maggior parte degli intervistati (il 67,2% del totale) non incontra problemi nel-
l’approvvigionamento. La reperibilità, la stagionalità e la fornitura non regolare (7,5%
in tutti i casi) dei prodotti rappresentano, invece, i principali ostacoli nell’approvvigio-
namento del prodotto.
3.4.2 - Il mercatoI prodotti bio più venduti nei negozi specializzati sono nell’ordine la pasta di se-
mola (come nella Gdo) e i biscotti (15% in entrambi i casi). Segue con un peso
dell’8% il pane fresco, prodotto non presente in punti vendita alternativi quali quelli
della Gdo. Con un’incidenza del 7% seguono invece il riso e le carote (7%), primo
prodotto ortofrutticolo venduto.
È significativo notare come alcuni intervistati (anche se non numerosi) abbiano indi-
cato tra i primi prodotti venduti quelli che non figurano normalmente nell’offerta bio
della Gdo come il riso di soia, il tofu, i prodotti no food, i prodotti senza glutine (che so-
lo alcune catene della Gdo possiedono), le carni elaborate bovine. In relazione all’anda-
mento delle vendite nel 2006, emerge che il 48% degli intervistati giudica le vendite del-
l’ultimo anno in aumento, risultando tale incremento in media del 10%, mentre il 30%
degli intervistati giudica il mercato stabile e soltanto il restante 22% in diminuzione.
Sono aumentate Sono rimaste stabili Sono diminuite0
10
20
30%
40
50
60
48,3%
30,0%
21,7%
Figura 3.12 - Giudizio sull’andamento delle vendite nei negozi specializzati bio nel 2006(in % degli intervistati, campione di 60 punti vendita)
Fonte: Indagine Ismea sui negozi specializzati.
Quindi il mercato del biologico sembra registrare un andamento positivo anche nel
canale dei negozi specializzati.
Le motivazioni dell’aumento delle vendite sono da imputare principalmente alla
maggiore informazione e pubblicità sui prodotti bio (25%), alla maggiore domanda
(22,5%), al cambio dei gusti del consumatore e al fatto che i prodotti bio sono più sani
e di maggiore qualità (20%). Secondo alcuni intervistati, anche l’aumento delle intol-
leranze alimentari può aver influito positivamente sull’andamento del mercato.
Gli intervistati meno ottimisti sull’andamento delle vendite del mercato bio, indi-
cano tra le motivazioni la maggiore concorrenza (35,7%), seguita dalle difficoltà eco-
nomiche del paese (28,6%) e dall’aumento dei costi (21,4%).
Quasi la metà degli intervistati non incontra problemi di commercializzazione. Il
prezzo troppo elevato (23,2%) e la diffidenza del consumatore (20,3%) costituiscono
ancora dei forti ostacoli all’espansione del mercato. In effetti un’alta percentuale degli
intervistati ritiene che i prezzi dei principali prodotti venduti sia in aumento (in media
del 9%).
Volendo suddividere le vendite bio dei punti vendita specializzati tra prodotti a
marchio della catena distributiva (private labels) e a marchio del produttore, emerge
una situazione molto differente rispetto a quanto avviene nella Gdo. Infatti, in media,
soltanto l’11,6% dei prodotti viene venduto con il marchio commerciale, mentre il re-
stante 88,4% viene venduto direttamente con il marchio del produttore bio, pur non
esistendo secondo il 68,3% dei responsabili dei punti vendita marchi forti paragonabi-
li a quelle dei prodotti convenzionali. In particolare in ben 44 punti vendita su 60 la
quota delle marche commerciali non supera il 10% (in 35 casi sono assenti), mentre
soltanto 3 negozi specializzati commercializzano i prodotti con una percentuale di pri-vate labels uguale o superiore al 60%. Tutto ciò dimostra che i negozi specializzati
puntano di meno alla valorizzazione dell’insegna, utilizzando la marca commerciale
maggiormente come strumento per aumentare e completare la gamma dei prodotti of-
ferti ed accrescerne la profondità.
In relazione ai motivi per cui il consumatore è spinto a scegliere i negozi specializ-
zati anziché la Gdo nella scelta del bio, secondo l’opinione degli intervistati la mag-
giore informazione fornita al consumatore tramite la competenza del gestore (31,1%)
e il puntare sulla maggiore specializzazione rispetto alla Gdo (24,4%) giocano un ruo-
lo decisivo nel combattere la concorrenza della distribuzione non specializzata. Non
manca però chi ritiene che anche la diminuzione dei prezzi e l’offerta di maggiori ser-
vizi al consumatore (14,5% in entrambi i casi) concorrono a sottrarre clientela alla
Grande Distribuzione Organizzata.
Percentuali più basse fanno riferimento all’aumento della dimensione del punto ven-
dita, alla creazione di spazi di ristoro o alla creazione di negozi specializzati tematici.
Il ritorno al concetto di convenienza da parte di alcune fasce di consumatori ha
portato probabilmente ad un cambio di strategie in questa direzione anche nei negozi
specializzati. Ben il 94,5% degli intervistati infatti effettua promozioni sui prodotti bio
e la gran parte di essi le realizza tramite offerte di prezzo (47,7%). L’informazione al
consumatore è invece garantita tramite volantini e folder (23,4%), campagne di infor-
mazione (9,3%) e cartellonistica (6,5%). Una quota leggermente più bassa, pari al
5,6%, effettua come attività promozionale degustazioni di prodotti bio.
Infine i punti vendita specializzati bio non svolgono in prevalenza (63,3% degli in-
tervistati) controlli diretti.
55
3.4.3 - Le prospettiveRiguardo alle aspettative sulle vendite nei prossimi 2-3 anni, i responsabili dei
punti vendita stimano il mercato in espansione. I 2/3 degli intervistati (la percentuale è
praticamente la stessa della Gdo) ritengono infatti che il mercato crescerà, con una
prevalenza (il 48% circa) di chi pensa a un aumento non troppo consistente rispetto a
chi lo prevede invece di rilievo (18,3%).
Oltre il 28%, invece, ritiene che il mercato resterà stabile, mentre il restante 5% lo
stima in flessione.
Quasi l’86% degli intervistati ha inoltre espresso la volontà in futuro di aumentare
i prodotti da proporre, soprattutto in riferimento alle categorie verso le quali vi è un
maggior consumo in tale canale come quelle dei biscotti, dei dolciumi, degli snack
(11,2%) e del pane e dei suoi sostituti (9%). Seguono altre categorie a largo consumo
nel biologico come l’ortofrutta fresca (8,2%) e a pari merito (7,5%) i prodotti lattiero-
caseari e gli oli.
Altre categorie di prodotto sempre di largo consumo citate sono quelle del riso e
pasta e dei prodotti per l’infanzia (6% il loro peso sul totale delle risposte in entrambi
i casi), nonché i condimenti (5,2%).
Da rilevare, infine, che un 11% circa degli intervistati non pensa di aumentare
l’offerta futura.
56
9) Attualmente quindi non si dispone di statistiche in grado di quantificare i flussi di pro-dotti biologici in entrata e, ancor meno, di attribuire tali flussi ai paesi di origine. Inoltre,per il commercio con i paesi comunitari e con quelli in regime di equivalenza non si dispo-ne neanche di tracce amministrative. Per le importazioni dai paesi terzi, invece, essendoobbligatoria per gli importatori l’autorizzazione rilasciata dal Ministero delle PoliticheAgricole, Alimentari e Forestali è possibile ricavare alcune informazioni.10) In determinati comparti i quantitativi effettivamente importati e quelli autorizzati sonomolto bassi, come nel caso del caffè, per cui il relativo rapporto può dar luogo a incre-menti percentuali alti, ma tuttavia associati a valori assoluti poco significativi.11) L’incrocio tra continenti e comparti, in alcuni casi, può determinare un livello di dis-aggregazione tale da portare a valori assoluti bassi, con le conseguenze indicate nella no-ta precedente. Pertanto, in alcune situazioni, i dati esposti possono avere una minore signi-ficatività.12) Si veda quanto detto nella nota 10.13) Si veda quanto detto nella nota 10.14) Si veda quanto detto nella nota 10.15) Si veda quanto detto nella nota 10.16) Si veda quanto detto nella nota 10.17) Il valore dell’indicatore che esprime sinteticamente il numero di dipendenti di tutti igrossisti bio è stato calcolato come mediana dei valori delle singole aziende, in quanto vierano dei valori estremi piuttosto lontani da quelli presenti nella maggior parte delle im-prese.18) La decima azienda non ha risposto al quesito.19) Analogamente a quanto già visto per i grossisti, si avvale dei risultati delle indaginisvolte da Ismea in collaborazione con la Pragma alla fine del 2006.20) Per approfondimenti si veda la pubblicazione “L’evoluzione del mercato delle produ-zioni biologiche”, Ismea, luglio 2005.
57
Introduzione
l presente capitolo analizza i dati del Panel Ismea/ACNielsen, che si riferisco-
no ai soli consumi domestici di prodotti agroalimentari di un campione di
9.000 famiglie21.
Pur se con un certo ritardo rispetto alla progressiva e sostenuta espansione che ha
interessato il sistema di produzione e distribuzione, anche il consumo di prodotti bio-
logici in Italia è cresciuto rapidamente negli ultimi anni, consentendo un’affermazione
definitiva della filiera del “biologico” (d’ora in poi bio) nell’ambito del panorama
agroalimentare nazionale, così come già accaduto in molti altri paesi europei. Pur ri-
manendo un mercato di dimensioni limitate, si può affermare che il consumo dei pro-
dotti bio sia uscito dalla nicchia. Le motivazioni alla base di questa espansione sono
da ricercare sia in una più incisiva organizzazione dell’offerta, sia nella crescita di at-
tenzione dei consumatori, sempre più attenti ai temi del benessere e della sicurezza
alimentare. Nel periodo compreso tra il 2000 ed il 2006 il tasso medio annuo di cre-
scita dei consumi domestici22 è stato infatti importante, con il valore degli acquisti che
ha oltrepassato i 310 milioni di euro nel 2006.
In tale quadro, tuttavia, parallelamente alla tendenza rilevata dal lato dell’offerta, i
dati relativi al 2004 e al 2005 hanno evidenziato un ridimensionamento dei consumi.
4. L’evoluzione dei consumi di prodotti biologici in Italia
2004 2005 2006
0,63% 0,61% 0,64%
270
275
280
290
285
300
305
310
315
Consumi di bio confezionato invalore
Peso % bio sul totaleagroalimentare
0,40%
0,42%
0,44%
0,46%
0,48%
0,50%
0,52%
0,54%
0,56%
0,58%
0,60%
0,62%
0,64%
Figura 4.1 - Evoluzione della spesa per prodotti biologici confezionati* e della loro inci-denza sul settore agroalimentare nel complesso
* sono esclusi gli acquisti effettuati nei negozi specializzati.Fonte: Ismea/ACNielsen
I
58
Il 2004 si è caratterizzato infatti come il primo anno dal 1998 in cui gli acquisti hanno
fatto registrare una battuta di arresto e tale tendenza è stata confermata nel 2005,
quando il calo della domanda è stato però molto più contenuto.
Sembrerebbe quindi che nel ciclo di vita dei prodotti bio sia intervenuta nel bien-
nio 2004-2005 una fase di ripensamento, dopo la crescita ininterrotta registrata alla fi-
ne degli anni novanta ed all’inizio del nuovo secolo. D’altra parte il fenomeno va in-
quadrato nella più generale crisi dei consumi interni e in particolare in quella che ha
interessato il comparto agroalimentare, imputabili alla congiuntura economica negati-
va. È quindi difficile ipotizzare che il comparto bio, caratterizzato da prezzi più elevati
o molto più elevati rispetto agli analoghi prodotti convenzionali, abbia potuto diversi-
ficarsi rispetto alle più generali tendenze dei consumi.
Nel 2006, invece, i prodotti bio nella Gdo23 hanno invertito nuovamente la tenden-
za, riprendendo con fermezza quel trend positivo che si era interrotto nel biennio pre-
cedente. La ripresa dei consumi alimentari in particolare ha probabilmente giovato al-
la rilancio di un mercato che, anche nei momenti di maggiore difficoltà, è rimasto co-
munque dinamico.
Il trend negativo cui si accennava prima non ha infatti interessato tutti i canali dis-
tributivi. Secondo le opinioni degli operatori, ad esempio, i negozi specializzati bio
non hanno accusato cali della domanda. La clientela di questi punti vendita è infatti
composta da consumatori che garantiscono un ammontare di spesa superiore alla me-
dia, appartenendo a profili socio-economici il cui comportamento di acquisto è più
prevedibile e motivato e che presentano atteggiamenti diversi da quelli degli acquiren-
ti bio di altri canali.
Occorre inoltre non trascurare la componente extradomestica dei consumi di bio-
logico: la ristorazione collettiva e commerciale biologica, è infatti in forte crescita, il
che potrà aprire nuovi sbocchi ai produttori e consentire in prospettiva di contare su
un nucleo aggiuntivo di futuri potenziali consumatori.
Nel 2006 la ripresa del settore anche nella Gdo, quasi l’unico canale che aveva su-
bito le conseguenze imputabili alla congiuntura economica negativa, fa quindi ben
sperare per il futuro.
È evidente comunque che negli ultimi anni i consumi domestici nei canali non
specializzati siano stati condizionati non poco dal fattore prezzo (cfr. capitolo 5).
Nel processo decisionale del consumatore il prezzo sembra tornare ad assumere pe-
so, quale sintesi tra la ricerca della qualità e i vincoli reddituali. A cedere alle lu-
singhe dei prezzi più bassi praticati normalmente nel comparto convenzionale sono
soprattutto quei consumatori arrivati alla scelta del biologico senza convinzioni ra-
dicate, ma solo sulla base di una spinta emozionale e dei timori di scandali alimen-
tari.
La Grande distribuzione sembra avere compreso tale orientamento e sta infatti im-
postando le sue politiche concentrandosi in modo deciso su tale leva. Non è un caso
quindi che da qualche tempo la competizione sui prezzi offerti ai consumatori si sia
fatta molto più agguerrita che in passato.
4.1 - L’andamento dei consumi domestici
4.1.1 - Il valore degli acquistiI consumi di prodotti biologici confezionati hanno accusato nel periodo 2003-
2005 un andamento negativo o stagnante. In quegli anni, infatti, il persistere della con-
giuntura economica sfavorevole ha avuto ancora ripercussioni sulla dinamica evoluti-
va dei consumi, determinando una flessione della domanda principalmente nel canale
della Distribuzione Moderna. Al calo degli acquisti domestici ha contribuito anche la
crescita dei prezzi medi al consumo dei prodotti biologici, iniziata già nel corso del
2004 e risultata in media più forte dei quella dei prodotti convenzionali.
Secondo i dati provenienti dal panel continuativo Ismea/ACNielsen, invece, nel
2006 gli acquisti domestici di prodotti bio confezionati sono nuovamente aumentati,
spinti anche dalla ripresa dei consumi alimentari in generale.
Essi hanno sfiorato i 312 milioni di euro, registrando un interessante incremento
(+9,2%) sul 2005.
59
Tabella 4.1 - I consumi domestici di prodotti biologici confezionati* in Italia(in euro)
2005 2006 Var. % Quota Quota06/05 comparto/ bio/totale
totale bio compartoLatte e derivati 58.093.842 63.871.640 9,9% 20,5% 1,0%
Ortofrutta fresca e trasformata 41.911.072 46.698.180 11,4% 15,0% 1,8%
Biscotti, dolciumi e snack 39.070.669 39.795.434 1,9% 12,8% 0,9%
Bevande analcoliche 33.631.130 33.163.344 -1,4% 10,6% 4,6%
Uova 22.628.014 23.669.608 4,6% 7,6% 7,5%
Zucchero, caffè e tè 16.215.966 20.668.226 27,5% 6,6% 1,5%
Oli 11.105.762 15.297.278 37,7% 4,9% 1,4%
Riso e pasta 13.211.598 15.072.348 14,1% 4,8% 0,7%
Prodotti per l'infanzia 12.941.361 12.878.126 -0,5% 4,1% 4,1%
Pane e sostituti 6.175.421 9.698.496 57,0% 3,1% 1,6%
Miele 6.795.418 7.484.047 10,1% 2,4% 11,1%
Gelati e surgelati 7.650.768 6.886.355 -10,0% 2,2% 0,4%
Altri prodotti bio 5.403.609 5.469.239 1,2% 1,8% 0,5%
Condimenti 4.503.082 4.072.475 -9,6% 1,3% 0,9%
Prodotti dietetici 2.763.934 2.544.205 -7,9% 0,8% 0,8%
Salumi ed elaborati carne 1.367.971 2.540.714 85,7% 0,8% 0,3%
Bevande alcoliche 1.984.854 1.925.278 -3,0% 0,6% 0,1%
Totale prodotti bio 285.454.471 311.734.993 9,2% 100,0% 1,2%
* sono esclusi gli acquisti effettuati nei negozi specializzati.Fonte: Ismea/ACNielsen.
Tale andamento discende dall’aumento fatto registrare dalle principali categorie di
prodotti biologici.
In crescita risultano infatti l’ortofrutta fresca e trasformata (+11,4%) e il latte e i
suoi derivati (+9,9%) e in misura minore i biscotti, dolciumi e snack (+1,9%).
60
Discreti incrementi hanno interessato anche gli oli di semi e di oliva (+37,7%) e lo
zucchero, il caffè e il tè (+27,5%), in quest’ultimo caso anche a causa della contempora-
nea presenza di marchi bio ed equo e solidali che negli ultimi anni stanno riscuotendo
un grande successo presso il consumatore, anche in canali quali gli iper e i supermercati.
Più contenuti risultano invece gli incrementi per il riso e la pasta (+14%) e per le
uova (4,6%).
Tra i pochi prodotti con una spesa in flessione si segnalano, anche se con un calo
non eccessivo (-1,4%), le bevande analcoliche, mentre più sostenuta è stata la diminu-
zione per gelati e surgelati e per i condimenti (-10% circa in entrambi i casi) anche se
associata a valori di mercato non troppo consistenti. Sostanzialmente stabili risultano
invece i prodotti per l’infanzia.
Tra i comparti che si collocano nelle retrovie della graduatoria dei consumi di bio
confezionato si segnala inoltre il discreto calo di spesa per i prodotti dietetici (-7,9%),
in discesa probabilmente perché soffrono della forte concorrenza di altri prodotti salu-
tistici convenzionali e il buon aumento del miele (+10%), che resta in assoluto uno dei
primi prodotti biologici per consumo.
Nonostante si siano riscontrate le variazioni descritte, la distribuzione della spesa è
rimasta simile a quella degli ultimi anni. Infatti le prime tre categorie in ordine di im-
portanza coprono quasi il 50% del totale: i lattiero caseari detengono una quota del
20,5%, seguiti dall’ortofrutta (fresca e trasformata) con il 15% e dall’aggregato dol-
ciario con quasi il 13%. Seguono le bevande analcoliche con un peso relativo
dell’10,6% e le uova con quasi l’8%. Al sesto posto, in crescita rispetto agli anni pre-
cedenti, figura l’aggregato zucchero, caffè e tè, con una quota del 6,6%. Ancora più
indietro nella classifica figurano gli oli di oliva, l’aggregato riso e pasta e i prodotti
per l’infanzia, tutti con un peso tra il 4 e il 5%.
Il peso della spesa per prodotti bio confezionati sulla spesa totale (bio+convenziona-
le) per gli stessi beni, ammonta all’1,2% e risulta in linea con il livello degli anni passati.
Tale quota è comunque abbastanza rilevante per alcune categorie di prodotto. È da
rilevare in particolare il caso del miele, che presenta un’incidenza di oltre l’11% sul
totale, e delle uova (7,5%); percentuali più contenute ma comunque significative (4,1-
4,6%) si registrano invece per le bevande analcoliche e i prodotti per l’infanzia.
Si tratta in quasi tutti i casi di categorie il cui consumo in forma bio è particolarmente
sentito sia per ragioni legate alla sicurezza alimentare sia a causa della preoccupazione di
somministrare cibi più sani e salubri quando in famiglia vi è la presenza di bambini.
4.1.2 Le quantità acquistateAnalizzando i dati sulle quantità acquistate nel 2006 di prodotti bio confezionati, si
nota un incremento dei volumi maggiore rispetto a quello in valore (Tabella 4.2). Nel
2005 invece il negativo andamento in volume era stato peggiore di quello in valore.
Nel 2006 i volumi di prodotti biologici sono aumentati del 12,8% sul 2005, per un
ammontare in termini quantitativi pari a oltre 84.500 tonnellate e con un’incidenza ri-
spetto ai corrispondenti consumi agroalimentari totali dello 0,9%.
61
Scendendo nel dettaglio delle singole categorie di prodotto, le prime quattro posi-
zioni per quantitativi consumati ovvero latte e derivati, ortofrutta fresca e trasformata,
bevande alcoliche e riso e pasta (coincidenti quasi del tutto con quelle in valore), se-
gnano tutte incrementi in doppia cifra, ad eccezione delle bevande analcoliche in calo
anche in volume (-3,6%). I biscotti, dolciumi e snack, quinta categoria in ordine di
importanza, registrano invece soltanto un timido aumento dei volumi (+0,3%).
Tra le categorie che risultano in discreta posizione nella graduatoria in quantità de-
gli acquisti segnano forti aumenti, come è accaduto anche in termini monetari, gli oli
(+22,7%) e l’aggregato zucchero, caffè e tè (+31,9%), mentre più contenuto risulta
l’incremento per le uova (+4,2%),
In crescita infine anche gli acquisti di pane e sostituti (+73,1%), che hanno registrato
ottime performance anche in valore e i prodotti per l’infanzia, che in volume riescono
ampiamente a rimanere in terreno positivo (+6,6%) a fronte di un lieve calo in valore.
Tra le flessioni si segnala il calo di entità quasi analoga dei gelati e surgelati
(-17,8%) e dei condimenti (-15,5%), mentre più contenuta (-6,3%) è risultata la dimi-
nuzione dei volumi per i prodotti dietetici.
La distribuzione delle quote di mercato sul totale del comparto biologico, si modi-
fica se calcolata sulla base delle quantità acquistate.
Acquistano un’importanza decisamente maggiore i derivati del latte (32,2% contro
il 20,5%), le bevande analcoliche (15,2% contro 10,6%), riso e pasta (8,3% contro
Tabella 4.2 - Dinamiche in volume e valore dei consumi domestici di prodotti bio confezionati* in Italia
Var. % 05/04 Var. % 06/05valore quantità valore quantità
Ortofrutta fresca e trasformata -11,6% -11,7% 11,4% 12,0%
Riso e pasta 0,6% -6,6% 14,1% 13,5%
Pane e sostituti -12,7% -2,3% 57,0% 73,1%
Oli -0,9% 0,9% 37,7% 22,7%
Latte e derivati -7,2% -6,9% 9,9% 27,8%
Biscotti, dolciumi e snack 8,9% 4,0% 1,9% 0,3%
Bevande alcoliche -37,7% -40,3% -3,0% -0,4%
Bevande analcoliche 4,2% 3,7% -1,4% -3,6%
Uova 0,9% 0,8% 4,6% 4,2%
Condimenti 21,2% 20,7% -9,6% -15,5%
Prodotti dietetici -28,2% -18,5% -7,9% -6,3%
Prodotti per l'infanzia -1,7% 6,5% -0,5% 6,6%
Zucchero, caffè e tè 42,1% 36,3% 27,5% 31,9%
Gelati e surgelati -14,4% -18,1% -10,0% -17,8%
Miele 7,6% -4,5% 10,1% 11,0%
Salumi ed elaborati carne -5,0% -13,8% 85,7% 90,4%
Altri prodotti bio 2,4% -23,3% 1,2% 30,3%
Totale prodotti bio -1,3% -4,3% 9,2% 12,8%
* sono esclusi gli acquisti effettuati nei negozi specializzati.Fonte: Ismea/ACNielsen.
62
4,8%), mentre soltanto poco più elevata risulta l’incidenza dell’ortofrutta fresca e tra-
sformata (17,2% contro 15%) (Tabella 4.3).
Al contrario il peso percentuale in quantità è meno rilevante rispetto a quella in
valore soprattutto per i biscotti, dolciumi e snack (7,1% in volume contro il 12,8% in
valore) e per lo zucchero, caffè e tè (2,4% in volume contro il 6,6% circa in valore).
Tutte le altre categorie di prodotto presentano differenze tra quota in quantità e in
termini monetari molto contenute ed oscillanti (in valore assoluto) tra lo zero ed il due
per cento.
Tabella 4.3 - I consumi domestici di prodotti biologici confezionati* in Italia(in tonnellate)
2005 2006 Var. % Quota Quota06/05 comparto/ bio/totale
totale bio compartoLatte e derivati 21.276 27.191 27,8% 32,2% 0,9%
Ortofrutta fresca e trasformata 12996 14.561 12,0% 17,2% 1,3%
Bevande analcoliche 13.351 12.866 -3,6% 15,2% 2,3%
Riso e pasta 6.191 7.025 13,5% 8,3% 0,6%
Biscotti, dolciumi e snack 5.965 5.982 0,3% 7,1% 0,7%
Uova 4.500 4.687 4,2% 5,5% 4,2%
Oli 1.897 2.327 22,7% 2,8% 0,7%
Zucchero, caffè e tè 1.531 2.019 31,9% 2,4% 0,5%
Prodotti per l'infanzia 1.541 1.642 6,6% 1,9% 4,8%
Pane e sostituti 864 1.496 73,1% 1,8% 0,8%
Gelati e surgelati 1.305 1.073 -17,8% 1,3% 0,3%
Condimenti 1.037 876 -15,5% 1,0% 0,3%
Altri prodotti bio 597 778 30,3% 0,9% 0,2%
Miele 673 747 11,0% 0,9% 7,2%
Prodotti dietetici 620 581 -6,3% 0,7% 1,3%
Bevande alcoliche 537 535 -0,4% 0,6% 0,1%
Salumi ed elaborati carne 94 179 90,4% 0,2% 0,2%
Totale prodotti bio 74.975 84.565 12,8% 100,0% 0,9%
* sono esclusi gli acquisti effettuati nei negozi specializzati.Fonte: Ismea/ACNielsen.
4.1.3 Un confronto con altri compartiPer comprendere meglio le tendenze finora evidenziate, è necessario comunque in-
quadrarle nel più ampio ambito dei consumi alimentari nel loro complesso e più in
particolare degli altri comparti di qualità, in qualche modo “competitor” di quelli bio-
logici.
La Figura 4.2 mostra il confronto fra la dinamica della spesa domestica per pro-
dotti bio confezionati con le variazioni registrate dal totale del comparto alimentare e
da alcuni altri segmenti “di qualità”, come quello delle Dop e Igp e dei vini a denomi-
nazione di origine.
63
Effettuando un confronto dei trend dei comparti sopra ricordati negli ultimi due
anni, si osservano i seguenti fenomeni:
• l’andamento dei consumi agroalimentari nel complesso testimonia come, nel
biennio preso in esame, la domanda di beni destinati all’alimentazione umana si sia
mostrata in progressiva crescita;
• nel 2005 il biologico confezionato acquistato presso la GDO ha registrato l’anda-
mento più negativo, mentre per altri comparti di qualità e l’agroalimentare la tendenza
è stata positiva;
• il 2006 ha visto un andamento più favorevole rispetto al 2005 in tutti i comparti;
• il biologico ha registrato un’ottima ripresa nel 2006, segnando un soddisfacente
rialzo, ben superiore alla media del settore agroalimentare e secondo soltanto a quella
dei vini a denominazione di origine.
I fenomeni commentati testimoniano quindi una generalizzata ripresa in tutti i
comparti esaminati, con un’eccellente rilancio del biologico, che rispetto al 2005 è ri-
uscito a mettere a segno il più forte incremento in valore assoluto dei consumi dome-
stici rispetto a tutti gli altri comparti.
4.2 Il comportamento di acquisto
4.2.1 La spesa per prodotti biologici secondo le principali variabili socio-economicheIl presente paragrafo esamina la suddivisione dei consumi di prodotti bio secondo
alcune variabili di stratificazione socio-economica e consente di identificare ed indivi-
duare le differenziazioni del comportamento di consumo di determinati segmenti at-
traverso la variabilità rispetto alla media nazionale.
In relazione alla suddivisione degli acquisti per area geografica si nota come il
consumo domestico di prodotti bio confezionati nel 2006 si sia concentrato maggior-
Totale mercatoagroalimentare
ProdottiDop-Igp
Vini Doc Prodottibiologici (GDO)
-2
0
2
4%
6
8
10
12
2005
2006
+1,5% +1,5%
+4,4%
+2,3%
+3,6%
+10,3%
-1,3%
+9,2%
Figura 4.2 - Confronto tra l’andamento dei consumi domestici in valore nel 2006 e nel2005 di alcune categorie di prodotti agroalimentari
Fonte: Ismea/ACNielsen
mente nelle regioni settentrionali del paese (Nord Ovest 41,4%, Nord Est 27,4%),
mentre il Centro e la Sardegna (21,9%) e in particolare il Sud e la Sicilia (9,4%) rive-
stono un peso minore.
Tale distribuzione è il risultato di una differente dinamica che ha interessato gli ac-
quisti nel 2006. Infatti, se da un lato è possibile notare un aumento della spesa in tutte
le macroaree geografiche, è soprattutto al Sud (+21,5%) e nel Nord Ovest (+13%) che
i consumi crescono, mentre incrementi più contenuti si registrano nel Centro e Sarde-
gna (+6,1%) e nel Nord Est (+2,8%).
64
Tabella 4.4 - I consumi domestici di prodotti biologici confezionati in Italia nel 2006 per area geografi-ca e canale distributivo(in euro)
2005 2006 Var. % Quota su06/05 totale Italia
Totale Italia 285.454.471 311.734.993 9,2% 100,0%
Nord Ovest 114.037.442 128.911.352 13,0% 41,4%
Nord Est 83.038.156 85.332.755 2,8% 27,4%
Centro+Sardegna 64.335.124 68.265.895 6,1% 21,9%
Sud+Sicilia 24.043.765 29.224.938 21,5% 9,4%
Ipermercati 116.267.248 129.383.819 11,3% 41,5%
Supermercati 146.367.335 154.530.824 5,6% 49,6%
Superette 6.057.089 5.021.697 -17,1% 1,6%
Hard Discount 2.994.234 4.352.839 45,4% 1,4%
Cash & Carry+ Grossisti+Spacci 630.099 753.712 19,6% 0,2%
Porta a porta 15.450 41.347 167,6% 0,0%
Ambulanti/mercati rionali 412.204 326.856 -20,7% 0,1%
Totale tradizionali 5.722.261 7.452.820 30,2% 2,4%
Ricevuto in regalo 565.281 611.427 8,2% 0,2%
Altre fonti 6.423.281 9.259.625 44,2% 3,0%
Fonte: Ismea/ACNielsen.
Questi cambiamenti non hanno però portato nell’ultimo biennio ad una sostanziale
modifica della concentrazione della domanda dei prodotti bio nel Nord e nel Centro-
Sud. Il Nord infatti presenta pressoché la stessa quota di due anni prima e non cambia
di molto la quota del Centro-Sud e delle Isole.
Se si scende però nel dettaglio delle quattro Aree Nielsen, qualcosa di più signifi-
cativo si può notare.
La Figura 4.3 mette in evidenza come tra il 2004 ed il 2006 la quota del Nord
Ovest sia cresciuta di 2,5 punti percentuali, quasi del tutto “assorbiti” dalla flessione
pressoché di pari entità del Nord Est.
Il Centro e la Sardegna hanno recuperato quasi un punto di quota, mentre il Sud la
Sicilia hanno perso ancora un punto percentuale. Le regioni meridionali quindi, se as-
sumono ancora un ruolo importante in termini produttivi, continuano a perdere terreno
nell’ambito dei consumi, dimostrando in modo emblematico una delle “asimmetrie” e
“inefficienze” del settore che è la non corrispondenza tra i luoghi di produzione e
quelli di consumo.
Riguardo alla ripartizione degli acquisti per canale distributivo, ricordando che il
Panel Ismea/ACNielsen non comprende il canale dei negozi specializzati, dai dati ri-
sulta che i prodotti biologici confezionati sono commercializzati per il 91,1% da su-
permercati e ipermercati, con un peso dei supermercati (49,6%) superiore a quello de-
gli ipermercati (41,5%).
Il resto del mercato è suddiviso tra negozi tradizionali (2,4%), superette (1,6%),
discount (1,4%) e altri canali (3,5%). L’andamento nel 2006 dei consumi fa registrare
un aumento dell’8% degli acquisti nei super e ipermercati, con un incremento più for-
te negli iper (+11,3%) che nei supermercati (+5,6%). Sembrerebbe quindi vi sia un re-
cupero, nell’ambito dei super ed ipermercati, degli iper a discapito dei super, con un
progresso dei primi, che attualmente detengono la quota minore, più forte di quello
dei secondi.
Un ottimo incremento sebbene associato livelli di acquisto modesti si registra nei
negozi tradizionali (+30,2%) e nei discount (+45,4%). In diminuzione appare invece
la spesa nelle superette (-17,1%).
La crescita di mercato del biologico ha pertanto interessato quasi tutti i canali, an-
che se occorrerebbe verificare anche le performance registrate dal biologico nell’im-
portante segmento dei negozi specializzati e in quello extradomestico, nei quali co-
munque, secondo gli operatori del settore, le dinamiche sarebbero state positive.
Analizzando un’ulteriore stratificazione, quella per numero di componenti la
famiglia (Tabella 4.5), si notano discreti aumenti nelle famiglie con due compo-
nenti (+18,9%) e in quelle con quattro componenti (+16,9%), mentre più contenu-
to è l’incremento per quelle monocomponenti (+6,8%) e con tre componenti
(+2,1%).
65
39%
30%
10%
27%
22%
9%
21%
42%
Nord Ovest Nord Est Centro+Sardegna Sud+Sicilia
2004
2006
Figura 4.3 - Evoluzione territoriale dei consumi di prodotti bio confezionati nei canalinon specializzati
Fonte: Ismea/ACNielsen
In controtendenza appaiono invece i consumi delle famiglie con cinque o più ele-
menti, in calo di quasi il 13%.
Per quanto riguarda l’evoluzione dei consumi domestici nel 2006 analizzati invece
per età del responsabile d’acquisto, si registra un buon aumento degli acquisti nelle
classi “fino a 34 anni” e “45-54 anni” (superiore al 20% in entrambi i casi). In crescita
più contenuta invece appare la spesa in quelle “55-64 anni” (+8,5%) e “35-44 anni”
(+3,6%), mentre in calo (-2,2%) sono i consumi degli ultra sessantaquattrenni.
4.2.2 I principali prodotti biologici acquistatiAnalizzando i singoli prodotti acquistati dal consumatore con marchio bio, una pri-
ma indicazione che emerge è che i primi 5 in ordine di valore rappresentavano nel 2006
oltre il 36% del totale degli acquisti biologici, mentre i primi 10 costituivano quasi il
55% della spesa complessiva. Permane dunque ancora una forte concentrazione degli
acquisti su pochi prodotti24. Il comparto quindi si caratterizza per una concentrazione sia
di tipo territoriale sia riguardante specifici prodotti, che soddisfano speciali esigenze del
consumatore. Il prodotto più consumato in termini monetari nel 2006 è rappresentato
dal latte fresco, che ha segnato una forte crescita (+36%) sul 2005 (Tabella 4.6). Il suo
peso nell’ambito del mercato totale di questo prodotto è ancora limitato (2%), ma è alta
la sua incidenza sul valore totale dei consumi domestici di bio confezionato.
In seconda posizione figurano le uova, i cui acquisti nel 2006, come già sottolinea-
to, sono cresciuti in termini monetari di quasi il 5%. Le uova bio rappresentano inoltre
una quota piuttosto elevata (7,5%) del mercato totale delle stesse e incidono sul totale
delle vendite bio in maniera altrettanto significativa (7,6%).
66
Tabella 4.5 - I consumi domestici di prodotti biologici confezionati* in Italia nel 2006 per variabili so-cio-demografiche(in euro)
2005 2006 Var. % Quota su06/05 totale Italia
Totale Italia 285.454.471 311.734.993 9,2% 100,0%
Famiglia monocomponente 50.564.273 54.026.391 6,8% 17,3%
Famiglie con 2 componenti 75.622.821 89.883.814 18,9% 28,8%
Famiglie con 3 componenti 79.036.519 80.695.553 2,1% 25,9%
Famiglie con 4 componenti 57.762.721 67.553.284 16,9% 21,7%
Famiglie con 5 o più componenti 22.468.183 19.575.937 -12,9% 6,3%
Responsabile acquisti fino a 34 anni 56.602.098 68.228.332 20,5% 21,9%
Responsabile acquisti da 35 a 44 anni 77.139.744 79.894.148 3,6% 25,6%
Responsabile acquisti da 45 a 54 anni 47.498.535 57.481.764 21,0% 18,4%
Responsabile acquisti da 55 a 64 anni 39.512.205 42.859.054 8,5% 13,7%
Responsabile acquisti oltre 64 anni 64.701.895 63.271.719 -2,2% 20,3%
* sono esclusi gli acquisti effettuati nei negozi specializzati.Fonte: Ismea/ACNielsen.
La terza piazza in tale graduatoria spetta invece allo yogurt bio, le cui vendite sono
cresciute lievemente nel 2006 (+1,6%) facendo sì che rappresenti oltre il 2% del mer-
cato dello yogurt e che costituisca il 7,4% dei consumi totali di bio confezionato.
Seguono poi le bevande alla soia che costituiscono uno dei pochi prodotti che regi-
strano un calo dei consumi nel 2006 (-1,8%) con un’incidenza sul totale delle vendite bio
del 6,7%. Un dato interessante a proposito di tale prodotto è anche che il bio rappresenta
quasi la metà del mercato dello stesso. L’incidenza del bio sembra quindi in generale par-
ticolarmente alta per quei prodotti per i quali, per motivi dietetici, nutrizionali o di sicu-
rezza alimentare, i consumatori ricercano un livello qualitativo complessivo molto alto.
Al quinto posto figurano invece gli ortaggi freschi confezionati (voce “verdura fre-
sca”), che dopo qualche anno di difficoltà hanno segnato nel 2006 un ottimo +14,4%,
determinando un peso sul totale del mercato bio pari al 6,4%. Gli ortaggi freschi bio
presentano inoltre un’incidenza del 2,5% sul totale degli ortaggi (bio+no bio) consu-
mati dalle famiglie italiane.
67
Tabella 4.6 - I primi 20 prodotti bio* per consumi domestici in valore in Italia nel 2006(in euro)
2005 2006 Var. % Quota Quota06/05 prodotto/ bio/totale
totale bio prodottoLatte fresco 18.296.790 24.972.416 36,5% 8,0% 2,0%
Uova 22.628.014 23.669.608 4,6% 7,6% 7,5%
Yogurt fresco 22.750.269 23.104.459 1,6% 7,4% 2,2%
Bevande alla soia 21.352.399 20.961.246 -1,8% 6,7% 44,9%
Verdura fresca 17.509.907 20.033.926 14,4% 6,4% 2,5%
Olio oliva 9.130.890 13.061.352 43,0% 4,2% 1,5%
Cereali preparati 11.681.679 12.492.637 6,9% 4,0% 3,6%
Bevande alla frutta no gas 12.278.731 12.202.098 -0,6% 3,9% 1,8%
Omogeneizzati 8.475.635 9.506.671 12,2% 3,0% 3,5%
Pasta semola 7.623.442 8.952.716 17,4% 2,9% 1,2%
Miele 6.795.418 7.484.047 10,1% 2,4% 11,1%
Frollini 7.162.149 7.112.657 -0,7% 2,3% 1,2%
Dessert da cucchiaio 5.488.640 6.496.902 18,4% 2,1% 3,9%
Brioche 5.783.566 6.355.258 9,9% 2,0% 0,8%
Infusi + karkadè 3.557.302 5.599.573 57,4% 1,8% 11,5%
Caffè tostato 4.681.933 5.441.886 16,2% 1,7% 0,6%
Frutta fresca 4.305.318 4.995.579 16,0% 1,6% 1,2%
Latte UHT 3.799.298 4.530.363 19,2% 1,5% 0,4%
Surrogati caffè 3.345.340 3.678.846 10,0% 1,2% 12,3%
Confetture 2.526.669 3.341.863 32,3% 1,1% 2,9%
* venduti nei canali non specializzati.Fonte: Ismea/ACNielsen.
Gli altri prodotti posizionati più in basso nella graduatoria presentano quasi tutti
aumenti tendenziali abbastanza rilevanti.
Forti incrementi si registrano in particolare per gli oli extravergini di oliva, per la
pasta di semola e i dessert da cucchiaio, mentre rialzi relativamente più contenuti e in-
torno al 10-12% si rilevano per le brioches, il miele e gli omogeneizzati.
Più ridotti si sono invece rivelati gli aumenti per i cereali preparati (+6,9%).
Al contrario, oltre alle bevande alla soia, anche i succhi di frutta e i frollini hanno
registrato una flessione, comunque trascurabile rispetto al 2005.
A completamento di questa sezione di analisi, può essere interessante prendere in
esame l’indice di penetrazione dei prodotti bio (Tabella 4.7). Con questo si intende la
quota delle famiglie che nel corso dell’anno hanno acquistato almeno una volta un de-
terminato prodotto rispetto al totale dell’universo di osservazione. Da tale analisi ri-
sulta che – al di là del valore complessivo di mercato e della quota sui consumi bio e
su quelli complessivi – i prodotti il cui acquisto è più diffuso sono gli ortaggi freschi:
nel 2006 li hanno comprati almeno una volta 2 famiglie su 10. Questa quota risulta in
aumento di quasi 3 punti percentuali rispetto a quella dell’anno precedente. Come mo-
stra la Tabella, vi è in generale una tendenza prevalente al rialzo dell’indice, che inte-
ressa molti dei prodotti bio più presenti nel paniere dei consumatori. Anche questo è
un segnale di un incremento delle preferenze dei consumatori. Il secondo prodotto per
diffusione tra le famiglie italiane è rappresentato dalle uova (14,7%), seguite dallo yo-
gurt (13,6%) e dalla pasta di semola (9,2%). Tra i pochi prodotti rispetto ai quali l’in-
dice di penetrazione è in calo si evidenziano i casi dei frollini e del burro.
4.2.3 L’elasticità della domanda e la disponibilità a pagareNel determinare la dimensione e l’andamento del mercato, il ruolo dei prezzi, co-
me si vedrà meglio anche nel capitolo successivo, sembra ancora importante. Ciò è
vero in modo particolare per il settore biologico, già di per sé caratterizzato da listini a
volte anche molto più alti di quelli del convenzionale.
Non sorprende quindi che a variazioni di prezzo di una certa entità spesso corri-
spondano variazioni dei volumi acquistati più che proporzionali.
La relazione tra andamento dei prezzi e andamento dei consumi, quindi, appare assai
poco articolata, come consente di evidenziare l’elasticità della domanda. Prendendo in
considerazione i principali prodotti bio per grado di penetrazione, si evidenzia come per
quasi tutti la domanda sia elastica, con rare eccezioni di beni a domanda piuttosto rigida.
Tuttavia i dati consentono di discriminare i prodotti la cui dinamica di consumo ri-
sponde alla legge della domanda da quelli per i quali la relazione tra domanda e prez-
zo non è invece lineare.
Vanno poi distinti i prodotti i cui prezzi risultano in aumento da quelli per i quali
al contrario i listini scendono.
Fatta tale premessa, è agevole notare come in molti casi i valori dell’elasticità sia-
no molto accentuati. È il caso della frutta fresca la cui domanda cresce del 15% contro
una lieve variazione positiva del prezzo inferiore all’1%. Analogo comportamento si
68
ha per la pasta di semola, ma con un valore dell’elasticità molto più basso, mentre l’e-
lasticità stessa risulta minore per una serie di prodotti il cui utilizzo è riconducibile al-
la prima colazione (yogurt, brioche, frollini, cereali preparati). In questo caso la rela-
zione tra prezzo e domanda è quasi sempre in linea con la legge della domanda, per
cui evidentemente il consumatore acquista bio in misura più che proporzionale alla di-
minuzione del prezzo e viceversa. Nel caso in cui il prezzo di questi prodotti bio au-
menti, il consumatore quindi riduce in modo più che proporzionale gli acquisti, orien-
tandosi probabilmente verso i più a buon mercato prodotti convenzionali.
69
Tabella 4.7 - I primi 30 prodotti bio confezionati per indice di penetrazione nella Gdo
2005 2006 Differenzain punti percentuali
Verdura fresca 16,8% 19,7% 2,9
Uova 14,1% 14,7% 0,6
Yogurt fresco 12,8% 13,6% 0,8
Pasta semola 8,1% 9,2% 1,1
Cereali preparati 7,9% 7,3% -0,6
Bevande alla frutta no gas 6,6% 7,0% 0,4
Latte fresco 6,1% 6,9% 0,8
Frutta fresca 5,0% 5,2% 0,2
Frollini 5,6% 4,6% -1,0
Brioche 3,1% 4,5% 1,4
Surrogati caffè 4,1% 4,5% 0,4
Miele 4,4% 4,3% -0,1
bevande alla soia 4,5% 4,2% -0,3
Omogeneizzati 2,7% 4,2% 1,5
Passate 3,2% 3,9% 0,7
Aceto 4,0% 3,9% -0,1
Dessert da cucchiaio 4,2% 3,5% -0,7
Confetture 3,1% 3,1% 0,0
Olio oliva 2,7% 3,1% 0,4
Pomodori polpa 3,1% 2,9% -0,2
Brie+ricotta 3,0% 2,8% -0,2
Infusi + karkadè 2,8% 2,8% 0,0
Caffè tostato 2,0% 2,7% 0,7
Zucchero 2,1% 2,6% 0,5
Crackers 1,5% 2,5% 1,0
Burro 3,5% 2,5% -1,0
Camomilla 2,0% 2,5% 0,5
Droghe erbe 1,5% 2,4% 0,9
Crescenze + stracchini 2,7% 2,3% -0,4
Vegetali naturali surg. 3,0% 2,3% -0,7
Fonte: Ismea/ACNielsen.
Tra i prodotti la cui domanda risulta invece in aumento i valori maggiori dell’ela-
sticità si riscontrano per il latte fresco (+42,9% a fronte di un decremento di prezzo
del 4,5%), e per il miele (+11%, contro un -0,8%).
In seconda battuta i dati mostrano anche diversi altri prodotti per i quali la tradi-
zionale relazione domanda-prezzo non viene rispettata. In particolare si evidenziano
molti prodotti per i quali, nonostante i prezzi siano in aumento, la domanda risulta an-
ch’essa in crescita. Anche in questa classe l’elasticità è sempre superiore ad 1.
È il caso ad esempio delle confetture, della frutta fresca, ma anche della pasta e
dell’olio, oltre che di altri prodotti come le uova, come si evince dalla Tabella 4.8.
Per uno solo dei prodotti riportati in tabella, le bevande alla soia, si può notare il
fenomeno opposto, ossia una domanda che diminuisce ma in presenza di un calo, sia
pur lieve, dei prezzi.
Si presentano infine due casi decisamente minoritari rispetto alla maggioranza dei
prodotti monitorati: l’unico prodotto a domanda rigida è rappresentato dai dessert da
cucchiaio, che ad un aumento del prezzo di quasi il 17% vede un corrispondere ancora
un incremento, ma meno che proporzionale, dei volumi.
Vi è infine un caso di perfetta corrispondenza tra variazione del prezzo (in questo
caso in aumento, +7,5%) e quella delle quantità (in diminuzione, del 7,5%): è il caso
delle bevande alla frutta non gassate.
Considerando unitamente le variazioni di prezzo e della domanda si potrebbero
classificare i prodotti bio in funzione del ciclo di vita (Tabella 4.10, si vedano pagg.
74-75). In particolare risulterebbero 4 classi: i prodotti in espansione (aumentano i
prezzi e crescono le quantità: vino riso, olio, pasta, ecc.), quelli maturi in crescita (di-
minuiscono i prezzi e crescono le quantità: miele, yogurt, latte fresco, ecc.), i prodotti
maturi discendenti (aumentano i prezzi e diminuiscono le quantità: burro, aceto, sotto-
li, ecc.), ed infine i prodotti in apparente declino (diminuiscono i prezzi e scendono le
quantità: pasta fresca ripiena, biscotti e succhi dietetici, ecc.).
Il quadro che appare dai dati esposti è quindi decisamente poco omogeneo. Si evi-
denziano infatti, oltre alle classiche variazioni opposte della domanda di alcuni pro-
dotti rispetto all’andamento del prezzo, anche casi nei quali l’interesse dei consumato-
ri non cresce neanche in presenza di prezzi in discesa, mentre altri fanno registrare in-
crementi delle quantità a fronte di incrementi di prezzo.
Delle ulteriori indicazioni interessanti per meglio comprendere le tendenze del
mercato biologico in Italia nel 2006, si hanno dall’analisi della disponibilità dei con-
sumatori bio a pagare (DAP) in presenza di prezzi del biologico normalmente più ele-
vati.
La misura della DAP, intesa come differenziale di spesa sostenuto per acquistare i
prodotti bio rispetto a quelli non bio25, coerentemente con l’aumento dei consumi nel
2006, risulta in aumento (+3,8%) per un valore di 86,3 milioni di euro. In altre parole
acquistando prodotti biologici – invece dei corrispondenti convenzionali – i consuma-
tori italiani nel 2006 si sono accollati una spesa aggiuntiva di oltre 86 milioni di euro
pari al 27,7% del totale del valore dei consumi bio.
70
Nel 2005 invece tale quota della spesa è risultata di circa 83,1 milioni di euro, con
un’incidenza sul totale dei consumi più elevata del 2006 e pari al 29% del totale con-
sumi (Figura 4.4). Parallelamente all’incremento dei consumi totali bio è aumentata
quindi anche la disponibilità a pagare, mentre è scesa l’incidenza sul totale bio, segno
di una crescita dei consumi totali maggiore dell’aumento della DAP.
Le categorie di prodotto per le quali vi è una disponibilità a pagare più alta sono,
analogamente ai dati relativi ai consumi di bio per categoria, l’ortofrutta fresca e tra-
sformata e i prodotti lattiero-caseari. Le due categorie, tuttavia, nel 2006 hanno regi-
strato un calo della DAP rispettivamente dell’8 e del 9,7%, in controtendenza rispetto
alla media (+3,8%).
Una disponibilità a pagare piuttosto elevata si registra anche per le uova, che regi-
strano nel 2006 anche un incremento del 2%, mentre in calo risulta, seguendo in modo
decrescente la graduatoria, la DAP di bevande analcoliche e biscotti, dolciumi e snack
(-1/-1,5% in entrambi i casi).
Forti incrementi si riscontrano nel 2006 anche per pane e sostituti e in misura mi-
nore per zucchero, caffè e tè, oli e riso e pasta.
71
Tabella 4.8 - Elasticità della domanda al prezzo* per i principali prodotti bio confezionati**Var. % 06/05 Var. % 06/05 Tipo di
prezzo quantità Elasticità elasticitàVerdura fresca -8,2% 24,6% 3,0 elastica
Confetture 10,8% 19,4% 1,8 elastica
Frutta fresca 0,9% 15,0% 16,7 elastica
Pasta semola 3,0% 14,0% 4,7 elastica
Olio oliva 11,0% 28,8% 2,6 elastica
Latte UHT -7,2% 28,5% 4,0 elastica
Latte fresco -4,5% 42,9% 9,6 elastica
Yogurt fresco -2,3% 3,9% 1,7 elastica
Brioche -10,9% 23,4% 2,1 elastica
Frollini 3,2% -3,8% 1,2 elastica
Dessert da cucchiaio 16,8% 1,3% 0,1 rigida
Cereali preparati 2,4% 4,5% 1,9 elastica
Bevande alla frutta no gas 7,5% -7,5% 1,0 proporzionale
Bevande alla soia -0,2% -1,7% 10,6 elastica
Uova 0,4% 4,2% 9,6 elastica
Omogeneizzati -2,4% 14,9% 6,3 elastica
Caffè tostato -6,0% 23,7% 3,9 elastica
Surrogati caffè -12,5% 25,6% 2,1 elastica
Infusi + karkadè 12,1% 40,5% 3,4 elastica
Miele -0,8% 11,0% 14,2 elastica
*L’elasticità della domanda al prezzo è stata calcolata con la seguente formula:E= ⏐(ΔQ/Q)/(ΔP/P)⏐, dove (ΔQ/Q) è la variazione delle quantità acquistatee (ΔP/P) è quella del prezzo.**non sono compresi gli acquisti effettuati nei negozi specializzati.Fonte: Ismea/ACNielsen.
72
Tabella 4.9 - Disponibilità a pagare i prodotti biologici* in più rispetto ai convenzionali**(in euro)
2005 2006 Var. % 06/05Ortofrutta fresca e trasformata 14.031.143 12.912.511 -8,0%Latte e derivati 13.014.105 11.749.070 -9,7%Uova 10.867.631 11.070.854 1,9%Bevande analcoliche 9.303.813 9.198.496 -1,1%Biscotti, dolciumi e snack 8.558.186 8.415.092 -1,7%Zucchero, caffè e tè 6.531.393 7.892.129 20,8%Oli 4.684.052 5.799.282 23,8%Riso e pasta 4.492.889 5.480.453 22,0%Pane e sostituti 2.703.301 4.140.638 53,2%Altri prodotti bio 2.949.188 2.842.426 -3,6%Miele 2.486.143 2.816.160 13,3%Condimenti 1.958.294 2.227.770 13,8%Gelati e surgelati 2.430.217 2.219.201 -8,7%Bevande alcoliche 623.211 1.367.777 119,5%Salumi e elaborati carne 498.890 922.534 84,9%Prodotti dietetici -289.864 -265.142 -8,5%Prodotti per l’infanzia -1.644.126 -2.456.647 49,4%Totale prodotti bio 83.198.465 86.332.602 3,8%
*non sono compresi gli acquisti effettuati nei negozi specializzati.**La disponibilità a pagare il biologico in più rispetto al convenzionale è stata calcolata per ciascun prodottocon la seguente formula: (prezzo bio - prezzo convenzionale)*(acquisti in quantita bio). Sommando la DAP cosìottenuta per tutti i prodotti, si è ottenuto quanto indicato in tabella.Fonte: Elaborazioni Ismea su dati Ismea/ACNielsen
Consumi totali prodotti bio conf. DAP prodotti bio conf.0
50.000
100.000
150.000
200.000
250.000
300.000
350.000
2005
2006
Figura 4.4 - Consumi domestici bio* e disponibilità a pagare** in più il biologico rispettoal convenzionale (DAP)(euro)
*non sono compresi gli acquisti effettuati nei negozi specializzati.**La disponibilità a pagare il biologico in più rispetto al convenzionale è stata calcolata per cia-scun prodotto con la seguente formula: (prezzo bio - prezzo convenzionale)*(acquisti in quantitabio). Sommando la DAP così ottenuta per tutti i prodotti, si è ottenuto quanto indicato nella Figura.Fonte: Elaborazioni Ismea su dati Ismea/ACNielsen
73
21) I dati possono non coincidere con quelli pubblicati in precedenza, poiché il campioneè passato da 6.000 a 9.000 famiglie, migliorando la qualità dei dati soprattutto per i pro-dotti caratterizzati da un basso livello di penetrazione, quali quelli biologici.22) Si tratta dei soli consumi domestici rilevati presso la distribuzione non specializzata.23) In realtà il Panel Ismea/ACNielsen comprende anche alcuni canali non appartenentialla GDO ma il peso di quest’ultima è senz’altro preponderante.24) In realtà il Panel Ismea/ACNielsen tra i prodotti non aggregati considera anche cibi obevande che, pur risultando in banca dati come voci singole, sono a loro volta aggregati diprodotti: è il caso ad esempio delle voci verdura fresca o frutta fresca che al loro internocomprendono tanti prodotti ma che non è possibile scindere. Il numero di prodotti qui ana-lizzato, quindi, dovrebbe essere considerato come più elevato di quello che effettivamente è.25) Più precisamente la DAP è calcolata moltiplicando il differenziale in valore assolutotra il prezzo di un prodotto bio rispetto al corrispondente convenzionale per la quantità ac-quistata dello stesso prodotto bio. Ad esempio se il prezzo di un prodotto bio è di 4 euro alkg e quello di uno convenzionale è di 2 euro al kg, la DAP si ottiene moltiplicando il diffe-renziale di prezzo (4-2 = 2 euro al kg) per le quantità acquistate totali di quel prodottobiologico.
74
Tabella 4.10 - Classificazione dei prodotti bio* in relazione alle dinamiche di consumi e prezzi
ESPANSIONE MATURI IN CRESCITAProdotti var. % var. % var. % var. %
quantità prezzi elasticità Prodotti quantità prezzi elasticitàPizze 250,0% 29,0% 8,6 Fave secche 800,0% -0,1% -8666,7
Riso bianco 18,3% 17,3% 1,1 Crackers 88,2% -0,6% -147,0
Dessert da cucchiaio 1,3% 16,8% 0,1 Miele 11,0% -0,8% -14,2
Vino 26,3% 16,7% 1,6 Pasta fresca conf. 22,4% -1,2% -19,2
Semi tostati 52,1% 15,8% 3,3 Frutta sciroppata 125,0% -1,8% -70,3
Riso confezionato 16,5% 14,4% 1,1 Yogurt fresco 3,9% -2,3% -1,7
Snack surg. 49,1% 14,1% 3,5 Omogeneizzati 14,9% -2,4% -6,3
Infusi + karkadè 40,5% 12,1% 3,4 Fette biscottate 57,1% -2,9% -19,5
Fagioli secchi 24,6% 11,9% 2,1 Minestre pronte 353,8% -3,0% -119,7
Olio oliva 28,8% 11,0% 2,6 Maionese 116,7% -3,6% -32,4
Confetture 19,4% 10,8% 1,8 Creme spalmabili 10,4% -3,7% -2,8
Orzo perlato 16,5% 10,0% 1,6 Aromi surg. 37,2% -3,7% -9,9
Droghe erbe 13,8% 8,9% 1,5 Pane industriale 175,5% -4,0% -44,2
Estrusi 50,0% 8,8% 5,7 Latte fresco 42,9% -4,5% -9,6
Paste semil. surg. 11,1% 8,3% 1,3 Wurstel 11,8% -4,6% -2,5
Caramelle sfuse 0,0% 7,2% 0,0 Pasta filata 120,0% -4,8% -24,8
Lenticchie lessate 106,9% 6,8% 15,7 Pelati 14,5% -5,0% -2,9
Piselli 163,0% 6,1% 26,6 Fagioli lessati 45,1% -5,9% -7,6
Pastine infanzia 7,0% 3,2% 2,1 Caffè tostato 23,7% -6,0% -3,9
Ceci secchi 56,0% 3,1% 18,1 Latte UHT 28,5% -7,2% -4,0
Pasta semola 14,0% 3,0% 4,7 Affettati in busta 90,0% -7,4% -12,1
Olio semi 10,0% 2,9% 3,4 Sostitutivi del pane 64,5% -8,0% -8,1
Zucchero 50,6% 2,4% 20,7 Verdura fresca 24,6% -8,2% -3,0
Cereali preparati 4,5% 2,4% 1,9 Gelati asporto 20,6% -9,1% -2,3
Tavolette di cioccolata 3,1% 1,8% 1,8 Soia secchi 47,1% -10,3% -4,6
Droghe spezie 23,3% 1,3% 18,3 Brioche 23,4% -10,9% -2,1
Frutta fresca 15,0% 0,9% 16,7 Tè 36,8% -11,2% -3,3
Mais 300,0% 0,8% 377,9 Surrogati caffè 25,6% -12,5% -2,1
Carne avicun. elab. cotta 120,6% 0,6% 206,3 Mozzarelle 30,0% -13,4% -2,2
Uova 4,2% 0,4% 9,6 Droghe aromi misti 28,6% -13,8% -2,1
Crescenze + stracchini 17,0% 0,2% 112,8 Camomilla 47,1% -15,1% -3,1
Riso parboiled 8,2% -17,5% -0,5
Polenta rapida 24,3% -21,8% -1,1
Ortaggi condiriso 38,9% -34,9% -1,1
*non sono compresi gli acquisti effettuati nei negozi specializzati.Fonte: Elaborazione Ismea su dati Ismea/ACNielsen.
75
MATURI DISCENDENTI IN APPARENTE DECLINOvar. % var. % var. % var. %
à Prodotti quantità prezzi elasticità Prodotti var. % var. % elasticitàCaffè solubile -40,0% 49,9% -0,8 Bevande alla soia -1,7% -0,2% 10,6
0 Cacao -38,5% 43,8% -0,9 Gorgonzola -45,8% -0,3% 163,0
Wafers -66,7% 41,7% -1,6 Piselli secchi -32,1% -0,5% 67,1
Snack cioccolato -81,0% 41,7% -1,9 Preparati energetici -10,0% -1,2% 8,5
Carne avicun. elab. cruda -33,3% 41,6% -0,8 Brie+ricotta -9,0% -1,9% 4,7
Caciotte + italico -60,0% 35,5% -1,7 Vegetali preparati surg. -4,7% -2,1% 2,2
Grissini e panetti -24,0% 29,7% -0,8 Pomodori polpa -4,3% -2,3% 1,9
Condimenti pronti -58,5% 28,3% -2,1 Biscotti dietetici -6,5% -2,4% 2,7
Salse da contorno -18,2% 25,2% -0,7 Succhi dietetici -5,8% -3,5% 1,6
Ortaggi sott'aceto -50,0% 20,8% -2,4 Birra -9,1% -4,1% 2,2
Preparati per dolci -80,0% 20,8% -3,8 Pasticceria -62,2% -4,1% 15,1
Mascarpone -62,5% 18,2% -3,4 Pasta fresca ripiena -24,5% -5,1% 4,8
Grattuggiati -48,0% 15,6% -3,1 Prugne essiccate -0,7% -7,7% 0,1
Lenticchie secche -11,4% 10,4% -1,1 Dolcificanti -15,8% -7,7% 2,1
Preparati per brodo -11,8% 8,3% -1,4 Tavolette per brodo -22,0% -7,8% 2,8
Latte arricchito -57,6% 7,5% -7,6 Primi piatti freschi -39,6% -9,0% 4,4
Bevande alla frutta no gas -7,5% 7,5% -1,0 Yogurt UHT -14,7% -9,5% 1,5
Risotti -60,0% 6,2% -9,6 Cereali infanzia -23,1% -10,1% 2,3
Pesto -13,2% 5,7% -2,3 Ortaggi in agrodolce -20,0% -24,1% 0,8
0 Passate -9,5% 5,7% -1,7 Pasta uovo secca -64,7% -25,9% 2,5
Aceto -3,5% 5,6% -0,6 Panna UHT -32,1% -28,8% 1,1
Biscotti secchi -29,6% 5,3% -5,6 Olive -11,1% -31,7% 0,4
0 Vegetali naturali surg. -31,8% 4,8% -6,7
Pomodori arricchiti -50,8% 4,4% -11,6
Piadine -14,8% 3,7% -4,0
Frollini -3,8% 3,2% -1,2
Ortaggi sott'olio -60,6% 1,6% -37,9
Freschi + spalmabili -15,3% 1,5% -10,0
Altri P.I. -58,8% 1,2% -50,4
Primi piatti surg. -71,1% 1,0% -70,4
Burro -17,9% 0,6% -29,2
5.1 - L’andamento dei prezzi medi al consumo
el corso del 2006 i prezzi al consumo dei prodotti biologici acquistati dalle fa-
miglie italiane26 hanno registrato un incremento medio dell’1,9% rispetto al
2005 (Figura 5.1), rallentando la crescita riscontratasi negli anni precedenti27. In Figu-
ra 5.1 si riporta quindi l’andamento complessivo e nelle categorie28 che compongono il
comparto. Come si vede, il valore medio è il risultato di un andamento abbastanza di-
versificato conseguito dai vari segmenti di prodotto.
76
5. L’andamento dei prezzi dei prodotti biologici in Italia
N
Altri prodotti bio
Bevande alcoliche
Salumi e elaborati carne
Prodotti dietetici
Condimenti
Gelati e surgelati
Miele
Pane e sostituti
Prodotti per l'infanzia
Riso e pasta
Oli
Zucchero, caffè e tè
Uova
Bevande analcoliche
Biscotti, dolciumi e snack
Ortofrutta fresca e trasformata
Latte e derivati
Totale prodotti bio confezionati
-6 -4 -2 0
%
2 4 6 8 10 12
1,9%
1,6%
3,6%
2,9%
0,4%
3,2%
2,8%
4,6%
0,8%
-5,0%
-1,0%
-0,7%
-4,5%
-2,2%
-0,8%
10,5%
10,2%
8,4%
Figura 5.1 - Variazione % 2006/2005 dei prezzi medi* dei prodotti bio confezionati nei principali com-parti
* i prezzi si riferiscono ai soli canali non specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen
Ai discreti aumenti di prezzo registratisi mediamente per i prodotti ricadenti nella
categoria degli oli (+10,5%), dei condimenti (+10,2%), delle bevande alcoliche
(+8,4%) e del pane e dei suoi sostituti (+8,3%) ed ancora, ma in misura minore, di ca-
tegorie quali i biscotti, dolciumi e snack (+3,6%), corrispondono variazioni negative
per salumi ed elaborati di carne (-5%), prodotti per l’infanzia (-4,5%) e lattiero-casea-
ri (-2,2%). Meno significative le variazioni – positive o negative – che si registrano
per le altre categorie di prodotti.
L’aumento dei prezzi, anche se in misura minore rispetto a quello degli anni passa-
ti, ha contribuito per alcuni comparti e prodotti ad “amplificare” l’incremento dei con-
sumi domestici in quantità di prodotti biologici. Ciò è vero ad esempio per gli oli, i bi-
scotti, i dolciumi e gli snack, il riso e la pasta e le uova, comparti per i quali l’aumento
dei consumi in valore risulta maggiore rispetto a quello in quantità29.
5.2. - Le differenze su base geografica
Gli andamenti osservati sinora per le diverse categorie di prodotto sono abbastanza
diversificati se analizzati in relazione alle diverse aree geografiche. Innanzitutto men-
tre nel Sud e nella Sicilia (+10,9%) e in misura minore nel Centro e nella Sardegna
(+4,6%) i prezzi sono aumentati più della media, nel Nord Italia sono rimasti stabili
(Nord Est) o cresciuti soltanto di poco (Nord Ovest) (Tabella 5.1). Il dato è da mettere
in relazione con la diversità che si osserva tra le diverse ripartizioni geografiche in ter-
mini di domanda come si è osservato nel capitolo 4 che, insieme alle differenze più
generali dovute a diverse preferenze e diversi stili di consumo alimentare, potrebbero
spiegare anche la differenza osservabile a livello di comparto.
In ogni caso si nota come per alcune categorie rilevanti per il consumo dei prodotti
biologici, i prezzi facciano segnare la stessa tendenza in tutte le circoscrizioni. Ciò ri-
guarda ad esempio in linea di massima il comparto dei biscotti, dolciumi e snack e del
riso e della pasta, che rappresentano importanti settori nell’ambito del mercato. Ma
questo allineamento si nota sostanzialmente anche per le uova, prodotto per il quale la
quota bio sul totale mercato è tra le più alte.
In particolare per i biscotti, i dolciumi e gli snack l’incremento più forte si registra
nel Sud e nella Sicilia, mentre più contenuto è l’aumento di prezzo nelle altre aree (in-
torno al 4-5%), ad eccezione del Nord Ovest dove i prezzi sono rimasti sostanzialmen-
te stabili. In relazione al riso e alla pasta, l’incremento più elevato si ha nel Nord Est,
mentre è poco sopra lo zero per cento per l’altra circoscrizione settentrionale. Più con-
tenuti i rialzi nel Centro-Sud.
Per le uova invece lo scostamento tra le variazioni di prezzo è piuttosto limitato,
con incrementi lievemente più elevati nel Nord Est e nel Sud/Sicilia e una sostanziale
stabilità nelle altre due aree.
Le altre variazioni dei prezzi sono decisamente meno omogenee, con l’eccezione
del comparto dei prodotti dietetici, per il quale i prezzi diminuiscono su tutto il territo-
rio nazionale ed in misura progressivamente maggiore spostandosi da Nord Est verso
Sud.
Per alcuni prodotti si osserva un diverso andamento dei prezzi correlato con l’area
geografica. Mentre al Nord i prezzi tendono a decrescere, al Centro-Sud la variazione
è di segno opposto.
77
Questo è vero per il pane ed i sostituti, per i quali la variazione dei prezzi è negati-
va, ma non di molto, nelle aree settentrionali, mentre i listini sono in notevole crescita
in quelle centro-meridionali.
Le diversità osservate potrebbero essere dovute alla non ancora perfetta espansio-
ne dell’offerta nel Centro-Sud ed alla più efficiente organizzazione commerciale pre-
sente nel Nord Italia.
Il fenomeno opposto infine, ossia la crescita dei prezzi nelle aree del Nord e una
loro diminuzione nel Centro-Sud, non si verifica invece in alcun comparto.
78
Tabella 5.1 - Variazione % 06/05 dei prezzi medi al consumo per comparto e area
Nord Ovest Nord Est Centro+Sardegna Sud+SiciliaLatte e derivati -1,5% 1,5% -10,5% 18,4%
Ortofrutta fresca e trasformata 3,3% -2,9% 3,6% 10,1%
Biscotti, dolciumi e snack -0,1% 4,8% 4,6% 15,3%
Bevande analcoliche 11,7% -8,9% 4,1% 26,8%
Uova -1,0% 2,4% 0,1% 1,2%
Zucchero, caffè e tè -15,0% -9,3% -8,3% 32,6%
Oli 4,4% 8,1% 23,0% -4,1%
Riso e pasta 0,2% 9,0% 1,5% 4,3%
Prodotti per l’infanzia 1,2% -14,1% 1,9% -8,4%
Pane e sostituti -0,1% -1,7% 42,1% 9,4%
Miele -6,6% 3,5% -3,6% 12,9%
Gelati e surgelati -1,6% -0,4% 6,2% 4,1%
Condimenti 31,5% 2,0% 14,1% 28,9%
Prodotti dietetici -8,8% -3,6% -4,8% -7,8%
Salumi e elaborati carne 25,3% -6,0% -1,5% -21,1%
Bevande alcoliche 2,6% 32,5% -19,2% 34,5%
Altri prodotti bio -0,8% -2,8% 17,7% 2,1%
Totale prodotti bio confezionati* 2,4% 0,03% 4,6% 10,9%
* i prezzi si riferiscono ai soli canali non specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen.
5.3. - I prezzi per prodotto
Finora è stato analizzato l’andamento dei prezzi comparando tra loro, su base na-
zionale o per circoscrizione geografica, le categorie dei prodotti. Naturalmente le refe-
renze all’interno di ciascuna di esse sono numerose e le variazioni che si possono os-
servare tra i diversi prodotti sono ampiamente diversificate.
In Tabella 5.2 si riportano le variazioni dei prezzi nel 2006 rispetto all’anno prece-
dente per i principali prodotti bio confezionati per consumo nella GDO. Per dedurre il
loro peso economico, è indicata nella tabella anche la loro incidenza sul totale dei
consumi domestici di prodotti bio in valore.
Come si può notare, le variazioni osservabili per i prezzi dei prodotti più consumati so-
no in genere di modesta entità e negative. Queste due caratteristiche accomunano i primi
cinque prodotti monitorati – latte fresco, uova, yogurt, bevande alla soia e verdura fresca –
mentre per il sesto – ossia l’olio di oliva – si registra una crescita dei listini dell’11%.
Per le bevande alla frutta e i cereali preparati si riscontrano invece degli aumenti di
prezzo rispettivamente del 7,5% e del 2,4%, anche se il loro peso sul totale prodotti
bio è meno importante e pari in entrambi i casi al 4%.
Scendendo di posizione nella graduatoria dei prodotti per peso sul totale dei con-
sumi bio, diminuiscono i prezzi per omogeneizzati (-2,4%) e per il miele (-0,8%),
mentre aumentano i listini per pasta e frollini (+3% per entrambi), prodotti il cui peso
sul totale è inferiore però al 3%.
Analizzando più attentamente la tabella 5.2, si nota anche che le variazioni più ac-
centuate si rilevano maggiormente per i prodotti che presentano un peso sul totale in-
feriore al 2%: in discreta diminuzione risultano infatti i prezzi per brioches, surrogati
del caffè e cereali per l’infanzia, mentre in buon aumento sono i listini dei dessert da
cucchiaio e degli infusi e del karkadé.
79
Tabella 5.2 - Variazioni dei prezzi medi al consumo dei principali prodotti bio confezionati1
Var. % 06/05 Incidenza sui consumi totali*Latte fresco -4,5% 8,0%
Uova 0,4% 7,6%
Yogurt -2,3% 7,4%
Bevande alla soia -0,2% 6,7%
Verdura fresca -8,2% 6,4%
Olio di oliva 11,0% 4,2%
Cereali preparati 2,4% 4,0%
Bevande frutta 7,5% 3,9%
Omogeneizzati -2,4% 3,0%
Pasta semola 3,0% 2,9%
Miele -0,8% 2,4%
Biscotti frollini 3,2% 2,3%
Dessert da cucchiaio 16,8% 2,1%
Brioches -10,9% 2,0%
Infusi+karkadè 12,1% 1,8%
Caffè tostato -6,0% 1,7%
Frutta 0,9% 1,6%
Latte Uht -7,2% 1,5%
Surrogati caffè -12,5% 1,2%
Vegetali prep. surg. -2,1% 1,1%
Aceto 5,6% 1,0%
Burro 0,6% 1,0%
Passate 5,7% 0,9%
Cereali infanzia -10,1% 0,8%
Pomodori polpa -2,3% 0,8%
1 i prezzi si riferiscono ai soli canali non specializzati* incidenza dei consumi in valore del prodotto sul totale consumi in valore dei prodotti biologi-ci confezionati nel 2006Fonte: Ismea/ACNielsen.
5.4 - Il differenziale di prezzo con il convenzionale
Come noto i listini dei prodotti biologici presentano, rispetto a quelli dei conven-
zionali, un elevato differenziale di prezzo. Nel 2006 quest’ultimo è risultato in media
di quasi il 66% (Tabella 5.3) contro il 64,9% nel 2005. Il differenziale di prezzo si è
quindi allargato ulteriormente, nella misura di circa un punto percentuale.
80
Tabella 5.3 - Differenziale di prezzo al consumo* tra biologico e convenzionale percomparto
2006 2005 Differenza (in puntipercentuali)
06/05Latte e derivati 40,2% 40,9% -0,7
Prodotti dietetici 16,9% 16,7% 0,2
Prodotti per l'infanzia -15,1% -12,1% -3,1
Riso e pasta 33,4% 39,1% -5,7
Pane e sostituti 98,0% 84,6% 13,5
Ortofrutta fresca e trasformata 62,2% 67,8% -5,6
Biscotti, dolciumi e snack 100,3% 85,7% 14,5
Miele 60,3% 57,7% 2,6
Oli 90,6% 93,8% -3,2
Salumi e elaborati carne 79,8% 67,4% 12,5
Uova 87,9% 92,4% -4,5
Condimenti 113,8% 98,6% 15,2
Gelati e surgelati 29,6% 28,5% 1,1
Zucchero, caffè e tè 91,3% 87,6% 3,7
Bevande alcoliche 59,2% 64,5% -5,3
Bevande analcoliche 73,6% 66,8% 6,8
Altri prodotti bio 114,0% 124,0% -10,0
Totale prodotti bio confezionati 65,9% 64,9% 0,9
* i prezzi del biologico si riferiscono a quelli applicati nei soli canali non specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen.
Come sempre, il dato medio è frutto di situazioni molto diversificate dei vari comparti.
La prima osservazione è che il differenziale di prezzo è particolarmente rilevante,
al di sopra della media, soprattutto per categorie di prodotti ad alto contenuto di servi-
zio e ad alto valore aggiunto – come ad esempio i condimenti e gli snack– ma anche
per prodotti di più largo consumo e peso nel paniere dei consumi biologici, come il
pane e sostituti, gli oli, i biscotti, lo zucchero e il caffè.
Ben al di sotto della media si collocano invece i prodotti dietetici, che presentano
un differenziale di appena il 17% in più e i gelati e surgelati con il 29,6%.
Sempre a livelli più bassi della media, si piazzano invece categorie di più largo
consumo come la pasta ed il riso e il latte e i suoi derivati, mentre con un differen-
ziale vicino alla media si ritrovano ancora categorie importanti come l’ortofrutta ed
il miele.
Dall’analisi dei dati sembra rilevarsi infine una peculiare posizione dei prodotti
per l’infanzia biologici, il cui prezzo è inferiore a quello dei corrispettivi convenziona-
li, fenomeno che probabilmente riflette la tendenza ad una parziale sostituzione del
prodotto convenzionale con quello biologico.
Altrettanto interessante è l’analisi dinamica del differenziale. Un ampliamento
della forbice di prezzo tra prodotto bio e convenzionale si registra sempre per quei
comparti il cui differenziale medio è il più elevato o tra i più elevati (condimenti,
biscotti, dolciumi e snack, pane e sostituti, salumi ed elaborati di carne), mentre lo
zucchero, il caffè ed il tè, pur detenendo mediamente un elevato differenziale con
il convenzionale, registrano in punti percentuali soltanto un aumento contenuto.
Al contrario ai comparti che segnano nel 2006 un calo del differenziale corrispon-
dono settori che presentano differenziali di prezzo molto differenti: molto superiori al-
la media come le uova, abbastanza allineati, come ortofrutta e bevande alcoliche, più
bassi della media come la pasta ed il riso.
Variazioni poco significative del differenziale – al di sotto del punto percentuale –
si registrano infine per il latte e derivati ed i prodotti dietetici.
Come già visto in precedenza a proposito dell’andamento dei prezzi, la situazione
tende a cambiare se dall’analisi della categorie commerciali si passa a quella dei sin-
goli prodotti (Tabella 5.4).
Infatti, considerando i prodotti più venduti, si nota coma la media del differenziale
sia sensibilmente inferiore (meno del 42%) rispetto a quella del biologico nel suo
complesso (quasi il 66%). In questo caso, inoltre, il differenziale medio è diminuito in
punti percentuali, a fronte di un lieve aumento per il totale bio come visto in prece-
denza (-3,7 contro +0,9 punti percentuali). Se però si analizzano le dinamiche dei sin-
goli prodotti, si notano due elementi.
Innanzitutto, si riscontrano diversi prodotti per i quali il differenziale di prezzo con
il convenzionale è modesto (ad esempio latte fresco, bevande alla soia, cereali per
l’infanzia). Soltanto in cinque casi (pasta, uova, bevande alla frutta, miele, frollini) il
differenziale è al di sopra della media vista in precedenza per l’intero comparto biolo-
gico.
In seconda battuta, si nota come la dinamica del differenziale veda spesso varia-
zioni negative o aumenti modesti. Al contrario, l’unico prodotto che registra un forte
incremento del differenziale (+16 punti circa) nel 2006, e che partiva già da un elevato
livello, è rappresentato dalle bevande alla frutta.
In ogni caso i dati dimostrano come l’analisi cambi se si considerano tutti i pro-
dotti bio o soltanto quelli maggiormente consumati.
81
82
Tabella 5.4 - Differenziale % di prezzo al consumo* tra biologico e convenzionale neiprincipali prodotti
2006 2005 Differenza (in puntipercentuali)
06/05Latte fresco 12,0% 18,4% -6,4
Yogurt fresco 29,7% 32,0% -2,2
Omogeneizzati -18,7% -16,7% -2,0
Cereali infanzia 0,3% 9,7% -9,4
Pasta semola 74,4% 71,7% 2,7
Verdura fresca 47,9% 81,1% -33,2
Biscotti frollini 61,8% 59,4% 2,4
Cereali preparati -12,4% -13,0% 0,7
Miele 60,3% 57,7% 2,6
Olio di oliva 53,4% 65,0% -11,6
Uova 87,9% 92,4% -4,5
Bevande frutta 135,5% 119,6% 15,9
Bevande alla soia 11,6% 14,0% -2,4
* i prezzi del biologico si riferiscono a quelli applicati nei soli canali non specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen.
26) La fonte dei dati è rappresentata dal Panel Ismea/ACNielsen in cui i prezzi sono calco-lati in modo derivato, come rapporto tra valori e quantità; essi inoltre sono riferiti al solocanale distributivo della Gdo. Pur non essendo prezzi rilevati in modo diretto, le loro va-riazioni possono comunque essere indicative di una tendenza media dei listini al consumodei prodotti biologici.27) Si tratta di una media ponderata (a pesi fissi) con le quantità consumate dei principaliprodotti bio nel 2006. 28) Il dato medio del comparto è frutto a sua volta di variazioni molto diversificate interneal comparto stesso.29) Si veda il Capitolo 4.
Premessa
biettivo di questo capitolo è di fornire un primo quadro introduttivo e comparati-
vo delle imprese che operano nelle filiere agroalimentari biologiche che verran-
no analizzate in dettaglio nei capitoli successivi.
I dati analizzati provengono da alcune indagini che Ismea ha svolto in collabora-
zione con la società Pragma alla fine del 2006 tramite la somministrazione di un que-
stionario somministrato telefonicamente.
Nel complesso il rilievo ha interessato 469 aziende della fase di produzione prima-
ria e 141 che si occupano della trasformazione dei prodotti. Tra le prime, a loro volta,
sono distinguibili quelle che operano in prevalenza in filiere relative a produzioni ve-
getali (352 aziende) e quelle classificabili in filiere di produzioni animali (117 azien-
de). Di tali aziende verranno quindi fornite una serie di notizie e dati attinenti le strut-
ture produttive, la localizzazione, la tipologia degli imprenditori, con lo scopo di in-
quadrare il panel nel suo complesso delineando quindi un quadro strutturale, seppure
di massima, dell’agricoltura biologica italiana30, rendendo inoltre possibile il confron-
to tra le unità produttive delle diverse filiere.
6.1 - Le aziende agricole biologiche
La Tabella 6.1 fornisce il quadro della distribuzione delle 352 aziende delle filiere
vegetali in ordine all’Orientamento Tecnico Economico (OTE) e alla classe bio31.
84
6. Il quadro strutturale delle imprese che operano nellefiliere dell’agroalimentare biologico
O
Tabella 6.1 - Distribuzione delle aziende agricole del panel per OTE e classe bio
Classe bioOTE/Specializzazione Molto grandi Grandi Medie Piccole Totale In % sul totaleCereali 5 37 69 30 141 40,1%
Colture industriali 1 2 5 3 11 3,1%
Vite - 2 4 18 24 6,8%
Orticole - 1 7 20 28 8,0%
Olivo 1 9 21 63 94 26,7%
Frutta - 2 12 40 54 15,3%
Totale 7 53 118 174 352 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Come si può osservare, la distribuzione delle aziende vede prevalere quelle specia-
lizzate nelle colture cerealicole che rappresentano il 40% del totale, seguite da quelle
olivicole (il 27% circa) e frutticole (15%), mentre i restanti orientamenti incidono in
misura molto minore32. In ordine alla classe di ampiezza, spicca invece il dato delle
aziende di piccola dimensione33, che rappresentano quasi il 50% del Panel, posto che
nella distribuzione delle aziende per parametro dimensionale si nota in generale un’in-
cidenza scalare in rapporto alla dimensione.
Se si leggono unitamente i due parametri si possono evidenziare differenze rilevan-
ti. In particolare le aziende di piccola dimensione costituiscono una percentuale molto
più elevata negli ordinamenti colturali più intensivi: partendo dall’olivo sino alla vite si
va infatti dal 67% al 75% dell’intero panel. Al contrario nel caso dei cereali l’incidenza
si abbassa al 21%. Per questo ordinamento, così come per le aziende a colture indu-
striali, la classe più rappresentata è quella delle aziende di media dimensione, anche se
quelle grandi e molto grandi costituiscono comunque rispettivamente il 30% ed il 27%
La Tabella 6.2 conferma la tendenza dell’agricoltura biologica ad essere oramai in
qualche modo rappresentativa dell’agricoltura nazionale, sfuggendo alla semplifica-
zione biologico-marginale. Infatti, così come avviene a livello più generale, la percen-
tuale maggiore di aziende si riscontra in collina (58%), cui segue la pianura (oltre il
31%). Meno rilevante la localizzazione nelle aree montane.
85
Tabella 6.2 - Distribuzione delle aziende agricole del panel per altimetria e OTE
AltimetriaOTE/Specializzazione Pianura Collina Montagna Totale in % sul totaleCereali 39 84 18 141 40,1%
Colture industriali 9 2 - 11 3,1%
Vite 6 17 1 24 6,8%
Orticole 12 15 1 28 8,0%
Olivo 21 64 9 94 26,7%
Frutta 23 24 7 54 15,3%
Totale 110 206 36 352 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Anche in questo caso vi sono differenze degne di nota tra i diversi orientamenti. La
localizzazione collinare è sempre prevalente con l’eccezione delle aziende a colture in-
dustriali che risultano invece concentrate in pianura. Tuttavia si deve rilevare come nel
caso della specializzazione in orticoltura e in frutticoltura in pianura si collochi il 43%
circa delle unità produttive, mentre al contrario per le aziende viticole salga notevol-
mente l’incidenza della collina (70%). Per la montagna percentuali leggermente più al-
te rispetto alla media si rinvengono per frutta e cereali (entrambi il 13% circa).
Una delle caratteristiche che, in molte analisi strutturali, ha contraddistinto l’agri-
coltura biologica da quella convenzionale è l’ampiezza media aziendale. Soprattutto
in Italia, in cui questo parametro è l’evidenza di una struttura fondiaria dispersa e po-
co dinamica, i valori di gran lunga maggiori che si sono sempre evidenziati nel caso
dell’agricoltura biologica sono stati interpretati come segno di maggiore professionali-
tà. Nel caso del panel rilevato per l’indagine qui presentata ci si trova di fronte ad
aziende la cui ampiezza media – pari a ben 75 ettari – supera di gran lunga anche i va-
lori medi nazionali34 riscontrati solitamente per l’agricoltura biologica (Tabella 6.3).
86
Tabella 6.3 - Ampiezza media delle aziende agricole del panel per OTE e classe bio(in ettari)
Classe bioOTE/Specializzazione Molto grandi Grandi Medie Piccole Totale Cereali 1.498 176 53 16 129
Colture industriali 750 133 51 22 122
Vite - 136 48 12 28
Orticole - 200 55 9 27
Olivo 1.000 196 41 12 47
Frutta - 101 47 11 22
Totale 1.320 174 50 12 75
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 6.4 - Distribuzione della SAU delle aziende agricole del panel per OTE e classe bio(in ettari)
Classe bioOTE/Specializzazione Molto grandi Grandi Medie Piccole Totale in % sul totaleCereali 7.492 6.513 3.691 473 18.169 68,5%
Frutta - 202 559 428 1.189 4,5%
Colture industriali 750 265 257 67 1.339 5,0%
Olivo 1.000 1.768 861 773 4.401 16,6%
Orticoltura - 200 387 175 762 2,9%
Vite - 272 190 211 673 2,5%
Totale 9.242 9.220 5.945 2.127 26.534 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
La tabella rende tuttavia evidente come il valore medio sia in realtà dovuto in gran
parte alla dimensione media delle colture più estensive – cereali e colture industriali –
la cui dimensione supera i 120 ettari, essendo a sua volta largamente influenzata da al-
cune aziende di dimensione molto grande. Quanto affermato è bene evidenziato dalla
Tabella 6.4, dalla quale si evince che oltre il 41% della SAU delle aziende cerealicole
ed il 56% di quelle a colture industriali è concentrato nelle pochissime unità produtti-
ve di dimensioni molto rilevanti. In effetti quindi se il panel venisse depurato da que-
ste aziende la dimensione media risulterebbe inferiore a 50 ettari. In ogni caso le
aziende con la struttura maggiore dopo le colture estensive sono quelle olivicole35,
mentre quelle che chiudono questo elenco sono le frutticole.
La Tabella 6.4 riassume la distribuzione della SAU nelle aziende oggetto di inda-
gine in questo lavoro.
Si tratta di oltre 26.500 ettari, estensione che, “depurando” la SAU biologica
italiana dalle colture foraggiere (avvicendate e permanenti)36 e dai terreni non uti-
lizzati (maggese, rotazioni ecc.) darebbe una incidenza del panel rilevato sul totale
nazionale della SAU bio superiore al 5%. Il 68% di questa superficie ricade in
aziende specializzate in cereali, il 17% circa in quelle olivicole, il 4,5% nelle frutti-
cole, meno del 3% nelle orticole e viticole. Se si considera la dimensione, le azien-
de molto grandi pesano per il 35% circa, così come quelle grandi, quelle medie per
il 22% e le piccole per l’8% residuo. Se si analizzano le specializzazioni colturali
la prospettiva cambia. Per la frutta, gli ortaggi e la vite infatti sale decisamente il
contributo delle aziende piccole e medie, che complessivamente incidono in en-
trambi gli ordinamenti per oltre il 70% della SAU. Per l’olivo, invece, si rimane al
di sotto del 40%.
Le analisi qui condotte assumono una maggiore significatività se si pensa che il
grado di specializzazione nelle produzioni biologiche è, nel panel rilevato, molto ele-
vato, mediamente del 94% circa (Tabella 6.5), ed in diversi casi si raggiunge il 100%.
87
Tabella 6.5 - Incidenza della SAU biologica sulla SAU totale nelle aziende agricole del panel(in %, stratificazione per OTE e ampiezza aziendale)
Classe bioOTE/Specializzazione Molto grandi Grandi Medie Piccole Totale Cereali 96,0% 97,0% 94,6% 82,2% 92,6%
Frutta - 100,0% 99,6% 95,0% 96,2%
Colture industriali 100,0% 100,0% 80,8% 75,0% 84,5%
Olivo 100,0% 93,9% 90,5% 95,6% 94,3%
Orticole - 100,0% 84,3% 94,5% 92,1%
Vite - 80,0% 100,0% 97,8% 96,7%
Totale 97,1% 96,1% 93,4% 92,9% 93,6%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Al contrario di quanto ci si potrebbe attendere, i valori minori di questo parametro
si registrano nelle aziende di piccola dimensione e l’incidenza aumenta proporzional-
mente alla dimensione aziendale. Per quanto riguarda gli ordinamenti produttivi, l’u-
nico in cui scende al di sotto del 90% è quello delle colture industriali, anche se la nu-
merosità delle aziende rilevate è piuttosto bassa.
Per quanto riguarda la distribuzione territoriale del panel, la Figura 6.1 mostra co-
me il 57% circa delle unità rilevate sia concentrato nel Sud e nelle Isole, dato che so-
stanzialmente collima con le rilevazioni “ufficiali” del Sinab.
Lo stesso può dirsi per il dato relativo al Centro, in cui ricadono il 24% degli ope-
ratori. Segue il Nord con il residuo 20% circa, in cui prevale il Nord Est (11%) rispet-
to al Nord Ovest (7%). Incrociando circoscrizione geografica e ordinamento colturale
si nota che nel Sud e Isole si ha spesso la quota maggiore della SAU degli ordinamenti
considerati, con l’eccezione delle colture industriali. Tuttavia, se si considera la spe-
cializzazione intesa come rapporto tra incidenza dell’ordinamento e valore medio, Sud
ed Isole sono specializzati in olivo (78% circa del totale) e frutta (68,5%), anche se in
questa area si colloca anche la quota maggiore della Sau a vite (50%), cereali (47%) e
orticole (43%). Al Centro, anche se la percentuale della Sau non è mai maggioritaria,
si rinviene una specializzazione per i cereali (31%) e la vite (25%). Discorso analogo
per il Nord Est, specializzato in vite (17%) e orticole (21%), ma soprattutto nelle col-
ture industriali che si concentrano qui anche in senso assoluto (64%). Nel Nord-Ovest
il peso dei singoli ordinamenti non raggiunge mai un valore elevato. Considerando la
media di questa circoscrizione, si possono tuttavia evidenziare specializzazioni relati-
ve per le colture industriali (18%), orticoltura (14%) e cereali (10%).
88
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole0
50
100
150
200
250
Cereali
Colture industriali
Vite
Orticole
Olivo
Frutta
nune
ro a
ziend
e ril
evat
e
Figura 6.1 - Distribuzione delle aziende agricole del panel per OTE e area geografica
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tab. 6.6 - Distribuzione delle Unità lavorative delle aziende agricole del panel per OTE e classe bio
Classe bioOTE/Specializzazione Molto grandi Grandi Medie Piccole Totale In % sul totale Cereali 121 211 317 102 751 39,5%
Frutta - 3 181 171 355 18,7%
Colture industriali 25 9 11 7 52 2,7%
Olivo 20 56 91 213 380 20,0%
Orticoltura - 50 73 118 241 12,7%
Vite - 48 13 63 124 6,5%
Totale 166 377 686 674 1.903 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Nelle aziende del panel rilevato risultano attive 1.903 Unità Lavorative (Tabella
6.6), la cui distribuzione in ordine alla classe aziendale e agli ordinamenti colturali è
sensibilmente differente rispetto a quanto visto per la Sau.
In questo caso, infatti, anche se i cereali rappresentano ancora l’ordinamento in cui si
concentra la quota maggiore della risorsa (751 UL), l’incidenza (39,5%) è inferiore rispetto
alla Sau. Sale al contrario il peso dell’olivo (20% delle UL totali), della frutta e dell’orticoltu-
ra, ossia di tutti quegli ordinamenti definibili come intensivi in riferimento al rapporto tra ter-
ra e lavoro. La differenza tra gli ordinamenti è in relazione a questo parametro molto eviden-
te (Tabella 6.7): si va dalle 0,04 UL/ettaro delle colture industriali e dei cereali sino alle 0,32
dell’orticoltura ed alle 0,30 della frutticoltura; seguono la vite (0,18) e poi l’olivo (0,09).
89
Tabella 6.7 - UL/HA per OTE e classe bio nelle aziende agricole del panel
Classe bioOTE/Specializzazione Molto grandi Grandi Medie Piccole Totale Cereali 0,02 0,03 0,09 0,22 0,04
Frutta - 0,01 0,32 0,40 0,30
Colture industriali 0,03 0,03 0,04 0,10 0,04
Olivo 0,02 0,03 0,11 0,28 0,09
Orticoltura - 0,25 0,19 0,67 0,32
Vite - 0,18 0,07 0,30 0,18
Totale 0,02 0,04 0,12 0,32 0,07
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Naturalmente la distribuzione del lavoro varia anche in funzione della dimensione
aziendale. Ancora diversamente da quanto visto per la Sau la quota maggiore di forza
lavoro è concentrata nelle classi di aziende medie e piccole, ove, in ambedue i casi, si
riscontra il 36% circa della forza lavoro del panel; seguono le aziende grandi (il 20%)
e quelle molto grandi (il 9%). Questa diversa distribuzione è solo in parte dovuta ai
differenti ordinamenti colturali presenti nelle aziende di diversa dimensione. In realtà
il parametro che più influenza la presenza delle unità lavorative è la dimensione stes-
sa, come evidenzia ancora la Tabella 6.7. Risulta infatti evidente la relazione, inversa,
che esiste tra classe dimensionale e intensità del lavoro. Ma allo stesso tempo si vede
come la differenza tra i diversi ordinamenti colturali, in alcuni casi, sia dovuta più alla
classe dimensionale che all’ordinamento stesso.
La rappresentatività del panel rilevato si deduce anche dall’analisi temporale delle
adesioni al biologico (Figura 6.2). Oltre l’82% delle aziende rilevate ha infatti aderito
alle misure del regolamento prima del 2001, anno in cui, come si vede dalle variazioni
marginali, si ha un forte rallentamento di nuove aziende rispetto ai picchi del 1999-
2000. Dopo il 2000 le nuove adesioni rallentano sensibilmente. In altri termini mentre
sino al 2000 l’ingresso di nuove aziende avviene con un ritmo sostenuto ed incremen-
tale, dopo tale anno si ha un sensibile rallentamento. Una situazione quindi del tutto
simile a quanto è avvenuto nella realtà nazionale.
6.2 - Le aziende zootecniche biologiche
Alle 352 aziende specializzate in produzioni vegetali, vanno aggiunte ulteriori 117
aziende di produzione primaria che sono specializzate in produzioni animali. Anche in
questo caso, come per le filiere vegetali, è stata determinata37 la specializzazione pro-
duttiva, mentre per la distribuzione territoriale si è tenuto conto dei dati disponibili,
ossia di quelli del Sinab del 200538. Il risultato dell’incrocio di queste due variabili è
rappresentato dalla Figura 6.3, che pone in evidenza la forte incidenza delle aziende
del Sud e delle Isole (il 52% del panel) e sotto il profilo della tipologia di allevamenti
la prevalenza della filiera della carne, sia bovina che ovicaprina (la prima con il 30%
circa delle aziende del panel, la seconda con un ulteriore 12%).
90
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole0
50
100
150
200
250
Cereali
Colture industriali
Vite
Orticole
Olivo
Fruttanu
nero
azie
nde
rilev
ate
Figura 6.2 - Evoluzione delle adesioni aziendali al metodo biologico da parte delle aziendeagricole del panel
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole0
10
20
30
40
50
60
70
Miste
Apistico
Ovicaprini da carne
Bovini da carne
Ovicaprini da latte
Bovini da latte
nune
ro a
ziend
e ril
evat
e
Figura 6.3 - Aziende zootecniche del panel per OTE e area geografica
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Pesi un po’ minori si registrano per la filiera del latte, ma con una inversione
tra ovicaprini (quasi il 30% delle aziende) e bovini (il 10% circa). Sempre in ter-
mini di filiere, un certo peso si ha per le aziende specializzate nella produzione di
miele, mentre per una quota non marginale non è stato possibile identificare nes-
suna specializzazione. Naturalmente questa configurazione in termini di produzio-
ni risente della distribuzione geografica delle aziende, anche se i bovini da carne
rappresentano in tutte le circoscrizioni il 30% circa del totale. Per le altre filiere si
notano invece differenze rilevanti. Ancora per la carne gli ovicaprini sono relativa-
mente più presenti al Nord Est, così come i bovini da latte. Al contrario per gli
ovicaprini da latte si ha una forte concentrazione di aziende nel Sud e nelle Isole,
in cui rappresentano il 46% delle unità produttive. Per le aziende che producono
miele si nota invece un peso crescente passando dal Sud verso il Nord. Da notare
che nel Nord-Ovest circa un terzo delle aziende rilevate risulta ad orientamento
misto.
Anche per le aziende zootecniche è stata operata una classificazione per OTE e per
dimensione aziendale, basata in questo caso sulla consistenza dell’allevamento. La Ta-
bella 6.8 riporta la distribuzione del panel rispetto ai due parametri considerati. Come
è possibile osservare, nel complesso vi è una distribuzione equilibrata tra le tre classi
dimensionali.
Tuttavia se si scende a livello del singolo OTE si nota una forte concentrazione
delle aziende specializzate in allevamento bovino, ed in particolar modo in quello da
latte, nella classe dimensionale minore. Del tutto opposta la distribuzione per gli ovi-
caprini da latte e per le aziende apistiche, mentre le aziende che allevano ovicaprini da
carne e quelle miste sono in maggioranza di media dimensione.
Sotto il profilo altimetrico (Tabella 6.9) così come per le aziende specializzate in
produzioni vegetali si ha la maggiore incidenza in collina (56% del totale), cui segue
in questo caso la montagna (31%).
91
Tabella 6.8 - Distribuzione delle aziende zootecniche del panel per OTE e ampiezza dell’allevamento(in numero di aziende)
OTE/Specializzazione Piccole Medie Grandi Totale In % (<100 capi) (100-299 capi) (>299 capi) sul totale
Bovini da latte 9 2 - 11 9,4%
Bovini da carne 23 11 2 36 30,8%
Ovicaprini da latte 1 10 24 35 29,9%
Ovicaprini da carne 4 7 3 14 12,0%
Apistiche* 2 1 6 9 7,7%
Aziende miste 4 6 2 12 10,3%
Totale 43 37 37 117 100,0%
* in numero di alveariFonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Da notare che per tutti gli ordinamenti prevale la collocazione collinare, anche se
con incidenze differenti. In particolare l’incidenza delle aziende collinari è maggiore
rispetto alla media negli allevamenti da latte, sia bovino che ovicaprino, mentre è infe-
riore alla media ma raggiunge comunque il 50% per i bovini da carne e le miste.
La dimensione media dell’allevamento oltre a variare in funzione dell’ampiezza
aziendale, è funzione anche dell’OTE, come si osserva dalla Tabella 6.10.
92
Tabella 6.9 - Distribuzione delle aziende zootecniche del panel per altimetria e OTE(in numero di aziende)
AltimetriaOTE/Specializzazione Pianura Collina Montagna Totale In % sul totaleBovini da latte 1 9 1 11 9,4%
Bovini da carne 1 18 17 36 30,8%
Ovicaprini da latte 4 23 8 35 29,9%
Ovicaprini da carne 2 6 6 14 12,0%
Apistiche 2 4 3 9 7,7%
Aziende miste 4 6 2 12 10,3%
Totale 14 66 37 117 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 6.10 - Numero medio di capi delle aziende zootecniche del panel per OTE e ampiezza dell’alle-vamento
OTE/Specializzazione Piccole Medie Grandi Media(<100 capi) (100-299 capi) (>299 capi) generale
Bovini da latte 41 125 - 56
Bovini da carne 49 134 320 90
Ovicaprini da latte 60 201 549 435
Ovicaprini da carne 61 163 737 257
Apistiche* 70 150 508 371
Aziende miste 34 123 2200 439
* numero di alveari Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
La Tabella 6.11 riporta invece il numero complessivo di capi per OTE e classe
aziendale.
Al contrario di quanto visto per le aziende specializzate in produzioni vegetali, per
le aziende zootecniche al crescere della dimensione si abbassa l’incidenza della super-
ficie coltivata con il metodo biologico (Tabella 6.12).
In particolare ciò è vero per le aziende di grandi dimensioni, ed ancora più spe-
cificatamente per quelle specializzate in bovini da carne. Va osservato tuttavia co-
me questa tipologia di aziende sia la meno rappresentativa in termini di numero di
capi allevati, pari a meno del 20% del totale dei bovini da carne. Da notare invece
come le aziende apistiche e quelle miste siano sempre totalmente specializzate nel
biologico.
Nelle aziende del panel rilevato (Tabella 6.13) trovano impiego 544 Unità Lavora-
tive (UL), che si distribuiscono in maggioranza nelle aziende di grandi dimensioni
(51%) e poi in quelle di piccola dimensione (28%).
Se tale dato è in qualche misura ovvio, è più interessante notare come quasi il 50%
delle UL sia attribuibile alle aziende specializzate in bovini da carne, mentre un ulte-
riore 27% in quelle ad ovicaprini da latte. Una distribuzione quindi inversa rispetto a
quella vista relativamente al numero dei capi, che naturalmente è dovuta alla diversa
intensità del lavoro che, come già visto per le produzioni vegetali, è sensibilmente dif-
ferenziata (Tabella 6.14). In genere la differenza fondamentale si nota tra le aziende
che allevano bovini e quelle specializzate in allevamenti ovicaprini, con una intensità
di lavoro decisamente più alta per le prime. Rispetto alla classe dimensionale, le
aziende più intensive risultano quelle piccole e grandi. Da notare tuttavia che l’alleva-
mento con la maggiore intensità lavorativa è quello apistico, probabilmente perché si
tratta di aziende con poca terra propria.
93
Tabella 6.11 - Numero di capi delle aziende zootecniche del panel per OTE e ampiezza dell’allevamento
OTE/Specializzazione Piccole Medie Grandi(<100 capi) (100-299 capi) (>299 capi) Totale
Bovini da latte 370 250 - 620
Bovini da carne 1.137 1.472 640 3.249
Ovicaprini da latte 60 2.007 13.167 15.234
Ovicaprini da carne 242 1.139 2.210 3.591
Apistiche* 140 150 3.050 3.340
Aziende miste 135 735 4.400 5.270
* numero di alveari Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 6.12 - Incidenza % della SAU bio sul totale SAU agricola delle aziende zootecniche del panelper OTE e ampiezza dell’allevamento
OTE/Specializzazione Piccole Medie Grandi(<100 capi) (100-299 capi) (>299 capi) Totale
Bovini da latte 100,0% 100,0% - 100,0%
Bovini da carne 100,0% 96,9% 11,3% 64,2%
Ovicaprini da latte 100,0% 100,0% 67,4% 71,5%
Ovicaprini da carne 100,0% 94,5% 90,4% 95,6%
Apistiche 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Aziende miste 100,0% 100,0% 100,0% 100,0%
Totale 100,0% 97,8% 52,3% 73,5%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
94
Tabella 6.13 - Distribuzione delle UL per OTE e ampiezza degli allevamenti
OTE/Specializzazione Piccole Medie Grandi(<100 capi) (100-299 capi) (>299 capi) Totale
Bovini da latte 32 7 - 39
Bovini da carne 91 37 128 256
Ovicaprini da latte 2 28 117 147
Ovicaprini da carne 11 21 9 41
Apistiche 4 2 18 24
Aziende miste 12 20 5 37
Totale 152 115 277 544
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 6.14 - UL/HA bio per OTE e ampiezza degli allevamenti
OTE/Specializzazione Piccole Medie Grandi(<100 capi) (100-299 capi) (>299 capi) Totale
Bovini da latte 0,07 0,04 - 0,06
Bovini da carne 0,06 0,02 0,52 0,07
Ovicaprini da latte 0,12 0,04 0,04 0,04
Ovicaprini da carne 0,02 0,05 0,03 0,04
Apistiche 0,31 0,29 0,22 0,23
Aziende miste 0,10 0,04 0,09 0,06
Totale 0,06 0,03 0,07 0,05
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
1986
1989
1991
1992
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
2001
2002
2003
2004
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
nune
ro a
ziend
e de
ll’in
dagi
ne
Figura 6.4 - Evoluzione delle adesioni al metodo biologico da parte delle aziende zootecnichedel panel(in n° di aziende dell’indagine)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Infine è utile analizzare anche l’evoluzione delle adesioni al metodo di produzione
biologico, così come già fatto per le aziende specializzate in produzioni vegetali. La
Figura 6.4 evidenzia bene l’impatto del regolamento sulla zootecnia biologica, ma an-
che il fatto che un numero discreto di aziende dichiara di avere aderito anche negli an-
ni precedenti all’introduzione della regolamentazione in materia, chiaramente per le
produzioni vegetali – probabilmente foraggiere – aziendali. Le norme sulla zootecnia
avrebbero in questo caso favorito l’integrazione aziendale. Negli ultimi anni, tuttavia,
pure il settore zootecnico, anche se in misura minore rispetto alle produzioni vegetali,
sembra essere interessato da un certo rallentamento.
6.3 - Il profilo dell’imprenditore delle aziende agricole e zootecniche bio
Il quesito se l’imprenditore che converte la propria azienda al metodo di produzione
biologico possieda caratteristiche peculiari è una costante degli studi sull’agricoltura
biologica e si può fare risalire alle prime analisi che individuavano aziende pioniere ed
innovatrici. A distanza di 15 anni dall’emanazione delle norme europee è forse possibile
affermare che l’imprenditore che sceglie agricoltura biologica sia un imprenditore agri-
colo “normale” in relazione alle sue scelte, dettate dalla pianificazione aziendale e quin-
di guidate dal mercato e dagli incentivi finanziari. Rimane tuttavia il fatto che molte in-
dagini abbiano messo in luce che si tratta spesso di aziende “professionali”, affermazio-
ne basata innanzitutto sulla dimensione media che, come si è visto in precedenza, ma
anche come emerge dai numeri assoluti del biologico italiano, si pone molto al di sopra
del dato medio nazionale. Si tratta quindi di aziende agricole e non di microproprietà
dove si pratica agricoltura hobbistica o si conserva la proprietà fondiaria.
Tale affermazione è suffragata anche dai dati relativi ai 469 imprenditori contattati
nella presente indagine. Si tratta infatti in grande maggioranza di aziende professiona-
li full-time, ossia in cui l’imprenditore svolge la sua attività soltanto in azienda. Que-
sto riguarda l’87% delle aziende zootecniche e il 76% di quelle agricole (Figura 6.5).
95
Tempo pieno Part-time0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
76,0%
87,0%
24,0%
13,0%Aziende Agricole
Aziende Zootecniche
Figura 6.5 - Diffusione del part-time tra gli imprenditori conduttori di aziende biologiche(in % delle risposte)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Nel complesso gli imprenditori che conducono l’azienda part-time sono circa 90
ossia meno del 20% del totale. I settori di attività nei quali svolgono la propria opera
extra-aziendale sono abbastanza differenziati (Figura 6.6), con una maggiore inciden-
za dello stesso settore agricolo, cui segue l’impiego nella Pubblica Amministrazione e
nei servizi pubblici in genere (sanità, scuola).
Anche sotto il profilo dell’età, le aziende biologiche sono differenti rispetto al
quadro consolidato dell’agricoltura italiana in cui prevalgono i conduttori anziani. In-
fatti sia nelle aziende agricole che in quelle zootecniche, con percentuali del tutto si-
mili, prevalgono i conduttori al di sotto dei 50 anni, che rappresentano quasi i due ter-
zi dell’intero panel. In particolare, come si nota dalla Figura 6.7, il 50% degli impren-
ditori ricade nella fascia tra i 35 ed i 50 anni.
96
Altro
Edilizia
Libera professione
Sanità
Commercio
Servizi
Educazione/Università
Amministrazione pubblica
Agricoltura
0 5 10 15
%
20 25 30
3%
4%
7%
9%
9%
13%
13%
15%
25%
Figura 6.6 - Settori di attività dei conduttori di aziende biologiche che svolgono attivitàpart-time
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Da 18 a 34 anni Da 35 a 50 anni Oltre 50 anni
12,0% 11,0%
50,0%53,0%
38,0%36,0%
0
10
20
30%
40
50
60
Aziende Agricole
Aziende Zootecniche
Figura 6.7 - Età degli imprenditori che conducono aziende biologiche(in % delle risposte)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Infine è di rilievo il fatto che oltre i due terzi degli imprenditori contattati possie-
dano un titolo di studio superiore, con una incidenza media dei laureati superiore al
22%. Le percentuali di tali parametri sono peraltro significativamente più alte per i
conduttori delle aziende specializzate in produzioni vegetali, nelle quali raggiungono,
rispettivamente, il 75% ed il 27% (Figura 6.8).
97
Media inferiore Media superiore Laurea-specializzazione
25,6%
52,1%47,7%
38,5%
26,7%
9,4%
0
10
20
30%
40
50
60
Aziende Agricole
Aziende Zootecniche
Figura 6.8 - Titolo di studio degli imprenditori che conducono aziende biologiche(in % delle risposte)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Lattiero-caseari
Prodotti da forno
Ortofrutta
Pasta-riso
Carni
Olio di oliva
Vino
Uova
Derivati dei cereali
0 5 10 15 20 25 30
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud e Isole
Numero di aziende
Figura 6.9 - Distribuzione delle imprese di trasformazione bio del panel per comparto earea geografica
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
6.4 - Le aziende di trasformazione biologiche
Le aziende di trasformazione rilevate sono state 141 secondo un metodo di cam-
pionamento che ha tenuto in considerazione contemporaneamente il settore di attività
e la localizzazione geografica (Figura 6.9, Tabella 6.15).
98
Tabella 6.15 - Distribuzione delle aziende di trasformazione bio del panel per comparto e regione(produzione aziendale prevalente)
Lattiero- Prodotti Pasta e Olio di Derivaticaseari da forno riso Ortofrutta Carni oliva Vino Uova dei cereali Totale
Piemonte e Val d’Aosta - 1 5 2 3 - - - - 11
Lombardia 4 6 3 1 3 - - 1 5 23
Trentino A.A. 1 - - 2 - - - - - 3
Veneto 1 3 - 2 - - 3 - - 9
Friuli V.G. - 1 1 - - - - - - 2
Emilia Romagna 1 4 3 6 5 1 1 - 2 23
Toscana 1 4 1 4 - 1 1 - - 12
Marche - 1 1 - - - 1 1 - 4
Umbria - - - - - 2 - - - 2
Lazio 1 1 1 2 - - - - 1 6
Abruzzo - - 1 - - - 2 - - 3
Molise - - - - - - 1 - - 1
Campania 1 - 1 3 - 1 - - - 6
Puglia 1 1 1 2 - 6 2 - - 13
Basilicata - - - 1 - - - - - 1
Calabria - 1 - - - 4 - - - 5
Sicilia - - - 4 - 5 5 - - 14
Sardegna 3 - - - - - - - - 3
Totale 14 23 18 29 11 20 16 2 8 141
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Il comparto più rappresentato è quello dell’ortofrutta, con oltre il 20% delle azien-
de rilevate, seguito dai prodotti da forno, olio di oliva, pasta e riso e vino, tutti con più
del 10% delle imprese. Le aziende specializzate nella trasformazione dei prodotti ani-
mali sono meno rappresentate e tra queste prevalgono quelle che trasformano prodotti
lattiero caseari.
Sotto il profilo delle aree geografiche, si ha la prevalenza del Nord, che nel suo in-
sieme rappresenta il 50% del totale (equamente diviso tra Nord Ovest e Nord Est), se-
guito dal Sud e dalle Isole, in cui si ritrova un terzo delle imprese (il 20% al Sud e il
13% nelle Isole).
Considerando le differenze tra le diverse aree, Sud e Isole sono fortemente specia-
lizzati in olio di oliva e vino, e in misura minore nel lattiero caseario ed ortofrutta. Il
Centro appare relativamente meno specializzato nell’ortofrutta e nei prodotti da forno,
nelle filiere zootecniche (in particolare carne e uova) e in quelle dei cereali (in partico-
lare le farine), mentre il Nord Est in carni, ortofrutta e prodotti da forno.
Scendendo a livello regionale, si nota il forte ruolo che rivestono l’Emilia-Roma-
gna e la Lombardia dove si concentra un terzo circa delle aziende rilevate. Nelle due
regioni assumono rilievo molte filiere, con l’eccezione di quelle viticola ed oleicola.
Maggiore il peso dell’Emilia Romagna per l’ortofrutta e della Lombardia per i prodot-
ti lattiero caseari. Seguono con un numero di aziende simile la Sicilia e la Puglia. Qui
naturalmente la rappresentatività si inverte: ortofrutta, viticoltura e olivicoltura sono le
filiere di maggiore presenza. Se a queste quattro regioni si sommano quelle che seguo-
no immediatamente – Toscana e poi il Lazio nel Centro, Il Piemonte ed il Veneto per il
Nord – si arriva a tre quarti circa del panel, dato che indica una forte concentrazione
delle attività di trasformazione.
Nel panel rilevato tendono a prevalere le aziende con una bassa specializzazione39
nelle produzioni biologiche che, complessivamente, sono quasi il 60%, contro il 22%
di quelle a forte specializzazione (Tabella 6.16).
Anche se un’analisi più di dettaglio è possibile solo all’interno delle singole filie-
re, alla cui lettura si rimanda, il dato medio potrebbe essere preso come un indicatore
di debolezza di tutto l’agroalimentare biologico. Se infatti queste produzioni non assu-
mono un ruolo centrale nella strategia aziendale, soprattutto nei casi in cui le aziende
producono per conto terzi, questo può voler significare una tendenza moderata agli in-
vestimenti ed alla promozione, e in definitiva una offerta meno qualificata.
99
Tabella 6.16 - Aziende di trasformazione bio del panel per comparto e specializzazione nel biologicoSpecializzazione nel biologico
Comparto Bassa Media Alta Totale In % sul totaleLattiero-caseari 8 1 5 14 9,9%
Prodotti da forno 13 6 4 23 16,3%
Pasta-riso 13 1 4 18 12,8%
Ortofrutta 14 7 8 29 20,6%
Carni 8 1 2 11 7,8%
Olio di oliva 11 5 4 20 14,2%
Vino 10 2 4 16 11,3%
Uova 2 - - 2 1,4%
Derivati dei cereali 4 3 - 7 5,0%
Foraggio - 1 - 1 0,7%
Totale 83 27 31 141 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
I comparti in cui la specializzazione appare particolarmente bassa sono le uova40,
la pasta ed il riso, la carne ed il vino. Quelli in cui si riscontra una specializzazione
più alta rispetto alla media risultano il lattiero-caseario, l’ortofrutta e l’olio.
Visti i dati presentati, era abbastanza logico aspettarsi che il biologico assumes-
se un ruolo strategico nella filosofia aziendale soltanto nel 26% dei casi, percentua-
le che si alza solamente nei casi del lattiero-caseario e dell’ortofrutta (Tabella
6.17).
Tuttavia si deve notare che la bassa specializzazione vista prima non vuol dire au-
tomaticamente un ruolo minoritario dei prodotti biologici nella strategia aziendale. In-
fatti il 28% ha dichiarato una strategia di attesa. Un ulteriore sviluppo della domanda,
interna od estera, potrebbe quindi incentivare tali imprese ad investire maggiormente
nei prodotti bio. Resta comunque il fatto che ben il 46% delle aziende dichiara un ruo-
lo soltanto complementare dei prodotti bio.
Infine la Tabella 6.18, combinando due parametri strutturali, fornisce un quadro
dimensionale dell’industria di trasformazione dei prodotti biologici in Italia.
100
Tabella 6.17 - Aziende di trasformazione bio del panel per comparto e tipo di strategiaStrategia
Comparto Attesa Complementare Centrale TotaleLattiero-caseari 6 3 5 14Prodotti da forno 9 10 4 23Pasta - riso 3 11 4 18Ortofrutta 7 10 12 29Carni 2 7 2 11Olio di oliva 4 11 5 20Vino 4 8 4 16Uova - 2 - 2Derivati dei cereali 4 3 - 7Foraggio 1 - - 1Totale 40 65 36 141
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tab. 6.18 - Caratteristiche delle imprese di trasformazione bio del panel
Classe impresaSpecializzazione nel bio Piccola Media Grande Totale Bassa 37 28 18 83Media 16 6 5 27Alta 22 6 3 31Totale 75 40 26 141
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
30) Come noto la situazione informativa del comparto dell’agricoltura biologica in Italia non è dellemigliori. A parte i dati pubblicati dal Sinab, non sono disponibili altre informazioni ufficiali aggregate alivello nazionale. L’indagine qui proposta quindi, anche se non può avere rappresentatività statistica,rimane tuttavia un momento prezioso, nonché sino ad oggi unico, di analisi strutturale del comparto.31) Le aziende sono state classificate in base alla SAU in: piccole (<29 ettari), medie (tra 29 e99 ettari), grandi (tra 100 e 499 ettari) e molto grandi (> 499 ettari).32) La classificazione è avvenuta secondo i seguenti criteri:• aziende cerealicole: SAU biologica a cereali bio >70% della SAU bio totale aziendale e/o SAUbiologica a cereali >15 ettari;• aziende a colture industriali: SAU biologica a colture industriali bio >70% della SAU bio to-tale aziendale e/o SAU biologica a colture industriali >10 ettari;• aziende frutticole: SAU biologica a frutta bio >70% della SAU bio totale aziendale e/o SAUbiologica a frutta >5 ettari;
La tabella evidenzia il fatto che circa un terzo delle aziende rilevate sono di media
e grande dimensione41 con una bassa specializzazione nel bio. Al contrario quelle pic-
cole e con una specializzazione media e alta sono il 27%. Se a queste si aggiungessero
anche quelle di più grande dimensione, si raggiungerebbe anche in questo caso un ter-
zo delle imprese. Da non trascurare l’incidenza delle imprese di piccola dimensione e
con una bassa specializzazione nel biologico, che potrebbero essere quelle più sensibi-
li a variazioni negative del mercato.
101
• aziende viticole: SAU biologica a vite bio >70% della SAU bio totale aziendale e/o SAU biolo-gica a vite >5 ettari;• aziende olivicole: SAU biologica a olivo bio >70% della SAU bio totale aziendale e/o SAUbiologica a olivo >5 ettari;• aziende orticole: SAU biologica a ortaggi bio >70% della SAU bio totale aziendale e/o SAUbiologica a ortaggi >1 ettaro.33) Si veda nota 31.34) Nel 2006, secondo i dati Sinab, questo valore avrebbe oltrepassato i 25 ettari.35) Anche in questo caso va notata la presenza e l’influenza di una unità di dimensione moltogrande, senza la quale la SAU media delle aziende olivicole scenderebbe a 36 ettari.36) Al di là delle considerazioni economiche sull’opportunità di considerare queste superfici nelbiologico nazionale, si è scelto di escluderle da questo conteggio in quanto queste colture sono stateconsiderate nella rilevazione delle aziende foraggiero-zootecniche di cui si parlerà più avanti.37) La specializzazione è stata determinata verificando che l’incidenza del numero di capi diuna determinata specie di allevamento sul totale dei capi fosse maggiore del 70%.38) Alla data in cui è stato effettuato il campionamento erano disponibili soltanto i dati 2005del Sinab.39) Il grado di specializzazione è stato determinato in base all’incidenza del bio sul totale dellevendite di ciascuna azienda:• specializzazione bassa = <21%;• specializzazione media = 21-70%;• specializzazione alta = >70%.40) È tuttavia da precisare che le aziende intervistate sono molto poche.41) Il grado dimensionale è stato determinato in base al numero di occupati, non essendovi daticompleti sul fatturato:• aziende piccole = <15 occupati;• aziende medie = 15-50 occupati;• aziende grandi = >50 occupati.
102
Premessa
analisi che segue entra nello specifico delle principali filiere che compongono il com-
parto biologico. Essa si avvale ancora una volta dei risultati delle indagini Ismea svol-
te in collaborazione con la società Pragma su elenchi di aziende biologiche forniti da Feder-
bio e della cui metodologia si è parlato nei capitoli precedenti e in particolare nel capitolo 6.
I paragrafi che seguono, quindi, fanno riferimento alle classificazioni e alle strati-
ficazioni evidenziate nel capitolo 6, cui si rimanda per maggiori approfondimenti.
7.1 -La filiera dei cereali biologici
7.1.1 - La produzione primaria
Aziende e produzioniLa filiera dei cereali è una delle più complesse ed articolate dell’intero panorama
dell’agroalimentare biologico. Tale affermazione è connessa con il fatto che è possibi-
le, nell’ambito del comparto cerealicolo nel complesso, rilevare colture, produzioni e
filiere distinte. La prima distinzione fondamentale da fare è tra le produzioni destinate
al consumo umano e quelle per l’alimentazione animale. Restringendo il campo di os-
servazione alle prime, possono quindi individuarsi tre filiere principali: quella del fru-
mento duro e della pasta, quella del frumento tenero e dei prodotti da forno, quella del
riso. Vanno poi considerati i cosiddetti cereali minori – orzo, avena, segale, farro, ka-
mut, ecc. – i cui prodotti nell’agricoltura tradizionale sono in gran parte destinati al-
l’alimentazione animale, ma che in quella biologica entrano a far parte della filiera de-
stinata al consumo umano sotto diverse forme42. All’articolazione delle filiere e delle
colture corrisponde poi la classica articolazione territoriale delle produzioni stesse.
Come già osservato nel capitolo 6, la filiera dei cereali è una delle più rappresenta-
te all’interno del panel rilevato nella presente indagine. Le aziende indagate infatti so-
no state 141 con una Sau complessiva di oltre 18.000 ettari, corrispondente quindi ad
una ampiezza media di quasi 130 ettari. Di queste aziende quasi il 60% risulta specia-
lizzato43, con prevalenza delle medio-grandi, mentre il restante 40% è di fatto identifi-
cato con le medio-grandi non specializzate44. In termini di Sau il rapporto si inverte: in
questo caso il 67% della superficie a cereali bio coltivata è concentrata nelle unità me-
dio-grandi non specializzate (Figura 7.1), mentre tra quelle specializzate le aziende di
piccola dimensione detengono meno del 3% della Sau complessiva.
7. Le filiere vegetali bio
L’
103
In ogni caso il grado di specializzazione nel biologico è elevato. Infatti 120 unità
sono coltivate interamente con il metodo biologico, mentre solo in 12 casi la Sau non
bio supera il 50%. Complessivamente i 18.169 ettari biologici rappresentano oltre
l’85% della superficie aziendale.
Per quanto riguarda il grado di specializzazione nel comparto cerealicolo bio, in
questo caso si rileva che oltre il 51% della Sau bio è investita a colture cerealicole (Ta-
Medio-grandi nonspecializzate 67,2%
Medio-grandispecializzate
30,2%
Piccole nonspecializzate
0,1%Piccolespecializzate2,5%
Figura 7.1 - Distribuzione della SAU a cereali bio del panel per tipologia aziendale
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.1 - Distribuzione del panel di aziende agricole cerealicole biologiche per tipologia e classe aziendale(in n° di aziende ed ettari)
TIPOLOGIA AZIENDALESAU aziendale Medio grandi non spec. Medio grandi spec. Piccole non spec. Piccole specializzate Totale
aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio<50 ettari 11 423 14 503 1 10 26 416 52 1.353
50-100 ettari 26 1.911 24 1.630 0 0 3 47 53 3.587
> 100 ettari 20 9.879 16 3.350 0 0 0 0 36 13.229
Totale 57 12.213 54 5.483 1 10 29 463 141 18.169
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.2 - Colture bio e relativa SAU presenti nel panel delle aziende agricole cereali-cole biologiche(in n° di aziende ed ettari)
Aziende SAUCereali 141 9.289Colture industriali 6 1.068Frutta 12 129Vite 10 107Olivo 33 1.271Orticole 17 1.720Foraggiere avvicendate 39 2.195Foraggiere permanenti 9 2.108Altro 6 283
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
104
bella 7.2), mentre un’ampia quota delle superficie aziendale è destinata colture forag-
giere avvicendate o permanenti.
Percentuali estese della Sau sono poi destinate alle colture orticole, industriali ed
all’olivo45, mentre sono meno presenti la vite e la frutta. Va inoltre rilevato che in ben
58 aziende, ossia oltre il 40% del panel, sono presenti allevamenti. Si tratta nella mag-
gior parte dei casi di bovini da carne (25 aziende), ovicaprini (17 aziende) e bovini da
latte (10 aziende).
Per quanto riguarda le singole colture all’interno del comparto cerealicolo, il panel
risulta fortemente caratterizzato dalla presenza del grano duro, coltivato in quasi il
60% delle aziende, seguito dal grano tenero e dall’orzo. Non marginale risulta anche
la presenza di riso e farro.
Le attività di trasformazione risultano nel complesso marginali, essendo presenti
soltanto in 11 aziende. L’attività effettuata è quella della prima trasformazione volta
ad ottenere farine come prodotto finale.
Da quanto evidenziato finora, si delineano quindi due indirizzi produttivi prevalen-
ti: quello foraggiero-zootecnico con presenza di allevamento46 e quello a seminativi.
Da non trascurare, accanto a questi, l’indirizzo cerealicolo-olivicolo.
Riguardo alla distribuzione territoriale delle unità rilevate, esse sono dislocate in
prevalenza al Sud e nelle Isole (il 47% del panel) e al Centro (31%), mentre risulta
minoritario il ruolo del Nord Est e ancora di più del Nord-Ovest (Figura 7.3). Tale dis-
tribuzione del panel non varia significativamente in relazione alle tipologie aziendali.
Frum
ento
dur
o
Orzo
Frum
ento
tene
ro
Riso
Farro
Mai
s da
fora
ggio
Aven
a
Mai
s pe
r alim
.um
ana
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
Figura 7.2 - Numero di aziende presenti nel panel per tipo di cereale bio coltivato
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
105
L’andamento della produzioneA livello produttivo si rileva innanzitutto che le rese medie delle principali colture
cerealicole sono inferiori a quelle dei corrispettivi convenzionali. Per il frumento tene-
ro il valore calcolato è di 47 quintali ad ettaro, anche se vengono raggiunte punte di 70
quintali. Per il frumento duro la media è di 26 quintali per ettaro, ma anche in questo
caso vengono superati diverse volte i 40. Maggiore la media per l’orzo – 32 quintali
ad ettaro – ma con una accentuata variabilità, che si riduce invece per il farro, la cui
media è di 28 quintali. Infine per il riso e il mais la media è decisamente più elevata
(70 e 60 rispettivamente).
L’andamento della produzione viene giudicato dalla gran parte dei rispondenti
(65,2%) stabile (Figura 7.4), ma è da notare che il rapporto tra chi ha riscontrato un
decremento e quanti rilevano un aumento è di quasi di 4 a 1. Le cause delle variazioni
– positive o negative – sono quasi sempre imputate alle rese.
I costi di produzione dei cereali biologici sono abbastanza simili tra loro. In media
il costo al quintale è di 17 euro per il frumento duro e di 16 per il frumento tenero. I
costi di produzione sono stati valutati nel 2006 da circa i due terzi delle aziende inter-
vistate in crescita. Secondo un ulteriore 30% invece questi sono stabili, mentre solo in
due casi viene segnalato un decremento. Per quanto riguarda le cause dell’incremento
dei costi (Figura 7.5), oltre tre quarti delle aziende segnala l’aumento di quelli energe-
tici e nel 50% circa dei casi quello dei mezzi tecnici. Minore è invece l’impatto della
manodopera e di altre motivazioni, anche se va messa in luce la presenza delle cause
climatiche e dell’irrigazione connessa.
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole0
10
20
30
40
50
60
70
Piccole specializzate
Piccole non specializzate
Medio grandi specializzate
Medio grandi non specializzate
Figura 7.3 - Distribuzione territoriale delle aziende agricole della filiera cerealicola bioper area geografica(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
106
Anche se l’andamento della produzione e dei costi relativi sembrano segnalare un
certo decremento di competitività, gli imprenditori delle filiere cerealicole biologica
non sembrano propensi ad effettuare innovazioni e quindi investimenti. In oltre il 70%
dei casi, infatti, non si intende apportare nessuna innovazione (Tabella 7.3), percentua-
le che sale leggermente per le aziende non specializzate e che di contro tende a decre-
scere per quelle specializzate, in particolar modo per quelle più piccole. In questa ti-
Stabile65,2%
In aumento6,4%
In diminuzione24,1%
Non sa4,3%
Figura 7.4 - Andamento della produzione cerealicola bio nel 2006
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Ener
getic
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i
Man
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Assi
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Altro
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0
10
20
30
40
50
60
70
80
%
Figura 7.5 - Cause dell’aumento dei costi di produzione nel 2006 per le aziende agricolecerealicole bio
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
107
pologia si segnala la più alta incidenza per l’intenzione di accorciare la filiera tramite
la trasformazione dei prodotti. Questa innovazione, nel complesso, è l’unica che abbia
ricevuto una certa attenzione, essendo stata citata dal 10% circa del panel e in partico-
lare dal 16% delle aziende piccole e specializzate.
Tabella 7.3 - Innovazioni da introdurre nei prossimi anni per le aziende agricole cerealicole biologiche(in n° di risposte, risposte multiple)
Piccole Medio-grandi Piccole non Medio-grandispecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale
Nessuna 19 41 1 43 104
Vendita diretta 1 2 0 1 4
Trasformazione dei prodotti 5 4 0 6 15
Agriturismo 0 1 0 1 2
Sito commerciale internet 0 1 0 0 1
Aumento SAU 0 3 0 1 4
Cambio di indirizzo produttivo 3 2 0 3 8
Introdurre nuove varietà 0 1 0 1 2
Meccanizzazione 0 1 0 1 2
Cessare la coltivazione bio 0 0 0 1 1
Introduzione della serra 1 0 0 0 1
Altro 2 0 0 1 3
Totale 31 56 1 59 147
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.4 - I canali commerciali delle aziende agricole cerealicole biologiche(in n° di risposte, risposte multiple)
Piccole Piccole non Medio-grandi Medio-grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Cooperative 11 0 18 30 59 38,8%
Grossisti nazionali 7 0 7 9 23 15,1%
Grossisti estero 0 0 4 0 4 2,6%
Gdo 0 0 2 1 3 2,0%
Aziende trasformazione 8 0 17 9 34 22,4%
Negozi specializzati 1 0 3 4 8 5,3%
Consumatore finale 1 0 7 5 13 8,6%
Auto consumo 0 0 0 4 4 2,6%
Altro 1 1 1 1 4 2,6%
Totale 29 1 59 63 152 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
7.1.2 - Il mercato alla produzione
I canali commerciali e le aree di mercatoLa filiera dei cereali biologici, vista anche la tipologia dei prodotti ed il basso gra-
do di integrazione verticale, si struttura in massima parte, come si vedrà anche più
avanti, come una filiera lunga (Tabella 7.4).
108
I canali commerciali corti, infatti, incidono in misura modesta. Il consumatore fi-
nale viene raggiunto da meno del 10% delle aziende, mentre i canali distributivi –
GDO e dettaglio specializzato – nel complesso pesano ancora meno. I tre canali che
incidono maggiormente sulla commercializzazione dei prodotti cerealicoli risultano
quindi la cooperazione (42% delle aziende), l’industria di trasformazione (il 24%) ed i
grossisti (quasi il 20%), con una netta prevalenza di quelli nazionali. Da segnalare una
piccola quota di aziende che utilizza le proprie produzioni cerealicole per utilizzarli
negli allevamenti aziendali.
Tra le diverse tipologie aziendali si notano alcune differenze di rilievo. Innanzitut-
to il canale breve per eccellenza, ossia la vendita diretta, ha una incidenza maggiore
tra le aziende specializzate medio-grandi, tra le quali, come si è visto, vi è la più alta
diffusione di impianti di trasformazione integrati. La cooperazione come mercato di
sbocco trova poi la sua più alta percentuale di diffusione tra le aziende non specializ-
zate che, evidentemente, dispongono in misura minore di canali diretti con i grossisti e
con l’industria di trasformazione. Questi due canali sono invece più utilizzati dalle
aziende specializzate. Il primo, rappresentato tuttavia dai soli grossisti nazionali, so-
prattutto da quelle piccole, mentre alle aziende di trasformazione si rivolgono in misu-
ra maggiore le aziende specializzate medio-grandi. Naturalmente, come mostra la ta-
bella, è possibile un certo grado di sovrapposizione tra i diversi canali, ma in genere il
tasso di esclusività è piuttosto alto. Infatti il 90% circa delle aziende utilizza uno solo
dei canali citati.
Le imprese di trasformazione cui si rivolgono le aziende agricole del panel rilevato
sono in gran parte (oltre il 60%) molini, che ottengono quindi farine. La restante quota
si suddivide tra aziende mangimistiche, riserie e industrie sementiere.
Per quanto riguarda le aree di mercato (Tabella 7.5), si registra una prevalenza del-
le vendite nel Centro-Nord, area in cui effettua la commercializzazione oltre il 56%
delle aziende. Più in particolare si evidenzia un certo equilibrio tra le diverse aree, con
l’eccezione delle Isole, dove effettua le sue vendite meno del 15% del panel.
Se si confronta il peso delle vendite nelle varie aree di commercializzazione con la
distribuzione territoriale delle imprese (cfr. Figura 7.3), emerge una sostanziale simi-
larità. Ad esempio nel Sud e nelle Isole è localizzato il 47% delle imprese e vi com-
Tabella 7.5 - Le aree di mercato delle aziende agricole cerealicole biologiche(in numero di aziende del panel, risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio-grandi Medio-grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Nord 8 1 17 13 39 26,0%
Centro 9 0 16 21 46 30,7%
Sud 13 0 15 15 43 28,7%
Isole 2 0 7 13 22 14,7%
Totale 32 1 55 62 150 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
109
mercializza i propri prodotti il 44% delle stesse. Le aree di mercato sembrano quindi
funzione della localizzazione. Le aziende specializzate di piccola dimensione sono più
presenti nei mercati del Sud e del Centro e meno nelle Isole. Più equilibrata la distri-
buzione delle aziende specializzate ma medio grandi, per le quali si osserva comunque
una prevalenza sui mercati del Nord e una scarsa presenza in quelli delle Isole. Al
contrario per quelle non specializzate, le Isole assumono un peso ben maggiore rispet-
to alle altre tipologie.
Andamento del mercato, prezzi e aspettativeAnche per il mercato, come già per la produzione, viene fornito un giudizio di so-
stanziale stabilità, indicazione espressa da oltre il 55% delle imprese (Tabella 7.6).
Tabella 7.6 - Andamento del mercato nel 2006 per le aziende agricole cerealicole biologiche(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole non Medio-grandi Medio-grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Stabile 19 1 26 32 78 55,3%
In crescita 2 0 15 12 29 20,6%
In diminuzione 8 0 13 13 34 24,1%
Totale 29 1 54 57 141 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
La restante quota si divide tra chi esprime una percezione negativa (24%) e positi-
va (21%). Si potrebbe quindi affermare che per circa i tre quarti delle imprese il mer-
cato non ha avuto un andamento negativo. Inoltre è interessante osservare le variazioni
in relazione alla tipologia d’impresa. Infatti il giudizio positivo si incrementa con la
dimensione aziendale, ma soprattutto con la specializzazione.
Sembra quindi che la dimensione aziendale porti a migliori performance di merca-
to e questa relazione potrebbe essere dovuta a un maggiore potere contrattuale o all’a-
pertura di propri e specifici canali commerciali.
La stabilità del mercato sembra essere in relazione con limitate difficoltà di com-
mercializzazione (Tabella 7.7).
Oltre il 56% delle aziende infatti non incontra specifiche difficoltà di mercato. Tra
chi invece le ha segnalate prevalgono, sulle altre, due motivazioni: il prezzo, ritenuto
non remunerativo e l’assenza o la debolezza della domanda, che causa difficoltà nella
collocazione del prodotto. Da non trascurare le difficoltà logistiche ed organizzative.
Anche in questo caso si notano alcune interessanti differenze tra le tipologie azien-
dali. Tra le aziende piccole e specializzate la percentuale di chi non incontra difficoltà
commerciali supera il 61%, mentre si riduce l’incidenza dei problemi dovuti ai prezzi o
alla domanda. Maggiore invece il peso che assumono le difficoltà logistiche. Tra le me-
dio-grandi non specializzate, invece, si registra la più bassa percentuale di chi non se-
gnala difficoltà e aumenta l’incidenza dei fattori come il prezzo o la domanda.
110
Che i prezzi e l’andamento della domanda siano i due fattori chiave per la com-
mercializzazione è esplicitato dalle motivazioni addotte dagli operatori per le variazio-
ni del mercato discusse in precedenza.
La quota di imprenditori che ha segnalato un aumento del mercato infatti individua la
principale motivazione di tale espansione in una maggiore domanda; segue per importan-
za un incremento della competitività in termini di prezzo (Figura 7.6). Un certo ruolo ha
anche la maggiore competitività in termini di qualità. Domanda e prezzi risultano anche i
fattori principali di variazione del mercato, in caso di decremento dello stesso. Interessan-
te che in questo caso i prezzi possono giocare un ruolo duplice: l’aumento ne ha uno in
termini di minore competitività, il decremento in termini di minore redditività.
Tabella 7.7 - Difficoltà incontrate nella commercializzazione per le aziende agricole cerealicole biologiche(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio-grandi Medio-grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Nessuna 19 1 34 34 88 56,1%
Prezzo non remunerativo 5 0 15 18 38 24,2%
Difficoltà di collocamento
per la domanda 3 0 7 9 19 12,1%
Difficoltà a garantire
costanza qualitativa 1 0 0 0 1 0,6%
Difficoltà logistiche
ed organizzative 2 0 3 3 7 4,5%
Concorrenza da paesi esteri 1 0 0 1 2 1,3%
Altro 0 0 0 1 2 1,3%
Totale 31 1 59 66 157 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Maggiore competitivitàsui prezzi32%
Maggiore competitivitàin termini qualitativi9%
Una maggiore domandadel mercato
50%
Resa più alta3%
Altro6%
Figura 7.6 - Motivazioni dell’aumento delle vendite nel 2006 per le aziende agricole ce-relicole bio
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
111
Visto il ruolo centrale dei prezzi per il mercato delle aziende cerealicole, diventa
di particolare interesse rilevare l’andamento dei listini alla produzione. La Tabella 7.8
riporta le medie dei prezzi alla produzione rilevati per le aziende cerealicole biologi-
che del panel, mentre la Tabella 7.9 riporta il giudizio sul loro andamento.
Per quanto riguarda i prezzi in assoluto va rilevato come nel 2006 per il frumento
duro e tenero siano molto vicini ai costi di produzione rilevati in precedenza. Più della
metà del panel considera i prezzi stabili, mentre per un terzo sono aumentati e per me-
no del 15% diminuiti.
Da notare una differenza, nell’ambito delle specializzate, tra le imprese piccole e
medio-grandi. In ambedue prevale la stabilità, ma nelle prime si abbassa l’incidenza di
chi ha rilevato prezzi in aumento, che invece sale nelle seconde.
Le previsioni sull’andamento del mercato sembrano comunque caratterizzate da
un certo grado di incertezza (Tabella 7.10). La quota maggiore, pari al 44%, delle
aziende ritiene infatti che il mercato non subirà variazioni di rilievo. L’incidenza di chi
ipotizza variazioni positive o negative è più o meno coincidente. Il dato che tuttavia
colpisce è la quota rilevante di chi non sa formulare una previsione. Le diversità tra le
tipologie aziendali, come si osserva dalla tabella 7.10, sono rilevanti.
Un aumento dei prezzi41%
Un calo delladomanda nazionale
41%
Un calo delladomanda estera
3%
Calo deiprezzi
5%
Problemimetereologici
3%
Calo dellerese3%
Altro5%
Figura 7.7 - Motivazioni del decremento delle vendite nel 2006 per le aziende agricolecerealicole bio
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.8 - Prezzi medi alla produzione del prodotto bio rilevati nel 2006presso le aziende agricole cerealicole biologiche presenti nel panel
Prodotto Prezzo medio (€/q.le)Frumento duro 17,7
Frumento tenero 21,0
Riso 35,3
Farro 33,5
Orzo 17,6
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
112
7.1.3 - Le attività di trasformazione: le filiere della pasta e del riso bio
Il grado di specializzazioneLa Tabella 7.11 riporta la ripartizione del panel rilevato in funzione della tipologia
aziendale47 e del peso economico rivestito dai prodotti trasformati da agricoltura biolo-
gica nel contesto delle imprese.
Come si può osservare, le 18 aziende rilevate si suddividono in tre ambiti. Il primo è
composto da piccole e medie imprese altamente specializzate nel biologico, per le quali
l’incidenza di questi prodotti sul fatturato è molto elevata o, in un caso, significativa. Un
Tabella 7.9 - Andamento dei prezzi alla produzione per le aziende agricole cerealicole biologiche nel 2006(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole non Medio-grandi Medio-grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Sono aumentati 7 0 19 19 45 31,9%
Sono diminuiti 6 0 7 8 21 14,9%
Nessuna variazione 16 1 28 30 75 53,2%
Totale 29 1 54 57 141 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.10 - Previsioni sull’andamento del mercato nei prossimi 2-3 anni per le aziende agricole ce-realicole biologiche(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole non Medio-grandi Medio-grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Aumenterà molto 0 0 0 3 3 2,1%
Aumenterà un po’ 4 0 12 7 23 16,3%
Resterà stazionario 14 1 18 29 62 44,0%
Diminuirà un po’ 2 0 7 8 17 12,1%
Diminuirà molto 3 0 3 2 8 5,7%
Non so 6 0 14 8 28 19,9%
Totale 29 1 54 57 141 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.11 - Il grado di specializzazione nel biologico delle imprese produttrici di pasta e riso bio
Grado di incidenza del Piccole Piccole a media Medie e grandibio sul totale delle vendite a bassa spec. e alta spec. a bassa spec. TotaleMarginale (<=5%) 4 0 5 9
Limitata (6-20%) 3 0 1 4
Significativa (21-50%) 0 1 0 1
Molto elevata (>=71%) 0 4 0 4
Totale 7 5 6 18
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
113
secondo insieme è costitutivo da piccole e medie imprese in cui il ruolo del biologico è
minore. In questo caso le imprese si suddividono quasi paritariamente tra quelle con un
peso marginale e limitato. Del terzo insieme fanno parte quelle medie e grandi in cui si ha
una netta prevalenza di un peso marginale dei prodotti biologici sul fatturato aziendale.
Nell’ambito delle produzioni biologiche, le imprese hanno poi un altissimo grado
di specializzazione per la filiera della pasta e del riso, prodotti che rappresentano il
99% del totale. In particolare otto aziende producono pasta di semola, due pasta secca
all’uovo, una pasta fresca e sette riso.
Al contrario di quanto visto per la produzione primaria, come spesso avviene nel siste-
ma agroalimentare biologico, le imprese di trasformazione sono localizzate per due terzi
nel Nord, mentre Centro, Sud e Isole si suddividono l’altro terzo delle imprese (Figura 7.8).
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole0
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Piccole bassa spec.
Piccole medio-alta spec.
Medio-grandi bassa spec.
Figura 7.8 - Localizzazione delle imprese produttrici di pasta e riso bio(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Naturalmente la localizzazione è in relazione anche al prodotto ottenuto; al Nord-
Ovest prevalgono le riserie, mentre la pasta di semola è il prodotto principale nelle al-
tre aree (Figura 7.9).
L’approvvigionamento delle materie primeIl canale privilegiato di approvvigionamento delle materie prime è rappresentato
dalle aziende agricole, presenti in 10 imprese su 18, cui seguono altre aziende di tra-
sformazione e i trasformatori specializzati (Figura 7.10).
Tra le diverse tipologie si nota una certa differenziazione; Così tra le imprese pic-
cole e a bassa specializzazione – tra le quali assumono un peso rilevante le riserie – le
aziende agricole incidono molto, mentre al crescere della dimensione il peso di questo
canale decresce a vantaggio degli altri due.
114
La distinzione in base al prodotto finale mette in luce anche una diversità riguardo
al numero di fornitori. questi mediamente sono circa 12, ma se si prendono in consi-
derazione le riserie la media sale a 24, mentre per i pastifici si scende a 3,5.
Anche la provenienza della materia prima è funzione della tipologia di prodotto. Per
le riserie si riscontra una suddivisione paritaria tra mercato locale e mercato nazionale.
In ogni caso si tratta sempre del Nord Italia. Per i pastifici la situazione è più differenzia-
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Pasta di semola
Pasta fresca
Pasta all'uovo secca
Riso
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole
Figura 7.9 - Localizzazione delle imprese produttrici di pasta e riso bio per tipologia diprodotto offerto(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Piccole a bassa spec. Piccole a mediae alta spec.
Medie e Grandi abassa spec.
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Aziende agricole
Altre aziende di trasformazione
Trasformatori specializzati
Figura 7.10 - L’approvvigionamento della materia prima per le imprese produttrici dipasta e riso bio(in numero di aziende del panel, domanda a risposta multipla)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
115
ta: il mercato locale pesa in questo caso per il 25% dei flussi, mentre il restante 75% è
coperto da materia prima nazionale. Oltre il 40% della materia prima proviene dalle re-
gioni del Sud Italia, ed un altro 32% dal Nord. Il Centro e le Isole si suddividono il re-
stante 25%. Per le paste speciali il bacino di rifornimento è esclusivamente locale.
Soltanto 5 aziende – 4 che producono pasta di semola ed una riseria – hanno segnala-
to problemi rispetto all’approvvigionamento delle materie prime. Tuttavia per quelle che
ne riscontrano le difficoltà sembrano molteplici. La riseria evidenzia problemi di fornitu-
ra, di qualità e di costi crescenti. Le stesse tematiche sono segnalate dai pastifici, con pre-
valenza di reperibilità e di fornitura non regolare. Se si legge questo dato insieme alla pre-
senza limitata, tra le aree di approvvigionamento, delle maggiori zone di produzione, si
mette in luce ancora una volta la debolezza strutturale delle filiere biologiche in Italia.
L’andamento della produzioneSecondo i dati raccolti presso le imprese del panel rilevato, la produzione delle fi-
liere cerealicole risulta in prevalenza stabile, mentre vi è un perfetto equilibrio tra le
tendenze all’incremento o alla contrazione (Tabella 7.12).
Tabella 7.12 - Andamento della produzione nel 2006 per le imprese produttrici di pasta e riso bio(in n° aziende del panel)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Stabile 3 3 2 8
In aumento 2 2 1 5
In diminuzione 2 0 3 5
Totale 7 5 6 18
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
La contrazione della produzione biologica, anche se meno frequente, si è riscon-
trata sia nei pastifici che nelle riserie, ed è stata rilevata con un calo percentuale rile-
vante. Le causa principale indicata dagli intervistati è stata la minore domanda di mer-
cato. L’aumento è stato mediamente meno diffuso ed ha interessato soprattutto i pasti-
fici. Quali cause dell’aumento vengono indicate la maggiore domanda di mercato e
l’apertura di nuove aree di sbocco.
Dal punto di vista delle aree geografiche (Figura 7.11) si nota come gli aumenti
produttivi siano localizzati soprattutto al Centro, al Sud e nelle Isole, mentre l’anda-
mento negativo riguardi esclusivamente le aree del Nord, ed in particolare il Nord Est.
7.1.4 - Il mercato dei prodotti trasformati nelle filiere della pasta e del riso bio
Canali ed aree di venditaIl canale di vendita a cui ricorrono maggiormente le aziende biologiche delle filie-
re cerealicole qui analizzate è la GDO, cui si rivolgono 9 imprese su 23.
116
Seguono con incidenze inferiori i grossisti generici (4 imprese), altre aziende di
trasformazione e il consumatore finale (Tabella 7.13).
In funzione della filiera si possono osservare alcune differenze, anche se, sia per il
riso che per la pasta, la Gdo è il canale preferenziale. Nel caso delle riserie accanto al-
la Gdo – che interessa circa gran parte delle imprese – trovano spazio sia i canali corti
– come la vendita diretta – ma anche i canali più lunghi che passano attraverso grossi-
sti e altre aziende di trasformazione. Per i pastifici la Gdo ha un peso minore e assu-
mono una rilevanza maggiore i grossisti che operano sul territorio nazionale o all’este-
ro, mentre i canali corti, consumatore finale e dettaglio specializzato, pur essendo pre-
senti, hanno un peso minore.
Tabella 7.13 - I canali di vendita delle imprese produttrici di pasta e riso bio(in n° di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Grossisti generici 2 1 1 4
Gdo 3 2 4 9
Aziende di trasformazione 1 1 1 3
Consumatore finale 3 0 0 3
Negozi specializzati bio 1 1 0 2
Ristoranti 0 1 0 1
Importatori esteri 0 1 0 1
Totale 10 7 6 23
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
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E' risultata stabile
E' risultata in aumento
E' risultata in diminuzione
Nord Ovest Nord Est Centro + Sardegna Sud +Sicilia
Figura 7.11 - Andamento della produzione nel 2006 per le imprese produttrici di pasta eriso bio per area geografica(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
117
Uno dei tratti salienti che si evince dall’analisi dei canali commerciali sinora svol-
ta è l’abbastanza ampio grado di diversificazione: ogni impresa mediamente si avvale
di 1,3 canali, nel caso dei pastifici, e di 1,4 nel caso delle riserie.
Il mercato nazionale rappresenta l’area commerciale più presente, cui si rivolgono in 14
casi su 29 le imprese, ma si deve segnalare come in 12 casi si operi anche sui mercati esteri.
Da notare che i paesi raggiunti dalle imprese sono ben 11, dei quali 8 appartengono
all’UE – tra cui spiccano la Francia (6 imprese), la Germania, l’Olanda (entrambi 5), la
Spagna (3) – accanto a cui si ritrovano gli USA (3 imprese), Giappone e Svizzera.
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Grossisti generici
Gdo
Aziende di trasformazione
Consumatore finale
Negozi specializzati bio
Ristoranti
Imp. esteri
Nord Ovest Nord Est Centro + Sardegna Sud +Sicilia
Figura 7.12 - I canali di vendita delle imprese produttrici di pasta e riso bio per areageografica(in n° di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Piccole a bassa spec. Piccole a mediae alta spec.
Medie e Grandia bassa spec.
Totale
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Locale/regionale
Nazionale
Estero
Totale
Figura 7.13 - Specializzazione di mercato delle imprese produttrici di pasta e riso bio
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
118
Per quanto concerne l’andamento del mercato nel 2006, a fronte di un equilibrio
complessivo tra crescita, stabilità e diminuzione, si nota una diversità evidente in fun-
zione del grado di specializzazione.
Mentre le imprese più specializzate segnalano un mercato stabile o in crescita, per quelle
meno specializzate il mercato appare in contrazione (Tabella 7.14). Che il grado di specializ-
zazione sia il fattore chiave, viene confermato dall’andamento delle vendite in relazione alla
filiera. Infatti sia per il riso che per la pasta si ritrova la stessa distribuzione complessiva del
panel con un equilibrio tra aumento, calo e stabilità. Inoltre, come già visto per la fase pri-
maria della filiera, il fattore che maggiormente influisce è la domanda, sia nel caso degli au-
menti che in quello della contrazione. Un peso assolutamente secondario assumono i prezzi
i costi e l’efficienza delle imprese. È quindi la variabilità della domanda sui diversi mercati a
determinare l’andamento delle vendite. Appare quindi centrale il ruolo del marketing.
Il posizionamento sul mercatoPer 8 imprese su 18 il ruolo dei prodotti biologici nella strategia di mercato è defi-
nibile marginale, anche se questa definizione non ha necessariamente una connotazio-
ne negativa (Tabella 7.15).
Cinque aziende invece lo definiscono centrale, quattro di differenziazione e com-
pletamento di gamma e una sola impresa di nicchia.
In ogni caso i prodotti biologici delle filiere della pasta e del riso nel ciclo di vita
dei prodotti si posizionano ormai, indipendentemente dalla strategia di mercato delle
imprese, nella fase di maturità, che interessa quasi due terzi delle imprese, mentre tra
lancio e declino prevale la prima opzione (Tabella 7.16).
Tabella 7.14 - Andamento delle vendite delle imprese produttrici di pasta e riso bio nel 2006(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
In crescita 2 3 1 6
Stabili 2 2 2 6
In diminuzione 3 0 3 6
Totale 7 5 6 18
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.15 - Il ruolo della pasta e del riso bio nella strategia delle aziende produttrici del comparto (in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Centrale 0 5 0 5
Differenziazione-completamento gamma 2 0 2 4
Marginale 4 0 4 8
Di nicchia 1 0 0 1
Totale 7 5 6 18
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
119
Anche nell’utilizzo dei marchi le posizioni appaiono diverse (Figura 7.14).
Il marchio più utilizzato è quello aziendale, mentre minoritaria risulta sempre
l’opzione della vendita senza nessun marchio o con marchio della Gdo. Tuttavia si no-
ta una relazione inversa tra dimensione aziendale e uso del marchio proprio, che po-
trebbe essere dovuto all’esigenza delle piccole imprese di mantenere il controllo sui
propri prodotti. Per le imprese più specializzate accanto al marchio aziendale assume
peso quello della Gdo, mentre per quelle di maggiore dimensione, vi è una maggiore
presenza della produzione con marchio di altre imprese.
A questo punto, utilizzando unitamente – attraverso lo schema 7.1 – le diverse in-
formazioni sinora illustrate, si possono delineare più compiutamente le strategie di
marketing delle imprese rilevate.
Come si è visto, una prima opzione riguarda le imprese per le quali i prodotti bio
sono centrali nella strategia d’impresa. Si tratta di imprese sempre ad alto tasso di spe-
cializzazione nel biologico, operanti sia nella filiera del riso che della pasta, il cui
mercato è stato definito per la maggioranza dei casi in crescita e, in seconda battuta,
Tabella 7.16 - Il posizionamento della pasta e del riso bio nel ciclo di vita del prodotto(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Lancio 2 1 1 4
Maturità 4 4 3 11
Declino 1 0 2 3
Totale 7 5 6 18
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
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4
3
Senza marchio
Marchio aziendale
Marchio di altra azienda
Marchio della GDO
Piccole a bassa spec. Piccole a mediae alta spec.
Medie e Grandia bassa spec.
Totale
Figura 7.14 - Marchi con cui vengono venduti pasta e riso bio dalle imprese produttrici (in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
120
stabile. I prodotti sono ritenuti in una fase del ciclo di vita di maturità e, in un solo ca-
so di lancio. Significativo il fatto che si usi – tranne un caso sempre il marchio azien-
dale, ma che nella strategia aziendale venga cercata anche la differenziazione dei ca-
nali commerciali attraverso la produzione contro terzi e quindi l’uso di altri marchi.
Una seconda scelta strategica vede il posizionamento dei prodotti bio per differen-
ziare e completare la gamma di offerta. Naturalmente essa viene fatta da aziende con
un minore grado di specializzazione nel bio indipendentemente dalla dimensione. Si
tratta di un mercato in cui l’andamento delle vendite è stabile ed i prodotti in una fase
di maturità del ciclo di vita. Viene impiegato il marchio aziendale – soprattutto dalle
aziende di minore dimensione – mentre per le altre il prodotto viene venduto ad ope-
ratori – grossisti o altre industrie – che utilizzano poi altri canali commerciali.
Più complessa la situazione quando il ruolo dei prodotti bio nella strategia delle
imprese è marginale, visto il diverso significato che in sé assume tale termine. Una
prima realtà riguarda le aziende per le quali i prodotti bio sono ancora marginali, ma
in una fase di lancio, cui corrisponde anche un andamento delle vendite in crescita.
Possono essere usati il marchio aziendale o quello della GDO in relazione anche alla
dimensione. Opposto, per certi versi, è il profilo delle imprese che rilevano una situa-
zione di declino, cui corrisponde sempre una contrazione del mercato. Nonostante l’a-
Schema 7.1 - Strategie adottate dalle imprese produttrici di pasta e riso bio(ogni riga corrisponde ad un’azienda)
POSIZIONAMENTO DEIPRODOTTI NELLA FASE CICLO MARCHIO MARCHIOSTRATEGIA DI IMPRESA DI VITA UTILIZZATO 1 UTILIZZATO 2Centrale Lancio Marchio aziendale
Centrale Maturità Senza marchio
Centrale Maturità Marchio aziendale Marchio della Gdo
Centrale Maturità Marchio aziendale Marchio altra azienda
Centrale Maturità Marchio aziendale Marchio della Gdo
Differerenziazione gamma Maturità Marchio aziendale
Differerenziazione gamma Maturità Senza marchio
Differerenziazione gamma Maturità Marchio aziendale
Differerenziazione gamma Maturità Senza marchio
Marginale Declino Marchio aziendale
Marginale Maturità Marchio altra azienda
Marginale Declino Marchio aziendale Marchio altra azienda
Marginale Maturità Marchio aziendale
Marginale Declino Marchio aziendale
Marginale Maturità Marchio altra azienda
Marginale Lancio Marchio aziendale
Marginale Lancio Marchio della Gdo
Di nicchia Lancio Marchio aziendale
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
121
dozione del marchio aziendale, si tratta di imprese che sembrano perdere quote di
mercato e che visto il basso grado di specializzazione e la dimensione aziendale eleva-
ta, potrebbero uscire dal mercato del biologico. Meno chiara, in equilibrio tra declino
e rilancio – la situazione delle imprese per le quali si registra una posizione marginale
e una fase del ciclo di vita che viene definita di maturità. Si tratta sempre di aziende
meno specializzate, il cui mercato risulta o in crescita – in questo caso viene adottato
il marchio aziendale – o in contrazione, con l’adozione in questo caso di marchi di al-
tre aziende. Nella prima, quindi, si tratta di un’azienda che tratta prodotti maturi, af-
fermati sul mercato, con il proprio marchio e le cui vendite sono in espansione. Nel
secondo caso si tratta di aziende che probabilmente, per il basso investimento in im-
magine e di marketing, stanno perdendo quote di mercato.
Simile al primo modello potrebbe definirsi l’ultima combinazione qui esaminata.
Una piccola azienda non specializzata le cui vendite sono stabili e per la quale i prodot-
ti bio, in fase di lancio con il marchio aziendale, rappresentano una nicchia di mercato.
Le aspettativeCome si è visto, accanto a situazioni di mercato consolidate, in crescita oppure in
cui sembra esserci una perdita di quota e di competitività, ve ne sono altre la cui dire-
zione non sembra stabile. Le strategie rilevate sembrano essere quindi funzione anche
del ruolo che i prodotti bio potranno avere nel mercato futuro delle imprese. Assume
quindi rilievo notare che soltanto in una impresa le aspettative di mercato sono negati-
ve, mentre per un terzo circa sono di un aumento moderato o più sostenuto. In ogni
caso l’opzione più frequente è quella della stabilità.
Colpisce inoltre la percentuale non piccola di imprese che non sanno esprimere
una opinione, evidenziando quindi un certo grado di incertezza.
Le intenzioni future delle imprese vanno nella direzione del consolidamento delle
produzioni biologiche (Tabella 7.18). L’opzione di non adottare nessuna innovazione è
in realtà quella con l’incidenza maggiore, ma questo soprattutto a causa delle aziende
piccole non specializzate che sembrano preferire una situazione di attesa. Al contrario
quelle più specializzate pensano di incrementare la produzione e differenziare ulte-
riormente la gamma dell’offerta, o ancora raggiungere nuovi mercati. Quest’ultima è
la scelta segnalata con più frequenza dalle imprese di maggiore dimensione.
Tabella 7.17 - Aspettative di mercato nei prossimi 2-3 anni delle imprese produttrici di pasta e riso bio(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Aumenterà molto 0 2 0 2
Aumento moderato 1 1 2 4
Stazionario 5 2 1 8
Diminuzione moderata 0 0 1 1
Non so 1 0 2 3
Totale 7 5 6 18
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
122
7.1.5 - Le attività di trasformazione: la filiera dei prodotti da forno bio
Il grado di specializzazioneIl panel intervistato relativamente alla filiera dei prodotti da forno è costituito da
23 aziende, delle quali 16 sono di piccola dimensione, 4 di media dimensione e solo
in tre casi di grande dimensione. Rispetto all’incidenza del biologico sul fatturato
complessivo per dieci aziende risulta marginale e solo per sei è elevata o molto eleva-
ta. La combinazione delle due chiavi classificatorie è riportata in Tabella 7.19, che
mette in luce che le imprese, piccole e medie, con una specializzazione medio-alta48
rappresentano la quota maggiore del panel.
Tabella 7.18 - Intenzioni future delle imprese produttrici di pasta e riso bio(in numero di aziende del panel, risposta multipla)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Incrementare la produzione bio 2 3 1 6
Introdurre nuovi prodotti bio 0 2 1 3
Raggiungere nuovi mercati 0 1 3 4
Nessun cambiamento 5 1 2 8
Totale 7 7 7 21
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.19 - Il grado di specializzazione nel biologico delle imprese produttrici di prodotti da forno bio(in numero di aziende del panel)
Grado di incidenza del Piccole Piccole a media Medie e grandibio sul totale delle vendite a bassa spec. e alta spec. a bassa spec. TotaleMarginale (<=5%) 3 0 7 10
Limitata (6-20%) 2 0 1 3
Significativa (21-50%) 0 4 0 4
Elevata (51-70%) 0 2 0 2
Molto elevata (>=71%) 0 4 0 4
Totale 5 10 8 23
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
La specializzazione nei prodotti da forno è sempre molto elevata; in un solo caso
si riscontra un’azienda che produce anche pasta e riso e ortofrutta.
I prodotti finali sono abbastanza vari, ma si possono raggruppare in tre categorie
principali. La prima per frequenza – interessa dieci aziende come produzione princi-
pale ed altre quattro come prodotti secondari – è quella del pane. In maggioranza (sei
casi) si tratta di pane fresco, cui si aggiungono il pane integrale, morbido, grattugiato.
Il secondo insieme è quello dei prodotti dolciari, che interessano otto aziende quali
produzioni principali ed altre cinque come secondari. In questo caso il prodotto netta-
mente più diffuso è rappresentato dai biscotti (sei aziende), ai quali vanno aggiunte
crostate e panettoni. Infine il terzo aggregato è rappresentato dai sostitutivi del pane,
123
la cui produzione interessa cinque aziende in qualità di prodotto principale ed altre
sette come secondario. Anche in questo caso è possibile identificare un prodotto più
rappresentativo, ossia i grissini, cui si aggiungono crackers, fette biscottate e pizza.
Anche per i prodotti da forno si riproduce la classica distribuzione delle strutture
di trasformazione che caratterizza i prodotti biologici. Infatti nel Sud e nella Sicilia
sono localizzate appena due aziende, mentre nel Nord quindici (otto aziende nel Nord
Est e sette nel Nord Ovest). Al Centro e Sardegna il restante numero. Le regioni mag-
giormente rappresentate sono la Lombardia (sei aziende), Emilia-Romagna, Toscana
(entrambe quattro aziende) e Veneto (tre aziende).
Se si incrocia la localizzazione geografica con il grado di specializzazione nel bio-
logico, si può osservare che nel Nord-Est si riscontra una maggiore frequenza rispetto
alla media delle aziende con minore specializzazione, mentre nel Nord-Ovest, queste
classi risultano leggermente meno frequenti e si alza l’incidenza delle aziende più spe-
cializzate. Al Centro, invece, prevalgono le classi con specializzazione intermedia.
L’approvvigionamento delle materie primeI principali fornitori delle materie prime utilizzate dalle imprese della filiera dei
prodotti da forno bio sono altre imprese di trasformazione e le aziende agricole, cui si
rivolgono 16 imprese su 23.
A queste seguono cooperative e consorzi e grossisti specializzati, mentre gli altri
canali rivestono un ruolo minore. Per la maggior parte delle imprese – venti su venti-
trè – la tipologia di fornitore è esclusiva. Tuttavia se si pondera il peso che i vari canali
rivestono per ogni impresa con la frequenza di citazione dei canali stessi, il ruolo delle
aziende e delle industrie si rafforza.
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Marginale (<=5%)
Limitata (6-20%)
Significativa (21-50%)
Elevata (51-70%)
Molto elevata (>=71%)
Nord Ovest Nord Est Centro + Sardegna Sud +Sicilia
Figura 7.15 - Localizzazione delle imprese produttrici di prodotti da forno bio suddiviseper specializzazione(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
124
Il numero medio di fornitori è di 11 (si va da un minimo di 1 ad un massimo di
50), con una sensibile differenza tra le aziende più specializzate (20 fornitori in me-
dia) e quelle meno (circa 4).
Il principale bacino di approvvigionamento delle materie prime è il mercato nazio-
nale cui si rivolgono 21 imprese su 23, mentre su quello estero si riforniscono 10
aziende su 23; 8 imprese ricorrono anche al mercato locale.
Per quanto riguarda le aree geografiche nazionali, 17 imprese su 21 comprano le mate-
rie prime al Nord, cui segue il Centro (13/21), il Sud (8/21) e le Isole (6/21). Vista l’impor-
tanza che rivestono i mercati esteri, diviene interessante analizzare le aree di provenienza.
Tra i paesi di maggiore peso si collocano alcuni paesi dell’UE (Germania, UK, Austria),
ma i prodotti utilizzati arrivano anche dal Nord America (USA e Canada), Sud America e
Cina. Da notare che il ricorso all’estero è maggiore per le imprese più specializzate.
Circa i due terzi delle imprese intervistate non ha segnalato particolari problemi
nel reperimento delle materie prime. Se questi vengono esplicitati, le difficoltà più
evidenti riguardano la reperibilità del prodotto e la sua qualità.
L’andamento della produzioneRiguardo all’andamento della produzione, vi è una netta prevalenza di giudizi sul-
la sua stabilità. Soltanto tre imprese segnalano una contrazione della produzione, men-
tre per un numero doppio questa è risultata in aumento (Tabella 7.20).
La tendenza all’aumento è correlata, in modo positivo, alla specializzazione, così
come quella ad una minore produzione alla dimensione ed alla despecializzazione.
Sotto il profilo geografico (Figura 7.17), si nota una netta demarcazione tra le im-
prese del Nord-Est, che sono le uniche a segnalare una contrazione della produzione,
rispetto a quelle delle altre aree, più conformi all’andamento medio.
01
1
1
2
1
3
3
2
2
1
1
1
2
4
4
3
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Aziende agricole
Cooperative e consorzi
Altre aziende di trasformazione
Trasformatori specializzati
Grossisti
Grossisti specializzati
Importatori nazionali
Piccole a bassa spec. Piccole a mediae alta spec.
Medie e Grandia bassa spec.
Figura 7.16 - L’approvvigionamento della materia prima per le imprese produttrici diprodotti da forno bio(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
125
Tabella 7.20 - Andamento della produzione nel 2006 per le imprese produttrici prodotti da forno bio(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole e medie a Medie e grandia bassa spec. media-alta spec. a bassa spec. Totale
Stabile 5 4 5 14
In aumento 0 5 1 6
In diminuzione 0 1 2 3
Totale 5 10 8 23
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
E' risultata stabile
E' risultata in aumento
E' risultata in diminuzione
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole
Figura 7.17 - Andamento della produzione nel 2006 per le imprese produttrici di pro-dotti da forno bio per area geografica(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Maggiore specializzazionenel biologico2
Maggioredomanda3
Diversificazionedei prodotti
2
Nuove linee diproduzione
1
Figura 7.18 - Fattori che hanno determinato un aumento della produzione nel 2006 per le im-prese produttrici di prodotti da forno bio(in numero di rispondenti del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
126
Tra i fattori che hanno determinato l’incremento della produzione quello che sembra
pesare maggiormente è l’aumento della domanda (Figura 7.18), ma è interessante notare la
presenza di fattori quali la maggiore specializzazione nelle produzioni bio o la realizzazio-
ne di nuove linee di produzione e di prodotti, che testimoniano una evoluzione del mercato
verso una struttura più matura. In tutti i casi invece in cui viene segnalata una contrazione
della produzione aziendale la causa viene indicata nella minore domanda di mercato.
Le imprese intervistate, nella maggior parte dei casi non hanno evidenziato parti-
colari problemi di produzione. Tuttavia va notato che il problema principale che viene
segnalato da quasi il 20% delle imprese è il reperimento della materia prima. Questo
in parte spiega il ricorso ai mercati esteri e, come già notato per altre filiere, rende evi-
dente un “problema di filiera”, visto che l’Italia rimane pur sempre ai primi posti nel
mondo per Sau biologica e i cereali sono uno dei principali gruppi colturali.
Va inoltre segnalato che i tre quarti circa delle imprese hanno segnalato per il 2006
costi di produzione in aumento.
7.1.6 - Il mercato dei prodotti trasformati nella filiera dei prodotti da forno bio
Canali ed aree di venditaMediamente ogni impresa utilizza pochi canali di vendita (Tabella 7.21), situazio-
ne che non muta in relazione alla tipologia aziendale e che evidenzia un alto grado di
specializzazione su uno specifico canale.
Tabella 7.21 - I canali di vendita delle imprese produttrici di prodotti da forno bio(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole e media Medie e grandia bassa spec. amedia-alta spec. a bassa spec. Totale
Grossisti generici 1 2 1 4
Grossisti specializzati bio 0 3 2 5
Gdo 1 1 3 5
Aziende di trasformazione 1 0 0 1
Consumatore finale 1 3 1 5
Negozi specializzati bio 2 4 3 9
Totale 6 13 10 29
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
In ogni caso il canale maggiormente utilizzato è il dettaglio specializzato bio,
cliente per oltre il 30% delle aziende, cui segue la Gdo e il consumatore finale, en-
trambi con lo stesso peso. Si può affermare quindi che gran parte delle imprese inter-
vistate della filiera dei prodotti da forno bio utilizzino canali più corti, mentre un nu-
mero contenuto rifornisce i canali più lunghi rappresentati da grossisti generici e spe-
cializzati nel bio e, in misura minore, da altre aziende di trasformazione.
Sotto il profilo geografico si evidenzia una netta distinzione (Figura 7.19) tra le
imprese del Nord, per le quali i canali lunghi assumono un peso più elevato e le altre
circoscrizioni dove il contributo di questi cala (Centro) o si annulla (Sud).
127
In ogni caso i canali più diretti si differenziano tra le diverse aree. Il consumatore
finale ha una frequenza maggiore al Centro e al Sud, mentre il dettaglio specializzato
al Nord-Ovest. Al Nord-Est il consumatore è assente e al contrario rivestono una mag-
giore importanza la Gdo e i grossisti, soprattutto quelli specializzati nel bio.
Se si analizzano le aree di vendita dei prodotti, si nota innanzitutto la maggiore fre-
quenza delle imprese che si rivolgono ai mercati locale-regionale e nazionale (14/28 in
entrambi i casi), mentre soltanto sei vendono i loro prodotti all’estero (Figura 7.20).
Nord Ovest Nord Est Centro + Sardegna Sud + Sicilia
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
2
1
1
1
1
4
1
3
3
2
1
1
3
2
1
1
1
Grossisti generici
Grossisti specializzati bio
Gdo
Aziende di trasformazione
Consumatore finale
Negozi specializzati bio
Figura 7.19 - I canali di vendita per area geografica delle aziende produttrici di prodottida forno bio(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
4
1
1
6
7
5
4
6
Locale-regionale
Nazionale
Estero
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Piccole a bassa spec. Piccole a mediae alta spec.
Medie e Grandia bassa spec.
Figura 7.20 - Specializzazione di mercato delle aziende produttrici di prodotti da forno bio (in n° di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
128
I paesi in cui si esporta con maggiore frequenza sono quelli dell’UE (Francia, Ger-
mania con tre segnalazioni entrambe e poi Olanda e Spagna). Tra i mercati extra-UE
si trovano USA e Svizzera.
Anche in questo caso i profili delle tipologie aziendali sono abbastanza differenti.
Le imprese specializzate nel bio sono anche quelle con la maggiore diversificazione e
con la maggiore presenza di imprese che vendono all’estero, mentre tra quelle meno
specializzate, per quelle più grandi l’area preferenziale è quella nazionale e per quelle
più piccole il mercato locale-regionale.
Per quanto riguarda l’andamento delle vendite (Tabella 7.22), 14 imprese dichiara-
no che esso è stabile, ma è di rilievo notare la bassa incidenza di imprese il cui mercato
tende a decrescere, cui si contrappone una incidenza doppia di chi segnala una crescita.
Tabella 7.22 - Andamento delle vendite nel 2006 per le imprese produttrici di prodotti da forno bio(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole e medie Medie e grandia bassa spec. a media-alta spec. a bassa spec. Totale
In crescita 0 5 1 6
Stabili 5 4 5 14
In diminuzione 0 1 2 3
Totale 5 10 8 23
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.23 - Il ruolo dei prodotti da forno bio nella strategia delle aziende produttrici del comparto (in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole e medie Medie e grandia bassa spec. a media-alta spec. a bassa spec. Totale
Centrale 0 8 1 9
Differenziazione e
completamento gamma 1 1 1 3
Marginale 3 0 5 8
Di nicchia 1 1 1 3
Totale 5 10 8 23
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Il rialzo delle vendite viene imputato nella maggior parte dei casi ad un andamento
positivo del mercato.
Il posizionamento sul mercatoIl ruolo dei prodotti biologici nella strategia aziendale (Tabella 7.23) è fortemente
correlato al grado di specializzazione.
Esso risulta infatti centrale per 9 imprese specializzate su 18, mentre per quelle non
specializzate questa opzione è assente – per quelle più piccole – o riguarda una sola impre-
sa di dimensioni medio-grandi. Per le aziende non specializzate l’indicazione fornita in 3
129
casi su 5 è quella di un ruolo marginale. Complessivamente, quindi, queste due opzioni –
centrale o marginale – riguardano 17 aziende su 23, mentre uno spazio minore hanno tro-
vato le altre due che si distribuiscono in modo omogeneo tra le diverse tipologie aziendali.
Nell’insieme, quindi, si può affermare che il ruolo dei prodotti bio nella strategia
delle imprese sia positivo, come conferma anche la percezione sulla fase del ciclo di
vita che attraversano questi prodotti (Tabella 7.24).
Tabella 7.24 - Il posizionamento dei prodotti da forno bio nel ciclo di vita del prodotto(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole e medie Medie e grandia bassa spec. a media-alta spec. a bassa spec. Totale
Lancio 1 3 2 6
Maturità 4 7 4 15
Declino 0 0 2 2
Totale 5 10 8 23
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Come si può osservare, solo in due casi si tratta di prodotti “in declino”, per i qua-
li, quindi, si denota una perdita di interesse da parte delle imprese. Per 15 intervistati
su 23 si tratta invece di prodotti maturi, con un mercato quindi affermato, anche se
probabilmente ancora di nicchia. La seconda opzione è quella della fase di lancio, con
prodotti in questo caso in ascesa. È significativo notare che per le piccole e medie im-
prese, al di là del grado di specializzazione, si tratta sempre di prodotti in fase di ma-
turità o di lancio, mentre tra quelle di maggiore dimensione si ritrovano i due casi di
declino. Si tratta quindi di imprese per le quali i prodotti biologici hanno rappresenta-
to un tentativo, evidentemente non riuscito, di diversificazione dell’offerta.
Le informazioni di marketing vengono completate dall’impiego dei marchi (Figu-
ra 7.21).
5
1
1
1
8
4
1
1
7
3
1
Senza marchio
Marchio aziendale
Marchio di un'altra azienda
Marchio della Gdo
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Piccole a bassa spec. Piccole a mediae alta spec.
Medie e grandia bassa spec.
Figura 7.21 - Marchi con cui vengono venduti prodotti da forno bio dalle imprese produttrici(in n° di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
130
A ulteriore conferma del ruolo positivo che in generale viene assegnato ai prodotti
biologici dalle aziende produttrici, la scelta largamente più diffusa – in 20 casi su 33 –
è quella di utilizzare il proprio marchio aziendale. Meno diffusa la produzione per
conto terzi, con una netta prevalenza di altri marchi aziendali piuttosto che quelli della
Gdo. Marginale l’assenza di marchio.
Anche nel caso dei prodotti da forno può essere utile avere un quadro complessivo
delle strategie aziendali, fornito nello schema 7.2.
Combinando le informazioni di marketing finora commentate, si evince che i pro-
dotti da forno bio risultano centrali per nove imprese, caratterizzate quasi sempre da
un alto grado di specializzazione (in sette casi l’incidenza dei prodotti bio sul fatturato
supera il 40%) e da prodotti maturi.
Nei restanti casi – che riguardano principalmente le aziende meno specializzate –
si tratta di prodotti in fase di lancio. La quota maggiore di queste aziende appartiene al
settore dolciario e, in misura minore, a quello del pane.
Schema 7.2 - Strategie adottate dalle imprese produttrici di pasta e riso bio(ogni riga corrisponde ad un’azienda)
POSIZIONAMENTO DEIPRODOTTI NELLA FASE CICLO MARCHIO MARCHIOSTRATEGIA DI IMPRESA DI VITA UTILIZZATO 1 UTILIZZATO 2Centrale Lancio Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale Marchio altra azienda
Centrale Maturità Marchio altra azienda
Centrale Maturità Marchio aziendale Marchio altra azienda
Centrale Lancio Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale Marchio altra azienda
Centrale Lancio Marchio aziendale
Centrale Lancio Senza marchio
Centrale Maturità Marchio aziendale Marchio della Gdo
Differenziazione gamma Lancio Marchio aziendale Marchio altra azienda
Differenziazione gamma Maturità Marchio aziendale Marchio della Gdo
Differenziazione gamma Maturità Marchio aziendale
Marginale Declino Marchio aziendale Marchio altra azienda
Marginale Maturità Senza marchio Marchio aziendale
Marginale Declino Marchio aziendale
Marginale Maturità Marchio aziendale
Marginale Maturità Marchio aziendale Marchio altra azienda
Marginale Maturità Marchio della Gdo
Marginale Lancio Marchio aziendale
Marginale Maturità Marchio aziendale
Di nicchia Maturità Marchio aziendale
Di nicchia Maturità Marchio aziendale
Di nicchia Maturità Marchio aziendale Marchio altra azienda
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
131
Tranne in un caso, queste imprese hanno dichiarato che il loro mercato è in cresci-
ta o stabile. Si tratta quasi sempre di aziende che impiegano il proprio marchio, anche
se spesso in seconda battuta viene adoperato anche un altro marchio.
La seconda tipologia di imprese è quella in cui il biologico gioca un ruolo margi-
nale. In questo caso si tratta quasi sempre di aziende despecializzate e che, per la
maggior parte, operano nel comparto della panificazione o dei sostituiti del pane. Nel-
la gran parte dei casi è stato dichiarato che il mercato ha avuto un andamento stabile.
Allo stesso modo anche i prodotti sono nella maggioranza dei casi in una fase di ma-
turità e viene adottato quasi sempre il marchio aziendale. Si tratta tuttavia anche del-
l’insieme in cui si ritrovano i due casi di prodotti in declino (una azienda del dolciario
ed una della panificazione). Ambedue utilizzano il marchio aziendale e il mercato vie-
ne segnalato stabile o in contrazione. L’incidenza del bio non è tra le più basse – oscil-
la tra il 10% ed il 20% – e deducendosi quindi che si tratta di aziende con una certa
difficoltà di mercato.
Per le imprese che dichiarano la strategia di differenziazione dell’offerta, sembra
che i prodotti bio rivestano un ruolo positivo. Si tratta di imprese che operano in tutti e
tre i settori produttivi e che quasi sempre ritengono i loro prodotti maturi. Viene sem-
pre usato il marchio aziendale, ma anche quello di altre imprese.
Le stesse indicazioni sembrano scaturire dalle imprese che hanno definito la pro-
pria strategia di nicchia. L’andamento del mercato è stabile e la fase del ciclo di vita è
quella della maturità. Anche in questo caso viene sempre adottato il marchio azienda-
le, in un caso integrato. La caratteristica rilevante per queste imprese è il loro grado di
specializzazione, tra i più bassi.
Le aspettativeLe aspettative di mercato possono considerarsi, in genere, positive (Tabella 7.25).
L’indicazione che registra la maggior frequenza è quella della stabilità, ma accanto
a questa 7 imprese su 23 ritengono che il mercato aumenterà, con una prevalenza di
un aumento moderato. Al contrario la contrazione viene indicata da 3 intervistati su 23
(solo però in forma moderata) e la stessa frequenza si registra per chi esprime incer-
tezza.
Tabella 7.25 - Aspettative di mercato nei prossimi 2-3 anni delle imprese produttrici di prodotti da forno bio
Piccole Piccole e medie Medie e grandia bassa spec. a media-alta spec. a bassa spec. Totale
Aumenterà molto 0 2 0 2
Aumento moderato 0 5 0 5
Stazionario 3 2 5 10
Diminuzione moderata 1 0 2 3
Non so 1 1 1 3
Totale 5 10 8 23
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
132
Ponendo in relazione le indicazioni della Tabella 7.25 con le altre informazioni sul
mercato, si nota che coloro che hanno espresso aspettative di aumento delle vendite
sono soprattutto aziende del settore dolciario, per le quali i prodotti bio sono centrali
nella strategia e in fase di maturità o di lancio. Tra le imprese più pessimiste, prevale
invece il comparto dei sostituti del pane, con i prodotti bio che sono marginali nella
strategia. L’indicazione di stazionarietà viene invece fornita soprattutto dalle aziende
di panificazione. In questo caso la strategia prevalente è quella della marginalità.
Positive le indicazioni che si ricavano dalla propensione delle imprese rispetto alle
intenzioni future (Tabella 7.26).
Tabella 7.26 - Intenzioni future delle imprese produttrici di prodotti da forno bio(in numero di aziende del panel, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole e medie Medie e grandia bassa spec. a media-alta spec. a bassa spec. Totale
Incrementare la produzione bio 2 5 2 9
Introdurre nuovi prodotti bio 0 6 2 8
Diversificare la produzione con altre filiere 0 2 0 2
Raggiungere nuovi mercati 0 3 1 4
Nessun cambiamento 3 1 4 8
Totale 5 17 9 31
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Soltanto un quarto delle imprese, infatti, dichiara di non volere introdurre nessuna
innovazione. Si tratta peraltro in maggioranza delle imprese meno specializzate. Mag-
giore frequenza si ritrova invece per chi pensa di incrementare la propria produzione
bio o di introdurre nuovi prodotti. È di rilievo notare che mentre la seconda è più fre-
quente tra le imprese più specializzate che, anche attraverso la diversificazione su altre
filiere, cercano quindi di completare la loro gamma di offerta, la prima riguarda so-
prattutto le imprese meno specializzate di piccola dimensione, per le quali quindi le
produzioni bio acquisteranno maggiore spazio.
Va inoltre messo in luce come le diverse scelte siano spesso complementari. Ad
esempio chi ha indicato di volere incrementare la produzione, pensa anche (in 5 casi
su 9) di introdurre nuovi prodotti. Lo stesso dicasi per chi ha indicato la scelta di allar-
gare il proprio mercato o di diversificare mediante nuove filiere. Se ne ricava, in defi-
nitiva, l’immagine di un tessuto imprenditoriale in evoluzione, alla ricerca di nuove
opzioni e nuovi mercati.
7.1.7 - L’intermediazione commercialePer la fase dell’intermediazione commerciale sono state intervistate tre imprese: due
per la filiera pasta e riso ed una per quella dei prodotti da forno. Si tratta in ogni caso di
aziende fortemente specializzate nella commercializzazione di prodotti bio. Questi rap-
presentano il 100% del fatturato per l’impresa della filiera dei prodotti da forno e per
una della filiera pasta-riso, mentre per la seconda incidono comunque per oltre il 70%.
La specializzazione è abbastanza elevata. I prodotti da forno incidono per il 30% sul to-
tale delle vendite, cui va aggiunto un ulteriore 15% di derivati dei cereali. I prodotti prin-
cipali sono i biscotti e le fette biscottate. La restante quota è coperta da bevande vegetali.
Molto più vario il paniere dei prodotti delle imprese che operano nel settore pasta e riso,
anche se questi rappresentano i prodotti principali con oltre il 20% del fatturato, cui van-
no aggiunte anche quote minori di derivati dei cereali e prodotti da forno.
I fornitori della materia prima sono, in entrambe le filiere, diversificati e sono rap-
presentati dalle aziende di trasformazione, dalla cooperazione e anche dalle aziende
agricole. Queste ultime hanno tuttavia un peso limitato per entrambe le filiere. Le indu-
strie di trasformazione rappresentano invece il canale di approvvigionamento principa-
le, anche se per una delle due aziende che agisce nella filiera “pasta-riso” riveste un pe-
so considerevole anche la cooperazione. La provenienza dei prodotti è quasi esclusiva-
mente nazionale. Per i prodotti da forno il bacino è sempre il Nord Italia, mentre per
pasta e riso il Centro rappresenta il 50%, Sud e Isole si aggirano entrambi sul 10% cir-
ca e la restante quota è coperta da fornitori del Nord. Diversi i problemi segnalati ri-
spetto all’approvvigionamento: per la filiera prodotti da forno sembrano più di carattere
quantitativo: la reperibilità dei prodotti stessi, oltre ai costi crescenti. Per la filiera pasta
e riso, sono più legati agli aspetti qualitativi: qualità e fornitura non regolari.
Per quanto concerne i canali commerciali, tra le imprese delle due filiere sussiste
una differenza profonda.
Per chi commercializza prodotti da forno l’unico canale è il dettaglio specializza-
to, mentre per chi opera nella filiera pasta e riso vi è una maggiore varietà, in cui tutta-
via si identificano come canali preferenziali, Gdo e importatori esteri.
Le aree di commercializzazione riguardano sia il mercato nazionale che l’estero per
tutte le imprese intervistate. Riguardo all’export, per i prodotti da forno le aree prefe-
renziali sono rappresentate dai paesi dell’Ue, mentre per la pasta e riso accanto a questi
sembrano rivestire una notevole importanza quelli dell’area del pacifico (Giappone,
Nuova Zelanda, paesi asiatici). Per quanto riguarda il mercato interno, in entrambi i ca-
si il Nord è l’area di maggiore sbocco, poiché assorbe il 40% delle vendite nel caso dei
prodotti da forno e quasi il 60% per la pasta e riso. Segue il Centro con il 30% in en-
trambi i casi, mentre il Sud e le Isole risultano minoritari, soprattutto per la pasta ed il
riso. Le previsioni di mercato delle imprese intervistate sono ottimistiche: tutte ritengo-
no che il mercato dei prodotti bio aumenterà, seppure moderatamente. Di conseguenza
le innovazioni che pensano di introdurre sono abbastanza varie: aumento delle quantità
commercializzate, nuovi prodotti, nuovi mercati, forme di promozione e pubblicità.
7.1.8 - La mappatura della filieraProcedere a delineare la mappa delle filiere cerealicole biologiche non è semplice,
anche in relazione al tipo di dati a disposizione. In ogni caso è possibile farlo separan-
do le principali filiere qui analizzate, riso e pasta e prodotti da forno.
La filiera del riso è quella più semplice (Figura 7.22), in quanto i passaggi tecnici
e commerciali sono più limitati.
133
134
Le aziende agricole infatti conferiscono la maggiore quantità di prodotto (il 70%
circa) direttamente alle riserie. Qui, dopo i trattamenti necessari, il prodotto confezio-
nato viene distribuito a diverse categorie di operatori. Si possono distinguere canali
corti – quali la ristorazione e il consumatore finale – meno frequenti e canali più lun-
ghi. Tra questi a loro volta è utile differenziare la distribuzione al dettaglio, tra cui spic-
ca il ruolo della Gdo, e altri operatori intermedi, quali altre industrie di trasformazione
o grossisti. La quota di produzione (il 30% circa) che le aziende non conferiscono alle
riserie viene commercializzato direttamente sul canale del dettaglio specializzato.
La filiera della pasta è naturalmente più complessa per tipologia e numero di ope-
ratori (Figura 7.23).
Le aziende che producono grano duro avviano la loro produzione per la maggior
parte a figure che si occupano di concentrare il prodotto, come le cooperative ed i
grossisti. In una percentuale minore conferiscono direttamente ai mulini. Alcune
aziende si occupano anche della fase di prima trasformazione e vendono direttamente
Consumatore finale
10% 10%
30%
70%
10% 10%
20%
40%
Gdo
Riserie
Dettagliospecializzato
HORECA
Altri trasformatori
Aziende agricole
Grossisti
Figura 7.22 - I flussi* commerciali della filiera del riso biologico
Nota: si tratta quasi sempre di percentuali relative alle vendite dei vari operatori e non ai flussi in entrata.*Non è stato possibile quantificare tutti i possibili flussi perchè non sono stati intervistati tutti gli operatori (es.cooperative, importatori, ecc.).Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
135
le farine ai pastifici, al dettaglio specializzato e alla Gdo, ma anche al consumatore fi-
nale. I pastifici comunque ricevono le farine dai mulini, generici o specializzati e, do-
po avere prodotto i diversi tipi di pasta, possono scegliere tra diverse opzioni che deli-
neano la lunghezza della filiera. Una piccola quota della produzione viene venduta di-
rettamente al consumatore finale, ma tra i canali più corti quello maggiormente per-
corso è la Gdo, mentre minore è il ruolo del dettaglio specializzato. Un’ulteriore quota
del prodotto viene infine commercializzata attraverso grossisti che distribuiscono il
prodotto finale per la maggiore quota alla Gdo, all’estero e alla ristorazione. Una quo-
ta minore viene fornita al dettaglio specializzato.
Per quanto riguarda le diverse filiere derivanti dalla produzione di grano tenero, la
rappresentazione della filiera è indicata nella Figura 7.24.
Gli operatori presenti sono in linea di massima gli stessi della filiera del duro. An-
che qui infatti le aziende agricole trovano i loro canali principali in operatori interme-
7,9%
21,7%
18,7%
42,7%
1,8%
3,6%
15,4%
7,7%
15,4%
38,5%
23,1%
40%
15%
40%
5%
3,6%
Consumatore finale
Dettagliospecializzato
HORECA
Aziende agricole
GrossistiGrano duro
GrossistiPasta
Pastifici
Mulini Cooperazione
Estero
Gdo
Figura 7.23 - I flussi* commerciali della filiera della pasta biologica
Nota: si tratta quasi sempre di percentuali relative alle vendite dei vari operatori e non ai flussi in entrata.*Non è stato possibile quantificare tutti i possibili flussi perchè non sono stati intervistati tutti gli operatori (es.cooperative, importatori, ecc.).Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
136
di – mulini, cooperazione e, in misura minore, grossisti – anche se è possibile che
quote di produzione, nel caso che le aziende integrino la fase di prima trasformazione,
vadano ai consumatori e all’industria dei prodotti da forno. Quest’ultima trova il suo
canale preferenziale nella distribuzione al dettaglio, al cui interno riserva maggiore
spazio al dettaglio specializzato rispetto alla Gdo. Una percentuale non piccola viene
venduta direttamente al consumatore finale. Anche in questo caso un ruolo rilevante
viene svolto dai grossisti che, acquisito il prodotto presso l’industria, lo commercializ-
zano in prevalenza attraverso il dettaglio specializzato, contribuendo a configurare in
tal modo una struttura della filiera diversa rispetto a quanto visto per la pasta.
7.1.9 - I consumi domesticiI comparti che fanno capo alle filiere cerealicole sono, relativamente ai consumi tra i
più importanti e dinamici. Nel loro complesso, infatti, i prodotti a base di cereali rappre-
sentano più del 20% dei consumi complessivi ed in media l’incremento dei consumi è
stato superiore al valore di tutti prodotti bio, mentre l’incidenza dei consumi dei derivati
3,4%
Consumatore finale
Dettagliospecializzato
Aziende agricole
GrossistiGrano tenero
Grossisti
Mulini Cooperazione
Estero
Gdo
Industria prodottida forno
5,3%
15,8%
2,1% 21,1% 10,5% 45,3%
17,2%
31,0% 31,0%17,2%
Figura 7.24 - I flussi* commerciali della filiera dei prodotti da forno biologici
Nota: si tratta quasi sempre di percentuali relative alle vendite dei vari operatori e non ai flussi in entrata.*Non è stato possibile quantificare tutti i possibili flussi perchè non sono stati intervistati tutti gli operatori (es.cooperative, importatori, ecc.).Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
137
cerealicoli bio sul totale – pari ad 1,1% – è di poco inferiore alla media generale (Tabel-
la 7.27a). All’interno del comparto nel suo complesso si distinguono tre macro aggregati
che si possono ricondurre ad alcune delle filiere qui analizzate e che si caratterizzano per
performance differenti. In particolare il comparto dolciario è uno di quelli che pesa mag-
giormente sul complesso dei consumo domestici bio e, forse a causa della sua tradizio-
nale presenza, è uno di quelli che è cresciuto di meno nel corso del 2006. In effetti se si
analizza il comparto nel suo dettaglio (Tabella 7.27b), si nota come accanto ad alcuni
prodotti tradizionalmente molto diffusi e per i quali i consumi hanno mantenuto o incre-
mentato gli acquisti dell’anno precedente, se ne trovano altri – come in particolare i ce-
reali per l’infanzia o la pasticceria – che hanno perduto considerevolmente terreno, in-
fluenzando almeno in parte la performance di tutto il comparto49.
Il comparto del riso e pasta, pur pesando in misura nettamente inferiore, ha invece
evidenziato una buona performance, superiore a quella di tutti i prodotti bio, anche se
l’incidenza dei consumi bio su quelli complessivi è decisamente inferiore alla media ge-
nerale (0,7% contro 1,2%). All’interno del comparto, coerentemente con le analisi di fi-
liera qui svolte, sono stati distinti il compatto del riso da quello della pasta. Il primo nel
Tabella 7.27a - Andamento dei consumi domestici nelle filiere cerealicole bio*
Var. % Incidenza Incidenza su06/05 bio/tot. biologico
comparto confezionatoProdotti dolciari 1,9% 0,9% 12,7%
Riso e pasta 14,1% 0,7% 4,8%
Pane e sostituti 57,0% 1,6% 3,1%
Totale/Media 24,3% 1,1% 20,6%
* i consumi non includono quelli realizzati nei negozi specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen.
Tabella 7.27b - I consumi domestici nei prodotti da forno bio*(euro)
2005 2006 Var. % 06/05Cereali preparati 11.681.679 12.492.637 6,9%
Frollini 7.162.149 7.112.657 -0,7%
Brioche 5.783.566 6.355.258 9,9%
Cereali infanzia 3.778.409 2.612.526 -30,9%
Pasticceria 2.765.449 1.003.256 -63,7%
Biscotti dietetici 972.948 887.787 -8,8%
Biscotti secchi 1.195.808 886.353 -25,9%
Fette biscottate 305.807 459.422 50,2%
Preparati per dessert 12.537 36.255 189,2%
Wafers 66.416 31.369 -52,8%
Preparati per dolci 39.051 9.435 -75,8%
Totale 33.763.819 31.886.955 -5,6%
* i consumi non includono quelli realizzati nei negozi specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen.
138
complesso ha fatto registrare un incremento notevole (Tabella 7.27c) dovuto ai prodotti
di più larga diffusione, mentre altri, come i piatti pronti, già marginali hanno perduto
quote di mercato. Un andamento simile si riscontra per la pasta (Tabella 7.27d), con il
prodotto di più larga diffusione – la pasta di semola – che ha registrato un incremento
dei consumi, aumentando la sua quota all’interno del segmento dal 76% all’80%.
Tabella 7.27c - I consumi domestici di riso bio*(euro)
2005 2006 Var. % 06/05Riso confezionato 1.623.265 2.163.793 33,3%
Riso bianco 1.442.788 2.002.726 38,8%
Riso parboiled 180.481 161.067 -10,8%
Risotti 121.393 51.581 -57,5%
Totale 3.367.927 4.379.167 30,0%
* i consumi non includono quelli realizzati nei negozi specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen.
Tabella 7.27d - I consumi domestici di pasta bio*(euro)
2005 2006 Var. % 06/05Pasta semola 7.623.442 8.952.716 17,4%
Pastine infanzia 687.317 758.929 10,4%
Pasta fresca ripiena 1.018.789 730.216 -28,3%
Pasta fresca conf. 572.220 692.220 21,0%
Pasta uovo secca 96.619 25.260 -73,9%
Totale 9.998.387 11.159.341 11,6%
* i consumi non includono quelli realizzati nei negozi specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen.
Tabella 7.27e - I consumi domestici di prodotti della panificazione bio*(euro)
2005 2006 Var. % 06/05Crackers 1.566.824 2.931.056 87,1%
Pane industriale 705.056 1.865.465 164,6%
Piadine 1.590.515 1.622.281 2,0%
Sostitutivi del pane 1.064.010 1.610.055 51,3%
Grissini e panetti 1.015.676 1.011.549 -0,4%
Pizze 187.324 845.728 351,5%
Schiacciatine 27.336 40.085 46,6%
Focacce confezionate 18.679 - -
Totale 6.175.420 9.926.219 60,7%
* i consumi non includono quelli realizzati nei negozi specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen.
Infine il comparto dei sostituti della panificazione è quello che nel 2006 ha fatto se-
gnare il risultato migliore in termini di incremento sull’anno precedente. È di rilievo
notare come quasi tutti i prodotti facciano registrare un notevole incremento della spesa
(Tabella 7.27e). Spicca comunque il dato del pane industriale e dei sostituti del pane.
139
7.1.10 – I punti di forza e di debolezzaLa complessità e la varietà delle filiere cerealicole sono tali che sono presenti di-
versi punti di forza e di debolezza contemporaneamente.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la grande diffusione delle colture cereali-
cole, la presenza di un’ampia varietà di cereali coltivati, la presenza di grandi
aziende sono certamente punti di forza. Tuttavia, sempre a livello di produzione
primaria, va notato come la produzione appaia in contrazione, con costi crescenti e
un progressivo peggioramento della ragione di scambio. Tali difficoltà sono alla
base della scarsa integrazione di filiera, favorita dal dualismo strutturale e dei con-
sumi tra Nord e Sud del Paese. Di questo è prova anche il ricorso a materie prime
provenienti dall’estero.
Di contro la produzione industriale, sostenuta da consumi in decisa crescita, anche
se confinati soprattutto al Centro-Nord, sembra in espansione, così come le aspettative
di mercato degli operatori e la loro propensione ad investire, realizzando nuove linee
produttive, nuovi prodotti ed esplorando nuovi mercati. L’importanza delle filiere ana-
lizzate si può peraltro dedurre dalle strategie di mercato delle imprese, in cui il ruolo
del prodotto bio appare spesso centrale o concorre a completare e differenziare l’offer-
ta. Ciò è vero soprattutto per il riso, per i prodotti dolciari e, in misura minore, per la
pasta. Infine è da segnalare come i derivati dei cereali alimentino flussi di export sui
mercati dell’UE ma anche a livello extra-comunitario.
In conclusione sembra possibile affermare che per le filiere cerealicole biologiche
l’Italia ricalchi il ruolo di paese trasformatore che già rappresenta la sua vocazione per
quelle convenzionali. Tuttavia delle politiche di integrazione logistica e commerciale e
il sostegno della domanda potrebbero portare benefici maggiori anche per la fase pri-
maria della filiera.
Tab. 7.27f - Punti di forza e di debolezza nella filiera dei cereali bio
PUNTI DI FORZA
• I cereali biologici incidono notevolmente sulla
SAU complessiva delle aziende intervistate e
sono diffusi su tutto il territorio nazionale;
• Presenza di aziende di grandi dimensioni e
prevalentemente specializzate;
• Presenza di aziende integrate verticalmente;
• Varietà delle filiere e dei prodotti, con presen-
za di prodotti di grande diffusione ma anche
di nicchia;
• La produzione a livello secondario appare, se-
condo il giudizio degli operatori, in crescita
moderata;
• Il mercato finale è in crescita ed alimenta la pro-
pensione ad investire da parte degli operatori;
PUNTI DI DEBOLEZZA
• Il dualismo strutturale della filiera sembra ab-
bastanza accentuato;
• Costi di produzione e prezzi in aumento; i
prezzi, tuttavia, non sembrano sufficientemen-
te remunerativi;
• Produzione primaria in contrazione;
• Bassa propensione da parte delle aziende agri-
cole ad investire;
• Diversi operatori industriali e commerciali
fanno ricorso a materie prime estere;
• Difficoltà per gli operatori commerciali nel
reperimento della materia prima;
• La domanda di prodotti dolciari appare in di-
versi casi satura;
140
7.2 -La filiera dell’olivo biologico
7.2.1 - La produzione primaria
Aziende e coltureNella filiera dell’olivo sono state intevistate 94 aziende agricole, rappresentative
del 26,7% del totale delle unità produttive agricole del panel. Di esse, 63 sono piccole,
21 medie e 10 di grande dimensione.
Riguardo alla Sau bio di tali aziende, essa è risultata pari a 4.401 ettari, con una dimen-
sione media quindi di circa 47 ettari, a fronte dei 52 ottenuti considerando l’intera superficie.
Il grado di specializzazione50 sul biologico delle aziende monitorate è quindi molto ele-
vato, in quanto la Sau complessiva (bio+non bio) riconducibile ad esse ammonta a 4.921
ettari, con un’incidenza del biologico pertanto di quasi il 90%. Gli ettari a olivo biologico
sono invece 2.338, con un’incidenza della superficie destinata al biologico dell’83%.
Dall’incrocio tra la classe dimensionale e il peso che la filiera olivicola bio assume
nella struttura produttiva aziendale, scaturisce la classificazione in tipologie aziendali
che si riporta nella Tabella 7.28, che evidenzia la distribuzione del numero di aziende
e della relativa superficie.
La superficie a olivo bio è distribuita in relazione alle tipologie aziendali nella ma-
niera indicata nella Figura 7.25.
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
PUNTI DI FORZA
• La filiera è ben strutturata ed articolata con
presenza di canali corti e lunghi;
• Vi è interscambio commerciale con l’estero
soprattutto per la filiera della pasta;
• I prodotti trasformati rivestono un ruolo centrale
o comunque positivo nella strategia di marketing
della maggior parte delle imprese contattate;
• I consumi di riso, pasta e sostituti del pane so-
no in decisa crescita.
PUNTI DI DEBOLEZZA
• Il Sud e le Isole rappresentano mercati al con-
sumo molto deboli.
Segue Tab. 7.27f - Punti di forza e di debolezza nella filiera dei cereali bio
Tabella 7.28 - Distribuzione delle aziende agricole olivicole bio del panel per tipologia e classe aziendale(in numero di aziende ed ettari)
TIPOLOGIA AZIENDALESAU aziendale Medio grandi non spec. Medio grandi spec. Piccole non spec. Piccole specializzate Totale
aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bioFino a 10 ettari 0 0 0 0 2 20 29 170 31 190
11-26 ettari 0 0 0 0 7 131 21 376 28 507
>26 ettari 11 2.144 20 1.485 0 0 4 76 35 3.705
Totale 11 2.144 20 1.485 9 151 54 622 94 4.401
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
141
In particolare si nota che la gran parte della Sau si concentri in aziende medio-
grandi specializzate nell’olivo bio (54%) e nelle piccole specializzate, mentre il re-
stante 17% fa capo ad aziende non specializzate, soprattutto medio-grandi.
La restante superficie a colture biologiche è destinata a frutta (17 aziende), forag-
giere (14), vite (13) e cereali (11), mentre in sole due aziende si ritrovano colture orti-
cole. Sotto il profilo delle superfici risultano preponderanti, come per il numero delle
aziende, quelle a frutta (282 ettari).
Per quanto riguarda gli allevamenti, questi sono presenti in otto aziende. In parti-
colare si tratta in prevalenza di allevamenti bovini, in particolare da carne (4 aziende)
ma anche da latte (2 aziende); altre aziende presentano invece capi ovicaprini e suini
(2 aziende in entrambi i casi). Il numero medio di capi più elevato si ha nel caso degli
ovicaprini (350 capi).
Le aziende intervistate sono collocate esclusivamente nel Centro e nel Sud e Isole,
aree dove è localizzata in prevalenza e coerentemente con i dati disponibili, la filiera
dell’olivicoltura biologica italiana (Figura 7.26). Inoltre ben 64 aziende su 94 sono
dislocate in aree collinari.
Scendendo nel dettaglio regionale, la maggiore presenza si ha in Puglia (25 azien-
de), Calabria (24 aziende), Sicilia (11) e Toscana (10), in linea con la distribuzione
delle colture convenzionali.
Diciannove aziende su 94 (il 20%) si occupano anche della trasformazione dei pro-
pri prodotti aziendali. Se tuttavia si va a indagare sull’incidenza in termini di Sau a olivo
biologica in questo caso si raggiunge il 26%, dato che mette in evidenza come la dimen-
sione media delle aziende che trasformano il prodotto sia più elevata (32 contro 23 etta-
ri) di quelle che occupano della sola fase di produzione.
Il dato medio è comunque influenzato da alcune aziende di maggiore dimensione;
infatti quelle che trasformano sono per più della metà di piccola dimensione, oltre ad
essere in gran parte specializzate (Tabella 7.29).
Medio-grandinon specializzate14%
Medio-grandispecializzate58%
Piccole nonspecializzate
3%
Piccolespecializzate
25%
Figura 7.25 - Distribuzione della SAU a olivo bio per tipologia aziendale
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
142
In riferimento ai prodotti ottenuti, essi si suddividono in relazione alla presenza o me-
no della trasformazione aziendale. Nel caso questa fase sia presente in azienda, il prodotto
principale è l’olio sfuso, seguito dall’olio confezionato con marchio aziendale. In un solo
caso un’azienda ha dichiarato di produrre olio confezionato con altro marchio. Se l’azien-
da si occupa in prevalenza della produzione primaria il prodotto base è evidentemente rap-
presentato dalle olive da olio, anche se non manca un certo numero di aziende che produce
anche olio sfuso, ma quest’ultimo però non rappresenta il prodotto principale.
L’andamento della produzioneLa resa media in olive rilevata dall’indagine è di 52 quintali per ettaro; in 11 casi,
tuttavia, nelle aziende intervistate non si raggiungono i 20 quintali, mentre in altri 18
la produzione si attesta tra i 60 ed i 280. In un caso solo si raggiungono punte molto
elevate (400 quintali/ettaro).
L’andamento della produzione, nell’ultimo anno, il 2006, è risultato nella maggior
parte delle aziende intervistate in diminuzione (44,7%) o stabile (43,6%), mentre solo
in 9 casi viene segnalato un incremento (Figura 7.27).
Centro Sud e Isole0
10
20
30
40
50
60
70
80
Piccole specializzate
Piccole non specializzate
Medio-grandi specializzate
Medio-grandi non specializzate
nune
ro a
ziend
e ril
evat
e
Figura 7.26 - Distribuzione territoriale delle aziende agricole olivicole biologiche
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.29 - Aziende agricole olivicole trasformatrici e relativa SAU per tipologiaaziendale(in numero di aziende del panel ed ettari)
TIPOLOGIA AZIENDALE Aziende SAU a olivo bioPiccole specializzate 8 112
Piccole non specializzate 2 18
Medio grandi specializzate 6 433
Medio grandi non specializzate 3 42
Totale 19 605
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
143
Per quanto riguarda i costi di produzione, questi sono segnalati nel 2006 in au-
mento in quasi il 45% delle aziende o stabili per il 43,6% degli intervistati, mentre in
soli nove casi è stata dichiarata una diminuzione.
Stabile43,6%
In aumento9,6%
In diminuzione44,7%
Non sa2,1%
Figura 7.27 - Andamento della produzione delle aziende agricole olivicole biologiche nel 2006
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Aumento costodei mezzi tecnici
di produzione
Aumento deicosti energetici
Aumento deicosti della
manodopera
0
5
10
15
20
25
30
Figura 7.28 - Cause dell’aumento dei costi nelle aziende agricole olivicole biologiche nel 2006(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Le cause degli aumenti dei costi sono quelle più consuete: l’incremento del costo
dell’energia (41%), della manodopera (33%) e quello dei mezzi tecnici (26%).
Riguardo alle intenzioni delle aziende agricole di effettuare innovazioni in futu-
ro, il 60% delle aziende contattate non intende apportarne alcuna al proprio sistema
produttivo. Tra quelle invece che hanno segnalato questa intenzione, si ha innanzi-
tutto un gruppo di aziende (pari all’11% del totale) che intende introdurre la mecca-
144
7.2.2 - Il mercato alla produzione
I canali commerciali e le aree di mercatoLa percentuale più elevata delle aziende agricole intervistate vende direttamente al
consumatore finale: ben il 43% delle aziende effettua infatti tale tipologia di vendita, e
ciò avviene in particolare nelle aziende specializzate, soprattutto piccole, ma anche
medio grandi.
Al di là della vendita diretta, le aziende olivicole vendono soprattutto alle aziende
di trasformazione (21,4% del totale, con prevalenza delle piccole specializzate) e alle
cooperative (16%, anche in questo caso con preminenza delle piccole specializzate).
Una quota di quasi il 10% spetta invece al canale dei grossisti nazionali, che non
sono presenti soltanto nelle aziende medio-grandi non specializzate, mentre un ruolo
decisamente più limitato riguarda gli altri canali, tra cui emerge la diffusione, sia pur
numericamente contenuta, dei negozi specializzati in tutte le tipologie aziendali ad
esclusione delle piccole non specializzate.
Le aziende vendono principalmente a livello locale se è vero che la prevalenza del-
le vendite avviene nelle aree del Centro e del Sud Italia che sono anche, come si è vi-
sto in precedenza, i luoghi dove risiedono le aziende stesse.
Il 53% circa delle aziende vende infatti al Sud (soprattutto specializzate e in par-
ticolare piccole), mentre un 24% lo fa al Centro (in particolare le aziende medio
grandi e ancora una volta le piccole specializzate). Un 13% delle aziende effettua la
commercializzazione nelle Isole, mentre la restante quota distribuisce i suoi prodotti
al Nord.
Tabella 7.30 - Innovazioni che le aziende agricole olivicole bio intendono introdurre nei prossimi anni(in n° aziende del panel, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandispecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale
Nessuna 35 5 12 7 59
Vendita diretta 4 2 0 0 6
Trasformazione dei prodotti 4 0 3 1 8
Agriturismo 1 0 1 0 2
Aumento Sau 0 1 0 0 1
Cambio di indirizzo produttivo 3 0 1 0 4
Introdurre nuove varietà 0 0 1 0 1
Meccanizzazione 5 1 3 2 11
Nuovi impianti di irrigazione 2 0 0 0 2
Altro 3 0 0 1 4
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
nizzazione dei processi, mentre in percentuali minori sono presenti innovazioni che
riguardano le fasi più a valle della produzione, come la trasformazione del prodotto
e la vendita diretta.
145
Andamento del mercato, prezzi e aspettativeLe aziende intervistate giudicano l’andamento delle vendite nella loro filiera nel
2006 in prevalenza in diminuzione (43,6% delle risposte) o stabile (42,6%), mentre
solo un 14% lo stima in aumento.
Tra chi ritiene il mercato in diminuzione, vi è una forte numerosità di chi pensa
che sia sceso fino al 20%; a giudicare il mercato in calo sono principalmente le azien-
de specializzate, soprattutto le piccole.
Chi pensa che il mercato sia in calo ritiene che ciò dipenda soprattutto da una fles-
sione della domanda (51% delle risposte) e da un aumento dei prezzi (26,7%), dichia-
razioni queste espresse soprattutto dalle piccole aziende specializzate.
Tra le altre motivazioni si ritrovano la maggiore concorrenza estera (9%) e il calo
delle rese (7%).
Tabella 7.31 - I canali commerciali delle aziende agricole olivicole biologiche(in n° aziende del panel, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Cooperative 10 3 2 3 18 16,1%
Grossisti/intermediari
nazionali 8 1 2 0 11 9,8%
Grossisti/intermediari
estero 1 0 0 1 2 1,8%
Gdo 0 1 0 0 1 0,9%
Aziende di trasformazione 16 1 4 3 24 21,4%
Negozi specializzati 1 0 1 1 3 2,7%
Consumatore finale 27 3 11 7 48 42,9%
Ristoranti Catering
Bar Enoteche 2 1 1 0 4 3,6%
Altro 0 0 1 0 1 0,9%
Totale 65 10 22 15 112 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.32 - Aree di mercato delle aziende agricole olivicole biologiche(in n° aziende del panel, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Nord 6 2 1 2 11 10,2%
Centro 13 2 5 6 26 24,1%
Sud 34 5 13 5 57 52,8%
Isole 10 0 4 0 14 13,0%
Totale 63 9 23 13 108 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
146
Tabella 7.33 - Andamento del mercato nelle aziende agricole olivicole biologiche nel 2006(in n° aziende del panel)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Stabile 25 3 7 5 40 42,6%
In crescita 6 2 3 2 13 13,8%
In diminuzione 23 4 10 4 41 43,6%
Totale 54 9 20 11 94 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Un aumentodei prezzi27%
Un calo delladomandanazionale51%
Concorrenzaestera
9%
Calo dellerese7%
Altro6%
Figura 7.29 - Motivazioni del decremento di mercato nelle aziende agricole olivicole bio-logiche nel 2006
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Maggiore competitivitàsui prezzi 31%
Maggiore competitivitàin terminiqualitativi31%
Maggiore domandadel mercato
38%
Figura 7.30 - Motivazioni dell’aumento di mercato nelle aziende agricole olivicole biolo-giche nel 2006
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Nella filiera dell’olivo biologico le aziende agricole dichiarano in prevalenza (qua-
si il 30% delle risposte) di non incontrare problemi di commercializzazione, mentre
chi afferma di incontrarli ritiene che soprattutto il prezzo non remunerativo (28%) e le
147
difficoltà logistiche ed organizzative per raggiungere i canali commerciali (19,2%)
siano gli ostacoli più forti da dover fronteggiare. Meno importanti sono ritenute le dif-
ficoltà di collocamento a causa della domanda (14,4%) e le altre motivazioni indicate
nella Tabella 7.34.
In riferimento ai prezzi alla produzione, oltre la metà delle aziende ritiene che essi
siano rimasti stabili nel 2006, mentre un 32% (composto quasi esclusivamente da
aziende specializzate) pensa siano calati. Soltanto un 15% li considera in aumento.
Tabella 7.34 - Difficoltà incontrate nella commercializzazione dalle aziende agricole olivicole biologiche(in n° aziende del panel, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandispecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale
Nessuna 21 4 4 8 37
Prezzo non remunerativo 20 3 9 3 35
Difficoltà di collocamento
a causa della domanda 10 2 5 1 18
Difficoltà a garantire costanza qualitativa 2 0 0 0 2
Difficoltà a garantire costanza quantitativa 2 0 2 1 5
Difficoltà logistiche ed organizzative
per raggiungere i canali commerciali 15 3 5 1 24
Concorrenza da paesi esteri 1 0 0 0 1
Scarso interesse del consumatore 2 0 0 0 2
Altro 1 0 0 0 1
Totale 74 12 25 14 125
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.35 - Andamento dei prezzi alla produzione nelle aziende agricole olivicole biologiche nel 2006(in n° aziende del panel)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
I prezzi sono aumentati 5 3 6 1 15 16,0%
I prezzi sono diminuiti 17 4 8 1 30 31,9%
Nessuna variazione 32 2 6 9 49 52,1%
Totale 54 9 20 11 94 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Le aspettative degli imprenditori rispetto all’andamento del mercato si potrebbero
definire abbastanza ottimistiche. La maggior parte delle aziende intervistate pensa che
vi sarà un lieve aumento delle vendite (a detta soprattutto delle aziende specializzate),
mentre un 23% ritiene che il mercato rimarrà più o meno invariato.
Una quota abbastanza rilevante di intervistati ha manifestato invece incertezza sul-
l’andamento futuro del mercato.
148
7.2.3 - La trasformazione
Il grado di specializzazioneLe imprese della fase di trasformazione della filiera olivicola presentano un alto
grado di specializzazione51 nel comparto olivicolo bio. Infatti delle 20 aziende intervi-
state solo 2 producono altri prodotti oltre l’olio (una produce vino, l’altra ortofrutta).
Queste ultime produzioni incidono dal 30 al 40% sul totale del fatturato aziendale,
evidenziando come l’olio, quando non è l’unico prodotto aziendale, è comunque sem-
pre prevalente.
Se tuttavia si va ad analizzare il peso dell’olio biologico sul totale dell’olio prodot-
to, si nota come in ben 13 aziende su 20 non si superi il 35%. Inoltre nella distribuzio-
ne delle imprese prevalgono comunque le aziende con un tasso di specializzazione
basso nel biologico in generale (Tabella 7.37).
Dalla Tabella 7.37 si evince infatti che vi è una prevalenza delle imprese in cui la quota
bio sul totale delle vendite è marginale, sia che siano di dimensione piccola o media.
Dalla Figura 7.31, inoltre, si deduce che la maggioranza delle imprese (sia a bassa inciden-
za del bio sul totale delle vendite sia a più elevato peso), si concentri nelle regioni del Sud e
nella Sicilia. Nel Centro e nella Sardegna sono presenti in modo esclusivo quelle in cui il bio
ha un peso marginale, mentre nel Nord Est quelle in cui ha un peso abbastanza significativo,
sia pur con un numero estremamente limitato di imprese.
Tabella 7.36 - Previsioni sull’andamento del mercato nei prossimi 2-3 anni da parte delle aziende agri-cole olivicole biologiche(in n° aziende del panel)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate non specializzate Totale totale
Aumenterà molto 1 0 0 1 2 2,1%
Aumenterà un po’ 17 2 10 6 35 37,2%
Resterà più o meno stazionario 13 3 5 1 22 23,4%
Diminuirà un po’ 6 3 4 0 13 13,8%
Diminuirà molto 5 0 0 1 6 6,4%
Non so 12 1 1 2 16 17,0%
Totale 54 9 20 11 94 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tab. 7.37 - Il grado di specializzazione nel biologico delle imprese produttrici di olio bio(in numero di aziende del panel)
Grado di incidenza del bio Piccole a Piccole a spec. Medie a bassa Medie ad Grandi a spec.sul totale delle vendite bassa spec. medio alta spec. alta spec. medio alta TotaleMarginale (<=5%) 8 0 3 0 0 11
Significativa (21-50%) 0 4 0 0 0 4
Elevata (51-70%) 0 0 0 0 1 1
Molto elevata (>=71%) 0 2 0 1 1 4
Totale 8 6 3 1 2 20
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
149
La produzione principale delle aziende rilevate è l’olio extravergine di oliva e solo
in due casi si produce olio Dop o Igp, con le relative aziende che in quest’ultimo caso
sono di piccole e medie dimensioni e a specializzazione alta.
L’approvvigionamento delle materie primeNove aziende su venti si approvvigionano presso aziende agricole, mentre cinque
aziende fanno ricorso all’autoproduzione. Quattro aziende, invece, effettuano i loro
acquisti presso cooperative e consorzi.
L’autoproduzione sembra escludere il ricorso a materie prime provenienti da altre
imprese. Infatti nei cinque casi in cui viene dichiarata l’autoproduzione, non risultano
altri fornitori.
Anche in questa filiera, come in quella del vino, si nota che al crescere della spe-
cializzazione sale il ricorso all’autoproduzione. Più basso è il grado di specializzazio-
ne, maggiore è il ricorso agli altri canali, con una maggiore presenza del rifornimento
presso le aziende agricole al crescere della dimensione.
Il numero medio di fornitori è di 53, ma in 13 casi non si superano i 10.
La provenienza della materia prima è quasi sempre di origine locale o regionale, in par-
ticolare per le piccole e medie imprese a specializzazione medio-bassa. Soltanto due impre-
se hanno dichiarato che gli approvvigionamenti provengono da tutto il territorio nazionale.
Le imprese non hanno segnalato particolari difficoltà nell’approvvigionamento di
prodotti bio: 12 intervistati su 20 dichiarano infatti di non incontrare problemi. Tra le
poche aziende che li rilevano, viene citata la fornitura non regolare dei prodotti, la dif-
ficile reperibilità e la stagionalità.
Rispetto ai risultati della stessa indagine effettuata da Ismea nel 2004, tuttavia, le me-
desime aziende intervistate hanno espresso un minore ottimismo, in quanto una quota più
Nord Est Centro + Sardegna Sud + Sicilia Totale
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
20
Consumatore finale
Negozi specializzati bio
Ristoranti
Imp. esteri
Figura 7.31 - Localizzazione delle imprese produttrici di olio biologico distinte per gra-do di incidenza del bio sul totale delle vendite(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
150
bassa di quella riscontrata in passato non rileva difficoltà nell’approvvigionamento.
È da notare inoltre che tra chi le rileva, 6 intervistati su 20 indicano la stagionalità
della materia prima, mentre due anni prima come unica causa era stata citata la scarsa
qualità delle olive.
L’andamento della produzionePer 9 intervistati su 20 nella filiera in esame la produzione di olio di oliva è risul-
tata stabile (in particolare per le aziende medio-grandi a specializzazione bassa), men-
tre 6 su 20 la giudicano in diminuzione, risultati abbastanza in linea con quanto emer-
so a livello agricolo. Soltanto 5 aziende la ritengono invece in aumento.
Azie
nde
agric
ole
Coop
erat
ive
e co
nsor
zi
Altre
azie
nde
di tr
asfo
rmaz
ione
Tras
form
ator
i spe
cial
izzat
i
Gros
sist
i
Auto
prod
uzio
ne
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Piccole a bassa spec.
Piccole a medio alta spec.
Medie a bassa spec.
Medie ad alta spec.
Grandi a medio alta spec.
Figura 7.32 - L’approvvigionamento della materia prima nelle imprese produttrici diolio biologico(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.38 - Andamento della produzione per le imprese produttrici di olio bio nel 2006(in numero di aziende del panel)
Piccole a Piccole a spec. Medie a bassa Medie ad Grandi a spec.bassa spec. medio alta spec. alta spec. medio alta Totale
Stabile 2 3 3 0 1 9
In aumento 4 0 0 1 0 5
In diminuzione 2 3 0 0 1 6
Totale 8 6 3 1 2 20
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Le aziende ricadenti nel Sud e nella Sicilia indicano in prevalenza una stabilità
della produzione, come si osserva dalla Figura 7.33.
151
Nel Centro e nella Sardegna, invece, non figurano giudizi sulla diminuzione, mentre
ha un peso più elevato chi ritiene la produzione in aumento. Infine nel Nord Est figurano
soltanto giudizi sul calo della stessa. È doveroso però precisare, come si osserva dalla Fi-
gura, che nelle ultime due aree i valori assoluti del numero di aziende sono davvero esigui.
Nord Est Centro + Sardegna Sud + Sicilia0
2
4
6
8
10
12
14
16
E' risultata stabile
E' risultata in aumento
E' risultata in diminuzione
Figura 7.33 - Andamento della produzione per le imprese produttrici di olio biologicoper area geografica(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tra i fattori che hanno determinato la diminuzione della produzione spiccano net-
tamente le condizioni climatiche, mentre tra chi ritiene che vi sia stato un aumento
produttivo la motivazione più citata è l’aumento delle rese. Si tratta quindi in entrambi
i casi di motivi legati alle fasi a monte della filiera e non ad aspetti in linea con la fase
più propriamente di trasformazione della materia prima.
Meno importante ma non trascurabile tra le motivazioni dell’aumento della produ-
zione appare la capacità dei produttori di incrementare la propria capacità produttiva, in
funzione delle aspettative del mercato. Tale aumento può avvenire attraverso due scelte,
presenti in modo paritario tra loro: una maggiore specializzazione oppure investimenti
per nuove linee produttive. Nel primo caso si tratta quindi di imprese che potevano aver
avuto una posizione di attesa nei confronti del biologico. Nel secondo caso invece ci si
trova di fronte ad aziende che decidono di aumentare la loro produzione.
Premesso che 12 aziende su 20 non incontrano problemi di produzione, tra quelle
che li riscontrano i più ricorrenti risultano essere il reperimento della materia prima,
presente soprattuto nelle aziende piccole a bassa specializzazione, e la difficoltà a ga-
rantire determinati standard qualitativi.
Sul fronte dei costi di produzione, gli intervistati dichiarano con una leggera pre-
valenza sulle altre risposte che i costi siano rimasti stabili nel 2006, fenomeno questo
più evidente nelle aziende piccole a bassa specializzazione. Una quota comunque non
poco trascurabile del campione ritiene invece che essi siano cresciuti, tendenza questa
piuttosto diffusa nelle piccole aziende.
Soltanto un’azienda dichiara invece un calo dei costi di produzione.
152
7.2.4 - Il mercato dei prodotti trasformati
I canali ed aree di venditaIn ben 12 casi su 29 le aziende vendono la loro produzione direttamente al con-
sumatore finale. Ciò accade soprattutto nelle aziende piccole e nelle aree del Sud e
della Sicilia. Le aziende che effettuano vendite tramite il canale corto non vendono
esclusivamente al consumatore finale ma ricorrono anche ad altri canali, tra cui
principalmente Gdo e grossisti ma anche alla ristorazione. Se si considerano anche
le aziende che oltre a produrre trasformano anche, estrapolate dal panel di aziende
agricole intervistate, il peso della produzione venduta direttamente al consumatore
finale cresce.
Il secondo canale per importanza per i soli trasformatori è quello dei grossisti, a
cui ricorrono 7 intervistati su 29 (più bassa in questo caso la quota delle aziende di
produzione/trasformazione), seguito dalla Gdo (7/29) e da altre aziende di trasforma-
zione (3/29).
Da notare che le aziende di produzione/trasformazione non vendono per nulla alla
Gdo, mentre vendono ad altre aziende di trasformazione per una quota relativamente
più bassa.
Tornando all’analisi dei canali di vendita delle sole aziende di trasformazione, 2
aziende su 29 commercializzano i loro prodotti presso la ristorazione (quota pratica-
mente coincidente con quella delle aziende agricole che trasformano anche) a cui si ri-
volgono soltanto le aziende di piccola dimensione. Da notare infine che il passaggio
diretto azienda di trasformazione-negozio specializzato è poco frequente, in quanto
solo un’azienda di medie dimensioni a specializzazione bassa ha dichiarato di utiliz-
zare tale canale per la vendita dei propri prodotti. Il peso delle vendite dei
produttori/trasformatori è invece più elevato nei negozi specializzati.
La Tabella 7.39 mette in evidenza come le imprese di trasformazione analizzate si
rivolgano quasi sempre a più canali contemporaneamente, con un alto grado di diver-
sificazione realizzato soprattutto dalle aziende piccole a bassa specializzazione.
Tabella 7.39 - I canali di vendita delle imprese produttrici di olio bio(in numero di aziende del panel, domanda a risposta multipla)
Piccole a Piccole a spec. Medie a bassa Medie ad Grandi a spec.bassa spec. medio alta spec. alta spec. medio alta Totale
Grossisti generici 2 2 2 0 1 7
Gdo 1 2 0 1 0 4
Aziende di trasformazione 1 0 1 0 1 3
Consumatore finale 4 5 1 1 1 12
Negozi specializzati bio 0 0 1 0 0 1
Ristoranti 1 1 0 0 0 2
Totale 9 10 5 2 3 29
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
153
Anche dal punto di vista geografico si notano alcune differenze (Figura 7.35). Nel
Sud e in Sicilia si ha il maggior grado di differenziazione e in quattro canali su sei il peso
è superiore alla media. Al Centro e Sardegna, invece, ha un certo peso la vendita diretta.
1
3
1
6
4
3
8
11
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Grossisti generici
Gdo
Aziende di trasformazione
Comsumatore finale
Negozi specializzati
Ristoranti
Nord Est Centro + Sardegna Sud + Sicilia
1
Figura 7.35 - I canali di vendita per area geografica delle imprese produttrici di oliobiologico(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Rispetto ai risultati dell’indagine svolta due anni fa, un maggior peso a livello na-
zionale è stato acquisito dalla vendita diretta e dai grossisti, mentre minore è il ricorso
ad altre aziende di trasformazione o ai negozi specializzati a cui non è stato più ven-
duto prodotto.
In relazione al numero di clienti delle aziende di sola trasformazione, la metà di
esse (10) presenta un numero non superiore a 50, di cui 4 non oltrepassano le 10 unità
e le restanti 6 hanno un numero oscillante tra gli 11 e i 50, soprattutto le piccole a spe-
cializzazione bassa.
Le aziende rimanenti presentano invece un numero di clienti tra 51 e 100 (5) e ol-
tre 100 (4); una sola azienda non ha fornito risposta.
In media le aziende di trasformazione olivicola effettuano le loro vendite in una
percentuale pari ad oltre il 48% sul mercato nazionale, per un 36% sui mercati locali e
regionali e solo per il restante 15% all’estero.
Tra le aziende che vendono sul mercato nazionale, è da notare come vi sia un
gruppo abbastanza consistente (5 aziende) che vende tutta la produzione sull’intero
mercato interno, mentre figurano anche 6 aziende che non vendono prodotto sul mer-
cato nazionale, limitandosi a venderlo solo a livello locale/regionale o all’estero. Si
tratta di aziende piccole e a specializzazione generalmente bassa.
Anche tra quelle che vendono sul mercato locale/regionale, a fronte della media
complessiva sopra riportata, figurano 5 aziende che vendono l’intera produzione nelle
aree immediatamente limitrofe alla loro ubicazione produttiva (soprattutto piccole a
specializzazione bassa), mentre ben 9 non lo fanno per nulla.
154
Le vendite all’estero, come si è visto, non interessano una forte quota di aziende:
12 imprese del panel non esportano per nulla, mentre soltanto in quattro casi la quota
di export sul totale vendite è maggiore o uguale al 40%. Il principale mercato di desti-
nazione tra chi esporta è senza dubbio la Germania, verso la quale è spedito olio da
parte di varie tipologie di aziende per dimensione e specializzazione.
In ogni caso emerge in quasi tutte le tipologie aziendali la vendita in tutte le aree
(locali/regionali, nazionali ed estere). Fanno eccezione le aziende medie ad elevata
specializzazione che vendono esclusivamente sul mercato nazionale e le grandi ad alta
specializzazione che non vendono a livello locale. Queste ultime hanno il peso mag-
giore nelle vendite all’estero, mentre quello più elevato sul mercato nazionale è dete-
nuto dalle piccole a bassa specializzazione.
Per le aziende produttrici di olio bio le vendite nel 2006 sono risultate per 16 in-
tervistati su 20 stabili o in diminuzione (8 aziende ritengono siano rimaste staziona-
rie e altre 8 le stimano in flessione). Soltanto le rimanenti 4 ritengono che siano au-
mentate.
Piccole abassa spec.
Piccole a spec.medio alta
Medie abassa spec.
Medie adalta spec.
Grandi a spec.medio alta
Totale
6
4
1
3
5
3
1
2
2
1
1
2
2
11
14
8
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Locale/regionale
Nazionale
Estero
Figura 7.36 - Specializzazione di mercato delle aziende produttrici di olio bio(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.40 - Andamento delle vendite di olio biologico nel 2006(in numero di aziende del panel)
Piccole a Piccole a Piccole ad Medie a bassa Medie ad Grandi a spec.bassa spec. media spec. alta spec. alta spec. alta spec. medio alta Totale
In crescita 2 1 0 0 1 0 4
Stabili 4 2 1 1 0 0 8
In diminuzione 2 1 1 2 0 2 8
Totale 8 4 2 3 1 2 20
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Soprattutto le aziende piccole (a specializzazione medio-bassa) ritengono le vendi-
te stabili, mentre quelle a bassa specializzazione (piccole e medie) le stimano in dimi-
nuzione. La flessione delle vendite, per la maggior parte di chi la dichiara, dipende se-
condo gli intervistati dal calo della domanda.
Un peso analogo ai trasformatori puri, in merito all’andamento del mercato, si re-
gistra per le aziende di produzione/trasformazione soltanto in merito ai giudizi sulla
stabilità. Una quota maggiore delle risposte evidenzia invece una crescita, mentre una
più bassa stima che le vendite siano diminuite. Le motivazioni dell’aumento sono do-
vute, secondo gli intervistati, ad una maggiore competitività in termini qualitativi e ad
una più consistente domanda del mercato.
Rispetto a due anni fa prevale un maggiore ottimismo delle aziende di trasformazione
in quanto è ben più elevata la percentuale di chi ritiene che le vendite negli ultimi 12 mesi
siano aumentate, mentre scende fortemente la percentuale di chi le giudica stabili. In au-
mento tuttavia risulta anche la percentuale di chi giudica il fatturato in diminuzione.
L’andamento della domanda sembra, almeno in parte, non esser stato influenzato
dal trend dei prezzi che per tutti gli intervistati sarebbero rimasti in prevalenza stabili
o diminuiti.
In particolare per le aziende di sola trasformazione i prezzi sarebbero rimasti sta-
zionari per 11 intervistati su 20, rappresentati soprattutto da piccole aziende, mentre 6
li stimano in calo.
Per le imprese di produzione/trasformazione, invece, il peso delle aziende scende
nel primo caso e sale nel secondo.
Le aziende intervistate dichiarano di incontrare alcune difficoltà nella commercia-
lizzazione: 15 aziende su 20 riscontrano problemi sul fronte delle vendite. Questi sono
riconducibili soprattutto al prezzo non remunerativo rispetto ai costi e alle difficoltà di
collocamento del prodotto, problematiche denunciate in particolare dalle aziende pic-
cole a bassa specializzazione. Le stesse difficoltà sono state denunciate come premi-
nenti anche dalle aziende di produzione/trasformazione, sebbene con un’incidenza
meno elevata. In queste aziende, al contrario, la voce che presenta il maggior peso è
riconducibile alle difficoltà logistiche ed organizzative per raggiungere i canali com-
merciali, a causa probabilmente di un’organizzazione meno strutturata rispetto alle
aziende di trasformazione.
Il posizionamento sul mercatoIl ruolo dell’olio biologico nella strategia delle imprese intervistate è prevalente-
mente marginale (10 risposte su 20), soprattutto per le aziende medio-piccole specia-
lizzate, ma occorre non trascurare una quota non poco rilevante di aziende in cui tale
comparto bio al contrario assume un ruolo centrale, in quanto il prodotto è strategico e
d’immagine. In otto aziende su venti infatti, l’olio bio ha un ruolo importante nelle
strategie aziendali, cosa che accade soprattutto nelle aziende piccole a specializzazio-
ne medio-alta. Soltanto in due casi l’olio bio ha un ruolo di nicchia, in riferimento ad
imprese di limitata dimensione e a specializzazione medio-bassa.
155
156
L’olio bio parrebbe trovarsi in una fase ancora non troppo avanzata del ciclo di vita
dei prodotti. Quindici aziende su venti ritengono che il prodotto si trovi in una fase di
lancio (6 aziende) o di maturità (9 aziende). Tale prodotto si trova nella fase di maturità
soprattutto secondo le aziende piccole a specializzazione medio-alta, mentre le aziende
che dichiarano che il prodotto si trova nella fase di lancio sono distribuite più equamen-
te tra le varie tipologie aziendali, con una leggera prevalenza delle piccole a bassa spe-
cializzazione. Infine, soltanto tre aziende di limitata dimensione e a non elevata specia-
lizzazione dichiarano che il loro principale prodotto si trovi in una fase di declino.
Tabella 7.41 - Il ruolo dell’olio bio nella strategia delle aziende produttrici(in numero di aziende del panel)
Piccole a Piccole a spec. Medie a bassa Medie ad Grandi a spec.bassa spec. medio alta spec. alta spec. medio alta Totale
Centrale (prodotto
strategico, d’immagine) 1 4 0 1 2 8
Marginale 6 1 3 0 0 10
Di nicchia 1 1 0 0 0 2
Totale 8 6 3 1 2 20
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.42 - Il posizionamento dell’olio bio nel ciclo di vita del prodotto(in numero di aziende del panel)
Piccole a Piccole a spec. Medie a bassa Medie ad Grandi a spec.bassa spec. medio alta spec. alta spec. medio alta Totale
Lancio 2 1 0 1 2 6
Maturità 2 5 2 0 0 9
Declino 3 0 0 0 0 3
Non so 1 0 1 0 0 2
Totale 8 6 3 1 2 20
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
L’olio bio viene quasi sempre commercializzato con il marchio dell’azienda pro-
duttrice (in 18 casi su 23), ma vi è anche un numero di aziende molto più limitato che
lo commercializza senza marchio (4 su 23) o che lo vende con il marchio di un’altra
azienda, effettuando cioè una produzione conto terzi (1/23).
Le aziende che commercializzano l’olio bio con il marchio proprio sono soprattut-
to piccole a specializzazione bassa, mentre nel caso di commercializzazione senza
marchio non vi è una tipologia aziendale che prevale.
Incrociando la strategia aziendale con il posizionamento del prodotto e con la mo-
dalità di commercializzazione si ottiene il quadro che si espone nello schema 7.3.
Si nota innanzitutto che le aziende in cui il biologico gioca un ruolo centrale han-
no quasi sempre prodotti che secondo gli intervistati si trovano in una fase di lancio e
commercializzano il prodotto praticamente sempre con il proprio marchio. Si tratta
157
1
7
1
5
1
3
1
1
1
2
4
18
1
Senza marchio
Marchio aziendale
Marchio di altra azienda
Piccole abassa spec.
Piccole a spec.medio alta
Medie abassa spec.
Medie adalta spec.
Grandi a spec.medio alta
Totale0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Figura 7.37 - Marchi con cui viene venduto l’olio bio dalle imprese produttrici del panel(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Schema 7.3 - Strategie adottate dalle imprese produttrici di olio bio(ogni riga corrisponde ad un’azienda)
POSIZIONAMENTO DEIPRODOTTI NELLA FASE CICLO MARCHIO MARCHIOSTRATEGIA DI IMPRESA DI VITA UTILIZZATO 1 UTILIZZATO 2Centrale Lancio Marchio aziendale
Centrale Lancio Marchio aziendale
Centrale Lancio Marchio aziendale Marchio altra azienda
Centrale Lancio Marchio aziendale
Centrale Lancio Senza marchio Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale
Centrale Maturità Senza marchio
Centrale Maturità Marchio aziendale
Marginale Declino Senza marchio
Marginale Declino Marchio aziendale
Marginale Declino Marchio aziendale
Marginale Maturità Marchio aziendale
Marginale Maturità Marchio aziendale
Marginale Maturità Marchio aziendale
Marginale Maturità Marchio aziendale
Marginale Maturità Senza marchio Marchio aziendale
Marginale Non so Marchio aziendale
Marginale Non so Marchio aziendale
Di nicchia Lancio Marchio aziendale
Di nicchia Maturità Marchio aziendale
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
evidentemente di aziende che hanno introdotto sul mercato il prodotto relativamente
da poco e su di esso puntano gran parte delle strategie, volendo valorizzare il più pos-
sibile l’immagine aziendale anche tramite l’immissione sul mercato del prodotto con
il loro marchio.
Vi sono inoltre anche tre aziende che in cui il ruolo dell’olio bio è sempre centrale
ma che giudicano il prodotto in una fase leggermente più avanzata del ciclo di vita
(maturità) e che commercializzano, analogamente a quanto sopra, il prodotto princi-
palmente con il loro marchio.
Vi è poi un gruppo di aziende in cui il bio ha ruolo soltanto marginale e nelle quali
l’olio bio è giudicato in una fase più avanzata del ciclo di vita (maturità o declino) in
cui è prevalente sempre la commercializzazione a marchio aziendale. Si tratta di
aziende in cui il prodotto di punta non è rappresentato dall’olio, anche perché proba-
bilmente tale prodotto è giudicato meno promettente e redditizio di altri. Per una ra-
gione di immagine e di fidelizzazione del cliente, esso viene comunque frequentemen-
te commercializzato con il marchio aziendale.
L’ultimo gruppo (molto poco numeroso) che si può estrapolare è costituito da
due aziende che svolgono però due strategie differenti. Esse hanno in comune il
fatto di considerare l’olio bio come prodotto di nicchia, ma una delle due ritiene
che esso sia in una fase di lancio e utilizza il marchio aziendale come mezzo mi-
gliore per consentire lo sviluppo delle vendite. L’altra invece al contrario considera
il proprio prodotto in una fase più avanzata del ciclo di vita (maturità) e utilizza
sempre il marchio proprio per ottenere il valore delle vendite più elevato possibile
sul mercato.
Le aspettativeLe aspettative sulle vendite future (nei prossimi 2-3 anni) nella filiera dell’olio bio
sembrano essere abbastanza positive. Cinque imprese del campione ritengono che il
mercato crescerà (1 azienda pensa che aumenterà di molto) e una quota della stessa
entità giudica il mercato futuro stabile (soprattutto le aziende piccole). Quattro azien-
de lo giudicano in calo (una ritiene che scenderà di molto). La restante quota non ha
espresso un giudizio sulle prospettive future.
Riguardo alle imprese di produzione/trasformazione, traspare un ottimismo molto
maggiore, in quanto ben 13 rispondenti su 19 indicano che il mercato crescerà, anche
se in prevalenza non di molto (solo un’azienda su 13 prevede una forte crescita del
mercato). Altre 3 aziende ritengono che il mercato in questa filiera rimanga stabile in
futuro o che cali, anche se di poco.
Rispetto a due anni fa è scesa la percentuale delle aziende di sola trasformazio-
ne che ritiene che il mercato aumenterà in misura moderata e di chi pensava che
crescesse molto, mentre è in crescita il peso di chi pensa diminuisca molto o chi
non risponde.
In merito alle strategie future delle aziende di trasformazione olivicola, in 9 casi su
28 si ha intenzione di incrementare la produzione bio. Prevalgono in questo caso le
158
159
aziende soprattutto piccole, che erano anche in parte quelle che indicavano un’espan-
sione futura del mercato. In 5 casi è stata espressa la volontà di introdurre nuovi pro-
dotti bio e raggiungere nuovi mercati (la stessa numerosità in entrambi i casi), con una
tale preferenza espressa soprattutto da aziende piccole ma anche medie a prescindere
in entrambi i casi dalla specializzazione.
Frequenze più basse riguardano l’incremento/diversificazione della produzione bio
con altre filiere bio (2/28) e l’introduzione di innovazioni di processo (1/28).
Da notare che in 5 casi su 28 le imprese hanno dichiarato di non voler effettuare
nessun cambiamento.
Tabella 7.43 - Aspettative di mercato nei prossimi 2-3 anni per le aziende produttrici di olio bio(in numero di aziende del panel)
Piccole a Piccole a spec. Medie a bassa Medie ad Grandi a spec.bassa spec. medio alta spec. alta spec. medio alta Totale
Aumenterà molto 0 0 0 0 1 1
Aumento moderato 2 1 0 1 0 4
Stazionario 2 2 1 0 0 5
Diminuzione moderata 1 1 0 0 1 3
Diminuirà molto 1 0 0 0 0 1
Non so 2 2 2 0 0 6
Totale 8 6 3 1 2 20
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.44 - Intenzioni future delle imprese produttrici di olio bio(in numero di aziende del panel, risposte multiple)
Piccole a Piccole a spec. Medie a bassa Medie ad Grandi a spec.bassa spec. medio alta spec. alta spec. medio alta Totale
Incrementare la
produzione bio 3 4 1 0 1 9
Introdurre nuovi prodotti bio 0 3 1 1 0 5
Diversificare la produzione
bio (con altre filiere bio) 0 2 0 0 0 2
Introdurre innovazioni
di processo 0 0 0 0 1 1
Raggiungere nuovi mercati 3 1 1 0 0 5
Altro 1 0 0 0 0 1
Nessun cambiamento 2 1 1 0 1 5
Totale 9 11 4 1 3 28
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
7.2.5 - L’intermediazione commerciale
L’analisi della filiera dell’olio d’oliva bio è completata dai paragrafi che seguono,
che analizzano le principali dinamiche di mercato nelle fasi più a valle della filiera.
160
In relazione al canale dei grossisti presente in questo comparto, sono state realiz-
zate due interviste ad operatori che trattano in una buona quota oli biologici52. L’ap-
provvigionamento di questi operatori avviene esclusivamente presso trasformatori.
La clientela degli intervistati varia passando dagli importatori esteri, alla Gdo, ai
negozi specializzati e in misura minore all’HORECA.
Le difficolta relative alla commercializzazione, laddove citate, si riferiscono so-
prattutto al collocamento di questo prodotto.
Passando alle vendite sul mercato nazionale, si osserva che esse si concentrano
principalmente nelle aree settentrionali, dove il mercato degli alimenti bio è più svi-
luppato che nel resto del paese.
Per quanto riguarda invece le vendite all’estero, i mercati di riferimento sono Ger-
mania, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Olanda e nei paesi extra-Ue Giappone,
USA ed Estremo Oriente.
Tra le intenzioni future degli intervistati si riscontra la volontà di incrementare
l’offerta, espandere la gamma dei prodotti e di raggiungere nuovi mercati con partico-
lare attenzione a quelli stranieri.
Le prospettive della filiera sono giudicate nel complesso orientate alla crescita, sia
pur moderata, sebbene nel 2006 le vendite siano rimaste stabili.
7.2.6 - La mappatura della filieraAttraverso le informazioni sin qui analizzate, è stato possibile ricostruire la map-
patura della filiera dell’olio bio in Italia (Figura 7.38).
Come si può osservare, nel caso dell’olio bio vi è una maggiore presenza, rispetto ad
altri comparti biologici, di filiere “corte”. Dalla figura si nota infatti che i flussi principali
di vendita delle aziende agricole (che si è visto avere anche una discreta quota di prodot-
1,7% 9,8% 0,8% 21,4% 42,8% 3,4% 16,1% 3,5%
17,5%
24,1% 10,3% 13,7% 41,4% 3,4% 6,9%
49,0% 16,5% 19,0% 2,5% 12,5%
Aziende di produzione primaria
Aziende di trasformazione
GDOEstero
Cooperazione
Negozispecializzati
Negozitradizionali
Grossisti
Consumatore finale HORECA
Figura 7.38 - I flussi* commerciali della filiera dell’olio d’oliva bio
Tutte le percentuali rappresentano la percentuale delle vendite dei vari operatori.In grigio percentuale degli acquisti delle aziende di trasformazione*Non è stato possibile quantificare tutti i possibili flussi perchè non sono stati intervistati tutti gli operatori (es.cooperative, importatori, ecc.).Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
to trasformato) e di trasformazione sono quelli diretti al consumatore finale, il che con-
sente di “accorciare” la filiera, con vantaggi sia per le aziende che per il consumatore.
Le filiere più “lunghe” passano attraverso la cooperazione, le aziende di trasforma-
zione e i grossisti, il cui principale interlocutore è nell’ordine l’estero, la Gdo e i negozi
specializzati. Non mancano inoltre filiere di tipo intermedio, che prevedono la vendita
senza passaggi ulteriori, ad esempio, dalle aziende di trasformazione alla Gdo.
In generale comunque, come si può osservare, le tipologie di operatori economici
sono numerose e le relazioni che si creano sono piuttosto complesse.
7.2.7 - I consumi domesticiNonostante l’andamento non del tutto favorevole dichiarato da tutti gli operatori a
monte della filiera, il trend delle vendite di olio bio al consumo sembra risultare posi-
tivo. Dai dati Ismea/ACNielsen, che non comprendono però il canale del dettaglio
specializzato, i consumi domestici di olio extravergine di oliva biologico confezionato
mostrano una tendenza positiva nel confronto tra il 2006 e il 2005, registrando una
crescita della spesa monetaria del 43%. Il dato, tuttavia, è ancora associato a un livello
di spesa non troppo elevato, soggetto quindi a maggiori oscillazioni percentuali.
Ciò comunque indica che da parte del consumatore vi è un forte interesse per il prodotto,
che dovrebbe portare in prospettiva benefici effetti anche sulle fasi più a monte della filiera.
7.2.8 – I punti di forza e di debolezzaL’analisi sin qui condotta consente di tracciare un quadro abbastanza preciso delle
filiera dell’olio bio in Italia. La stessa si caratterizza per diversi punti di forza, ma an-
che di debolezza.
Tra i primi, è da sottolineare che il mercato dell’olio bio presenta un alto grado di
specializzazione delle aziende agricole, che spesso presentano anche un buon livello
di integrazione.
La filiera è ben articolata, con presenza prevalente di canali corti ma anche più
lunghi. Ciò consente al consumatore di approvvigionarsi in tipologie differenziate di
punti vendita, tra cui l’acquisto diretto in azienda. Le aspettative degli imprenditori
sono moderatamente positive e la domanda finale appare in forte crescita.
Sul fronte dei punti di debolezza, la filiera è ancora poco equilibrata sotto il profi-
lo territoriale, con i luoghi di produzione che sono distanti da quelli di consumo.
Inoltre la parte agricola della filiera sembra essere quella che accusa le maggiori
difficoltà, con la produzione e le vendite che risultano almeno in parte in calo e i prez-
zi di vendita non remunerativi.
Anche se le aziende agricole sono in prevalenza specializzate, prevalgono unità
produttive che non sono di grandi dimensioni, non essendovi ancora livelli adeguati di
produzione idonei a competere in modo efficiente sul mercato.
Più a valle della filiera, si registra un basso tasso di specializzazione delle indu-
strie di trasformazione di maggiore dimensione, che si abbina ad un ruolo in prevalen-
za marginale dell’olio biologico nella strategia delle aziende di trasformazione stesse.
161
162
Anche per i motivi sopra esposti, tutta la filiera è pervasa da un minore ottimismo
rispetto ad altri comparti sull’andamento delle principali variabili economiche nel
2006.
Nel complesso però si può concludere che la filiera dell’olio biologico, pur pre-
sentando ancora al momento qualche difficoltà a livello di produzione primaria e pur
mostrando una non ancora ottimale efficienza delle strutture di trasformazione, può
negli anni a venire ottenere buoni successi sul mercato, dovuti ad una domanda cre-
scente del consumatore e ad un possibile rialzo delle richieste provenienti dall’estero
che presentano ancora margini per crescere ancora.
Tabella 7.44b - I punti di forza e debolezza nella filiera olivicola bio
PUNTI DI FORZA
• Alto grado di specializzazione nel biologico e
nella olivicoltura delle aziende di produzione
e integrate;
• Prevalenza di aziende specializzate anche se
piccole;
• Filiera strutturata con canali corti e lunghi;
• Domanda crescente da parte del consumatore
finale;
• Prospettive per il futuro da parte degli opera-
tori moderatamente positive.
PUNTI DI DEBOLEZZA
• Filiera poco equilibrata sotto il profilo territo-
riale per la produzione, il mercato e i consu-
mi;
• Produzione in parte in calo;
• Prezzi non remunerativi;
• Basso tasso di specializzazione delle industrie
di trasformazione di maggiore dimensione;
• Ruolo in prevalenza marginale dell’olio biolo-
gico nella strategia delle aziende di trasforma-
zione;
• Vendite in parte in calo nella fase agricola
della filiera;
• Minore ottimismo rispetto ad altre filiere sul-
l’andamento delle principali variabili econo-
miche da parte degli operatori nel 2006;
• Ancora basso ricorso alle vendite all’estero.
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
7.3 -La filiera dell’ortofrutta biologica
7.3.1 - La produzione primaria
Le coltureNella filiera dell’ortofrutta sono state intevistate 82 aziende agricole, di cui 54
frutticole e 28 orticole. Di esse, 60 sono piccole (40 che producono frutta e 20 che of-
frono ortaggi), 19 medie (12 e 7) e 3 di grande dimensione (2 e 1).
Riguardo alla Sau bio di tali aziende, essa è risultata pari a 1.951 ettari (1.189 per
le frutticole e 762 per le orticole), con una dimensione media quindi di circa 24 ettari
(22 la frutta, 27 gli ortaggi).
163
Il grado di specializzazione53 sul biologico delle aziende monitorate è molto elevato,
in quanto rapportando la Sau bio a quella complessiva (bio+non bio), che è pari a 2.122
ettari, si ottiene un’incidenza del biologico pari al 92%.
Tale incidenza sale ad oltre il 98% per la frutta e scende all’83% per gli ortaggi.
Gli ettari a ortofrutta bio sono invece 1.197 (740 la frutta, 457 gli ortaggi) con un’inci-
denza media sulla superficie complessiva destinata al biologico del 61% (62,2% la
frutta, 60% gli ortaggi), meno elevata rispetto ad altre filiere, come ad esempio quella
dell’olivo o della vite.
Dall’incrocio tra la classe dimensionale e la specializzazione in ortofrutta bio sca-
turisce la classificazione in tipologie aziendali che si riporta nella Tabella 7.45, in cui
si evidenzia il numero di aziende e la relativa superficie bio, abbinato con delle classi
di Sau aziendale complessiva.
Dalla tabella si nota che per quanto riguarda la frutta prevalgono le piccole azien-
de specializzate, mentre per gli ortaggi sono preminenti sempre le piccole ma non spe-
cializzate. In termini di Sau, invece, prevalgono evidentemente le aziende medio-gran-
di in tutti e due i comparti, anche se non sono numerose e a primeggiare sono quelle
non specializzate.
La superficie a frutta ed ortaggi bio invece è distribuita in relazione alle classi di
tipologia aziendale come mostrano le figure che seguono e che indicano una prevalen-
za di aziende medio-grandi e specializzate.
Tabella 7.45a - Frutta - Distribuzione delle aziende frutticole bio del panel per tipologia e classe aziendale(in numero di aziende ed ettari)
TIPOLOGIA AZIENDALESAU aziendale Medio grandi non spec. Medio grandi spec. Piccole non spec. Piccole specializzate Totale
aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio< 10 ettari 0 0 0 0 1 2 17 90 18 91
10-28 ettari 0 0 0 0 8 151 14 186 22 337
>28 ettari 9 544 5 217 0 0 0 0 14 761
Totale 9 544 5 217 9 153 31 276 54 1189
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.45b - Ortaggi - Distribuzione delle aziende orticole bio del panel per tipologia e classe aziendale(in numero di aziende ed ettari)
TIPOLOGIA AZIENDALESAU aziendale Medio grandi non spec. Medio grandi spec. Piccole non spec. Piccole specializzate Totale
aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio< 10 ettari 0 0 0 0 5 21 5 31 10 52
10-28 ettari 0 0 0 0 8 110 1 10 9 120
>28 ettari 6 342 2 245 0 0 1 3 9 590
Totale 6 342 2 245 13 131 7 44 28 762
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
164
La restante superficie a colture biologiche è destinata per le aziende frutticole so-
prattutto ad olivo (17 aziende), seguito da cereali (9), vite (8) e orticole (7), mentre in
sole due aziende si ritrovano colture foraggere o industriali. Dal punto di vista delle
superfici, risultano prevalenti quelle a olivo (179 ettari), cereali (111) e foraggere av-
vicendate e permanenti (74).
Per quanto riguarda le aziende orticole, le superfici rimanenti riguardano soprat-
tutto la frutta (13 aziende), i cereali (9) e l’olivo (7). In merito alle superfici, risultano
prevalenti quelle a cereali (134 ettari), frutta (83) e olivo (53).
Per quanto concerne gli allevamenti, questi sono presenti in 6 aziende frutticole e
3 orticole. In particolare si tratta in prevalenza di allevamenti bovini soprattutto da lat-
te (4 aziende nel complesso tra i due comparti) ma anche da carne (3); altre aziende
presentano invece dei capi ovicaprini e suini (3 in entrambi i casi).
Nell’ambito delle unità produttive che presentano anche allevamenti, il numero
medio di capi più elevato si ha nel caso dei bovini da carne (27 capi).
Medio grandinon spec.33%
Medio grandispec.24%
Piccolenon spec.
8%
Piccole specializzate35%
Figura 7.39a - Distribuzione della SAU a frutta bio per tipologia aziendale
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Medio grandinon spec.34%
Medio grandispec.47%
Piccolenon spec.
10%
Piccole specializzate9%
Figura 7.39b - Distribuzione della SAU a ortaggi bio per tipologia aziendale
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
165
Le aziende intervistate sono collocate prevalentemente nel Sud e nelle Isole (60%
circa nel complesso, con un 68,5% per le frutticole e un 43% per le orticole), circo-
scrizione seguita a larga distanza, quasi con la stessa incidenza (del 15-16%), dalle
aree del Centro e dal Nord Est (Figure 7.40 a-b).
Dall’analisi più specifica dei dati si nota che nell’area più rappresentativa, quella
del Sud e delle Isole mentre per la frutta a prevalere sono aziende specializzate, in
gran parte piccole, per gli ortaggi è preminente la presenza di unità produttive non
specializzate, indipendentemente dalla dimensione.
La localizzazione delle aziende è in leggera prevalenza in collina (39 aziende nel
complesso, tra ortaggi e frutta) rispetto a quelle collocate in zone di pianura (35),
mentre quelle presenti in montagna sono appena 8 su 82.
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole0
5
10
15
20
25
30
35
40
Piccole specializzate
Piccole non specializzate
Medio grandi specializzate
Medio grandi non specializzate
nune
ro a
ziend
e ril
evat
e
Figura 7.40a - Distribuzione territoriale delle aziende frutticole bio del panel(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole
0
2
4
6
8
10
12
Piccole specializzate
Piccole non specializzate
Medio grandi specializzate
Medio grandi non specializzatenune
ro a
zien
de r
ileva
te
Figura 7.40b - Distribuzione territoriale delle aziende orticole bio del panel(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
166
Scendendo nel dettaglio regionale, la maggiore presenza si ha per la frutta so-
prattutto in Sicilia (19 aziende), seguita a larga distanza da Calabria (6), Puglia (5)
e Emilia Romagna (5), mentre per gli ortaggi prevalgono nell’ordine ancora Sicilia,
Puglia e Emilia Romagna anche se con una predominio meno spiccato della Sicilia.
Le trasformazioni aziendaliSette aziende su 82 (l’8,5%) si occupano anche della trasformazione dei propri
prodotti aziendali. Se tuttavia si va a indagare sull’incidenza in termini di Sau a orto-
frutta biologica di tali aziende si scende al 5,3% (104 ettari su un totale di 1.951), dato
che mette quindi in evidenza come la dimensione media delle aziende che producono
il prodotto sia più elevata (24 contro 15 ettari) di quelle che si occupano anche della
fase di trasformazione.
Tabella 7.46a - Frutta bio - Aziende di produzione/trasformazione del panel e relativaSau per tipologia
TIPOLOGIA AZIENDALE Aziende (n.) SAU a frutta bio (ha)Piccole non specializzate 1 6
Piccole specializzate 3 29
Totale 4 35
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.46b - Ortaggi bio - Aziende di produzione/trasformazione del panel e relativaSau per tipologia
TIPOLOGIA AZIENDALE Aziende (n.) SAU a frutta bio (ha)Piccole specializzate 1 10
Medio grandi non specializzate 2 59
Totale 3 69
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
I prodotti ottenutiIl prodotto che incide maggiormente sul fatturato complessivo è rappresentato dal-
le arance con 16 citazioni, seguito dalle albicocche con 8 e dai pomodori da mensa
con 7. Più indietro nella graduatoria figurano le castagne, le ciliegie, le mele e le pata-
te con 4. Con tre citazioni, infine, figura una lunga lista di prodotti quasi tutti fruttico-
li, tra cui kiwi, mandorle, nocciole e pesche.
Come secondo prodotto in ordine di importanza sono citati soprattutto i pomodori
da mensa e i limoni, prodotto quest’ultimo che figurava molto indietro nella graduato-
ria dei prodotti principali. Al terzo posto sono stati classificati con leggera prevalenza
sugli altri e a pari merito melanzane, patate e peperoni.
167
L’andamento della produzioneLa resa media in prodotti ortofrutticoli registrata è di 168 quintali per ettaro, ma
questi scendono a 115 per la frutta e salgono a 221 per gli ortaggi. La distribuzione
del numero di aziende in base alla resa è molto differente a seconda dei comparti.
Per la frutta in 12 casi nelle aziende intervistate non si oltrepassano i 20 quintali, in al-
tri 18 la produzione si attesta tra i 30 ed i 200 e in ben 13 si va oltre i 250 quintali/ettaro.
Per gli ortaggi soltanto 2 aziende presentano una resa non superiore ai 15 quintali,
mentre in altre 10 la produzione si attesta tra i 70 ed i 200 e in 6 è maggiore o uguale
a 240 quintali/ettaro.
L’andamento della produzione è risultato stabile nella maggior parte delle aziende
intervistate.
In particolare riguardo alla frutta il 54% dei rispondenti ritiene che la produzione
nell’ultimo anno sia rimasta stabile, il 35% la giudica in diminuzione, mentre solo per
l’11% delle aziende viene segnalato un incremento (Figura 7.42a).
I giudizi sulla stabilità sono invece molto più frequenti nella filiera degli ortaggi
bio (81%), a discapito di quelli sulla diminuzione che scendono al 15%, mentre molto
limitati restano quelli sull’aumento (4%).
aran
ce
albi
cocc
he
pom
da
m
cast
ag
cilie
gie
mel
e
pata
te
kiwi
man
d
nocc
pesc
he
lattu
ghe
mel
oni
limon
i
caro
te
finoc altri
0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
16
87
4 4 4 43 3 3 3 3 3
2 2 2
11
Figura 7.41 - Il principale prodotto bio venduto dalle aziende ortofrutticole bio del panel(in numero di citazioni)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Stabile54%
In aumento11%
In diminuzione35%
Figura 7.42a - Andamento della produzione delle aziende frutticole bio nel 2006
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
168
Mezzi tecnici Manodopera Energetici Cause climatiche0
2
4
6
8
10
12
14
16
18
Figura 7.43a - Cause dell’aumento dei costi nel 2006 per le aziende frutticole bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Stabile81%
In aumento4%
In diminuzione15%
Figura 7.42b - Andamento della produzione per le aziende orticole bio nel 2006
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Per quanto riguarda i costi di produzione, questi sono segnalati in aumento nel 2006
da oltre il 63% delle aziende o stabili per il 29,3% degli intervistati, mentre solo per un
7% è stata dichiarata una diminuzione o un’incertezza nello stimare l’andamento.
In particolare per le aziende frutticole i giudizi sull’aumento dei costi di produzio-
ne sono in linea con l’andamento medio del comparto ortofrutticolo nel complesso,
quelli sulla stabilità sono inferiori alla media e quelli sulla diminuzione superiori. Per
le aziende orticole, invece, gli intervistati hanno sempre espresso giudizi sull’aumento
o sulla stabilità in percentuali superiori alla media del comparto ortofrutta.
Traspare pertanto un maggiore ottimismo nelle aziende orticole rispetto a quelle
frutticole.
Le cause degli aumenti dei costi sono riconducibili in prevalenza all’incremento di
quello dei mezzi tecnici (40,8%), mentre con un’incidenza intorno al 26-27% figurano
i maggiori costi per l’energia e la manodopera.
Per la frutta le cause riconducibili all’aumento dei costi dei mezzi tecnici di pro-
duzione e energetici sono indicate in percentuale inferiore alla media, mentre per
quelli della manodopera l’incidenza è superiore.
L’esatto opposto avviene invece per gli ortaggi.
169
Riguardo alle intenzioni delle aziende di effettuare innovazioni in futuro, la gran parte
delle aziende contattate non intende apportarne alcuna al proprio sistema produttivo.
Tra quelle invece che hanno segnalato questa intenzione, nel comparto frutticolo
un 10% degli intervistati ha intenzione di aumentare la Sau bio, mentre un 6% vuole
introdurre nuove varietà.
Nel comparto orticolo invece prevalgono nella stessa misura (12,5%) aziende che inten-
dono introdurre la meccanizzazione dei processi o realizzare innovazioni che riguardano le
fasi più a valle della produzione, come la trasformazione del prodotto e la vendita diretta. Di
poco inferiore (9,4%) il peso di chi tra queste aziende ha intenzione di aumentare la Sau bio.
Tabella 7.47a - Frutta bio - Innovazioni da introdurre nei prossimi anni da parte delle aziende fruttico-le bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Nessuna 22 6 3 6 37
Vendita diretta 0 0 1 0 1
Trasformazione dei prodotti 3 0 0 0 3
Aumento SAU bio 3 2 0 1 6
Cambio di indirizzo produttivo 2 0 0 1 3
Introdurre nuove varietà 3 0 1 0 4
Meccanizzazione 1 1 0 0 2
Smettere la coltivazione bio 0 0 0 1 1
Introduzione della serra 0 0 0 1 1
Altro 0 0 1 0 1
Totale 34 9 6 10 59
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Mezzi tecnici Energetici Manodopera Maggiore incidenzadel costo
dell'irrigazione
0
2
4
6
8
10
12
14
Figura 7.43b - Cause dell’aumento dei costi nel 2006 per le aziende orticole bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
170
7.3.2 - Il mercato alla produzione
I canali commerciali e aree di mercatoLa percentuale più elevata delle aziende intervistate vende a cooperative (35,6%) o
a grossisti nazionali (23,8%), mentre quasi un 20% vende direttamente al consumatore
finale. Gli altri canali detengono invece quote molto più contenute.
Per quanto concerne nello specifico la frutta, il peso delle vendite alle cooperative
sale al 39%, circa, mentre scende nel caso della vendita diretta (12%) e rimane in li-
nea con l’andamento medio per i grossisti, con larga prevalenza in tutti i casi di rispo-
ste da parte di piccole aziende specializzate.
Per le aziende orticole invece il peso dei primi due canali è inferiore alla media,
mentre è nettamente superiore (32,4%) nel caso della vendita diretta.
Tabella 7.47b - Ortaggi bio - Innovazioni da introdurre nei prossimi anni da parte delle aziende ortico-le bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Nessuna 3 9 0 2 14
Vendita diretta 2 0 1 1 4
Trasformazione dei prodotti 0 1 1 2 4
Aumento SAU bio 0 1 1 1 3
Cambio di indirizzo produttivo 0 1 0 0 1
Meccanizzazione 4 0 0 0 4
Smettere la coltivazione bio 0 1 0 0 1
Altro 0 0 0 1 1
Totale 9 13 3 7 32
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.48a - Frutta bio - Canali commerciali delle aziende frutticole bio del panel per tipologiaaziendale(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Cooperative 17 4 1 4 26
Grossisti/intermediari nazionali 8 1 2 5 16
Grossisti/intermediari estero 3 0 0 0 3
Gdo 1 3 1 0 5
Aziende di trasformazione 3 0 0 0 3
Negozi specializzati 3 2 0 0 5
Consumatore finale 4 2 1 1 8
Ristoranti-Catering-Bar-Enoteche 1 0 0 0 1
Totale 40 12 5 10 67
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
171
Nel caso degli ortaggi si evidenzia una composizione differenziata delle aziende
che prediligono i principali canali. Nel caso del ricorso alla vendita diretta (canale
principale in questo caso) sono soprattutto le aziende piccole e in particolare non spe-
cializzate a preferirla; nel caso delle cooperative si tratta principalmente di aziende
piccole, indipendentemente dalla specializzazione, mentre per i grossisti nazionali vi è
una leggera prevalenza delle medio grandi non specializzate.
Tabella 7.48b - Ortaggi bio - Canali commerciali delle aziende orticole bio del panel per tipologiaaziendale(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Cooperative 3 4 1 2 10
Grossisti/intermediari nazionali 1 2 2 3 8
Grossisti/intermediari estero 0 0 1 1 2
Gdo 0 0 0 1 1
Aziende di trasformazione 1 0 0 0 1
Negozi specializzati 0 1 0 0 1
Consumatore finale 3 7 0 1 11
Totale 8 14 4 8 34
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.49a - Frutta bio - Le aree di mercato delle aziende frutticole bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Nord 12 2 0 0 14
Centro 6 0 1 2 9
Sud 11 2 1 6 20
Isole 7 5 3 1 16
Totale 36 9 5 9 59
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Le aziende vendono quasi sempre nelle aree dove sono localizzate, in quanto le
percentuali di vendita nelle varie circoscrizioni sono abbastanza simili a quelle relati-
ve alla distribuzione territoriale delle aziende stesse.
Il 51% circa delle aziende vende infatti al Sud e nelle Isole (28% e 23% circa ri-
spettivamente), mentre un 29% lo fa al Nord. La restante quota distribuisce invece i
suoi prodotti al Centro (19,6%).
Per la frutta le quote del Sud e delle Isole sono superiori alla media (Tabella 7.49),
dove prevalgono nettamente aziende piccole, prevalentemente specializzate. Inferiore
alla media invece il peso di Centro e Nord.
Opposto è il caso delle aziende orticole, dove sono presenti in percentuali netta-
mente superiori alla media aziende del Centro-Nord (piccole e principalmente non
172
specializzate), mentre quelle del Sud e delle Isole presentano un peso complessivo che
supera appena il 30%.
In effetti tale distribuzione rispecchia abbastanza bene quella esistente per le omo-
loghe colture convenzionali.
Tabella 7.49b - Ortaggi bio - Le aree di mercato delle aziende orticole bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Nord 3 6 1 3 13
Centro 2 4 0 3 9
Sud 1 1 1 3 6
Isole 1 2 1 1 5
Totale 7 13 3 10 33
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.50a - Andamento del mercato nel 2006 per le aziende frutticole bio del panel(in numero di risposte)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
Stabile 18 5 1 5 29 53,7%
In crescita 2 0 1 0 3 5,6%
In diminuzione 11 4 3 4 22 40,7%
Totale 31 9 5 9 54 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Andamento del mercato, prezzi e aspettativeLe aziende intervistate giudicano l’andamento delle vendite nella loro filiera negli
ultimi 12 mesi in prevalenza stabile (61% delle risposte) o in diminuzione (34%),
mentre solo un 5% le stima in aumento.
Scendendo nel dettaglio, le aziende frutticole sono relativamente più pessimiste in
quanto stimano in maniera più elevata della media una diminuzione del mercato
(40,7%) e meno consistente dell’ortofrutta nel complesso una stabilità dello stesso
(53,7%).
Sono soprattutto le aziende piccole specializzate a esprimere i giudizi sulla stabili-
tà o sulla diminuzione, fenomeno di mercato quest’ultimo che si stima per una buona
quota di aziende in un 20% in meno.
Le cause della diminuzione del mercato sono dovute principalmente a un calo del-
la domanda (54,2%) o in misura minore ad un aumento dei prezzi (20,8%).
Nel caso degli ortaggi invece i 3/4 delle aziende pensa che il mercato sia rimasto
stabile, mentre scende al 21% la percentuale di chi pensa che il mercato sia diminuito
(in media secondo gli intervistati del 31% circa, dovuto al calo della domanda nazio-
173
nale ed estera). Si tratta sempre in prevalenza di aziende piccole e in particolare non
specializzate.
Nella filiera dell’ortofrutta biologica le aziende agricole dichiarano in prevalenza
sulle altre risposte (oltre il 40%) di non incontrare problemi di commercializzazione,
Tabella 7.50b - Andamento del mercato nel 2006 per le aziende orticole bio del panel(in numero di risposte)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
Stabile 4 10 1 6 21 75,0%
In crescita 1 0 0 0 1 3,6%
In diminuzione 2 3 1 0 6 21,4%
Totale 7 13 2 6 28 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Un aumentodei prezzi21%
Un calo delladomandanazionale54%
Concorrenzaestera
4%
Problemimetereologici
4%
Altro17%
Figura 7.44a - Motivazione del decremento di mercato nel 2006 per le aziende frutticole bio
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Un aumentodei prezzi14%
Un calo delladomandanazionale43%
Un calo delladomanda estera
29%
Problemimetereologici
14%
Figura 7.44b - Motivazione del decremento di mercato nel 2006 per le aziende orticole bio
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
174
mentre chi dichiara di incontrarli ritiene che soprattutto il prezzo non remunerativo
(22%) e le difficoltà di collocamento a causa della domanda (16%) siano gli ostacoli
più forti da dover fronteggiare. Meno importanti sono ritenute le difficoltà logistiche
ed organizzative per raggiungere i canali commerciali e quelle relative alla garanzia di
una costanza quantitativa.
Le aziende frutticole ritengono di avere relativamente più problemi di commercia-
lizzazione, visto che la percentuale di chi dichiara di non incontrare difficoltà è più
bassa della media (33% circa). A testimonianza di ciò, le prime due problematiche so-
pra esposte sono superiori ai valori medi, mentre tra le motivazioni a peso più basso le
difficoltà logistiche ed organizzative presentano un’incidenza leggermente inferiore
alla media.
Le voci a maggiore frequenza di risposte sono corrispondenti soprattutto, come si
evince dalla Tabella 7.51a, ad aziende piccole, in prevalenza specializzate.
Riguardo alle aziende orticole, traspare un maggiore ottimismo in quanto più
della metà delle aziende ritiene di non incontrare problemi di commercializzazio-
ne, mentre le quote di chi ritiene di doverli affrontare sono molto più basse della
media nel caso degli item più citati e più elevati nel caso di quelli meno importanti.
Si tratta quasi sempre di aziende piccole, più frequentemente non specializzate (Ta-
bella 7.51b).
Tabella 7.51a - Difficoltà incontrate nella commercializzazione per le aziende frutticole bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Nessuna 14 3 0 5 22
Prezzo non remunerativo 10 6 3 0 19
Difficoltà di collocamento
a causa della domanda 5 4 2 2 13
Difficoltà a garantire
costanza qualitativa 0 1 0 1 2
Difficoltà a garantire
costanza quantitativa 1 0 1 1 3
Difficoltà logistiche ed
organizzative per raggiungere
i canali commerciali 3 0 1 1 5
Concorrenza da paesi esteri 0 1 0 0 1
Scarso interesse del consumatore 0 0 0 1 1
Altro 0 0 1 0 1
Totale 33 15 8 11 67
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
175
In riferimento ai prezzi alla produzione nel 2006, la gran parte delle aziende ritie-
ne che essi siano rimasti stabili, mentre un 25-26% (composto quasi esclusivamente
da aziende frutticole) pensa siano calati. Solo un 13% li considera in aumento.
Dalla combinazione quindi dell’andamento dei costi e dei prezzi emergerebbe in
generale una tendenza alla riduzione della redditività delle aziende di questa filiera,
che può essersi in parte riflesso sulla non brillantezza di alcuni indicatori economici
qui commentati.
Per la frutta chi ha espresso tali giudizi sull’andamento dei prezzi rappresenta
in modo preminente aziende piccole e specializzate, mentre per gli ortaggi a pre-
valere sono sempre le aziende di più limitate dimensioni ma con bassa specializ-
zazione.
Tabella 7.51b - Difficoltà incontrate nella commercializzazione per le aziende orticole del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Nessuna 4 9 1 4 18
Prezzo non remunerativo 0 2 1 0 3
Difficoltà di collocamento
a causa della domanda 0 1 0 2 3
Difficoltà a garantire
costanza qualitativa 0 2 0 0 2
Difficoltà a garantire
costanza quantitativa 2 1 0 0 3
Difficoltà logistiche ed
organizzative per raggiungere
i canali commerciali 1 1 1 0 3
Totale 7 16 3 6 32
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.52a - Andamento dei prezzi alla produzione nel 2006 per le aziende frutticole bio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
Sono aumentati 4 2 0 0 6 11,1%
Sono diminuiti 7 4 4 3 18 33,3%
Nessuna variazione 20 3 1 6 30 55,6%
Totale 31 9 5 9 54 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
176
Rispetto all’andamento nei prossimi 2-3 anni del mercato nella filiera ortofrutti-
cola la maggior parte delle aziende intervistate (il 41,5%) pensa che il mercato ri-
marrà più o meno invariato. Un altro 24% sostiene che vi sarà un lieve aumento del-
le vendite, mentre quasi il 10% ritiene che il mercato calerà. Soltanto 2 aziende frut-
ticole pensano che il mercato crescerà di molto. Una quota abbastanza rilevante di
intervistati (22%), inoltre, manifesta incertezza su quale potrà essere l’andamento
futuro del mercato.
Al solito gli intervistati delle aziende frutticole sono più prudenti indicando una
percentuale maggiore della media sulla stazionarietà futura del mercato, una più bassa
sull’aumento e una più elevata sulla diminuzione, pareri espressi soprattutto da azien-
de piccole e specializzate, tipologia che come si è visto caratterizza le aziende frutti-
cole bio.
Più ottimisti gli intervistati delle orticole, dove vi è un peso relativamente maggio-
re di chi pensa che il mercato nella filiera in esame crescerà (soprattutto le aziende
piccole) e minore di chi invece lo stima in flessione.
Tabella 7.52b - Andamento dei prezzi alla produzione nel 2006 per le aziende orticole bio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
I prezzi sono aumentati 1 2 0 2 5 17,9%
I prezzi sono diminuiti 0 2 1 0 3 10,7%
Nessuna variazione 6 9 1 4 20 71,4%
Totale 7 13 2 6 28 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.53a - Previsioni sull’andamento del mercato nei prossimi 2-3 anni per le aziende frutticolebio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
Aumenterà molto
rispetto ad oggi 2 0 0 0 2 3,7%
Aumenterà un po’ 5 1 1 2 9 16,7%
Restererà più o
meno stazionario 16 4 2 3 25 46,3%
Diminuirà un po’ 2 2 1 0 5 9,3%
Diminuirà molto 1 0 0 0 1 1,9%
Non so 5 2 1 4 12 22,2%
Totale 31 9 5 9 54 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
177
7.3.3 - La trasformazione
Il grado di specializzazionePassando alla fase più a valle della filiera, quella della trasformazione, si premette
che sono state prese in considerazione univocamente (senza distinzione tra frutta e or-
taggi) le aziende che preparano ed elaborano frutta e ortaggi anche perché a livello di
trasformazione è meno frequente avere aziende specializzate esclusivamente o preva-
lentemente nell’uno o nell’altro comparto.
Le imprese della fase di trasformazione della filiera ortofrutticola (29 in totale)
presentano un grado di specializzazione54 abbastanza alto nel comparto ortofrutticolo
bio. Ciò è testimoniato dal fatto che la maggioranza delle aziende dichiara di presenta-
re un tasso di specializzazione nel bio abbastanza importante e in un numero di casi
non poco numeroso. Tuttavia non mancano aziende con un tasso di specializzazione
nel biologico definito marginale o limitato (Tabella 7.54).
A conferma di quanto detto finora, sulle 29 aziende intervistate solo 3 producono
Tabella 7.53b - Previsioni sull’andamento del mercato nei prossimi 2-3 anni per le aziende orticole delpanel(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
Aumenterà un po’ 5 4 1 1 11 39,3%
Resterà più o
meno stazionario 0 5 1 3 9 32,1%
Diminuirà un po’ 1 0 0 0 1 3,6%
Diminuirà molto 0 1 0 0 1 3,6%
Non so 1 3 0 2 6 21,4%
Totale 7 13 2 6 28 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.54 - Il grado di specializzazione delle imprese di trasformazione ortofrutticola bio del panel(in numero di aziende)
Grado di incidenza Piccole Piccole a Medie Medie Grandi a Grandi adel bio sul totale a bassa spec. a bassa a spec. bassa spec. In % suldelle vendite spec. medio-alta spec. medio-alta spec. medio-alta Totale totaleMarginale (<=5%) 2 0 4 0 3 0 9 31,0%
Limitata (6-20%) 2 0 2 0 1 0 5 17,2%
Significativa (21-50%) 0 1 0 0 0 4 5 17,2%
Elevata (51-70%) 0 0 0 2 0 0 2 6,9%
Molto elevata (>=71%) 0 4 0 3 0 1 8 27,6%
Totale 4 5 6 5 4 5 29 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
178
altri prodotti oltre l’ortofrutta fresca e trasformata. In particolare due producono olio e
la terza formaggi.
Quando sono presenti altri prodotti, le produzioni ortofrutticole bio incidono per
oltre il 50% sul totale del fatturato aziendale evidenziando il fatto che l’ortofrutta an-
che quando non è l’unico prodotto aziendale è comunque sempre prevalente. Se co-
munque si va ad analizzare il peso dell’ortofrutta biologica (fresca e trasformata) sul
totale dell’ortofrutta prodotta si nota come in media le aziende presentino un peso pari
al 42% circa.
Dalla Figura 7.45, inoltre si deduce che la maggioranza delle imprese a più elevata
incidenza del bio sul totale delle vendite si concentri maggiormente nel Centro-Sud e
nelle Isole, mentre per quelle a più basso peso del bio, sono presenti di più nelle regio-
ni del Nord e in particolare nel Nord Est.
0
5
10
15
20
25
30
Marginale (<=5% )
Limitata (6-20%)
Significativa (21-50%
Elevata (51-70% )
)
)Molto elevata (>=71%
Nord EstNord Ovest Centro + Sardegna Sud + Sicilia Totale
Figura 7.45 - Localizzazione delle imprese di trasformazione ortofrutticola bio del panelper specializzazione(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
La produzione principale delle aziende rilevate è rappresentata soprattutto da aran-
ce (4 aziende, soprattutto piccole a specializzazione alta, le citano come principale
prodotto che incide maggiormente sul fatturato aziendale), seguite dalle albicocche (2
risposte), dalle mele (2). Questi prodotti, come si è visto, non a caso sono anche quelli
tra i più venduti dalle aziende agricole.
Seguono le confetture (2) che sono anche il primo prodotto più propriamente trasfor-
mato citato e molti altri prodotti con una sola citazione come primo prodotto, tra cui da-
di per brodo, frutta secca disidratata, passate e polpa di pomodoro, purea e succhi di
frutta. Tra i secondi prodotti citati, figurano tra la frutta, le arance, i kiwi e i limoni e la
purea e i succhi di frutta, mentre tra gli ortaggi i pomodori da mensa e in polpa.
Come terzo prodotto più venduto spiccano ancora i pomodori da mensa e in polpa
e le confetture.
179
L’approvvigionamento delle materie primeSedici aziende su trentacinque si approvvigionano presso aziende agricole, mentre
otto fanno ricorso a cooperative e consorzi. Relativamente meno diffusa (in 5 casi)
l’autoproduzione e il ricorso a grossisti (quattro aziende).
Aziende agricole Cooperativee consorzi
Grossisti Autoproduzione Altro0
2
4
6
8
10
12
14
16
Piccole a bassa spec.
Piccole a spec. medio-alta
Medie a bassa spec.
Medie a spec. medio-alta
Grandi a bassa spec.
Grandi a spec. medio-alta
Figura 7.46 - L’approvvigionamento della materia prima delle imprese di trasformazioneortofrutticola bio del panel(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
L’autoproduzione sembra escludere il ricorso a materie prime provenienti da altre impre-
se se non quelle agricole. Infatti in tre casi su cinque in cui viene dichiarata l’autoproduzione
non risultano altri fornitori al di fuori delle aziende agricole che probabilmente hanno inten-
zione soltanto di integrare la loro produzione con quella di altre unità produttive primarie.
Il numero medio di fornitori è di 93, ma in 20 casi su 28 non si superano i 10.
La provenienza della materia prima è in media prevalentemente di origine locale o
regionale (47,6% delle risposte), ma per un 44% proviene anche dall’intero territorio
nazionale. Il ricorso al prodotto di importazione avviene invece per il restante 8,4%.
Nell’ambito dell’approvvigionamento a livello locale e regionale, ben 10 aziende
su 29 effettuano i loro acquisti esclusivamente in queste aree, mentre è da notare come
un altro nutrito gruppo (9 aziende) non acquisti per nulla a livello locale/regionale ma
soltanto su tutto il territorio nazionale e/o all’estero. Tale comportamento opposto è in
prevalenza tipico di aziende di media dimensione a specializzazione bassa.
Le imprese (in particolare le medio-piccole a specializzazione bassa e le piccole
ad elevata specializzazione) non hanno segnalato particolari difficoltà nell’approvvi-
gionamento di prodotti bio: il 62% degli intervistati dichiara infatti di non incontrare
problemi. Tra le poche aziende che dichiarano di rilevarli, viene invece citata in legge-
ra prevalenza sugli altri la qualità non sempre costante, la fornitura non regolare dei
prodotti, la stagionalità e la presenza di problemi logistici.
Effettuando un confronto con la stessa indagine svolta due anni fa, tramite la
somministrazione dello stesso quesito ad un campione costante di imprese* (9
180
aziende), emerge un relativamente maggiore pessimismo nel 2006. Mentre infatti
nel 2004 nessuna impresa dichiarava di incontrare difficoltà nell’approvvigionamen-
to, ora tre di esse affermano di riscontrarne. Tra i problemi citati, figurano quelli le-
gati alla qualità non sempre costante della materia prima, alle difficoltà logistiche e
alla stagionalità.
L’andamento della produzionePer il 41,5% degli intervistati la produzione di ortofrutta trasformata bio è risultata
stabile o in aumento (stessa percentuale in entrambi i casi), mentre il rimanente 17%
la giudica in diminuzione. Ad esprimere tali pareri sono le aziende più diverse dal
punto di vista della dimensione e della specializzazione.
Ad orientarsi prevalentemente sui giudizi di stabilità sono soprattutto le aziende ri-
cadenti nel Centro, nella Sardegna e nel Nord Est, mentre in riferimento all’aumento
della produzione sono soprattutto le aziende del Sud e della Sicilia a indicare tale ten-
denza, come si osserva dalla Figura 7.47.
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
E' risultata stabile
E' risultata in aumento
E' risultata in diminuzione
Nord EstNord Ovest Centro + Sardegna Sud + Sicilia
Figura 7.47 - Andamento della produzione nel 2006 per le aziende di trasformazione or-tofrutticola bio del panel distinte per area geografica(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.55 - Andamento della produzione nel 2006 per le aziende di trasformazione ortofrutticola bio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole a Medie Medie Grandi a Grandi aa bassa spec. a bassa a spec. bassa spec. In % sul
spec. medio-alta spec. medio-alta spec. medio-alta Totale totaleÈ risultata stabile 2 2 2 2 2 2 12 41,4%
È risultata in aumento 1 3 1 3 1 3 12 41,4%
È risultata in diminuzione 1 0 3 0 1 0 5 17,2%
Totale 4 5 6 5 4 5 29 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
181
Tra i fattori che hanno determinato l’aumento della produzione, spicca la maggio-
re domanda del mercato (Figura 7.48), seguita a larga distanza dalla maggiore specia-
lizzazione nel biologico e dalle maggiori rese.
Maggiorespecializzazionenel biologico2
Maggiore domandada parte del mercato
9
Maggioreresa
1
Figura 7.48 - Fattori che hanno determinato un aumento della produzione nel 2006 perle aziende di trasformazione ortofrutticole bio del panel
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Premesso che il 45% dei rispondenti non incontra problemi di produzione, tra
quelle che li riscontrano i più ricorrenti risultano essere, come in altre filiere, il reperi-
mento della materia prima, e la difficoltà a garantire determinati standard qualitativi,
senza che vi sia una specifica tipologia di di azienda ad esprimere tali orientamenti.
Sul fronte dei costi di produzione, il 62% degli intervistati dichiara che essi sono
aumentati nel 2006, mentre il 34% li ritiene stabili.
Soltanto un’azienda dichiara invece di non sapere precisamente quale sia stato l’anda-
mento dei costi di produzione, mentre non figurano aziende che rilevano un calo dei costi.
Ciò conferma quanto emergeva a livello di produzione primaria quando molte
aziende indicavano un aumento o al massimo una stabilità dei costi.
7.3.4 - Il mercato dei prodotti trasformati
I canali di venditaQuasi la metà delle aziende intervistate vende la sua produzione ai grossisti (per
quasi un 28% ai grossisti generici e per il 19,5% a quelli specializzati nel bio). Ciò ac-
cade soprattutto nelle aziende medie (e in misura minore, piccole) a specializzazione
bassa e nelle aree del Nord Est e meridionali.
Il secondo canale per importanza è rappresentato, a pari merito, dalla Gdo (a cui si
rivolgono soprattutto aziende grandi a specializzazione bassa del Centro-Sud) e da al-
tre aziende di trasformazione, che hanno ciascuna un peso del 19,4% sul totale.
182
Segue poi la vendita diretta al consumatore finale, con un peso del 5,6% e presente
soltanto nelle aziende medie a specializzazione medio-alta, mentre un’incidenza più
limitata (2,8%) presentano i negozi specializzati e la ristorazione commerciale.
Anche in questa filiera, quindi, il passaggio diretto azienda di trasformazione-negozio
specializzato è poco frequente, in quanto solo un’azienda di medie dimensioni a elevata
specializzazione ha dichiarato di utilizzare tale canale per la vendita dei propri prodotti.
Effettuando un confronto a campione costante con i canali di vendita indicati dalle
aziende nell’indagine di due anni fa, emerge una quasi identica preferenza espressa
dalle aziende intervistate. Nel 2006 si ha soltanto una diversificazione maggiore, in
0
2
4
6
8
10
12
Grossisti generici
Grossisti specializzati bio
GDO
Aziende di trasformazione
Consumatore finale
Negozi specializzati bio
Ristoranti
Altro
Nord EstNord Ovest Centro + Sardegna Sud + Sicilia
Figura 7.49 - I canali di vendita delle aziende di trasformazione ortofrutticola bio del pa-nel distinte per area geografica(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.56 - I canali di vendita delle aziende di trasformazione ortofrutticola bio del panel(in numero di aziende, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole a Medie Medie Grandi a Grandi aa bassa spec. a bassa a spec. bassa spec.
spec. medio-alta spec. medio-alta spec. medio-alta TotaleGrossisti generici 3 2 4 0 0 1 10
Grossisti specializzati bio 0 1 2 3 0 1 7
Gdo 0 1 0 1 3 2 7
Aziende di trasformazione 0 1 1 1 2 2 7
Consumatore finale 0 0 0 2 0 0 2
Negozi specializzati bio 0 0 0 1 0 0 1
Ristoranti 0 0 1 0 0 0 1
Altro 1 0 0 0 0 0 1
Totale 4 5 8 8 5 6 36
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
183
quanto le imprese hanno attribuito un minor peso ai negozi specializzati a favore di al-
tri canali quali la vendita diretta.
In relazione al numero di clienti delle aziende di trasformazione, 18 aziende su 27
presentano un numero non superiore a 50, di cui 12 non oltrepassano le 10 unità. Le
restanti aziende possiedono un numero di clienti tra 51 e 100 (4) e oltre 100 (2); infine
tre aziende hanno dichiarato di avere più di 1.000 clienti.
In media le aziende di trasformazione ortofrutticola vendono in una percentuale
pari ad oltre il 45% sul mercato nazionale, per un 39% sui mercati esteri e solo per il
restante 15,4% sui mercati locali e regionali.P
icco
le a
bas
sa s
pec.
Pic
cole
a s
pec.
med
io-a
lta
Med
ie a
bas
sa s
pec.
Med
ie a
spe
c. m
edio
-alta
Gra
ndi a
bas
sa s
pec.
Gra
ndi a
spe
c. m
edio
-alta
Tota
le
Locale-regionale
Nazionale
Estero
2
3
2
3
5
5
4
4
3
4
3
2
4
3
3
5
5
13
25
22
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Figura 7.50 - La specializzazione di mercato delle aziende di trasformazione ortofrutti-cola bio(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Quindi le aziende di trasformazione ortofrutticola hanno una forte vocazione all’espor-
tazione, guidata dalla buona domanda per questi prodotti da parte di paesi anche nordeuro-
pei, dove la produzione ortofrutticola per evidenti motivi climatici non è sviluppata.
Tra le aziende che vendono sul mercato nazionale, è da notare come vi sia un
gruppo di aziende (4) che vende tutta la produzione sull’intero mercato interno; al
contrario, figurano altrettante aziende che non vendono prodotto sull’intero mercato
nazionale, limitandosi a venderlo soltanto a livello locale/regionale e/o all’estero. Si
tratta di aziende in prevalenza medie a specializzazione bassa.
Tra le imprese di trasformazione che esportano, 4 vendono all’estero il 50% della
loro produzione e altrettante il 20%. Tre aziende invece esportano il 60% dell’orto-
frutta prodotta. Invece 7 aziende non esportano per nulla.
184
Al contrario due aziende (medie a specializzazione bassa) esportano l’intera pro-
duzione ortofrutticola all’estero.
Dall’analisi più approfondita dei dati si può notare che le aziende che esportano in
percentuali uguali o superiori al 50% sono rappresentate da aziende piccole ad elevata
specializzazione e medio-grandi a specializzazione meno forte.
Il principali mercati di destinazione tra chi vende all’estero sono senza dubbio eu-
ropei: il 72% delle esportazioni è diretto verso paesi della Ue. In particolare il primo
paese destinatario è la Germania con un peso del 33%, seguita dalla Francia e dal Re-
gno Unito con uno del 13-14% ciascuno.
Il primo paese extra-Ue destinatario dell’export è rappresentato dagli USA con
l’11% e dal Giappone (5,6%), mentre più staccate figurano nazioni quali la Svizzera e
l’Australia (1,9% per entrambe).
Infine ben 16 aziende intervistate non vendono sul mercato locale/regionale (di cui
6 medie a specializzazione bassa), mentre due soltanto vendono l’intera produzione
nelle aree immediatamente limitrofe alla loro ubicazione produttiva.
Andamento del mercatoNella filiera dell’ortofrutta bio le vendite nel 2006 sono risultate per quasi l’83%
degli intervistati stabili o in crescita (il 45% ritiene siano state stazionarie e un 38% in
aumento). Soltanto il rimanente 17% ritiene che siano diminuite.
Tabella 7.57 - Andamento delle vendite nel 2006 per le aziende di trasformazione ortofrutticola bio del panel (in numero di aziende)
Piccole Piccole a Medie Medie Grandi a Grandi aa bassa spec. a bassa a spec. bassa spec. In % sul
spec. medio-alta spec. medio-alta spec. medio-alta Totale totaleIn crescita 1 2 2 2 1 3 11 37,9%
Stabili 3 2 3 3 1 1 13 44,8%
In diminuzione 0 1 1 0 2 1 5 17,2%
Totale 4 5 6 5 4 5 29 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Soprattutto le aziende a specializzazione bassa (medio-piccole) ritengono le vendi-
te stabili, mentre le grandi a specializzazione medio-alta prevalgono nei giudizi sul-
l’aumento. L’incremento delle vendite, per la maggior parte di chi lo dichiara, dipende
secondo gli intervistati dalla maggiore domanda, mentre in misura molto minore dal
contenimento dei prezzi delle materie prime.
Rispetto a quanto risposto allo stesso quesito nell’indagine di due anni fa, le azien-
de si sono orientate nel 2006 di meno verso la stabilità del mercato a favore soprattut-
to della sua crescita ma anche della sua diminuzione.
L’andamento della domanda sembra non esser stato influenzato dall’andamento dei
prezzi che per tutti gli intervistati sarebbero rimasti in prevalenza stabili (72%). Il 21% li
ritiene in aumento, mentre sole due aziende (il 7% del totale) li stimano in diminuzione.
185
Più della metà delle aziende intervistate dichiara di non incontrare difficoltà nella
commercializzazione, non riscontrando problemi sul fronte delle vendite (soprattutto
le piccole e medie imprese a specializzazione bassa).
Tra il restante 47% che pensa al contrario di incontrarle, figurano tra le voci più
citate il prezzo non remunerativo rispetto ai costi e la difficoltà di collocamento del
prodotto. Un minor peso hanno la diffidenza del consumatore, la scarsa informazione
dello stesso e la difficoltà a garantire una costanza qualitativa dell’offerta.
Il posizionamento sul mercatoIl ruolo della filiera dell’ortofrutta biologica nella strategia delle imprese intervi-
state è prevalentemente centrale (45% delle risposte), soprattutto per le aziende me-
dio-piccole specializzate, mentre per un 20% il biologico è soltanto una forma di dif-
ferenziazione e completamento della gamma d’offerta (principalmente per le medie a
bassa specializzazione). Per il restante 34% il bio ha un ruolo soltanto marginale o di
nicchia.
Viene ancora quindi confermato il ruolo importante del bio prevalentemente nelle
aziende di più limitate dimensioni e ad elevata specializzazione.
Tabella 7.58 - Il ruolo del’ortofrutta bio nella strategia delle aziende di trasformazione del comparto(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole a Medie Medie Grandi a Grandi aa bassa spec. a bassa a spec. bassa spec. In % sul
spec. medio-alta spec. medio-alta spec. medio-alta Totale totaleCentrale (prodotto
strategico,
d’immagine, ecc.) 0 5 0 5 1 2 13 44,8%
Differenziazione e
completamento
della gamma
d’offerta 1 0 3 0 1 1 6 20,7%
Marginale 1 0 1 0 2 1 5 17,2%
Di nicchia 2 0 2 0 0 1 5 17,2%
Totale 4 5 6 5 4 5 29 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
L’ortofrutta bio sembra trovarsi in una fase intermedia del ciclo di vita del prodot-
to. Diciannove aziende su ventinove ritengono che i relativi prodotti si trovino in una
fase di maturità, mentre 6 aziende pensano che si collochino in una fase di lancio. Sol-
tanto 3 dichiarano invece il raggiungimento di una fase di declino.
L’ortofrutta bio viene commercializzata in quasi il 50% dei casi con il marchio
dell’azienda produttrice, ma vi è anche un numero di aziende abbastanza cospicuo (il
25% del totale) che lo commercializza con il marchio di un’altra azienda o senza mar-
chio (20%). Da notare che solo 3 aziende commercializzano il prodotto con il marchio
private label della Gdo.
186
Incrociando la strategia aziendale con il posizionamento del prodotto e con la mo-
dalità di commercializzazione si ottiene il quadro che si espone nello schema 7.4.
Si nota innanzitutto che le aziende in cui il biologico gioca un ruolo centrale han-
no in prevalenza prodotti da offrire in una fase di maturità e commercializzano il pro-
dotto o con il proprio marchio o senza marchio. In sei aziende di questo tipo (su 8 to-
tali) la commercializzazione avviene anche con ulteriori marchi, tra cui quelli della
Gdo e quelli di altre aziende. Si tratta evidentemente di aziende che hanno introdotto
sul mercato il prodotto già da qualche tempo e su di esso puntano comunque gran par-
te delle strategie aziendali, volendo valorizzare da una parte l’immagine aziendale tra-
mite l’immissione sul mercato del prodotto con il loro marchio, ma che dall’altra scel-
Tabella 7.59 - Il posizionamento dell’ortofrutta bio nel ciclo di vita del prodotto per le aziende di trasformazio-ne del comparto(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole a Medie Medie Grandi a Grandi aa bassa spec. a bassa a spec. bassa spec. In % sul
spec. medio-alta spec. medio-alta spec. medio-alta Totale totaleLancio 0 2 1 2 1 0 6 20,7%
Maturità 2 3 4 3 2 5 19 65,5%
Declino 1 0 1 0 1 0 3 10,3%
Non so 1 0 0 0 0 0 1 3,4%
Totale 4 5 6 5 4 5 29 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Pic
cole
a b
assa
spe
c.
Pic
cole
a s
pec.
med
io-a
lta
Med
ie a
bas
sa s
pec.
Med
ie a
spe
c. m
edio
-alta
Gra
ndi a
bas
sa s
pec.
Gra
ndi a
spe
c. m
edio
-alta
Tota
le
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Senza marchio
Marchio aziendale
Marchio di altra azienda
Marchio della Gdo
3
1
2
5
2
2
3
3
3
2
2
1
1
1
1
1 1
2
2
1
4
8
19
10
Figura 7.51 - Marchi con cui viene venduta l’ortofrutta trasformata bio dalle impreseproduttrici(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
187
gono anche di commercializzare i prodotti con altri marchi, per acquisire la più ampia
e diversificata clientela possibile.
Vi sono anche cinque aziende che in cui il ruolo dell’ortofrutta bio è sempre cen-
trale ma che giudicano il prodotto in una fase di lancio e che commercializzano, ana-
logamente a quanto sopra, il prodotto con il loro marchio o senza, non disdegnando di
Schema 7.4 - Strategie adottate dalle imprese di trasformazione di ortofrutta bio del panel(ogni riga corrisponde ad un’azienda)
POSIZIONAMENTO DEIPRODOTTI NELLA FASE CICLO MARCHIO MARCHIO MARCHIOSTRATEGIA DI IMPRESA DI VITA UTILIZZATO 1 UTILIZZATO 2 UTILIZZATO 3Centrale Lancio Marchio dell’azienda Marchio di un’altra Marchio della
azienda Gdo
Centrale Lancio Marchio dell’azienda Marchio di un’altra
azienda
Centrale Lancio Marchio dell’azienda
Centrale Lancio Senza marchio
Centrale Lancio Senza marchio
Centrale Maturità Marchio dell’azienda Marchio della Gdo
Centrale Maturità Marchio dell’azienda Marchio della Gdo
Centrale Maturità Marchio dell’azienda
Centrale Maturità Marchio dell’azienda Marchio di un’altra
azienda
Centrale Maturità Marchio di un’altra azienda
Centrale Maturità Senza marchio Marchio dell’azienda
Centrale Maturità Senza marchio Marchio dell’azienda
Centrale Maturità Senza marchio Marchio dell’azienda
Diff. e compl. gamma Lancio Senza marchio
Diff. e compl. gamma Maturità Marchio dell’azienda
Diff. e compl. gamma Maturità Marchio dell’azienda Marchio di un’altra
azienda
Diff. e compl. gamma Maturità Marchio dell’azienda Marchio di un’altra
azienda
Diff. e compl. gamma Maturità Marchio di un’altra azienda
Diff. e compl. gamma Maturità Senza marchio
Marginale Declino Marchio dell’azienda
Marginale Maturità Marchio dell’azienda
Marginale Maturità Marchio di un’altra azienda
Marginale Maturità Marchio di un’altra azienda
Marginale Non so Marchio di un’altra azienda
Di nicchia Declino Marchio dell’azienda
Di nicchia Declino Senza marchio
Di nicchia Maturità Marchio dell’azienda
Di nicchia Maturità Marchio dell’azienda
Di nicchia Maturità Marchio dell’azienda
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
produrre per altri marchi ancora, oltre a quello principale (di altre aziende, della Gdo).
In queso caso si ha a che fare con aziende che hanno intenzione di lanciare il loro pro-
dotto nella maniera più appropriata possibile, essendo ritenuto centrale nelle loro stra-
tegie e cercano quindi di commercializzarlo tramite diversi canali.
Vi è poi un gruppo di aziende in cui il bio ha ruolo di differenziazione e di com-
pletamento di gamma, in cui i relativi prodotti si trovano quasi sempre in una fase di
maturità e in cui prevale la presenza del marchio aziendale e in seconda battuta di
marchi di altre aziende. Le aziende che vi rientrano utilizzano i prodotti ortofrutticoli
bio, che si trovano in una fase intermedia del ciclo di vita, per completare la loro of-
ferta che è comunque valorizzata dall’elevata eccellenza qualitativa del bio, punta di
diamante della produzione aziendale. Quest’ultima è valorizzata principalmente trami-
te il marchio aziendale, senza però trascurare altre opportunità di business fornite dal-
l’integrazione con altri marchi.
Altre aziende ancora ritengono che l’ortofrutta bio abbia un ruolo soltanto margi-
nale e nelle quali essa è giudicata in una fase più avanzata del ciclo di vità (maturità o
declino); in questi casi vi è sempre la presenza di una commercializzazione a marchio
proprio o di altre aziende. Si tratta di aziende in cui il prodotto di punta non è rappre-
sentato dall’ortofrutta bio, anche perché probabilmente i relativi prodotti sono giudi-
cati meno redditizi di altri. Per una ragione di immagine e di fidelizzazione del cliente
essi vengono comunque commercializzati con il marchio aziendale, anche se non
mancano casi in cui vengono utilizzati marchi di altre aziende, al fine di ottimizzare
una produzione che è comunque in una fase non avanzata del ciclo di vita. Non è un
caso che le aziende rientranti in questo gruppo non utilizzino altri marchi ancora per
commercializzare la propria produzione bio, cosa che invece avveniva nelle altre im-
prese in cui il bio presenta un ruolo più importante nelle strategie aziendali.
Considerazioni analoghe si possono fare per l’ultimo gruppo che si può estrapola-
re, che ha caratteristiche molto simili a quello appena descritto. Tuttavia in questo ca-
so il biologico ha un ruolo di nicchia e quindi, sebbene non quantitativamente impor-
tante, ha comunque un ruolo non marginale e degno di essere valorizzato opportuna-
mente con marchio aziendale.
Le aspettativeLe aspettative sulle vendite future (nei prossimi 2-3 anni) nella filiera dell’orto-
frutta bio sembrano essere abbastanza positive. Circa la metà del campione ritiene che
il mercato crescerà, anche se in modo moderato, mentre una quota del 27,5% giudica
il mercato futuro stabile. Un 14% circa ritiene invece che diminuirà.
Rispetto a quanto previsto con lo stesso quesito due anni fa, le aziende nel 2006
hanno fornito risposte meno frequenti sulla stabilità del mercato futuro e non hanno
fornito risposta sull’aumento forte del mercato (che aveva invece nel 2004 un’inciden-
za più elevata). Al contrario, hanno un peso più consistente le risposte su un aumento
moderato del mercato e in misura minore su una diminuzione non eccessiva dello
stesso.
188
189
In merito alle strategie future delle aziende di trasformazione ortofrutticola, il
29,3% di esse (Tabella 7.61) ha intenzione di introdurre nuovi prodotti bio, il 26,8%
di incrementare la produzione bio, mentre il 12,2% di raggiungere nuovi mercati.
Quote più basse riguardano l’incremento-diversificazione della produzione bio con al-
tre filiere bio e introdurre innovazioni di processo, ma anche la diminuzione del ruolo
della filiera bio nell’azienda.
Quasi il 10% delle aziende, infine, dichiara di non voler effettuare nessun cambia-
mento.
Tabella 7.60 - Aspettative di mercato nei prossimi 2-3 anni per le aziende di trasformazione ortofrutticola biodel panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole a Medie Medie Grandi a Grandi aa bassa spec. a bassa a spec. bassa spec. In % sul
spec. medio-alta spec. medio-alta spec. medio-alta Totale totaleAumento moderato 2 3 1 4 3 2 15 51,7%
Stazionario 1 1 2 1 1 2 8 27,6%
Diminuzione moderata 1 1 2 0 0 0 4 13,8%
Non so 0 0 1 0 0 1 2 6,9%
Totale 4 5 6 5 4 5 29 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.61 - Intenzioni future delle aziende di trasformazione ortofrutticola bio del panel(in numero di aziende, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole a Medie Medie Grandi a Grandi aa bassa spec. a bassa a spec. bassa spec.
spec. medio-alta spec. medio-alta spec. medio-alta TotaleIntrodurre nuovi
prodotti bio 1 3 2 2 3 1 12
Incrementare la
produzione bio 1 3 2 0 3 2 11
Raggiungere nuovi mercati 1 0 2 1 0 1 5
Nessun cambiamento 0 0 1 1 1 1 4
Incrementare-diversificare
la produzione bio
(con altre filiere bio) 0 1 0 1 0 0 2
Diminuire il ruolo delle
filiere bio nella sua impresa 1 0 1 0 0 0 2
Introdurre innovazioni
di processo 0 1 0 0 0 1 2
Altro 0 0 0 2 0 0 2
Non so 1 0 0 0 0 0 1
Totale 5 8 8 7 7 6 41
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
7.3.5 - L’intermediazione commercialeLo studio della filiera dell’ortofrutta bio ha considerato anche la fase dell’intermediazio-
ne commerciale che opera in una fase intermedia tra la produzione primaria e la trasfoma-
zione da un lato (descritte precedentemente) e la distribuzione al mercato finale dall’altro. I
grossisti intervistati sono stati tre55, di cui due trattano solo prodotti biologici e uno anche
prodotti convenzionali. Tutti sono specializzati nell’ortofrutta fresca, con una quota media
sulle vendite bio totali dell’87%, mentre nessuno commercializza ortofrutta trasformata.
Per quanto riguarda l’approvvigionamento, gli intervistati si rivolgono in media prin-
cipalmente ad aziende agricole (56,3%) e in secondo luogo a cooperative e consorzi
(24,3%), aziende di trasformazione (12,3%) e in misura minore importatori (7%). In par-
ticolare i grossisti per l’acquisto di ortofrutta bio si orientano verso il mercato nazionale
per una percentuale media dell’87% e verso l’estero per il restante 13%. Considerando il
solo approvvigionamento da operatori nazionali, esso si concentra mediamente nelle Iso-
le (33,3%) e nel Centro (29,3%), mentre quote più contenute riguardano il Sud (23,3%) e
soprattutto il Nord (14%). Riguardo invece ai paesi di origine dell’ortofrutta bio importa-
ta dall’estero, i principali sono Olanda, Danimarca, Spagna, Austria e Marocco.
Per quanto concerne le difficoltà riscontrate nell’approvvigionamento, esse sono
riconducibili principalmente ad una qualità non costante dei prodotti ed in secondo
luogo ad una fornitura non regolare, oltre a problemi di reperibilità.
Passando ai canali di distribuzione, si osserva in media che il 50% delle vendite è
destinato alla Gdo, mentre percentuali minori si registrano per l’HORECA (31,6%), gli
importatori esteri (15%) e i negozi specializzati (3,3%), canale quest’ultimo in cui evi-
dentemente il ruolo del prodotto fresco è ancora limitato. Nella commercializzazione i
grossisti di ortofrutta bio riscontrano difficoltà legate al prezzo non remunerativo rispet-
to ai costi e alla capacità di garantire una costanza qualitativa e quantitativa di prodotto.
In relazione alle sole vendite nazionali, esse si concentrano in media nel Nord
(44,6%) e nel Centro (43,3%), mentre un ruolo minore giocano i mercati del Sud
(8,9%) e delle Isole (3,3%). Anche in questo anello della filiera permane quindi una
certa asimmetria tra i luoghi di acquisto e quelli di vendita.
Per quanto riguarda invece le vendite all’estero, due grossisti su tre dichiarano di esporta-
re e i mercati di riferimento sono la Germania, la Gran Bretagna, l’Austria e la Danimarca.
Tutti gli intervistati affermano che nel 2006 le vendite sono aumentate e che le
prospettive per i prossimi due-tre anni sono di crescita, sia pur moderata.
Anche le strategie future sono piuttosto ottimistiche. Le imprese intervistate, infat-
ti, intendono incrementare l’offerta anche in altre filiere bio, raggiungere nuovi mer-
cati, diversificare i canali di vendita e promuovere maggiormente i loro prodotti.
7.3.6 - La mappatura della filieraLa Figura 7.52 riassume la struttura della filiera dell’ortofrutta bio italiana fin qui
descritta sulla base dei risultati delle indagini effettuate dall’Ismea.
Come si può notare, la filiera è abbastanza articolata, e si compone di canali “cor-
ti” e di canali “lunghi”. I primi sono meno frequenti ed i più tipici sono rappresentati
190
191
dalla vendita diretta effettuata dalle aziende agricole e dai flussi che passano dai tra-
sformatori direttamente alla Gdo.
Da notare, come si è visto in precedenza, che il processo di integrazione in questa
filiera non è molto accentuato. Dai paragrafi fin qui descritti emerge infatti che solo
l’8,5% delle aziende agricole effettua anche attività di trasformazione e che soltanto il
14% delle aziende di trasformazione ricorre all’autoproduzione.
I canali “lunghi” sono invece quelli percorsi in modo più consueto e sono articola-
ti con figure intermedie – cooperazione e grossisti – che operano a valle di aziende e
industrie e che rispettivamente smistano poi il prodotto o su aziende di trasformazione
o sulla grande distribuzione e la ristorazione.
Un altro aspetto da sottolineare è che ben il 22% delle vendite delle aziende di tra-
sformazione passano per altre aziende di trasformazione e che un canale intermedio
che assume una rilevanza non marginale è la commercializzazione da parte delle indu-
strie direttamente sulla Gdo.
Dal punto di vista geografico, la filiera sembra replicare in modo perfetto il classico dua-
lismo strutturale dell’agricoltura biologica italiana. Le aziende agricole sono concentrate al
Sud e nelle Isole. La trasformazione ed il mercato al Centro-Nord. Per le aziende di trasfor-
mazione – dislocate al Centro-Nord – infatti il mercato dell’Italia settentrionale rappresenta
una quota importante del totale. Il Centro-Nord rappresenta inoltre la gran parte del mercato
dei grossisti e quindi dei canali più lunghi, che conducono poi alla Gdo e alla ristorazione.
Da rilevare che l’interscambio con l’estero è piuttosto attivo sia come canale di
vendita – vi si rivolge il 39% delle aziende di trasformazione – sia, in misura minore,
come approvvigionamento poiché rappresenta il 13% della materia prima trattata dai
grossisti. È evidente che la presenza degli importatori, sia pur meno frequente, rende
le filiere lunghe dell’ortofrutta bio ancora più estese.
5,0% 23,8% 5,9% 4,0% 18,8% 5,9%35,6%
0,9%
42,9%
24,3%
7,0%
47,2% 22,2% 19,2% 5,6% 2,8% 2,8%
15,0% 31,6% 50,0%3,3%
Aziende di produzione primaria
Aziende di trasformazione
GDOEstero
CooperazioneImportazioni
Negozispecializzati
Grossisti
Consumatore finale HORECA
Figura 7.52 - I flussi* commerciali della filiera ortofrutticola bio
Tutte le percentuali rappresentano la percentuale delle vendite dei vari operatori.In grigio percentuale degli acquisti di alcuni operatori.*Non è stato possibile quantificare tutti i possibili flussi perchè non sono stati intervistati tutti gli operatori (es.cooperative, importatori, ecc.).Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
192
7.3.7 - I consumi domesticiL’analisi della filiera dell’ortofrutta bio si conclude con il paragrafo relativo ai
consumi sui quali comunque per maggiori approfondimenti si rimanda al capitolo 4.
I consumi di ortofrutta biologica sono stati rilevati al solito dal panel Ismea/ACNiel-
sen il quale distingue tra l’ortofrutta fresca e quella trasformata. Per quanto riguarda la pri-
ma, i dati mostrano come gli acquisti in valore nel complesso siano cresciuti nel 2006 (ri-
spetto al 2005) del 25,3%, con tutti i principali prodotti che fanno registrare incrementi
nelle vendite (Tabella 7.62). In particolare, considerando i prodotti più importanti per con-
sumi in valore, si osservano tassi di crescita positivi superiori alla media per i pomodori
(+27,8%), le mele (+36,9%), le banane (+41,3%), le pesche (+45,4%), le pere (+35,6%) e
l’uva (+39,7%). Variazioni percentuali inferiori al dato complessivo si registrano invece
per le arance (+11,2%), le zucchine (+7,3%), la lattuga (+8,4%) e i fagiolini (+2,9%).
Tabella 7.62 - I consumi domestici nel comparto dell’ortofrutta fresca bio°(in euro)
2005 2006 Var. % 06/05Totale ortofrutta fresca* 604.560.225 757.234.505 25,3%di cui**:Pomodori 41.188.000 52.625.000 27,8%
Mele 35.018.000 47.928.000 36,9%
Arance 28.082.000 31.224.000 11,2%
Banane 20.924.000 29.556.000 41,3%
Pesche 18.526.000 26.944.000 45,4%
Zucchine 23.274.000 24.975.000 7,3%
Pere 18.081.000 24.512.000 35,6%
Uva 15.488.000 21.638.000 39,7%
Lattuga 17.223.000 18.675.000 8,4%
Carciofi 11.874.000 18.434.000 55,2%
Peperoni 11.486.000 17.219.000 49,9%
Ciliegie 10.769.000 16.715.000 55,2%
Fagiolini 16.139.000 16.599.000 2,9%
Patate 14.047.000 16.583.000 18,1%
Prugne 8.656.000 16.236.000 87,6%
Meloni 9.628.000 15.210.000 58,0%
Melanzane 10.738.000 14.866.000 38,4%
Limoni 13.702.000 13.898.000 1,4%
Finocchi 10.890.000 13.019.000 19,6%
° I consumi non comprendono quelli effettuati nei negozi specializzati* sfusa+confezionata EAN+NO EAN** sfusa+confezionata NO EANFonte: Ismea/ACNielsen.
Per quanto riguarda l’ortofrutta bio trasformata, si osserva invece che i consumi
domestici sono lievemente diminuiti (dello 0,9%) nel confronto tra il 2006 e il 2005.
Prendendo in esame i prodotti più importanti per consumi in valore, si nota
un’alternarsi di tassi di variazione positivi e negativi. In generale sembrano preva-
193
lere questi ultimi, ma si può notare come essi siano generalmente di entità più bas-
sa rispetto a quelli di crescita. In discesa infatti appaiono i consumi dei vegetali
preparati surgelati (-6,8%), delle passate di pomodoro (-4,4%), dei pomodori in
polpa (-6,5%) e dei preparati per brodo (-4,5%). In crescita invece risultano le ven-
dite delle confetture (+21,0%), delle erbe aromatiche (+23,9%) e dei fagioli secchi
Tabella 7.63 - I consumi domestici nel comparto dell’ortofrutta trasformata bio°(in euro)
2005 2006 Var. % 06/05Totale ortofrutta trasformata 43.677.895 43.293.425 -0,9%di cui:Bevande alla frutta non gassate 12.278.731 12.202.098 -0,6%
Vegetali preparati surg. 3.532.926 3.294.115 -6,8%
Confetture 2.526.669 3.056.164 21,0%
Passate 3.077.682 2.942.283 -4,4%
Pomodori polpa 2.515.408 2.351.950 -6,5%
Erbe aromatiche 1.798.607 2.229.308 23,9%
Preparati per brodo 2.108.052 2.012.377 -4,5%
Vegetali naturali surg. 2.546.177 1.818.253 -28,6%
Fagioli secchi 1.151.476 1.605.337 39,4%
Lenticchie secche 1.544.396 1.511.236 -2,1%
Prugne essiccate 1.429.159 1.310.095 -8,3%
Pesto 1.095.481 1.005.123 -8,2%
Spezie 765.004 955.535 24,9%
Tavolette per brodo 1.165.733 838.337 -28,1%
Ceci secchi 480.663 773.079 60,8%
Aromi misti 689.309 763.915 10,8%
Fagioli lessati 506.597 691.612 36,5%
Condimenti pronti 1.239.276 660.086 -46,7%
Aromi surg. 472.871 624.559 32,1%
Pelati 541.790 589.405 8,8%
Minestre pronte 83.917 369.598 340,4%
Olive 318.247 193.253 -39,3%
Frutta sciroppata 85.130 188.135 121,0%
Lenticchie lessate 82.943 183.275 121,0%
Piselli 54.799 152.936 179,1%
Ortaggi sott'olio 376.206 150.575 -60,0%
Pomodori arricchiti 273.397 140.476 -48,6%
Piselli secchi 174.232 117.663 -32,5%
Salse da contorno 107.532 110.126 2,4%
Ortaggi sott'aceto 168.528 101.797 -39,6%
Ortaggi condiriso 93.138 84.267 -9,5%
Ortaggi in agrodolce 83.188 50.496 -39,3%
Funghi secchi 164.985 43.939 -73,4%
Purea di patate 8.492 35.904 322,8%
Fave secche 2.405 21.625 799,2%
Frutta surg. 53.321 7.058 -86,8%
° I consumi non comprendono quelli effettuati nei negozi specializzatiFonte: Ismea/ACNielsen.
(+39,4%), prodotti questi ultimi sottoposti ad una sia pur minima attività di prepa-
razione/condizionamento.
Sostanzialmente stabili risultano infine i consumi di bevande alla frutta non
gassate.
7.3.8 – I punti di forza e di debolezzaIn conclusione dell’analisi della filiera ortofrutticola bio si evidenziano i principali
punti di forza e debolezza di questo comparto (Tabella 7.64).
Da quanto finora descritto, si è potuto constatare che tra i punti di forza del
comparto si può senz’altro annoverare il fatto che le aziende agricole sono forte-
mente specializzate, anche se prevalgono unità produttive che non sono di grandi
dimensioni.
Il biologico inoltre presenta un ruolo sostanzialmente centrale nella strategia di
marketing della maggior parte delle imprese di trasformazione contattate, con
un’offerta che copre ormai un’ampia gamma di prodotti tale da soddisfare tutte le
esigenze del mercato. La produzione trasformata, inoltre, è in crescita secondo
molti operatori.
La filiera è ben articolata anche con fenomeni, sia pur non molto estesi, di integra-
zione e collaborazione tra aziende e canali commerciali. Le esportazioni, inoltre, rap-
presentano una buona alternativa alle vendite sul mercato nazionale. Le aspettative de-
gli imprenditori sono quindi positive sostenute anche da una domanda interna ed este-
ra che appare in forte crescita.
Tra i punti di debolezza di questo comparto occorre però collocare il problema
strutturale territoriale, tipico anche di altre filiere biologiche, della collocazione della
produzione primaria nel Sud e nelle Isole, a fronte di una fase industriale, distributiva
e di consumo localizzata al Centro-Nord.
Un secondo punto di debolezza comune a molte filiere è quello dell’aumento, di-
chiarato dalla maggior parte degli intervistati, dei costi di produzione che non è asso-
ciato a maggiori introiti o a prezzi remunerativi, determinando qualche sofferenza nel-
le fasi primarie della filiera. Ciò ha avuto ripercussioni sulla propensione ad investire
da parte delle aziende agricole, che hanno mostrato, soprattutto nel comparto della
frutta bio, un minore ottimismo e tendenza ad impiegare risorse rispetto ad altri opera-
tori della filiera.
D’altra parte questi ultimi lamentano difficoltà nell’ottenere dai loro fornitori una
qualità costante e una fornitura regolare delle materie prime.
In conclusione si può comunque affermare che la filiera dell’ortofrutta bio appare
oggi tra le meglio strutturate nell’ambito del comparto bio con una soddisfacente of-
ferta, rivolta per una discreta quota anche all’estero, spinta e favorita da un buon livel-
lo di domanda.
Occorrerebbe però favorire l’integrazione verticale – tra aziende di produzione del
Mezzogiorno e fasi della trasformazione e distribuzione – al fine di superare le ancora
presenti difficoltà logistiche e commerciali che condizionano tutta la filiera.
194
195
7.4 -La filiera della vite biologica
7.4.1 - La produzione primaria
Aziende e coltureLe aziende agricole afferenti la filiera della viticoltura biologica sono, come si è
visto nel capitolo introduttivo, 24 di cui 18 di piccola dimensione, 4 medie e solo 2 di
grande dimensione. La dimensione media, in linea con molte altre analisi strutturali, è
comunque di gran lunga superiore ai consueti valori dell’agricoltura nazionale, essen-
do superiore ai 32 ettari considerando l’intera superficie, e pari a 28 ettari consideran-
do le sole colture biologiche.
Il grado di specializzazione56 sul biologico è quindi in media molto elevato. Infatti
su una Sau complessiva delle 24 aziende indagate pari a 783 ettari, quella destinata a
colture biologiche è di 673 ettari, con un’incidenza delle produzioni biologiche pari a
quasi l’86%.
Gli ettari a vite biologica sono invece 459, con una incidenza media sulla superfi-
cie destinata al biologico del 68%. Dall’incrocio tra la classe dimensionale e il peso
che la filiera viticola assume nella struttura produttiva aziendale, scaturisce la classifi-
cazione in tipologie aziendali che si riporta nella Tabella 7.65, evidenziando il numero
di aziende e la relativa superficie.
Tab. 7.64 - I punti di forza e debolezza della filiera ortofrutticola bio
PUNTI DI FORZA
• L’ortofrutta biologica incide notevolmente
sulla SAU aziendale complessiva;
• Prevalenza di aziende specializzate anche se
di piccole dimensioni;
• Varietà dei prodotti;
• La produzione a livello secondario appare se-
condo il giudizio degli operatori, in parte in
crescita;
• Il mercato finale è in crescita;
• La filiera è ben strutturata ed articolata con
presenza di canali lunghi ma anche corti;
• Buona quota delle vendite all’estero;
• L’ortofrutta bio riveste un ruolo sostanzial-
mente centrale nella strategia di marketing
della maggior parte delle imprese contattate;
• I consumi di ortofrutta fresca e trasformata
sono in decisa crescita.
PUNTI DI DEBOLEZZA
• Il dualismo strutturale della filiera;
• Aumento dei costi di produzione e stabilità
degli introiti;
• I prezzi non sembrano sufficientemente remu-
nerativi;
• Bassa propensione da parte delle aziende agri-
cole ad investire (soprattutto nel comparto
della frutta bio);
• Difficoltà per gli operatori commerciali nel
ottenere una qualità costante ed avere una for-
nitura regolare delle materie prime.
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
196
La superficie a vite bio, come mostra la Figura 7.53, è distribuita in modo non
omogeneo in relazione alle tipologie aziendali; l’80% circa si ritrova nelle aziende a
forte specializzazione e solo la restante quota in quelle meno specializzate. Natural-
mente ciò rende l’analisi svolta particolarmente probante.
La restante superficie a colture biologiche è destinata a olivo (in 13 aziende), ce-
reali (presenti in 5 aziende) e frutta (in 3 aziende), mentre in sole due aziende si ritro-
vano colture foraggiere o industriali. Sotto il profilo delle superfici, risultano prepon-
deranti quelle a cereali (63 ettari, con una dimensione media quindi di quasi 13 ettari)
e quelle ad olivo (68 ettari, mediamente 5,2 per azienda). Per quanto riguarda gli alle-
vamenti, questi sono presenti solo in due aziende. In particolare si tratta di un alleva-
mento di ovicaprini e di uno di bovini da carne di una certa consistenza (30 capi).
Si tratta quindi di classiche aziende arboricole, tipiche degli ordinamenti produtti-
vi del Centro e Sud Italia, aree dove è localizzata in prevalenza – e in accordo con i
dati disponibili – la filiera della viticoltura biologica in Italia (Figura 7.54). Si aggiun-
ga a questo che bene 17 aziende su 24 sono dislocate in aree collinari.
Scendendo ad un dettaglio regionale la maggiore presenza si ha in Sicilia (4 azien-
de), Puglia e Toscana (entrambe 3 aziende), dato che ribadisce come la specializzazio-
ne sul biologico segua in genere quella delle colture convenzionali.
Tabella 7.65 - Distribuzione delle aziende viticole bio del panel per tipologia e classe aziendale(in numero di aziende ed ettari)
TIPOLOGIA AZIENDALESAU aziendale Medio grandi non spec. Medio grandi spec. Piccole non spec. Piccole specializzate Totale
aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio aziende Sau bio< 10 ettari 0 0 0 0 1 10 9 56 10 66
10-28 ettari 0 0 0 0 4 60 4 85 8 145
> 28 ettari 3 210 3 252 0 0 0 0 6 462
Totale 3 210 3 252 5 70 13 141 24 673
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Medio-grandinon specializzate13%
Medio-grandispecializzate54%
Piccole nonspecializzate
7%
Piccolespecializzate
26%
Figura 7.53 - Distribuzione della SAU a vite bio per tipologia aziendale
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
197
Le trasformazioni aziendaliSette aziende, ossia il 30% circa del campione qui analizzato, si occupano anche della
trasformazione dei propri prodotti aziendali. Se tuttavia si prende in analisi l’incidenza in
termini di Sau destinata a vite biologica, si nota come in questo caso il contributo delle
aziende che trasformano raggiunga il 46% circa (210 ettari su un totale 459). Il dato mette
in evidenza come la dimensione media delle aziende che trasformano il prodotto sia circa il
doppio di quelle che si occupano della sola fase di produzione, ossia 30 ettari a vite bio con-
tro quasi 15. D’altra parte è naturale che le aziende che trasformano abbiano bisogno di una
maggiore massa critica. In realtà il dato medio è fortemente influenzato da una azienda di
grandi dimensioni; infatti le aziende che trasformano sono in gran parte, ma non sempre,
specializzate ma sono in maggioranza aziende di piccola dimensione (Tabella 7.66).
I prodotti ottenuti con si suddividono in relazione alla presenza della trasformazio-
ne aziendale. Nel caso questa fase sia presente in azienda il prodotto principale è il vi-
no confezionato con marchio aziendale, tranne un caso in cui lo stesso prodotto non
riporta questo tipo di marchio. Se l’azienda si occupa in prevalenza della produzione
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole0
2
4
6
8
10
12
Piccole specializzate
Piccole non specializzate
Medio grandi specializzate
Medio grandi non specializzate
Figura 7.54 - Distribuzione territoriale delle aziende viticole bio del panel(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.66 - Aziende viticole bio di produzione/trasformazione del panel e relativaSAU distinte per tipologia(in numero aziende ed ettari)
TIPOLOGIA AZIENDALE Aziende SAU a vite bio Piccole non specializzate 2 12
Piccole specializzate 4 36
Medio grandi spec. 1 162
Totale 7 210
Fonte: Ismea/ACNielsen.
198
primaria, il prodotto base è l’uva da vino, anche se non mancano aziende (tre) che
producono anche uva da tavola e quelle che producono anche vino sfuso senza che
questo assuma però la connotazione di prodotto principale.
L’andamento della produzioneLa resa media in uva registrata nelle aziende rilevate è di circa 120 quintali ad ettaro; in
10 casi tuttavia non si raggiungono i 100 quintali, mentre in altri 9 la produzione si attesta
tra i 100 ed i 180. In un caso solo si raggiungono punte molto elevate (400 quintali/ettaro).
L’andamento della produzione è risultato nella maggior parte delle aziende intervi-
state stabile, e solo in due casi viene segnalato un incremento, mentre in un numero
non indifferente è stata indicata una contrazione (Figura 7.55).
Stabile 11
In aumento2
In diminuzione 9
Figura 7.55 - Andamento della produzione nel 2006 per le aziende viticole bio(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Mezzi tecnici Energetici Manodopera Causeclimatiche
Assistenzatecnica
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
Figura 7.56 - Cause dell’aumento dei costi nel 2006 per le aziende viticole bio del panel (in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
199
Per quanto riguarda i costi di produzione questi sono segnalati in aumento nel
2006 – in due terzi delle aziende – o stabili – per 5 aziende – mentre in soli due casi è
stata dichiarato un minor costo di produzione.
Le cause degli aumenti dei costi sono in gran parte quelle classiche: il costo della
manodopera, quello dell’energia e dei mezzi tecnici. Va segnalato tuttavia come le
cause climatiche siano ormai uno dei fattori in grado di influire sulla redditività azien-
dale e come il fabbisogno di una assistenza tecnica specifica possa influire a sua volta
sul bilancio aziendale.
La fase della produzione agricola sembra abbastanza restia ad effettuare cambia-
menti per il futuro; i due terzi delle aziende contattate infatti non intendono apportare
alcuna innovazione al proprio sistema produttivo. Inoltre tra quelle che hanno segnala-
to questa intenzione si ha l’assoluta prevalenza di innovazioni che riguardano la fase a
valle della produzione, come la trasformazione dei prodotto e la vendita diretta.
Tabella 7.67 - Innovazioni da introdurre nei prossimi anni da parte delle aziende viticole bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Nessuna 11 2 3 0 16
Vendita diretta 1 1 0 1 3
Trasformazione dei prodotti 1 1 0 2 4
Aumento SAU 0 0 0 1 1
Meccanizzazione colturale 0 1 0 0 1
Totale 13 5 3 3 24
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
7.4.2 - Il mercato alla produzione
I canali commerciali e le aree di mercatoA valle della fase produttiva i canali commerciali per le aziende viticole si diffe-
renziano in modo sensibile. In questa analisi va tenuto in considerazione che una quo-
ta non trascurabile di aziende sono di produzione e trasformazione. In questo caso
quindi il prodotto finale è il vino. La Tabella 7.68, che mostra i diversi canali praticati,
rende evidente che esistono due percorsi preferenziali: il conferimento alle cooperati-
ve o la vendita alle aziende di trasformazione. Il primo è praticato da un terzo delle
aziende, mentre il secondo è presente in 10 aziende su 24.
Accanto a questi due canali principali, il terzo per importanza è quello diretto per
il consumatore finale, che non solo è presente in 5 aziende su 24, ma anche in tutte le
tipologie tranne che nelle aziende medio-grandi specializzate. Una certa incidenza si
riscontra anche per ristoranti ed enoteche, anche se in questo caso solo per le aziende
piccole e specializzate. Da notare che in questa tipologia sono percorsi quasi tutti i ca-
nali, con un alto grado, quindi, di diversificazione dei clienti.
200
Oltre a indagare sulla presenza dei diversi canali commerciali, è utile anche
pesare il contributo di ognuno. Chi vende la propria produzione alle aziende di
trasformazione, lo fa in 8 casi su 10 ricorrendo ad esse in modo esclusivo. Natu-
ralmente si tratta per la maggior parte di aziende che non trasformano la propria
produzione di uva, anche se due casi riguardano produttori-trasformatori, che
quindi producono in parte in conto terzi. Un peso minore si riscontra per la co-
operazione. In questo caso infatti solo 5 aziende su 8 conferiscono l’intera produ-
zione.
La distribuzione delle imprese relativamente alle aree di mercato prevalenti (Ta-
bella 7.69), se letta unitamente alla dislocazione geografica delle aziende stesse vista
in precedenza, ripercorre almeno in parte il noto dualismo strutturale dell’agroalimen-
tare biologico italiano. Infatti se le aziende sono presenti soprattutto nel Sud e nelle
Isole, le aree di mercato prevalenti sono il Centro – cui si rivolge 9 aziende su 24 – e il
Nord (7/24). Seguono poi le Isole (6/24) e il Sud (5/24).
Tabella 7.68 - Canali commerciali delle aziende viticole bio del panel per tipologia aziendale(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Cooperative 5 2 0 1 8
Grossisti/intermediari nazionali 0 0 1 0 1
Grossisti/intermediari estero 1 0 0 0 1
Aziende di trasformazione 4 2 2 2 10
Negozi specializzati 1 0 0 0 1
Consumatore finale 3 1 0 1 5
Ristoranti Catering Enoteche 3 0 0 0 3
Base 13 5 3 3 24
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.69 - Le aree di mercato delle aziende viticole bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Nord 5 0 0 1 6
Centro 5 2 0 1 8
Sud 2 2 0 0 4
Isole 1 1 2 1 5
Tutte le aree 0 0 1 0 1
Totale 13 5 3 3 24
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
201
Andamento del mercato, prezzi e aspettativeIl dualismo tra stabilità e contrazione, emersa in precedenza relativamente alla
produzione, sembra riguardare anche il mercato, anche se in questo caso entrambe le
tendenze incidono meno lasciando spazio ad una maggiore percentuale di aziende che
segnala un andamento del mercato in crescita (Tabella 7.70). Le variazioni indicate,
sia per l’aumento che per la contrazione dei volumi commercializzati, si situano tra il
5 ed il 20%. Tra le motivazioni addotte dalle imprese a sostegno degli aumenti del
mercato, si trova al primo posto l’espansione della domanda e la maggiore competiti-
vità. Tra le motivazioni di una maggiore competitività viene indicata, accanto al prez-
zo, la più elevata qualità (Figura 7.57). Anche se i valori assoluti sono modesti, si trat-
ta comunque di indicazioni preziose, visto che uno dei maggiori ostacoli che normal-
mente vengono prospettati per il mercato del vino bio è proprio la domanda debole,
dovuta alla difficoltà da parte dei consumatori di apprezzare i differenziali di qualità.
Tabella 7.70 - Andamento del mercato nel 2006 per le aziende viticole bio del panel(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Stabile 7 4 0 0 11
In crescita 1 1 2 0 4
In diminuzione 5 0 1 3 9
Totale 13 5 3 3 24
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Maggiore competitivitàsui prezzi1
Maggiore competitività intermini qualitativi2
Maggiore domandadel mercato
3
Figura 7.57 - Motivazioni dell’aumento di mercato nel 2006 per le aziende viticole bio(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Le motivazioni che invece vengono addotte dalle imprese che indicano un anda-
mento negativo del mercato sono più articolate (Figura 7.58). Anche in questo caso,
tuttavia, è significativo che al primo posto tra le motivazioni di un andamento negativo
del mercato venga segnalata una minore domanda. Va tuttavia considerato che l’inci-
denza delle aziende che hanno indicato un decremento del mercato sia elevata soprat-
tutto tra le aziende medio-grandi non specializzate che, probabilmente a causa del
202
ruolo marginale del vino bio nella loro offerta, non attuano strategie specifiche di mar-
keting curando ad esempio i canali commerciali specifici. Tra le altre motivazioni as-
sume un peso rilevante l’aumento dei prezzi alla produzione che incide negativamente
sulla competitività. Al mercato fanno invece riferimento le altre indicazioni, tra le
quali si ritrova la maggiore concorrenza estera.
Tabella 7.71 - Difficoltà nella commercializzazione per le aziende viticole bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Nessuna 5 4 1 2 12
Prezzo non remunerativo 5 1 1 1 8
Domanda debole 3 0 0 0 3
Difficoltà a garantire costanza qualitativa 0 0 1 0 1
Difficoltà a garantire costanza quantitativa 2 0 0 0 2
Difficoltà logistiche ed organizzative 4 1 1 0 6
Altro 1 0 0 0 1
Totale 13 5 3 3 24
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Un aumentodei prezzi3
Un calo delladomanda nazionale 4
Altro 2
Concorrenza estera1
Figura 7.58 - Motivazioni del decremento di mercato nel 2006 per le aziende viticole bio (in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Insieme al giudizio sull’andamento del mercato alle imprese è stato chiesto di espri-
mersi in merito ad eventuali difficoltà incontrate durante la commercializzazione (Tabella
7.71). Anche in questo caso si è verificato un netto dualismo. Metà del campione ha infatti
risposto di non incontrare alcuna difficoltà. Le altre imprese invece hanno fatto riferimento
soprattutto alle difficoltà di mercato già viste in precedenza come il prezzo non remunera-
tivo e la domanda debole. Infine un numero minore di imprese (soprattutto tra le imprese
più piccole) identifica quale ostacolo commerciale le difficoltà riferibili all’area produttiva
ed organizzativa: tra queste prevalgono la logistica e la costanza nella produzione.
203
Per quanto riguarda i prezzi alla produzione nel 2006, viene segnalata nella mag-
gior parte dei casi una stabilità (Tabella 7.72). Sette aziende su 24 segnalano un anda-
mento negativo dei prezzi, coerentemente con i dati visti in precedenza rispetto alla
flessione del mercato; il fenomeno è più presente tra le aziende piccole e specializzate
che, a causa della rigidità dei costi, mostrano di soffrire maggiormente la concorrenza.
Soltanto in tre casi viene invece indicato un aumento dei prezzi.
Tabella 7.72 - Andamento dei prezzi alla produzione nel 2006 per le aziende viticole bio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Sono aumentati 2 0 0 1 3
Sono diminuiti 5 1 0 1 7
Nessuna variazione 6 4 3 1 14
Totale 13 5 3 3 24
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.73 - Previsioni sull’andamento del mercato nei prossimi 2-3 anni per le aziende viticole bio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Aumenterà un po’ 2 2 0 0 4
Resterà stazionario 4 1 2 2 9
Diminuirà un po’ 4 0 0 0 4
Diminuirà molto 1 0 0 0 1
Non so 2 2 1 1 6
Totale 13 5 3 3 24
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Le aspettative degli imprenditori rispetto all’andamento del mercato si potrebbero
definire prudenti ma non pessimistiche. Innanzitutto va segnalato che 6 aziende su 24
non hanno saputo o voluto dare una indicazione. In seconda battuta si nota la preva-
lenza (9 aziende) di chi ha indicato, come già per altri fenomeni, che il mercato rimar-
rà stabile. Inoltre in quattro aziende gli imprenditori hanno fiducia in un migliore an-
damento futuro. In definitiva soltanto 5 intervistati su 24 dichiarano prospettive nega-
tive e tra questi in un solo caso la sfiducia viene espressa in modo netto.
7.4.3 - La trasformazione
Il grado di specializzazioneLe imprese della fase di trasformazione della filiera vitivinicola presentano un alto
grado di specializzazione nel comparto vinicolo. Sulle 16 aziende intervistate, infatti,
204
solo 5 producono altri prodotti oltre al vino. In particolare 4 producono olio e 1 orto-
frutta.
Nello stesso tempo prevalgono le aziende con un tasso di specializzazione57 nel biolo-
gico basso (Tabella 7.74). Se inoltre si va ad analizzare il peso del vino biologico sul totale
del vino prodotto (Figura 7.59) si nota come in ben 10 aziende su 16 non si superi il 20%.
5 2 111111 30
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
1% 2% 5%
10%
20%25%
50%
90%
n. imprese
% v
ino
bio/
tot
100%
Figura 7.59 - Numero di imprese vinicole bio del panel per incidenza della produzione divino biologico sul totale
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.74 - Il grado di specializzazione delle imprese di trasformazione viticola bio del panel(in numero di aziende)
Grado di incidenza Piccole Piccole Piccole Medie Mediodel bio sul totale a bassa a media ad alta ad alta grandi adelle vendite spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleMarginale (<=5%) 3 0 0 0 6 9
Limitata (6- 20%) 1 0 0 0 0 1
Significativa (21-50%) 0 2 0 0 0 2
Molto elevata (>=71%) 0 0 3 1 0 4
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Da notare che la produzione principale delle aziende rilevate sia il vino Doc-Docg,
e che solo in tre casi si produca vino da tavola. Queste tre aziende peraltro ricadono
tra quelle in cui il grado di specializzazione è tra i più bassi.
Se si va ad incrociare il dato sulla specializzazione con la localizzazione geografica
si notano differenze significative (Figura 7.60). Gli impianti produttivi per il settore viti-
vinicolo bio sono localizzati in prevalenza (quasi due terzi) nel Sud e in Sicilia. In que-
st’area le imprese con un’incidenza significativa e molto elevata del bio sono la metà del
205
totale. Al contrario nel Nord-Est si registra la prevalenza assoluta delle imprese con inci-
denza del bio marginale. Nella circoscrizione del Centro e Sardegna, il cui peso è tutta-
via minore, le due imprese si dividono tra marginalità e incidenza molto elevata.
Nord Est Centro + Sardegna Sud + Sicilia Totale0
2
4
6
8
10
12
14
16
Marginale (<=5% )
Limitata (6- 20%)
Significativa (21-50%)
Molto elevata (>=71% )
Figura 7.60 - Localizzazione delle imprese di trasformazione viticola bio del panel distin-te per specializzazione(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
L’approvvigionamento delle materie primeAnalizzando i canali di approvvigionamento delle materie prime impiegate nel
processo di trasformazione, si evidenziano tre tipologie di imprese fornitrici pratica-
mente paritarie e, di conseguenza, di struttura della filiera. Il fornitore prevalente, an-
che se in misura limitata, è il mondo della cooperazione, cui seguono le aziende agri-
cole e l’autoproduzione. Quest’ultimo è il canale più semplice: si tratta di aziende in-
tegrate in cui si svolgono sia la fase della produzione che quella della trasformazione.
Sono in prevalenza aziende specializzate di piccola e, in misura minore, media dimen-
sione. Anche le aziende agricole forniscono in prevalenza le imprese di piccola e me-
dia dimensione, ma in questo caso, con un’unica eccezione, si tratta di quelle a più
bassa specializzazione. Infine cooperative e consorzi rappresentano il canale prevalen-
te per le aziende medio-grandi non specializzate e, in misura minore, per quelle picco-
le a bassa e media specializzazione.
In definitiva sembra potersi tracciare una mappa della filiera che, a questo stadio, è
condizionata dai due fattori in base ai quali sono state classificate le imprese di trasfor-
mazione: specializzazione e dimensione. Al crescere della prima cresce il ricorso al-
l’autoproduzione. Più basso è il grado di specializzazione maggiore è il ricorso agli al-
tri canali, con una prevalenza delle strutture associative al crescere della dimensione.
L’autoproduzione non esclude tuttavia il ricorso a materie prime provenienti da al-
tre imprese. Infatti in tre dei casi in cui viene dichiarata l’autoproduzione non risulta-
206
no altri fornitori mentre in altri due la propria produzione aziendale viene integrata da
altre tipologie di fornitori.
Il numero medio di fornitori è comunque di 56, ma in sette casi non si superano i 10.
La provenienza della materia prima infine è sempre di origine locale o regionale e
le imprese non hanno segnalato particolari problemi in questa fase della loro attività.
L’andamento della produzioneMentre nella fase agricola della filiera si è vista prevalere una indicazione di stabi-
lità produttiva, nella fase della trasformazione la metà delle imprese dichiara di avere
aumentato la propria produzione nel corso dell’ultimo anno (Tabella 7.75). Le restanti
8 aziende si dividono tra chi dichiara una stabilità e chi indica una contrazione.
0
1
2
3
4
5
6
Az. agricole
Autoproduzione
Coop. e consorzi
Piccole a bassaspec.
Piccole a mediaspec.
Piccole ad alta spec.
Medie e Grandia bassa spec.
Mediead alta spec.
Figura 7.61 - L’approvvigionamento della materia prima per le imprese di trasformazioneviticola bio del panel(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.75 - Andamento della produzione nel 2006 per le imprese di trasformazione viticola bio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole Piccole Medie Medioa bassa a media ad alta ad alta grandi a
spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleÈ risultata stabile 0 1 1 1 1 4
È risultata in aumento 3 1 2 0 2 8
È risultata in diminuzione 1 0 0 0 3 4
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
207
Per quanto riguarda la distribuzione geografica, la differenziazione è piuttosto ac-
centuata (Figura 7.62). Nel Sud e Sicilia si ha la prevalenza delle imprese che segnala-
no un aumento della produzione (5/10) rispetto a quelle che di contro indicano una
contrazione (2/10). Del tutto invertite, anche se con numeri assoluti più bassi (4 azien-
de in tutto), le posizioni nel Nord-Est. Al contrario al Centro e nella Sardegna le due
aziende presenti hanno mostrato una crescita della produzione.
Particolarmente significative le motivazioni indicate dagli imprenditori alla base
dell’espansione produttiva. Infatti la maggioranza indica nell’aumento della domanda
la causa della maggiore produzione e tale dato richiama le indicazioni fornite da parte
delle aziende agricole sul mercato e già viste nel paragrafo precedente. Altrettanto im-
Nord Est Centro e Sardegna Sud + Sicilia0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
E' risultata stabile
E' risultata in aumento
E' risultata in diminuzione
Figura 7.62 - Andamento della produzione nel 2006 delle aziende di trasformazione vitico-la bio del panel distinte per area geografica(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Maggiorespecializzazione bio3
Maggioredomanda4
Nuove linee diproduzione
3
Figura 7.63 - Fattori che hanno determinato un aumento della produzione nel 2006 per leaziende di trasformazione viticola bio del panel(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
208
portante appare la capacità dei produttori di aumentare la propria capacità produttiva,
in funzione delle aspettative del mercato. Tale aumento può avvenire attraverso due
scelte, presenti in modo paritario tra loro: una maggiore specializzazione oppure inve-
stimenti per nuove linee produttive. Nel primo caso si tratta quindi di imprese che, co-
me era stato prospettato nella rilevazione del 2004, avevano una posizione di attesa
nei confronti del biologico. Nel secondo caso invece ci si trova di fronte ad imprese
che decidono di aumentare la loro dimensione produttiva.
7.4.4 - Il mercato dei prodotti trasformati
Canali ed aree di venditaIl canale di vendita maggiormente praticato dalle imprese rilevate, cui si rivolge la
metà del campione, è quello dei grossisti generici, ossia non specializzati in prodotti bio-
logici, mentre quelli specializzati nel biologico risultano un canale di commercializzazio-
ne per un quarto delle imprese (Tabella 7.76). In realtà dopo i grossisti generici il canale
di vendita più presente sono altre aziende di trasformazione, fenomeno che si era eviden-
ziato anche per le aziende agricole di produzione e trasformazione e che mette in luce co-
me la trasformazione conto terzi assuma un ruolo particolarmente significativo nella filie-
ra del vino biologico. Lo stesso può dirsi per la vendita diretta: anche in questo caso un
quarto delle aziende intervistate si rivolge direttamente al consumatore finale, così come
si era visto per le aziende di produzione e trasformazione. Altri canali che contribuiscono
ad “accorciare” la filiera sono il dettaglio specializzato e i ristoranti.
La Tabella 7.76 mette in evidenza come le imprese analizzate si rivolgano spesso a
più canali contemporaneamente, con un grado di diversificazione che è maggiore al
crescere sia della specializzazione che della dimensione. In questo senso sembra es-
serci comunque una polarizzazione: 7 imprese su 16 infatti dichiarano di vendere i
propri prodotti a più di 50 clienti, mentre 6 a meno di 10. La restante parte (3 aziende)
si situa in una posizione intermedia tra 10 e 50.
Tabella 7.76 - I canali di vendita delle aziende di trasformazione viticola bio del panel(in numero di aziende, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole Piccole Medie Medioa bassa a media ad alta ad alta grandi a
spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleGrossisti generici 1 1 3 1 2 8
Grossisti specializzati bio 1 1 0 0 2 4
Aziende di trasformazione 1 1 1 0 2 5
Consumatore finale 0 1 1 1 1 4
Negozi specializzati bio 1 0 0 0 2 3
Altro 0 0 0 0 1 1
Ristoranti 0 0 0 0 1 1
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
209
Anche dal punto di vista geografico si notano alcune differenze di non poco conto
(Tabella 7.77). Le imprese del Nord-Est sono le uniche a non servirsi dei grossisti ge-
nerici e restituiscono l’immagine di un mercato diviso tra due modelli: la filiera corta
con il rifornimento al dettaglio specializzato da un lato, la produzione conto terzi dal-
l’altro. Si tratta inoltre dell’area con il minore grado di diversificazione. Al Centro e
Sardegna, invece, si ha la maggiore differenziazione; tutte le imprese utilizzano i gros-
sisti generici ma si rivolgono contemporaneamente al consumatore finale. Nella metà
dei casi vengono riforniti ristoranti e si passa per i grossisti specializzati. Infine nel
Sud e in Sicilia vengono praticati tutti i canali, ma con incidenze minori che nelle altre
aree.
Tabella 7.77 - I canali di vendita delle aziende di trasformazione viticola bio del panel per area geografica(in numero di aziende)
Nord Est Centro + Sardegna Sud + Sicilia TotaleGrossisti 0 2 6 8
Grossisti bio 0 1 3 4
Az. di trasformazione 2 0 3 5
Consumatore finale 0 2 2 4
Negozi bio 2 0 1 3
Altro 1 0 0 1
Ristoranti 0 1 0 1
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Le 16 imprese analizzate mostrano un certo grado di diversificazione anche in re-
lazione alle aree di mercato raggiunte. La Figura 7.64 mostra come vi sia una scalari-
tà, se pur lieve, passando dai mercati locali a quelli esteri, attraversando quelli nazio-
nali. I primi interessano 12 imprese, i nazionali 11 trasformatori e quelli esteri 10. È
evidente quindi che alcune aziende vi sia una presenza contemporanea su più aree
geografiche, anche se con percentuali di prodotto venduto nelle diverse aree che varia
dal 5 al 100%.
Per capire quindi quanto pesino i diversi mercati nel profilo delle aziende, si è
cercato di mettere in evidenza la specializzazione delle imprese in specifiche aree
di mercato. Considerando tutte le imprese, l’area che pesa maggiormente in ter-
mini di specializzazione è quella locale-regionale, che interessa 6 aziende su 16.
Segue quella nazionale (3 aziende) e l’estero (3 aziende). Uno stesso numero di
imprese risulta non specializzato, non essendoci un’area nettamente prevalente
dove effettua le proprie vendite. Se quindi è vero che 10 imprese raggiungono i
mercati esteri, solo per 3 questi rappresentano lo sbocco principale della propria
produzione.
Se si vanno ad analizzare i principali mercati di esportazione del vino biologico
italiano si nota come il grado di internalizzazione delle imprese, anche su questa ti-
pologia di prodotto, sia consolidato (Figura 7.65). Infatti il vino biologico naziona-
le è presente nei principali mercati mondiali, in linea peraltro con il più generale
210
mercato vitivinicolo. Così accanto ai tradizionali mercati dell’Ue tra cui spicca la
Germania si ritrovano, a parità di aziende presenti, anche il Giappone e con quote
minori anche gli USA e l’Australia. Prima di questi si collocano tuttavia alcuni
paesi del Centro-Nord Europa ove i consumi di prodotti biologici sono abbastanza
sostenuti.
A conferma dell’interesse crescente, nonostante le incertezze normative, che ri-
scuote il vino biologico gli imprenditori contattati hanno fornito una immagine positi-
va dell’andamento del mercato, che in 9 casi su 16 viene segnalato in aumento, men-
tre soltanto in due casi, che riguardano le aziende meno specializzate, viene definito in
diminuzione (Tabella 7.79). La tendenza all’aumento della domanda, già emersa nel-
l’analisi delle aziende della fase primaria, viene confermata anche dalle aziende indu-
striali, che la indicano, nella maggior parte dei casi, quale motivo principale per il fa-
vorevole andamento del mercato.
A tale andamento hanno contribuito anche i prezzi che, per 10 aziende su 16 sono
stati dichiarati stabili nel 2006, mentre in altre 6 viene segnalato un aumento.
Locale-regionale Nazionale Estero In tutte le aree0
1
2
3
4
5
6
7
6
4
3 3
Figura 7.64 - Presenza nelle aree di mercato delle aziende di trasformazione viticola biodel panel(in numero di aziende, domanda a risposta multipla)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.78 - Specializzazione di mercato delle aziende di trasformazione viticola bio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole Piccole Medie Medioa bassa a media ad alta ad alta grandi a
spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleLocale-regionale 1 1 1 0 2 6
Nazionale 2 0 1 0 1 4
Estero 0 0 1 0 2 3
In tutte le aree 1 1 0 1 1 3
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
211
Il posizionamento sul mercatoSi è visto come il grado di specializzazione delle aziende rispetto ai prodotti biolo-
gici sia variabile e su tale parametro, insieme alla dimensione, sia stata costruita una ti-
pologizzazione delle imprese stesse. Tuttavia si è visto anche che una bassa specializ-
zazione non coincida con un comportamento poco efficiente sul mercato. Si è quindi
cercato di indagare in misura maggiore le strategie di mercato delle aziende partendo
dal ruolo che gli imprenditori attribuiscono al prodotto vino biologico nella loro impre-
sa (Tabella 7.80). Per 4 imprese il vino bio risulta un prodotto centrale. Si tratta come
era lecito attendersi di imprese piccole e medie con un grado di specializzazione medio
e alto. Per altre 3 invece il vino bio rappresenta un elemento di differenziazione dell’of-
ferta, che contribuisce a completare le referenze e soddisfare i clienti con una gamma
più ampia e specifica di prodotti. In questo caso le tre aziende risultano distribuite su
diverse tipologie, senza una apparente relazione causale. In 2 casi il ruolo assunto è in-
vece di nicchia, dovuto quindi all’individuazione di uno specifico, anche se limitato,
segmento di mercato. Tale posizione è assunta dalle aziende più piccole ma a bassa
specializzazione. Le tre strategie finora evidenziate, anche se diverse tra loro, hanno
comunque una connotazione positiva, che risulta invece minore quando la strategia in-
dicata dalle imprese è l’attribuzione di un ruolo marginale al vino bio, indicazione for-
nita nel maggior numero di casi, sette. In 6 di questi sette casi si tratta di imprese di con
una bassa specializzazione, di grande dimensione in 5 casi e di piccola in uno.
Germania6
Giappone6
Olanda2
Danimarca1
Gran Bretagna1
Usa2
Altro2
Australia2
Svizzera1
Figura 7.65 - Principali paesi di destinazione del vino biologico (in numero di citazioni)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 7.79 - Andamento delle vendite nel 2006 per le aziende di trasformazione viticola bio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole Piccole Medie Medioa bassa a media ad alta ad alta grandi a
spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleIn crescita 3 1 1 0 4 9
stabili 0 1 2 1 1 5
In diminuzione 1 0 0 0 1 2
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
212
Naturalmente il ruolo del prodotto nella strategia di mercato delle imprese può variare
anche in funzione del momento in cui ha avuto inizio la produzione e delle valutazioni
dell’andamento del mercato fatto dalle imprese stesse. A queste è stato quindi chiesto di
valutare il posizionamento nel ciclo di vita del vino bio (Tabella 7.81). Soltanto in due ca-
si, come si era già visto peraltro per l’andamento del mercato, le imprese hanno eviden-
ziato una fase di declino, ossia di non rispondenza del prodotto alla domanda del mercato
stesso. Per metà del campione ci si trova invece in una fase di lancio e per 6 aziende su 16
in un momento di maturità del mercato. Queste due scelte sono in qualche modo indipen-
denti dalla tipologia aziendale, a riprova del fatto che, a prescindere dal peso che nell’e-
conomia aziendale assume il vino bio, si tratta di un prodotto che con i diversi ruoli evi-
denziati nella Tabella 7.80, contribuisce positivamente alla strategia delle imprese.
Tabella 7.80 - Il ruolo del vino bio nella strategia delle aziende di trasformazione bio del comparto(in numero di aziende nel panel)
Piccole Piccole Piccole Medie Medioa bassa a media ad alta ad alta grandi a
spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleCentrale (prodotto strategico,
d’immagine, ecc.) 0 2 1 1 0 4
Differenziazione e
completamento della
gamma d’offerta 1 0 1 0 1 3
Marginale 1 0 1 0 5 7
Di nicchia 2 0 0 0 0 2
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 7.81 - Il posizionamento del vino bio nel ciclo di vita del prodotto(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole Piccole Medie Medioa bassa a media ad alta ad alta grandi a
spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleLancio 3 0 3 0 2 8
Maturità 1 2 0 1 2 6
Declino 0 0 0 0 2 2
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Un ulteriore conferma delle strategie aziendali è data dalla diffusione dei marchi.
Per 10 intervistati il vino bio viene commercializzato con il marchio aziendale, dato
che indica come le aziende tendano a mantenere il controllo del proprio prodotto, ope-
rando attivamente in termini di marketing.
Combinando le diverse informazioni sul comportamento di mercato delle im-
prese viste sinora si è ricostruito il seguente prospetto dal quale emergono alcune
213
informazioni interessanti. Innanzitutto si evidenziano alcune relazioni abbastanza
definite:
• se la strategia indicata è la centralità del vino bio nel mercato aziendale a tale indica-
zione si accompagna anche quella della posizione di maturità del prodotto rispetto al ci-
clo di vita; prevale l’uso del marchio aziendale, ma sono presenti anche le altre opzioni;
• ad una strategia di differenziazione della gamma viene associata l’idea di un pro-
dotto in fase di lancio; l’opzione prevalente, ma non univoca, in questo caso è l’ado-
zione del marchio di un’altra azienda;
• in parte simile è la strategia di nicchia; anche qui i prodotti sono in fase di lancio,
si impiega il marchio aziendale o nessun marchio.
Tabella 7.82 - Marchi con cui viene venduto il vino bio dalle imprese produttrici(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole Piccole Medie Medioa bassa a media ad alta ad alta grandi a
spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleMarchio aziendale 2 1 3 1 3 10
Senza marchio 1 1 0 0 3 5
Marchio di altra azienda 1 0 1 0 3 5
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Schema 7.5 - Strategie adottate dalle imprese di trasformazione viticola bio del panel(ogni riga corrisponde ad un’azienda)
POSIZIONAMENTO DEIPRODOTTI NELLA FASE CICLO MARCHIOSTRATEGIA DI IMPRESA DI VITA UTILIZZATO Marginale Maturità Senza marchio
Marginale Declino Senza marchio
Marginale Maturità Marchio di un'altra azienda
Marginale Lancio Marchio aziendale
Marginale Lancio Marchio di un'altra azienda
Marginale Declino Marchio aziendale
Differenz. gamma Lancio Marchio di un'altra azienda
Differenz. gamma Lancio Marchio aziendale
Differenz. gamma Lancio Marchio di un'altra azienda
Centrale Maturità Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale
Centrale Maturità Senza marchio
Centrale Lancio Marchio di un’altra azienda
Di nicchia Lancio Marchio aziendale
Di nicchia Lancio Senza marchio
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
214
Diverso il discorso se la strategia indicata è quella di una posizione marginale del vino
bio. Tale concetto può corrispondere infatti a situazioni differenti. Da una parte marginale
vuol dire declino e quindi probabile uscita dal mercato. Dall’altra vuol dire lancio del pro-
dotto, adozione di marchi e quindi prospettive di crescita. Infine può volere indicare un
ruolo marginale sotto il profilo quantitativo, ma con un prodotto maturo sul mercato.
Le aspettative.L’analisi compiuta mostra come in futuro siano possibili dinamiche differenti. La Tabel-
la 7.83 riassume le prospettive degli imprenditori e in un certo senso, fornisce una chiave in-
terpretativa della presenza sul mercato di molte aziende in una fase di crescita e di cambia-
mento. Soltanto una impresa infatti dichiara di aspettarsi una contrazione del mercato. in
ben nove casi si pensa invece che il mercato tenderà a crescere anche se prevale l’opzione
della crescita moderata. Per le restanti sei imprese le prospettive sono comunque di stabilità.
I cambiamenti che le imprese vogliono affrontare nel futuro sono riassunti nella Ta-
bella 7.84. Anche in questo caso le indicazioni sono più che positive. Nella maggior par-
te dei casi l’obiettivo aziendale viene identificato con un incremento della produzione,
cui si vanno ad aggiungere nuove linee di prodotti biologici e la diversificazione nella
produzione. Da notare che mentre la crescita quantitativa viene segnalata da tutte le
aziende di piccola dimensione ma con bassa specializzazione che erano anche quelle che
indicavano una espansione del mercato, l’opzione della differenziazione della produzio-
ne viene indicata da tutte le aziende piccole e specializzate i cui prodotti sono spesso in
una situazione di maturità. Un’altra opzione mercantile con diverse segnalazioni è di rag-
giungere nuovi mercati. Alle opzioni di mercato seguono poi quelle più di processo: le
innovazioni di processo e i sistemi di sicurezza testimoniamo l’interesse delle imprese
per la dimensione tecnologica che, nella viticoltura, è in continua evoluzione.
7.4.5 - L’intermediazione commercialeI grossisti rivestono nella filiera del vino biologico un ruolo importante. Come si
vedrà anche nel paragrafo successivo, infatti, intercettano una quota considerevole
della produzione.
Tabella 7.83 - Aspettative di mercato nei prossimi 2-3 anni per le aziende di trasformazione viticola biodel panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole Piccole Medie Medioa bassa a media ad alta ad alta grandi a
spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleAumenterà molto 3 0 0 0 0 3
Aumento moderato 0 2 2 1 1 6
Stazionario 0 0 1 0 5 6
Diminuizione moderata 1 0 0 0 0 1
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
215
Nel caso qui analizzato il grossista intervistato, totalmente specializzato nel biolo-
gico, non opera esclusivamente nel settore vitivinicolo, ma commercializza anche pro-
dotti derivati dai cereali, pasta e riso, olio di oliva, uova. Il vino occupa comunque una
posizione di rilievo nel portafoglio prodotti con il 25% del totale del fatturato. I prin-
cipali prodotti trattati in questo caso sono il vino Doc-Igt e lo spumante.
Le aree di approviggionamento sono principalmente il Centro ed il Nord (entrambi
il 40% del totale) e, in misura minore, il Sud. Le imprese che forniscono il prodotto
sono industrie di trasformazione (per il 60%) e cooperative. Non vengono inoltre se-
gnalati particolari problemi nell’acquisizione del prodotto.
I canali commerciali per il vino biologico sono operatori del mercato al consumo
(Figura 7.66), GDO e dettaglio tradizionale, o importatori esteri. Per quanto riguarda
il mercato nazionale, le aree di vendita sono quelle viste in precedenza ma con percen-
tuali diverse; in questo caso prevale il Centro (50%), seguito dal Nord (30%) e dal Sud
(20%). Per quanto riguarda l’estero, il mercato di riferimento è la Spagna. L’andamen-
to del mercato è giudicato stabile.
Per quanto riguarda le scelte future, basate sulla previsione di un aumento moderato
del mercato, le opzioni risultano ampiamente diversificate - nuovi prodotti, nuovi merca-
ti, l’aggiunta di canali commerciali, attuare la promozione dei propri prodotti – e posso-
no essere assunte come prova di una notevole fiducia nel mercato del vino biologico.
7.4.6 - La mappatura della filieraAttraverso le informazioni si qui analizzate è stato possibile ricostruire la mappa
della filiera del vino bio in Italia (Figura 7.67).
Come è possibile osservare, nel caso del vino le tipologie di operatori economici sono
numerose e le relazioni che si creano sono piuttosto complesse. Ciò è dovuto al fatto che
sul mercato al consumo operano figure non sempre presenti nelle altre filiere come il det-
Tabella 7.84 - Intenzioni future delle aziende di trasformazione viticola bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole Piccole Medie Medioa bassa a media ad alta ad alta grandi a
spec. spec. spec. spec. bassa spec. TotaleIncrementare la produzione bio 4 1 2 1 2 10
Introdurre nuovi prodotti bio 1 0 1 0 2 4
Diversificare la produzione bio 0 1 2 0 0 3
Introdurre innovazioni di processo 2 1 0 1 0 4
Introdurre sistemi di sicurezza
e rintracciabilità 0 0 0 1 1 2
Raggiungere nuovi mercati 2 0 1 1 0 4
Altro 1 0 0 0 0 1
Nessun cambiamento 0 0 0 0 2 2
Totale 4 2 3 1 6 16
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
216
taglio tradizionale, mentre nella distribuzione si trovano tanto grossisti generici che spe-
cializzati. Ne consegue che la struttura che può assumere la filiera è abbastanza varia.
GDO50%
ImportatoriEsteri10%
DettaglioTradizionale
40%
Figura 7.66 - I canali commerciali dei grossisti specializzati nel vino biologico
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
5,5% 37,5% 16,7% 4,2%27,1%
9,2%
50,0%50,0%
46,2% 19,2% 15,4% 15,3% 3,8%
10,0% 50,0%40,0%
Aziende di produzione primaria e di trasformazione
Aziende di trasformazione
GDOEstero
Cooperazione
Negozispecializzati e tradizionali
Grossisti
Consumatore finale HORECA
Figura 7.67 - I flussi* commerciali della filiera vitivinicola bio
Una caratteristica che influisce in modo abbastanza importante è data dal peso dei gros-
sisti: questi – considerando i flussi diretti, ma anche la ripartizione dei passaggi intermedi –
distribuiscono circa il 46% dell’intera produzione, provvedendo poi a smistarla verso il det-
taglio e l’estero. Considerando il massimo numero di passaggi potenziali – aziende agricole,
cooperative, industrie, grossisti, dettaglio o Gdo – si ottiene un numero di passaggi molto
alto, cinque, prima che il prodotto arrivi al consumatore finale. Il dettaglio e la Gdo vengo-
no inoltre riforniti anche da aziende agricole e industrie, per una quota non indifferente.
Le filiere corte – aziende agricole e industrie che vendono al consumatore finale o
alla ristorazione – risultano quindi minoritarie.
Tutte le percentuali rappresentano la percentuale delle vendite dei vari operatori.Soltanto in pochi casi si è fatto ricorso a percentuali degli acquisti*Non è stato possibile quantificare tutti i possibili flussi perchè non sono stati intervistati tutti gli operatori (es.cooperative, importatori, ecc.).Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
217
7.4.7 - I consumi domestici Complessivamente le bevande alcoliche presentano ancora un peso limitato sul to-
tale dei consumi di prodotti biologici (lo 0,6%, cfr. Capitolo 4). Il comparto, inoltre, è
tra i pochi che ha fatto osservare tra il 2006 ed il 2005 una contrazione, pari al 3%, at-
testandosi su un valore di meno di due milioni di euro.
Tuttavia, se questo è l’andamento del comparto nel suo complesso, diverso è quel-
lo osservabile per il vino, che rappresenta oltre il 60% del totale e per il quale si osser-
va un incremento di quasi il 50%. Inoltre il valore del vino bio confezionato venduto
presso i canali non specializzati ammontava nel 2006 a oltre 1,2 milioni di euro, corri-
spondenti ad una quantità consumata pari a 245.000 litri.
Dai pochi dati a disposizione si può evincere comunque che, anche se il consumo
di vini biologici è ancora marginale, esso è in una fase di espansione, sostenuto da un
più generale interesse per i “vini naturali”58.
7.4.8 – I punti di forza e di debolezzaL’analisi sin qui condotta consente di tracciare un quadro abbastanza preciso della fi-
liera del vino bio in Italia. La stessa si caratterizza per diversi punti di forza, ma anche di
debolezza, tanto da potersi definire, sinteticamente, in una fase di “equilibrio instabile”.
Il mercato del vino bio, seppure di nicchia, è in uno stadio di espansione. L’interesse
dei consumatori è crescente, le manifestazioni e le degustazioni si moltiplicano, i consumi
crescono. Il consumatore è peraltro favorito da una struttura della filiera che gli consente di
approvvigionarsi in tipologie differenziate di punti vendita, trovare il vino biologico nelle
occasioni di consumo fuori casa, rifornirsi in azienda. I prodotti si collocano comunque in
una fascia superiore di qualità, fattore che, probabilmente, spinge anche la domanda estera.
Infine la filiera, rispetto a diverse altre, è abbastanza equilibrata sotto il profilo territoriale.
Di contro, a livello di strutture produttive la situazione appare abbastanza differen-
ziata. Accanto ad aziende fortemente specializzate, spesso integrate, in cui il vino bio
è una scelta strategica di marketing, se ne riscontrano altre, poco specializzate, in cui
questo prodotto è marginale.
La propensione ad investire è fortemente differenziata e in diversi operatori delle
aziende industriali si riscontra incertezza sull’andamento del mercato.
Si aggiunga a questo che la vite è una delle colture per le quali maggiori sono i
problemi tecnici, e minore l’effetto incentivo delle politiche agroambientali, per com-
prendere come alcuni operatori potrebbero scegliere di uscire dal mercato.
Sotto questo profilo, tuttavia, l’elemento di maggiore incertezza appare quello del
quadro normativo – poco chiaro fino a quando non saranno emanate nuove norme co-
munitarie e nazionali – che causa incertezza sul mercato internazionale, dal punto di
vista tecnico, soprattutto in cantina e a livello di consumo finale.
Tabella 7.85 - I punti di forza e debolezza della filiera vitininicola bio
PUNTI DI FORZA
• Alto grado di specializzazione nel biologico e
nella viticoltura delle aziende di produzione e
integrate;
PUNTI DI DEBOLEZZA
• Problemi tecnici (controllo fitopatie) e tecno-
logici (in cantina);
• Basso tasso di specializzazione delle industrie
218
Segue Tabella 7.85 - I punti di forza e debolezza della filiera vitininicola bio
• Ruolo strategico del vino bio per le aziende
agricole e industriali più specializzate;
• Prodotti di fascia qualitativa alta (Doc, spumanti);
• Filiera equilibrata sotto il profilo territoriale
per la produzione, il mercato e i consumi;
• Filiera strutturata con canali corti e lunghi;
• Domanda crescente da parte dei consumatori
finali.
di trasformazione di maggiore dimensione;
• Poca chiarezza legislativa;
• Incertezza da parte degli operatori;
• Crescente concorrenza estera.
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
* Pur non essendo un campione costante significativo, si è ritenuto comunque interessanteeffettuare il confronto.42) Questi prodotti possono trovarsi sotto forma di granella che dopo gli opportuni tratta-menti viene venduta confezionata anche in miscele e in prodotti della III e IV gamma, otrovarsi come componente di prodotti da forno e pasta.43) Per i criteri di classificazione delle aziende tra specializzate e non specializzate, oltreche alle altre classificazioni, si rimanda al capitolo 6.44) È presente una sola unità appartenente alla tipologia delle piccole non specializzate.45) Va notato che l’incidenza di tali colture è dovuta ad alcune aziende di grandi dimensioni.46) È da rilevare infatti come, quando l’allevamento è presente, ciò caratterizzi la produzioneaziendale. Ad esempio, nel caso dei bovini da latte, nelle 10 aziende in cui tale allevamento è pre-sente, la dimensione media della stalla è di 145 capi, mentre per i bovini da carne è di 78 unità. 47) Per i criteri utilizzati per classificare le imprese per dimensione e specializzazione sirimanda a quanto specificato nel capitolo 6. 48) Per i criteri utilizzati per classificare le imprese per dimensione e specializzazione sirimanda a quanto specificato nel capitolo 6.49) I dati della tabella 27b non coincidono con quelli della 27a i cui dati sono stati estrapolatidal capitolo 4. Ciò è dovuto a una diversa definizione del comparto, che in questa specificasezione è stato arricchito di altri prodotti rientranti sempre nella categoria “derivati dei ce-reali” e che nella classificazione più generale del capitolo 4 rientravano in altre categorie.Ciò allo scopo di monitorare più in profondità l’effettivo andamento al consumo di tutti i pro-dotti cerealicoli. Ad esempio la voce “pastine per l’infanzia” qui è stata posta tra le paste,mentre nel capitolo 4, che è meno settoriale e più generalista, tra i prodotti dell’infanzia.50) Per i criteri di classificazione delle aziende tra specializzate e non specializzate, oltreche alle altre classificazioni, si rimanda al capitolo 6.51) Per i criteri utilizzati per classificare le imprese per dimensione e specializzazione sirimanda a quanto specificato nel capitolo 6.52) Data l’esiguità degli operatori specializzati e il conseguente grado di concentrazionesi ritiene il dato comunque significativo.53) Per i criteri di classificazione delle aziende tra specializzate e non specializzate, oltreche alle altre classificazioni, si rimanda al capitolo 6.54) Per i criteri utilizzati per classificare le imprese per dimensione e specializzazione sirimanda a quanto specificato nel capitolo 6.55) Data l’esiguità degli operatori specializzati e il conseguente grado di concentrazionesi ritiene il dato comunque significativo.56) Per i criteri di classificazione delle aziende tra specializzate e non specializzate, oltreche alle altre classificazioni, si rimanda al capitolo 6.57) Per i criteri utilizzati per classificare le imprese per dimensione e specializzazione sirimanda a quanto specificato nel capitolo 6.58) Per un approfondimento su questi temi si rimanda al Rapporto ISMEA, “Il biologiconel mediterraneo” di prossima pubblicazione.
219
8.1 -La filiera della carne biologica
8.1.1 - La produzione primaria
Aziende ed allevamentie 51 aziende specializzate nella produzione di carne biologica svolgono la loro
attività produttiva su una Sau che supera i 6.700 ettari, di cui poco meno di
2.500 destinati a colture foraggiere, ed allevano più di 6.300 capi (Tabella 8.1).
Tali risorse sono distribuite in modo fortemente asimmetrico tra quelle specializza-
te e quelle non specializzate59 (Tabella 8.1). Le prime, considerando sia quelle piccole
(meno di 100 capi allevati) che quelle medio-grandi (più di 100 capi), rappresentano
l’82,4% del panel, concentrano quasi l’88% della Sau e quasi il 73% dei capi allevati.
Tra le aziende specializzate prevalgono a loro volta quelle piccole che rappresentano il
49% dell’intero panel, ma solo il 27% della Sau e quasi il 20% dei capi allevati. Tra le
non specializzate si ha invece una maggiore incidenza di quelle medio-grandi, il 12%
circa dell’intero panel, con un numero di capi che rappresenta il 24% circa del totale.
La diversa distribuzione delle risorse produttive è dovuta, oltre che alla numerosità
delle diverse tipologie aziendali, a diversità strutturali tra le stesse (Tabella 8.2).
8. Le filiere zootecniche biologiche
L
Tabella 8.1 - Dati strutturali degli allevamenti da carne bio del panel
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Numero aziende 25 3 17 6 51
SAU (ha) 1.815 172 4.084 665 6.736
SAU a foraggiere (ha) 1.042 94 1.053 284 2.473
Numero capi allevati 1.255 184 3.379 1.522 6.340
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.2 - Alcuni indicatori relativi agli allevamenti da carne bio del panel
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Dimensione media (ha) 72,6 57,3 240,2 110,8 132,1
Incidenza foraggiere su SAU totale 57,4% 54,7% 25,8% 42,7% 36,7%
Dimensione media allevamento (capi) 50 61 199 254 124
Capi/ha di SAU foraggiera 1,2 2,0 3,2 5,4 2,6
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
220
Sotto il profilo territoriale il panel rilevato è sensibilmente squilibrato in relazione
alla reale distribuzione della zootecnia biologica in Italia. Oltre il 50% delle aziende
sono infatti dislocate nel Sud e nelle Isole, quasi il 20% al Centro, il 18% circa nel
Nord Est ed il restante 12% circa nel Nord Ovest (Figura 8.1).
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole0
5
10
15
20
25
30
Ovicaprini da carne
Bovini da carne
Ovicaprini da latte
Bovini da latte
Figura 8.1 - Distribuzione territoriale degli allevamenti da carne bio del panel
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Per quanto riguarda le tipologie aziendali, la distribuzione complessiva vista prima si
differenzia nelle diverse aree. Nel Sud e nelle Isole il peso delle piccole e specializzate
tende ad accentuarsi a sfavore delle medio-grandi specializzate. fenomeno del tutto oppo-
sto avviene invece al centro. Nel Nord-est la distribuzione è più equilibrata tra tutte e
quattro le tipologie aziendali, con una maggiore incidenza quindi delle aziende meno spe-
cializzate. Nel Nord-Ovest si ha invece la netta prevalenza delle piccole e specializzate.
I prodotti ottenuti e le trasformazioni aziendaliI 6.340 capi allevati nelle aziende della filiera della carne bio sono distribuiti secondo
quanto riportato nella Tabella 8.3. Come si può osservare, il numero maggiore di animali
allevati, oltre il 53%, è rappresentato da bovini da carne, mentre quasi il 30% è rappre-
sentato da ovini da carne ed un 4% da caprini da carne. Poco numerose le altre tipologie,
in maggioranza ovicaprini da latte. In relazione ai diversi tipi di aziende, si nota come il
peso delle aziende piccole e specializzate cresca nel caso dei bovini da carne e degli ovi-
ni da carne, mentre sia minore per gli ovini da carne. Le aziende medio-grandi specializ-
zate invece fanno registrare valori simili a quelli della media per bovini e ovini da carne,
ma sensibilmente superiori per gli ovicaprini da latte e per diverse altre specie, con una
maggiore diversificazione quindi dell’allevamento. Infine le mediograndi non specializ-
zate hanno una maggiore incidenza per quanto riguarda ovini e caprini da carne.
La presenza ed il numero degli animali per tipologia aziendale non indica con
chiarezza in quante aziende si ha la presenza di un determinato allevamento, così co-
me mostra la Tabella 8.4.
221
L’allevamento più diffuso oltre che come numero di animali come presenza di
aziende è quello dei bovini da carne, presente in 43 allevamenti, con una forte inci-
denza in quelle non specializzate e in quelle piccole e specializzate. Gli ovini da carne
sono il secondo allevamento presente, e sono diffusi soprattutto tra le aziende non spe-
cializzate. Il terzo allevamento da carne per presenza è quello dei caprini, che tuttavia
sono allevati solo nelle aziende medio-grandi.
Naturalmente la classificazione successiva al rilievo ha consentito di semplificare le
tipologie produttive delle aziende rilevate, arrivando alla distribuzione della Tabella 8.5.
Come si vede, il 70% circa del panel è imputabile alla filiera della carne bovina bio,
mentre il restante 30% a quello della filiera ovicaprina. Tra le tipologie aziendali, le dif-
ferenze sono notevoli. Nelle aziende specializzate tra le piccole cresce, rispetto alla me-
dia, l’incidenza della carne bovina (84%), mentre in quelle medio-grandi si abbassa al
67% circa. Tra quelle non specializzate nelle medio-grandi il peso della filiera bovina si
riduce drasticamente (33%), mentre tra le piccole si registrano valori simili alla media.
Tabella 8.3 - Il numero di capi presente negli allevamenti da carne bio del panel
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Ovini da latte 10 0 350 0 360
Ovini da carne 180 60 950 670 1.860
Caprini da latte 60 0 200 0 260
Caprini da carne 0 0 109 150 259
Bovini da latte 1 12 24 90 127
Bovini da carne 1.004 87 1.686 612 3.389
Suini 0 25 30 0 55
Equini 0 0 10 0 10
Altro 0 0 20 0 20
Totale 1.255 184 3.379 1.522 6.340
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.4 - Diffusione degli allevamenti da carne bio del panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Bovini da carne 22 3 12 6 43
Ovini da carne 4 2 6 5 17
Caprini da carne 0 0 3 2 5
Bovini da latte 1 1 1 2 5
Ovini da latte 1 0 1 0 2
Caprini da latte 1 0 1 0 2
Suini 0 1 1 0 2
Equini 0 0 1 0 1
Altro 0 0 1 0 1
Base 25 3 17 6 51
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
222
Le aziende rilevate ottengono dai loro allevamenti un ampia varietà di produzioni (Ta-
bella 8.6). Essendo possibile la presenza di più produzioni finali nelle stesse aziende si so-
no distinti i prodotti in funzione della loro preminenza all’interno della gestione aziendale.
Il prodotto maggiormente diffuso sono i bovini vivi che vengono venduti da 27 aziende,
ossia il 53% del panel, come produzione di maggiore importanza e da un ulteriore 4% co-
me secondo prodotto. Segue la carne fresca bovina che viene ottenuta nel 20% circa delle
aziende come primo prodotto e in un ulteriore 6% come prodotto secondario. Seguono gli
ovicaprini: gli animali vivi sono diffusi nel 12% delle aziende come primo prodotto e an-
cora nel 6% come secondo; la carne fresca rispettivamente nell’8% e nel 4% dei casi. Ol-
tre a prodotti direttamente riconducibili alla filiera della carne bio nelle aziende rilevate
vengono ottenuti prodotti che non rientrano nella filiera, ma che sono comunque frutto
dell’allevamento. È il caso dei formaggi, che interessano complessivamente come primo o
secondo prodotto il 10% delle aziende e in misura minore del latte alimentare o destinato
alla trasformazione. Il dato mette in evidenza come le aziende della filiera della carne bio-
logica integrino, in misura maggiore di ciò che avviene solitamente per le aziende agrico-
le, fasi della filiera stessa a valle della produzione. In ben 17 casi, infatti, le aziende hanno
dichiarato di occuparsi anche della macellazione e in altri 6 della caseificazione. Un tenta-
tivo di “accorciare” la filiera quindi che interessa il 45% delle strutture produttive.
Tabella 8.5 - La specializzazione produttiva negli allevamenti da carne bio del panel(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
Bovini carne 21 2 11 2 36 70,6%
Ovicaprini 4 1 6 4 15 29,4%
Totale 25 3 17 6 51 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.6 - Principali prodotti ottenuti negli allevamenti da carne bio del panel(in numero di risposte)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2°
prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto
Bovini vivi 16 0 0 1 8 0 3 1 27 2
Carne fresca bovina 6 0 0 1 4 1 0 1 10 3
Ovicaprini vivi 3 1 0 0 2 2 1 0 6 3
Carne fresca ovicaprina 0 0 2 0 0 2 2 0 4 2
Formaggi 2 1 0 0 2 0 0 0 4 1
Latte alimentare 0 0 0 0 1 1 0 0 1 1
Latte per la trasformazione 0 0 1 0 0 0 0 1 1 1
Totale 27 2 3 2 17 6 6 3 53 13
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
223
Andamento della produzione e costiLa Figura 8.2 evidenzia come, secondo il giudizio degli operatori, la produzione
della filiera della carne bio sia sostanzialmente stabile. Condizione che interessa 43
aziende, ossia l’84% del panel. Va segnalato tuttavia che, tra chi rileva cambiamenti,
ci sia una prevalenza di aziende che indicano un decremento della produzione rispetto
a quelle che segnalano un aumento.
In aumento6%
Stabile84%
In diminuzione10%
Figura 8.2 - Andamento della produzione degli allevamenti da carne bio nel 2006
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
In tutti i casi in cui la variazione della produzione è negativa, questa, in termini
percentuali, varia tra il 10% ed il 50% ed è sempre imputabile ad una minore produtti-
vità dell’allevamento. Una differenza, ma questa volta in senso positivo, della produt-
tività è anche la motivazione prevalente per chi ha indicato un aumento, insieme ad un
caso in cui la causa è indicata nell’aumento del numero dei capi.
Per il 53% delle aziende i costi di produzione sono risultati in aumento nel 2006,
mentre il 43% ha dichiarato la stabilità di tale parametro e in un solo caso viene di-
chiarato un costo minore (Tabella 8.7). Tra le cause che maggiormente incidono sul-
l’aumento dei costi si ritrovano a parità, entrambe con il 78% circa, l’andamento dei
prezzi dei mezzi tecnici e dei fattori energetici (Figura 8.3). Con una incidenza di gran
lunga minore la manodopera e sporadicamente l’assistenza tecnica.
Tabella 8.7 - Andamento dei costi di produzione negli allevamenti da carne bio del panel nel 2006(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
In aumento 14 3 8 2 27 52,9%
Stabili 9 0 9 4 22 43,1%
In diminuzione 1 0 0 0 1 2,0%
Non sa 1 0 0 0 1 2,0%
Totale 25 3 17 6 51 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
224
8.1.2 - Il mercato alla produzione
Canali commerciali e aree di mercatoQuanto affermato in precedenza sulla notevole incidenza delle aziende che operano per
accorciare la filiera risulta abbastanza palese se si prende in considerazione la Tabella 8.8.
Mezzi tecnici Energetici Manodopera Assistenza tecnica0
10
20
30
40%
50
60
70
80
Figura 8.3 - Cause dell’aumento dei costi di produzione nel 2006 per gli allevamenti dacarne bio del panel (in % sul totale, risposte multiple)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 8.8 - I canali commerciali degli allevamenti da carne bio del panel(in n. di risposte, risposte multiple)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi nonspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale
Aziende di trasformazione 10 1 4 2 17
Consumatore finale 3 0 6 3 12
Allevatori ingrassatori 6 0 2 1 9
Cooperative 5 0 3 0 8
Grossisti/intermediari nazionali 2 2 4 0 8
Gdo 2 0 2 0 4
Negozi specializzati 0 1 3 0 4
Base 25 3 17 6 51
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Infatti il canale della vendita diretta al consumatore è, con il 23,5%, il secondo per
incidenza complessiva sul panel rilevato. Il primo rimane comunque quello delle
aziende di trasformazione, cui si rivolge un terzo del panel rilevato. Più sporadici in-
vece i contatti con il mercato al consumo: Gdo e negozi specializzati sono raggiunti in
entrambi i casi da circa l’8% delle aziende. Al contrario i canali successivi sono in
qualche modo quelli che contribuiscono ad “allungare” la filiera: allevatori che opera-
no per il finissaggio degli animali, cooperative e grossisti nazionali rientrano in questa
categoria, e incidono sul campione tra il 16 ed il 18%.
Le differenze tra le diverse tipologie aziendali sono evidenti. Per le aziende picco-
le e specializzate il canale preferenziale, ma in misura maggiore rispetto all’intero pa-
nel (40%), è quello delle industrie di trasformazione. Più elevato anche il peso degli
ingrassatori e delle cooperative, mentre i canali più diretti sono meno praticati rispetto
alla media del panel. Minore la diversificazione delle aziende piccole ma non specia-
lizzate. Anche in questo caso un canale “più lungo” come quello dei grossisti ha un
peso maggiore rispetto alla media. Le aziende medio-grandi e specializzate sono quel-
le che fanno registrare il maggiore grado di diversificazione dei canali commerciali,
ma allo stesso tempo sono anche quelle in cui la filiera si accorcia con maggiore fre-
quenza. Infatti il principale canale commerciale di queste aziende (vi si rivolge oltre
un terzo) ha come cliente il consumatore finale ed anche per la distribuzione al consu-
mo si registra una buona incidenza. Le aziende di trasformazione, inoltre, sono rag-
giunte da più del 20% di esse. Minore il peso invece dei canali più “lunghi”: gli in-
grassatori sono raggiunti da meno del 12% delle aziende, i grossisti dal 23%, le co-
operative dal 18%. Un comportamento simile si osserva per le aziende medio-grandi
non specializzate, anche se con un numero di canali decisamente minore. Anche in
questo caso è preponderante il consumatore finale, cui si rivolge il 50% delle aziende,
a cui seguono le industrie e gli ingrassatori.
Come era lecito attendersi, quindi, la dimensione aziendale influisce positivamen-
te sulla creazione di filiere più corte. Le imprese di piccola dimensione si rivolgono a
canali intermedi (ingrassatori grossisti, cooperazione) ed all’industria di trasformazio-
ne in misura maggiore rispetto a quelle medio-grandi. Queste invece hanno nel consu-
matore finale il canale preferenziale e, accanto a questo, le industrie di trasformazio-
ne. Maggiormente presenti rispetto alle aziende più piccole anche i canali del mercato
al consumo.
Da notare che, anche se vi è un certo grado di sovrapposizione, 42 aziende hanno
indicato un determinato canale commerciale come esclusivo, cui commercializzano
quindi il 100% della loro produzione. Naturalmente in questo senso vi è una certa dif-
ferenza tra i canali: ad esempio il consumatore finale è il canale commerciale esclusi-
vo solo nel 50% dei casi, mentre la restante metà delle aziende vende una percentuale
della propria produzione che va dal 5 al 60%. Anche nel caso della Gdo solo il 50%
delle aziende vende tutta la propria produzione in questo esercizio, mentre per le altre
2 che vendono in questo canale rappresenta il 50%. Ancora minore l’esclusività per i
negozi specializzati: in questo caso solo una azienda su tre vende tutta la propria pro-
duzione su questo canale e negli altri casi le percentuali vanno dal 15 al 30%. Per gli
altri canali il tasso di esclusività è invece maggiore: ingrassatori, cooperative, grossisti
sono il canale esclusivo per oltre il 70% delle aziende che vi si rivolgono, sino ad arri-
vare ad oltre l’80% per le aziende di trasformazione.
Nonostante la dislocazione territoriale delle aziende di produzione, il principale
mercato di riferimento, con il 36% delle aziende che vi si rivolge, è il Nord Italia.
Questo è vero soprattutto per le aziende piccole e specializzate, le quali si rivolgono a
questo canale nel 52% di casi, e meno per quelle grandi specializzate (il 16%). La secon-
225
226
da area preferenziale è il Centro (28% delle aziende), zona di riferimento in questo caso
per le aziende non specializzate medio grandi (50%) e piccole (33%). Seguono poi il Sud
(21%) e le Isole (15%). Da notare che mentre il Sud rappresenta un’area preferenziale per
le aziende medio-grandi specializzate (vi si rivolge il 42% di queste), le Isole non rappre-
sentino mai un’area di vendita particolarmente sviluppata. Considerando che il 46% delle
aziende è dislocata tra Sicilia e Sardegna (rispettivamente 15 e 8) se ne ricava una confer-
ma della nota dicotomia tra aree di produzione e aree di consumo dei prodotti biologici in
Italia. Da notare inoltre che nessuna azienda raggiunge mercati esteri.
Andamento del mercatoIn maniera in qualche modo analoga a quanto riscontrato per l’andamento della
produzione, anche rispetto all’evoluzione del mercato la quota maggiore del panel
(circa il 77%) dichiara una situazione di sostanziale stabilità. La percentuale si alza
nelle aziende specializzate: 84% per le piccole e 100% per le medio-grandi. Anche in
questo caso tra chi non dichiara un andamento stabile prevalgono le indicazioni di una
contrazione in quasi il 18% del panel, contro chi invece rileva una crescita del merca-
to, pari al 6%. In entrambi casi – diminuzione o crescita del mercato – le percentuali
di incidenza sono maggiori per le aziende non specializzate.
Piccolespecializzate
Piccole nonspecializzate
Medio grandispecializzate
Medio grandinon
specializzate
Totale0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Nord
Centro
Sud
Isole
Figura 8.4 - Aree di mercato degli allevamenti da carne bio del panel
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 8.9 - Andamento del mercato per gli allevamenti da carne bio del panel nel 2006(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
Stabile 21 0 12 6 39 76,5%
In diminuzione 3 2 4 0 9 17,6%
In aumento 1 1 1 0 3 5,9%
Totale 25 3 17 6 51 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
227
Anche se i numeri in assoluto sono modesti, è interessante analizzare le motiva-
zioni dichiarate quali cause delle variazioni di mercato. nel caso di aumento la causa
principale addotta dagli operatori è l’espansione della domanda da parte del mercato e
in misura minore una maggiore competitività in termini di prezzi. Nel caso di un de-
cremento di mercato, invece, tali cause si invertono: in questo caso la motivazione più
citata è l’aumento dei prezzi e, in seconda battuta, la minore domanda del mercato.
Diviene quindi di particolare interesse la questione dei prezzi (Tabella 8.10).
Tabella 8.10 - Andamento dei prezzi alla produzione per gli allevamenti da carne bio del panel nel 2006(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
I prezzi sono aumentati 3 0 2 0 5 9,8%
I prezzi sono diminuiti 2 1 4 0 7 13,7%
Nessuna variazione 20 2 11 6 39 76,5%
Totale 25 3 17 6 51 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
In effetti le indicazioni fornite dagli operatori sembrerebbero a prima vista confor-
tanti: soltanto in meno del 10% delle aziende i prezzi alla produzione sono aumentati,
mentre nel 76% dei casi sono rimasti stabili e nel 14% circa sono addirittura diminuiti.
Tuttavia se si confronta tale dato con quelli esposti in precedenza rispetto ai costi di
produzione, si vede come la filiera sia interessata da un peggioramento della ragione di
scambio, visto che oltre il 50% delle aziende ha dichiarato di avere prodotto con costi
in aumento e solo il 10% dichiara che anche i prezzi sono aumentati. Nonostante i nu-
meri modesti a livello di singola tipologia, le variazioni sono rilevanti. Per le aziende
piccole e specializzate si riscontra una maggiore stabilità, ma anche una maggiore inci-
denza di prezzi in aumento. Al contrario per quelle specializzate ma medio-grandi si ri-
leva ma minore quota di prezzi stabili e una maggiore (oltre il 23%) di prezzi in calo.
Simile l’andamento per le aziende piccole e non specializzate, mentre per quelle me-
dio-grandi non specializzate prevale la stabilità. Naturalmente, oltre alla questione della
ragione di scambio, andrebbe considerata quella del differenziale di prezzo con i pro-
dotti convenzionali. Se una contrazione dei listini si risolvesse in un minore differen-
ziale di prezzo finale per i consumatori, sarebbe certamente un vantaggio.
Messo in evidenza che per circa un quarto delle aziende non segnalano difficoltà
particolari nella fase della commercializzazione, per quanto detto sinora non sorpren-
de che la difficoltà principale sia identificata, dal 47% circa delle aziende del panel,
proprio nei prezzi ritenuti non remunerativi.
La seconda motivazione è invece ritenuta l’andamento della domanda, che causa la dif-
ficoltà di collocamento del prodotto. Incidenza minore sembrano avere gli aspetti logistici
o strutturali come ad esempio la carenza di linee di macellazione per i prodotti biologici.
Le differenze in relazione alla tipologia aziendale non sono particolarmente significative. I
228
prezzi rimangono sempre la causa principale. Le difficoltà legate alla domanda assumono
invece un peso maggiore rispetto alla media nelle aziende di piccola dimensione, specializ-
zate o meno. Infine le segnalazioni delle aziende piccole e specializzate sono più articolate,
segno di un rapporto più difficile con il mercato. Peraltro questa è la tipologia nella quale
l’incidenza dell’assenza di difficoltà nella commercializzazione si abbassa drasticamente a
meno del 12% del panel. Un altro elemento significativo sta nel fatto che le difficoltà sul la-
to della domanda assumano il valore maggiore (quasi il 56%) per le aziende medio-grandi
specializzate. Queste si era visto a proposito dei canali sono quelle in cui maggiore è la va-
rietà dei canali percorsi, con un’alta incidenza di canali “brevi”. Si può quindi dedurre che
questa potrebbe essere in qualche modo la risposta che le aziende di questa tipologia della
filiera attuano proprio per ovviare alla difficoltà legate alla domanda del mercato.
Aspettative e innovazioniNonostante le difficoltà sinora identificate, le aspettative degli imprenditori sono
decisamente buone (Tabella 8.12).
Tabella 8.12 - Previsioni sull’andamento del mercato nei prossimi 2-3 anni per gli allevamenti da carne biodel panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
Aumenterà un po’ 7 2 5 1 15 29,4%
Resterà stazionario 13 1 9 4 27 52,9%
Diminuirà un po’ 3 0 1 0 4 7,8%
Diminuirà molto 0 0 1 0 1 2,0%
Non so 2 0 1 1 4 7,8%
Totale 25 3 17 6 51 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.11 - Difficoltà incontrate nella commercializzazione per gli allevamenti da carne bio del panel(in numero di risposte, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandi Medio grandi non In % sulspecializzate specializzate specializzate specializzate Totale totale
Nessuna 4 1 7 3 15 24,2%
Prezzo non remunerativo 15 2 10 2 29 46,8%
Difficoltà di collocamento
a causa della domanda 9 1 1 0 11 17,7%
Difficoltà logistiche per
raggiungere i canali
commerciali 3 0 0 1 4 6,5%
Carenza di macelli bio 2 0 0 0 2 3,2%
Altro 1 0 0 0 1 1,6%
Totale 34 4 18 6 62 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
229
Anche in questo caso prevale (53% delle aziende) una previsione prudente, che
vede il mercato nei prossimi anni stazionario, ma accanto a questa opzione la seconda
è quella dell’aumento, se pur contenuto, del mercato che viene dichiarata da quasi il
30% del panel. Al contrario, le previsioni pessimistiche (tra cui peraltro prevalgono
quelle che lo sono moderatamente) interessano meno del 10% delle aziende. Rappor-
tando i due valori per ogni imprenditore pessimista ve ne sono tre ottimisti. Da notare
che gli ottimisti incidono maggiormente tra le aziende piccole e tra quelle specializza-
te e in misura minore tra quelle medio-grandi non specializzate.
Le innovazioni che gli imprenditori intendono apportare sono in linea con quanto
visto sinora.
Vendita diretta23,5%
Nuovi prodotti animali17,6%
AumentoSAU bio17,6%
Altro17,6%
Trasformazioneprodotti11,8%
Sito commerciale internet5,9%
Nuovi canali di vendita5,9%
Figura 8.5 - Innovazioni che gli allevamenti da carne bio hanno intenzione di introdurrenei prossimi anni
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Va sottolineato innanzitutto che il 70% circa delle aziende del panel ha dichiarato
di non volere apportare alcuna innovazione. Tra coloro che invece pensano di innova-
re, prevalgono coloro che vogliono arrivare al canale della vendita diretta. A conferma
che il mercato sia uno dei nodi fondamentali della filiera, accanto a questa opzione
trovano spazio anche l’apertura di un sito internet commerciale o la generica afferma-
zione di nuovi canali di vendita; inoltre l’opzione della trasformazione dei prodotti va
in direzione di una filiera più corta. Infine hanno ricevuto attenzione anche l’aumento
della dimensione aziendale o la diversificazione nella produzione.
8.1.3 - La trasformazione
Grado di specializzazione e prodotti della filieraLe aziende che operano nella fase della trasformazione della filiera della carne bio
presentano un grado di specializzazione, all’interno del comparto delle carni, pari al
100%. Non vengono infatti lavorati altri prodotti che non siano carni fresche, in sette
casi, o trasformate, nei rimanenti 5. La specializzazione sul biologico è invece decisa-
mente minore (Tabella 8.13)60.
230
Per la quota maggiore del panel rilevato (6 aziende su 11) l’incidenza del bio sul
complesso produttivo dell’azienda è marginale, cui si devono aggiungere altre 2 azien-
de in cui è limitata. Solo per 3 aziende si attesta su quote elevate e in due casi la pro-
duzione biologica è esclusiva. Incrociando il grado di specializzazione con la dimen-
sione aziendale, si ha quindi un prevalere di aziende di piccola dimensione e con un
basso grado di specializzazione sul biologico.
Alla classica dicotomia tra aree di produzione e consumo cui si faceva riferimento
nel paragrafo precedente, si accompagna quella consueta tra aree di produzione pri-
maria ed aree in cui avvengono i processi di trasformazione. In questo caso la concen-
trazione è ancora più netta rispetto ai consumi (Figura 8.6).
Nord Ovest Nord Est Totale0
2
4
6
8
10
12
Marginale (<=5% )
Limitata (6-20%)
Elevata (51-70% )
Molto elevata (>=71%)
Figura 8.6 - Localizzazione delle imprese di trasformazione di carne bio del panel suddivi-se per specializzazione(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 8.13 - Il grado di specializzazione nel biologico delle imprese di trasformazione di carne bio del panel(in numero di aziende)
Grado di incidenza del Piccole Piccole a media Medie e grandibio sul totale delle vendite a bassa spec. e alta spec. a bassa spec. TotaleMarginale (<=5%) 5 0 1 6
Limitata (6-20%) 0 0 2 2
Elevata (51-70%) 0 1 0 1
Molto elevata (>=71%) 0 2 0 2
Totale 5 3 3 11
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
In questo caso, infatti, le aziende sono localizzate solo al Nord, con una suddivi-
sione quasi paritaria tra Nord-Ovest e Nord-Est. Tuttavia tra le due aree quello che
cambia è sostanzialmente la distribuzione delle aziende in relazione alla tipologia. Nel
Nord-Est non si riscontrano aziende con specializzazione nel bio elevata ed il panel è
231
costituito in prevalenza da aziende con incidenza del biologico marginale. Decisamen-
te più equilibrata la struttura nel Nord-Ovest, in cui le aziende con una specializzazio-
ne elevata e molto elevata rappresentano la metà del panel.
Si è detto che le aziende operano soltanto nel comparto delle carni con due tipolo-
gie di prodotti: le carni fresche o quelle trasformate. Più in dettaglio nel primo caso si
tratta specialmente di carni bovine – sei aziende – e in un solo caso di carni suine (Ta-
bella 8.14).
Tabella 8.14 - I principali prodotti ottenuti dalle imprese di trasformazione di carne bio del panel(in numero di aziende)
Nord Ovest Nord Est TotaleCarni bovine 4 2 6
Carni di suino 1 0 1
Carni elaborate di maiale 1 1 2
Prosciutto cotto affettato in busta e a taglio 0 1 1
Prosciutto crudo affettato in busta e a taglio 0 1 1
Totale 6 5 11
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Nel secondo caso si tratta di derivati del maiale, ossia di prosciutti – crudo e cotto
– affettati e imbustati e di carni elaborate di maiale. Sembra quindi di potere delineare
due filiere: quella della carne bovina, esclusivamente basata sul prodotto fresco, e
quella della carne suina, prevalentemente fondata su diversi prodotti trasformati e in
misura minore su carni fresche. La prima sembra trovare un’area di specializzazione
nel Nord-Ovest, mentre la seconda è maggiormente concentrata nel Nord-Est. Incro-
ciando questi dati con la tipologia aziendale se ne ricaverebbe che la filiera delle carni
trasformate è presente soprattutto nelle aziende con un basso grado di specializzazio-
ne nel biologico, per le quali questi prodotti rappresentano probabilmente una diversi-
ficazione dell’offerta. La filiera delle carni fresche, soprattutto quelle bovine, sembre-
rebbe essere invece diffusa in aziende con differenti gradi di specializzazione.
L’approvvigionamento delle materie primeIl principale canale di approvvigionamento della materia prima per le aziende che
producono carni fresche trasformate bio sono le aziende agricole, cui ci si rivolge in 6
casi su 13 (Figura 8.7).
Seguono con una medesima incidenza (in 3 casi su 13) cooperative e consorzi e
l’autoproduzione, mentre si registra un solo caso in cui il prodotto deriva da altre
aziende di trasformazione. Spesso questi canali sono esclusivi, ossia le aziende acqui-
stano tutta la materia prima lavorata dalla medesima tipologia di fornitore. Questo è
vero soprattutto per l’autoproduzione, che rappresenta la sola fonte della materia pri-
ma per quelle aziende che integrano la fase della produzione primaria e della trasfor-
mazione. Lo è meno per quelle aziende che si rivolgono alle aziende agricole (4 su 6)
o alle cooperative (2 su 3), mentre nell’unico caso in cui il fornitore sia rappresentato
232
da un’azienda di trasformazione si tratta di un canale parziale.
Il numero medio dei fornitori per azienda è di 2,2, ma si rilevano 5 casi in cui que-
sto è uno, e solo 2 in cui sono 4.
Per quanto concerne le aree di provenienza della materia prima (Figura 8.8), si re-
gistra una netta prevalenza del mercato locale, cui si rivolgono oltre i 3/4 delle impre-
se, cui seguono a larga distanza quello nazionale ed estero.
Piccole abassa spec.
Piccole a mediae alta spec.
Medie e Grandi abassa spec.
Totale0
2
4
6
8
10
12
14
Aziende agricole
Cooperative e consorzi
Altre aziende di trasformazione
Autoproduzione
Figura 8.7 - L’approvvigionamento della materia prima per le imprese di trasformazionedi carne bio(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Locale/regionale9
Nazionale 2
Estero1
Figura 8.8 - Provenienza della materia prima per le imprese di trasformazione di carne bio(in numero di rispondenti)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Il dato mette in luce che la distanza tra aree di produzione e trasformazione, cui si
accennava in precedenza, rappresenta non solo un problema logistico, ma anche, in
seconda battuta economico. Se infatti le aziende si approvvigionano sui mercati locali
e regionali e una quota considerevole della produzione è localizzata al Sud e nelle Iso-
233
le, è probabile che queste produzioni, come molte indagini hanno messo in luce, non
riescano ad essere valorizzate sul mercato dei prodotti biologici. A conferma di tale
indicazione i problemi61 segnalati dalle aziende per la fase di approvvigionamento so-
no stati: la reperibilità della materia prima, i costi crescenti e in misura minore la diffi-
coltà a reperire prodotti di qualità costante. È chiaro come i primi due fattori sarebbe-
ro positivamente influenzati da una maggiore offerta.
L’andamento della produzioneChe il ruolo dell’offerta nella fase di produzione primaria sia cruciale risulta evi-
dente anche attraverso i dati della Tabella 8.15.
Tabella 8.15 - Andamento della produzione per le imprese di trasformazione di carne bio nel 2006(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
È risultata stabile 2 1 2 5
È risultata in aumento 1 2 1 4
È risultata in diminuzione 2 0 0 2
Totale 5 3 3 11
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Infatti soltanto due aziende hanno registrato una minore produzione nel corso del-
l’ultimo anno, mentre per quattro si è verificato un aumento e per le restanti 5 una sta-
bilità. Uno scenario quindi in cui il livello produttivo, in misura rilevante per effetto di
una espansione della domanda, risulta favorevole, che tuttavia si trova a fronteggiare
difficoltà dovute al reperimento della materia prima. Questa, di contro, viene prodotta
per la maggior parte in aree in cui la filiera e i consumi sono meno strutturati. Da no-
tare che l’andamento negativo viene segnalato solo dalle aziende non specializzate e
di più piccola dimensione, nelle quali, evidentemente, le produzioni biologiche per ca-
renze strutturali o di marketing non riescono a rappresentare un valore aggiunto.
In tale scenario più di un terzo delle imprese ha indicato come il costo di produ-
zione sia stato nel corso dell’ultimo anno crescente, in una misura che va dal 5 al
20%.
8.1.4 - Il mercato dei prodotti trasformati
Canali e aree di venditaCome già messo in evidenza nei paragrafi precedenti nella filiera della carne bio,
si manifesta una forte tendenza ad “accorciare la filiera”. Come mostra infatti la Ta-
bella 8.16, il canale di vendita maggiormente percorso dalle aziende che operano nella
fase della trasformazione è quello diretto con il consumatore finale, cui si rivolgono 4
imprese su 13. Alcune aziende poi semplificano i passaggi commerciali attraverso il
contatto con la Gdo, canale che interessa 3 imprese su 13.
234
Per quanto riguarda la dimensione territoriale, sembra esserci una differenza tra le due
aree produttive (Figura 8.9), anche se in entrambi i casi emerge la ricerca di canali più corti.
Tabella 8.16 - I canali di vendita delle imprese di trasformazione di carne bio del panel(in numero di aziende, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Grossisti generici 0 1 0 1
Grossisti specializzati bio 0 0 1 1
Gdo 1 0 2 3
Consumatore finale 2 2 0 4
Negozi specializzati bio 1 0 0 1
Altro 3 0 0 3
Totale 7 3 3 13
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Nord Ovest Nord Est
1
1
1
3
2
1
1
3
Grossisti generici
Grossisti specializzati bio
Gdo
Consumatore finale
Negozi specializzati bio
Altro
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Figura 8.9 - I canali di vendita delle imprese di trasformazione di carne bio per areageografica(in numero di rispondenti del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Se le imprese operano, prevalentemente, su filiere corte con un basso numero di
intermediari, non deve sorprendere se il mercato in cui 9 imprese su 11 vendono è
quello locale-regionale (Figura 8.10).
Coerentemente con quanto osservato in precedenza rispetto all’andamento della
produzione, anche il mercato sembra in una fase di relativa espansione (Tabella 8.17).
Per circa un terzo delle imprese contattate, infatti, le vendite risultano in crescita,
il doppio di quelle che di contro registrano una contrazione. Quasi la metà si attesta
invece su un giudizio di stabilità.
Tra le cause citate della crescita del mercato, al primo posto viene segnalata l’e-
spansione della domanda, seguita da una migliore competitività dell’impresa62), men-
tre in un solo caso viene indicata anche una migliore ragione di scambio grazie al con-
235
tenimento dei prezzi delle materie prime. Potrebbe essere questo un segnale positivo
relativamente alla riduzione del differenziale dei prezzi con i prodotti convenzionali.
La strategia di mercatoVisto il grado di specializzazione e le tipologie prevalenti nel panel di imprese ri-
levato, era lecito attendersi che i prodotti biologici fossero spesso marginali all’interno
della strategia d’impresa. Invece anche se questa opzione interessa oltre un terzo delle
imprese, la stessa incidenza riscuote il ruolo centrale, quale prodotto strategico (Tabel-
la 8.18). Naturalmente questo è sempre vero per le tre aziende specializzate, ma tale
opzione si ritrova anche tra le aziende non specializzate di maggiori dimensioni.
Complessivamente quindi i prodotti biologici per le imprese rilevate assumono un
ruolo importante anche se non sempre centrale, contribuendo a differenziare e com-
pletare l’offerta o quali prodotti di nicchia importanti per l’immagine aziendale.
Considerando che 3 aziende su 11 non hanno saputo fornire una risposta sul ciclo
di vita dei propri prodotti biologici e che questa indicazione potrebbe rappresentare
una incertezza sul ruolo che tali prodotti potranno assumere, la Tabella 8.19 restituisce
un quadro abbastanza incoraggiante.
Piccole abassa spec.
Piccole amedia e alta spec.
Medie e Grandia bassa spec.
Totale
5 3
1
1
1
9
1
1
Locale-regionale
Despecializzato
Estero
1
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Figura 8.10 - Specializzazione di mercato delle aziende di trasformazione di carni bio(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 8.17 - Andamento delle vendite delle aziende di trasformazione di carne bio del panel nel 2006(in numero di aziende)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
In crescita 1 2 1 4
Stabili 2 1 2 5
In diminuzione 2 0 0 2
Totale 5 3 3 11
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
236
Prevale infatti la valutazione di prodotti che ormai si possono considerare maturi
per presenza e affermazione sul mercato. Tuttavia non è da sotto valutare il fatto che, in
due casi, sia stata indicata l’opzione del declino, mentre risulta incoraggiante la presen-
za di un azienda per la quale i prodotti bio sono in fase di lancio. Come era logico
aspettarsi, tutte le aziende più specializzate affermano che i loro prodotti sono in una
fase di maturità, segno che il lavoro svolto per identificare il proprio ruolo di aziende
specializzate e affermate sul mercato della carne biologica ha dato i risultati sperati.
Tutte le aziende del panel rilevato tranne una commercializzano i propri prodotti
con l’uso di marchi (Figura 8.11).
Le opzioni di fondo sembrano due, tra loro paritarie come diffusione: da un lato i
marchi della propria azienda, dall’altro l’uso di marchi non aziendali. Questi ultimi
possono essere il marchio di un’altra azienda (3 casi) o quello della Gdo (2 casi). Co-
me sempre, vi è una sensibile differenziazione tra le diverse tipologie d’impresa.
Quelle più specializzate hanno tutte un proprio marchio aziendale che le garantisce
meglio nel controllo del prodotto lungo la filiera. Tra quelle più grandi questa scelta è
assente e prevale invece l’uso di marchi di altre aziende o della Gdo. Più eterogenea
infine la posizione delle aziende di minore dimensione.
Se si cerca di leggere unitamente le indicazioni fornite sinora sul posizionamento
delle aziende sul mercato il quadro sembra abbastanza chiaro anche se ben diversifica-
to, come mostra lo schema 8.1.
Tabella 8.18 - Il ruolo delle carni bio nella strategia delle aziende di trasformazione bio del comparto(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Centrale (prodotto strategico, d’immagine) 0 3 1 4
Differenziazione e completamento dell’offerta 0 0 1 1
Marginale 3 0 1 4
Di nicchia 2 0 0 2
Totale 5 3 3 11
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.19 - Il posizionamento della carne trasformata bio nel ciclo di vita del prodotto(in numero di aziende del panel)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Lancio 0 0 1 1
Maturità 1 3 1 5
Declino 2 0 0 2
Non so 2 0 1 3
Totale 5 3 3 11
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
237
Le due strategie fondamentali sono quella in cui i prodotti biologici sono centrali e
quella in cui invece assumono un ruolo marginale. Nella prima i prodotti vemgono
considerati oramai maturi per il mercato di riferimento e viene adottato in prevalenza
il marchio aziendale. Tuttavia non va trascurata la presenza imprese che stanno inve-
stendo, lanciando i prodotti sul mercato e considerano tale opzione strategica. In que-
sto caso il prodotto viene fornito alla Gdo che lo marchia con la sua private label. Si
tratta con probabilità di un accordo commerciale giudicato appunto strategico.
Piccole abassa spec.
Piccole amedia e alta spec.
Medie e grandia bassa spec.
Totale0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
1
2
2
1
3
1
2
1
5
3
2
1
Senza marchio
Marchio aziendale
Marchio di un'altra azienda
Marchio della Gdo
Altro marchio
Figura 8.11 - Marchi con cui vengono vendute le carni bio dalle imprese di trasforma-zione biologiche(in numero di aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Schema 8.1 - Strategie adottate dalle imprese di trasformazione di carni bio del panel(ogni riga corrisponde ad un’azienda)
POSIZIONAMENTO DEIPRODOTTI NELLA FASE CICLO MARCHIO MARCHIOSTRATEGIA DI IMPRESA DI VITA UTILIZZATO 1 UTILIZZATO 2Marginale Declino Marchio aziendale Marchio di altra azienda
Marginale Non so Marchio di altra azienda
Marginale Declino Senza marchio
Marginale Non so Marchio di altra azienda
Differenz. di gamma Maturità Marchio della Gdo
Di nicchia Maturità Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale
Centrale Lancio Marchio della Gdo
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
238
Il secondo scenario è quello della marginalità. In questo caso i prodotti sono in fa-
se di declino o di incertezza. La scelta di produrre e vendere carni bio non ha dato i ri-
sultati sperati. È da notare tuttavia come in questo caso prevalga l’uso di marchi di al-
tre aziende o l’assenza di marchi, che sembrerebbe indicare che senza un marketing
adeguato e, soprattutto, in assenza di controllo, sia difficile affermare i propri prodotti.
L’esistenza di dubbi sul ciclo di vita, l’adozione di più marchi potrebbero altresì indi-
care un possibile rilancio. Infine va vista in modo positivo l’esistenza di altre strategie
in cui i prodotti biologici, anche se non centrali, sono oramai affermati sul mercato e
rivestono un ruolo definito e positivo – di nicchia o di differenziazione – contribuendo
a completare l’offerta e l’immagine dell’impresa.
Le aspettativeCome già visto nella fase di produzione primaria, ma anche attraverso le considerazioni
dei paragrafi precedenti su produzione e andamento del mercato nell’ultimo anno, il giudi-
zio degli operatori della filiera delle carni bio sembra abbastanza positivo (Tabella 8.20).
Tabella 8.20 - Aspettative di mercato nei prossimi 2-3 anni per le aziende di trasformazione di carni biodel panel(in numero di aziende)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Aumenterà molto 1 0 0 1
Aumento moderato 0 2 1 3
Stazionario 4 0 1 5
Non so 0 1 1 2
Totale 5 3 3 11
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Posizione che viene confermata dalle aspettative degli imprenditori, in cui colpi-
sce il fatto che in nessun caso vengono fornite indicazioni negative. E se l’indicazione
che ottiene la maggiore frequenza è quella di un mercato stazionario, nell’insieme più
di un terzo delle aziende si aspetta un mercato in crescita anche se prevale l’opzione
della crescita moderata. Le differenze tra le diverse tipologie d’impresa sono in linea
con il profilo sinora tracciato. Tra quelle specializzate prevale una visione ottimistica;
tra quelle più piccole e non specializzate la previsione di nessun cambiamento; tra
quelle di maggiore dimensione un equilibrio tra queste due posizioni.
La sensazione di una filiera dinamica viene confermata anche dalle intenzioni fu-
ture delle imprese (Tabella 8.21).
Innanzitutto, al contrario di quanto avviene in diverse altre filiere, l’assenza di
cambiamenti è minoritaria. Al contrario le imprese pensano di incrementare la produ-
zione biologica o di diversificarla con nuovi prodotti della filiera o con nuove filiere.
Queste opzioni sono presenti nelle imprese specializzate e in quelle medio grandi non
specializzate, ma sono invece assenti in quelle più piccole e meno specializzate. Per
239
questa tipologia infatti prevalgono le indicazioni che riguardano le innovazioni del
processo produttivo (date anche dalle aziende specializzate) e l’organizzazione azien-
dale con l’introduzione di sistemi di sicurezza. Scelte dunque indipendenti rispetto al-
la produzione di carni o altri prodotti biologici, in quanto applicabili a qualsiasi pro-
cesso produttivo. Da notare infine che nella tipologia delle imprese specializzate e, in
misura minore, in quella delle aziende non specializzate medio-grandi, vi è un certo
grado di sovrapposizione nelle risposte, che può essere interpretato quale ulteriore se-
gnale di dinamismo aziendale.
8.1.5 - L’intermediazione commercialeL’indagine della filiera della carne bio ha interessato anche la fase dell’intermedia-
zione commerciale, ossia gli operatori – in questo caso specializzati63 – che agiscono
tra la fase della produzione sia primaria che della trasformazione sin qui trattate, e la
distribuzione al mercato finale. Anche se per alcuni versi la filiera della carne bio sem-
bra essere strutturata anche su canali corti, come si è visto nei paragrafi precedenti,
una quota non secondaria della produzione primaria e secondaria viene commercializ-
zata attraverso grossisti. Nel caso in questione l’impresa intervistata tratta i principali
prodotti esaminati nella filiera: carne fresca, bovina e di pollo, e trasformata rappre-
sentata da prosciutto cotto affettato in busta. Le carni fresche rappresentano la quota
prevalente (80%) rispetto a quelle trasformate (20%). L’approvvigionamento segue
canali differenziati: aziende agricole (nella misura del 15%), cooperative e consorzi
(per il 10%), ma soprattutto importatori e quindi l’estero (75%).
Si evidenzia pertanto l’ancora forte dipendenza del comparto delle carni bio dal
prodotto estero.
La quota del mercato nazionale è coperta da produzioni provenienti dal Nord e dal
Centro. Per quanto riguarda la produzione estera, questa proviene dalla Danimarca e
dall’Austria. Nonostante la differenziazione dei canali di approvvigionamento, tale
grossista denuncia molte difficoltà per il reperimento della materia prima: quantità e
qualità non costanti, reperibilità dei prodotti, costi crescenti. La difficoltà nel reperi-
mento delle produzioni si riflette poi in quella a garantire i flussi verso i propri clienti.
Tabella 8.21 - Intenzioni future delle aziende di trasformazione di carne bio del panel(in numero di aziende, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole a media Medie e grandia bassa spec. e alta spec. a bassa spec. Totale
Incrementare la produzione bio 0 1 3 4
Introdurre nuovi prodotti bio 0 1 0 1
Diversificare la produzione bio (con altre filiere bio) 0 1 1 2
Introdurre innovazioni di processo 0 2 0 2
Introdurre sistemi di sicurezza e rintracciabilità 1 0 0 1
Altro 1 0 0 1
Nessun cambiamento 3 0 0 3
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Anche nel caso del mercato finale, esaminando i dati si nota una sensibile differenzia-
zione dei canali di vendita, ma soprattutto come la filiera si strutturi ulteriormente,
poiché la quota maggiore della produzione trattata dai grossisti specializzati viene
commercializzata attraverso la ristorazione collettiva ed un ulteriore, seppur più limi-
tata, quota attraverso i ristoranti.
Per quanto concerne le aree di vendita la carne bio viene venduta sui mercati del
Nord (in leggera prevalenza) e del Centro.
Le prospettive della filiera, a fronte di un mercato segnalato in aumento nel 2006,
secondo le indicazioni dell’azienda intervistata, sono di una potenziale espansione.
Tra le intenzioni future, infine, si annoverano l’incremento dell’offerta, l’ampliamento
della gamma dei prodotti finali, il posizionamento su nuovi mercati e una maggiore
promozione.
8.1.6 - La mappatura della filieraLa Figura 8.12 riassume la struttura della filiera della carne bio in Italia secondo
l’indagine effettuata. Come si può notare la filiera è abbastanza articolata, e si compone
di canali “corti” e di canali “lunghi”. I primi sono rappresentati dalla vendita diretta ef-
fettuata sia dalle aziende di produzione che da quelle di trasformazione. Da notare che
il processo di integrazione sembra piuttosto accentuato. Infatti, come si è sottolineato
nel primo paragrafo, un terzo delle aziende vende carne fresca bovina o ovina. Questo
sia perché si tratta di aziende di produzione e trasformazione, ma anche perché diverse
aziende di trasformazione macellano conto terzi restituendo poi il prodotto all’azienda
agricola. D’altro canto anche tra le aziende di trasformazione risultano diffuse le azien-
de integrate (l’autoproduzione rappresenta il 27% dell’approvvigionamento).
I canali “lunghi” sono invece articolati con figure intermedie – cooperazione ma
soprattutto grossisti – che operano a valle di aziende e industrie e smistano poi il pro-
dotto o sulla distribuzione finale o alla ristorazione.
Una filiera intermedia si ha nel caso in cui aziende e industrie commercializzano
attraverso la distribuzione.
Dal punto di vista geografico la filiera sembra replicare in modo perfetto il classi-
co dualismo strutturale dell’agricoltura biologica italiana. Le aziende agricole e quindi
i capi, sono concentrati al Sud e soprattutto nelle Isole. La trasformazione ed il merca-
to al Centro-Nord. Per le aziende di trasformazione – dislocate al Centro-Nord – infat-
ti il mercato locale rappresenta oltre i 3/4 del totale, mentre quello nazionale una quo-
ta molto più bassa. Il Centro-Nord rappresenta inoltre la quasi totalità del mercato dei
grossisti e quindi dei canali più lunghi, ristorazione collettiva e dettaglio specializzato.
Da rilevare che l’interscambio con l’estero è piuttosto attivo sia come canale di vendi-
ta sia come approvvigionamento. Naturalmente la presenza degli importatori rende le
filiere lunghe della carne bio ancora più estese. Inoltre tale articolazione consente di
evidenziare i limiti logistici ed organizzativi della filiera. Nonostante una produzione
potenziale, concentrata al Sud, che potrebbe soddisfare almeno in parte le esigenze di
consumo, sembra più agevole percorrere il canale estero.
240
241
55%
37%
3%
16,1%
15,6%
36.5%
6,1%
4,5%
75%
13,9%
13,5%
5%
16,1%
18,2%
31,5%27,3%
9,1%
Dettagliospecializzato
GrossistiGDO
Aziende di produzione primaria
Aziende di trasformazione
Cooperazione
Importatori
Ingrassatori
Consumatore finale
HORECA
3,3%
Figura 8.12 - I flussi* commerciali della filiera della carne bio
8.1.7 – I consumi domesticiNonostante la crescita delle strutture produttive e nonostante l’articolazione della filie-
ra vista sinora, il consumo dei prodotti a base di carne bio rimane, nel contesto più genera-
le dei consumi dei prodotti biologici, una nicchia. Come sottolineato nel Capitolo 4, infat-
ti, nel 2006 i consumi dei prodotti a base di carni bio hanno inciso, in termini di spesa, per
meno dell’1% sul totale dei prodotti biologici. Tuttavia è doveroso precisare che le carni
biologiche rilevate nel Panel Ismea/ACNielsen sono molto poche e oltretutto attinenti ad
allevamenti il cui peso nell’ambito dell’indagine qui esposta è estremamente limitato.
Una situazione comunque quasi speculare rispetto ai prodotti lattiero-caseari, che
in termini di consumo sono ai primi posti della graduatoria dei prodotti bio più vendu-
ti. Naturalmente tale analisi non può prescindere dal fatto che per i consumi vengono
qui analizzati solo i dati relativi alla Gdo. Si è visto infatti in precedenza che questo
canale è tra i meno percorsi per la carne bio, soprattutto per quella fresca, i cui percor-
si preferenziali sono rappresentati dalla vendita diretta e dalla ristorazione collettiva.
Come si nota dalla Tabella 8.22, infatti, i prodotti venduti nella Gdo sono essenzial-
mente carni trasformate, evidenziando quindi come – in misura ben più rilevante ri-
spetto ad altri prodotti il Panel Ismea/ACNielsen fornisca un quadro parziale.
Nota: si tratta quasi sempre di percentuali relative alle vendite dei vari operatori e non ai flussi in entrata.*Non è stato possibile quantificare tutti i possibili flussi perchè non sono stati intervistati tutti gli operatori (es.cooperative, importatori, ecc.).Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
242
Vi è da dire tuttavia che in ogni caso i prodotti carnei monitorati non sono tra i preferiti
dei consumatori italiani, visto che l’incidenza del biologico sul totale della spesa per que-
ste referenze si attesta sullo 0,3%, valore inferiore alla media, pari ad 1,3%, e di gran lunga
inferiore a molte referenze, anche di origine animale, come lo yogurt, le uova o il miele.
In ogni caso occorre sottolineare che tra il 2006 ed il 2005 anche per le carni tra-
sformate si è verificato un aumento della spesa di notevole entità, anche se occorre
sottolineare l’ancora esiguo ammontare dei volumi di spesa che porta a forti scosta-
menti percentuali da un anno all’altro.
Per quanto riguarda le singole referenze monitorate, secondo i dati disponibili il pro-
dotto più consumato sarebbe la carne avicunicola che pesa per il 57% sul totale della spesa
e che ha fatto registrare il maggiore incremento, cui seguono gli affettati in busta, con ulte-
riore 33%64. In ogni caso il mercato della carne biologica e dei suoi derivati è sicuramente
una nicchia ma in forte espansione, come testimonia anche la presenza tra i prodotti valu-
tati “in espansione” (cfr. Capitolo 4), delle carni avicole, degli affettati e dei wurstel.
8.1.8 - I punti di forza e di debolezzaL’analisi dei punti di forza e di debolezza della filiera della carne bio è abbastanza
chiara. A distanza di alcuni anni dall’emanazione del regolamento sulle produzioni
animali, gli allevamenti biologici sono ormai diffusi. La filiera è ben articolata con fe-
nomeni di integrazione e collaborazione tra aziende e canali commerciali differenziati.
Le aspettative degli imprenditori sono positive e la domanda appare in forte crescita.
Tuttavia la filiera della carne bio è fortemente condizionata da un vizio di fondo di
carattere strutturale che si può identificare nel “classico” dualismo strutturale del bio-
logico italiano (strutture aziendali della produzione primaria concentrate nel Sud e
nelle Isole, fase industriale, distribuzione e consumi al Centro-Nord). Ciò porta con sé
difficoltà logistiche e commerciali che finiscono per condizionare tutta la filiera. Un
indicatore di tale processo si può identificare nella preferenza – o necessità – da parte
dei grossisti che riforniscono la ristorazione collettiva a rifornirsi per quanto riguarda
la carne fresca da mercati del Centro e Nord Europa piuttosto che presso le aziende
produttrici del nostro paese. Un secondo fattore di blocco può essere poi identificato
Tabella 8.22 - I consumi domestici* del comparto degli elaborati di carni bio(in euro)
2005 2006 Var. % 06/05Carne avicun. elab. cotta 662.335 1.469.886 121,9%
Affettati in busta 496.669 873.644 75,9%
Wurstel 156.059 166.371 6,6%
Carne surg. - 33.300 -
Carne avicun. elab. cruda 32.641 30.813 -5,6%
Prosciutto cotto 20.267 - -
Totale 1.367.971 2.574.014 88,2%
* La rilevazione non comprende i consumi effettuati nei negozi specializzati bioFonte: Elaborazioni Ismea su dati Ismea/ACNielsen.
243
nell’assenza della carne bio sui banconi della Gdo. Se è vero che questo canale ha rap-
presentato il fattore di sviluppo del mercato, la sua assenza diviene determinante. Al-
tre problematiche rimangono collegate alla questione Ogm. La difficoltà a rifornirsi di
mangimi e foraggi extra-aziendali non è stata in effetti segnalata. Tuttavia si è visto
che nelle aziende di maggiore dimensione il carico di bestiame in relazione alla Sau
foraggiera determina il ricorso al mercato, con le conseguenze anche in termini di po-
tenziale “contaminazione” da Ogm.
In definitiva la filiera della carne bio oggi appare quasi come una nicchia, localiz-
zata spesso da filiere corte che legano produzione e consumo soprattutto al Nord Ita-
lia. Il passo per arrivare ad una vera strutturazione della filiera su base nazionale do-
vrebbe essere quello di favorire l’integrazione verticale – tra aziende di produzione
del Mezzogiorno e fasi della trasformazione e distribuzione - e quella orizzontale –
tra aziende zootecniche e aziende produttrici di foraggi – anche attraverso specifici ac-
cordi interprofessionali, magari favoriti ed incentivati dagli acquisti pubblici e colletti-
vi.
Tab. 8.22 bis - I punti di forza e di debolezza della filiera della carne bio
PUNTI DI FORZA
• Diffusione ormai ampia degli allevamenti;
• Presenza di aziende di grandi dimensioni e
prevalentemente specializzate;
• Presenza di aziende integrate verticalmente;
• Varietà dei prodotti ottenuti (freschi e trasfor-
mati);
• La produzione a livello primario e secondario
appare secondo il giudizio degli operatori in
decisa crescita;
• La filiera è ben strutturata ed articolata con
presenza di canali corti e lunghi;
• Vi è un interscambio commerciale con l’este-
ro sia in attivo che in passivo;
• La carne bio riveste un ruolo centrale o co-
munque positivo nella strategia di marketing
della maggior parte delle imprese contattate;
• Vi sono aspettative positive da parte degli
operatori sul futuro del mercato;
• La domanda di carni bio è in decisa crescita
sia nei consumi privati che collettivi.
PUNTI DI DEBOLEZZA
• Il dualismo strutturale della filiera;
• L’eccessiva concentrazione degli animali alle-
vati nelle Isole e nel Sud;
• Quota ridotta della SAU foraggiera nelle
grandi aziende con più elevato rischio di con-
taminazione da Ogm;
• Aumento dei costi di produzione e diminuzio-
ne della ragione di scambio;
• Prezzi alla produzione ritenuti non remunera-
tivi;
• Difficoltà per gli operatori commerciali nel
reperimento della materia prima;
• “Dipendenza commerciale dall’estero” per al-
cune referenze;
• Limitata diffusione della carne bio, soprattut-
to quella fresca, nella Gdo.
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
244
8.2 -La filiera lattiero-casearia biologica
8.2.1 - La produzione primaria
Aziende ed allevamentiNella filiera lattiero-casearia biologica sono state intervistati a livello primario 45
allevamenti.
Le 45 aziende specializzate nella produzione di latte biologico svolgono la loro at-
tività produttiva su una Sau che supera di poco i 6.000 ettari, di cui quasi 2.900 desti-
nati a colture foraggiere ed allevano più di 16.000 capi (Tabella 8.23).
Tali risorse sono distribuite in modo fortemente asimmetrico tra quelle specializzate
e quelle non specializzate65 (Tabella 8.23). Le prime, considerando sia quelle piccole
(meno di 100 capi allevati) che quelle medio-grandi (più di 100 capi), rappresentano il
95,5% del panel, e concentrano il 97% della Sau e oltre il 99% dei capi allevati. Tra le
aziende specializzate prevalgono a loro volta quelle medio-grandi che rappresentano
l’80% dell’intero panel, ma il 92,5% della Sau e quasi il 98% dei capi allevati. Tra le
non specializzate si ha invece una presenza esclusiva di quelle piccole, il 4,5% del panel,
con un numero di capi che non arriva a rappresentare l’1% del totale.
La tabella 8.24, inoltre, evidenzia alcuni indicatori relativi agli allevamenti da latte
bio del panel mettendo in risalto tra l’altro che al crescere della dimensione aziendale
aumenta anche l’intensità dell’allevamento.
Le aziende intervistate sono collocate con larga prevalenza nel Sud e nelle Isole
Tabella 8.23 - Dati strutturali degli allevamenti da latte bio del panel
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Totale
Numero aziende 7 2 36 45
SAU (ha) 270 180 5.571 6.021
SAU a foraggere (ha) 185 90 2.615 2.890
Numero capi allevati 255 115 15.984 16.354
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.24 - Alcuni indicatori relativi agli allevamenti da latte bio del panel
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Media
Dimensione media (ha) 38,6 90,0 154,8 133,8
Incidenza foraggere (%) 68,5% 50,0% 46,9% 48,0%
Dimensione media allevamento (numero capi) 36 58 444 363
Capi/ha di SAU foraggera 1,4 1,3 6,1 5,7
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
245
(68,9% nel complesso, con un 79,4% per gli ovicaprini e un 36,4% per i bovini),
aree seguite a larga distanza con la stessa incidenza (del 13,3%) dal Centro e dal
Nord Est, zona quest’ultima dove i bovini da latte hanno un peso molto superiore al-
la media. Un’incidenza più bassa a livello complessivo (4,4%) è invece quella del
Nord Ovest.
La localizzazione delle aziende è in netta prevalenza in collina (32 aziende nel
complesso tra ovicaprini e bovini) rispetto a quelle collocate in zone di montagna (8),
mentre quelle presenti in zone di pianura sono appena 5 su 45.
Nord Ovest Nord Est Centro Sud e Isole0
5
10
15
20
25
30
35
Piccole specializzate
Piccole non specializzate
Medio grandi specializzate
Figura 8.14 - Distribuzione territoriale degli allevamenti da latte bio del panel(in numero di allevamenti)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Scendendo nel dettaglio regionale, la maggiore presenza si ha soprattutto in Sarde-
gna (19 aziende) e in Sicilia (12), seguite a larga distanza da Emilia Romagna e Lazio
(4) e da Liguria, Veneto, Umbria e Puglia (1).
I prodotti ottenuti e le trasformazioni aziendaliI capi allevati nelle aziende della filiera latte bio sono distribuiti secondo quanto
riportato nella Tabella 8.25. Come si vede, il numero maggiore di capi allevati, oltre
l’80%, è rappresentato da ovini da latte, mentre il 4,5% è rappresentato da caprini da
latte ed un 4% da bovini da latte. Poco numerose le altre tipologie, in maggioranza
ovini e bovini da carne. In relazione ai diversi tipi di aziende, si nota come le aziende
medio grandi specializzate siano le sole aziende che presentano ovicaprini da latte,
mentre il peso delle aziende piccole (sia specializzate che non) cresce fortemente in
termini di capi nel caso dei bovini da latte e dei bovini da carne (in questo caso solo
per le non specializzate).
La presenza ed il numero degli animali per tipologia aziendale non indica con
chiarezza in quante aziende si ha la presenza di un determinato allevamento, così co-
246
me mostra invece la Tabella 8.26. L’allevamento più diffuso oltre che come numero di
animali come presenza di aziende è quello degli ovini da latte, che si collocano in 32
aziende, con una presenza esclusiva in quelle medio-grandi specializzate. I bovini da
latte rappresentano il secondo allevamento e sono diffusi soprattutto tra le aziende
specializzate, soprattutto piccole. Il terzo allevamento per presenza è quello dei bovini
da carne, che sono allevati quasi esclusivamente nelle aziende medio-grandi.
Tabella 8.25 - I capi presenti negli allevamenti da latte bio del panel
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Totale
Ovini da latte 0 0 13.110 13.110
Ovini da carne 0 0 820 820
Caprini da latte 0 0 730 730
Caprini da carne 0 0 200 200
Bovini da latte 245 70 320 635
Bovini da carne 0 45 605 650
Suini 0 0 185 185
Equini 10 0 14 24
Altro 0 0 0 0
Totale 255 115 15.984 16.354
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.26 - Diffusione dei vari tipi di allevamenti nelle aziende zootecniche produttrici di latte bio del panel(in numero di allevamenti)
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Totale
Ovini da latte 0 0 32 32
Ovini da carne 0 0 7 7
Caprini da latte 0 0 4 4
Caprini da carne 0 0 1 1
Bovini da latte 7 2 5 14
Bovini da carne 0 2 11 13
Suini 0 0 5 5
Equini 1 0 2 3
Base 7 2 36 45
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Le elaborazioni successive alla rilevazione hanno consentito di semplificare le ti-
pologie produttive delle aziende rilevate, arrivando alla distribuzione della Tabella
8.27. Come si può osservare, il 72% del panel è imputabile alla filiera del latte ovica-
prino bio, mentre il restante 28% a quello della filiera bovina. Tra le tipologie azien-
dali le differenze sono notevoli. Le aziende piccole producono esclusivamente latte
bovino, mentre quelle medio-grandi hanno un peso più basso della media per que-
st’ultimo, ma sono le sole aziende che producono latte ovicaprino.
247
I prodotti ottenutiLe aziende rilevate ottengono dai loro allevamenti un ampia varietà di produzioni (Ta-
bella 8.28). Essendo possibile la presenza di più produzioni finali nelle stesse aziende, si so-
no distinti i prodotti in funzione della loro preminenza all’interno della gestione aziendale.
Tabella 8.27 - La specializzazione produttiva degli allevamenti da latte bio del panel(in numero di allevamenti del panel)
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Totale
Bovini da latte 7 2 5 14
Ovicaprini da latte 0 0 36 36
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.28 - Principali prodotti degli allevamenti da latte bio del panel(in numero di allevamenti del panel)
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Totale1° 2° 1° 2° 1° 2° 1° 2°
prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto prodotto
Animali vivi 0 0 0 0 8 4 8 4
Latte 6 0 0 0 20 9 26 9
Formaggi 1 0 2 0 6 4 9 4
Carni fresche 0 0 0 2 2 2 2 4
Carni trasformate 0 0 0 0 0 1 0 1
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Latte Formaggi Animali vivi Carni fresche0
5
10
15
20
25
30
26
98
2
Figura 8.15 - La produzione aziendale più venduta negli allevamenti da latte bio del panel(in numero di allevamenti, risposte multiple)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
248
Il prodotto principale in assoluto67 è evidentemente rappresentato dal latte (26 cita-
zioni su 45) che in parte è destinato alla trasformazione e in parte al consumo umano.
Seguono i formaggi, primo prodotto per nove aziende, mentre 8 aziende vendono
principalmente animali vivi. Soltanto 2 vendono invece carne fresca: Oltre quindi a
prodotti direttamente riconducibili alla filiera del latte bio nelle aziende rilevate ven-
gono ottenuti prodotti che non rientrano nella filiera, ma che sono comunque frutto
dell’allevamento.
Come secondo prodotto in ordine di importanza sono citati ancora il latte (9 casi,
soprattutto destinato alla trasformazione), i formaggi (4), la carne fresca (4), gli ani-
mali vivi (4).
Al terzo posto sono stati classificati con leggera prevalenza sugli altri e a pari me-
rito ancora il latte destinato alla trasformazione e i bovini vivi.
Da quanto finora osservato si è quindi visto che vi è presenza anche di prodotti
trasformati. In particolare quattordici aziende su 45 (il 31%) si occupano anche della
trasformazione dei propri prodotti aziendali, a testimonianza di una integrazione, in
misura maggiore di ciò che avviene solitamente per le aziende agricole, di fasi più a
valle della produzione.
L’andamento della produzioneL’andamento della produzione è risultato nella maggior parte (l’84%) delle
aziende intervistate stabile. Un 9% la ritiene invece in aumento e solo il 4% in dimi-
nuzione. La restante quota di intervistati ha manifestato incertezza.
In particolare riguardo agli ovicaprini vi è una percentuale superiore alla media
(l’85,3%) che ritiene che la produzione nell’ultimo anno sia rimasta stabile, l’8,8% la
In aumento9%
Stabile84%
In diminuzione 4%
Non sa 2%
Figura 8.16 - Andamento della produzione degli allevamenti da latte bio nel 2006
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
249
giudica in aumento, mentre solo per il 3% delle aziende viene segnalata una diminu-
zione.
I giudizi sulla stabilità sono invece relativamente meno frequenti nel caso degli al-
levamenti bovini da latte bio, mentre più elevati risultano quelli sull’aumento.
Per quanto riguarda i costi di produzione relativi al 2006, questi sono segnalati in
aumento dal 69% delle aziende o stabili per il 26,7% degli intervistati, mentre solo per
un 4,4% è stata dichiarata una diminuzione.
In particolare per gli allevamenti ovicaprini i giudizi sull’aumento dei costi sono
superiori all’andamento medio del comparto nel complesso, quelli sulla stabilità infe-
riori e quelli sulla diminuzione di nuovo superiori. Per gli allevamenti bovini, invece,
gli intervistati hanno sempre espresso giudizi sull’aumento o sulla stabilità, in percen-
tuali rispettivamente inferiori e superiori alla media del comparto.
Le cause degli aumenti dei costi sono riconducibili in prevalenza all’incremento di
quello dei mezzi tecnici (47,5%) e dell’energia (44,3%). Un peso di gran lunga mino-
re hanno quelli di manodopera ed assistenza tecnica. Il giudizio sull’incremento dei
costi dei mezzi tecnici è stato espresso da circa il 50% sia delle aziende medio-grandi
specializzate che delle piccole specializzate, mentre il secondo ha riguardato quasi il
50% delle medio-grandi specializzate, contro il 25% di quelle piccole specializzate.
Mezzi tecnici Energetici Manodopera Assistenza tecnica0
5
10
15
20
25
30
Figura 8.17 - Cause dell’aumento dei costi negli allevamenti da latte bio del panel nel 2006(in numero di allevamenti, domanda a risposta multipla)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Riguardo alle intenzioni di effettuare innovazioni in futuro, la gran parte delle
aziende contattate non intende apportarne alcuna al proprio sistema produttivo.
Tra quelle invece che le hanno segnalate, il 10,5% degli intervistati ha intenzio-
ne di introdurre la trasformazione dei prodotti, mentre l’8,3% vorrebbe effettuare la
vendita diretta. Un minor numero di aziende introdurrebbe nuovi prodotti e animali,
vorrebbe raggiungere nuovi mercati e canali di vendita e cambierebbe indirizzo pro-
duttivo.
250
Da notare che per la vendita diretta, l’introduzione della trasformazione e il rag-
giungimento di nuovi mercati e canali sono esclusivamente le aziende medio-grandi
specializzate ad esprimere questa scelta. Tra le piccole specializzate vi è invece un’al-
ta incidenza di chi non vuole introdurre nessuna innovazione, mentre non prevale nes-
sun orientamento per le piccole non specializzate.
Tabella 8.29 - Innovazioni da introdurre nei prossimi anni per gli allevamenti da latte bio del panel(in numero di allevamenti, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Totale
Nessuna 6 1 25 32
Vendita diretta 0 0 4 4
Introdurre la trasformazione dei prodotti 0 0 5 5
Cambio di indirizzo produttivo 1 1 0 2
Introdurre nuovi prodotti e animali 0 1 1 2
Nuovi mercati e canali di vendita 0 0 2 2
Altro 0 0 1 1
Totale 7 3 38 48
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
8.2.2 - Il mercato alla produzione
I canali commerciali e le aree di mercatoLe aziende intervistate vendono i loro prodotti principalmente ad aziende di tra-
sformazione (37,7%) e a cooperative (21,3%), mentre un 18% lo fa direttamente al
consumatore finale. Un ulteriore 13% vende ai grossisti presenti sul territorio naziona-
le. Gli altri canali detengono invece quote molto più contenute.
Nelle aziende medio-grandi specializzate presentano un peso superiore alla media
la cooperazione ed i grossisti nazionali, mentre nelle piccole specializzate hanno
un’incidenza relativamente più elevata le aziende di trasformazione. Nel caso degli al-
levamenti piccoli e non specializzati figura come unico canale la vendita diretta al
consumatore finale. Quindi al crescere della specializzazione aumenta anche la nume-
rosità dei canali di vendita.
Oltre ad indagare sulla presenza dei diversi canali commerciali, è utile anche pesa-
re il contributo di ognuno. Chi vende la propria produzione alle aziende di trasforma-
zione, lo fa in 16 casi su 22 ricorrendo ad esse in modo esclusivo, mentre in 5 casi sol-
tanto a cooperative ed aziende di trasformazione. Nel restante caso si vende anche, ol-
tre che ai trasformatori, ai grossisti. Un peso minore si riscontra per le cooperative: sei
aziende su dodici conferiscono l’intera produzione. Per la vendita diretta, invece, 5
aziende su 10 adottano in modo esclusivo il canale corto.
Le aziende vendono quasi sempre nelle aree dove sono localizzate, in quanto le
percentuali di vendita nelle varie circoscrizioni sono abbastanza simili a quelle relati-
ve alla distribuzione territoriale delle aziende stesse.
251
Il 62,7% delle aziende vende infatti al Sud e nelle Isole (28% e 23% circa rispetti-
vamente), mentre un 17,5% lo fa al Centro e un 15,7% al Nord. La restante e limitata
quota distribuisce invece i suoi prodotti al Sud (4%).
Le aziende specializzate vendono prevalentemente nelle Isole, mentre tra le non
specializzate prevalgono il Nord ed il Centro.
Tabella 8.30 - Canali commerciali degli allevamenti da latte bio del panel(in numero di allevamenti, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Totale
Cooperative 1 0 12 13
Grossisti/intermediari nazionali 1 0 7 8
Grossisti/intermediari estero 0 0 1 1
Gdo 0 0 1 1
Aziende di trasformazione 4 0 19 23
Negozi specializzati 0 0 2 2
Consumatore finale 0 2 9 11
Allevatori ingrassatori 0 0 1 1
Altro 1 0 0 1
Totale 7 2 52 61
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.31 - Aree di mercato degli allevamenti da latte bio del panel(in numero di allevamenti, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Totale
Nord 2 1 5 8
Centro 1 1 7 9
Sud 0 0 2 2
Isole 4 0 28 32
Totale 7 2 42 51
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Andamento del mercato, prezzi e aspettativeLe aziende intervistate giudicano l’andamento delle vendite nella loro filiera nel
2006 in prevalenza stabile (68,8% delle risposte) o in diminuzione (22,2%), mentre
solo un 9% circa lo stima in aumento.
Scendendo nel dettaglio, gli allevamenti ovicaprini sono più prudenti in quanto sti-
mano in maniera più elevata della media una stabilità del mercato (70,6%) e meno
consistente degli allevamenti da latte nel complesso un aumento dello stesso (8,8%).
Vi è tuttavia una percentuale più bassa della media che stima una diminuzione del
mercato (20,6%).
L’esatto contrario avviene (per tutte e tre le tendenze) nel caso degli allevamenti
bovini da latte.
252
Sulla stabilità è forte il peso sul totale nell’ambito delle medio grandi specializza-
te, dato che non sorprende perchè queste aziende sono anche le più numerose; meno
forte lo è invece nelle aziende piccole, specializzate e non.
Riguardo alla diminuzione del mercato, invece il peso più elevato è delle piccole
non specializzate, che tra l’altro non hanno in nessun caso, pur tenuta in debito conto
la loro bassa numerosità, espresso orientamenti sull’aumento del mercato.
Tabella 8.32 - Andamento del mercato negli allevamenti da latte bio nel 2006(in numero di allevamenti del panel)
Piccole Piccole non Medio grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate Totale totale
In aumento 1 0 3 4 8,9%
Stabile 4 1 26 31 68,9%
In diminuzione 2 1 7 10 22,2%
Totale 7 2 36 45 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Riguardo ai motivi del calo del mercato, gli intervistati che lo hanno dichiarato ri-
tengono che dipenda in misura preminente (50%) da un aumento dei prezzi, o da un
calo della domanda (30%), mentre per un 20% esso è dovuto genericamente ad una ri-
duzione dei ricavi.
Un aumentodei prezzi50%
Un calo delladomanda nazionale
30%
Riduzionedei ricavi
20%
Figura 8.18 - Motivazioni del decremento di mercato nel 2006 per gli allevamenti da latte bio
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Le motivazioni dell’aumento di mercato invece discendono in leggera prevalenza
da una maggiore competititività in termini qualitativi (50%), ma anche in misura mi-
nore di prezzo (25%) e da una più elevata domanda di mercato (25%).
Insieme al giudizio sull’andamento del mercato, alle imprese è stato chiesto di espri-
mersi in merito ad eventuali difficoltà incontrate durante la commercializzazione (Tabella
8.33). Gli allevamenti da latte dichiarano in prevalenza (74,1%) di non incontrare problemi
di commercializzazione, mentre chi dichiara di incontrarli ritiene che soprattutto il prezzo
non remunerativo (55,6%) e in misura minore le difficoltà di collocamento a causa della
253
domanda (16%) siano gli ostacoli più forti da dover fronteggiare. Meno importanti sono ri-
tenute le difficoltà logistiche ed organizzative per raggiungere i canali commerciali.
In tutte le risposte vi è una forte prevalenza, come si è visto anche in precedenza,
di risposte provenienti da aziende medio-grandi e specializzate, dato che però è vizia-
to dalla loro forte numerosità. Le piccole specializzate hanno invece la maggiore rap-
presentatività nel caso delle difficoltà legate al prezzo non remunerativo.
Maggiore competitivitàsui prezzi 25%
Maggiore competitivitàin termini qualitativi
50%
Maggiore domandadel mercato
25%
Figura 8.19 - Motivazioni dell’aumento del mercato nel 2006 negli allevamenti da latte bio
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tabella 8.33 - Difficoltà nella commercializzazione negli allevamenti da latte bio del panel(in numero di allevamenti, domanda a risposta multipla)
Piccole Piccole non Medio grandispecializzate specializzate specializzate Totale
Nessuna 1 1 12 14
Prezzo non remunerativo 6 1 23 30
Difficoltà di collocamento a causa
della domanda 2 1 4 7
Difficoltà logistiche ed organizzative
per raggiungere i canali commerciali 0 0 3 3
Totale 9 3 42 54
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
In riferimento ai prezzi alla produzione, 2/3 delle aziende ritengono che essi siano rima-
sti stabili nel 2006, mentre un 20% pensa siano calati. Solo un 13% li considera in aumento.
Da notare che i giudizi sugli aumenti dei prezzi sono stati espressi solo da aziende
ovicaprine, che presentano anche valori inferiori alla media nelle altre due voci di ri-
sposta, che al contrario sono superiori nel caso dei bovini.
È da rilevare inoltre che l’aumento dei prezzi è stato dichiarato solo da aziende
medio-grandi specializzate, e che le piccole specializzate hanno tutte affermato di non
riscontrare nessuna variazione. Le piccole specializzate, inoltre, hanno il maggior pe-
so nell’ambito dei giudizi sulla diminuzione dei prezzi, anche se il numero di rispon-
denti è piuttosto basso.
254
Rispetto all’andamento del mercato nei prossimi 2-3 anni la maggior parte delle
aziende intervistate (il 42,2%) pensa che il mercato rimarrà più o meno invariato. Un
altro 24% sostiene che vi sarà un lieve aumento delle vendite, mentre il 15% ritiene
che il mercato scenderà, ma non di molto.
Il 9% invece ritiene che il mercato calerà di parecchio, mentre una quota della
stessa entità non sa rispondere.
Più ottimisti nell’ambito degli allevamenti risultano quelli ovicaprini, in cui figu-
rano percentuali più elevate della media che prevedono un aumento e più basse che
prevedono un calo contenuto o una stabilità. Le aziende con bovini da latte invece non
prevedono aumenti e al contrario presentano percentuali superiori alla media sulla
flessione del mercato (sia pur non elevata) o sulla sua stabilità.
Tabella 8.34 - Andamento dei prezzi alla produzione negli allevamenti da latte bio del panel nel 2006 (in numero di allevamenti)
Piccole Piccole non Medio grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate Totale totale
Sono aumentati 0 0 6 6 13,3%
Sono diminuiti 3 0 6 9 20,0%
Nessuna variazione 4 2 24 30 66,7%
Totale 7 2 36 45 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.35 - Previsioni sull’andamento del mercato nei prossimi 2-3 anni negli allevamenti da lattebio del panel(in numero di allevamenti)
Piccole Piccole non Medio grandi In % sulspecializzate specializzate specializzate Totale totale
Aumenterà un po’ 0 0 10 10 22,2%
Resterà stazionario 3 1 16 20 44,4%
Diminuirà un po’ 3 0 4 7 15,6%
Diminuirà molto 1 0 3 4 8,9%
Non so 0 1 3 4 8,9%
Totale 7 2 36 45 100,0%
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Sulla stazionarietà delle vendite future, la percentuale espressa da tutte le aziende
specializzate è simile, sul loro aumento vi è un’esclusiva di giudizi da parte delle me-
dio-grandi specializzate, mentre sulla leggera diminuzione del mercato il peso più ele-
vato è delle piccole specializzate.
8.2.3 - La trasformazione
Il grado di specializzazioneLe imprese della fase di trasformazione della filiera del latte intervistate (14 in to-
tale) presentano un grado di specializzazione68 nel comparto lattiero-caseario bio ab-
255
bastanza alto, intorno al 56%. Dalla Tabella 8.36 inoltre si evince che figura un grup-
po abbastanza cospicuo di aziende (5 su 14) che presenta un tasso di specializzazione
nel biologico maggiore o uguale al 71% (oltre ad un’azienda su 14 in cui tale inciden-
za è elevata, tra il 51 e il 70%).
Tuttavia dalla Tabella 8.36 si nota anche che in 6 aziende su 14 il tasso di specia-
lizzazione nel biologico è marginale e in altre due è limitato (tra il 6 e il 20% del tota-
le delle vendite).
Tabella 8.36 - Il grado di specializzazione delle imprese di trasformazione lattiero-casearia bio del panel(in numero aziende)
Grado di incidenza del bio Piccole a Piccole ad Medie a Medie ad Grandi a In % sulsul totale delle vendite media spec. alta spec. bassa spec. alta spec. bassa spec. Totale totaleMarginale (<=5%) 0 0 2 0 4 0 6
Limitata (6-20%) 0 0 1 0 1 0 2
Elevata (51-70%) 1 0 0 0 0 0 1
Molto elevata (>=71%) 0 3 0 1 0 1 5
Totale 1 3 3 1 5 1 14
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Dalla Figura 8.20, inoltre, si osserva che la maggioranza delle imprese a bassa in-
cidenza del bio sul totale delle vendite si concentri nel Centro e nella Sardegna e nel
Nord Ovest, mentre per quelle a più elevato peso del bio, sono presenti maggiormente
nelle regioni del Centro e della Sardegna.
Nord Ovest Nord Est Centro + Sardegna Sud + Sicilia Totale
0
2
4
6
8
10
12
14
Marginale (<=5%)
Limitata (6-20%)
Elevata (51-70% )
Molto elevata (>=71%)
Figura 8.20 - Localizzazione delle imprese di trasformazione lattiero-casearia bio delpanel suddivise per grado di incidenza del bio sul totale vendite(in numero di aziende)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
256
La produzione principale delle aziende rilevate è rappresentata soprattutto da ri-
cotta e pecorino (3 aziende, soprattutto piccole a specializzazione alta e grandi a spe-
cializzazione bassa, le citano come principale prodotto che incide maggiormente sul
fatturato aziendale), seguiti dal Grana Padano (2 risposte). Seguono molti altri prodot-
ti con una sola citazione tra cui mozzarelle, latte UHT, Pecorino Romano e scamorze.
Tra i secondi prodotti citati, in leggera prevalenza vengono nominati i formaggi a
pasta dura e quelli freschi, mentre tra quelli di nuovo individuati figurano il pecorino e
la ricotta. È inoltre citato una volta anche il burro.
L’approvvigionamento delle materie primeSette aziende su quattordici si approvvigionano presso aziende agricole, mentre
quattro fanno ricorso all’autoproduzione. Tre aziende, invece, effettuano i loro acqui-
sti presso cooperative e consorzi.
L’autoproduzione sembra escludere il ricorso a materie prime provenienti da altre
imprese. Infatti nei quattro casi in cui viene dichiarata l’autoproduzione non risultano
altri fornitori, risultando quindi la produzione aziendale integrata.
Chi si approvvigiona da aziende agricole sono soprattutto imprese grandi a bassa
specializzazione, mentre nel caso di chi ricorre all’autoproduzione non prevale una
specifica tipologia aziendale, ma sono frequentemente presenti aziende specializzate.
Come si osserva dalla Figura 8.21, sembra potersi tracciare una mappa della filiera
che è condizionata dalla specializzazione. Al crescere di quest’ultima, sale il ricorso
all’autoproduzione. Più basso è il grado di specializzazione, maggiore è il ricorso agli
altri canali.
Aziende agricole Cooperative e consorzi Autoproduzione0
1
2
3
4
5
6
7
Piccole a media spec.
Piccole ad alta spec.
Medie a bassa spec.
Medie ad alta spec.
Grandi a bassa spec.
Grandi ad alta spec.
Figura 8.21 - L’approvvigionamento della materia prima per le imprese di trasforma-zione di latte bio(in numero aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
257
Il numero medio di fornitori è di 33, e solo in due casi si eguagliano o si superano
i 150.
La provenienza della materia prima è per 10 aziende su 14 di origine locale o re-
gionale, con prevalenza di piccole imprese a specializzazione alta e grandi a specializ-
zazione bassa. Per 3 imprese gli approvvigionamenti provengono da tutto il territorio
nazionale, mentre per 2 provengono dall’estero.
Dieci imprese su 14 non hanno segnalato particolari difficoltà nell’approvvigiona-
mento di prodotti bio (in particolare le medio-grandi a specializzazone bassa), mentre
tra le poche aziende che li rilevano, viene citata in particolare la difficile reperibilità,
tipica delle filiere zootecniche italiane, e in misura minore la fornitura non regolare
dei prodotti e i problemi logistici.
Rispetto ai risultati della stessa indagine effettuata da Ismea nel 2004, inoltre, il
campione costante di aziende intervistate ha espresso lo stesso orientamento di due
anni prima, in quanto un identico e abbastanza cospicuo numero di aziende rispetto al
passato non rileva difficoltà nell’approvvigionamento.
Alcune differenze invece sono da rilevare tra chi le riscontra: se due anni prima le
uniche difficoltà nell’approvvigionamento erano la scarsa qualità e la disponibilità
della materia prima, ora i problemi sono esclusivamente collegati ad una fornitura non
regolare e alla reperibilità della materia prima. Ciò indica il permanere di un problema
tipico della zootecnia biologica che è l’acquisizione della materia prima ma anche il
probabile superamento delle difficoltà legate alla qualità del latte approvvigionato.
L’andamento della produzionePer 6 intervistati su 14, coerentemente con quanto emerso nella fase agricola, la
produzione lattiero-casearia è risultata stabile (in particolare per le aziende piccole a
specializzazione alta), mentre 5 aziende la giudicano in aumento (tra cui spiccano le
grandi a bassa specializzazione). Soltanto in 3 casi essa è invece ritenuta in diminuzio-
ne.
Tra i fattori che hanno determinato l’aumento della produzione, figura al primo
posto (3 aziende su 5) la maggiore domanda di mercato, a cui segue (2 imprese su 5)
esclusivamente l’introduzione di nuove linee di produzione.
Tabella 8.37 - Andamento della produzione nel 2006 per le aziende di trasformazione di latte bio delpanel(in numero di aziende)
Piccole a Piccole ad Medie a Medie ad Grandi a Grandimedia spec. alta spec. bassa spec. alta spec. bassa spec. ad alta spec. Totale
Stabile 1 2 1 0 1 1 6
In aumento 0 1 1 1 2 0 5
In diminuzione 0 0 1 0 2 0 3
Totale 1 3 3 1 5 1 14
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
258
Tra chi ritiene che vi sia stata una flessione produttiva, l’unica motivazione citata è
la minore domanda di mercato.
Più della metà delle aziende intervistate non incontra problemi di produzione,
mentre tra quelle che li riscontrano i più ricorrenti risultano essere il reperimento della
materia prima e la difficoltà a soddisfare tempestivamente il mercato, presenti soprat-
tuto nelle aziende grandi a specializzazione bassa.
Sul fronte dei costi di produzione, gli intervistati dichiarano in prevalenza (8
aziende su 14) che i costi siano aumentati nel 2006, fenomeno questo più evidente
nelle aziende piccole a elevata specializzazione e nelle grandi a bassa specializzazio-
ne. In 4 casi su 14 si ritiene invece che essi siano rimasti stabili, tendenza maggior-
mente diffusa nelle grandi a bassa specializzazione. Soltanto un’azienda dichiara inve-
ce un calo dei costi di produzione.
8.2.4 - Il mercato dei prodotti trasformati
Canali ed aree di venditaLe vendite delle aziende di trasformazione lattiero-casearia bio si dirigono princi-
palmente alla Gdo e direttamente al consumatore finale (Tabella 8.38). Nel primo caso
sono principalmente le aziende grandi a bassa specializzazione ricadenti in prevalenza
nel Nord Ovest a rivolgersi alla Distribuzione Moderna, mentre nel secondo si tratta di
aziende piccole molto specializzate del Centro e della Sardegna che sono dotate di
punti vendita aziendali presso i quali vengono venduti principalmente formaggi. Dal-
l’indagine emerge infatti che tra i prodotti più venduti di queste aziende figurano so-
prattutto il pecorino, seguito da scamorze, ricotta e Grana Padano.
Le aziende che effettuano vendite tramite il canale corto non vendono esclusiva-
mente al consumatore finale, ma ricorrono anche ad altri canali, tra cui quasi sempre i
negozi specializzati e in misura minore Gdo e grossisti.
0
0,5
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
4,5
5
3
1
2
1
2
1
2
2
E' risultata stabile
E' risultata in aumento
E' risultata in diminuzione
Nord Ovest Nord Est Centro + Sardegna Sud + Sicilia
Figura 8.22 - Andamento della produzione nel 2006 delle imprese di trasformazione dilatte bio per area geografica(in numero aziende del panel)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
259
Se si considerano anche le aziende che oltre a produrre trasformano anche, estra-
polate dal panel di aziende zootecniche intervistate, il peso della produzione venduta
direttamente al consumatore finale è più elevata, mettendo in evidenza, come era da
attendersi, la maggiore propensione delle aziende zootecniche e di produzione prima-
ria in generale rispetto a quelle di trasformazione alla vendita diretta. La quota relativa
alla Gdo, invece, è più bassa
Il terzo canale per importanza nelle aziende di sola trasformazione è quello dei ne-
gozi specializzati, a cui ricorrono 6 intervistati su 26 (più bassa in questo caso la quota
delle aziende di produzione/trasformazione), seguito dai grossisti specializzati (3
aziende) e generici (2), a cui ricorrono invece in misura più accentuata le aziende di
produzione-trasformazione.
Tabella 8.38 - I canali di vendita delle aziende di trasformazione lattiero-casearia bio del panel(in numero aziende, domanda a risposta multipla)
Piccole a Piccole ad Medie a Medie ad Grandi a Grandimedia spec. alta spec. bassa spec. alta spec. bassa spec. ad alta spec. Totale
Grossisti generici 0 0 1 1 0 0 2
Grossisti specializzati bio 1 0 0 1 1 0 3
Gdo 0 1 1 1 4 0 7
Aziende di trasformazione 0 0 0 0 1 0 1
Consumatore finale 1 3 1 1 0 1 7
Negozi specializzati bio 1 3 0 1 0 1 6
Totale 3 7 3 5 6 2 26
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
La Tabella 8.38 mette in evidenza inoltre come le imprese analizzate si rivolgano
molto frequentemente a più canali contemporaneamente, con un grado di diversifica-
zione che è generalmente maggiore al crescere della dimensione.
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
3
1
1
1
1
1
2
1
2
2
2
3
3
1
1
1
Grossisti generici
Grossisti specializzati bio
Gdo
Aziende di trasformazione
Consumatore finale
Negozi specializzati bio
Nord Ovest Nord Est Centro + Sardegna Sud + Sicilia
Figura 8.23 - I canali di vendita delle imprese di trasformazione del latte bio per areageografica(in numero di aziende del panel, domanda a risposta multipla)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
260
Rispetto ai risultati dell’indagine svolta due anni fa, un minor peso è attribuito alle
vendite presso la Gdo e alla vendita diretta, mentre maggiore è stato il ricorso ai gros-
sisti e negozi specializzati e ad altre aziende di trasformazione a cui due anni prima
non era venduto alcun tipo di prodotto.
In relazione al numero di clienti delle aziende di sola trasformazione, la metà di esse
(7), costituite da soprattuto da piccole a specializzazione alta, presenta un numero non su-
periore a 50. Le aziende rimanenti presentano invece un numero di clienti più elevato o
molto più elevato, con 2 imprese che possiedono 100 clienti e altrettante con oltre 1.000.
Dieci aziende di trasformazione su 14 effettuano le loro vendite sui mercati locali
e regionali, otto sul mercato nazionale e cinque all’estero.
0
10
20
30
40
50%
60
70
80
90
100
Piccole amedia spec.
Piccole adalta spec.
Medie abassa spec.
Medie adalta spec.
Grandi abassa spec.
Grandi adalta spec.
Totale
1
1
2
2
1
2
2
3
1
1
1
3
2
1
10
8
5
Locale-regionale
Nazionale
Estero
Figura 8.24 - La specializzazione di mercato delle imprese di trasformazione di latte biodel panel(in numero di aziende, domanda a risposta multipla)
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
Tra le aziende che vendono sul mercato locale/regionale 4 di esse su 14 (in preva-
lenza grandi a specializzazione bassa) vendono tutta la produzione nelle aree limitrofe
alla loro ubicazione produttiva, mentre altre 4 aziende vendono esclusivamente a livel-
lo nazionale o all’estero.
Anche tra quelle che vendono sul mercato nazionale, figurano 6 aziende (sempre
grandi a specializzazione bassa) che vendono l’intera produzione o a livello locale o
all’estero, mentre soltanto 3 la commercializzano solo sull’intero territorio nazionale.
Le vendite all’estero, come si è visto, non interessano una forte quota di aziende: 9
aziende del panel non esportano proprio, in altri 3 casi non si supera il 20%, mentre
soltanto in un caso la quota di export sul totale vendite è pari all’80%. In un altro caso
ancora vi è un’azienda che vende all’estero tutto ciò che produce. I principali mercati
di destinazione tra chi esporta sono la Germania, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti,
261
verso i quali effettuano le loro spedizioni soprattutto aziende medie a bassa specializ-
zazione.
Nella filiera lattiero-casearia bio nella fase della trasformazione le vendite nel
2006 sono risultate per 6 intervistati su 14 in crescita o stabili (5/14). Soltanto le rima-
nenti 3 aziende ritengono che siano diminuite.
Tabella 8.39 - Andamento delle vendite nel 2006 per le aziende di trasformazione lattiero-casearia biodel panel(in numero di aziende)
Piccole a Piccole ad Medie a Medie ad Grandi a Grandimedia spec. alta spec. bassa spec. alta spec. bassa spec. ad alta spec. Totale
In crescita 0 2 1 1 2 0 6
Stabili 1 1 1 0 1 1 5
In diminuzione 0 0 1 0 2 0 3
Totale 1 3 3 1 5 1 14
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Soprattutto le aziende piccole a elevata specializzazione e le grandi a specializza-
zione bassa giudicano le vendite in aumento, mentre tra chi le ritiene stabili non pre-
vale una tipologia di azienda in particolare. Due aziende su tre che dichiarano una di-
minuzione delle vendite sono ancora una volta grandi a specializzazione bassa.
L’aumento delle vendite, per 5 intervistati su sei, dipende dalla crescita della do-
manda, che è anche la motivazione che è stata dichiarata dall’unica azienda zootecnica
di produzione/trasformazione lattiero-casearia che pensa che il mercato sia cresciuto**.
Tra le poche aziende sia di trasformazione che di produzione/trasformazione che
hanno registrato un calo delle vendite viene citata come causa principale il calo della
domanda e in una sola occasione l’aumento dei costi di produzione.
Rispetto a due anni fa prevale un maggiore ottimismo delle aziende di trasforma-
zione in quanto è si riscontra una quota più elevata di chi ritiene che le vendite negli
ultimi 12 mesi siano aumentate (era pari a zero due anni prima), mentre scende la per-
centuale di chi le giudica stabili. In diminuzione risulta anche la percentuale di chi
giudica il fatturato in calo. Sembra quindi anche in questa filiera essere terminata la
fase di mercato in cui la congiuntura economica negativa aveva influito sulle vendite
di prodotti biologici.
Riguardo all’andamento dei prezzi nel 2006 rispetto all’anno precedente, per 9 in-
tervistati su 14 (composti soprattutto da aziende piccole a specializzazione alta) sareb-
bero rimasti stabili, mentre per 5 aziende sarebbero aumentati (in gran parte grandi a
specializzazione bassa).
Le aziende intervistate dichiarano quasi sempre di non incontrare difficoltà nella
commercializzazione, in quanto 10 su 14 (soprattutto grandi a bassa specializzazione)
non riscontrano problemi sul fronte delle vendite, mentre una quota molto più bassa di
quelle di produzione/trasformazione pensa di non averne.
262
Tra quelle che dichiarano di riscontrare difficoltà di tipo commerciale, la problematica
più citata (anche nelle aziende di produzione/trasformazione) è il prezzo non remunerativo
rispetto ai costi, seguita a larga distanza dalle difficoltà di collocamento del prodotto.
Il posizionamento sul mercatoIl ruolo dei prodotti lattiero-caseari biologici nella strategia delle imprese intervistate è per
alcune aziende piuttosto limitato, mentre in alcuni altri casi è più importante se non centrale.
In 5 casi su 14 il ruolo del biologico è stato definito di nicchia (con leggera prevalenza
di aziende medie a bassa specializzazione), mentre in altrettanti (aziende piccole ad elevata
specializzazione) è ritenuto centrale, in quanto il prodotto è strategico e d’immagine.
Soltanto in tre casi i lattiero-caseari bio presentano un ruolo marginale, in riferi-
mento esclusivamente ad imprese grandi e a specializzazione bassa.
Tabella 8.40 - Il ruolo dei prodotti lattiero-caseari bio nella strategia delle aziende di trasformazionedel comparto(in numero di aziende del panel)
Piccole a Piccole ad Medie a Medie ad Grandi a Grandimedia spec. alta spec. bassa spec. alta spec. bassa spec. ad alta spec. Totale
Centrale (prodotto
strategico, d’immagine) 0 3 0 0 1 1 5
Differenziazione e
completamento della
gamma d’offerta 0 0 1 0 0 0 1
Marginale 0 0 0 0 3 0 3
Di nicchia 1 0 2 1 1 0 5
Totale 1 3 3 1 5 1 14
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Tabella 8.41 - Il posizionamento dei prodotti lattiero-caseari bio nel ciclo di vita del prodotto(in numero di aziende del panel)
Piccole a Piccole ad Medie a Medie ad Grandi a Grandimedia spec. alta spec. bassa spec. alta spec. bassa spec. ad alta spec. Totale
Lancio 1 1 1 0 1 0 4
Maturità 0 2 1 1 2 1 7
Declino 0 0 0 0 2 0 2
Non so 0 0 1 0 0 0 1
Totale 1 3 3 1 5 1 14
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
I prodotti lattiero-caseari bio parrebbero trovarsi in una fase ancora non troppo
avanzata del ciclo di vita dei prodotti (Tabella 8.41). Sette aziende su venti ritengono
che i prodotti si trovino in una fase di maturità o di lancio (4 aziende). Infine, soltanto
due aziende, grandi a bassa specializzazione, dichiarano che il loro principale prodot-
to si trovi in una fase di declino.
263
I prodotti lattiero caseari bio vengono quasi sempre commercializzati con il mar-
chio dell’azienda produttrice (in 14 casi su 16), mentre soltanto due aziende lo com-
mercializzano con il marchio della Gdo o con il marchio di un’altra azienda (produ-
zione conto terzi).
Le aziende che li commercializzano con il marchio proprio sono soprattutto me-
dio/grandi a bassa specializzazione o piccole ad alta specializzazione.
Incrociando la strategia aziendale con il posizionamento del prodotto e con la mo-
dalità di commercializzazione si ottiene il quadro che si espone nello schema 8.2.
Schema 8.2 - Strategie adottate dalle imprese di trasformazione lattiero-casearia bio del panel(ogni riga corrisponde ad un’azienda)
POSIZIONAMENTO DEIPRODOTTI NELLA FASE CICLO MARCHIO MARCHIOSTRATEGIA DI IMPRESA DI VITA UTILIZZATO 1 UTILIZZATO 2Centrale Lancio Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale
Centrale Maturità Marchio aziendale
Centrale Declino Marchio aziendale Marchio di un’altra
azienda
Di nicchia Lancio Marchio aziendale
Di nicchia Maturità Marchio aziendale
Di nicchia Maturità Marchio aziendale
Di nicchia Maturità Marchio aziendale
Di nicchia Non so Marchio aziendale
Differenz. gamma Lancio Marchio aziendale
Marginale Lancio Marchio aziendale Marchio della Gdo
Marginale Maturità Marchio aziendale
Marginale Declino Marchio aziendale
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
Si nota innanzitutto che le aziende in cui il biologico gioca un ruolo centrale (5) hanno
quasi sempre prodotti che secondo gli intervistati si trovano in una fase di maturità e com-
mercializzano il prodotto sempre (o quasi) con il proprio marchio. Si tratta evidentemente di
aziende che, pur introducendo sul mercato i prodotti non da poco, su di esso puntano gran
parte delle strategie aziendali volendo valorizzare il più possibile l’immagine aziendale tra-
mite l’immissione sul mercato del prodotto con il loro marchio. In due casi su cinque le
aziende ritengono che i prodotti lattiero-caseari bio si trovino o in una fase di lancio o di de-
clino e sono sempre offerti con il marchio aziendale; tuttavia nell’unico caso in cui i prodotti
sono ritenuti nella fase di declino sono offerti prodotti anche a marchio di altre aziende per
diversificare una produzione che rimane comunque importante nella strategia di impresa.
In altre 5 aziende i prodotti bio hanno un ruolo di nicchia, con una prevalenza an-
cora una volta di chi giudica i prodotti maturi e l’esclusivo utilizzo del marchio azien-
dale. Una sola azienda ritiene che i relativi prodotti siano in una fase di lancio, a parità
delle due altre caratteristiche.
In questo caso si ha a che fare con aziende simili a quelle descritte in precedenza
con la sola differenza che il bio non ha nella strategia di impresa un ruolo centrale ma
soltanto di nicchia, che però non ha una connotazione negativa in quanto il prodotto
completa l’offerta e rafforza l’immagine dell’impresa.
Vi è poi un gruppo di aziende (3) in cui il bio ha ruolo giudicato soltanto margina-
le e nelle quali però non appare chiaro in che fase del ciclo di vita si trovino i prodotti
lattiero-caseari bio.
Tale concetto può corrispondere a situazioni differenti. Da una parte marginale vuol
dire declino e quindi probabile uscita dal mercato. Dall’altra vuol dire lancio del pro-
dotto, adozione di marchi e quindi prospettive di crescita. Infine può volere indicare un
ruolo marginale sotto il profilo quantitativo, ma con un prodotto maturo sul mercato.
Ciascuna delle tre aziende quindi dichiara che i loro prodotti si trovano in una fase
diversa del ciclo di vita (lancio, maturità o declino), mentre la commercializzazione
avviene sempre con il marchio aziendale, salvo l’azienda che ha i suoi prodotti in una
fase di lancio che vende anche con il marchio della Gdo, valorizzando il più possibile
i prodotti che si trovano in una fase iniziale del loro ciclo di vita.
Vi è infine una sola azienda che utilizza i prodotti lattiero-caseari bio per differen-
ziazione di gamma, ma che li considera in una fase di lancio e pertanto cerca di valo-
rizzarli tramite (più propriamente) il marchio aziendale.
Le aspettativeLe aspettative sulle vendite future (nei prossimi 2-3 anni) nella filiera lattiero-ca-
searia bio sembrano essere abbastanza positive. Otto aziende su 14 ritengono che il
mercato crescerà (5 pensano che aumenterà moderatamente, 3 di molto), opinione dif-
fusa soprattutto tra le aziende medio-grandi a bassa specializzazione.
Cinque imprese giudicano invece il mercato futuro stabile (soprattutto le aziende picco-
le ad elevata specializzazione), mentre una sola azienda lo giudica in calo moderato. Ri-
guardo alle aziende di produzione/trasformazione, traspare un relativamente minore ottimi-
smo, in quanto una quota più elevata dei rispondenti indica che il mercato rimarrà stabile.
Rispetto a due anni fa è aumentata l’incidenza delle aziende che ritengono che il
mercato aumenterà in misura moderata, di chi non sa rispondere e di coloro che stima-
no il mercato diminuirà un po’; è invece in diminuzione il peso di chi pensa che il
mercato rimarrà stabile o di chi ritiene che diminuirà molto.
Si tratta probabilmente di aziende che al momento attuale sono piuttosto prudenti e
non si sbilanciano troppo su quello che potrà essere l’andamento futuro delle vendite.
In merito alle strategie future delle aziende di trasformazione, in 5 casi su 17 (co-
stituiti in leggera prevalenza da aziende piccole ad alta specializzazione) si ha inten-
zione di incrementare la produzione bio, in 4 su 17 di introdurre nuovi prodotti bio,
mentre in 2/17 si ha intenzione di raggiungere nuovi mercati. Una sola azienda invece
dichiara di voler diminuire il ruolo delle filiere bio nella sua impresa.
264
265
Da notare che 4 aziende su 17 dichiarano di non voler effettuare nessun cambiamento.
8.2.5 - L’intermediazione commercialeL’indagine sulla filiera lattiero-casearia bio ha riguardato anche la fase dell’interme-
diazione commerciale attraverso l’intervista ad un grossista69 specializzato nella vendita
di prodotti biologici, nell’ambito dei quali i lattiero-caseari hanno un discreto ruolo.
Per quanto riguarda le fonti di approvvigionamento di questo operatore, si nota
che gli acquisti si suddividono principalmente tra aziende di trasformazione (60% de-
gli acquisti), aziende agricole (32%) e in misura minore a cooperative e consorzi (5%)
e a importatori (3%)70.
L’azienda intervistata si rifornisce sul mercato nazionale per il 79% del valore
complessivo degli approvvigionamenti e da quello estero per il 21%. Per quanto ri-
guarda il primo, le aree di provenienza dei prodotti lattiero-caseari sono principalmen-
te il Nord (65%) e in misura nettamente minore le Isole (15%), il Centro (14%) e il
Sud (6%). Riguardo all’approvvigionamento sui mercati esteri, i paesi di origine sono
principalmente la Germania e l’Olanda.
Le principali difficoltà incontrate nell’approvvigionamento sono collegate soprat-
tutto alla reperibilità dei prodotti.
Passando ad analizzare le vendite, i clienti del grossista intervistato sono esclusi-
vamente i negozi specializzati; il fatturato si realizza per il 65% al Nord, per un 20%
al Centro, mentre una quota più contenuta si ottiene al Sud (12%) e nelle Isole (3%).
Riguardo ai problemi che si incontrano nella commercializzazione, emerge in par-
ticolare la difficoltà a garantire una costanza qualitativa dei prodotti offerti.
Riguardo alle vendite all’estero, l’operatore intervistato vende anche oltre i confini
nazionali e i paesi di esportazione sono la Francia, la Spagna, l’Australia, la Grecia e
la Slovenia.
Tabella 8.42 - Intenzioni future delle aziende di trasformazione lattiero-casearia bio del panel(in numero di aziende, domanda a risposta multipla)
Piccole a Piccole ad Medie a Medie ad Grandi a Grandimedia spec. alta spec. bassa spec. alta spec. bassa spec. ad alta spec. Totale
Incrementare la
produzione bio 1 2 1 0 1 0 5
Introdurre nuovi
prodotti bio 1 0 2 1 0 0 4
Diminuire il ruolo
delle filiere bio nella
sua impresa 0 0 0 0 1 0 1
Raggiungere nuovi mercati 0 2 0 0 0 0 2
Nessun cambiamento 0 0 1 0 2 1 4
Non so 0 0 0 0 1 0 1
Totale 2 4 4 1 5 1 17
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica.
266
Passando all’andamento del mercato, si osserva che nel 2006 le vendite sono au-
mentate e le aspettative per i prossimi 2-3 anni sono di moderata crescita.
Questo ottimismo si osserva anche analizzando le intenzioni future dell’operatore
che intende incrementare l’offerta attraverso l’introduzione di nuovi prodotti, raggiun-
gere nuovi mercati, diversificare i canali di vendita e promuovere i propri prodotti at-
traverso pubblicità e comunicazione specifica sul biologico.
8.2.6 - La mappatura della filieraLa Figura 8.25 riassume la struttura della filiera lattiero-casearia bio italiana fin
qui descritta sulla base dei risultati delle indagini effettuate dall’Ismea.
1,6% 13%1,6%
39,7% 18% 3,2% 21,3% 1,6%
19,9%
3%
19,3% 3,8% 26,9% 26,9% 23,1%
5%
100%
Aziende di produzione primaria
Allevatori ingrassatori
Importatori
Aziende di trasformazioneCooperazione
Grossisti
GDOEstero Negozispecializzati Consumatore finale
Figura 8.25 - I flussi* commerciali della filiera lattiero-caseria bio
Come si può notare, la filiera è abbastanza articolata, e si compone di canali abbastan-
za “corti”. ma anche di canali più “lunghi”. Il flusso tipico di questa filiera passa normal-
mente per le aziende di trasformazione, a cui ricorrono come interlocutore principale gli
allevamenti o la cooperazione dopo aver acquisito la materia prima dalle aziende zootecni-
che. Il prodotto trasformato successivamente passa, a differenza di quanto accade nella fi-
liera delle carni bio, prevalentemente presso la Gdo, ma anche direttamente al consumato-
re finale. Una quota più bassa delle vendite dei trasformatori va invece allo specializzato.
Un altro flusso, anche se meno diffuso, porta all’allungamento della filiera, tramite
il passaggio dai trasformatori ai grossisti, che concentrano le loro vendite sui negozi
specializzati.
Una filiera intermedia, ma molto meno frequente, si ha infine nel caso in cui le
aziende agricole commercializzano direttamente alla distribuzione finale (negozi spe-
cializzati e Gdo).
Meno diffuso risulta infine il canale più corto e cioè la vendita effettuata dalle
aziende zootecniche direttamente al consumo finale.
Tutte le percentuali rappresentano la percentuale delle vendite dei vari operatori.In grigio percentuale degli acquisti di alcuni operatori.*Non è stato possibile quantificare tutti i possibili flussi perchè non sono stati intervistati tutti gli operatori (es.cooperative, importatori, ecc.).Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
267
8.2.7 - I consumi domesticiL’analisi della filiera lattiero-casearia bio si conclude con il paragrafo relativo ai
consumi. L’analisi degli acquisti domestici dei prodotti lattiero-caseari bio confezionati,
rilevati dal panel Ismea/ACNielsen, evidenzia che l’aggregato del latte, burro, yogurt e
formaggi bio ha fatto registrare una crescita in valore del 9,9% nel 2006. Il latte fresco e
lo yogurt rappresentano insieme il 75% della spesa monetaria del comparto e mostrano
un aumento rispettivamente del 36,5% e dell’1,6%. Tra gli altri prodotti sono da segna-
lare gli incrementi del latte UHT (+19,2%), delle crescenze e degli stracchini (+17,2%)
e delle mozzarelle (+12,6%). I consumi risultano in discesa invece per il burro (-17,4%),
il brie e la ricotta (-12,6%) e i formaggi freschi spalmabili (-14,0%).
Tabella 8.43 - I consumi domestici* nel comparto lattiero-caseario bio(in euro)
2005 2006 Var. % 06/05Totale prodotti lattiero-caseari 58.093.842 63.871.640 9,9%di cui:Latte fresco 18.296.790 24.972.416 36,5%
Yogurt 22.750.269 23.104.459 1,6%
Latte UHT 3.799.298 4.530.363 19,2%
Burro 3.629.734 2.996.786 -17,4%
Crescenze + stracchini 1.821.986 2.135.773 17,2%
Brie+ricotta 2.096.259 1.831.386 -12,6%
Mozzarelle 1.349.192 1.519.291 12,6%
Freschi + spalmabili 670.293 576.688 -14,0%
Gorgonzola 786.219 425.227 -45,9%
Yogurt UHT 494.899 381.978 -22,8%
Grattuggiati 542.955 326.516 -39,9%
Latte arricchito 620.640 282.959 -54,4%
Panna UHT 487.536 235.847 -51,6%
Pasta filata 62.198 130.208 109,3%
Caciotte + italico 135.041 73.182 -45,8%
Mascarpone 137.533 60.981 -55,7%
Fusi fette 24.050 11.519 -52,1%
* La rilevazione non comprende gli acquisti effettuati nei negozi specializzati bioFonte: Elaborazioni Ismea su dati Ismea/ACNielsen.
8.2.8 – I punti di forza e di debolezza
In conclusione dell’analisi della filiera lattiero-casearia bio si evidenziano i princi-
pali punti di forza e debolezza di questo comparto (Tabella 8.44).
La filiera lattiero-casearia bio, a distanza di parecchi anni dall’emanazione del re-
golamento sulle produzioni animali, sembra ormai abbastanza strutturata. Gli alleva-
menti biologici, in prevalenza di medio-grandi dimensioni, sono abbastanza diffusi e
specializzati e la filiera è ben articolata, a volte con fenomeni di integrazione e colla-
borazione tra aziende e canali commerciali.
268
I prodotti ottenuti sono numerosi, anche se pochi rappresentano la gran parte del
mercato. La dipendenza dall’estero è inoltre, rispetto al passato, meno importante.
A completare gli aspetti positivi di questa filiera bio è necessario aggiungere che i lattie-
ro-caseari bio rivestono un ruolo centrale o comunque positivo nella strategia di marketing
della maggior parte delle imprese di traformazione contattate, anche perché la domanda è in
forte crescita. Inoltre le aspettative degli imprenditori per i prossimi 2-3 anni sono positive.
A questi aspetti positivi, che possono essere considerati dei punti di forza del com-
parto, si associano degli aspetti negativi che sono assimilabili agli stessi della filiera
biologica nel suo complesso.
Gli allevamenti sono ancora eccessivamente concentrati in determinate aree del no-
stro paese e permane quel dualismo strutturale che non fa coincidere i luoghi di produzio-
ne con quelli di consumo, con tutte le difficoltà logistiche e commerciali che ne derivano.
Un altro punto di debolezza comune a molte filiere bio è quello dell’aumento, di-
chiarato dalla maggior parte degli intervistati, dei costi di produzione che non si asso-
cia a maggiori introiti o a prezzi remunerativi, determinando qualche sofferenza negli
anelli iniziali della filiera.
Infine una caratteristica negativa specifica delle filiere zootecniche è legata alle difficoltà
per gli operatori commerciali nel reperimento della materia prima, anche se, come si è sotto-
lineato in precedenza, la dipendenza dall’estero tende ad essere minore rispetto al passato.
In conclusione sembra non azzardato affermare che la filiera lattiero-casearia bio
sia una delle più organizzate e strutturate del comparto con elevata specializzazione
delle aziende e una varietà dei prodotti che hanno un ruolo centrale nelle strategie del-
le imprese. Per uno sviluppo futuro della filiera sarebbe però necessaria una maggiore
integrazione verticale tra aziende di produzione e di trasformazione/distribuzione per
superare i problemi logistici e commerciali che continuano a sussistere nel comparto.
Tabella 8.44 - I punti di forza e debolezza della filiera lattiero-casearia bio
PUNTI DI FORZA
• Presenza di aziende di medio-grandi dimen-
sioni specializzate;
• Presenza, anche se non eccessiva, di aziende
integrate verticalmente;
• Abbastanza ampia varietà dei prodotti ottenuti;
• Minore dipendenza dall’estero;
• I lattiero-caseari bio rivestono un ruolo cen-
trale o comunque positivo nella strategia di
marketing della maggior parte delle imprese
contattate;
• La domanda dei lattiero-caseari bio è in cre-
scita;
• Aspettative positive da parte degli operatori
sul futuro del mercato.
PUNTI DI DEBOLEZZA
• Diffusione ancora non equilibrata degli alle-
vamenti, eccessiva concentrazione degli alle-
vamenti e dei capi allevati nel Sud e nelle Iso-
le;
• Asimmetria tra luoghi di produzione e com-
mercializzazione/consumo;
• Aumento dei costi di produzione e stabilità
degli introiti;
• Prezzi alla produzione ritenuti non remunera-
tivi;
• Difficoltà per gli operatori commerciali nel
reperimento della materia prima.
Fonte: Indagini Ismea sulla filiera biologica
269
** In totale queste aziende sono 13. Dieci di esse giudicano invece il mercato stabile e 2 indiminuzione.59) Per i criteri di classificazione delle aziende tra specializzate e non specializzate, oltreche alle altre classificazioni, si rimanda al capitolo 6.60) Per i criteri utilizzati per classificare le imprese per dimensione e specializzazione sirimanda a quanto specificato nel capitolo 6.61) È doveroso segnalare comunque che sette aziende su undici non hanno rilevato parti-colari problemi di approvvigionamento.62) Si tenga conto che erano possibili risposte multiple.63) Si tratta di un solo caso, ma data l’esiguità degli operatori specializzati e il conse-guente grado di concentrazione si ritiene il dato comunque significativo.64) Anche il fatto che con due sole referenze si superi il 90% del mercato, potrebbe esserepreso come un indice di debole strutturazione.65) Per i criteri di classificazione delle aziende tra specializzate e non specializzate, oltreche alle altre classificazioni, si rimanda al capitolo 6.66) Ad eccezione del Nord Ovest, dove sono presenti esclusivamente aziende piccole spe-cializzate.67) Per prodotto principale si intende quello che incide maggiormente sul fatturato com-plessivo.68) Per i criteri utilizzati per classificare le imprese per dimensione e specializzazione sirimanda a quanto specificato nel capitolo 6.69) In relazione ai grossisti è stata realizzata una sola intervista, ma data l’esiguità deglioperatori specializzati e il conseguente grado di concentrazione si ritiene il dato comun-que significativo.70) È da precisare però che il distributore non è specializzato soltanto in prodotti lattiero-caseari bio, ma anche in altre referenze biologiche e quindi la distribuzione percentualedei canali di approvvigionamento potrebbe almeno in parte risentirne.
Conclusioni
Il mercato dei prodotti biologici, come si è potuto verificare nel Rapporto, sembra
registrare un andamento complessivamente favorevole.
A livello internazionale, secondo i più recenti dati disponibili, il valore delle ven-
dite bio è ancora in crescita (+8,5%), per un ammontare in termini monetari che nel
2005 è risultato pari a 25,5 miliardi di euro e che potrebbe arrivare a circa 31 nel
2006, secondo le stime effettuate dai principali enti di ricerca mondiali.
Di pari passo con la crescita del mercato, sono in salita anche le superfici e gli
operatori nei principali continenti, ma ad un rialzo complessivo e abbastanza diffuso
della produzione corrisponde dal lato della domanda una forte concentrazione su po-
chi paesi e continenti dove più è alto il potere di acquisto. Vi è quindi un’asimmetria
tra i luoghi di produzione e quelli di consumo, un po’ come accade nel nostro paese
con il noto squilibrio produttivo-distributivo tra aree meridionali e settentrionali.
Intanto, proprio a livello nazionale, il biologico ha segnato nel 2006 un andamento
nel complesso soddisfacente.
Come nel 2005, le superfici e gli operatori hanno registrato un discreto incremento
che li ha portati a crescere rispettivamente del 7,6 e del 2,4 per cento, consolidando il
primato nella Ue del nostro paese.
Analizzando i dati presentati nel Rapporto, si evidenzia tuttavia una maggiore “de-
bolezza” dell’anello produttivo della filiera: le aziende agricole dimostrano di essere
quelle che presentano gli indicatori meno favorevoli, sia a livello produttivo che, come
si è potuto constatare, sul fronte delle vendite.
Secondo i risultati di numerose indagini Ismea svolte su tutta la filiera bio, infatti,
i costi di produzione delle aziende agricole, zootecniche e di trasformazione sono ri-
sultati in aumento. I meno ottimisti in questo senso risultano gli allevamenti zootecni-
ci, che presentano una percentuale dei rispondenti riguardante l’incremento dei costi
superiore alla media. Le cause degli aumenti dei costi sono in gran parte quelle classi-
che: la crescita della spesa per i mezzi tecnici, ma anche dei costi energetici, mentre in
misura minore hanno inciso, secondo gli intervistati, quelli di manodopera.
Per quanto riguarda l’andamento della produzione, durante lo scorso anno in
media una buona quota (il 60%) delle aziende agricole, zootecniche e di trasforma-
zione la giudica stabile (in modo particolare gli allevamenti), mentre per un’aliquo-
ta leggermente più elevata (il 66%) anche i prezzi alla produzione sono rimasti sta-
zionari.
Da quanto finora sottolineato, pertanto, si deduce che nell’anello produttivo della
filiera vi è una tendenza alla riduzione della redditività aziendale, con qualche soffe-
renza dal lato dei costi a cui non corrispondono maggiori introiti.
Alla crescente offerta interna di prodotti biologici si sta affiancando anche un au-
mento della quota di prodotto proveniente dall’estero. Secondo i dati Mipaaf-Sinab, il
numero di importatori nel 2006 è cresciuto (+5% circa) ed è in rialzo il numero di au-
torizzazioni concesse per l’import da paesi terzi, come pure i quantitativi autorizzati e
270
271
potenziali di prodotti acquistati oltre la frontiera comunitaria. Se ciò da un lato potreb-
be far pensare ad un’espansione del mercato dovuta ad una maggiore domanda, dal-
l’altro fa riflettere sulla concorrenza crescente del prodotto di importazione alle nostre
produzioni biologiche.
Riguardo all’andamento nel 2006 del mercato del biologico, quest’ultimo sembra
aver registrato una tendenza sostanzialmente più favorevole rispetto a quanto accaduto
nel 2005, anno in cui si accusava ancora una flessione dei consumi, limitata tuttavia
alla sola Distribuzione Moderna.
Analizzando più nello specifico i dati di mercato, si nota come vi sia un trend mol-
to più favorevole nelle aziende di distribuzione rispetto a quelle agricole e di trasfor-
mazione.
Lo scorso anno, infatti, le vendite delle aziende agricole e di trasformazione sono
rimaste prevalentemente stazionarie, mentre in quelle di distribuzione si è registrato in
maggioranza un aumento del fatturato. In particolare, discretamente favorevole è risul-
tato l’andamento del mercato nel 2006 per i grossisti: il 60% di essi ritiene che le ven-
dite siano cresciute, mentre più contenute sono le percentuali di aumento relative ai
negozi specializzati (48,3%) e alla Gdo (37%).
Anche i dati Ismea/ACNielsen relativi al biologico confezionato nella Gdo confer-
mano tali tendenze. Secondo i dati provenienti dal panel continuativo Ismea/ACNiel-
sen, nel 2006 gli acquisti domestici di prodotti bio confezionati nella Gdo sono nuova-
mente aumentati (+9,2% sul 2005), nonostante il lieve incremento dei prezzi medi al
consumo (+1,9%) che ha contribuito all’allargamento del divario percentuale dei listi-
ni bio con quelli dei corrispondenti prodotti convenzionali (66% nel 2006 contro il
64,9% del 2005).
Nel determinare la dimensione e l’andamento del mercato il ruolo dei prezzi sem-
bra quindi ancora importante. Non sorprende quindi che a variazioni di prezzo di una
certa entità spesso corrispondano variazioni dei volumi acquistati più che proporzio-
nali. Analizzando infatti l’elasticità della domanda dei principali prodotti bio, si evi-
denzia, come ci si attendeva, che per quasi tutti la domanda sia elastica, con rare ecce-
zioni di beni a domanda rigida.
Tornando ad esaminare l’andamento complessivo delle vendite, nelle varie filiere
esaminate si registrano migliori performance ai diversi stadi produttivi e distributivi
nei comparti zootecnici (lattiero-caseario e della carne) e in quello ortofrutticolo bio,
mentre tra quelli con una tendenza relativamente meno favorevole (soprattutto nell’a-
nello produttivo) figurano i comparti bio dell’olivo e, in misura minore, della vite.
Le prospettive del mercato, in base a quanto finora osservato, sembrano quindi ap-
parire abbastanza favorevoli. Anche secondo le già citate indagini Ismea, emerge un
clima positivo sull’andamento futuro delle vendite nei prossimi 2-3 anni.
In tutti i sondaggi più della metà degli intervistati ritiene che le vendite aumente-
ranno, anche se vi è discordanza di opinioni sull’entità dell’aumento. In media il
43,3% delle aziende bio ritiene che esse cresceranno ma in misura moderata, mentre
quasi un 10% pensa che aumenteranno di molto.
A fronte di queste percentuali medie, ancora una volta si registrano aliquote diver-
se tra le aziende di produzione e di trasformazione da un lato e quelle di distribuzione
dall’altro. Ben il 74,5% delle aziende di distribuzione prevede un aumento, mentre
soltanto il 31,2% di quelle agricole (in senso ampio) e di trasformazione lo ipotizza.
I risultati appena esposti sono evidentemente una sintesi di ciò che si è verificato
nelle singole filiere, ma occorre sottolineare che appare un maggiore ottimismo in
quella dell’olivo (che tra l’altro era tra le più pessimiste sull’andamento delle vendite
nel 2006) e una prevalenza di giudizi sulla stabilità in quella dei cereali.
In conclusione, il mercato del biologico in Italia sembra aver intrapreso nuova-
mente nel 2006 il cammino ascendente che lo aveva caratterizzato alcuni anni fa. Gra-
zie anche alla ripresa dei consumi alimentari, le vendite stanno ripartendo nella Gdo e
continuando a crescere negli altri canali, il che fa ben sperare per il futuro.
Permangono tuttavia ancora punti di debolezza nella filiera. Innanzitutto la nota
asimmetria tra luoghi di produzione e di distribuzione/consumo che determina diffi-
coltà logistiche e commerciali che finiscono per condizionare tutto il comparto.
L’andamento del settore è inoltre ancora influenzato dalla presenza dei contributi
comunitari. In alcune filiere zootecniche bio analizzate si riscontra ad esempio un
orientamento al mercato ancora basso che è dimostrato da una SAU rilevante a forag-
giere a cui corrisponde una produzione zootecnica debole.
In molte filiere si riscontra una scarsa integrazione tra le aziende del comparto,
una bassa specializzazione delle imprese di trasformazione e una dipendenza dall’e-
stero ancora di un certo rilievo.
I prezzi infine in taluni comparti presentano un divario che continua ad essere for-
te rispetto ai corrispondenti listini convenzionali.
Questi ed altri punti di debolezza indubbiamente pongono degli ostacoli allo svi-
luppo del settore, ma la revisione della normativa nazionale e comunitaria insieme alle
azioni previste dai Piani di Azione italiano ed europeo mettono potenzialmente a di-
sposizione degli strumenti che potrebbero, almeno in parte, risolvere i problemi che
ancora sussistono nel comparto.
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