il peccato di gola secondo la divina commedia

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Il peccato di Gola Gola Gola Gola secondo la Divina Commedia Nell’Inferno di Dante il supplizio inferto ai dannati [rei di aver esagerato con cibo e ghiotte vettovaglie] e' partorito dalla sua brillante e fervida fantasia creativa. Secondo Dante la gola e' sinonimo di ingordigia ed è uno dei sette peccati capitali che sono il fulcro portante della moralità cristiana tanto perseguita e promossa da Tommaso d’Aquino. Tale vizio, sordido e peccaminoso, s’innesca quando l’uomo spinto da compulsione, da piacere e da ingordigia, senza freni inibitori ed in preda ad un delirio simile ad ebbrezza, eccede in maniera smodata nell’uso di cibo e del vino. Dante punisce i golosi nel canto VI dell’Inferno mettendo i dannati in una situazione grottesca, paradossale, assurda: condannati al buio ed in mezzo al fango maleodorante ad essere perseguitati dalle unghie del terribile Cerbero – proprio coloro i quali - si sono macchiati del peccato di gola consumando carni infinite e lauti banchetti nel lusso e nella luce. Dante, rifacendosi all’Etica di Aristotele, considera il peccato di gola come un “vizio capitale”, ma tra quelli meno gravi non è né un peccato di “violenza” né di “matta bestialità”. Nell’Inferno (canto VI°) il “goloso” è un peccatore di “Incontinenza”: colui cioè che non ha saputo “contenere” un istinto naturale di per sé buono, colui che si impedisce di raggiungere il gusto pieno delle cose : tende a ingozzarsi tutto vorticosamente, senza permettere al cibo di far permanere il suo sapore. I GOLOSI I GOLOSI I GOLOSI I GOLOSI nell’Inferno nell’Inferno nell’Inferno nell’Inferno (Cerchio III (Cerchio III (Cerchio III (Cerchio III) CANTO VI ) CANTO VI ) CANTO VI ) CANTO VI PENA : le ombre dei golosi giacciono prostrate nel fango puzzolente, battuti da una pioggia violenta ed eterna mista a grandine e neve, assordati e dilaniati dal demone Cerbero, (mostro mitologico figlio di Tifeo e di Echidna, che Virgilio e Ovidio pongono a guardia dell’Averno), un cane con tre teste che introna gli spiriti con il suo latrare incessante e con le mani unghiate li graffia, li scuoia, li squarta. Gli occhi arrossati, la barba unta, lo stomaco dilatato e le mani, divenute artigli intenti ad arraffare quello che si trova sulla tavola, disegnano i tratti di un uomo abituato ad abbuffarsi, mentre gli spiriti graffiati, spellati e squartati sono l’immagine di vivande capitate sotto le grinfie di un bulimico assatanato. CONTRAPPASSO : amanti sulla terra di cibi e bevande profumate, ora stanno nel fango maleodorante ; avidi di cibo, ora sono lacerati dall’avido Cerbero, simbolo della voracità insaziabile. Essi sono puniti nei cinque sensi, come in vita dei sensi si deliziarono : l’olfatto (l’odore del fango maleodorante); l’udito (il triplice latrato di Cerbero); la vista (nell’essere immersi nel fango); il tatto (la pioggia e i graffi di Cerbero); il gusto (la monotonia della pioggia in contrapposto con la varietà dei cibi in terra).

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Il peccato di GolaGolaGolaGola secondo la Divina Commedia Nell’Inferno di Dante il supplizio inferto ai dannati [rei di aver esagerato con cibo e ghiotte vettovaglie] e' partorito dalla sua brillante e fervida fantasia creativa. Secondo Dante la gola e' sinonimo di ingordigia ed è uno dei sette peccati capitali che sono il fulcro portante della moralità cristiana tanto perseguita e promossa da Tommaso d’Aquino. Tale vizio, sordido e peccaminoso, s’innesca quando l’uomo spinto da compulsione, da piacere e da ingordigia, senza freni inibitori ed in preda ad un delirio simile ad ebbrezza, eccede in maniera smodata nell’uso di cibo e del vino. Dante punisce i golosi nel canto VI dell’Inferno mettendo i dannati in una situazione grottesca, paradossale, assurda: condannati al buio ed in mezzo al fango maleodorante ad essere perseguitati dalle unghie del terribile Cerbero – proprio coloro i quali - si sono macchiati del peccato di gola consumando carni infinite e lauti banchetti nel lusso e nella luce. Dante, rifacendosi all’Etica di Aristotele, considera il peccato di gola come un “vizio capitale” , ma tra quelli meno gravi non è né un peccato di “violenza” né di “matta bestialità”. Nell’Inferno (canto VI°) il “goloso” è un peccatore di “Incontinenza”: colui cioè che non ha saputo “contenere” un istinto naturale di per sé buono, colui che si impedisce di raggiungere il gusto pieno delle cose : tende a ingozzarsi tutto vorticosamente, senza permettere al cibo di far permanere il suo sapore.

I GOLOSII GOLOSII GOLOSII GOLOSI nell’Infernonell’Infernonell’Infernonell’Inferno (Cerchio III(Cerchio III(Cerchio III(Cerchio III) CANTO VI) CANTO VI) CANTO VI) CANTO VI PENA : le ombre dei golosi giacciono prostrate nel fango puzzolente, battuti da una pioggia violenta ed eterna mista a grandine e neve, assordati e dilaniati dal demone Cerbero, (mostro mitologico figlio di Tifeo e di Echidna, che Virgilio e Ovidio pongono a guardia dell’Averno), un cane con tre teste che introna gli spiriti con il suo latrare incessante e con le mani unghiate li graffia, li scuoia, li squarta. Gli occhi arrossati, la barba unta, lo stomaco dilatato e le mani, divenute artigli intenti ad arraffare quello che si trova sulla tavola, disegnano i tratti di un uomo abituato ad abbuffarsi, mentre gli spiriti graffiati, spellati e squartati sono l’immagine di vivande capitate sotto le grinfie di un bulimico assatanato. CONTRAPPASSO : amanti sulla terra di cibi e bevande profumate, ora stanno nel fango maleodorante ; avidi di cibo, ora sono lacerati dall’avido Cerbero, simbolo della voracità insaziabile. Essi sono puniti nei cinque sensi, come in vita dei sensi si deliziarono : l’olfatto (l’odore del fango maleodorante); l’udito (il triplice latrato di Cerbero); la vista (nell’essere immersi nel fango); il tatto (la pioggia e i graffi di Cerbero); il gusto (la monotonia della pioggia in contrapposto con la varietà dei cibi in terra).

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ANIMA CONDANNATA : Fra i golosi Dante riconosce un fiorentino, Ciacco. Dal Boccaccio sappiamo che egli visse da parassita , frequentando le mense dei ricchi gentiluomini , e dilettandosi, come uomo di corte, con le sue arguzie e i suoi detti spiritosi. Fu amico di Dante e pare che vivesse di espedienti . Perciò Dante lo pone ne Cerchio III dell’Inferno, dove sono racchiusi i golosi, coloro che nella vita concentrarono le loro energie nell’acquisizione di beni materiali e che fecero della buona tavola la loro massima aspirazione. Probabilmente Ciacco è solo un soprannome (porco) che sta comunque ad indicare l’ingordigia con la quale andava alla ricerca di inviti a pranzo. Inoltre il Canto di Ciacco , ossia il VI dell’Inferno, è definito politico e sta in posizione simmetrica con il VI del Purgatorio e il VI del Paradiso. Infatti nella prima cantica Dante commenta la situazione di Firenze, mentre nelle altre allarga la sua visione all’Italia e all’Impero.

Nel VI canto dell’ Inferno Dante-personaggio e la sua guida Virgilio si trovano nel girone dei golosi e al lettore si prospetta l’immagine di un enorme intestino a cui affluiscono continuamente cibi già elaborati dai succhi gastrici. La cattiva politica per Dante diventa, come la gola, una voracità patologica. Così la “Città del Fiore” assume le fattezze di un enorme ventre traboccante di invidia. Nell’ immaginario dantesco si tratta di una malattia legata ad un “disturbo alimentare”: la voracità e la "cattiva politica" del cibo sono aspetti comuni a coloro che, incapaci di vedere la bellezza offerta (le “risorse” alimentari o civili) si preoccupano soltanto di impadronirsi del cibo o della città, in vista del loro soddisfacimento immediato. La Gola per Dante diventa, dunque, immagine di Cattiva Politica quando si riduce alla smania continua di accaparrarsi qualcosa, per paura che ne possano godere anche gli altri. L’ingordigia infatti è strettamente imparentata con la disonesta avidità di chi antepone il proprio vantaggio al bene comune, perdendo così la sua dignità d’uomo.

"Io sono al terzo cerchio, de la piova etterna, maladetta, fredda e greve; regola e qualità mai non l’è nova.

Grandine grossa, acqua tinta e neve per l’aere tenebroso si riversa; pute la terra che questo riceve"

“Sono nel terzo cerchio, quello della pioggia eterna maledetta, gelida, insistente,

tanto che non cambia mai né modalità, né qualità. Nell’aria tenebrosa si riversano

grandine a grossi chicci, acqua sporca e nevischio. La terra che li riceve manda un odore disgustoso”

( Inf. VI, 7-12)

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"Cerbero, fiera crudele e diversa, con tre gole caninamente latra

sovra la gente che quivi è sommersa" "Cerbero, una belva crudele e dall’aspetto stranissimo,

manda latrati come un cane, ma da tre gole contro la gente che sta nella melma"

"Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, e ‘l ventre largo e unghiate le mani; graffia li spirti ed iscoia ed isquatra"

(Inferno, VI, 13-18)

“Noi passavam su per l'ombre che adorna la greve pioggia, e ponavam le piante

sovra lor vanità che par persona”

“Noi camminavamo sopra le ombre prostrate dalla pioggia, e mettevamo i piedi

sopra l’apparenza, che le fa sembrare corpi reali” (Inferno,VI, 34-36)

I GOLOSI nel PurgatorioI GOLOSI nel PurgatorioI GOLOSI nel PurgatorioI GOLOSI nel Purgatorio (Cornice sesta)(Cornice sesta)(Cornice sesta)(Cornice sesta) CANTO XXIVCANTO XXIVCANTO XXIVCANTO XXIV PENA : il profumo dei frutti pendenti da un albero e la vista dell’acqua che si diffonde tra i rami suscitano in essi fame e sete che li fanno dimagrire rendendoli simili a scheletri.

CONTRAPPASSO : i golosi , che in vita inseguirono il piacere del cibo e delle bevande hanno ora, per contrappasso, volti e corpi smagriti e purificati dalla fame e dalla sete.

ANIME CONDANNATE : Martino IV, Papa dal 1821 al 1825. La fama della sua gola fece nascere aneddoti e satire; e si diffuse la notizia che il suo piatto preferito fossero le anguille annegate nella “vernaccia” (vino bianco ligure) e arrostite. Ubaldino della Pila, Bonifazio dei Fieschi, il Marchese degli Argogliosi di Forlì , noto per il suo modo smodato di bere, e il poeta Bonagiunta Orbicciani da Lucca.

Nel XXIV° canto del Purgatorio la Gola diventa pretesto per parlare, non più di politica, ma di Poesia. Nel canto XXVI° del Purgatorio il “goloso” è colui che non ha usato bene la “libertà” , ha scelto sì un “buon obbietto” (è bene soddisfare il “bisogno di cibo”) ma l’ha perseguito in modo eccessivo rispetto alla sua importanza (con “troppo di vigore”). Dante torna a parlare di “peccato di gola” nel Purgatorio, ma come si addice al nuovo luogo (“qui la morta poesì resurga”) il poeta cambia linguaggio ed approfondisce i discorsi precedenti. Quando si tratta di cibi raffinati come la poesia bisogna, secondo Dante, “saper” (sàpere= avere sapore) assaggiare, degustare, assaporare, riservarsi un “retrogusto”. Il “goloso”, anche quando si tratta di

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uno che legge poesie, è chi si impedisce di raggiungere il “gusto” pieno delle cose perché tende a trangugiare tutto di corsa, senza permettere al cibo di far permanere tutto il suo sapore. I “golosi” del Purgatorio, dato che quando hanno “mangiato” (il cibo o la poesia) pensavano che il “cibo” materiale fosse tutto, invece di rivolgere la loro attenzione a ciò che ne era degno, sono costretti a stare davanti ad un albero pieni di frutti senza la possibilità di saziarsene. Questa è l’attività educativa della Cornice dei Golosi : portare le anime penitenti ad avere la tenacia necessaria a riconoscere prima e a ottenere poi quel "bene vero" (La Giustizia: la vita condotta a essere quello che realmente è) di cui il cibo è il sostituito simbolico degradato, come nella bulimia o nell’anoressia.

“ Beati cui alluma tanto di grazia, che l’amor del gusto nel petto lor troppo disir non fuma, esuriendo sempre quanto è giusto!”

"Beati coloro che sono illuminati dalla grazia a tal punto che il piacere

del gusto non attizza nel loro cuore un desiderio troppo bruciante, perché hanno sete solo di giustizia!"

( Purg. XXIV, 151-155)

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