il quadro storico i grandi tragediografi comera il teatro si va in scena!

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Il quadro st orico I grandi tr agediografi Com’era il t eatro Si va in sc ena!

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Page 1: Il quadro storico I grandi tragediografi Comera il teatro Si va in scena!

Il quadro storico

I grandi tragediografi

Com’era il teatro

Si va in scena!

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Il teatro nacque ad Atene nel momento di maggior splendore

della polis, ovvero il V secolo a.C.

Infatti, senza più l’ombra incombente della minaccia

persiana, si era consolidata la democrazia e

contemporaneamente il benessere economico permetteva

di devolvere considerevoli quantità di denaro per le opere pubbliche ( come,ad esempio, il

Partenone), e feste in onore degli dei.

E’ grazie alle Grandi Dionisie, celebrazioni in onore del dio che si tenevano ogni primavera, che nasce il teatro ad Atene. Infatti

nella “casa” del dio situata sull’Acropoli di Atene accorreva

tutti gli anni una folla numerosissima composta non solo

da ateniesi, ma da greci provenienti da ogni angolo dell’

Ellade. Lì i poeti prescelti dall’arconte della città si

sfidavano tra loro presentando ciascuno una trilogia, tre tragedie

e un dramma satiresco.

Particolare della scultura “Ermes con Dioniso

bambino” dello scultore Prassitele, conservata ad

Olimpia nel Museo Archeologico.E’ alle alle celebrazioni in onore di Dioniso che si deve la

nascita del teatro.Menu UscitaSuccessiva

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Democrazia e teatro: due parole che, ad

Atene sono strettamente legate.

Già, perché, se è vero che il teatro si afferma

nel V secolo con l’affermarsi della democrazia ed il

benessere economico, è altrettanto veritiero dire

che esso, seppure in una forma più rozza e

primitiva, nacque sotto il tiranno Pisistrato.

Sembra un paradosso che una forma d’arte

importante e di successo come la rappresentazione

teatrale si formi in un momento in cui la

popolazione non ha la condizione che i greci bramano più di ogni

altra: la libertà. Eppure, se si vanno ad

analizzare bene le intenzioni di Pisistrato,

quella di istituire il teatro fu un’ottima mossa politica per

tenere buona la popolazione. Qualche anno più tardi, Pericle

giunse alla conclusione che i cittadini potevano

essere educati ai concetti di uguaglianza

di fronte alla legge (isonomia) e di libertà

d’espressione (isegoria) grazie al teatro: questo

divenne così lo strumento con cui

rafforzare e diffondere i nuovi ideali

democratici. Ne è un ottimo esempio la

tragedia “ leSupplici ” di Euripide in cui, alla

domanda “Chi è il sovrano di questa terra?” posta al

leggendario re di Atene Teseo, questi risponde che ”Atene non ha un padrone, è una città libera.” e continua

illustrando al visitatore straniero il sistema

democratico della pòlis.

Veduta del Teatro di Dioniso ad Atene

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Una delle caratteristiche principali del teatro del V secolo era che la

trama della tragedia si concentrava su un unico avvenimento: scelto un tema, il poeta costruiva un’opera completa su quello, inserendo, a

volte, per facilitarne la comprensione agli spettatori, degli eventuali

episodi precedenti. Nel capitolo VIII de “la Poetica”di Aristotele si legge il

pensiero del filosofo, secondo cui tutti gli avvenimenti rappresentati

dovevano riferirsi ad un unico personaggio, ma anche ad un unico

fatto avente un suo inizio, svolgimento e conclusione. Nel

capitolo V si apprende la seconda “regola”, ovvero che gli avvenimenti narrati dovessero essere contenuti

nella durata di un giorno (“un giro di sole o poco più”) ed infine nel

capitolo XXIV Aristotele scrive che “i fatti dovevano svolgersi tutti nello

stesso luogo”.

Tuttavia il fatto che i drammaturghi del V secolo si attenessero

spontaneamente a queste tre disposizioni nonostante “La

Poetica”non fosse stata ancora composta, testimonia, da parte degli scrittori di opere teatrali, la voglia di creare rappresentazioni semplici e

lineari che si distinguessero dall’epopea tradizionale, e, da parte

del filosofo, l’intenzione di tramandare questi canoni anche alle

generazioni future.

Maschera teatrale in terracotta

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La città di Atene fu l’incubatrice perfetta per gli elementi

compositivi della tragedia, che raggiunsero livelli di maestria e raffinatezza ineguagliabili. Gli

spettacoli teatrali non si rivolgevano al singolo cittadino,

ma attraverso le vicende di re ed eroi, riuscivano a creare una coesione dei singoli individui, che riconoscevano nelle storie

rappresentate il proprio passato comune: l’abilità dei

tragediografi stava nel rappresentare non l’intera vita di un personaggio, ma solo qualche

episodio, al fine di renderlo contemporaneo. Secondo il filosofo tedesco Friedrich

Nietzsche, la tragedia greca era la sintesi perfetta delle componenti apollinee e

dionisiache: ovvero aveva trovato il giusto equilibrio tra la

“saggezza” di Apollo e la “sfrenatezza” di Dioniso. Più semplicemente, basta notare una cosa: le domande che si ponevano i personaggi delle tragedie, i rapporti tra “io e il

mondo”, “ io e la comunità” sono le stesse che si pone l’uomo

moderno; per questo possiamo affermare di essere noi stessi i

protagonisti della tragedia.

Dioniso ( a sinistra) ed Apollo, i due dei a cui la tragedia greca si

ispira per caratteristiche

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VI secolo a.C.

Il leggendario tragediografo Tespi effettua le prime rappresentazioni teatrali nelle città greche su un carro.

543 a.C.

Pisistrato, tiranno di Atene, istituisce gli agoni tragici.

472 a.C.

Viene rappresentata la tragedia di Eschilo “I Persiani”sulla battaglia di Salamina.E’ la più antica opera teatrale che ci è pervenuta.

431 a.C.

Viene rappresentata la “Medea” di Euripide.

428 a.C.

Sofocle compone “L’Edipo Re”, considerata la tragedia per eccellenza da Aristotele.

V-IV secolo a.C.

Con il declino di Atene si assiste anche a quello del teatro.

IV secolo a.C.

Aristotele espone la sua teoria sulla struttura del dramma teatrale.

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Eschilo Euripide

Sofocle

Aristofane

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Eschilo nacque ad Eleusi nel 525 a.C. Il luogo di nascita, centro del culto di Demetra,

comunicò una profonda religiosità  al suo animo. Fu iniziato al culto della dea e più

tardi venne anche accusato di averne rivelato i misteri (forse nelle Eumenidi). Giovanissimo, Eschilo esordì prima come

attore, poi come autore di drammi. Il poeta vinse il suo primo premio nelle gare

tragiche nel 484 a.C.; in quegli anni partecipò anche alla lotta della Grecia contro

i Persiani (nella battaglia di Maratona, peraltro, combatté al fianco di un suo eroico

fratello, Cinegiro). Quando Gerone di Siracusa fondò la città  di Etna (474 a.C. ), il poeta, invitato a corte, vi fece rappresentare

le "Etnee". Nel 468 a.C., ritornato ad Atene, Eschilo fu

battuto per la prima volta da Sofocle.Durante la sua attività , Eschilo ottenne 13 vittorie nei concorsi teatrali. Nel 458 a.C.,

dopo la vittoria ottenuta con l'Orestea, per ragioni non molto chiare fece ritorno in Sicilia, dove morì a Gela nel 456 a.C..

Sulla morte di Eschilo ci è stata tramandata una curiosa leggenda secondo la quale un'aquila avrebbe lasciato cadere, per spezzarla, una tartaruga sulla testa del tragediografo, scambiandola, data la

calvizie, per una pietra.

Busto di Eschilo

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A Eschilo sono attribuiti da 70 a 90 drammi; a noi ne sono giunti 7, secondo una scelta operata in età  romana e trasmessa nel Medioevo: Supplici, Persiani, I sette contro Tebe, Prometeo incatenato, Agamennone, Coefore, Eumenidi (le ultime tre formano l'unica trilogia completa superstite, l'Orestea).La prima tragedia in ordine di tempo sembra essere le Supplici, per ragioni storiche e interne (la sua estrema semplicità  e la prevalenza delle parti corali, che ci rimandano alle origini del teatro tragico); completavano la tetralogia gli Egizi, le Danaidi e il dramma satiresco Amimone. Le Supplici sono le 50 figlie di Danao che fuggono dall'Egitto per sottrarsi alle nozze con i cugini. Giunte ad Argo implorano la protezione di Pelago che è così posto dinnanzi al dilemma di rifiutare l'accoglienza, incorrendo nelle ire di Zeus, o concederla, rischiando una guerra: prevarrà  la riverenza per il re degli dei.I Persiani sono a loro volta l'unico dramma storico greco a noi noto, dramma anch'esso dai caratteri semplici e austeri di un teatro arcaico. Il contrasto tra un regime dispotico e quello della democrazia, animatrice di un amore profondo per la libertà  e la patria, appare il tema principale di Eschilo in

questa rappresentazione, nel 472

a.C.. Nel 467 a.C. Eschilo riportò

ancora la vittoria con la tetralogia del mito di Edipo, di

cui ci sono giunti I sette contro Tebe.

Della successiva trilogia di Prometeo ci è giunto il Prometeo

incatenato, con la vicenda del titano incatenato da Giove in Scizia per aver trasmesso ai

mortali il fuoco. Capolavoro di Eschilo è l'Orestea, che somma tutti i motivi fondamentali del

suo pensiero religioso e della sua arte teatrale e ne porta alle vette la poesia. Il potere e la ricchezza generano quasi ineluttabilmente la tracotanza, la colpa chiama la

vendetta divina, il sangue versato inizia una catena di delitti e di lutti che non può

concludersi se non con un atto di perdono e con una giustizia

superiore, che s'incarna nelle nuove divinità , in una nuova

religiosità , nel tribunale di un popolo intero retto a democrazia.Tragedia di lunghezza insolita per

Eschilo (1673 versi), l'Agamennone è costruita con

una sapienza rara di effetti scenici e contiene, soprattutto in

apertura, nelle parti corali e nel delirio di Cassandra, squarci di

altissima poesia.

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Euripide nacque ad Atene verso il 480 a.C.. Secondo una delle molte maldicenze dei

comici sui poeti, il padre (Mnesarco) era un oste e la madre (Clito) un'erbivendola. In

realtà  la sua famiglia doveva essere piuttosto benestante e aveva alcune

proprietà  a Salamina e sua madre, più che una povera popolana, probabilmente, era una ricca proprietaria terriera. Euripide, a

differenza di Eschilo e di Sofocle, non prese parte attiva alla vita politica della sua città ,

anche se sono evidenti le sue simpatie democratiche e progressiste.

Secondo la tradizione, Euripide si sarebbe sposato due volte e, in ambedue le

occasioni, poco felicemente. In ogni caso il poeta aveva fama di misogino e preferiva la

vita ritirata immersa nello studio (possedette, peraltro, una delle prime e più

ricche biblioteche private). Verso la fine della sua vita si recò forse a Magnesia, certo a Pella, capitale del regno macedone, presso la corte di Archelao. Euripide morì a Pella, in

Macedonia, nel 406 a.C.. Secondo una leggenda, il poeta morì sbranato da alcuni cani. La notizia della sua morte giunse ad

Atene mentre si stava iniziando uno spettacolo teatrale. Sofocle e tutta Atene dimostrarono il loro profondo cordoglio

prendendo il lutto.

Busto di Euripide

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Di lui si conservano 17 tragedie. Gli piace mescolare i miti variandoli, ne intreccia due o tre cambiando il finale o complicando così tanto la trama che è sempre necessario un DEUS EX MACHINA che dica cosa fare, all'uomo che non lo sa, sbloccando la situazione e risolvendola artificiosamente. Introduce innovazioni tecniche. Ad esempio, Timeo (un suo musicista) fece una musica nuova e scandalosa per gli ateniesi, con una sillaba passava per due - tre note e non più per una sola. I suoi personaggi non sono eroi ma uomini che soffrono senza principi a cui essere ligi (è il sofismo) e in lunghi monologhi riversano tutte le loro incertezze. Non aumenta né gli attori né il coro, anzi questo continua a perdere importanza, tanto da non potersi più contrapporre all'eroe. Può solo compatirlo o dargli sentenze ( γνομαι ) con etica di buonsenso, i personaggi non hanno codici di comportamento e si rifugiano nella γνομη.

Delle 92 opere da lui scritte, ce ne sono giunte solo 19:

Alcesti 438 a.C., vince il secondo premio Medea 431 a.C., vince il terzo premio Ippolito 428 a.C., vince il primo premio Gli Eraclidi fra il 430 e il 427 a.C. Andromaca fra il 429 e il 425 a.C. Ecuba 424 a.C. Le Supplici 422 a.C. Eracle 415 a.C. Le Troiane 415 a.C., vince il secondo premio Elettra 413 a.C. Ifigenia in Tauride 413 a.C.

Elena 412 a.C. Ione forse 412 a.C. Le Fenicie fra il 411 e il 409 a.C., vince il secondo premio Oreste 408 a.C. Ifigenia in Aulide 403 a.C., vince il primo premio Le Baccanti 403 a.C., vince il primo premio Ciclope (dramma satiresco) datazione molto incerta, forse il 427 (?) a.C. Reso (tragedia di scarso valore, scritta probabilmente da un imitatore nel IV sec. a.C.)

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Sofocle nacque nel 495 o nel 496 a.C. nel demo di Colono, che era un sobborgo di Atene. Figlio di Sophilos, ricco ateniese proprietario di schiavi,

ricevette un’ottima formazione culturale e sportiva, cosa che gli permise a 15 anni di cantare da solista il

coro per la vittoria di Salamina. La sua carriera di autore tragico è coronata dal successo: a 27 anni conquista il suo primo trionfo gareggiando con

Eschilo. Plutarco, nella Vita di Cimone, racconta il primo trionfo del giovane talentuoso Sofocle contro il celebre e fino a quel momento incontrastato Eschilo. In tutto conquista 24 vittorie, arrivando secondo in

tutte le altre occasioni. Amico di Pericle ed impegnato nella vita politica, fu stratega insieme a

quest'ultimo nella guerra contro Samo (441-440 a.C.). Inoltre ricoprì un'importante carica finanziaria

nel 443-442 a.C., e quando il simulacro del dio Asclepio venne trasferito da Epidauro ad Atene,

Sofocle fu designato ad ospitarlo nella sua casa fino a quando non fosse stato pronto il santuario

destinato al dio. Questi fatti testimoniano ulteriormente la grande stima che il poeta greco

godeva presso i suoi concittadini. Nelle sue funzioni pubbliche, contribuì all'elaborazione della

costituzione dei Quattrocento. Si sposò con Nicostrata, ateniese, che gli diede un figlio, Iofone. Ebbe anche una amante, chiamata Teoris, una donna

di Sicione, con cui ebbe un altro figlio, Aristone, padre di Sofocle il giovane. Si dice che, poco prima della sua morte, Iofone intentò un processo al padre Sofocle per una questione d'eredità, affermandone la senilità. La semplice lettura della sua ultima opera

mise fine al processo. Morì nel 406 a.C. e la sua ultima tragedia, l'Edipo a Colono, fu rappresentata postuma lo stesso anno in segno di grande onore.

Secondo la storiografia antica, notoriamente amante di tali ambigui aneddoti, morì strozzato da un acino

d'uva.

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Busto di Sofocle

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L’AIACE è la tragedia di un eroe che, divenuto troppo orgoglioso, è umiliato dagli dei. Aiace, furibondo perchè le armi di Achille erano state

assegnate ad Ulisse e non a lui, volle uccidere i principi greci; Atena tuttavia gli tolse la ragione e gli fece massacrare gli armenti

nell’accampamento.Rimasto solo, si uccise gettandosi sulla sua spada.

L’ANTIGONE. La battaglia attorno a Tebe è terminata. I due figli di Edipo, Eteocle e Polinice, si sono uccisi l’un l’altro in duello e Creonte ha

proibito di dar sepoltura a Polinice. Antigone delibera invece di rendere l’estremo onore al cadavere del fratello. Egli viene scoperta e condotta al cospetto di Creonte. Con fierezza, Antigone sostiene che, obbedendo

a leggi eterne, a leggi che, seppure non scritte, gli dei hanno fatto conoscere al genere umano e per questo sono poste al di sopra di ogni

legge umana, ella ha dunque compiuto il proprio dovere. Antigone è condannata a morte. Sopraggiunge infine l’indovino Tiresia, che riesce

a far cambiare idea a Creonte, che però si decide quando ormai è troppo tardi: Antigone si è impiccata.

L’EDIPO RE. Laio, re di Tebe, a cui un oracolo aveva predetto che sarebbe morto per mano del figlio, quando ne ebbe uno lo fece esporre

sul Citerone. Ma il servo che aveva dovuto eseguire l’incarico, impietosito, lo affidò ad un pastore, che a sua volta lo portò al re di

Corinto, che lo fece allevare. Divenuto adulto, Edipo volle recarsi a Delfi per interrogare il dio sul mistero della sua nascita e, nel tornare verso

Corinto, uccise, senza sapere chi fosse, Laio. Recatosi infine a Tebe, liberò la città dalla Sfinge risolvendone l’enigma e per questo motivo fu proclamato re. La città di Tebe, nel frattempo, viene colpita dalla peste ed Edipo apprende da suo cognato Creonte che la pestilenza cesserà

solo quando sarà scoperto l’uccisore di Laio. L’indovino Tiresia, costretto dal re, gli rivela la verità. Giunge il servo di Laio e anche Edipo apprende l’orribile verità: egli ha ucciso il proprio padre e sposato sua

madre; per punirsi, si acceca.

Nell’ELETTRA, Oreste torna in patria per vendicare la morte del padre Agamennone. Intanto Elettra rimprovera la sorella Crisotemi per la sua rassegnazione e osa affrontare Clitennestra rinfacciandole l’uccisione di

Agamennone. A questo punto giunge il pedagogo che accompagnava Oreste nel viaggio, annunciando la sua morte, avvenuta per una caduta

da cavallo durante i giochi di Delfi e riportandone le ceneri. Elettra si dispera, ma non rinuncia a propositi di vendetta, cercando al contempo

di persuadere Crisotemi ad unirsi a lei per uccidere Egisto. Giunge Oreste, fingendo di portare le proprie ceneri ed Elettra prorompe in un

commovente lamento funebre, che si cambia in giubilo quando Oreste si fa riconoscere. Dopo questa scena Oreste entra nella reggia ed uccide prima la madre Clitennestra e poi l’amante di lei, Egisto.

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La tragedia delle TRACHINIE prende il nome dalle donne di Trachis, che formano il coro. Deianira si affligge perchè da lungo tempo non

riceve notizie del marito Eracle. Ha appena inviato il figlio Illo a cercarlo, quando un messo annuncia il prossimo arrivo del marito

vittorioso. La notizia è confermata da Lica, che conduce con sè una schiava amata da Eracle, cioè Iole, figlia del re Eucrito. Deianira non

si mostra gelosa, ma, per assicurarsi l’amore del marito, gli manda la tunica bagnata nel sangue del centauro Nesso, da lei creduta

potentissimo talismano d’amore. Appena conosciuti i funesti effetti della tunica donata al marito, ella si uccide. Infine sulla scena viene

portato Eracle morente: la tunica lo ha avvelenato. L’eroe maledice la moglie, ma, quando scopre la sua innocenza e scorge in quanto è

avvenuto la volontà degli dei, si fa preparare il rogo sul monte Eta e comanda al figlio di sposare Iole.

FILOTTETE. Filottete, possessore dell’arco e delle frecce di Eracle, era stato abbandonato dai Greci nell’isola deserta di Lemno, dove

passa una vita solitaria e piena di stenti. Poichè l’oracolo ha predetto che senza le armi e le frecce di Filottete Troia non potrà essere presa, i Greci mandano Ulisse e Neottolemo, figlio di Achille, ad

impadronirsi di quelle armi. Ulisse insegna a Neottolemo il modo di guadagnarsi l’animo di Filottete, che, a causa dell’ingiusto

trattamento subito, serba rancore contro i Greci.L’inganno riesce, ma Neottolemo, che ha veduto i dolori dell’eroe e ne è rimasto

commosso, resiste alle pressioni di Ulisse e gli restituisce l’arco. A questo punto compare Eracle, che induce Filottete a tornare al

campo dei Greci, dove guarirà, ucciderà Paride e prenderà parte all’espugnazione di Troia. 

L’EDIPO A COLONO. Il vecchio Edipo, cieco, guidato dalla figlia Antigone, giunge a Colono, nel bosco sacro delle Eumenidi. Il coro,

venuto a conoscenza della sua identità, gli intima di allontanarsi, ma, commosso dalle preghiere, manda a domandare consiglio a Teseo, re

di Atene. Sopraggiunge l’altra figlia di Edipo, Ismene, in cerca del padre e della sorella ed annuncia che Tebe, minacciata da Polinice,

non sarà salva se Edipo non torna nella città. Mentre Edipo racconta al coro le sue sciagure. Interviene Teseo, che promette ad Edipo di

proteggerlo. Creonte, per costringere Edipo a tornare a Tebe gli rapisce le figlie, ma Teseo restituisce le due giovani al padre. Il figlio

Polinice si presenta al padre per chiedergli di favorire i nemici di Tebe, ma Edipo lo respinge, maledicendolo ed augurandogli la morte

per mano del fratello. Quando il tuono di Zeus gli annuncia la fine imminente, Edipo entra nel bosco sacro e scompare.

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Busto di Aristofane

Non si hanno informazioni precise riguardo ad Aristofane. Si sa che visse nel V secolo a.C.,

forse tra il 444 e il 388, e che le sue due prime commedie sono state rappresentate nel 427. In quegli anni Atene combatteva Sparta nella Guerra del Peloponneso per mantenere

l'egemonia sulla Grecia.

La sua prima commedia, I banchettanti, interamente perduta, trattava il rapporto-scontro tra l'antica ed arcaica educazione e le novità, il cambio della mentalità, in modo simile a ‘Le nuvole,

che avrebbe rappresentato quattro anni dopo. La seconda commedia, I Babilonesi, anche questa interamente perduta, andò in scena nel 426 a.C. e destò le ire di Cleone, sempre avverso al

commediografo, per l'allusione a Mitilene e per le accuse di reprimere gli alleati, anche i più fidi, per mantenere l'egemonia. Ma, grazie al sostegno dei Conservatori, specialmente Nicia, nel 425 andò in scena la terza commedia, Gli Acarnesi, pervenutaci.

Aristofane era solito affrontare direttamente i problemi e stavolta trattava la pace, desiderata da molti cittadini ateniesi, facendo riferimento ai raccolti distrutti, all'esclusione della città

dalle rotte commerciali e, in breve, al collasso della ormai precaria economia di Atene. Il pericolo della fame, esaltato particolarmente dall'autore, scuote i cittadini, che vedono

nell'eroe, un contadino, quindi un membro della classe sociale più colpita dalla guerra, l'assurdità dell'Assemblea ateniese. Aristofane, infatti, evidenzia quanto i suoi membri abbiano

profitto dalla guerra, che invece stronca quasi tutti i cittadini.

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Il protagonista Diceopoli vede in Pericle e nei Democratici la causa della guerra e difende Sparta, dai tempi di Licurgo conservatrice. Aristofane compiva così un coraggioso atto politico, poiché Atene era ancora governata dai Democratici. Le critiche di Aristofane sono maggiormente espresse ne I cavalieri, commedia rappresentata nel 424. Il personaggio Paflagone - da notare la scelta di un nome barbaro - personifica l'odiato Cleone, che da servo diviene padrone nella casa del proprio signore con inganni e calunnie, sostenuto dai Cavalieri, ovvero i mercanti. Le nuvole risalgono all'anno successivo ed è certamente l'opera più significativa del grande commediografo, a cui deve gran parte della propria fama. Tramite il personaggio Strepsiade, vecchio e indebitato a causa del figlio, Fidippide, sbeffeggia Socrate, Euripide e tutti i sofisti in generale. Aristofane, infatti, vede nella loro filosofia la causa della crisi di Atene. Nel 422 andò in scena un'altra sua nota commedia, Le vespe. Come I banchettanti e Le nuvole anche questa tratta il rapporto tra la vecchia e la nuova generazione. Questa volta però Aristofane attaccava direttamente il sistema giuridico ateniese, poiché Cleone aveva aumentato il soldo dei giudici popolari, che lo gestivano, avviandoli verso la miseria morale. Nello stesso anno ad Anfipoli morì Cleone e il commediografo iniziò a lavorare alla commedia La pace, rappresentata nel 421. Ancora un contadino, chiamato Trigeo, è il protagonista. Ma la commedia finì per essere illusoria, poiché i membri del Partito Democratico incitarono la popolazione a tornare in guerra. Nel 415 l'esercito di Atene conquistò la piccola isola di Melo, ne massacrò gli abitanti maschi e rese schiavi donne e bambini. L'anno dopo andò in scena Gli uccelli. Le ultime commedie che Aristofane scrisse con il massimo del suo sprezzante spirito ironico risalgono al 411, le altre sono state scritte tutte con un diverso interesse, come dimostra l'impostazione. Le tesmoforiazuse, la prima, bersagliava Euripide e la sua analisi dei personaggi femminili.

Il problema del ruolo della donna è centrale anche in Lisistrata, che ha come protagonista una donna che

propone una sorta di "sciopero sessuale" delle mogli affinché i mariti smettano di combattersi. Nello stesso

anno tornò ad Atene Alcibiade, che scacciò il neo-nato governo dei

Conservatori e restaurò la democrazia. L'opera Le rane dimostra

le perplessità dell'autore dopo la sanguinosa vittoria del 406 nella

battaglia delle Arginuse. In questo stesso anno morì Euripide. Nel 405

Atene subì la sconfitta decisiva: gli Spartani, guidati dall'ammiraglio

Lisandro, a Egospotami distrussero la flotta ateniese ed entrarono da

vincitori nel Pireo. Nel 392, quando ormai Atene era avviata al declino,

andò in scena Le Ecclesiazuse (Le donne a parlamento). Come dice il

titolo stesso, l'opera tratta di un'utopia: Prassagora, vestita da

uomo, si infiltra nell'Assemblea e propone come unica possibilità di

salvezza per Atene la presa del potere da parte delle donne (argomento

trattato anche da Platone). La parte finale è costituita da un'allegra e

vorticosa scena erotica, a detta di alcuni esempio del cosiddetto

"comunismo sessuale" . L'ultima opera di Aristofane è il Pluto, che tratta della ricchezza e della sua divisione morale.

Il protagonista Cremilo accoglie nella sua casa un cieco, che si rivela essere il

dio Pluto. Cremilo rifiuta la Penia, una condizione di dignitosa e

dialetticamente convincente povertà, per arricchirsi grazie all'aiuto del dio.

In queste ultime commedie Aristofane tratta il cambiamento di mentalità, da

comunitaria a individualista, la compattezza e la solidarietà delle

nuove famiglie. A personaggi come Strepsiade, protagonista ne Le nuvole,

l'autore preferisce ora la realtà dell'individuo e della società, quindi il

suo nucleo basilare: la famiglia.

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Per assistere alle competizioni teatrali convergeva nel teatro una folla enorme. Lo spazio destinato al pubblico consisteva nei gradoni in pietra che circondavano uno spazio piano dedicato alle danze: l’orchestra. Lì si esibiva il coro, che aveva il compito di narrare gli antefatti, spiegare e commentare ciò che avveniva in scena. Al centro dell’orchestra era situata la thymele, ovvero l’altare dedicato a Dioniso dove prima della rappresentazione veniva offerto un sacrificio in onore del dio. Su entrambi i lati dell’ orchestra si aprivano dei corridoi (o paradoi)che servivano da entrata e uscita per gli attori, oltre che come passaggio per il pubblico. Gli attori recitavano su una pedana chiamata logheion (Luogo in cui si recitano i dialoghi), che corrisponde al nostro palcoscenico.

Il termine “palcoscenico” deriverebbe proprio dalla skenè, ossia il luogo in cui gli attori si cambiavano d’abito o di maschera. Normalmente il palco si trovava dietro l’orchestra e al di sopra di esso si innalzava il theologheion, piattaforma da cui parlavano gli dei.

Vedute di teatro (in ricostruzione e in

pianta)

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LA SCENOGRAFIA

Era molto semplice e spesso era costituita dalla facciata di un palazzo. A volte venivano inseriti una tomba o

altri elementi

LA SCENA

Era lo spazio dedicato agli attori e al coro, suddiviso in logheion, dove

aveva corpo la rappresentazione, e l’orchestra, dove invece cantava il coro. ( Vedi pagina precedente)

I POSTI D’ ONORE

Al centro della prima gradinata aveva un posto riservato il sacerdote di

Dioniso, mentre intorno sedevano le autorità cittadine e la giuria.

I SETTORI

Gli spalti erano divisi in settori, ognuno assegnato ad una certa tribù o

classe sociale, come avveniva nel teatro di Atene, dove ogni settore

corrispondeva a una delle dieci tribù.

GLI SPALTI

L’ampio semicerchio sfruttava il pendio di una collina ed era protetto da muri di contenimento. Tra gli spalti vi erano corridoi per permettere al pubblico di

raggiungere il proprio posto.

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Page 19: Il quadro storico I grandi tragediografi Comera il teatro Si va in scena!

La parola con cui i greci indicavano gli attori era

“hypokritès”, che significa “interpretare un oracolo” ma

anche “rispondere ad una domanda”. I primi autori

recitavano le proprie opere e solo in seguito cominciarono a scegliere degli attori. Infine, con l’evoluzione e la crescita del teatro, divenne compito dell’arconte scegliere i tre

primi attori protagonisti, che venivano assegnati a sorte a

ciascun poeta. Un attore scritturato era obbligato a

presentarsi: se non lo faceva veniva severamente multato.

La caratteristica che faceva di un uomo un buon attore, oltre

alla capacità di recitazione, era senza dubbio la voce.

Infatti per perfezionarla gli attori si sottoponevano a

durissimi allenamenti, digiunando e provando

continuamente. Le caratteristiche richieste erano

farsi sentire dal pubblico senza gridare, avere una

buona dizione, saper cantare e saper adattare la propria voce

sia ad un personaggio maschile sia ad uno femminile.

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Page 20: Il quadro storico I grandi tragediografi Comera il teatro Si va in scena!

La distanza degli attori dagli spettatori in un teatro greco era notevole e sicuramente maggiore di quella che poteva esserci in un teatro dell’Ottocento. Questo influì in modo notevole sulla scelta dei costumi e delle maschere, oltre che su altri aspetti della messa

in scena come l’acustica e la visualizzazione di gesti e movimenti.

Le principali testimonianze sul vestiario degli attori risalgono al II secolo d.C., ma spesso sono confermate dalle decorazioni

delle pitture vascolari. I costumi da tragedia si distinguevano da quelli da commedia; la veste dell’attore era il

chitone, una tunica lunga fino ai piedi che si distingueva da quelle usate nella vita

reale per via della colorazione vivace che le rendeva visibili anche da lontano. Sempre

per favorirne l’immediato riconoscimento, i colori dei costumi erano simbolici ( ad

esempio il re vestiva di rosso, la gente in lutto di nero, ecc..), gli eroi portavano una corona e gli stranieri un simbolo del loro Paese. Nelle commedie le vesti erano più leggere e adornate con pance o dettagli

volutamente esagerati.

Le maschere servivano a conferire all’attore un aspetto sempre diverso e gli

permettevano di interpretare più personaggi nel corso della stessa

rappresentazione. Esse erano fatte di lino, sughero o legno e per questo motivo non se ne è conservata nessuna. I lineamenti del

viso erano naturali e ben marcati; la maschera copriva tutta la testa e

comprendeva i capelli, attaccati nella parte superiore.

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Page 21: Il quadro storico I grandi tragediografi Comera il teatro Si va in scena!

Il coro equivaleva ad un vero e proprio

attore ed aveva un ruolo integrante nel

dramma. Esso, infatti, aiutava lo

spettatore a muoversi all’interno

della vicenda, narrando antefatti o intervenendo dove necessario. I suoi

personaggi ( ancelle, anziani, uomini

qualunque), erano più vicini allo

spettatore rispetto al protagonista (che spesso era un

eroe) ed erano vestiti in modo

molto più semplice. I quindici del coro portavano tutti la stessa maschera, dovevano essere

ben sincronizzati nei movimenti e saper cantare e danzare.

Entravano in scena dopo un breve

discorso d’apertura, preceduti da un

suonatore di flauto (l’unico senza maschera) e si disponevano in

forma rettangolare o di triangolo. La

persona incaricata della direzione era il chorodidàskalos .

Le spese di mantenimento del coro non erano a

carico dello Stato, che finanziava gli

attori e il drammaturgo, ma

di un cittadino benestante. Questi pagava il vestiario, le maschere, il vitto

e l’alloggio dei membri e l’affitto

del luogo delle prove ma otteneva popolarità ed onori in tutta la cittadina.

Il coro in una rappresentazione moderna di una tragedia greca

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Page 22: Il quadro storico I grandi tragediografi Comera il teatro Si va in scena!

La capienza dei teatri più grandi poteva variare tra i diecimila e i diciassettemila spettatori. Il pubblico era eterogeneo, in quanto formato da cittadini, da visitatori, da ambasciatori stranieri, da commercianti venuti da altre parti della Grecia e perfino da donne ( anche se la loro presenza rimaneva comunque minoritaria). Vi erano posti d’onore gratuiti per l’arconte, i sacerdoti, i funzionari pubblici e i benefattori della città; il resto delle gradinate era destinato alla gente comune ed era ripartito secondo criteri interni alla polis ( ad esempio il teatro di Dioniso ad Atene aveva gradinate divise in tredici settori, dieci dei quali occupati dalle altrettanto numerose tribù della cittadina greca). Gli archeologi hanno rinvenuto una serie di oggetti di metallo (forse piombo), rotondi, decorati con maschere da tragedia o da commedia e che costituivano il “biglietto” che dava diritto ad occupare un posto. Il prezzo di un posto a teatro era inizialmente di due oboli ( equivalenti a un giorno di paga di un esponente della classe più umile), finché non venne istituito da Pericle un fondo cittadino che permise a tutta la cittadinanza di andare a teatro senza pagare. A differenza di quanto accade oggi, il comportamento degli spettatori durante le rappresentazioni (che duravano dal mattino al tramonto), era piuttosto vivace: negli intermezzi si poteva mangiare, bere e fare i propri bisogni; a volte le vivande erano utilizzate per bersagliare gli attori in segno di disapprovazione. Gli spettatori non rimanevano in silenzio durante gli spettacoli, né attendevano la fine per applausi o grida di assenso, ma interrompevano la rappresentazione con urla, fischi, battimani pedate contro i gradoni.

La capienza dei teatri più grandi poteva variare tra i diecimila e i diciassettemila spettatori. Il pubblico era eterogeneo, in quanto formato da cittadini, da visitatori, da ambasciatori stranieri, da commercianti venuti da altre parti della Grecia e perfino da donne ( anche se la loro presenza rimaneva comunque minoritaria). Vi erano posti d’onore gratuiti per l’arconte, i sacerdoti, i funzionari pubblici e i benefattori della città; il resto delle gradinate era destinato alla gente comune ed era ripartito secondo criteri interni alla polis ( ad esempio il teatro di Dioniso ad Atene aveva gradinate divise in tredici settori, dieci dei quali occupati dalle altrettanto numerose tribù della cittadina greca). Gli archeologi hanno rinvenuto una serie di oggetti di metallo (forse piombo), rotondi, decorati con maschere da tragedia o da commedia e che costituivano il “biglietto” che dava diritto ad occupare un posto. Il prezzo di un posto a teatro era inizialmente di due oboli ( equivalenti a un giorno di paga di un esponente della classe più umile), finché non venne istituito da Pericle un fondo cittadino che permise a tutta la cittadinanza di andare a teatro senza pagare. A differenza di quanto accade oggi, il comportamento degli spettatori durante le rappresentazioni (che duravano dal mattino al tramonto), era piuttosto vivace: negli intermezzi si poteva mangiare, bere e fare i propri bisogni; a volte le vivande erano utilizzate per bersagliare gli attori in segno di disapprovazione. Gli spettatori non rimanevano in silenzio durante gli spettacoli, né attendevano la fine per applausi o grida di assenso, ma interrompevano la rappresentazione con urla, fischi, battimani pedate contro i gradoni.

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Page 23: Il quadro storico I grandi tragediografi Comera il teatro Si va in scena!

Una volta conclusisi gli spettacoli era compito della giuria stabilire il vincitore. I giudici erano scelti per

sorteggio nella popolazione ed erano sempre in numero di dieci ( ad Atene erano uno per ognuna

delle dieci tribù). Le persone selezionate giuravano davanti

all’arconte di emettere un verdetto di assoluta imparzialità. Ogni giudice scriveva il proprio

voto su una tavoletta e la inseriva all’interno di un’urna. Era

compito dell’arconte estrarle e, dopo averle lette, proclamare il vincitore. Sicuramente i giudici erano messi sotto pressione dal

pubblico, diviso tra l’una o l’altra fazione ma una volta reso noto il nome del vincitore il giudizio era inappellabile. Oltre al premio per

la miglior rappresentazione nacque l’usanza di conferire un riconoscimento anche al miglior

attore. Gli anni d’oro del teatro greco ebbero termine insieme al tramonto del secolo d’oro di Atene e dopo i grandi

drammaturghi – Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane - non vi fu più

nessuno di pari livello.

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Page 24: Il quadro storico I grandi tragediografi Comera il teatro Si va in scena!

La rappresentazione delle opere teatrali seguiva un calendario

ben preciso, spesso coincidente con quello delle più importanti

festività religiose. Ciascun attore presentava al concorso

quattro opere: tre tragedie e un dramma satiresco; il giorno

prima degli spettacoli si ultimavano le prove e si

rendeva nota la compagnia di attori. Il giorno seguente

incominciava con la processione ed il trasporto della statua di

Dioniso, che veniva portata fino all’Acropoli. Il secondo giorno si

rappresentavano cinque commedie, mentre nei tre giorni

successivi venivano messe in scena tre tragedie e un dramma satiresco. Alla fine dei tra giorni erano assegnati i premi per il

miglior coro, il miglior attore e il miglior poeta. Nel V secolo partecipavano al concorso

cinque attori, anche se durante la guerra del Peloponneso il

numero scese a tre.

Probabile aspetto della processione in onore di Dioniso, che si teneva prima

delle rappresentazioni teatrali.

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