il nostro territorio la nostra scuola è situata nel paese di uliveto ed è frequentata non soltanto...
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Il nostro territorioIl nostro territorio La nostra scuola è situata
nel paese di Uliveto ed è frequentata non soltanto dai bambini del luogo, ma anche da alunni residenti a
Caprona, Lugnano, Cucigliana e San Giovanni. Questi paesi appartengono al Comune di Vicopisano,
nel territorio della Provincia di Pisa.
Con la nostra ricerca, vorremmo indagare alcuni aspetti dell’ambiente naturale che ci circonda e
riconoscere gli elementi antropici che fanno parte del nostro territorio. Ci serviremo di varie fonti d’informazione: fonti scritte, orali, visive,
informatiche.
UlivetoUliveto Uliveto, anticamente detta Oliveto, è ubicata lungo la
Strada provinciale Vicarese pedemontana (cioè situata ai piedi di un monte), che da Vicopisano conduce a Calci
sulla destra dell’Arno, “lungo le rupi calcaree e cavernose che servono da mantello al Monte della
Verruca”. Il suo nome, ovviamente, deriva dalla presenza di ulivi, che ancora oggi occupano la fascia
pedemontana. Gli Ulivetesi indicano ancora i vari rioni del paese con quegli
appellativi utilizzati dai loro nonni, e cioè: “Le Cave” (per indicare l’area in prossimità delle stesse e delle Terme);
S. Martino al Bagno Antico Il Parco termale
“L’Arancio” (area della scuola); “Il Trebbio” (la piazza principale, dove una volta si trebbiava il grano);
“IL Poggio” (a Ovest del paese); “La Fornace” (nucleo abitato sulla strada del cimitero); Badia” (in direzione del Poggio, però più a Nord, dove forse è esistito un
convento); “Il Pozzino” e, infine, “La Colmata” (dove sono le case nuove).
Abbiamo ricercato altre informazioni… COLMATA = terreno con depositi alluvionali, circon dato da argini; vi era una fattoria con diversi conta dini, con stalle piene di animali, come: mucche, maiali e galline. POZZO ANTICO = località dove sorgeva la fabbrica del dott. Martinetti, in cui si producevano sapone e candele steariche (fatte con il grasso animale). Alla fine dell’Ottocento, la fabbrica contava ben 45 operai.
NORD
ESTOVEST
SUD
LEGENDA
Ulivi
Macchia
El. antropici
Fiume Arno
… notiamo tante linee curve disegnate sopra le Cave, a nord del paese, oltre la Strada provinciale e piccoli numeri tracciati sopra di esse… sono curve di livell0 altimetriche, cioè il luogo dei punti aventi la stessa altezza sul livello medio del mare e i numeri 20, 25, 50, 100, 150, 250, 275, 292 (La Focetta) indicano che sono state tracciate ogni 5 metri.
Leggiamo nomi a noi noti: “Noce”, “Torre di Caprona”, “Strada provinciale Vicarese” e, a Sud, sulla riva destra dell’Arno, “Lungarno G. Garibaldi”.
Sempre osservando la cartina, proviamo a localizzare e proviamo a localizzare le principali frazioni del nostro cipali frazioni del nostro Comune e, lungo la Comune e, lungo la direttrice della Provinciale, in della della Provinciale, in direzione Est-Ovest, incontriamo Est-Est-Ovest, incontriamo subito San Giovanni, poi San San San Giovanni, poi Cucigliana, rana rana del del del del Noce, Uliveto e Caprona. Dellana antropizzata di colore zona antropizzata, di colore gialloagiallo giallo gia giallo, fanno parte anche i campi coltivati, tra la Strada provinciale e il fiume Arno.
Vogliamo ora porre la nostra attenzione sulle zone di coltivazione dell’ulivo, che sulla cartina abbiamo evidenziato usando il colore grigio. Osserviamo che esse occupano la fascia pedemontana, si infittiscono nella zona circostante “La Verruca” per poi interrompersi in prossimità delle Cave, dove abbonda una roccia grigia, calcarea e prospera soltanto la “macchia mediterranea”.
Prendiamo ora in considerazione anche le piante spontanee delle nostre zone e quella che segue è una serie di splendide immagini delle varietà più diffuse, la cui raccolta è ancora praticata dalle persone del luogo, specie le più anziane, per la preparazione di ricette o infusi.
Spigo (Lavandula) Cisto Stipa etrusca
Ginestra Erica Corbezzolo
Finocchio selvatico
Alloro
Timo
Nepitella Origano selvatico
Salvia selvatica Asparago selvatico Mirto Olivastro (Oleastro)
Ed ora… alcuni piatti tipici!Ed ora… alcuni piatti tipici!FRITTATA DI ASPARAGI SELVATICI
Occorrente: un mazzo di
asparagi selvatici
4 uova
sale
pepe
Preparazione: pulire gli asparagi ed eliminare la parte più dura del gambo. Sbattere le uova e aggiungere
un pizzico di sale e pepe. Mettere il tutto in una padella con un filo d’olio e cuocere lentamente.
SALSA CON ALLORO E ORIGANOSALSA CON ALLORO E ORIGANOOccorrente: foglie di alloro
origano macinato
olio
sale
pepe
polpa di pomodoro
panna da cucina
Preparazione: in una padella mettere le foglie delle piante aromatiche con un po’ d’olio e farle soffriggere.
Aggiungere la polpa di pomodoro e cuocere per mezz’ora. Scolare la pasta, poi condirla con il sugo preparato e una
noce di panna da cucina.
PIOPPINI “in bianco”PIOPPINI “in bianco”
Occorrente: funghi “pioppini”
olio
cipolla
nepitella
sale
Preparazione: mettere in un pentolino olio e cipolla. Farli soffriggere e aggiungere i funghi pioppini lavati e
spezzati. Salare e cuocere. A fine cottura, aggiungere la nepitella. Il piatto è servito!
Uno sguardo d’insiemeUno sguardo d’insiemeOsserviamo la foto. In primo piano, sivede un enorme blocco di pietra con lacima rivolta verso la striscia lucente dell’Arno, in fuga verso l’orizzonte;nel centro, ulivi e antiche case delimitati da altri faraglioni, sorta disentinelle a guardia del paese. In alto a destra, i rami di un pino si affacciano curiosi sul paesaggio.Anche noi siamo curiosi di saperne di più, di conoscere lavita che si dipanava in questo tratto di pianura, una strettafascia compresa tra la riva destra dell’Arno e le falde del Monte Pisano.
Il fiume… una risorsa molto importante Com’era in passato? Per quali attività legate all’economia
gli Ulivetesi se ne avvantaggiavano? Era anche un’occasione di svago?
Alle nostre domande ha rispostoun’anziana del luogo, quindi oraabbiamo tante informazioni checi fanno capire come si svolgevala vita delle persone che abitavanonella zona di Uliveto. In passato, gli Ulivetesi erano, in prevalenza, contadini, cavatori,barrocciai, navicellai o barcaioli. I barrocciai, con le carrette, andavano a caricare il materiale estratto dalle cave (pietra calcarea e ghiaia) e lo trasportavanofino all’Arno, percorrendo quelle vie tuttora chiamate strettoie. I navicelli erano grandi chiatte che venivano ormeggiate dove ora si trovano le scalette, poi trascinate, cariche di merci, perchilometri e chilometri da riva. Per far ciò, i barcaioli entravanonell’acqua bassa, prendevano due funi e tiravano tiravano, avolte fino a Pisa.
Il lavoro dei navicellai era assai faticoso. Si alzavano molto presto per caricare le pietre e raggiungere in tempo le chiuse di Pisa, che funzionavano come una specie di
ascensore per le barche, ma soltanto due volte al giorno. Il viaggio fino a Livorno e ritorno durava due giorni; quindi, i navicellai dovevano dormire sulla loro barca al freddo e
all’umidità. Al ritorno, dovendo viaggiare contro corrente, se erano fortunati e avevano il vento a favore, potevano utilizzare la loro vela, altrimenti, dovevano trainare all’arsaio , cioè a piedi, da riva. L’arsaio “fregava” le loro spalle e li teneva avvinti alle barche. Era una fatica da forzati e la gente assisteva da riva, poiché, dal punto di vista spettacolare, il ritorno a vela era veramente bello a vedersi.
Le barche imbresciavano spumeggianti contro corrente,trasformando spesso il ritorno a casa in gare di velocità.Il “vecchio” soltanto guidava al timone: era dunque il capitano a serbarsi l’onore di riportare la barca in paese. A caratterizzare
questi singolari personaggi contribuivaanche il loro particolare linguaggio: i navicellai dicevano, per esempio, panchina anziché banchina; sosdegnao anzichésostegno; corbiello anziché corbello. Era una parlata“strascicata”, una pronuncia che arricchiva di una “i” certe parole, dovuta probabilmente alla fatica che li legava allabarca, alla lentezza che il mestiere esigeva. Il linguaggio di questa gente diventò, in breve, il linguaggio paesano. * Ma che fine hanno fatto le barche dei navicellai e questo straordinario mestiere?
Dopo la “grande bufera”
che aveva sconvolto il
mondo, il mestiere fu
abbandonato e, con esso,
molte delle consuetudini
che caratterizzavano la
vita di un tempo, come
quella di frequentare le
spiagge sull’Arno,
bagnarsi nelle sue acque e
organizzare merende nei
giorni di festa. Il progresso
avanzava e allettava gli
uomini del fiume con altri
redditizi mestieri.
Lentamente, cominciò a
perdersi la tradizione del
navicellaio, anche se il
ricordo di questo mestiere
è ancor vivo nel cuore di
molti Ulivetesi.
Ecco i versi significativi
di un poeta locale:
Vorrei direC’era una volta un fiume,pieno di vita.Aveva i colori di uno scrigno.Cupidigia e stupiditàl’hanno ucciso.Miei giovani compagni, vorrei diredei meriggi assolati,delle notti sognanti di pleniluniosu quelle rive amene.Miei giovani compagni, vorrei direl’indignazione! !Vorrei scagliare l’invettiva,vorrei ! ! ……Ma il mio linguaggio è nullo.
Ilo Gherarducci
Dal numero unico del 1979 “LA NONNA D’ORO”
Le CaveLe Cave Uliveto Terme è situata tra il fiume e il monte, distanti tra loro
poche centinaia di metri. IL fiume scorre placido in una golena, mentre il monte si erge improvviso e frastagliato, con fenomeni carsici ed erosivi accentuati ancor più dall’attività di escavazione, che ha creato pareti ripide e a picco sull’abitato.
Da un documento antico, si rileva che la maggior parte del terreno circostante è costituito da detriti delle Cave e, soltanto in un punto il Monte Pisano si spinge verso l’Arno e quasi immerge le sue pendici nel fiume.
Uliveto nasce, acquisisce e perde importanza a seconda delle ragioni economiche e strategiche legate all’utilizzazione del territorio, un tempo parte dell’entroterra del porto fluviale di Pisa. Per secoli, sono state sfruttate le potenzialità economiche e le risorse dei due ambienti: così se il fiume è stato un mezzo di trasporto, un collegamento vitale con Pisa, Livorno e Firenze, nonché fonte di reddito per generazioni di navicellai e pescatori, del monte si sono sfruttate le Cave per farne calcina.
Le Cave sono state chiuse… la convivenza tra Cave e Terme ha creato problemi non indifferenti, costringendo gli abitanti del paese a vivere in un ambiente degradato: (polvere e bòtti delle mine erano all’ordine del giorno)… È soltanto con gli anni ’70 che la parola ecologia determina la consapevolezza dei gravi danni che lo sfruttamento indiscriminato del territorio può procurare all’ambiente e alla vita umana.
CUORE APERTO(Al mio paese)
La rossa cava di pietra trovo riposo è un cuore aperto tra gli oliveti che vive di fatica liquidi nel vento e di speranza: e nella scarsa luna vi riconosco voci eterne, che viene: quando cerco il mio giorno. breve processione Alla sera, di pini. spento l’0rgoglio nell’immenso, Alberta Taccola
Ma come sono nate le Terme? Prima che imponenti lavori di arginatura avessero costruito una
terra artificiale, sulla quale oggi sorgono fabbricati ed un vasto giardino, il fiume scorreva a ridosso del monte, dando appena passaggio alla Strada provinciale. Ed in tempi più antichi, il passaggio era così angusto che i viaggiatori che da Pisa si recavano a Vico scendevano di vettura e facevano a piedi il punto più scabroso.
La denominazione “termale” della località è derivata dalla presenza, fin dall’antichità, di acque calde, nelle quali venivano a bagnarsi con sollievo gli ammalati di malattie epidermiche, soprattutto i rognosi. (Giusti)
Uliveto era una stazione balneare conosciuta con i nomi di Bagno Antico, Bagno alla Vena e Balneum Carcaiole. Si trattava di bagni per abluzioni con acqua calda, che fuoriusciva naturalmente a circa 37° di temperatura: polle che esistono ancora, ma ormai interrate, per dare maggior sfogo alle sorgenti dell’acqua minerale che sgorga a 27° e che, freddata e imbottigliata, continua a dare fama a Uliveto.
Vinossa De Regny (1940), alla luce dei dati raccolti, concluse:
che le acque di Uliveto fossero di origine vulcanica; che non fossero inquinate, in quanto sboccavano al di
sopra del livello dell’Arno;
che non si mescolassero con le acque meteoriche superficiali; che venissero filtrate dallo spessore delle rocce.
E, per concludere, ancora due splendide poesie della poetessa Alberta Taccola:
Pino sull’Arno(Agosto 1944)
Un pino, solo, Oggi, domani:
nella campagna. ancora vive.
Lo squassano i fragori Non ha voce di sfida,
che scendono in grovigli ma su lui
gridando stranamente
su spaurite agonie. si aggrappa la speranza.
S’inclina verso il fiume:
soccorso da misterioso dono,
resiste.
Alla mia terra Se di un fiore Fluisce
avrò dono, l’acqua di questo fiume
sarà per le radici verso di te,
che tu nutri. che generosa attendi
Se di un singhiozzo per offrire
scoprirò il tormento, il tuo abbraccio.
sarà per la ricchezza
del tuo amore.