il ruolo dell’esperienza nell’insegnamento scientifico: il...

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA I I l l r r u u o o l l o o d d e e l l l l e e s s p p e e r r i i e e n n z z a a n n e e l l l l i i n n s s e e g g n n a a m m e e n n t t o o s s c c i i e e n n t t i i f f i i c c o o : : i i l l p p r r i i n n c c i i p p i i o o d d i i A A r r c c h h i i m m e e d d e e i i n n u u n n a a S S c c u u o o l l a a P P r r i i m m a a r r i i a a RELATORE Prof. Emanuele Sorace CANDIDATO Eleonora Gronchi Anno Accademico 2006-2007

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UNIVERSITA' DEGLI STUDI DI FIRENZE

FACOLTA' DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE

CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE PRIMARIA

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RELATORE

Prof. Emanuele Sorace

CANDIDATO

Eleonora Gronchi

Anno Accademico 2006-2007

2

A mamma e babbo per il loro sostegno;

A mio fratello, il miglior scienziato smemorato;

A Dario perché c’è sempre stato.

3

Indice INTRODUZIONE

PRIMO CAPITOLO

RIFERIMENTI TEORICI: ALCUNI PEDAGOGISTI E LE LORO TEORIE

1. La teoria cognitiva di Piaget

1.1. La formazione dei concetti scientifici secondo Piaget

2. La teoria storico-culturale di Vygotskij

2.1. La formazione dei concetti scientifici secondo Vygotskij

3. L’attivismo di Dewey

3.1. Il ruolo e il significato dell’educazione

3.2. Le indagini personali del mondo

4. Due modelli a confronto: il modello di Howkins e quello di Guilford

5. Un progetto straniero per l’innovazione dell’insegnamento scientifico:

Karpuls e lo SCIS

SECONDO CAPITOLO

IL RUOLO DELL’ESPERIENZA NELL’INSEGNAMENTO SCIENTIFICO

1. Il gioco come il “fare esperienza”: due modi per conoscere il mondo

2. La teoria dell’esperienza di Dewey

3. Il laboratorio come luogo ideale in cui “usare” l’esperienza

4. L’importanza dell’esperienza nell’insegnamento delle scienze

5. La ludoteca scientifica di Pisa: basare la fisica sull’esperienza

6. Al di là dell’esperienza…

6.1. … dalla conoscenza di senso comune alla conoscenza scientifica

6.2. … il ruolo dell’insegnante

6.3. la motivazione come base per l’apprendimento

4

TERZO CAPITOLO

I PROGRAMMI MINISTERIALI DEL 1985 E LE INDICAZIONI NAZIONALI DEL 2003 A

CONFRONTO

1. Excursus storico

2. I Programmi Ministeriali del 1985

2.1. Fenomeni fisici e chimici

3. Le Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio Personalizzati nella Scuola Primaria

4. Confronto tra i Programmi e le Indicazioni Nazionali

QUARTO CAPITOLO

IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE

1. Al tempo di Archimede: la Grecia ellenistica

1.1. la nascita della scienza

1.2. la rimozione della rivoluzione scientifica

1.3. Lo sviluppo delle scienze

1.4. Decadenza e fine della scienza

1.5. I rinascimenti

2. Il ruolo della Biblioteca di Alessandria nello sviluppo della cultura ellenistica

3. il grande Archimede

3.1. L’assedio di Siracusa e la morte di Archimede

3.2. Il ritrovamento della tomba

3.3. Le opere

4. Sui galleggianti: il principio di Archimede

4.1. La storia della corona

4.2. Le proposizioni del trattato

4.3. La dimostrazione pratica del principio di Archimede

4.4. Il principio di Archimede nel linguaggio matematico

4.5. Il galleggiamento dei corpi

4.6. Applicazioni pratiche della spinta di Archimede: sommergibili e navi, dirigibili e

aerostati

5. Il mito di Archimede da Cicerone a Walt Disney

5

QUINTO CAPITOLO

IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE IN UNA SCUOLA PRIMARIA

1. Introduzione

2. Piaget: riflessioni sul galleggiamento

3. Informazioni preliminari al progetto

3.1. Alcuni punti chiave del progetto

3.2. Il contesto della scuola

3.3. le conoscenze pregresse degli alunni

3.4. Ipotesi iniziale

3.5. Obiettivi

3.6. Spazi e tempi

3.7. Strategie

3.8. Strumenti e materiali

3.9. Prodotto finale

3.10. Verifica

4. Il progetto: incontro dopo incontro

CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIE

ALLEGATI

6

Introduzione

Molti vedono la fisica come una materia pesante, difficile e in certi casi

anche odiosa. La fisica studiata sui libri, fatta di formule e definizioni imparate a

memoria è l’incubo di molti studenti che finiscono per ritenerla una materia

incomprensibile. C’è una soluzione? C’è qualcosa di diverso dall’uso del libro di

testo per far comprendere questa disciplina?

I bambini quando sono molto piccoli fanno tantissime domande: queste

domande hanno come tema principale il mondo che li circonda, vogliono

scoprire ciò che sta dietro all’apparente realtà, vogliono scoprire il perché di

quel comportamento… Perché allora finiscono per non amare la fisica? La fisica

indaga sulla realtà e fornisce molte informazioni sul mondo che ci circonda e

può dare risposte alle domande tanto insistenti di quei bambini.

Il processo “di odio” cresce comunque con l’età e con l’abbandono

dell’esperienza pratica e l’utilizzo sempre più preponderante di formule da

imparare sui libri di testo senza che l’insegnante mostri cosa ci sta dietro.

Finché i bambini sono piccoli l’insegnante mantiene vivo il legame con la realtà

che viene poi sostituito, almeno per quanto riguarda la mia esperienza

scolastica, dallo studio del libro di testo.

Su ciò verte tutta la mia tesi. Attraverso un progetto proposto a dei

bambini di una scuola primaria ho voluto verificare se l’esperienza, la pratica

laboratoriale, aiuta a capire concetti difficili. Niente libri quindi, né quaderni ma

solo esperimenti per far sì che ognuno possa confrontare le proprie ipotesi, la

propria conoscenza di senso comune, con la conoscenza scientifica attraverso

l’osservazione, la realizzazione di esprimenti in classe e la condivisione degli

stessi.

Il capire attraverso l’esperienza è una pratica abbastanza diffusa nella

scuola primaria: per apprendere il bambino ha bisogno di sperimentare in ogni

ambito disciplinare. La scienza si presta bene a questo tipo di lavoro.

7

Nel primo capitolo ho preso in esame alcuni degli autori del panorama

pedagogico. Conoscere queste teorie è stato importante, sia per aver ripreso la

concezione che essi hanno del bambino, sia per aver verificato il loro

contributo, ad esempio di Vygostkij e Piaget , sullo sviluppo dei concetti

scientifici. In questo primo capitolo, oltre a vedere anche la teoria di Dewey, ho

individuato due modelli, quello di Guilford e quello di Hawkins, che mi sono

serviti come base teorica per il percorso realizzato a scuola. Ho inserito tra tutti

questi autori anche il contributo di un progetto straniero di rinnovamento

dell’insegnamento delle scienze: il progetto SCIS di Karplus.

Nel secondo capitolo ho finalmente preso in considerazione dal punto di

vista teorico il concetto d’esperienza. Tra gli autori più illustri ho inserito proprio

Dewey: ho analizzato la sua teoria dell’esperienza che egli espone nel libro

Esperienza e educazione. Ho inoltre associato all’esperienza da un lato il

concetto di gioco come anticipatore della metodologia usata dai bambini per

conoscere ciò che li circonda e dall’altro il laboratorio come pratica scolastica

positiva, sebbene troppo trascurata dagli insegnanti. Spunto di riflessione per la

pratica laboratoriale è anche la Ludoteca scientifica a cui ho dedicato alcune

pagine. Nello stesso capitolo ho titolato un paragrafo al di là dell’esperienza.

Reputo importante che un insegnante valuti l’importanza dell’esperienza (non

solo nell’insegnamento scientifico) con particolare attenzione anche alla

motivazione dei bambini, ai loro interessi, alla conoscenza di senso comune

che loro hanno e che portano a scuola e al ruolo cruciale che ricopre

l’insegnante stesso.

Nel terzo capitolo ho preso in esame i Programmi Ministeriali del 1985 e

le Indicatori Nazionali del 2003. Il mio intento era quello di verificare lo spazio

che in entrambi i casi veniva dato alla scienza, in particolare alla fisica e

provare a trarre delle conclusioni tramite un confronto diretto tra i due.

8

Nel quarto capitolo sono arrivata finalmente a trattare il lato “fisico” della

mia ricerca: il principio di Archimede. Prima di tutto mi sono soffermata, grazie

alla lettura del libro di Lucio Russo, La rivoluzione dimenticata, sulla particolare

tesi portata avanti dallo stesso autore secondo cui la scienza è nata al tempo di

Archimede nella Grecia ellenistica ma di quel periodo di grande fioritura

scientifica molti ricordano solo alcuni sporadici personaggi e non il livello

altissimo di conoscenze scientifiche raggiunte. A dimostrazione di tale sviluppo

ho portato come modello la biblioteca di Alessandria che lo stesso Archimede

aveva frequentato per approfondire i suoi studi. Sempre nello stesso capitolo ho

brevemente ripercorso la leggendaria vita di Archimede come uomo e come

scienziato soprattutto: dalla lettura delle sue opere emerge una figura molto

moderna di scienziato che indaga il reale, che cerca di spiegare i fenomeni che

lo circondano attraverso un’indagine rigorosa. Ho illustrato quindi l’Archimede

interessato alla matematica, all’astronomia, alla geometria; l’Archimede

inventore e anche l’Archimede che si divertiva ad ideare giochi per gli altri.

Al principio di Archimede ho dedicato un paragrafo a parte. Ho illustrato

la famosa storia che si narra abbia portato lo scienziato alla scoperta del peso

specifico e del principio che regola il galleggiamento degli oggetti. Di seguito a

questa ho estrapolato quindi le proposizioni che lo spiegano e che in molti

hanno studiato a scuola, traducendole anche nel linguaggio matematico.

Attraverso queste proposizioni ho individuato i criteri per cui un oggetto

galleggia e un altro affonda e ho portato come esempi le applicazioni pratiche di

tali leggi. Per concludere il capitolo ho voluto ricordare come anche la Walt

Disney, nella versione italianizzata, abbia contribuito alla creazione nel nostro

immaginario, di un Archimede leggendario nel ruolo di inventore di oggetti

strani: sto parlando del personaggio dei cartoni animati Archimede Pitagorico.

Il quinto capitolo è la parte che mi ha impegnato maggiormente rispetto

alle altre, poiché non ho semplicemente raccolto del materiale ma ho dovuto

ideare un progetto sul principio di Archimede che fosse adatto ai bambini.

9

L’idea di questo progetto nasce da una mia curiosità: dopo aver studiato

fisica alla scuola superiore in modo piuttosto meccanico e mnemonico, mi sono

imbattuta nel corso di “Didattica della Fisica” che ho frequentato diversi anni fa,

nel quale la professoressa ci mostrava alcuni esperimenti per poterli riproporre

ai bambini. Questo fatto mi aveva molto colpito e più volte mi ero chiesta vuoi

vedere che puntando sull’esperienza e l’esperimento si riesce a far capire

questi concetti anche ai bambini?

A proposito lo slogan della Ludoteca scientifica dice:

“se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco”.

Le modalità dell’insegnamento scientifico possono dunque essere riassunte in

tre tipologie diverse:

- la lezione frontale: l’insegnante spiega e il bambino ascolta… ma

dimentica

- il cattivo uso del laboratorio: l’insegnante svolge l’esperimento, il

bambino osserva e può in questo modo solo ricordare

- l’esperienza attiva: l’insegnante guida il bambino, non invade il suo fare,

il bambino conduce l’esperimento e … capisce!

È a quest’ultima categoria che io mi sono volutamente ispirata. L’ipotesi

fondante del progetto era voler dimostrare come attraverso degli incontri ben

graduati e calibrati sui bambini basati sul principio del fare, dell’esperienza è

possibile capire il principio di Archimede e rispondere alla domanda perché gli

oggetti galleggiano? Gli incontri svolti nel gruppo di bambini sono stati dieci; in

ognuno di essi i bambini erano protagonisti e svolgevano loro gli esperimenti,

non dimenticando mai di fissare alla fine le novità emerse. Molti bambini

sicuramente hanno tratto un grosso vantaggio da questo tipo di approccio.

10

Primo capitolo

RIFERIMENTI TEORICI: ALCUNI PEDAGOGISTI E LE LORO TEORIE

Più volte sia nella fase di elaborazione che nella fase di realizzazione e

poi nel corso della verifica del progetto, ho fatto ricorso alle teorie dei più

importanti pedagogisti. Avere sempre un riferimento teorico può essere utile per

conoscere chi ci sta di fronte. Gli autori che ho preso in esame hanno alcuni

punti in comune mentre su altri divergono soprattutto per quanto riguarda l’idea

di sviluppo del bambino e per quanto concerne la formazione dei concetti

scientifici.

Sebbene le teorie alle quali farò cenno si differenziano per molti motivi, esse

impongono riflessioni che possono avere effetti importanti sul piano

pedagogico-didattico:

- è confermata l'importanza dell'esperienza diretta

- Appare poi indispensabile una conoscenza del bambino: “per poter

graduare le proposte in base alle strutture, agli schemi o alle capacità già

in possesso del bambino, se si vuoi tener conto della teoria di Piaget, o,

per conoscere e intervenire nell'area dì sviluppo potenziale come vuole

la teoria di Vygotskji” 1.

1. La teoria cognitiva di Piaget

Un punto di riferimento nel panorama educativo è certamente Piaget

(1896-1980) con la sua teoria sullo sviluppo cognitivo del bambino egli ha

contribuito a dare agli studi un carattere scientifico e sperimentale. Egli si

dedicò dapprima alla biologia, occupandosi delle variazioni che in ambienti 1 C.G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi) 2000. pag. 121

11

diversi presentava un mollusco: si imbatté per la prima volta in quello che sarà

uno dei tanti temi da lui sviluppati ovvero l’adattamento degli individui a

condizioni ambientali mutevoli. Riflettendo su tale tema ipotizzò che

l’intelligenza rende possibili gli adattamenti rapidi, tiene conto dei problemi

improvvisi che si presentano e produce subito il comportamento adeguato.

Secondo Piaget l’intelligenza quindi è uno strumento adattivo molto potente

quando, nell’adulto è pienamente sviluppata. Ma come si forma nel bambino?

“A questo problema Piaget fu portato a riflettere anche dalla temporanea

collaborazione (1920) con l’Istituto A. Binet, di Parigi e da quella con l’Istituto

J.J. Rousseau, che E. Claparède, egli pure studioso dell’intelligenza, aveva

fondato a Ginevra per promuovere la ricerca scientifica sullo sviluppo del

bambino”2. L’intelligenza è già completamente presente nel bambino o

semplicemente si dispiega con la crescita? Si può considerare il prodotto

dell’accumularsi di molteplici esperienze o è il risultato di una particolare

interazione dell’organismo con l’ambiente? Piaget fu sostenitore di questa

ultima ipotesi, precisando nella sua teoria la modalità di questa interazione. Lo

sviluppo dell’intelligenza risulta essere un equilibrio dinamico tra processo di

assimilazione dei dati dell’esperienza a schemi mentali già presenti

nell’individuo in crescita e un processo di accomodamento, ovvero di

modificazione di tali schemi quando l’esperienza compiuta è troppo nuova e

contrasta con essi.

Un ulteriore concetto della teoria di Piaget utile per un insegnante è l’idea

che lui ha del conoscere. Secondo Piaget conoscere vuol dire agire su un

oggetto, trasformarlo e comprendere questo processo di trasformazione. La

conoscenza che lui descrive è quindi un’operazione, uno sperimentare, un

manipolare, è qualcosa che non si assume a priori in un certo momento e tutta

insieme, ma si elabora per tutto l’arco della vita. Da notare come sia possibile

rimandare questo suo pensiero al modo di insegnare scienze nella scuola di

base: i concetti scientifici si apprendono gradualmente, con l’esperienza e la

manipolazione e non con la memorizzazione. 2 A. FONZI (a cura di), Manuale di psicologia dello sviluppo, Giunti, Firenze 2001, pag. 20

12

Egli condusse osservazioni sistematiche sui suoi tre figli utilizzando il

metodo osservativo definito quasi-sperimentale, poiché le osservazioni erano

spesso guidate da ipotesi e le condizioni in cui il bambino veniva posto erano

predisposte proprio in base a quelle ipotesi. Piaget quindi fu promotore di una

importante innovazione nel metodo d’indagine. Ha avuto anche il merito di aver

sostituito le indagini fondate su aneddoti o registrazioni di fatti, come avveniva

nella seconda metà dell’800, con indagini sistematiche basate su metodologie e

presupposti teorici rigorosi. Piaget si basa sull’osservazione che non si limita

soltanto ai comportamenti spontanei ma introduce delle modificazioni

sull’ambiente o stimoli.

Attraverso tale metodo di indagine Piaget è arrivato a concludere i suoi studi

sullo sviluppo dei bambini con la distinzione di esso in quattro stadi:

1. stadio senso motorio (dalla nascita ai 2 anni circa)

il bambino in questa fase inizia ad agire e sperimentare attraverso il suo

corpo l’ambiente circostante. Il bambino apprende toccando gli oggetti,

manipolandoli, esplorando fisicamente l’ambiente. Compie operazioni

dirette sulla realtà e attraverso di esse arriva a costruire alcuni semplici

schemi legati ad oggetti, allo spazio in cui vive, ecc.

2. stadio pre-operatorio (dai 2 ai-7 anni circa)

in questo stadio inizia a strutturarsi la funzione simbolica. Iniziano a

svilupparsi il linguaggio (il bambino diventa capace di usare le parole per

rappresentare oggetti e immagini in modo simbolico), il pensiero e le

prime rappresentazioni della realtà. In questo stadio si ha la ricostruzione

di tutto quello che è stato sviluppato a livello sensomotorio. Questo è lo

stadio del pensiero intuitivo, il bambino sa produrre immagini mentali, e

indica come attività caratteristiche che lo accompagnano il gioco

simbolico (uso uno scatolone come se fosse…), l’imitazione differita

(compiuta un po’ di tempo dopo che il modello è stato osservato) e il

linguaggio verbale (le parole servono per evocare realtà non presenti). In

questa fase il bambino viene definito egocentrico, tale termine non viene

usato da Piaget con un’accezione negativa ma come la tendenza a

13

interpretare il mondo esclusivamente nei termini del proprio punto di

vista. Il bambino non capisce che gli altri vedono gli oggetti in una

prospettiva diversa dalla sua.

3. stadio delle operazioni concrete (7-11 anni)

mi sembra giusto dedicare ampio spazio all’analisi di tale fase poiché il

progetto di didattica della fisica è stato da me condotto con bambini di

10-11 anni. Durante questo stadio di sviluppo, il bambino si impadronisce

delle nozioni astratte e logiche. Questa fase è particolarmente importante

da considerare nell’insegnamento scientifico e matematico. Il bambino è

in grado di compiere operazioni matematiche quali moltiplicazione,

divisione, sottrazione e somma. Durante tale periodo i bambini diventano

meno egocentrici: cominciano a decentrarsi, cioè ad uscire dalla visione

rigida della realtà propria del periodo precedente. La capacità di

decentrarsi si esprime anche nei giochi di gruppo, frequenti a questa età.

Il pensiero si caratterizza in questa fase con la reversibilità: questa

importante abilità consente di annullare una operazione mentalmente e

di compensarla con una seconda operazione, uguale e contraria. A tal

proposito per capire meglio posso citare un esperimento: per riconoscere

che il contenuto di due bottiglie di diversa forma (una stretta e alta e

l’altra larga e bassa), riempite entrambe con la medesima quantità

d’acqua, rimane lo stesso, occorre ripercorrere all’inverso il cammino: dai

due differenti livelli alla medesima quantità d’acqua con le quali sono

state riempite. Solo facendo questo cammino inverso è possibile capire

che le due bottiglie contengono la stessa quantità di liquido. La

reversibilità del pensiero può essere sia spaziale che temporale.

Classificare, scomporre il tutto in parti, sistemare una serie di oggetti

secondo altri valori, sono operazioni che si basano sulla possibilità di

trasformare il reale in sistemi coerenti e reversibili. Disporre una fila di

palline in ordine di grandezza, smontare e rimontare un oggetto sono

tutte operazioni possibili da questo stadio in poi.

14

4. stadio delle operazioni formali o ipotetiche deduttive (11- 15 anni)

In questo stadio il soggetto è in grado di ragionare su ipotesi e non solo

su oggetti, costruire nuove operazioni di logica delle classi e delle

relazioni, padroneggiando il pensiero astratto. Il pensiero diventa

totalmente indipendente dall’esperienza diretta: mentre nel periodo

precedente il bambino messo di fronte ad un problema era costretto a

compiere un certo numero di trasformazioni e cercava la conferma

nell’esperienza diretta, adesso si prescinde dalla realtà e opera per

ipotesi, prevede ecc.

1.1 La formazione dei concetti scientifici secondo Piaget

“Che cosa accade nella testa dei bambini o dei ragazzi quando cercano

di capire li mondo?, come arrivano a formarsi delle idee o dei concetti? quali

meccanismi entrano in funzione e secondo quali itinerari ciò avviene?”3 Piaget

(come molti altri del resto) vede nel rapporto mondo-bambino una grande

attività mentale di quest'ultimo come denota anche la suddivisione in stadi e le

caratteristiche che li differenziano. Egli dice che fino dai primi contatti di tipo

puramente percettivo, il bambino va formandosi schemi o strutture.

Quando, si trova di fronte nuovi “oggetti” il bambino ha due possibilità:

questi oggetti non si oppongono agli schemi che già lui possiede oppure se

questo avviene, il bambino accomoda i vecchi schemi secondo i nuovi “oggetti”

che ha incontrato. Il bambino ha la capacità di trasformare i propri schemi in

funzione dei nuovi incontri: è artefice della propria conoscenza e intelligenza.

Tra i fattori che intervengono sullo sviluppo cognitivo per Piaget, ho scelto

quelli più significativi secondo il mio progetto:

3C.G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000. pag. 46

15

- la maturazione e la crescita organica: lo sviluppo naturale è determinato

da fattori biologici che ne costituiscono la condizione preliminare e

necessaria.

- L’esercizio o l’esperienza: l’esperienza è necessaria ma non sufficiente

dice Piaget. Egli distingue due tipi di esperienza: una fisica e l’altra

logico-matematica. Con la prima i bambini riescono a distinguere le

proprietà degli oggetti, a classificarli, a metterli in relazione sempre però

nel rispetto delle operazioni concrete. Quando questa fase viene

superata il bambino che ha undici anni, è in grado di lavorare non più

soltanto con oggetti concreti ma anche con le preposizioni., in modo

molto più astratto e ipotetico (è l’esperienza logico-matematica).

2. La teoria storico-culturale di Vygotskij

Il contributo di Vygotskij (1896-1934) è stato generalmente contrapposto

a quello di Piaget; le ragioni vanno ricercate nel loro modo antitetico di spiegare

lo sviluppo umano: mentre Piaget fa riferimento ad una forte influenza genetico-

biologica, Vygotskij dà importanza al contesto sociale e culturale.

Rispetto alla concezione di sviluppo di Piaget, Vygotskij critica in

particolare (Vigotskij dedicò un capitolo del libro Pensiero e linguaggio alla

critica delle ricerche piagettiane) il fatto che lo sviluppo del pensiero del

bambino è considerato come un processo scollegato totalmente da ciò che può

essere appreso dagli adulti, dagli insegnanti, ecc.

Secondo Piaget e collaboratori, la capacità di ragionamento e

l’intelligenza del bambino, le sue idee su ciò che lo circonda, le sue

interpretazioni sulle cause fisiche, la sua padronanza delle forme logiche sono

considerate come processi autonomi che non vengono influenzati in alcun

modo dall’apprendimento scientifico. Solo se lo sviluppo è ad un determinato

livello allora c’è un certo tipo di apprendimento: l’apprendimento quindi segue lo

sviluppo. Vygotskij ammette che l’apprendimento comincia molto prima rispetto

16

a quello scolastico; perciò il bambino quando entra a scuola può trovare

continuità con quello che ha imparato oppure discontinuità (vedere parte sulla

conoscenza di senso comune). Per far sì che l’apprendimento scolastico diventi

significativo e produca quindi effetti positivi, sarebbe allora necessario utilizzare

un concetto importante della teoria di Vygotskij: l’area di sviluppo prossimale.

Con essa si indica la differenza tra il livello di sviluppo di un individuo in un dato

momento e il suo livello potenziale non ancora espresso. Questo concetto può

essere così inteso: corrisponde ad esempio alla differenza tra il livello dei

compiti che il bambino è in grado di svolgere autonomamente e il livello di

compiti eseguibili con l’aiuto degli adulti. Il bambino lavorando con gli altri riesce

a fare cose che da solo altrimenti non sarebbe capace di fare. In una classe ci

sono allora tante aree di sviluppo prossimale, le une diverse dalle altre. Il

contesto familiare e quello scolastico hanno il compito di fornire al bambino i

cosiddetti artefatti cognitivi, cioè quegli strumenti che gli consentono di andare

al di là del proprio patrimonio genetico. L’autore dà enorme importanza

all’ambiente in cui è inserito un bambino perché determina il suo sviluppo.

Apprendimento e sviluppo sono dunque connessi ma tale connessione non è

assolutamente lineare. Si tratta di una dipendenza reciproca, dinamica e

complessa. Perciò muta l’idea tradizionale del rapporto tra apprendimento e

sviluppo: i due processi non coincidono e neppure l’apprendimento segue lo

sviluppo ma secondo Vygotskij avviene esattamente l’opposto il processo di

sviluppo segue quello di apprendimento. Diversamente dalla teoria di Piaget in

questo caso, un insegnamento fondato sul rispetto degli stadi di sviluppo di un

bambino non porta assolutamente a nessun miglioramento, a nessun

apprendimento nuovo e quindi di conseguenza a nessun sviluppo.

2.1. La formazione dei concetti scientifici secondo Vygotskij

“Anche per Vygotskij vi è una differenza fra i concetti che il bambino si forma

nell'esperienza, quando la mente è lasciata libera di agire come vuole e i

17

concetti che assimila a scuola quando impartiamo nozioni sistematiche al

bambino, gli insegniamo molte cose ch'egli non può vedere o sperimentare

direttamente” 4. Fra i concetti che il bambino apprende, di particolare

importanza sono, per Vygotskij, quelli scientifici. “I concetti scientifici, con il loro

sistema gerarchico di interrelazioni, sembrano essere il mezzo nel quale la

consapevolezza e la padronanza si sviluppano per primi, per trasferirsi più tardi

in altri concetti e in altre aree di pensiero. La coscienza riflessiva arriva al

bambino attraverso i concetti scientifici”5. Secondo Vygotskij, i concetti

spontanei e quelli scientifici si sviluppano a partire da direzioni opposte per poi

incontrarsi: i concetti spontanei, che hanno origine nell'esperienza, sono spesso

inconsapevoli, cioè il bambino può possedere un concetto ma non averne

coscienza; i concetti scientifici invece, in generale, vengono introdotti con una

definizione verbale e attraverso operazioni non spontanee. Ma lo stretto legame

fra i due tipi di concetti viene ancor più messo in evidenza quando egli afferma

che un concetto scientifico non può essere appreso se il concetto spontaneo

corrispondente non si è evoluto, con queste parole egli vuol dire che il concetto

quotidiano apre la strada a quello scientifico. Alla formazione dei concetti

secondo Vygotskij si arriva dopo essere passati da tre fasi fondamentali:

- la fase del "mucchio", quando il bambino mette in relazione a una parola,

un insieme di oggetti senza seguire alcun criterio

- Il modo di pensare per "complessi", quando un bambino riunisce oggetti

sulla base di effettivi rapporti fra di essi. Determinante in questa fase è il

ruolo dell’adulto: di questa categoria infatti fanno parte gli pseudo

concetti che il bambino acquisisce non dall’esperienza spontanea ma

dagli adulti che usano le parole e il bambino le impara.

- La terza fase è quella della formazione dei concetti veri e propri compare

necessariamente solo dopo che si è svolto per intero il modo di pensare

per complessi.

4 G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000. p. 47 5 L. S. VYGOTSKIJ, Pensiero e linguaggio,. trad. it.., Giunti, Firenze 1954, p. 111

18

Dalle indagini dì Vygotskij risulta anche che molto spesso gli adolescenti,

sebbene siano in grado di formare concetti e operare con essi in una situazione

concreta, riescono con difficoltà a definirli e anche, una volta afferrato e

formulato il concetto a livello astratto, difficilmente riescono ad applicarlo a

situazioni concrete nuove, diverse da quelle originali. In tutto il processo di

concettualizzazione un ruolo estremamente importante è svolto dal linguaggio:

le operazioni intellettuali sono guidate dall'uso di parole che servono per

centrare l'attenzione, per astrarre certi tratti e simbolizzarli per mezzo di un

segno. Quindi è importante, in ambito scientifico puntualizzare molto sulle

parole specifiche per far acquisire i concetti sottostanti.

A tal proposito esiste una forte contrapposizione tra la teoria di Vygotskij

e quella di Piaget. Piaget sostiene che nel bambino il pensiero precede lo

sviluppo del linguaggio, inizialmente subordinato al pensiero e di tipo

egocentrico diventa solo dopo comunicativo e quindi sociale. Vygotskij invece si

oppone a questa teoria poiché afferma che la funzione primaria del linguaggio è

la comunicazione: il primissimo linguaggio che compare nel bambino è quello

sociale cioè frutto dell’interazione del bambino soprattutto con i genitori. Per

Vygotskij il pensiero è successivo al linguaggio poiché è il linguaggio che

determina il pensiero.

3. L’attivismo di Dewey

Gran parte della storia dell’Attivismo è sicuramente sotto il segno di

Dewey. Con il termine attivismo vengono racchiuse le esperienze delle scuole

nuove6, che vedono l’educazione non “come trasmissione di un sapere

oggettivo, ma come la formazione della personalità autonoma.”7 La critica alla

scuola tradizionale e l’idea di un’educazione centrata sull’alunno sono i pilastri

6 Termine usato e coniato per la prima volta da Pierre Bovet, direttore dell’istituto Rousseau nel 1917 7 U. AVALLE, Cultura pedagogica, Paravia, Torino 1997, p. 395

19

dell’Attivismo e del movimento delle scuole nuove. Ferriere8 individua le scuole

nuove come autentici laboratori di pedagogia pratica, strutturati come collegi

situati in campagna ma dotati di un’atmosfera familiare. In essi il lavoro

manuale si accompagna all’attenzione per l’educazione fisica e quindi alla vita

all’aria aperta. L’educazione deve basarsi sia sulla cultura generale sia sulla

specializzazione, fondarsi sull’interesse e sull’esperienza (vedi capitolo

successivo) e sull’attività personale. Se si ha come scopo la formazione

dell’uomo e del cittadino bisogna presupporre un’educazione che si basi sulla

considerazione psico-pedagogica dello sviluppo del bambino.

3.1. Il ruolo e il significato dell’educazione

L’educazione è secondo Dewey ricostruzione e riorganizzazione

continua dell’esperienza, allo stesso tempo personale e sociale.

In Il mio credo pedagogico (1987) Dewey sintetizza in cinque punti i fondamenti

della sua convinzione pedagogica:

- l'istruzione è frutto della partecipazione progressiva dell'individuo al

patrimonio comune del genere umano:

- l'istruzione è un processo sociale e la scuola il fulcro di questo processo,

quindi è inerente alla vita e non preparatoria ad essa;

- il centro dei programmi di insegnamento è l'insieme delle attività del

bambino nel quadro sociale;

- il concetto che deve guidare l’insegnamento è l’attività del fanciullo:

- l'istruzione è il fondamento del progresso sociale e politico.

La riflessione sulla didattica attraversa tutta l’opera di Dewey, a partire

dall’esperienza di Chicago per poi articolarsi attraverso vari scritti. Proprio la

scuola di Chicago è uno dei primi esempi di scuola attiva. La scuola qui è

connessa all’università per quella continuità tanto sostenuta da Dewey che

8 È ad opera di Adolphe Ferriere che viene fatto il primo tentativo di unificazione delle scuole nuove con la fondazione a Ginevra dell’Ufficio internazionale delle scuole nuove

20

vedeva teoria a pratica procedere parallelamente. Dewey si preoccupa di

articolare la scuola in livelli corrispondenti agli stadi di sviluppo psicologico del

bambino: dopo la scuola dell’infanzia il bambino frequenta la scuola primaria

dove il laboratorio è il metodo di lavoro più usato: gli allievi sono impegnati in

una pluralità di attività, come falegnameria, cucina, tessitura, attorno alle quali si

costruiscono le conoscenze linguistiche, geografiche, scientifiche…

3.2. Le indagini personali sul mondo

Nel testo “Logica, teoria dell’indagine” Dewey ci illustra il suo modo di

vedere il processo che sta alla base dell’esplorazione del mondo e dei problemi

che esso ci mette di fronte. Questo metodo assomiglia molto al metodo

sperimentale usato nelle scienze. L'attività rivolta alla conoscenza riguarda

l'uomo durante tutta la sua vita. “L'esistenza di indagini non è cosa che si possa

mettere in dubbio. Esse entrano in ogni ambito della vita e in ciascun aspetto di

ogni ambito. Gli uomini compiono delle disamine nella vita di ogni giorno; essi

rimuginano le cose intellettualmente: essi inferiscono e giudicano altrettanto

"naturalmente" come essi mietono e seminano, producono e scambiano

servizi”9 .

Questo lavoro intellettuale non è tipico dell'uomo adulto ma dell'uomo in

quanto tale. Anche i bambini compiono indagini, sebbene queste possano

risultare diverse da quelle degli adulti o degli scienziati. Si parte con una

situazione problematica: verrà fatto un lavoro di analisi da tale problema e da

qui si articoleranno le varie fasi:

- Situazione problematica: è una situazione confusa, non chiara. Il

bambino o l’adulto sente l’esigenza, ha un bisogno, una curiosità per fare

chiarezza

- Definizione del problema

9 J. DEWEY, Logica, teoria dell’indagine, Einaudi, Torino 1949, p.135

21

- Prima assunzione di informazioni. È anche il semplice guardarsi intorno

e recuperare dati dalla propria memoria

- Suggestioni: sono le idee che saltano alla mente, che si affacciano

spontaneamente

- Osservazione attenta e ricerca di informazioni: sono le osservazioni e

ricerche più mirate che mettono alla prova le suggestioni

- Idea-anticipazione-previsione-ipotesi: è la formulazione di un’ipotesi che

serva per risolvere il problema

- Verifica si controlla la veridicità dell’idea guida elaborata

Seguendo questa teoria dell'indagine, molti sono i motivi di riflessione per chi si

occupa di educazione scientifica: “C'è, intanto, un punto cruciale sul quale

conviene soffermarsi. Dewey stesso mette sull'avviso perché si distinguano i

falsi problemi, cioè quelli che non nascono da situazioni reali ma vengono

imposti o sono autoimposti. In entrambi i casi l'indagine può anche risolversi in

un lavoro diligente ma risulterà sterile e, avrà l'apparenza ma non la sostanza di

un'indagine scientifica”10 .

Pensando alla scuola e alla vita che i bambini vi trascorrono, viene da

chiedersi se e quando essi sono messi in condizioni di porsi dei problemi veri e

di perseguire le loro soluzioni. Indagare sul mondo e quindi incontrare problemi,

entrare in rapporto con esso, per cercare di capirlo è un’attività che i bimbi

fanno fino a quando possono. L'atteggiamento dei bambini, secondo Dewey è

molto vicino, all'atteggiamento dello spirito scientifico. Secondo me, nella scuola

difficilmente i bambini trovano stimoli o sostegni in modo da affinare e

sviluppare le loro capacità di indagine. Se le occasioni in cui mettere in pratica il

metodo, non ci sono, è del tutto illusorio ipotizzare che i bambini imparino a

pensare semplicemente perché gli viene chiesto o perché "spieghiamo" loro

come dovrebbero fare.

Dare rilievo al momento dell'esperienza diretta è significativo, non implica

che l'indagine debba rimanere al livello del fare, cioè a livelli pratici; può, anzi

10 G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000. p. 36

22

deve, secondo Dewey, svilupparsi in una ricerca teorica, cioè di ripensamento

dell'attività pratica stessa, di ampliamento e approfondimento delle conoscenze

che a essa sono connesse. Il rapporto fra teoria e pratica è uno dei temi

ricorrenti in Dewey ed è anche uno dei problemi che la nostra scuola secondo

la Hoffman non ha saputo risolvere.

4. Due modelli a confronto: il modello di Hawkins11 e quello di Guilford

“Oggi a me sembra che il problema del posto della scienza

nell’educazione abbia un’importanza particolare”, diceva Hawkins nel libro

Imparare a vedere.

I motivi per cui si potrebbe sostenere la validità di un'affermazione come questa

sono molti ma può essere interessante accennare almeno a uno di essi, preso

in esame dall'autore della frase citata. Educare alla scienza è visto dall’autore

come l’unica via per rendere le persone più critiche e partecipi ai processi del

pensiero. Secondo Hawkins, se pensiamo a ciò che accade nella scuola ci

rendiamo conto che raramente viene richiesta una partecipazione al processo

di apprendimento da parte degli studenti. Come già Dewey, egli ritiene

assolutamente importante che l’educazione alla scienza inizi con e

dall’esperienza diretta, concreta e significativa. A partire da questa convinzione

di base Hawkins elabora una sua proposta, un suo modello di intervento nella

scuola che egli stesso con i suoi collaboratori, ha sperimentato e messo a punto

in anni di ricerca.

Il modello si articola in tre fasi non assolutamente ordinate ma che possono

evolversi dall'una all'altra secondo strade diverse. Esse si distinguono per il tipo

di rapporti che si introducono tra bambini, materiali e insegnanti. Le tre fasi

sono contraddistinte da tre simboli, proprio per non dare a esse un ordine di

successione.

11 David Ramon Hawkins è nato nel 1927 ed è uno psichiatra americano

23

- La fase del tondo o del pasticciamento: è il momento dell'esplorazione

libera. Apparentemente può sembrare un momento destrutturato che può

portare al caos: Hawkins stesso chiarisce l'equivoco: le cose da dare ai

bambini vengono accuratamente pensate e predisposte dall’adulto in

relazione a un'ipotesi di lavoro, a dei contenuti di esperienza specifici;

anche l'ambiente, le condizioni di lavoro sono pensate e predisposte in

modo che le cose possano funzionare. In secondo luogo, l'adulto è una

presenza importante, così viene descritto dallo stesso autore “II nostro

ruolo fu semplicemente quello di andare qua e là, su e in giù, rendendoci

utili senza mai suggerire”12. Si tratta di una presenza adulta disponibile,

interessata attenta ma non invasiva o direttiva. Questo momento è molto

prezioso per entrambe le parti: per i docenti che hanno modo di

conoscere i bambini e i bambini dall’altra parte portano a scuola tutto

quello che hanno imparato. Vengono predisposti ambienti, materiali

tempi in base all’interesse del bambino. In un certo senso tale situazione

può essere definita non strutturata il che non è sinonimo di caotica. Il

caos e la confusione non stimolano il fare scoperte. Certamente

introdurre nella scuola una modalità del genere che permette ai bambini

di seguire percorsi propri significa elogiare le diversità e i diversi risultati

a cui ognuno può arrivare.

- La seconda fase è quella del lavoro multi-programmato. Secondo

Hawkins, in questa fase i bambini lavorano individualmente usando degli

schedari, comunque un materiale cartaceo su cui rielaborare le

esperienze del pasticciamento senza tempi e scadenze

- Un'ulteriore fase è quella del dibattito in classe. Questo momento può

comprendere anche la spiegazione verbale da parte dell'insegnante. È il

momento in cui si affrontano problemi teorici. Essi nascono

essenzialmente dalla discussione, dall'argomentazione, dallo scambio

tra bambini e insegnante. Anche Hawkins, pur riconoscendo l'importanza

12 D. HAWKINS, Imparare a vedere, Loescher, Torino, 1979, p. 87

24

fondamentale dell'esperienza concreta e dell'indagine diretta, ammette la

necessità di una teorizzazione finale.

Questo approccio mi è stato particolarmente utile nella realizzazione del mio

intervento nelle classi poiché in linea generale credo di aver rispettato

abbastanza l’idea dell’autore sull’insegnamento delle scienze. In particolare è la

fase del pasticciamento che secondo me manca di più nella scuola mentre

abbondano schede da completare e insegnanti che non smettono mai di

parlare. Ho cercato quindi di dare molta importanza alla fase dell’esperienza

curando particolarmente la partecipazione di tutti i bambini.

Mi sembra opportuno inserire anche un altro modello ovvero quello di

Guilford, perché mi ha aiutato nella fase di programmazione del progetto che ho

realizzato. Questo modello si basa essenzialmente su quattro proposizioni che

sottintendono quattro concetti importanti. Nell’insegnamento delle scienze esso

può risultare essere molto utile sul piano proprio della progettazione perché

secondo Guilford bisogna tener presente:

- Conoscenza e memoria: è la fase in cui il docente indaga sulle

conoscenze, i pre-requisiti, perché il nuovo sapere non sia astratto

rispetto al bagaglio già posseduto dagli allievi. Si deve far emergere

quello che i bambini già sanno poiché le nuove conoscenze si

acquistano solo se sono ben raccordate con le precedenti. Da

notare come questo elemento sia presente e molto sentito in tanti

autori. I pre-requisiti sono il punto dal quale partire.

- Pensiero divergente: in questa seconda fase è indispensabile

stimolare la scoperta di nuovi modi per risolvere problemi e far

esplorare nuove realtà attraverso anche l’uso del linguaggio quindi

di nuove parole, nuovi modi di descrivere, di fare esperienze.

Secondo Guilford il pensiero divergente è misurato da 3 indici:

- Fluidità: parametro quantitativo basato sull'abbondanza

delle idee prodotte

25

- Flessibilità: capacità di cambiare strategia ed elasticità nel

passare da un compito ad un altro che richiede un diverso

approccio

- Originalità: capacità di formulare soluzioni uniche e

personali che si discostano dalla maggioranza

- Pensiero convergente: si racchiudono in questa categoria i momenti

di analisi, di sistematizzazione delle conoscenze, di misura, di

esecuzione delle operazioni matematiche. Si sviluppano quindi

abilità operative logiche ed espressive; è il pensiero logico e

razionale. Consiste in un procedimento sequenziale e deduttivo,

nell'applicazione meccanica di regole apprese, nell'analisi metodica

di dati. Si adatta a problemi chiusi che prevedono un'unica

soluzione. È il pensiero che in larga predominanza viene sollecitato

dalla scuola.

- Pensiero critico: confronto tra ciò che si sa, con ciò che si sapeva.

Rappresenta il momento della riflessione su aspetti cruciali.

5. Un progetto straniero per l’innovazione dell’insegnamento scientifico: Karpuls e lo SCIS

Robert Karplus fondò il progetto SCIS (Science Curriculum Improvement

Study) negli anni ’60 negli USA. Il programma modificò profondamente la

direzione dell’insegnamento delle scienze negli anni ’70. Infatti, prima di allora,

nessun altro programma aveva focalizzato l’attenzione sul fare, risolvere

problemi sperimentali, nel portare oggetti, materiali e organismi viventi nelle

classi. E nessun altro programma educativo era riuscito prima a porre l’accento

sui processi della scienza, quali l’osservare, il misurare, il raccogliere dati,

analizzare le informazioni, interpretare fenomeni e valutare le diverse situazioni.

Gli studenti coinvolti nel programma, con entusiasmo e interesse, raggiunsero

anche obiettivi non del versante scientifico, come il potenziamento delle abilità

26

linguistiche e di comunicazione. Infatti Karplus e altri autori inventarono attività

che ruotavano intorno a pochi concetti che diventavano automaticamente

strumenti linguistici fondamentali e favorivano l’interazione tra bambini e

insegnanti. Ma l’obiettivo principale dello SCIS era l’alfabetizzazione scientifica,

intesa come il potenziamento di un insieme di atteggiamenti, concetti e

conoscenze procedurali che sono naturalmente presenti nel bambino e lo

rendono simile allo scienziato. Secondo tale concezione che condivido, nel

bambino sono infatti spontanee la curiosità verso ogni elemento dell’ambiente e

la tendenza a manipolare e organizzare tali elementi. La tendenza a garantire

un approfondimento delle tematiche disciplinari migliore di quello dei

preesistenti programmi, anche in questa organizzazione non contenutistica, è

sfociata nella produzione di un materiale ingente (più di mille pagine di schede,

consigli sull’uso dei materiali e suggerimenti operativi), non facilmente gestibile

dagli insegnanti. Nel nostro Paese non ha avuto molta diffusione ma

rappresenta un modello di intervento che ha molte affinità con quanto, ancora

oggi, viene suggerito da esperti e studiosi che si occupano di rinnovamento

dell'educazione scientifica nella scuola di base.

Per le discipline considerate (fisica e biologia) vengono individuati i concetti

che si ritengono fondamentali: quelle idee chiave che possono aiutare gli

studenti a orientarsi meglio nello studio e nella comprensione delle discipline in

oggetto. Quindi, vengono individuate delle esperienze significative adatte alle

diverse età e definite le procedure di intervento che si attuano sempre

attraverso tre momenti:

- Esplorazione: I bambini sono immersi in un contesto con dei materiali

appositamente scelti per favorire l’esplorazione spontanea, senza guida

né istruzioni precise. Il bambino prende confidenza con i nuovi materiali,

e tutti gli utilizzi di tale materiale offrono spunti per nuove idee. L’insieme

delle idee emerse costituisce il background per l’introduzione di nuovi

concetti. Durante l’attività di esplorazione si possono fare domande o

commenti per incoraggiare un ulteriore coinvolgimento nell’attività

stessa.

27

- Invenzione: l’apprendimento spontaneo è limitato dai preconcetti. Quindi

sarà l’insegnante a formulare i nuovi termini e concetti utili a interpretare

le osservazioni. In modo chiaro ed esplicito, ripetendo più volte i termini

appropriati proprio all’apparire del concetto. Quindi si incoraggiano gli

allievi a fare altri esempi che illustrino la nuova idea. Attraverso gli

esempi forniti dagli allievi l’insegnante capirà il livello di comprensione

dei concetti. Occorre tenere in mente che “l’invenzione” è solo l’inizio di

un processo esperienziale per il bambino. La conoscenza, la

comprensione e l’eventuale capacità di applicazione del concetto nella

vita di tutti i giorni deriveranno dall’esperienza che i bambini faranno

durante e dopo le attività di scoperta. Quindi si introducono nuovi

concetti per la soluzione dei nuovi problemi. Nel caso in cui il bambino

non riesce ad inventare, sarà l’insegnante che fornirà i concetti

necessari.

- Scoperta: è l’attività in cui il bambino trova una nuova applicazione del

concetto attraverso l’esperienza. Le attività di “scoperta” rafforzano il

concetto originario ed estendono il suo significato. Tali attività possono

essere progettate o essere già bagaglio dell’esperienza quotidiana dei

bambini. La padronanza dei concetti si conquista attraverso la pratica e

l’applicazione ripetuta dei concetti. Il processo ha natura ciclica perché

l’attività di scoperta permette sia di introdurre i concetti “inventati”

precedentemente, sia di iniziare a esplorare nuovi concetti.

Questo programma è veicolato e sostenuto da materiali predisposti sia per gli

insegnanti che per gli allievi: tali materiali guidano passo passo, lo svolgimento

delle attività in modo tale che vengano presentati i concetti chiave previsti, in un

determinato momento e ordine. La notevole strutturazione del progetto e la

preoccupazione esplicita di non fare troppo affidamento sulle capacità degli

insegnanti per la sua riuscita pedagogica, hanno portato a trascurare l’aspetto

creativo non solo dell’apprendimento ma anche dell’insegnamento.

28

Nonostante la bontà del progetto, e nonostante l’avvenuta commercializzazione

del materiale, lo SCIS è attualmente abbandonato, e le diverse ragioni del

fallimento possono essere ricondotte alla prima della lista:

1. Eccessiva complessità del materiale;

2. Insufficiente presenza di formatori capaci di padroneggiare tutti i

contenuti scientifici;

3. Non accettazione da parte degli insegnanti della scuola primaria per

l’impossibilità pratica di comprendere e insegnare-utilizzare

autonomamente il materiale.

29

Secondo capitolo

IL RUOLO DELL’ESPERIENZA NELL’INSEGNAMENTO SCIENTIFICO

La spinta a conoscere è sempre stata la più alta aspirazione dell'uomo:

conoscere e capire le ragioni, il senso della propria vita e di tutto ciò che lo

circonda. Fin dai tempi remoti, conoscere e capire ha significato toccare,

esplorare, fare. I pensieri nascevano intorno alle cose e dalle cose.

Ben presto a un'esplorazione casuale è subentrato un modo più elaborato,

mirato e preciso di conoscenza: un modo che passava comunque attraverso

l’esperienza e il fare.

1. Il gioco come il fare esperienze: due modi per conoscere il mondo

Il considerare l’esperienza e il fare un punto importante nella pratica

scolastica dell’insegnamento, soprattutto delle scienze, mi ha suggerito un

collegamento. Attraverso l’esperienza noi impariamo a conoscere il mondo ma

anche il bambino piccolo ancor prima di frequentare la scuola e anche durante,

ha da parte sua uno strumento formidabile di conoscenza del mondo che lo

circonda: il gioco. Nell'infanzia, giocare con l'acqua, con la terra, con gli

elementi naturali è sempre stata l'occupazione più entusiasmante e più ricca di

tutti gli apprendimenti, per tutti i bambini del mondo. Un bambino che gioca con

materiale non strutturato sta esplorando e allargando il suo mondo fantastico,

ma sta anche sperimentando conoscenze, sull'incontro tra quel materiale e il

suo corpo, che forse lo influenzeranno per tutta la vita. Dice Borin che “dal

risultato di questo incontro e dalla possibilità di reiterare esperienze simili, o

ancora più articolate e complesse, nasceranno la sua cultura personale, la sua

visione del mondo, si formeranno la sua immagine corporea e la sua peculiare

modalità di percepire la realtà: da questo incontro con la materia avranno inizio

30

i suoi investimenti emotivi che legheranno parti del suo corpo ad aspetti della

realtà vissuta”13

2. “La teoria dell’esperienza” di Dewey

Dopo una lettura attenta dei Programmi del 1985, delle Indicazioni

Nazionali del 2003 e delle scelte effettuate dall’Istituto Comprensivo dove ho

svolto il mio progetto ho individuato tra i tanti obiettivi uno in particolare che mi

ha veramente colpito: nell’insegnamento scientifico si deve puntare

sull’esperienza. Questa parola, in quel momento iniziale della mia ricerca di

materiale e della fase di progettazione del percorso da realizzare, non mi diceva

molto perciò ho deciso di andare a vedere se esistevano alcuni testi o autori

che mi potevano aiutare. Mi sono imbattuta quindi in John Dewey che aveva

scritto un libro Esperienza e educazione14, proprio in merito al tema che mi ha

interessata.

Tutte le letture che ho fatto sull’argomento mi hanno veramente aperto

un nuovo orizzonte da cui guardare le scienze e l’insegnamento scientifico:

nella scuola primaria è indispensabile basarsi sull’esperienza come modalità di

approccio alla conoscenza. Dewey affronta nel testo Esperienza ed educazione

alcuni concetti chiave molto attuali che mi sono serviti soprattutto nella fase di

progettazione del percorso sul galleggiamento.

Questo breve saggio, a carattere filosofico, è stato pubblicato nel 1938 e

appartiene quindi all'ultima fase della produzione di Dewey. Non contiene idee

nuove, né dal punto di vista filosofico che pedagogico. È piuttosto la sintesi

matura del pensiero dell'autore sul tema generale dell'educazione e delle

"scuole nuove", di cui Dewey era stato attivo sostenitore nei decenni

precedenti.

13 P. BORIN, La mano e la mente, Carocci Faber, Roma 2005, p.31 14 J. DEWEY, Esperienza e educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1993

31

Nel testo si sostiene che le linee ispiratrici delle scuole nuove sono

corrette, ma sono necessarie modifiche nella realizzazione del programma. In

Esperienza ed educazione Dewey contrappone in modo netto il proprio

pensiero filosofico a quello dei "conservatori", che pensano ad un ritorno alla

tradizione precedente alle scuole nuove, ma non risparmia critiche alla gestione

di queste.

Dewey contrappone già fin dal primo capitolo un’educazione di tipo

tradizionale e un’educazione progressiva. Secondo l’autore fra le due

impostazioni esiste un divario abissale: le scuole tradizionali impongono

programmi e metodo di apprendimenti che "rimangono estranei alle capacità

effettive dell'alunno", propongono un sapere statico, codificato una volta per

tutte e staccato dall'esperienza, e questo nel contesto di una società in cui "il

cambiamento è la regola e non l'eccezione". Dewey ci esorta “richiamate

all’immaginazione un’aula scolastica consueta, i suoi orari, i suoi sistemi di

classificazione, di esame e di promozione, le regole disciplinari.. se poi

contrapponete a ciò quello che accade in famiglia, per esempio comprenderete

che cosa si intende affermare quando si osserva che la scuola è un tipo di

istituzione completamente diversa dalle altre organizzazioni sociali”. Dewey

riferendosi alla scuola tradizionale usa una parola che di per sé racchiude già il

suo significato: trasmettere. “La materia dell’educazione consta di corpi di

notizie e di abilità che sono stati elaborati in passato e quindi il compito della

scuola è trasmetterli alla nuova generazione”. Egli aggiunge che secondo tale

tradizione spetta ai libri in particolar modo, il compito di rappresentare il sapere

e la saggezza del passato e agli insegnanti il ruolo di mediatori tra questi e i

bambini. Dopo aver esposto in breve le caratteristiche della scuola tradizionale,

così come ho tentato di riportare, ci avverte dicendo: “non ho fatto questa breve

esposizione con lo scopo di criticare la filosofia che sta alla base di questa

educazione. Il sorgere di ciò che si suol chiamare nuova educazione e scuola

progressiva è di per sé un effetto del disagio che suscita l’educazione

tradizionale”. La causa secondo Dewey dell’”insuccesso” della scuola

tradizionale è da imputare all’imposizione dall’alto e dal di fuori di norme,

32

programmi e regole di adulti su dei bambini. Il distacco secondo l’autore è così

grande che il programma e i metodi di apprendere e di comportarsi, che si

esigono rimangono estranei alle capacità effettive dell’alunno. Ed è qui che

Dewey usa per la prima volta la parola esperienza dicendo che tutto ciò, accade

perché essi vanno al di là dell’esperienza che il bambino possiede.

Inevitabilmente questa impostazione impedisce una attiva partecipazione del

bambino a ciò che gli viene insegnato, imparare significa acquisire ciò che è

incorporato nei libri e nelle teste degli adulti. Le scuole nuove propongono una

alternativa a tale impostazione. Esse, al contrario, dedicano grande attenzione

alle effettive capacità degli allievi, tentando di svilupparne le potenzialità, e

propongono un sapere legato all'esperienza e da questa risalgono

dinamicamente alle teorie.

Ma il problema vero è un altro: definiti i principi-guida per la scuola del

futuro, il problema è tradurli in pratica in modo efficace. Ad esempio: la vecchia

scuola si basava su una certa idea di organizzazione, gerarchica, centrata

sull'autorità; la nuova scuola non dovrà respingere l'idea di organizzazione, ma

dovrà porre il problema di come si possa costruire una buona ed efficiente

organizzazione scolastica partendo non dal principio di autorità, ma dalla

concreta esperienza, perché è attraverso quest'ultima che si impara. Il principio

di fondo è infatti che "c'è un'intima e necessaria relazione fra il processo

dell'esperienza effettiva e l'educazione".

Questo primo capitolo pone dunque il problema che sarà affrontato in

tutto il saggio: non è sufficiente affermare il principio che l'educazione debba

essere legata all'esperienza, respingendo il principio di autorità fine a se stesso

al fine di una vera educazione alla libertà; infatti una educazione che dichiara di

essere fondata sull'idea di libertà può essere tanto dogmatica quanto qualsiasi

altra. Di libertà l’autore parla nel quinto capitolo: nelle scuole tradizionali la

libertà era negata poiché i bambini dovevano stare immobili ai banchi ed era

concesso muoversi solo a certi “dati segni” dell’insegnante. In un contesto del

genere vengono accentuati passività e ricettività. La libertà crea le condizioni

per un’attività basata sull’esperienza.

33

È soprattutto nel secondo capitolo che ho trovato un importante

riferimento per il mio progetto. In questo capitolo Dewey precisa perché è

indispensabile una teoria dell'esperienza. Rifiutare l’educazione tradizionale

pone nuovi orizzonti e nuove difficoltà. Un punto fermo nella nuova educazione

viene individuato nel legame indissolubile tra esperienza e educazione. Però

Dewey ci avverte anche di non incorrere in una banale convinzione: “credere

che ogni educazione autentica proviene dall’esperienza non significa già che

tutte le esperienze siano genuinamente o parimenti educative. Esperienza e

educazione non devono equivalersi, ci sono difatti delle esperienze

diseducative”. Quindi solo un certo tipo di esperienza consente l'educazione. La

tesi è che vi sono due tipi di esperienze: alcune favoriscono l'acquisizione di

nuove esperienze in futuro e altre limitano tale possibilità. Tra queste ultime

possono essere catalogate quelle esperienze che recano qualche beneficio

immediato tuttavia promuovono “negligenza”; e quelle sconnesse tra di loro.

L’educazione tradizionale offre secondo Dewey molti di questi tipi di esperienze:

“è un grande errore credere, anche tacitamente, che l’aula tradizionale non

fosse un luogo dove gli alunni facessero esperienze”. In molti credono questo

ma sbagliano opponendo all’antica, la nuova educazione progressiva. Il punto

da mettere in risalto è un altro: le esperienze che venivano fatte facevano parte

della seconda categoria ovvero delle esperienze negative. Dewey infatti ci pone

tra i tanti che fa, un interrogativo che particolarmente mi ha colpito: ”Quanti

hanno trovato ciò che imparavano così estraneo alle situazioni della vita del

mondo?”. Il guaio delle scuole tradizionali non è l’assenza di esperienze bensì

l’assenza di collegamento con quella ulteriore. In conclusione quindi non basta

insistere sulla necessità dell’esperienza, tutto dipende dalla qualità

dell’esperienza in cui i bambini sono coinvolti. Dewey caratterizza la qualità con

due aspetti: “da un lato può essere immediatamente gradevole o sgradevole,

dall’altro essa esercita la sua influenza sulle esperienze ulteriori”. Il primo

aspetto probabilmente è di più immediata verificabilità mentre l’effetto della

seconda non lo si può conoscere subito. Qui gioca un importante ruolo il

docente che deve calibrare le esperienze proposte per ottenere sia il consenso

34

e il coinvolgimento dei bambini sia un collegamento con ulteriori esperienze che

verranno e che faranno crescere il bambino. Infatti dice Dewey, che come

nessun uomo vive e muore per se stesso così nessuna esperienza vive e

muore per se stessa ma ha bisogno di un continuum che sia ovviamente

programmato. L’educazione progressiva infatti non è improvvisazione. Dewey

proponeva la sua teoria dell’esperienza per dare un nuovo indirizzo alle scuole

verso il rispetto e l’armonia dei principi di crescita del bambino.

Dewey attribuisce all’insegnante un ruolo chiave: una delle principali

responsabilità dell’educatore è che egli non solo deve essere attento “al

principio generale della formazione dell'esperienza mediante le condizioni

circostanti, ma che riconosca pure in concreto quali sono le condizioni che

facilitano le esperienze conducenti alla crescenza. Sopra tutto, egli dovrebbe

conoscere in che modo utilizzare la situazione circostante, fisica e sociale, per

estrarne tutti gli elementi che debbono contribuire a, promuovere esperienze dì

valore”. L’educazione tradizionale non aveva da affrontare questo problema;

poteva sottrarsi alla sua responsabilità. L’ambiente scolastico fatto di banchi, di

lavagne di un piccolo cortile pareva sufficiente. All’insegnante non veniva

chiesto di informarsi sul mondo che circondava i bambini, sulla vita fisica,

storica, economica… per utilizzarle a scopo educativo. Un sistema basato sul

nesso tra esperienza e educazione diceva Dewey deve invece prendere in

considerazione queste cose.

Qual è dunque la visione filosofica dell'esperienza che dobbiamo utilizzare

per la costruzione di un corretto concetto di educazione? Dobbiamo richiamare

tre principi:

- Principio di continuità. L'uomo attraverso l'esperienza crea abitudini, cioè

comportamenti che stabilmente gli consentono di interagire con il mondo.

In questo contesto "ogni esperienza fatta e subita modifica chi agisce e

subisce, e al tempo stesso questa modificazione influenza, lo vogliamo o

no, la qualità delle esperienze seguenti". Ne deriva il principio di

continuità: "Il principio di continuità dell'esperienza significa che ogni

esperienza riceve qualcosa da quelle che l'hanno preceduta e modifica

35

in qualche modo la qualità di quelle che seguiranno". C'è quindi sempre

una qualche forma di continuità nell'esperienza: si tratta di fare in modo

che l'influenza di ciascuna esperienza sulle successive sia positiva,

favorisca cioè l'acquisizione di nuove esperienze qualitativamente di

grado più elevato.

- Principio di crescita (nel testo viene utilizzata la parola crescenza,

secondo una traduzione di quasi cinquant'anni fa). L'educazione è ben

riuscita quando la continuità dell'esperienza consente una crescita

effettiva dell'uomo, in termini di capacità di acquisizione di nuove

esperienze, di una migliore capacità di interagire positivamente col

mondo, imparando continuamente dall'esperienza. "Per esempio, un

ragazzo che impara a parlare ha una nuova facilità e un nuovo desiderio.

Ma egli ha anche ampliato le condizioni esterne dell'imparare ulteriore.

Quando impara a leggere, gli s'apre ad un tempo un nuovo ambiente

intorno a sé".

Naturalmente i due principi possono entrare in rotta di collisione: è

perfettamente possibile che la crescita si blocchi a causa del fatto che la

continuità ha determinato abitudini che bloccano, piuttosto che favorire,

l'acquisizione di nuove esperienze.

Compito dell'educatore è fare in modo che questo non avvenga. E'

questa una sua responsabilità, e Dewey si dichiara quindi contrario ad ogni

spontaneismo pedagogico ed a favore di una organizzazione del lavoro che dia

luogo ad una corretta programmazione delle esperienze. Naturalmente quanto

detto sin qui vale anche per l'educatore: egli stesso deve continuamente

imparare dall'esperienza ed è in nome della sua superiore esperienza che è

capace di guidare i bambini nel rispetto della loro libertà. All'insegnante "spetta

la responsabilità di creare le condizioni per un genere di esperienza presente

che abbia un effetto favorevole sul futuro". Non va dimenticato il fatto che

l'educazione è sempre anche una trasmissione di esperienze tra le generazioni,

e che noi viviamo in un mondo che è stato profondamente modificato dagli

uomini che ci hanno preceduto. Dewey si dimostra quindi contrario ad una

36

educazione che dimentichi il passato, ma anche ad un'educazione rivolta a far

rivivere il passato (come spesso accade nelle scuole tradizionali); è invece

favorevole ad una educazione che, attraverso l'esperienza del presente,

permetta di intenderlo attraverso il passato, orientando il giovane verso il futuro.

A questo proposito va allora enunciato il terzo principio.

- Principio di interazione. Le condizioni dell'esperienza sono sempre due:

una condizione esterna (oggetto), che può essere posta sotto il controllo

dell'educatore in una situazione strutturata come quella scolastica, ed

una interna (soggetto), di cui l'educatore deve tenere conto e che è molto

più difficile non solo da controllare ma anche da conoscere. "Qualsiasi

esperienza normale è un gioco reciproco di queste due serie di

condizioni. Prese insieme, e nella loro interazione, costituiscono quella

che io chiamo situazione". Naturalmente questo significa che se le

condizioni del soggetto e quelle dell'oggetto non sono in accordo si

produce una esperienza non educativa. Può dipendere tanto dal

soggetto quanto dall'oggetto. Non si può quindi definire a priori una

didattica che non tenga conto dell'identità dei soggetti e della loro

esperienza precedente. La responsabilità dell'educatore è allora quella di

creare situazioni di apprendimento che rispettino i principi di continuità e

di crescita, legando insieme passato, presente e futuro. Coniugare

nell'esperienza il soggetto e l'oggetto.

Dewey conclude il suo libro dedicando l’ultimo capitolo alla questione delle

discipline di studio. Per Dewey le discipline sono ambiti in cui si organizzano le

esperienze. Devono quindi essere trattate sempre in modo da avere come base

l'esperienza quotidiana dei bambini. Il materiale per gli insegnamenti ci

suggerisce Dewey, è da trovare proprio qui. Questo però è solo il primo passo.

In un secondo momento infatti, ciò che è stato sperimentato deve assumere

una forma diversa ovvero avvicinarsi sempre più alla forma organizzata in cui la

materia del sapere si presenta. Inevitabilmente poi i nuovi apprendimenti

devono sempre collegarsi con quelli già consueti nell’esperienza infantile: è

essenziale che i nuovi oggetti o eventi siano “intellettualmente riferiti a quelli

37

delle esperienze passate ma che da queste poi si vada oltre… egli deve

considerare quello che è già acquisito non già come un possesso statico, ma

come un mezzo ed uno strumento per aprire nuovi campi, Ì quali esigono nuovi

sforzi dai poteri dell'osservazione e dall'intelligente uso della memoria”.

Siccome gli studi della scuola tradizionale consistevano in argomenti che

venivano scelti e ordinati sulla base del giudizio degli adulti circa ciò che

sarebbe stato utile per i giovani nel futuro, il materiale da studiare era stabilito

senza tener conto dell'attuale esperienza di vita di chi imparava.

La materia del sapere organizzato dall’adulto non può quindi costituire il

punto di partenza bensì potrà essere solo il punto di arrivo dopo un lavoro

basato sull’esperienza. Le materie devono essere poste in maniera

problematica perché "i problemi sono lo stimolo a pensare". Dewey prende

esempio dallo studio delle materie scientifiche, per le quali difende il metodo

sperimentale. “Che le condizioni trovate nell'esperienza presente debbano

essere adoperate come fonti di problemi è una caratteristica che differenzia

l'educazione basata nell'esperienza dall'educazione tradizionale. In quest'ultima

difatti i problemi erano posti dal di fuori. Tuttavia la crescenza dipende dalla

presenza di difficoltà da superare mediante l'esercizio dell'intelligenza”.

Ancora una volta, fa parte della responsabilità dell'educatore tener

presenti due condizioni allo stesso tempo: in primo luogo, che il problema nasca

dalle condizioni dell'esperienza presente e si contenga entro il raggio della

capacità degli alunni; in secondo luogo, che esso sia di tal natura da suscitare

nell'educando una richiesta attiva di informazioni e da stimolarlo a produrne

nuove. I nuovi fatti e le nuove idee che si ottengono in tal modo diventano la

base per ulteriori esperienze che danno origine a nuovi problemi. Questo

processo viene definito da Dewey una spirale senza fine.

Dewey conclude il libro dicendo che l’unico modo che la sua teoria

dell’esperienza applicata ha di fallire, è che venga utilizzata in modo sbagliato

dagli insegnanti.

38

3. Il laboratorio come luogo ideale in cui “usare” l’esperienza

“Se ci fosse un modo per poter lasciare a casa quei corpi invadenti e

rumorosi si guadagnerebbe senz'altro molto tempo e si risparmierebbero tante

energie”.15 È con queste parole che Borin lancia un messaggio a molti

insegnanti: in realtà che il bambino ci sia tutto, a scuola, non ha importanza;

quello che conta tutto sommato dal punto di vista di molti insegnanti, è che ci

sia la sua testa. Questo secondo l’autore è il pensiero, inconfessato e

inconfessabile, che sottende tanti metodi d’insegnamento in uso ancora oggi.

Quando di fatto, non si dà spazio alla possibilità di esplorazione e dì

espressione del corpo, è esattamente come se si affermasse il principio che il

corpo a scuola non ci deve stare. Quando la scuola offre un unico canale

ovvero quello che prevede l'ascolto, lo sguardo, l'attenzione del pensiero e

l'immobilità del corpo, significa che l'esperienza tattile e quella motoria

rimangono escluse dal percorso educativo. Sembra che ci sia interesse soltanto

per le teste dei bambini mentre per quanto riguarda tutta la parte esplorativa e

conoscitiva dei loro sensi gli viene chiesto di attendere il momento, previsto nel

programma, in cui verrà presa in considerazione l'educazione motoria. Magari

qualche uscita in giardino, qualche gita, qualche ora in palestra e qualche

attività alternativa danno un tocco di attivismo alle giornate trascorse in aula

impegnando i bambini in attività tutte di testa. Non si tiene in considerazione il

fatto che il bambino apprende in un altro modo: quando è coivolto

nell’apprendimento con tutto se stesso. Il bambino apprende quando gioca e si

misura con le cose e con gli altri; apprende quando manipola e sperimenta,

quando l’oggetto della programmazione scolastica non è solo la sua testa.

Purtroppo però molto spesso a scuola i sensi che più vengono attivati nei

bambini sono: la vista e l’udito. In particolare di quest'ultimo la scuola si avvale

moltissimo, è attraverso l’udito che il sapere viene trasmesso dalla voce

dell’insegnate. Una volta avviato, il processo di "scolarizzazione" sembra non

poter più tornare indietro. 15 P. BORIN, La mano e la mente, Carocci Faber, Roma, 2005, p.31

39

A questo punto quindi è inevitabile farci una domanda: che fine ha fatto,

dove è andato, quel bambino che era stato costruito geneticamente come una

macchina per apprendere attraverso l’esperienza? Come ci consigliava anche

Dewey nel testo precedentemente analizzato, proviamo a entrare in una scuola

presa a caso e osserviamo la disposizione delle cose. Dalla disposizione dei

banchi, dalla posizione della cattedra, dai cartelloni attaccati al muro, dal

materiale contenuto nell’aula siamo in grado di dedurre lo stile dì insegnamento,

il valore che l’insegnante dà alle diverse attività, il tipo di educazione che

persegue. La stanza ci parla e si racconta. Da pochi elementi si può capire la

libertà concessa ai bambini di usare l’aula come se fosse uno spazio proprio,

luogo di conoscenza e apprendimento. Si percepisce facilmente perciò se la

stanza è impostata e intesa come uno spazio laboratoriale. Non è da

sottovalutare l’importanza di avere a disposizione una stanza come laboratorio

dove si possa fa lavorare mani e corpo e mente. I bambini hanno la necessità di

scoprire il mondo tramite il contatto delle proprie mani, perché quell’esperienza

così diretta e ravvicinata è l'unica che può fissare realmente la conoscenza

delle cose.

II fare, nella scuola, dovrebbe avere per oggetto la maggior quantità

possibile di cose. Fare significa interpretare la scuola come un laboratorio

permanente, come un luogo in cui materiali e idee sono fortemente e

continuamente in relazione. Questo concetto è molto vicino al fare e pensare

proposto nei Programmi Ministeriali del 1985, questo collegamento è facilmente

realizzabile se si accettano attività di laboratorio come viene sostenuto nelle

Indicazioni Nazionali, purtroppo però la realtà scolastica spesso è un’altra.

Abbracciare questo metodo attivo non rivela soltanto la volontà del docente di

rendere piacevole l'apprendimento, di semplificarlo e renderlo più comprensibile

e diretto. “Nella scuola cosa accade?” È così che inizia un paragrafo del libro

“La mano e la mente” di Borin: il fare, la manualità, l’esperienza spesso nella

scuola non trovano il degno spazio che meriterebbero. Ad esempio lo spazio

dei laboratori (portatori di esperienza) nell'ambito educativo e formativo

rappresenta un’occasione che spesso non viene colta fino in fondo. “Quello

40

dell'esperienza laboratoriale è un terreno su cui malvolentieri si cimentano i

costruttori del pensiero pedagogico; è un terreno che, dopo il forte impulso

dell'attivismo, necessiterebbe di riflessioni”16. Secondo Borin l’uso del

laboratorio potrebbe essere la chiave di svolta: bisognerebbe iniziare a vedere il

laboratorio come punto centrale dell'apprendimento, la tecnica attraverso cui

coinvolgere e recuperare l’interesse del bambino. Purtroppo però si tende

ancora ad un modello trasmissivo della cultura che prescinde dall’esperienza

autonoma.

Il punto di partenza è sicuramente quello di chiarire una volta per tutte il

significato della pratica laboratoriale: “Anche laddove si parli di pratica dei

laboratori sarebbe interessante verificare, un po’ più da vicino, che cosa si

intenda effettivamente con questa espressione. Ho sentito più di una volta

definire laboratorio una situazione nella quale, semplicemente, si potevano

manipolare oggetti, strumenti o materiali, ma in un contesto di assoluta

dipendenza organizzativa e di pensiero dei bambini rispetto all’insegnante”17.

Aggiunge l’autore che se questo vuol dire fare laboratori allora nella scuola

italiana ne vengono fatti molti: se semplicemente mettere in mano un semplice

attrezzo, o materiale significa fare scuola attiva, si può dire che una buona

percentuale di insegnanti lo stanno già facendo.

Borin sostiene anche che il luogo prediletto in cui il laboratorio, come

forma di attività che consente la realizzazione dell’apprendimento tramite

l’esperienza, può realizzarsi è la scuola a tempo pieno: un tipo di scuola che

contiene in sé i presupposti di una formazione e di un apprendimento fondati

sulla costruzione del sapere in virtù dell’esperienza diretta. Costruire una

pedagogia basata sui laboratori però non vuol dire abbandonare i bambini a

loro stessi e a un’esplorazione caotica e inconcludente. Lavorare per laboratori

non significa neanche perdere tempo a elaborare e scoprire quello che i

bambini già hanno scoperto e quindi che già sanno. Il bambino si deve mettere

in gioco e per farlo servono attività che hanno una certa continuità, certi 16 P. BORIN, La mano e la mente, Carocci Faber, Roma, 2005, p.58 17 P. BORIN, La mano e la mente, Carocci Faber, Roma, 2005, p.59

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obiettivi, un certo metodo. Questa sicurezza può essere data soltanto dagli

insegnanti.

Borin aggiunge che dietro all’utilizzo errato delle attività laboratoriali ci

stanno alcune dimenticanze: “ci si dimentica del fatto che ciò che non viene

portato avanti con dedizione e convinzione è destinato ad essere imperfetto.

Forse ci si dimentica anche che l’esplorazione del mondo attraverso

l’esperienza tattile, incanalata in attività che ne facilitino lo svolgimento e la

comprensione, perde il suo significato se ridotto a un passatempo studiato per

rinforzare certi apprendimenti già proposti alla mente in una lezione frontale”18.

In questi casi ci si dimentica che ci rivolgiamo a bambini non lontani dall’età

nella quale ancora scoprivano il mondo giocando e attraverso il proprio corpo.

Come dice la Hoffman che dedica un intero libro alla didattica dei laboratori, è

“impossibile non rimanere affascinati per chi lavora nella scuola da quanto

diceva Dewey: egli vedeva l’introduzione dei laboratori nella scuola come

qualcosa che avrebbe potuto contribuire notevolmente a trasformare la scuola

della passività”19.

Per molte scuole il non avere un laboratorio di scienze rappresenta una

scusa per non trasformare niente nella didattica della disciplina e dall’altra parte

averlo non sempre è sinonimo di cambiamento. Spesso l’uso di laboratori

presenta delle difficoltà oggettive per le classi che ne devono usufruire. Ci sono

dei limiti di giorni, di orari, di organizzazione degli strumenti in un ambiente che

non è di una sola classe. Un grosso limite è proprio quest’ultimo: non è

possibile che ciascuna classe lasci in quell’ambiente le proprie tracce,

esperimenti in sospeso, appunti…

Se nella classe già si lavora secondo una didattica laboratoriale

improntata sul fare allora i bambini troveranno utile il luogo del laboratorio.

Accade spesso che nel laboratorio emergano capacità che in classe erano

rimaste nascoste perché in genere in laboratorio si va in gruppi, si manipolano

oggetti (anche se ciò non è sempre scontato). 18 Ibidem, p.61 19 G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000.

42

4. L’importanza dell’esperienza nell’insegnamento delle scienze

Dall'osservazione e registrazione di attività scientifiche svolte per circa

dieci anni dalla Hoffmann con bambini della scuola primaria e particolarmente

del primo ciclo (sei-otto anni), risulta che essi, se posti in situazioni in cui hanno

la possibilità e sono stimolati a fare esperienze, ragionare, riflettere in maniera

autonoma e confrontarsi liberamente, non chiedono tanto il perché delle cose

che accadono ma piuttosto desiderano mettere alla prova la realtà , “voglio

vedere cosa succede se…”. C'è, quindi, un momento o un modo di rapportarsi

al mondo che la Hoffman definisce esplorativo: è sicuramente presente nei

bambini dell'età scolare ma probabilmente lo si può ritrovare anche prima

(basta pensare ai diversi giochi dei bambini piccoli o a come trattano gli stessi

giocattoli) e, sicuramente, continua a essere presente anche a livello adulto.

“Un tempo molto più lungo di quello comunemente consentito dovrebbe essere

dedicato a un lavoro esplorativo, chiamatelo gioco se volete, ma io lo chiamo

lavoro, libero e non guidato. Ai bambini verranno dati materiali ed

equipaggiamenti, cose, ed essi avranno il permesso di costruire, provare,

sondare e sperimentare senza che vi si sovrappongano domande e istruzioni.

Questa fase la chiamo fase zero del Pasticciamento...” 20.

Quando, dove, come, con che cosa è consentito “pasticciare” ai bambini

nella scuola? I bambini hanno poche possibilità a riguardo. La scuola dovrebbe

permettere, anzi, direi favorire il pasticciamento, e non solo perché questo

contatto con la realtà fisica è il presupposto per ogni effettiva conoscenza delle

cose e dei fenomeni, ma anche perché attraverso questo gioco-lavoro di

esplorazione i! bambino porta nella scuola lutto ciò che ha già imparato, il suo

modo di guardare al mondo, le sue capacità.

E allora, quando, dove e con che cosa possono pasticciare i bambini dal

momento in cui mettono piede in un'istituzione scolastica? Di fatto, nella

maggior parte dei casi, la situazione della scuola italiana si presenta come

suggerisce anche la Hoffmann: 20 . HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000.

43

- difficilmente la realtà da esperire va al di là delle mura dell'aula o, nel

migliore dei casi, del cortile o del giardino;

- i materiali, le cose, messe a disposizione dei bambini consistono in

oggetti di cancelleria;

- l'acqua la si trova soltanto nei bagni e la si usa solo per lavarsi nei modi

e nei tempi stabiliti;

- la terra è vista come una insana occasione per sporcarsi;

- gli animali in classe non ci stanno

- arnesi quali forbici, chiodi, martelli ecc., sono visti quali occasioni inutili di

pericolo per i bambini;

- il fuoco... ma siamo matti!

- pile, calamite... a che servono?

- e potrei continuare.”

Il fare scienze in tali condizioni è pressoché impossibile: fortunatamente molte

cose dagli anni in cui scriveva la Hoffman sono cambiate. Essa sostiene che nel

tempo, per intere generazioni si è tramandato un approccio alla scienza di tipo

scolastico-libresco, dove certamente il fare esperienza non era considerato

molto necessario. Sui libri si trova scritto com'è fatto e come funziona il mondo.

Addirittura, nella scuola italiana passata, l’insegnamento delle scienze appariva

solo a partire dalla classe terza, cioè a partire dal momento in cui la scienza era

trattata nei sussidiari. Quale idea di scienza era nascosta dietro a questa

scelta? In questi ultimi anni si dice invece che l'educazione alla scienza deve

cominciare presto, fino dalla scuola dell'infanzia: che cosa è cambiato? Cosa

c’è dietro a questa scelta?

Si può pensare alla scienza in modi diversi dice la Hoffman e ce ne

suggerisce due che mi sembra hanno importanti ripercussioni sul piano della

didattica.

Come ho detto, c'è la scienza scritta sui libri. Possono essere manuali più o

meno complessi, adattati per bambini o per ragazzi ma, di fatto, essi sono

costruiti con il medesimo intento: “esporre i risultati ai quali la scienza è

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pervenuta e togliere, con gli esperimenti esemplari, ogni sorta di dubbio sulla

loro validità”21. Questa scienza, è la scienza codificata.

Ovviamente dal lato opposto del metodo libresco ci sta la scienza intesa come

esperienza: il bambino scopre e poi studia, il bambino prova per trarre delle

conclusioni, il bambino fa mentre pensa…

Già, il binomio fare-pensare sostenuto anche nei vecchi Programmi del

1985 dava molti spunti per un insegnamento volto all’esperienza: non è

possibile scindere le due cose.

Le posizioni degli insegnanti rispetto al fare vanno dall'estrema fiducia

nella capacità formativa alla completa svalutazione della stessa. Nel campo

dell'educazione scientifica, si va dal ritenere che basti far manipolare le cose ai

bambini perché essi si impadroniscano dì informazioni, alla posizione inversa,

per cui il fare e specialmente quello concreto e manipolativo, è visto solo come

una perdita di tempo e può essere utilmente sostituito dal parlare di o su le cose

che interessano. Anche nelle scuole dove si svolgono attività sperimentali, una

buona parte del lavoro scolastico relativo all'educazione scientifica si risolve nel

parlare di, sostiene l’autrice.

5. La ludoteca scientifica di Pisa: basare la fisica sull’esperienza

Come ho già detto, spesso nelle nostre scuole insegnare scienze

significa servirsi dei manuali, leggerli ad alta voce magari in classe.

L’insegnamento è soprattutto manualistico, poco sperimentale il più delle volte,

poco riflessivo in genere. La scienza e la fisica, a mio avviso andrebbero

vissute, ed è su questa idea che ho improntato il mio progetto: per capire

bisogna fare.

In particolare porto l’esempio della Ludoteca Scientifica di Pisa, non a

caso. Questa iniziativa che si ripete ogni anno, realizza a pieno la teoria 21 G. HOFFMANN, Fare scienze nella scuola di base, La nuova Italia Editrice, Scandicci (Fi), 2000, p. 62

45

dell’esperienza. Mi spiego meglio. I bambini seguiti da esperti possono

avvicinarsi alla fisica nel modo più naturale che esiste, attraverso l’esperimento.

Non a caso la parola esperimento ed esperienza hanno la solita radice iniziale.

Lo slogan della ludoteca è “se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio

capisco”. Si mette un bell’accento anche qui sul fare a testimonianza della

veridicità di ciò che ho sostenuto fino ad adesso. A questo punto mi viene

naturale sottolineare in particolar modo le parole usate che sottendono

importanti concetti: se un bambino ascolta solamente la percentuale che quello

che ha sentito venga dimenticato velocemente o neppure sentito. Come ho già

detto parlare sulle scienze e sulla fisica non è molto produttivo. Che cosa

bisogna fare allora? Il secondo verbo usato è vedere: si sale di uno scalino,

tramite il vedere qualche concetto rimane nella nostra mente ma è solo

attraverso il fare che possiamo, che i bambini in particolare, possono veramente

capire e quindi definitivamente apprendere. Ciò avviene nella Ludoteca, da

notare anche la scelta emblematica del nome e dell’accostamento con la parola

scientifica, in modo naturale attraverso il laboratorio su cui non mi dilungherò

ancora visto che ho dedicato un intero paragrafo al valore di tale pratica.

La Ludoteca scientifica è una collezione di giochi (ciò spiega il nome) e

strumenti creati per riprodurre gli esperimenti che hanno fatto la storia della

scienza e degli scienziati. Attraverso il divertimento e il gioco i bambini

imparano a conoscere e a comprendere la scienza. Ogni visitatore si cimento

negli esperimenti, tenta di dare delle spiegazioni e comprende in profondità

quanto utili e importanti siano il sapere scientifico e le sue implicazioni ed

applicazioni nella nostra vita quotidiana. “La strada che la LuS propone per

conoscere la scienza è ispirata direttamente alla lezione di uno dei più grandi

scienziati dell'umanità, Galileo Galilei: è sciocchezza cercar filosofia che ci

mostri la verità di un effetto meglio che l'esperienza e gli occhi nostri". I giochi

che grandi e piccoli incontrano sono stati ideati per stimolare il gusto dell'

osservazione e dell'immaginazione, il desiderio di capire, il piacere di cercare e

trovare delle risposte sulla base dell'esperienza vissuta e delle deduzioni

46

logiche. Gli strumenti sono dunque tutti semplici e divertenti, accessibili ma mai

banali.

6. Al di là dell’esperienza…

6.1… dalla conoscenza di senso comune alla conoscenza scientifica

Uno dei temi di base affrontato nel campo delle ricerche in didattica della

fisica in particolare, è quello relativo alla complessità del rapporto che si crea a

scuola fra la conoscenza individuale di ogni allievo e la conoscenza disciplinare

rispetto ai diversi fenomeni che sono oggetto di studio.

“Per conoscenza individuale intendiamo quell'insieme complesso di modi di

guardare, vedere, pensare, ecc, che ogni individuo possiede come eredità

culturale trasmessagli fin dall'infanzia e come costruzione personale per dare

senso alla realtà che lo circonda e per intervenire su di essa. Partendo

dall'assunto che la conoscenza scientifica viene costruita mediante continue

ristrutturazioni e strutturazioni di idee, concetti, schemi e strategie di

ragionamento, modi di guardare, vedere, fare, comunicare, ecc” 22

Con il termine educazione scientifica Tommasini intende quindi

quell'insieme, complesso, di attività volte alla costruzione di un sempre più

ampio sistema di interazione cognitiva del soggetto con il mondo che lo

circonda, a partire dai fenomeni dei quali egli ha esperienza quotidiana. In

questa prospettiva, compito specifico della scuola, da quella dell'infanzia alla

secondaria superiore, dovrebbe essere quello di organizzare ed attuare “attività

tali da sollecitare lo studente ad elaborare strategie cognitive sempre più

orientate a quelle peculiari della conoscenza disciplinare e,

contemporaneamente, ad acquisire la consapevolezza del loro significato e del

loro ruolo nel contesto della struttura della disciplina”23.

22 N. TOMMASINI, Educazione scientifica e cambiamento concettuale:un campo di ricerca nella didattica della fisica, pubblicato sul mensile “La didattica”, numero di dicembre 1994, p. 100 23 N. TOMMASINI, Educazione scientifica e cambiamento concettuale:un campo di ricerca nella didattica della fisica, pubblicato sul mensile “La didattica”, numero di dicembre 1994, p. 101

47

A questo riguardo appare emblematica la frase di David P. Ausubel che

sostiene che bisogna scoprire quello che l'allievo conosce già e organizzare di

conseguenza l’insegnamento. Tale operazione non è né facile né dì sicuro

successo e richiede strumenti e competenze appropriate, anche perché la

caratteristica di base delle idee spontanee degli studenti è quella che tali idee

sono estremanente tenaci e resistenti al cambiamento. Il contributo di D.

Ausebel è davvero importante: secondo la sua teoria di apprendimento

significativo ciascun individuo organizza e struttura la propria conoscenza,

organizzandola come una struttura di concetti specifici. In questo quadro

l’apprendimento si lega alle conoscenze già possedute dallo studente,

attraverso cui egli rielabora e organizza la realtà circostante. Inoltre l’autore

distinse un apprendimento meccanico e uno significativo. Attraverso

l’apprendimento significativo il discente può collegare conoscenze nuove a

concetti pertinenti, che egli già possiede nella sua struttura cognitiva, per

questo Ausubel affermò che il principio fondamentale dell’apprendimento era

“Scopri quello che l’allievo conosce già e organizza di conseguenza il tuo

insegnamento”24. Un altro aspetto su cui l’autore si sofferma è legato ai

preconcetti. Questi assumeranno una certa rilevanza, nello studio di una data

materia, in quanto verranno introdotti dagli alunni stessi nel compito di

apprendimento: il fatto che il bambino basi le nuove conoscenze su quelle che

già possiede, implica il fatto che possono essere preconcetti o concezioni

erronee. Lo studioso evidenzia questo problema nella consapevolezza di

quanto queste ipotesi potessero essere “… sorprendentemente tenaci e

resistenti all’eliminazione…” e di come il loro sussistere potesse essere

“determinante nell’acquisizione e ritenzione delle conoscenze in una data

materia”25. Basare i nuovi concetti su preconcetti limiterà nei bambini la

possibilità di un apprendimento significativo.

Un altro contributo fondamentale per chiarire ancora il ruolo del senso

comune nell’educazione scientifica di base emerge alla fine degli anni ’70 dal 24 D.P. AUSEBEL, Educazione processi cognitivi, Franco Angeli editore, Milano, 1983 25 ibid

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“Gruppo Università-Scuola”26. Gli studiosi che componevano il gruppo avevano

individuato alcuni presupposti di base su cui l’educazione nella scuola italiana,

in particolare l’educazione scientifica si doveva basare:

- su obiettivi formativi di rinnovamento pedagogico e didattico capaci di

formare tutti su di un piano di effettiva uguaglianza e di garantire fin

dall’inizio del curricolo scolastico le acquisizioni più opportune per

favorire lo sviluppo d’individui capaci d’intervento autonomo e critico sulla

realtà.

- Su obiettivi che sviluppassero nei bambini un atteggiamento scientifico

attraverso l’indagine diretta e personale

Il gruppo di lavoro pose l’accento sulla necessità che la scuola potenziasse la

sua efficacia, fornendo a tutti strumenti cognitivi validi, per rendere un individuo

autonomo. La dimensione cognitiva venne identificata come il principale

interesse dell’azione educativa e la sua integrazione con altre dimensioni dello

sviluppo (ad esempio affettiva, ludica, sociale…) venne considerata come

principale guida metodologica.

Sulla base di tali premesse, il gruppo di lavoro si è soffermato a riflettere

sulla conoscenza e su i “…tre mondi corrispondenti a modi sostanzialmente

differenti di vivere l’esperienza tipicamente umana della conoscenza”,

esaminando inoltre “…le caratteristiche della conoscenza comune… e della

conoscenza scientifica” 27. Nella prospettiva da loro sostenuta, la conoscenza

comune assume un ruolo essenzialmente sociale: è l’esperienza in base alla

quale si acquisiscono competenze. Da essa attraverso i secoli, si è formata la

conoscenza scientifica: questa si differenzia per essere basata sul metodo

scientifico ossia sull’osservazione sistematica di fenomeni naturali che porta

alla formulazione di teorie verificate grazie all’esperienza. Questo passaggio è

avvenuto nei secoli nella mente di alcuni. Come osserva Guidoni28, il processo

di conoscenza nel bambino ripercorre il modo in cui si è sviluppata la scienza

26 Gruppo composto da ricercatori universitari di varia provenienza: fisici, biologi , pedagogisti e alcuni insegnanti di scuola primaria. 27 GRUPPO UNIVERSITÀ SCUOLA, L’educazione scientifica di base, La Nuova Italia, Firenze, 1979 28 Uno dei componenti del gruppo di lavoro Università-Scuola

49

stessa. Per capire meglio il significato di tale affermazione riporto questa

citazione utile per comprendere: “… molti studi, relativamente recenti, di

psicologia dello sviluppo tendono a metter in evidenza come, nei primissimi

anni di vita del bambino, ci si trovi di fronte a un’esperienza conoscitiva con

aspetti di tipo sostanzialmente magico, solo gradualmente e faticosamente

superati nell’interazione convergente con il conoscere adulto (attraverso il

linguaggio) e con i dati di fatto (attraverso esperienze sempre più articolate)” 29.

I bambini nei primi sei-sette anni di vita tendono a creare schemi e

rappresentazioni della realtà basate sull’immaginazione. I bambini spiegano i

fenomeni osservati e sperimentati attraverso concezioni magiche e irreali, solo

successivamente saranno in grado di rielaborare i fenomeni in uno schema

logico in maniera razionale e scientifica.

Per un insegnante, soprattutto di scienze, sarà importante aver presente

e saper distinguere nel processo di apprendimento tra conoscenza di senso

comune e conoscenze scientifiche. Come ho già detto precedentemente

quando il bambino entra a scuola ha già una propria conoscenza dei fenomeni

della realtà che lo circonda data dalla sua personale sperimentazione: le

esperienze che ha condotto hanno fatto si che egli fosse in grado di costruirsi

ed elaborarsi un proprio sapere. Questo bagaglio di conoscenze spesso sono

molto radicate in ogni bambino e spesso al momento di un avvio

all’insegnamento scientifico può succedere che entrino in collisione con le teorie

proposte dall’insegnamento scientifico e ne ostacolino un apprendimento

efficace. La conoscenza scientifica è determinata si dal bambino ma risente

anche dell’ambiente culturale in cui egli è inserito: in una classe quindi saranno

presenti diverse “conoscenze di senso comune”. In ambito didattico e educativo

è indispensabile per far si che queste conoscenze e le conoscenze scientifiche

si incontrino partire proprio dalle prime. La conoscenza comune dai più viene

considerata un gradino sotto la conoscenza scientifica come mancante di

qualcosa, esso costituisce il non scientifico, il non razionale.

29 GRUPPO UNIVERSITÀ SCUOLA, L’educazione scientifica di base, La Nuova Italia, Firenze, 1979

50

6.2… Il ruolo dell’insegnante

La figura dell’insegnante per un bambino ha una chiara valenza emotiva:

da entrambe le parti ci deve essere rispetto e collaborazione. Queste due

semplici parole rappresentano la base per iniziare un rapporto di fiducia e di

apprendimento. Il docente guida il bambino verso lo sviluppo attraverso ciò che

è e ciò che propone. Per raggiungere gli obiettivi prefissati deve innanzitutto

creare un buon ambiente d’apprendimento dove i bambini non si sentano

giudicati e siano messi in grado di portare se stessi senza paure. In classe ci

deve essere armonia. Solo su queste basi si potrà impostare un lavoro

disciplinare che conduca a ottimi risultati.

Nell’ambito poi dell’insegnamento scientifico si deve fare ancora maggior

attenzione nella parte progettuale: si deve tener conto delle conoscenze di

senso comune di ognuno e partire dall’esperienza per ampliare o correggere il

bagaglio conoscitivo dei bambini. Partire dall’esperienza e dalla conoscenza di

senso comune significa anche partire, o quanto meno cercare di farlo, dagli

interessi dei bambini, organizzare esperienze di laboratorio dove i bambini

fanno è compito dell’insegnante. In questo caso l’insegnante osserva, guida,

indirizza le attività per ottenere un apprendimento fruttuoso. L’insegnante non

deve incoraggiare la passività, né quella propria né quella dei suoi allievi:

l’insegnante non può pensare di strutturare delle attività lasciando liberi i

bambini di fare poiché anche nelle attività laboratoriali i bambini hanno bisogno

di una guida, di un punto di riferimento, di attività con un inizio e una fine, con

degli obiettivi da perseguire dove non c’è niente lasciato al caso.

Buona abitudine da parte degli insegnanti, è chiedersi sempre perché si

vuole sviluppare un certo argomento o si intende portare avanti un determinato

lavoro. che cosa vorrei rimanesse nei bambini dopo che abbiamo lavorato in

questo modo o abbiamo affrontato tale argomento? Perché penso sia

necessario procedere in questo modo?. È importante quindi che l’insegnante

51

abbia fin dall’inizio molto chiare le sue intenzioni, che sappia dove vuole

arrivare perché non c’è cosa più negativa di una programmazione inefficace...

Gli insegnanti spesso sono molto preoccupati di far acquisire nozioni

piuttosto che di far fare esperienze: tutto sembra ridursi a quattro cinque

argomenti che vengono inseriti nella programmazione. I tempi e la cura che si

dedica a essi è ridotta ai minimi termini, in particolare ciò si nota maggiormente

nell’insegnamento delle scienze a cui vengono dedicate soltanto due ore

settimanali. Questi pochi argomenti vengono poi ripresi dai libri di testo. Molti

autori che ho inserito nella bibliografia individuano una serie di limiti

all’insegnamento basato sui manuali. Il più volte l’insegnante non sceglie gli

argomenti adattandoli in base ai bambini che ha di fronte ma segue il libro di

testo. Il libro incute sempre un po’ di ansia negli insegnanti che hanno

l’esigenza a tutti i costi di svolgere un certo programma, certi argomenti

secondo scadenze e tempi determinati. Il docente facendo così induce a

banalizzare le scienze e a dare un’idea sbagliata delle stesse.

L’insegnante dovrebbe, a mia parere, selezionare gli argomenti da affrontare

con la classe che:

- sono essenziali rispetto alla disciplina

- sono particolarmente significativi per i bambini in quanto rispondono ai

loro interessi

- sono di estrema attualità

- sono adatti a tradursi in pasticciamenti (vedere teoria di Howkins)

- sono occasioni per discutere, confrontarsi, accrescere le proprie

conoscenze..

Non solo per un insegnante è importante nelle scienze la scelta dei contenuti

ma sicuramente anche quella del metodo. Tale scelta deve essere coerente

con gli obiettivi che si vogliono perseguire; perciò non c’è una scelta unica ma il

metodo con cui approcciarci a diversi argomenti può variare ogni volta: in un

caso sarà utile una lezione frontale, una attività a gruppi, un esperimento…

52

6.3…la motivazione come base per l’insegnamento

Nel testo Insegnamento scientifico nella scuola di base a cura del

Gruppo Scuola-Università si dedica un intero capitolo al tema della motivazione.

Anche nella parte dedicata al progetto riprenderò tale concetto perché mi

sembra indispensabile parlarne se si considera il processo di apprendimento.

“Spesso a livello pedagogico e didattico, c’è una notevole ambiguità nell’uso del

termine motivazione. Si parte infatti da una constatazione molto valida e molto

ovvia”30, ogni attività di apprendimento deve essere motivata, deve partire da un

bisogno, da un interesse perché possa tradursi in un vero apprendimento.

Gli studiosi hanno dato due possibili definizioni di motivazione: la

motivazione come fonte interna di energia, alimentata in vari modi, che sollecita

e mantiene viva l'attività di ricerca e di apprendimento; la motivazione come

punto di partenza di una indagine o di un qualche altro tipo di lavoro, e quindi lo

spunto, più o meno occasionale, da cui prende origine un’attività didattica di un

singolo o di un gruppo.

È utile sempre secondo il punto di vista degli autori, aggiungere anche un terzo

impiego del termine motivazione che talvolta viene confuso con gli altri due: la

motivazione intesa come atto di nascita di un problema, quindi come

problematizzazione.

Vediamo meglio ognuno di questi significati che il gruppo ha attribuito:

- la motivazione come problematizzazione: La capacità di porsi problemi,

la disposizione a sapersi interrogare, è indubbiamente indispensabile

perché possa prendere inizio un'attività di indagine, perché !e esperienze

che su di essa si fondano siano sensate. Questo principio già trovato

nella teoria dell’indagine di Dewey è uno degli aspetti più importanti nella

metodologia della ricerca, Dewey stesso individua l’origine di qualsiasi

indagine scientifica nella presenza di una situazione problematica

- la motivazione come punto di partenza: durante il tempo scolastico di

motivazioni come punti di partenza capita di incontrarne molti. Si tratta 30 AA. VV., L’educazione scientifica di base, La Nuova Italia, Firenze 1979, p. 217

53

appunto di come cominciare un nuovo lavoro, e per fare questo possono

essere utilizzati spunti molto semplici senza tanto lavoro dietro come ad

esempio l’osservazione di un fenomeno in classe, l’ombra che si sposta,

l’acquario che è diventato verde. Di, queste motivazioni ce ne possono

essere molte durante il tempo scolastico, e talvolta saranno raccolte e

portate avanti dall’insegnante come veri spunti e veri punti di partenza

per ulteriori approfondimenti pratici e teorici. Però le attività non possono

sempre scaturire dalle motivazioni come punti di partenza spontanee e

fare dell’insegnante un semplice ricettore. Ciò può creare un grosso

pericolo: “lasciare in balia ancora di più i bambini dei condizionamenti

personali e ambientali già ricevuti” (Gruppo scuola università).

- la motivazione come energia psichica: è il caso in cui si parla di

motivazione, con una maggiore aderenza all'origine psicologica del

termine: “la motivazione, cioè, definisce l'energia psichica necessaria

affinché si voglia (e non solo si possa o si sappia) svolgere un'attività,

procedere in un apprendimento, impegnarsi in uno studio o in un lavoro”

(Gruppo Università scuola). Questo avviene quando si dice che

un’attività è motivata: i bambini siano impegnati con la giusta energia per

portarla avanti. Molte delle cose che noi facciamo sono motivate. Nel

contesto dell’insegnamento è certa la presenza di motivazioni, perché

queste ci sono sempre. È usuale per quanto riguarda il rapporto tra

motivazione e apprendimento distinguere tra motivazioni intrinseche e

motivazione estrinseche. Le ultime includono tutta la gamma di motivi,

esterni all'attività di apprendimento, che spingono però i bambini a

studiare, ad agire, ad apprendere: le motivazioni sociali (lo fanno gli altri

e voglio essere come loro); quelle affettive (cosi mamma e papa mi

vogliono bene); quelle legate alle ricompense esterne (il buon voto,

l'approvazione dell'insegnante, il passaggio alla scuola superiore, il

futuro accesso ad una migliore carriera professionale); quelle legate al

bisogno dell’autorealizzazione. e così via. In relazione all'apprendimento

motivazioni intrinseche, cioè interne alla stessa attività che si svolge,

54

sono quelle cosiddette cognitive: si osservano fenomeni perché si vuole

comprenderli, si studia perché si ha desiderio di conoscere di più, si gira

una nuova città con la curiosità di scoprirla. Curiosità, interesse a sapere,

desiderio di conoscere, aspirazione a divenire più competenti nella

manipolazione di strumenti manuali e intellettuali: tutto ciò rientra

nell’ambito delle motivazioni conoscitive, che hanno il vantaggio di non

dipendere dall'approvazione, dal premio, dall'intervento o dalla presenza

di altri, facendo in modo che l'attività conoscitiva (o espressiva, o

manipolativa o qualunque essa sia) sia fatta per se stessa, per quello

che è, per il gusto di farla, dì capire come stanno le cose.

Terzo capitolo

I PROGRAMMI MINISTERIALI DEL 1985 E LE INDICAZIONI NAZIONALI DEL 2003 A CONFRONTO

Il punto di riferimento per ogni insegnante è costituito dai Programmi. In

questo paragrafo analizzerò, grazie al supporto di alcuni testi, i due diversi

contributi dei Programmi Ministeriali del 1985 e le nuove Indicazioni Nazionali

per i Piani di Studio Individualizzati del 2003. Il mio obiettivo è quello di

individuare lo spazio, che in entrambi viene dedicato alle scienze, facendo

particolare attenzione agli elementi di fisica inseriti nel percorso.

1. Excursus storico

55

I Programmi del 1905, conseguenti alla Legge 8 luglio n°407 di

prolungamento dell’obbligo scolastico promossa dal ministro Orlando,

prevalentemente influenzati dal pensiero del filosofo Francesco Orestano,

prevedevano una prova d’esame per l’Attestato di Compimento del corso

elementare inferiore in terza classe, che comprendeva nell’ordine, come prove

scritte: componimento italiano, scrittura sotto dettato, calligrafia, problema di

aritmetica; come prove orali: lettura, spiegazione del passo letto, richiami alle

nozioni di grammatica, aritmetica, diritti e doveri e storia e geografia, unite nella

prova d’esame, ma separate come materie d’insegnamento e nella valutazione

all’interno della pagella; come prova pratica: lavori donneschi (per le scuole

femminili). Le “scienze”, non contemplate fra le prove d’esame, compaiono fra

le materie d’insegnamento solo nelle classi terminali, così accorpate: scienze

naturali e fisiche, igiene e nozioni varie.

La Riforma Gentile del 1923, opera interventi strutturali in tutto il sistema

scolastico, nei Programmi didattici per la scuola elementare, legati all’opera

pedagogica di Giuseppe Lombardo Radice, si registra un cambiamento che,

anche se all’apparenza di poco conto, di fatto sancisce la prima separazione

delle nozioni varie, impartite nelle classi prima, seconda e terza, da scienze

naturali, fisica e igiene, dizione a breve sostituita da scienze fisiche e naturali e

nozioni organiche d’igiene, materia d’insegnamento a partire dalla quarta

classe.

Nel periodo fascista il numero delle materie è incrementato ed è portato a

sedici voci, viene introdotta la cultura fascista abbinata alle nozioni varie nei

primi tre anni ed alla storia in quarta e quinta, niente varia per quanto riguarda

le scienze.

I Programmi del 1945, con il commissario per l’istruzione pubblica del

governo alleato Carleton Washburne, sono connotati dall’attivismo pedagogico

deweyano. Portatori di radicali cambiamenti rispetto alla scuola reale e, ,

distanti dalla tradizione culturale italiana, saranno oggetto di una strisciante

“neutralizzazione” e sostanzialmente disattesi. Le discipline vengono

drasticamente ridotte a nove, si possono leggere apprezzabili cambiamenti e

56

nell’ordine in cui sono trattate e nella loro denominazione e nel loro

abbinamento. Storia e geografia sono per la prima volta unite, in quanto viene

riconosciuta una loro intrinseca interdipendenza, è adottata la dizione

semplificata scienze e igiene conservando alla materia spazio autonomo,

purtroppo una sua valutazione in pagella è prevista solo a partire dalla classe

terza, scompaiono definitivamente le nozioni varie. I programmi Washburne

saranno sostituiti ad appena dieci anni dalla loro introduzione.

Al contrario il D.P.R. n° 503, programmi del 14 giugno del 1955, complice

la sostanziale non prescrittività che lo ha connotato come strumento flessibile a

disposizione dei docenti, vanta un’eccezionale longevità ed una pacifica

convivenza con il nuovo, introdotto negli anni in modo deciso anche se

parcellizzato. Le scienze perdono il loro status di disciplina singola e sotto la

dizione storia, geografia e scienze vengono a costituire la così detta terna delle

materie orali, impartite solo nel Secondo Ciclo; terza, quarta e quinta.

2. I Programmi Ministeriali del 1985

I Programmi Ministeriali per la scuola elementare del 1985, segnano una

svolta rilevante rispetto all'impianto culturale, fondamentalmente umanistico dei

precedenti. La contrapposizione fra le "due culture", quella umanistica e quella

scientifica, sembra superata. Nelle premesse generali si legge: "La scuola

elementare (...) realizza il suo compito specifico di alfabetizzazione culturale (...)

(promuovendo) l’acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio e un primo

livello di padronanza dei quadri concettuali, delle abilità, delle modalità

d'indagine essenziali alla comprensione del mondo umano, naturale e artificiale".

Dopo una parte introduttiva in cui si esplicitano caratteristiche e fini della scuola

si descrivono i concetti di programmazione e valutazione e si prende in

considerazione l’esigenza del rispetto del potenziale del bambino, si passa alla

divisione dei diversi percorsi scolastici secondo la netta divisione per discipline.

57

Ciò che a me interessava, come precedentemente ho già spiegato, era

verificare quanto spazio viene dedicato alle scienze, quali attività vengono

proposte e se vengono fornite indicazioni pratiche.

Chi come me si è accostato alla lettura di vari autori che hanno scritto in

merito ai questi Programmi del 1985 si trova essenzialmente di fronte due

fazioni opposte. L’oggetto di discussione è una frase contenuta nel paragrafo i

Programmi che riporto di seguito: “per la prima volta, il programma prevede uno

spazio riservato all’insegnamento delle scienze, che consentirà una più

approfondita comprensione della realtà naturale ed umana e del mondo

tecnologico”. Alcuni autori tra cui Alberto Alberti31, sostengono che

l’affermazione secondo cui appunto in questi programmi per la prima volta è

riservato spazio alle scienze, non sia del tutto corretta. Per avvalorare la sua

tesi egli richiama alla memoria nel suo libro altri precedenti programmi “Senza

andare al 1888 e ai programmi del Ministro Borselli che già prevedevano ‘Fisica

e storia naturale’, ricordiamo che in quelli del 1945 figura un campo di

orientamento denominato Scienze e igiene e nei Programmi Ermini, unite alla

storia e geografia ci sono anche le scienze”32. Dall’altra però lo stesso Alberti,

riconosce che nel passato il titolo scienze compare di norma nel secondo ciclo

ed è sempre associato, più o meno ad altri oggetti di studio e aggiunge che “la

peculiarità di questo insegnamento non discende da un fondamento disciplinare

sicuro, non è ancorato ai concetti e ai metodi propri della scienza, ma si ispira

piuttosto alla dimensione psicologica dell’esplorazione e dell’avventura o tutt’al

più alla curiosità cognitiva episodica e a varie considerazioni di ordine pratico”33.

Alberti porta anche un esempio per spiegare meglio tale concetto. Egli dice che

il Ministro Baccelli nel 1894 riuniva insieme: tempo, corpo umano, spazio,

animali, piante, minerali, invenzioni, scoperte ecc., nello stesso capitolo

31 Alberto Alberti ha scritto numerosi saggi di pedagogia e di politica scolastica tra cui ad esempio La riforma della scuola elementare. Il modulo organizzativo (1990) 32 A. ALBERTI, Commento ai programmi della scuola elementare dopo la riforma, La Nuova Italia, Firenze 1993, p. 117 33 Ibid, p. 118

58

speciale delle Nozioni varie, la cui trattazione era delegata al giudizio del

maestro.

Alberti finisce perciò per essere in parte d’accordo sull’affermazione

ricordata all’inizio perché i Programmi del 1985 costituiscono una svolta dal

punto di vista:

- formale, per cui le scienze vengono considerate una disciplina autonoma

e insegnate ad ogni livello di età

- sostanziale perché il discorso è saldamente radicato all’interno dei

principi che regolano la ricerca scientifica moderna

Il percorso che aveva portato la scuola italiana al riconoscimento del ruolo

chiave delle scienze, come ho presentato inizialmente, è stato lungo e non del

tutto omogeneo.

Il programma di Scienze individuato nei Programmi, merita per questo

una trattazione a parte. La struttura di tale parte è molto chiara ed esplicita. Si

inizia con un elenco di alcuni obiettivi fondamentali per poi arrivare agli obiettivi

e contenuti. Tale paragrafo a sua volta è diviso in altri sotto paragrafi che

corrispondono alle cinque categorie di attività elencate inizialmente e qui meglio

approfondite. La parte dedicata alle scienze si conclude con alcune indicazioni

didattiche.

Analizzando specificatamente il paragrafo che nei Programmi viene dedicato

alle scienze si riscontrano concetti particolarmente importanti e innovativi.

Innanzitutto si dice che la finalità generale dell’educazione scientifica è quella di

acquisire conoscenze e abilità che “ne arricchiscano la capacità di comprendere

e rapportarsi con il mondo e che, al termine della scuola dell’obbligo, lo (il

bambino) pongano in grado di riconoscere quale sia il ruolo della scienza nella

vita di ogni giorno e nella società odierna e quali siano le sue potenzialità e i

suoi limiti”. In questa parte introduttiva si indicano anche gli obiettivi

dell’educazione scientifica, definiti fondamentali:

- la prima categoria riguarda “gli atteggiamenti di base nei confronti del

mondo”. Il bambino deve sviluppare questi atteggiamenti di base nei

confronti del mondo che lo circonda ad esempio, il riuscire a porre

59

proprie domande, l’avere una certa intraprendenza inventiva soprattutto

per quanto riguarda la formulazione di ipotesi, il trovare criteri unitari per

la spiegazione di alcuni fenomeni, il considerare e rispettare le opinioni

altrui, confrontare le proprie idee con i fatti e trarre alcune conclusioni,

essere motivati all’osservazione e alla scoperta.

- Collegata alla prima, la seconda categoria riguarda le abilità cognitive. Il

bambino deve acquisire alcune abilità cognitive generali “quali, per

esempio, la capacità di analisi delle situazioni e dei loro elementi

costitutivi, la capacità di collegare i dati dell’esperienza in sequenze e

schemi che consentono di prospettare soluzioni ed interpretazioni e, in

certi casi, di effettuare previsioni”. Inoltre a queste abilità se ne

aggiungono altre due non meno importanti: la capacità di formulare

semplici ragionamenti ipotetico-deduttivi e la capacità di distinguere ciò

che è certo da ciò che è probabile.

- La terza categoria evoca problemi di controllo razionale sulle stesse

procedure tecniche da impiegare, sullo svolgimento della ricerca, sulla

programmazione di itinerari sicuri fino ad arrivare all’impiego del

procedimento sperimentale. Perciò si richiede al bambino una crescente

padronanza di tecniche d’indagine tra cui quella di tipo osservativo sino

all’impiego del procedimento sperimentale in situazioni pratiche.

- Per ultimo viene indicato l’inscindibile rapporto tra il fare e il pensare che

le scienze devono portare avanti. Il fare viene inteso come “attività

concreta, manuale e osservativa”. Il fare perciò, viene considerato un

riferimento pressoché insostituibile di conoscenze. La realtà concreta

diventa il tribunale di verifica e scenario in cui si muovono le conoscenze

aprrese. Non serve un sapere astratto, la pura contemplazione del bello

e del vero ma serve una dimensione dell’impegno, in cui le conoscenze

vengono messe in gioco e messe alla prova

Tutti questi obiettivi, si dice nel testo dei Programmi Ministeriali, vanno

perseguiti innanzitutto con lo svolgimento di attività e l’acquisizione di

60

conoscenze che non esulano dal mondo e dai suoi aspetti fisici o biologici, nel

quale i bambini vivono.

In questa prima introduzione sembra essere sottolineata l’idea che ogni

“oggetto” può essere preso in considerazione e “studiato” ad ogni età. Ad ogni

livello di età, i bambini possono affrontare temi per i più considerati difficili

giungendo a gradi diversi di soluzione a analisi nel rispetto delle proprie

capacità e degli strumenti posseduti. Per questa ragione tra gli obiettivi

fondamentali dei Programmi non vengono riportate delle nozioni ma bensì delle

metodologie e dei comportamenti.

Da qui possiamo sottolineare l’importanza dei contenuti e delle attività; essi

non sono indifferenti al raggiungimento di quegli obiettivi. Infatti

successivamente il testo indica proprio, con un vero paragrafo gli obiettivi e i

contenuti che “devono prendere spunto da problemi relativi alla vita dei bambini

di ogni giorno”. Le attività di indagine nelle quali i bambini saranno coinvolti

serviranno ad acquisire conoscenze in merito:

- agli esseri viventi, compreso l'uomo, loro strutture e funzioni, nonché loro

interazioni e rapporti con l'ambiente;

- al mantenimento e alla difesa della salute;

- alla Terra e al suo posto nell'Universo;

- alla gestione delle risorse naturali;

- ai materiali e alle loro caratteristiche.

Alberti è molto critico e duro nei confronti di tale suddivisione. Egli afferma “il

paragrafo… si limita ad indicare sinteticamente, quasi come titoletti, sei oggetti

o campi di studio… successivamente, in poche righe accenna ad obiettivi

formativi sotto l’aspetto di procedimenti scientifici quali: osservare, misurare,

classificare, impostare relazioni, elaborare e interpretare dati, individuare e

separare variabili, e di capacità di farne consapevole impiego in situazioni

concrete, quindi passa a trattare delle attività raggruppate in cinque grandi

comparti tematici”34. Questa divisione in vari ambiti, si dice nel testo dei

34 A. ALBERTI, Commento ai programmi della scuola elementare dopo la riforma, La Nuova Italia, Firenze 1993, p. 120

61

Programmi, facilita la loro utilizzazione da parte degli insegnanti, per poter

mettere a punto attività che verranno organizzate e svolte nelle classi con

diverso grado di approfondimento e in prospettiva interdisciplinare.

Alberti nel testo si sofferma anche nella spiegazione del perché di tale

impostazione “la singolarità di questa esposizione apparentemente squilibrata si

spiega probabilmente con il timore presente nella Commissione Fassino che

una eventuale lista di contenuti, poteva essere interpretata come una lista

obbligatoria e cioè come il reale curricolo di scienze, ufficialmente prescritto”.

Parlando di attività invece che di contenuti, si intende spostare l’attenzione

forse sul versante del fare e così “facilitare il compito degli insegnanti chiamati a

scegliere ad a organizzare, nella situazione concreta, gli argomenti costituenti il

curricolo da svolgere”35. Sembra si voglia fornire, come sostiene anche lo

stesso Alberti, un ventaglio di possibilità programmatorie molto ampio, come si

può vedere esaminando in breve i singoli punti proposti:

- ambienti e cicli naturali: questo raggruppamento suggerisce di fare

attività di esplorazione dell’ambiente naturale in cui si trova la scuola e in

collaborazione con geografia attività e osservazioni relative a fenomeni

geologici, qualità del terreno, alla situazione delle acque, al clima, alle

caratteristiche del paesaggio, alle piante, agli animali.

- Organismi. Piante, animali, uomo: in questo paragrafo vengono suggerite

attività di classificazione dei vari organismi. Dall’ osservazione

particolareggiata dei singoli esseri si arriva a distinguere le diverse parti

che compongono un essere vivente e i più evidenti rapporti tra struttura e

funzione. Così facendo I programmi invitano in una fase successiva a

mettere in risalto le caratteristiche comuni. Per quanto riguarda l’uomo

vengono proposte attività sull’anatomia e sui comportamenti. Importante

viene anche considerato il tema dell’ alimentazione.

- Uomo-natura: lo studio dell’intervento umano sull’ambiente è

strettamente collegato con i temi dell’area storico-geografica. Le attività

propongono in particolar modo l’osservazione delle modifiche dell’uomo 35 Ibid, p. 123

62

indotte sul paesaggio ad esempio le partiche agricole, industriali, gli

insediamenti. Si prendono in considerazione quindi sia aspetti negativi

sia quelli positivi offerti dalle nove tecnologie per la tutela dell’ambiente.

- Uomo-mondo della produzione. Si propone un progressivo

avvicinamento del bambino al mondo tecnologico, imparando a

conoscere prodotti e problemi annessi.

2.1 Fenomeni fisici e chimici

Questo paragrafo, che è il secondo dei cinque ambiti di studio proposti,

merita una trattazione a parte e più specifica perché in funzione del progetto

che ho realizzato a scuola, è quella che mi ha interessato maggiormente.

La fisica esplicitamente viene inserita nella vasta area delle scienze sotto il

titolo di fenomeni fisici. I nuovi programmi entrano particolarmente nel merito

dei fenomeni fisici quando propongono, concretamente e attivamente, l’esame:

- di singoli materiali

- del modo in cui si comportano quando si interviene su di essi

- di quel che succede quando si mettono insieme

- di problemi di separazione

- dei diversi stati della materia

- di giochi con specchi, luci, ombre, prismi

- di rumori e suoni

- di semplici circuiti elettrici

- di calamite

- di esperienze sul movimento e sull’equilibrio realizzate con oggetti di

forme diverse per affrontare i temi di velocità, variazione della medesima,

equilibrio, forza e baricentro

- del funzionamento di semplici apparecchi

A proposito di questo paragrafo c’è chi ne ha sottolineato la semplicità e

comprensibilità e la chiarezza con cui si rivolge ai docenti, limitando l’uso di

63

termini tecnici. Questo, secondo tali autori, non sembra essere il risultato di una

semplificazione ma l’invito ad uno stile di lavoro. “può essere divertente notare

che nel sottocapitolo viene citata nove volte la parola esperienze, cinque

osservazione e una sola volta concetti” 36. Anche nell’affrontare fisica e chimica,

i Programmi rinnovano l’impegno al fare, motivato nelle parti precedenti.

Nell’ultimo paragrafo dei Programmi vengono fornite alcune indicazioni

didattiche che posso riassumere in questo modo:

- gli argomenti anno per anno devono essere scelti dall’insegnante

tenendo presente gli interessi cognitivi, delle capacità di comprensione,

delle conoscenze già presenti negli alunni delle varie età e

dell’opportunità che l’ambiente offre;

- gli argomenti devono essere sviluppati partendo ogni volta da situazioni-

problema molto semplici che possono essere realizzate anche mettendo

gli alunni di fronte a oggetti, materiali e ambienti specifici, con l’obiettivo

di sviluppare “un sapere che cresce in modo organico e graduale,

durante tutto l'arco della scuola dell'obbligo”.

- Oltre alla semplicità si coglie l’importanza di fare esperienze pratiche che

siano attuabili, oltre che in appositi locali scolastici, nella classe che può

essere utilizzata come laboratorio, o attraverso attività di esplorazione

ambientale.

- I metodi di lavoro privilegiati sono: conversazioni, discussioni di gruppo,

approfondimenti e raccolte di informazioni su libri o con mezzi

audiovisivi, per ampliare il patrimonio di conoscenze dell'alunno anche

attraverso l'analisi di fatti della realtà che stanno al di là della sua diretta

esperienza.

- “La scelta dell'attività da svolgere nel corso dei vari anni viene lasciata

all'insegnante in sede di programmazione, salva restando, da un lato,

l'opportunità di ritornare (in certi casi più volte) in classi successive su

alcuni argomenti con diverso grado di approfondimento..” e dall’altro la

necessità che, per ciascuno dei temi, vengano svolte un numero 36 S. ALESSANDRI, Fenomeni fisici e chimici, Casa Editrice Valore Scuola, Roma 1993, p.21

64

sufficiente di attività tali da permettere all'alunno di familiarizzarsi con le

diverse metodologie di approccio alle discipline scientifiche.

- Si ribadisce il concetto di gradualità poiché nei primi due anni e in

particolare nella prima classe le attività saranno dedicate dapprima ad

una ricognizione delle conoscenze possedute dai fanciulli attraverso

esperienze guidate di gioco e di esplorazione, per farne patrimonio

comune del gruppo, su cui costruire il lavoro successivo.

- L'insegnante stimolerà e guiderà gli alunni ad osservare, descrivere e

confrontare gli elementi della realtà circostante (sassi, animali, piante,

utensili, suoli, forme, colori...) per individuarne somiglianze, differenze ed

interrelazioni.

- Queste osservazioni e ricerche contribuiscono ad arricchire il linguaggio,

a promuovere esercizi di misura, ad avviare all'uso di semplici tabelle ed

altre rappresentazioni (istogrammi, grafici, diagrammi a blocchi, ecc.).

- È compito dell’insegnante anche favorire collegamenti interdisciplinari.

- L’insegnante conduce gli alunni a riflettere sull'opportunità di muovere

dall'osservazione dei fatti alla formulazione di problemi ed ipotesi, e alla

raccolta di nuovi dati per il controllo di queste ultime.

- L’insegnante propone attività di costruzione di alcuni strumenti in linea

con il principio del “fare” e organizza escursioni per toccare con mano “la

scienza”

- Si propone anche lo studio della storia della scienza. “vi si troveranno

molti riferimenti a progressi che si sono verificati proprio in conseguenza

dell'accertata inadeguatezza di spiegazioni date in precedenza sulla

base di conoscenze e tecniche di indagini più limitate”.

Perciò i punti fondamentali su cui insistono i programmi sono due. Da un lato si

punta sulla concretezza operativa e la gradualità dei percorsi. Si parte sempre

dalle conoscenze dei bambini sulle quali impostare attività di gioco e

esplorazione almeno nei primi anni di scuola per costruire un patrimonio

comune di conoscenze. Da qui poi si radicano situazioni-problema molto

semplici durante le quali si continuerà ad osservare, descrivere e confrontare

65

elementi della realtà circostante. Importante risulta essere l’interesse degli

alunni per il mondo dei viventi, o per la manipolazione di oggetti. Nel rispetto di

tali interessi personali si costruiranno oggetti, si analizzeranno allevamenti

scolastici…si faranno escursioni guidate in aziende agricole, artigiane,

industriali e parchi. La seconda linea di fondo riguarda la scelta degli argomenti

e la loro organizzazione. Viene affidata agli insegnanti la responsabilità di

“operare scansioni e raggruppamenti nei contenuti” (Alberti) ma si indicano due

esigenze fondamentali: da un lato programmare attività distribuite su tutti i

campi individuati precedentemente e dall’altra si ripartiscono le varie attività nel

tempo dei cinque anni.

3. Le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella Scuola Primaria

L’impostazione strutturale delle Indicazioni Nazionali è totalmente diversa

da quella dei Programmi Ministeriali. Inizialmente nella parte introduttiva,

vengono trattate alcune caratteristiche della scuola primaria generali. Si dedica

molto spazio all’analisi degli obiettivi generali del processo formativo, degli

obiettivi specifici di apprendimento, degli obiettivi formativi, al piano di studio

personalizzato, al portfolio.

Nella seconda parte del documento vengono presi in considerazione gli

obiettivi specifici di apprendimento: vengono elencati distintamente per la

classe prima, per il primo biennio (seconda e terza), per il secondo biennio

(quarta e quinta) e distintamente anche per le varie discipline. Perciò nel caso

delle scienze per ogni diversa età vengono elencati diversi obiettivi da

raggiungere.

66

Al bambino che frequenta la scuola viene riconosciuto un ampio bagaglio

di conoscenze che ha maturato precedentemente in famiglia, nella scuola

dell’infanzia, nei rapporti con gli altri e con il mondo e per questo la scuola si

“propone di apprezzare questo patrimonio conoscitivo…e di dedicare

particolare attenzione alla sua considerazione, esplorazione e discussione

comune”. Il documento perciò, riconosce al bambino l’importanza delle sue

esperienze e scoperte pregresse. Partendo da queste considerazioni la scuola

ha il compito di stimolare il processo di acquisizione di conoscenze attraverso

l’azione-scoperta che è uno dei canali che il bambino ha usato magari

inconsapevolmente nelle esperienze passate.

Gli obiettivi del primo anno e anche del primo biennio vanno raggiunti, si

dice nel testo, a partire da problemi e attività ricavati dall’esperienza diretta dei

bambini e perciò potenzialmente motivanti. Come nei Programmi del 1985 si

punta sia sull’importanza di partire dall’esperienza dei bambini soprattutto nelle

prime classi e sulla motivazione e perciò sul loro reale interesse.

Tra i contenuti per la prima classe ad esempio troviamo l’identificazione e

descrizione di essere viventi e non, l’individuazione delle caratteristiche di un

oggetto e alcuni materiali e i primi confronti tra oggetti. Nella classe prima si

tratta quindi di osservare e identificare oggetti, arrivando da una descrizione

grafica e ad una verbale, “che è già il risultato di un'organizzazione mentale dei

particolari significativi dell'immagine”. Lo scopo è esplorare e decomporre nei

loro elementi situazioni molto semplici e familiari, partendo sempre dal vissuto

del fanciullo per valorizzare e orientare la sua curiosità naturale. Le

Raccomandazioni invitano anche gli insegnanti a organizzare occasioni per

aiutare i bambini a raccogliere dati su se stessi e sul mondo circostante, sui

quali lavorare in aula, ad esempio ordinarli in base alle loro caratteristiche,

rappresentarli con disegni e schemi.

Nella classe seconda si osservano oggetti e fenomeni, e si raccolgono

dati, arrivando a confronti e paragoni, avventurandosi in semplici esempi di

classificazione; in terza, poi, si potrà insistere sul racconto/resoconto di piccoli

studi che risolvono un problema o rispondono a dei quesiti, possibilmente

67

sollevati dagli allievi stessi. infatti già nel primo biennio si assiste ad una

evoluzione: aumentano contenuti e obiettivi da raggiungere e si fanno anche più

complessi. Si aggiunge lo studio delle grandezze, il tema dell’acqua, il

fenomeno della combustione, le piante, gli animali, la distinzione tra liquido

solido e gassoso nell’esperienza di ogni giorno ecc. per il biennio successivo si

apre le porte allo studio di molti più fenomeni fisici tra cui: il ciclo dell’acqua,

l’energia termica e elettiva nella vita quotidiana, la luce, l’ombra il fenomeno

della diffusione, riflessione, il suono, il calore, la temperatura, lo studio del

volume. Infatti nelle classi quarta e quinta gli allievi dovrebbero divenire

consapevoli della distinzione tra fatti, la loro interpretazione in termini di regole

e leggi (teoria), congetture, ipotesi senza solide radici nei fatti; parallelamente

dovrebbero comprendere i meccanismi di fenomeni semplici e sviluppare

qualche aspetto storico connesso, sia pur tenendo conto della gradualità con

cui i concetti di passato e di futuro emergono nella mente del bambino.

Nelle Indicazioni Nazionali per la Scuola Primaria, come si può notare,

sono stati introdotti esplicitamente argomenti propri delle scienze della natura

(fisica, chimica, biologia, geologia, astronomia.

Nelle Raccomandazioni, ovvero il testo orientativo che accompagna il

documento delle Indicazioni Nazionali per ulteriori approfondimenti per i

docenti, vengono esposte le motivazioni di tale scelta e viene offerta una serie

di riflessioni per il docente che si appresta a insegnare questa disciplina.

Si dice nel testo delle Raccomandazioni, di notevole aiuto, che la scienza

ha come scopo la conoscenza “ragionata” del mondo naturale e delle leggi che

lo governano. “Essa è un'esplorazione sistematica del mondo sensibile che si

arricchisce sempre più, ma risponde essenzialmente a interrogativi che si

pongono già i bambini nella prima infanzia riguardo alla natura e alle macchine:

“E’ realmente così?”, “Perché è così?”, “Perché, se avviene questo, avviene

quest'altro?”. Affrontare queste domande fa parte di quell'imparare a pensare e

a comunicare che è fine essenziale della Scuola Primaria”. Nelle

Raccomandazioni si sostiene che l’insegnamento della scienza in particolar

68

modo promuova nel bambino, fin dai primi anni di scuola, uno spirito critico e la

capacità di formulare il pensiero in modo preciso.

Nel corso degli anni che il bambino trascorrerà a scuola dovrà imparare a

conoscere e riconoscere i fatti che gli si presentano di fronte, formulare delle

domande in termini di causa ed effetto, trarre delle conclusioni e dubbi

logicamente corretti e con le parole giuste. “Questo modo di porsi di fronte alle

esperienze di ogni genere è condizione di libertà e di maturazione personale in

tutti i campi; spetta alla scuola garantire a tutti gli scolari il primo livello di

formazione in questo senso”.

L’avvio di un discorso scientifico acquista un’ulteriore funzione cioè

quella di promuovere nel bambino una riflessione critica sul mondo che lo

circonda e i fatti che vi accadono. Attraverso l’insegnamento delle scienze il

bambino acquista capacità critiche per poi trasformarle in competenze

personali. Nelle Raccomandazioni troviamo quindi esplicitata l’importanza che

riveste l’inserimento di questa disciplina nel percorso scolastico di un bambino.

Si partirà dai fatti familiari per i bambini applicando ad essi la terminologia

specifica sempre tenendo conto dell’età e delle possibilità per arrivare a far

proprio il modo di pensare scientifico. Per riuscire in questo, riveste particolare

importanza il ruolo dell’insegnante che deve programmare un percorso il più

efficace possibile tenendo presente i vari fattori che possono intervenire.

L’insegnante dovrà creare un ambiente cognitivo stimolante: i bambini avranno

la possibilità di lavorare attivamente sull’oggetto di studio nel rispetto di un clima

di ascolto. Il docente deve fidarsi dei suoi alunni responsabilizzandoli:

impostando lavori a gruppi, affidando ruoli ben precisi, permettendo loro

l’utilizzo di strumenti e materiali, rafforzando la loro autostima e autonomia.

Certamente il docente deve essere un buon osservatore e consulente nel

gestire il gruppo classe dove ognuno ha esigenze ed esperienze diverse. Deve

quindi abbandonare il ruolo di unico attore trasformandosi in un “attore non

protagonista”: raccoglie le opinioni, osservazioni, ipotesi dei bambini per

riproporle in un quadro completo delle attività; stimola i bambini a superare le

69

proprie difficoltà, a considerare diverse variabili e altri punti di vista senza mai

suggerire la risposta giusta ma facendo emergere questa dalla discussione.

Viene data anche l’opportunità dell’utilizzo di laboratori: la classe può

venir divisa in gruppi di lavoro secondo le attitudini personali, i tempi di

assimilazione, gli interessi personali. “Se applicate con la dovuta attenzione,

queste misure consentiranno un'efficace cooperazione tra insegnante e allievi e

soprattutto la collaborazione fra allievi e allievi, senza appiattimento del livello

didattico e al tempo stesso con assoluto rispetto della pari dignità di tutti”.

Nelle Raccomandazioni si punta molto sull’importanza dell’utilizzo del

metodo scientifico e del laboratorio: “Ribadiamo che, per arrivare a formulare

interrogativi autenticamente scientifici, sia pure a livello molto elementare,

occorre un percorso che comincia col rilevare analogie e somiglianze, passa a

individuare delle regolarità, e giunge, infine, a enunciare possibili regole da

sottoporre a verifica. In questo approccio a un “mondo da interrogare” sembra

particolarmente opportuno trasmettere agli allievi almeno un'idea del metodo

sperimentale… Aprire le menti dei giovanissimi a queste cose non è compito

facile e non si dà un metodo universalmente valido”. Nei primi anni viene

consigliato l’utilizzo del gioco per arrivare alle prime classificazioni che poi

verranno sostituite con procedure più sistematiche. Si possono precisare come

attività a cui fare riferimento nell'insegnamento delle scienze:

- giochi del tipo “indovinare con domande a che cosa ha pensato un certo

giocatore”, formulando poi in breve la definizione così ottenuta;

- osservazioni critiche sulle cose classificando, paragonando e

confrontando le stesse;

- oggetti o grandezze, identificando somiglianze e differenze nel tempo e

nello spazio, prendendo atto delle regolarità e delle novità che si

presentano in natura;

- descrizioni di cose e processi, che, secondo tempi adeguati, andranno

dalla semplice figurazione alla formulazione verbale, che analizza e

interpreta l'immagine, e all'identificazione di relazioni logiche e

70

quantitative, usando ove possibile strumenti matematici elementari

(numeri, diagrammi, grafici, formule...);

- raccolta dei dati e loro ordinamento nella prospettiva di identificare

connessioni tra i molteplici aspetti di un fenomeno;

- ricerca di ipotesi di spiegazione di un fenomeno familiare da verificare

mediante misure, ulteriori osservazioni e/o appositi esperimenti;

- applicazione di tecniche d'indagine che abituano alla precisione

nell'osservazione e all'esecuzione di una procedura sperimentale;

- studio e uso di termini tecnici delle varie discipline, notando le differenze

dal linguaggio ordinario.

Viene suggerito che l'insegnamento proceda per via di esempi, esperimenti e

osservazioni dirette. La scelta di questi ausili deve essere particolarmente

curata; dovrà essere cioè calibrata tenendo conto di tre fattori:

- la situazione concreta di fronte a cui il docente si trova in classe o in

Laboratorio;

- il tempo disponibile per gli argomenti scientifici;

- la sua personale formazione scientifica.

“Quest'ultima è importante perché i momenti di maggior valenza formativa del

lavoro di chi insegna sono quelli in cui presenta argomenti che ha

profondamente capito e fatto propri, e che ritiene particolarmente interessanti;

in questi casi egli può davvero essere chiaro ed efficace, anche restando al

livello di sviluppo cognitivo dei suoi allievi”.

Emerge da tale lettura che ciascun allievo si senta protagonista

dell'apprendimento sia nei momenti che suscitano particolare interesse o

curiosità, sia nei momenti in cui occorre autodisciplina. Come si è detto, il punto

di partenza è la curiosità nei confronti del mondo naturale e della tecnica, perciò

il riferimento è all’esperienza concreta; lo sviluppo didattico conduce

all'acquisizione di capacità(cognitive e pratiche, man mano più complesse); ed

è per questo che è irrinunciabile la partecipazione attiva a tutte le fasi del

percorso didattico.

71

4. Confronto tra i Programmi e le Indicazioni

Confrontando i due documenti a cui ho fatto riferimento, emergono senza

dubbio alcune somiglianze e alcune differenze per quanto riguarda la parte

dedicata alle scienze e al ruolo del bambino e dell’insegnante.

Dal mio punto di vista le differenze sono:

- nelle Indicazioni viene fatta una distinzione per età: i contenuti e gli

obiettivi vengono prescritti per la prima classe, per il primo biennio e per

il secondo mentre nei Programmi non c’è distinzione per classe

- l’insegnante in misura maggiore secondo i Programmi, ha il compito di

individuare le attività adatte per la propria classe visto che non viene

dato un preciso punto di riferimento di distinzione fra età.

- Nelle Indicazioni vengono forniti contenuti e obiettivi sottoforma di elenco

mentre nei Programmi si distinguono cinque ambiti su cui lavorare.

- Emerge, nelle Indicazioni, più immediatamente l’idea di gradualità

Dall’altra, invece le somiglianze e i punti di contatto che ho individuato sono:

- Il ruolo chiave giocato dalle preconoscenze ovvero quelle conoscenze

che il bambino porta con se sui banchi di scuola. È da queste per

entrambi i documenti che si deve partire per impostare un discorso

scientifico

- gli ambiti che coinvolgono il bambino riguardano in entrambi i casi lo

studio dell’uomo, degli animali, dell’ambiente e dei fenomeni del mondo.

- Ho riscontrato in entrambi i testi il rispetto del principio della gradualità.

Si partirà con lo studio di fenomeni o oggetti ecc, vicini al bambino per

poi allargare il raggio d’azione

- Il bambino deve essere protagonista quindi ogni insegnante dovrà

scegliere le attività in base anche ai suoi interessi

- Un punto di contatto è anche il bisogno indissolubile tra il fare e il

pensare. Si potranno apprendere nuove conoscenze solo se queste

72

verranno “sperimentate” e vissute. Si propongono infatti attività di

laboratorio, di manipolazione e costruzione di oggetti e strumenti.

- Il docente in entrambi i documenti risulta avere un ruolo chiave

nell’impostazione e nella conduzione delle attività

- Ruolo chiave affidato all’acquisizione del metodo scientifico da applicare

anche nella vita

- I bambini devono essere messi in grado di poter discutere sulle cose,

mettendo eventualmente in discussione le proprie idee

- Si propongono attività laboratoriali e escursioni al di fuori dell’aula

Quarto capitolo

IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE

1. Al tempo di Archimede: la Grecia ellenistica

Prima di iniziare a descrivere Archimede come scienziato e il suo

contributo allo studio dei principi dell’idrostatica reputo indispensabile

riassumere alcuni aspetti essenziali del periodo storico in cui egli è vissuto e ha

elaborato le sue idee. L’epoca in questione, l’età ellenistica, inizia

convenzionalmente con il 323 a.C., anno della morte di Alessandro Magno e

termina con la conquista romana dell’Egitto (battaglia di Azio del 31 a.C.).

Come è noto dopo la morte improvvisa di Alessandro, ci fu un duro e lungo

73

scontro per la successione che si concluse con la divisione in tre grandi regni

del suo enorme impero: l’Egitto, con capitale la nuova città di Alessandria

fondata da Alessandro nel 331 a.C., retto dalla dinastia dei Tolomei che

governavano anche Cipro, Pirenaica, e dalla fine del III secolo a.C. anche

Fenicia e Palestina; lo stato dei Seleucidi, con capitale Antiochia, che

comprendeva la Siria, quasi tutta l’Asia minore, la Mesopotamia; lo stato degli

Antigonidi, comprendente la Macedonia e alcune città della Grecia. Vi erano poi

stati minori come quello di Pergamo in cui governava la dinastia degli Attalidi. In

questo periodo, durato circa un secolo, la civiltà ellenistica raggiunse il massimo

sviluppo. Questo progresso fu possibile anche grazie ad una ellenizzazione dei

territori conquistati, alla simbiosi della cultura greca con quella orientale, tramite

relazioni anche con India e Cina. L’intensificazione del commercio tra i vari stati

e le regioni orientali, la rifioritura dell’artigianato e l’incremento demografico

apportarono un benessere economico che favorì la crescita di nuovi

agglomerati urbani. Città come Alessandria, Antiochia di Siria, Pergamo e

Laodicea, diventarono non solo centri di produzione, veri e propri mercati

finanziari, ma anche di diffusione di cultura. L’urbanesimo fu infatti un fenomeno

tipico dell’età ellenistica, al quale si legò di conseguenza una progressiva

accentuazione dei privilegi della città rispetto alla campagna, dove si andavano

affermando i latifondisti. Il prestigio straordinario di Atene però non cessò in

breve tempo, questa città continuò ad essere il centro della vita filosofica: il

Liceo retto da Teofrasto37 e l'Accademia continuarono a svolgere la propria

attività, ad essi si aggiunsero poi la scuola stoica e quella epicurea.

Importanti cambiamenti vengono avvertiti anche sul piano della struttura

economico-sociale: “i regni ellenistici sperimenteranno nuove forme di

organizzazione statale, politica, giuridica, amministrativa, militare”38. L’aprirsi dei

37Teofrasto nasce a Lesbo e muore a Atene nel 287 a.C., fu discepolo di Aristotele a cui successe nella direzione del Liceo nel 322 a.C. Il suo nome era in realtà Tirtamo, ma fu Aristotele stesso a chiamarlo Teofrasto per la grazia e la soavità del suo eloquio. Sembra che l'attività di Teofrasto si sia estesa a tutti i campi della conoscenza contemporanea. nei suoi scritti sviluppò in maniera differenzte i temi comuni anche a Aristotele: tra la sue opere sono da ricordare: i due ampi trattati botanici, Storia della fisica, il trattato Sulle rocce… 38 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 69

74

mercati a Oriente contribuisce all’ingigantimento del fenomeno della schiavitù:

tutto il processo produttivo poggerà per molti secoli sul lavoro degli schiavi.

Fu Azio nel 31 a.C., il teatro della cruenta fine dell’età ellenistica con lo scontro

tra Roma e Egitto. Al declino delle monarchie ellenistiche fece riscontro

l'espansione di Roma verso la Grecia e l'area del Mediterraneo orientale. In tal

modo la cultura ellenistica, che costituì una componente fondamentale della

civiltà romana e della successiva civiltà bizantina, continuò a permeare per

secoli l’Occidente.

1.1. La nascita della scienza

Nonostante i progressi nell’arte, letteratura, architettura, è probabilmente

alla scienza che spettò il privilegio nell'ambito della cultura ellenistica di

raggiungere le più alte vette toccate nel mondo antico. Tra i più decisi

sostenitori di questa linea di pensiero possiamo collocare Giulio Preti39 ma

soprattutto Lucio Russo40, con il suo volume “La rivoluzione dimenticata”41.

Attraverso questo sorprendente libro, Lucio Russo cerca di dimostrare che “la

nascita della scienza moderna va retrodatata di duemila anni, e che i due soli

scienziati dell’antichità noti al vasto pubblico, Euclide e Archimede, non furono

incerti e isolati precursori di una forma di pensiero che soltanto nel XVII secolo

d. C. sarebbe rigogliosamente fiorito”42. Della stessa opinione è Giulio Preti

affermano che “questa è l’epoca in cui si redigono quei trattati scientifici che

39 Giulio Preti (1911-1972), laureato in filosofia fu anche docente universitario al Magistero di Firenze.

40 Lucio Russo è nato a Venezia nel 1944, laureato in fisica è da considerare matematico, filologo, studioso di storia della scienza ellenistica. Ha accompagnato il suo insegnamento in diverse Università con la scrittura di testi con i quali ha suscitato critiche , consensi e condanne. Tra i suoi scritti ricordo, oltre al libro La Rivoluzione dimenticata, Segmenti e bastoncini (libro uscito nel 2000, è una dura critica al sistema scolastico italiano della Riforma Berlinguer che abbassava i livelli di competenza e rendeva l’insegnamento sempre più generico secondo gli standard americani), Flussi e riflussi: indagine sull'origine di una teoria scientifica(2003).

41 Pubblicato per la prima volta nel 1996 (finalista del premio Viareggio per la saggistica del 1997) è giunto nel 2006 alla terza edizione. 42 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 8

75

saranno come il testamento della grecità e il patrimonio lasciato ai secoli

successivi”43.

In realtà secondo Russo questi due personaggi furono solo due esponenti di

spicco di una vasta schiera di raffinati e avanzatissimi scienziati: ad esempio

Erofilo44, fondatore della medicina scientifica, Eratostene45, il primo scienziato

che fornì una misura straordinariamente precisa della lunghezza del meridiano

terrestre, Aristarco di Samo46, ideatore dell’astronomia eliocentrica, Ctesibio47,

costruttore di strumenti meccanici e idraulici, dei quali se non per il nome si è

persa ogni traccia. Sono anche essi, tra i protagonisti di una rivoluzione

scientifica, vedi il titolo, giunta a livelli altissimi di elaborazione teorica e pratica

sperimentale pari agli studi di personaggi del calibro di Newton e Galileo. Tali

affermazioni hanno sollevato in me e per chiunque penso si appresti a leggere il

libro naturalmente sorpresa ma anche alcuni interrogativi:

- perché, se il livello scientifico raggiunto in questa epoca era davvero così

elevato, i romani con il loro senso pratico non hanno ereditato questo

grande patrimonio sviluppandolo e usufruendo delle grandi conquiste

teoriche e pratiche nei secoli successivi?

43 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 68 44 Erofilo (circa 335 a.C.-circa 280 a.C. ) fu noto come primo anatomista della storia e per essere stato, insieme ad Erasistrato il fondatore della grande scuola medica di Alessandria d'Egitto Egli fu il primo a basare le sue conclusioni sulla dissezione del corpo umano. Erofilo, avendo introdotto una terminologia nuova e convenzionale per individuare le strutture anatomiche da lui scoperte, ha un posto di rilievo anche nell'evoluzione delle concezioni linguistiche. Molti dei termini da lui introdotti sono ancora usati nella terminologia anatomica.

45 Eratostene di Cirene (Cirene 276 a.C.–Alessandria d'Egitto 194 a.C.) è stato un matematico, astronomo, geografo e poeta greco. Fu probabilmente l'intellettuale più versatile della sua epoca. Bibliotecario della Biblioteca di Alessandria, è oggi ricordato soprattutto per aver misurato per primo con grande precisione le dimensioni della Terra.

46 Aristarco da Samo (Samo 310 a.C.–230 a.C. circa) è stato un astronomo greco oltre che, filosofo e matematico greco, anticipò di quasi due millenni la concezione eliocentrica di Copernico. 47 Ctesibio di Alessandria (attivo dal 285 a.C. al 222 a.C.) noto come inventore e come matematico. La sua opera Sulla pneumatica sull'elasticità dell'aria, ora perduta, gli ha procurato il titolo di padre della pneumatica, in quanto a lui si devono il primo trattato scientifico sull'aria compressa e le sue utilizzazioni nelle pompe e perfino in un cannone. Ctesibio fu probabilmente il primo capo del Museo di Alessandria. Sfortunatamente, molto poco si sa della sua vita e delle sue opere.

76

- perché gli innumerevoli studiosi impegnati a riportare alla luce ogni

traccia della cultura greco-romana hanno ignorato le testimonianza di

tale fenomeno culturale e sociale riducendolo in alcune occasioni alla

sporadica comparsa di qualche personaggio ingegnoso.

Con il libro Lucio Russo risponde, secondo la sua tesi che ho riportato ad inizio

del capitolo, sottolineando che la distruzione da parte dei romani degli stati

ellenistici, iniziata con la conquista di Siracusa e l’uccisione di Archimede nel

212 a. C. portò secoli di ignoranza. I romani si disinteressarono delle

conoscenze scientifiche anche per la mancanza di basi culturali per

comprenderle: molti di questi antichi libri capitarono nelle mani dei Romani che

però non riuscirono a seguire la logica delle argomentazioni, eliminavano i nessi

logici e li sostituivano con connessioni arbitrarie che puntavano a diffondere un

senso di meraviglia per catturare il lettore e per non metterlo in difficoltà con un

linguaggio troppo tecnico. Per capire questo fenomeno Lucio Russo fa molti

esempi tra i quali né ho scelto che illustra bene questo concetto. Egli si rifà ad

alcune fonti attendibili confrontando due autori che in epoche diverse affrontano

lo stesso argomento: Plinio48 dedicò molte pagine alla descrizione della vita

delle api, in tali pagine egli sostituisce completamente le complesse

argomentazioni della sua fonte ellenistica con una spiegazione quantomeno

originale e fantasiosa: “ogni cella è esagonale perché ognuna delle sei

zampette ha fatto un lato”. Pappo49 invece dà una spiegazione molto più

rigorosa e razionale interpretando infatti correttamente quei testi, secondo cui le

api risolvono un problema di ottimizzazione.

Un’altra causa del disinteresse dei romani è attribuibile anche secondo

l’idea di Giulio Preti, al fatto che le grandi innovazioni tecniche non servivano.

48 Conosciuto come Plinio il Vecchio (Como, 23 d.C.-odierna Castellammare di Stabia, 24 agosto 79 d.C.) fu scrittore, scienziato, naturalista, erudito, acuto osservatore e storico romano, amava descrivere le cose in diretta, dal vivo, un vero cronista dell'epoca, perse infatti la vita tra le esalazioni solfuree dell'eruzione vulcanica del Vesuvio, che distrusse Ercolano e Pompei, mentre provava ad osservare il fenomeno vulcanico più da vicino. 49 Pappo di Alessandria fu uno dei più importanti matematici del periodo tardo ellenistico. Vissuto in un periodo di decadenza degli studi geometrici, è stato sicuramente il maggior cultore della geometria dei suoi tempi. Della sua vita si conosce ben poco e anche le date della sua nascita e della sua morte sono assai incerte, Sembra accertata solo la data del 320. Si ritiene inoltre che fosse un insegnante.

77

Roma era una città parassita che viveva sul lavoro svolto dagli schiavi. Uno

degli aneddoti tramandato fino ad oggi da Svetonio spiega benissimo la

situazione: narra che l’imperatore Vespasiano si rifiutò di far installare un

paranco idraulico dicendo di non voler togliere il sostentamento al popolino

romano.

Perciò a causa di questo disinteresse da parte dei nuovi conquistatori la

maggior parte dei testi originari è andata perduta. Molte delle loro teorie e dei

risultati delle loro ricerche vennero ripresi, riprodotti e riassunti da autori

dell’epoca imperiale, molti dei quali purtroppo non avevano più la possibilità di

comprendere fino in fondo gli algoritmi e i ragionamenti che erano stati

impiegati né tanto meno ripetere gli esperimenti sui quali quei risultati si

basavano. Alcuni come già detto, trasformavano i testi cogliendo quelle

argomentazioni che più riuscivano a suscitare stupore, altri invece, come ad

esempio, nel II secolo d.C. il più celebre astronomo dell’antichità Tolomeo

utilizzarono dopo qualche secolo di cessazione dell’attività scientifica, i dati

osservativi di Ipparco50 e Aristarco, senza più essere in grado di ricalcolare i

valori dei parametri da essi utilizzati. Così come si può affermare che l’insieme

di viti, ingranaggi, eliche, stantuffi, ecc descritta da Erone vissuto nel I secolo

d.C. sia tratta da opere ellenistiche.

Russo conclude quindi che le testimonianze delle opere scomparse,

redatte molti secolo dopo e giunte fino a noi, risultano gravemente inadeguate

perché incomplete, approssimative e spesso male interpretate. Può essere che

i posteri abbiano selezionato quei testi privilegiando e quindi tramandando a

noi, solo quelle opere che erano scritte in un linguaggio per loro ancora

comprensibile.

Una conseguenza immediata di questa selezione è stata la rimozione

dell’ellenismo da parte della cultura moderna. Quello che è giunto fino a noi può

essere considerato solo la punta di un iceberg, una punta che può non essere

del tutto attendibile. Russo attribuisce anche delle colpe agli studiosi

dell’antichità che, appartenendo per la maggior parte all’area della cultura 50 Ipparco di Nicea (190 a.C.–120 a.C.) è stato un astronomo, matematico e geografo greco.

78

umanistica erano privi degli strumenti concettuali per analizzare i testi rimasti. I

moderni non fecero altro, almeno nella fase iniziale, che riappropriarsi delle

conoscenze che venivano alla luce dal ritrovamento di alcuni dei testi lasciati

dai greci ellenisti. Secondo Lucio Russo il più famoso tra gli intellettuali attratto

da queste novità è senza dubbio Leonardo da Vinci che riuscì a ripresentare

alcune delle idee contenute negli antichi testi. Tuttavia i disegni di Leonardo

raffiguravano in genere oggetti irrealizzabili ai suoi tempi perché mancava la

tecnologia corrispondente. Secondo l’autore non si trattava di una capacità di

anticipazione ma bensì l’origine di quei disegni era da ricercare in un’epoca in

cui la tecnologia era stata molto più avanzata.

Anche per Galileo e lo stesso Newton si possono rintracciare numerosi

legami con la scienza degli antichi scienziati. Galileo viene spesso

rappresentato come il fondatore di un metodo nuovo senza precedenti storici

mentre “va sottolineato che in Galileo l’obiettivo di recuperare la scienza

ellenistica è del tutto chiaro e esplicito. Egli è in grado di usare le tecniche

dimostrative euclidee e l’algebra geometrica mentre non riesce a comprendere

del tutto il cosiddetto metodo di esaustione”51

1.2 La rimozione della rivoluzione scientifica

Sappiamo oggi che la scienza svolge nella realtà in cui viviamo un ruolo

veramente importante che noi tutti le riconosciamo. Ciò ci fa credere che la sua

nascita venga considerata un nodo fondamentale nella storia dell’umanità. In

realtà l’importanza di tale argomento non è così facilmente riconosciuta. Nei libri

di storia antica non si parla di scienza ellenistica. È più facile, dice Russo,

trovare notizie su Archimede o Aristarco di Samo in un’opera del Rinascimento

che in un libro sulla civiltà classica, egli definisce tale atteggiamento “una forma

di rimozione dell’ellenismo”. L’Autore ci invita a pensare a tre dei maggiori

esponenti della cultura ellenistica: Euclide, Archimede e Erofilo. Cosa sappiamo 51 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 13

79

noi moderni di loro? Alcuni potranno dire di averne sentito parlare a scuola,

compresa io, ma…Di Erofilo praticamente non si sa nulla, ci sono pochissime

fonti che parlano della sua attività quale scienziato. Di Archimede ricordiamo

solo che faceva cose strane: correva nudo gridando Eureka!, immergeva

corone nell’acqua e disegnava figure geometriche mentre stavano per

ucciderlo. Con Euclide il processo è inverso: invece di respingerlo nella

leggenda e nell’aneddottica egli viene privato di ogni connotazione storica, si

guarda la geometria euclidea come se fosse un dato che da sempre

accompagna l’umanità.

Un altro meccanismo di rimozione della rivoluzione scientifica

nell’ellenismo consiste nell’attribuire le scoperte, scientifiche e tecnologiche, agli

Antichi senza specificare, quindi la scoperta del diametro della Terra è attribuita

agli antichi, gli antichi avevano scoperto il principio dell’idrostatica, nell’antichità

vi era stato un precursore di Copernico…

Diventa difficile inquadrare storicamente fatti e personaggi del III secolo a.C.

per la nostra profonda ignoranza di questo periodo che ha portato quasi alla

sua cancellazione dalla storia.

La tradizione ci ha conservato la storia della Grecia classica e

dell’ascesa di Roma ma del periodo intermedio c’è poca documentazione. Ciò è

dovuto al ritorno della civiltà ad uno stadio pre-scientifico e al fatto che quasi

tutti gli scritti dell’epoca ellenistica sono andati perduti. La gravità della

distruzione delle opere ellenistiche è stata negli anni sottovalutata. Si pensi

all’importanza del ritrovamento e recupero del libro di Archimede Sul metodo da

parte di Heiberg52 nel 1906. lo storico ritrovò, nascosta in una biblioteca di un

monastero ad Istanbul, una pergamena medievale contenente le copie delle

opere di Archimede. Due di esse erano fino ad allora sconosciute: uno era

proprio il testo Il metodo e l’altro era un frammento del trattato Stomachino.

La pergamena si presume fosse stata scritta nel X secolo a Costantinopoli. Nel

1204, i monaci, forse per la mancanza di carta vista la Quarta Crociata che 52 Il personaggio cui va il merito principale della resurrezione e della riscoperta di Archimede fu il danese Johan Ludvig Heiberg (1854-1928). Grazie a lui disponiamo non solo di molti importanti testi archimedei, ma anche di edizioni critiche delle opere di Euclide e di Apollonio di Perge.

80

aveva indebolito le risorse di Costantinopoli, avevano riutilizzato la pergamena

cancellando il testo del matematico e riciclando il libro come volume di

preghiere cristiane. Il palinsesto, così viene definito un documento la cui

superficie è stata erosa e riutilizzata, venne riportato alla luce da Heiberg che,

inizialmente con una lente d’ingrandimento riuscì a leggere il documento

sottostante. Prima che altri si potessero interessare a questo importante

ritrovamento, la pergamena venne rubata e di lei si persero le tracce per più di

otto decenni. Improvvisamente nel 1998, il palinsesto di Archimede è

ricomparso da una collezione privata e il proprietario la mise a disposizione

degli studiosi. Questo episodio dimostra come le opere e la conoscenza di un

autore siano vincolate da molti fattori.

In genere la selezione dei posteri privilegia le compilazioni, i libri che

usano un testo semplice (questo forse non era il caso del libro di Archimede):

abbiamo il manuale di Varrone sull’agricoltura e di Vitruvio sull’architettura ma

non le loro fonti ellenistiche, si è conservato il trattato di Erone sugli specchi ma

non quello che era stato scritto da Archimede sullo stesso argomento, forse di

non immediata spendibilità pratica.

Potremmo provare a giustificare la nostra ignoranza con il fatto che fino a

poco tempo fa non erano stati effettuati alcun tipo di scavi di centri dell’Egitto

tolemaico. Anche nel caso di Alessandria i resti sommersi della città hanno

iniziato ad essere esplorati solo nel 1995.

Forse deve far riflettere come alcune scelte possono far cambiare il

corso della storia e la nostra idea della storia e dei fatti accaduti, seppellire

l’importanza di alcuni personaggi per anni o anche per sempre.

1.3. Lo sviluppo delle scienze

Il particolare ambiente dell’età ellenistica creò i presupposti su cui

poterono fiorire e progredire le discipline particolari, dalla matematica alla

geografia, dall’astronomia alla biologia, dalla medicina alla botanica.

81

Tutto questo rigoglio delle discipline particolari si accompagna ad una forma di

divisione del lavoro e di professionalismo, che portò al fenomeno della

«specializzazione», alla divisione del sapere in una molteplicità di branche

coltivate con competenza da una serie di specialisti dei relativi campi

d'indagine. Questo processo portò anche alla netta separazione con la filosofia.

Mentre nell'età classica della cultura greca i grandi filosofi (vedi Platone ed

Aristotele) trattavano anche di matematica, fisica e scienze naturali, e lo

scienziato era sempre anche un filosofo, nell'età ellenistica i filosofi trascurano

le indagini scientifiche restringendo i loro interessi alle interpretazioni generali

dell'universo, della conoscenza e della morale, mentre gli scienziati

manifestano la propensione ad occuparsi di problemi specifici, al di fuori dal

discorso filosofico.

La scienza matematica

La scienza matematica nasce nel periodo ellenistico. Giulio Preti infatti

sostiene che la scienza che ad Alessandria raggiunse i più alti livelli fu la

matematica che lasciò in eredità ai posteri una cospicua quantità di metodi e

conoscenze.

Naturalmente la matematica non nacque dal nulla: viene riconosciuta

una prima fase lunghissima in cui si svilupparono le conoscenze babilonesi e

dell’Egitto faraonico ed una seconda fase che durò duecentocinquanta anni

risalente al periodo della Grecia classica. Nella pratica ellenistica della

matematica tre erano le attività considerate inseparabili per risolvere i problemi:

il ragionamento deduttivo, il calcolo e il disegno. Per il calcolo, i greci usavano

gli abbaci ma soprattutto il più utile strumento di calcolo era fornito dalla

geometria. Infatti ogni problema veniva posto in un linguaggio geometrico,

rappresentando i dati con lunghezze di segmenti. Gli strumenti usati erano

soprattutto riga e compasso, il loro uso offriva numerosi vantaggi: il margine di

errore era relativamente piccolo ed erano facilmente riproducibili.

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Tra i tanti scienziati dimenticati, nella matematica e nella geometria il

primo posto spetta ad Euclide53 che con i suoi Elementi sistemò in maniera

rigorosa e sistematica il pensiero matematico greco, fornendo un impianto

scientifico durato nei secoli. “essi sono un compendio di tutta la geometria

elementare antica, disciplina in cui i secoli successivi avranno ben poco da

aggiungere”54 Altro nome illustre fu Apollonio di Perga55, di cui ci sono

pervenute le Sezioni coniche nelle quali, fra l’altro, creò i termini tecnici di

ellisse, parabola e iperbole. Matematico, oltre che ingegnere ed inventore, fu

anche Archimede su cui mi soffermerò più al lungo nel capitolo successivo. Le

sue scoperte nelle varie discipline, come gli studi sulla quadratura del cerchio e

i principi dell’idrostatica, e le applicazioni tecniche nell’ingegneria possono

essere considerati capolavori di prima grandezza nella storia della scienza. Fra

i matematici e ingegneri dell’età ellenistica va anche ricordato Erone di

Alessandria56.

La meccanica, l’idrostatica e pneumatica La meccanica, letteralmente la scienza delle macchine57, nel periodo

ellenistico assunse l’assetto caratteristico delle teorie scientifiche. Tra gli

scienziati più brillanti nello studio dei fenomeni meccanici ricopre un ruolo

importante Archimede con il suo studio della legge della leva e la ricerca di

baricentri di figure piane. Purtroppo è rimasto davvero poco degli scritti teorici

dell’epoca sull’argomento, in particolare di quelli di Archimede. Gli studiosi però

hanno potuto ricostruire alcune caratteristiche della meccanica del III secolo

a.C. integrando la lettura del trattato di Archimede sopravvissuto con le notizie

delle macchine effettivamente realizzate e la lettura di trattati posteriori di 53 Euclide di Alessandria fu un matematico greco, che visse molto probabilmente durante il regno di Tolomeo I (367 a.C. ca.-283 a.C.). Euclide è noto soprattutto come autore degli "Elementi", la più importante opera di geometria dell'antichità; tuttavia di lui si sa pochissimo. 54 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 71 55 Apollonio di Perga o Apollonio di Perge (262 a.C. ca. - 190 a.C. ca.) fu grande geometra e astronomo greco. Di lui sopravvivono solo due opere: Separazione di un rapporto e Coniche. 56 Erone di Alessandria, chiamato anche Erone il vecchio, è un matematico e ingegnere greco del I secolo. Al suo ingegno si devono molte invenzioni tra cui la macchina di Erone (porta automatica) e la pompa. Fu inoltre autore di testi di geometria. 57 L’etimo di macchina è la mola (macina).

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secoli. Ad esempio la collezione di Pappo e le opere di Erone, come La

meccanica, in cui descriveva macchine semplici come l’argano, la puleggia,

cunei, viti e la leva. Un problema meccanico dell’epoca può essere il seguente:

voglio sollevare un peso P a un’altezza h. invece di farlo direttamente si può

usare una macchina che sollevi il peso se agisco con una forza. Naturalmente

gli uomini avevano incontrato da sempre questo genere di problema e già dal

paleolitico si era riusciti a risolverlo. Ma il salto di qualità permesso dalla

scienza consiste nel fatto che si impara a calcolare teoricamente il vantaggio

meccanico e si ha quindi una progettazione teorica della macchina. Sappiamo

infatti da Pappo e da Plutarco che Archimede aveva risolto il problema di

sollevare un dato peso con una forza assegnata. Grazie forse ancora ad

Archimede fu introdotto per la prima volta l’elemento tecnologico che ancora

oggi usiamo per risolvere problemi dello stesso tipo: la ruota dentata. Anche

nell’idrostatica il contributo di Archimede supera tutti gli altri, mentre nella

pneumatica dobbiamo a Empedocle58 il primo chiaro riferimento al concetto di

pressione atmosferica. Le prime testimonianze certe sulla pneumatica, intesa

come scienza dei fluidi comprimibili la dobbiamo invece a Ctesibio di

Alessandria che scrisse due opere su questo argomento: una più teorica

Dimostrazioni pneumatiche e una di carattere applicativo. Purtroppo nessuna

delle opere di Ctesibio si è conservata perciò la nostra conoscenza di tale

antica scienza è basata essenzialmente sulla Pneumatica di Filone da Bisanzio

che fu continuatore di Ctesibio.

L’astronomia

“Accanto alle matematiche pure, l’altra grande scienza esatta in cui

eccelse il genio scientifico dell’età alessandrina fu l’astronomia”59.

Anche nel campo dell’astronomia si ebbero sensazionali scoperte. C’era

una sentita correlazione tra l’astronomia e l’astrologia non per nulla, astronomi

del calibro di Claudio Tolomeo scrissero anche manuali di astrologia. Da 58Empedocle, filosofo greco, ma anche scienziato, uomo politico, oratore, medico e taumaturgo, nacque ad Agrigento il 492 a.C. circa e morì probabilmente nel 430 a.C.. 59 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 78

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Archimede sappiamo che Aristarco di Samo, operante nella prima metà del III

sec. a.C., giunse a concepire un sistema eliocentrico, contemplante la terra che

gira sul suo asse e intorno al sole, una semplice ipotesi per quei tempi. Ebbe

anch’essa scarsa fortuna presso i posteri, con l’eccezione di Seleuco60, attivo

alla metà del II secolo a.C. Una tradizione scientifica troppo chiusa a nuove

idee e l’influenza della religione in questo campo, concorsero a decretare

l’insuccesso di questa rivoluzionaria teoria rispetto al sistema tolemaico,

formulato ufficialmente nel II sec. d. C. e destinato a resistere fino alla

rivoluzione copernicana. Di Aristarco ci rimane per tradizione diretta un trattato

Sulle dimensioni e le distanze del sole e della luna. Innegabile punto di

partenza per gli studi di Claudio Tolomeo – attivo in età romana - fu la

catalogazione di circa 850 stelle da parte di Ipparco di Nicea, uno dei più grandi

geografi del mondo antico.

Le scienze mediche

La novità essenziale della medicina ellenistica sia per Russo che per

Preti, dopo la liberazione della stessa dalle pratiche magico religiose, la

creazione dell’anatomia e della fisiologia basate sulla dissezione del corpo

umano a opera di Erofilo di Calcedone (attivo intorno al 300 a.C. e vissuto ad

Alessandria, dove diresse un’importante scuola medica) ed Erasistrato di Ceo,

suo allievo. Purtroppo però nessuno dei trattati dei due medici si è conservato

fino a noi: la tradizione ha privilegiato ancora una volta le opere ancora

comprensibili durante il medioevo. Erofilo viene in genere considerato il

fondatore dell'anatomia: escludendo le considerazioni "filosofiche" sul corpo

umano, sulla sua struttura e sulle sue finalità, e praticando ampiamente la

dissezione, Erofilo studiò a lungo l'anatomia del cervello, descrivendone

accuratamente le varie parti (il ventricolo, il calamo) e il sistema nervoso

centrale. Ciò lo portò a rigettare la tesi cardiocentrica aristotelica ed a

considerare il cervello come il centro del pensiero, della sensibilità e dei

60 Seleuco (Seleucia sul Tigri,190 a.C. –II secolo a.C.) è stato un filosofo e astronomo greco. È l'unico studioso noto che si dichiarò ufficialmente sostenitore della teoria eliocentrica di Aristarco.

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movimenti. La sua grande pratica di anatomico lo portò a distinguere fra vasi

sanguigni e nervi, tra tendini e nervi - distinzione ancora non ben chiara al suo

tempo - e, per i nervi, tra nervi sensori e nervi motori. Descrizioni accurate dette

pure dell'anatomia degli organi genitali, dell'occhio e delle varie parti

dell'intestino: ancora oggi sono in uso alcuni nomi da lui introdotti, come per

esempio il duodeno.

Egli diede contributi dello stesso livello descrivendo le cavità del cuore, le

valvole cardiache e il sistema respiratorio. Particolare attenzione Erofilo la

dedica allo studio dell’occhio, unico organo al quale sappiamo lui abbia

dedicato un trattato specifico. Lo stesso Lucio Russo commenta giustamente:

“si può immaginare che se uno studioso di anatomia o fisiologia potesse

leggere le opere di Erofilo proverebbe una sensazione in parte analoga a quella

che un matematico prova leggendo Euclide o Archimede, al di là delle

differenze con le conoscenze attuali, li riconoscerebbe come trattati della

propria disciplina”61. Erofilo fu il primo medico che descrisse i sintomi delle

malattie mentali e si occupò anche di medicina in senso stretto cioè di

patologia, diagnostica e terapeutica. L’avvicinarsi alla medicina scientifica

comunque non fu un fenomeno attribuibile solo a Erofilo, una personalità

isolata. Il moltiplicarsi delle conoscenze portò alla specializzazione dei medici e

alla fondazione di numerose scuole non solo ad Alessandria.

Il più grande degli allievi di Erofilo, Erasistrato di Ceo (310-250 a.C.

circa), continuò e perfezionò gli studi anatomici del maestro, ma fu soprattutto

un fisiologo e un patologo. Distinse il cervello dal cervelletto e studiò anche le

circonvoluzioni della corteccia cerebrale e, dopo averne notato la diversità nei

vari animali e nell'uomo, le mise in relazione con il grado d'intelligenza

dell'individuo. Probabilmente Erasistrato compì anche alcuni esperimenti di

fisiologia, distinguendo la diversità di funzione tra le radici anteriori dei nervi

spinali (che portano l'impulso motore ai muscoli) e quelle posteriori (che portano

al midollo gli stimoli ricevuti dalla periferia): intuì così una verità che sarà

dimostrata soltanto nel secolo scorso 61 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 171

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La tecnologia scientifica

Purtroppo le informazioni disponibili sulla tecnologia scientifica sono

davvero limitate, frammentarie e di non facile interpretazione nonostante le

notizie recuperate con gli ultimi scavi archeologici. Possiamo attribuire questo

fatto in parte allo scarso interesse per la tecnologia delle epoche successive in

cui furono selezionate le fonti attualmente disponibili. Un papiro ritrovato nel II

secolo a.C. contiene un elenco di uomini che avevano raggiunto il vertice della

fama in vari campi. Gli ambiti selezionati dall’anonimo scrittore furono:

legislatori, pittori, scultori, architetti e meccanici. Ciò dimostra il crescente

interesse per l’ingegneria meccanica: la nascita di tale scienza fu

accompagnata dallo sviluppo delle capacità di progettazione e realizzazione di

una svariata quantità di macchine diverse: poter usare una serie di nuovi

elementi tecnologici di base quali viti e ruote dentate e la possibilità di calcolare

teoricamente i vantaggi meccanici potenziarono enormemente questo ambito.

Anche la tecnologia militare subì un forte incremento qualitativo e quantitativo.

Fino ai giorni nostri è stata diffusa acriticamente l’idea che le macchine di

Archimede fossero l’unico esempio di impegno nella tecnologia militare. In

realtà queste vanno semplicemente inquadrate nell’ambito dei progressi

realizzati sin dall’inizio dell’epoca ellenistica: si progettarono e costruirono

catapulte, arieti, tanto che nella stessa epoca cambiò la tecnica di fortificazione

delle città. Anche nell’ingegneria navale si ebbero notevoli cambiamenti di cui

però non abbiamo molte fonti. Sappiamo però che vi fu una vera e propria gara

a costruire navi sempre più grandi. L’aumento delle dimensioni caratterizzò sia

le navi belliche, su cui si potevano collocare grandi catapulte che le navi

mercantili. La scarsa informazione che circonda l’ingegneria navale è in parte

causata forse dal fatto che ad esempio a Rodi, ma probabilmente anche in altre

città, era prevista la pena di morte per chi spiava nei cantieri navali.

Un’applicazione della tecnologia ellenistica alla navigazione fu la costruzione

del faro di Alessandria. Anche se non è direttamente dimostrabile l’intervento di

scienziati nella progettazione del faro non è certo casuale che il primo sia sorto

87

proprio in quella città. L’installazione del Faro, visibile da circa 47 km, fu

considerato così utile che sorsero altri fari in tutti i porti più importanti del mondo

ellenizzato. Anche l’ingegneria idraulica compiva in questo tempo, i primi passi

ciò è osservabile grazie ai ritrovamenti archeologici del XX secolo. Gli scienziati

si concentrarono molto sullo studio di tecnologie per il sollevamento dell’acqua:

la macchina più antica documentata risale al 2300 a.C. in Mesopotamia ma è in

epoca ellenistica che appaiono dispositivi completamente nuovi. Il mondo antico

non conoscerà progressi in questo settore nell’epoca successiva. Nelle nuove

macchine non solo l’acqua sollevata è nettamente maggiore ma soprattutto

l’azione necessaria viene automatizzata ovvero l’uomo viene sostituito con un

moto di rotazione continuo che può essere fatto da un animale o da un’altra

fonte naturale di energia, ad esempio il vento.

La più famosa documentazione scritta sulla tecnologia ellenistica è costituita

dalle opere di Erone, vissuto nel I secolo d.C. e definito da Preti “vero e proprio

ingegnere nel senso moderno del termine”62 L’uso spesso ludico della

tecnologia da parte di Erone, che ad esempio aveva costruito il primo

distributore automatico (introducendo una moneta la macchine versava una

quantità precisa di liquido) ha portato ad una interpretazione fuorviata della sua

testimonianza. Erone, visto per quello che appare oggi, ovvero un compilatore

privo di originalità, non può essere l’inventore di tutte quelle macchine che lui

descrive nei suoi libri. Alcuni indizi fanno credere che Erone descriva una

tecnologia antica che ai suoi tempi era già in parte andata perduta.

L’eccezionale trasmissione delle sue opere attraverso le civiltà pre-scientifiche

che si sono succedute, in parte è attribuibile all’aspetto ludico e stupefacente

dei dispositivi descritti. La rivoluzione scientifica europea si è basata in modo

essenziale sui dispositivi descritti nelle opere ellenistiche e in particolare quelle

di Erone.

1.4. Decadenza e fine della scienza 62 G. PRETI, Storia del pensiero scientifico, Oscar Mondadori, Vicenza 1975, p. 84

88

La scienza e più in generale la società ellenistica, dopo essersi

sviluppata in modo straordinario nel III secolo a.C. entrò in crisi nel secolo

successivo: non ci fu un incremento a livello scientifico delle conoscenza ma

soprattutto il metodo scientifico venne bandito. Le lunghe guerre tra Roma e gli

stati ellenistici costituirono forse l’ostacolo più serio dell’attività scientifica. “Dalla

metà del II secolo a.C. non esistevano quasi più centri culturali ellenistici. Per

qualche tempo aveva svolto un ruolo importante Rodi, ma il suo ruolo

economico nel II secolo a.C. fu drasticamente ridimensionato dai Romani che la

saccheggiarono nel 43 a.C. le guerre si concluserono infine nel 30 a.C. con la

conquista di Alessandria, che completò l’incorporazione di tutto il mondo

mediterraneo nel dominio di Roma”63.

La raffinata cultura di alcuni intellettuali romani fu resa possibile proprio

dal continuo contatto con la civiltà ellenistica attraverso quegli uomini deportati

come schiavi e i libri e le opere d’arte depredati. Occorsero però per questo

effetto diverse generazioni. Molte delle più importanti e fiorenti biblioteche

ellenistiche furono distrutte e incluse nel bottino di guerra. Libri, opere d’arte

confiscate, vennero usate per ornare le ville dei generali vincitori. La fine delle

biblioteche, che erano state per anni il punto di riferimento della cultura anche

scientifica, ebbe certamente un non trascurabile impatto ed effetto sulla crisi

della scienza così come la nuova moda diffusa presso i romani di comprare

quei Greci dotti e colti come schiavi da usare come lettori, pedagoghi e copisti

ma non come studiosi cui permettere di continuare la loro opera.

1.5. I rinascimenti

La sopravvivenza di una parte della cultura nata nell’era ellenistica è

attribuibile ad una serie di rinascimenti che in aree geografiche diverse

riaccesero in alcuni periodi diversi, l’interesse per le antiche conoscenze: 63 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 380

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- il primo riguardò la ripresa degli studi avvenuta in epoca imperiale

- secondo risale alla prima metà del VI secolo d.C.

è importante dire che il livello di originalità di alcuni autori di tale epoca è

pressocchè nullo. Ad esempio il commento di Eutocio64 ad Archimede è per noi

“moderni” molto importante come unica fonte su diverse opere matematiche

ellenistiche ma non è originale.

- terzo il rinascimento islamico. L’Islam si interessa di scienza a partire dal

VIII secolo con la traduzione degli Elementi di Euclide. Agli islamici è

chiaro lo stretto legame tra scienza e tecnologia

Ma il rinascimento per antonomasia si fa iniziare nel Trecento quando alcuni

scritti greci provenienti da Costantinopoli giunsero in Italia. Gli intellettuali

rinascimentali non erano in grado di capire le teorie scientifiche ellenistiche ma,

come bambini curiosi, erano attratti dai singoli risultati in particolare da quei

disegni di dissezioni anatomiche, dagli ingranaggi, dalla prospettiva,

dall’idraulica, dalla fusione di grosse statue di bronzo, dalle macchine belliche. Il

più famoso tra gli intellettuali attratti da tutte queste novità fu Leonardo da Vinci.

Egli riuscì con il suo genio a trascendere la cultura del suo tempo e immergersi

creativamente in un lontano passato. Fu nel 1543 che Copernico riprese la

teoria eliocentrica di Aristarco per verificare il geocentrismo imperante. Si

accese l’interesse per lo studio dell’astronomia e della geografia matematica

ma non solo: nel cinquecento vi fu grande interesse anche per altri elementi

della cultura ellenistica come gli studi dell’anatomia.

Il problema più grande causato dai rinascimenti è dato dal fatto che ogni

recupero di antiche conoscenze aveva comportato una certa perdita di altre.

“L’assimilazione di antiche idee consiste infatti nel trasferirle nel linguaggio della

propria cultura riversandole in opere che tendono a sostituire quelle originali

che vengono spesso dimenticate”65 infatti ciascuno dei rinascimenti aveva

64 Eutocio di Ascalona fu un matematico greco vissuto nella prima età bizantina. Sappiamo poco della sua vita. Nato ad Ascalona verso il 480. Si pensa sia morto intorno al 540. Non conosciamo risultati originali di Eutocio. Di lui ci restano commentari ai primi quattro libri delle Coniche di Apollonio di Perga e alle seguenti opere di Archimede: Sull’equilibrio delle figure piane; Sulla sfera e il cilindro; Sulla misura del cerchio. 65 L. RUSSO, La rivoluzione dimenticata, Feltrinelli Editore, Milano 2006, p. 398

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portato ad una parziale sostituzione di opere precedenti su particolari argomenti

tecnici con opere più moderne, in molti casi di livello inferiore, a volte limitando

la diffusione delle opere più antiche a volte provocandone la scomparsa

definitiva.

2. Il ruolo della biblioteca d’Alessandria nello sviluppo della cultura ellenistica

La scienza ellenistica viene spesso definita anche con l’espressione

“alessandrina” perché ebbe il suo centro principale ad Alessandria d’Egitto, polo

culturale di prima grandezza nel panorama del mondo allora conosciuto. La

città Alessandria d’Egitto fu fondata sulle coste del Mediterraneo per volere di

Alessandro Magno tra il 332 e il 331 a.C., fu la prima delle 32 città con questo

nome. “Di Alessandria si dice che formasse un rettangolo quasi perfetto, tra il

mare e il lago Mareotide. Di questo spazio un quarto era occupato dalla

reggia… già Alessandro l’aveva voluta grandiosa e poi ogni sovrano vi ha

aggiunto un nuovo edificio o un nuovo monumento” 66. Uno dei motivi di tale

supremazia fu certamente la politica dei primi Tolomei: particolarmente

importante fu l’opera di Tolomeo I Soter (che regnò dal 323 al 283) e Tolomeo II

Filadelfo (che regnò dal 283 al 246). Tolomeo I Soter fu il primo re dell’Egitto

ellenistico, la sua nomina è in parte dovuta alla grande amicizia che lo legava a

Alessandro Magno in quanto era stato per lunghi anni suo generale. Egli scelse

come suo erede non il figlio primogenito ma il figlio avuto con la seconda moglie

Berenice, proprio Tolomeo II il Filadelfo.

Nonostante la tradizione ne attribuisca il merito a Tolomeo II il Filadelfo,

fu Tolomeo I Soter colui che per primo sostenne e finanziò il progetto della 66 L. CANFORA, La biblioteca scomparsa, Sellerio Editore, Palermo 2004, p. 22

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costruzione della biblioteca ad Alessandria, biblioteca che, nei disegni del

faraone, non solo doveva trasformarsi nel più importante centro di

aggregazione e documentazione per i saggi e i dotti del tempo, ma doveva

contenere all’interno delle sue mura la più grande collezione di libri mai vista

prima, trasformandosi in centro di raccolta di tutta la conoscenza umana. Il

progetto era ambizioso, ma non irrealizzabile se è vero che già sotto Ramses II,

circa mille anni prima, esisteva una biblioteca che raccoglieva qualcosa come

20.000 rotoli di papiro, una cifra esorbitante per l’epoca. I lavori per la

costruzione della nuova biblioteca iniziarono intorno al 290 a.C., sotto la

supervisione di Demetrio Falereo (350-285 a.C.), singolare personaggio

cerniera tra Atene e Alessandria: oratore, studioso di problemi etici filologici e

retorici, fu discepolo e amico di Teofrasto. Entrato nella cerchia del faraone, fu

in realtà proprio Demetrio l’ideatore e l’iniziatore della costruzione della

biblioteca, appoggiato da Tolomeo I e aiutato, nel suo lavoro di raccolta del

materiale, da un gran numero di filologi, scribi, dotti. Ogni tanto il re passava in

rassegna i rotoli, “quanti rotoli abbiamo?” chiedeva. E Demetrio lo aggiornava

sulle cifre. Avevano stabilito che, per raccogliere ad Alessandria i libri di tutti i

popoli della terra fossero necessari in tutto 500 mila rotoli. Demetrio scriveva al

suo sovrano dei resoconti, in uno di questi egli illustrava l’opportunità di

acquisire anche “i libri della legge giudaica”. A lui dunque si deve l’avvio della

traduzione in greco dell'Antico Testamento, la famosa Septuaginta o "Bibbia dei

Settanta".

Tolomeo II il Filadelfo fu il continuatore dell’opera iniziata dal padre e

colui che maggiormente contribuì all’ampliamento dell’archivio e dei testi

presenti nella biblioteca. Secondo Galeno, fu proprio il Filadelfo a creare il

cosiddetto “fondo delle navi”: in pratica, sempre secondo quanto riportato da

Galeno, il sovrano ordinò che tutti i libri presenti sulle navi che facevano scalo

ad Alessandria (Alessandria era un porto commerciale attivo e rinomato

all’epoca) venissero ricopiati, che gli originali fossero trattenuti e che ai

possessori fossero restituite le copie. Si attribuisce, inoltre, sempre a Tolomeo II

92

l’iniziativa di un appello a tutti i sovrani della terra perché inviassero ad

Alessandria qualunque opera in loro possesso su qualsiasi argomento.

Ad Alessandria, proprio tra le mura della biblioteca, si formò la rinomata

scuola di filologia che poté annoverare tra le sue fila i più famosi studiosi del

tempo: Zenodoto di Efeso, il primo bibliotecario a cui va il merito della divisione

in libri dell’opera di Omero e la sistemazione in ordine alfabetico del patrimonio

librario; Callimaco, che sotto Tolomeo II compilò i Pinakes, ossia i Cataloghi (in

120 libri) in cui ordinò i volumi per settori e generi letterari con ordinamento

alfabetico degli autori. I cataloghi di Callimaco non erano considerati una guida

ma potevano essere utili a chi già fosse esperto: epici, tragici, comici, medici,

storici, retori sono alcune delle categorie a cui si aggiungono le sei sezioni per

la poesia e le cinque per la prosa.

Dopo la direzione di Apollonio Rodio che abbandonò la carica

rifugiandosi a Rodi, nella seconda metà del III secolo a.C. fu a capo della

biblioteca il grande geografo Eratostene, che, a differenza dei predecessori,

contribuì alla crescita delle opere di ambito scientifico.

Fu comunque nella prima metà del II secolo a.C. con Aristofane di

Bisanzio ed Aristarco di Samotracia (la principale fonte della nostra tradizione

omerica) che la lessicografia e la filologia alessandrina toccarono l'apice della

loro fortuna. “Classificavano, dividevano in libri, ricopiavano, annotavano,

mentre il materiale cresceva incessantemente, ed essi stessi coi loro poderosi

commenti contribuivano ad accrescerlo. Pochi, se non loro, conoscevano a

fondo la biblioteca in ogni sua arteria”67.

La biblioteca di Alessandria, si doveva ben guardare dal pericolo

costituito dalla nascita di una nuova biblioteca a Pergamo. Da quando era salito

al trono Eumene, il figlio di Arttalo, era incominciata la caccia ai libri in modi non

del tutto diversi da quelli particati dai Tolomei. La rivalità fra i due centri ebbe

conseguenze pesanti. Molti falsari entrarono in scena, offrivano testi antichi

contraffatti e nella maggioranza dei casi i bibliotecari, se il falso non era subito

evidente erano costretti ad accettare il testo per non avvantaggiare la biblioteca 67 L. CANFORA, La biblioteca scomparsa, Sellerio Editore, Palermo 2004, p. 46

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rivale. Si trattava quindi di abili manipolazioni. La biblioteca di Alessandra e se

vogliamo anche quella di Pergamo, non solo, quindi, fu fondamentale come

luogo di raccolta e di tutela delle opere della letteratura originale greca, ma

anche come laboratorio di cura di quei testi. Insomma, nel giro di pochi anni

essa si trasformò in una vera e propria officina del sapere, in grado di

catalizzare l’attenzione dei nomi più noti del panorama culturale dell’epoca,

aprendo la strada a studi sempre più approfonditi e moderni e trasformando

Alessandria in un vero centro di cultura, alla pari se non superiore alla stessa

Atene.

Le fonti riguardanti la fine della Biblioteca di Alessandria sono contraddittorie ed

incomplete e non permettono di far luce sulla data della distruzione definitiva

della biblioteca.

Il primo imputato della distruzione di alcuni libri fu Cesare: si narra che

nel 48 a.C., durante le guerre alessandrine che videro coinvolto Cesare e il suo

esercito, il patrimonio librario del Museum subì un primo, doloroso attacco. In

seguito ai disordini scoppiati ad Alessandria un incendio si sviluppò nel porto

della città ed avrebbe danneggiato la biblioteca.

Dei sedici scrittori che hanno tramandato notizie dell'episodio, dieci, fra cui

lo stesso Cesare nella Guerra alessandrina, Cicerone, Strabone, Livio, Lucano,

Floro, Svetonio, Appiano ed Ateneo non riportano alcuna notizia relativa

all'incendio del Museo, della Biblioteca o di libri. Sette di questi forniscono

notizie dell'incidente come segue:

- Seneca (49) afferma che furono bruciati 40.000 libri.

- Lucano :racconta nei particolari l’incendio dicendo che si trovavano nei

magazzini portuali per caso circa 40.000 rotoli librari

- Plutarco (c. 117) dice che il fuoco distrusse la grande Biblioteca.

- Aulo Gellio (123 - 169) riporta la notizia di 700.000 volumi bruciati.

- Dione Cassio (155 - 235) informa che furono incendiati i depositi

contenenti grano ed un gran numero di libri.

- Ammiano Marcellino (390) scrive di 70.000 volumi bruciati.

- Paolo Orosio (c. 415) conferma il dato di Seneca: 40.000 libri.

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Di tutte le fonti, Plutarco, nella "Vita di Cesare", è l'unico che parla della

distruzione della biblioteca riferita esplicitamente a Giulio Cesare.

“Poiché è escluso che i depositi del museo si trovassero fuori della

reggia e addirittura fossero sistemati nel porto presso i magazzini di grano, è

superfluo osservare che dunque i rotoli andati in fumo non avessero nulla a che

fare con la biblioteca regia. Mai Orosio parafrasando Livio avrebbe detto che si

trovavano lì per caso. Erano dunque merci. Papiri forse destinati al ricco ed

esigente mercato estero”68.

La testimonianza di una completa distruzione della biblioteca nel corso

della guerra alessandrina sarebbe inficiata non solo dalla discrepanza delle

fonti, ma anche da altri indizi. Ci sono alcune fonti che fanno supporre che la

biblioteca fosse ancora in piedi in tempi più recenti dell'episodio narrato.

Puramente fantasiosa appare un'altra ipotesi, che ha attribuito la fine della

biblioteca alla conquista (pacifica) della città da parte degli arabi musulmani che

avrebbero infierito su quanto sopravvissuto all'attacco di Aureliano. Un

episodio, chiaramente aneddotico e del tutto inattendibile, vuole che il generale

Amr ibn al-Āṣ, incerto su che fare della biblioteca, abbia chiesto un parere al

califfo Omar, massima autorità dell'Islam. Il califfo avrebbe risposto all'incirca:

“In quei libri o ci sono cose già presenti nel Corano, o ci sono cose che del

Corano non fanno parte: se sono presenti nel Corano sono inutili, se non sono

presenti allora sono dannose e vanno distrutte”.69

È invece da ricordare che quella del Serapeo fu distrutta al di là di ogni

dubbio, dagli oltranzisti cristiani guidati dal vescovo Teofilo che intendevano

purgarla del suo sapere pagano.

Con il tempo il Museum e i palazzi ad esso annessi non furono più

ricostruiti e Alessandria iniziò a perdere il suo primato culturale sino a cadere

nel dimenticatoio. La biblioteca aveva rappresentato per secoli un polo di

attrazione e un centro di grandissimo interesse culturale ed era stata in grado di

unire le popolazioni del Mediterraneo sotto il comun denominatore del sapere e

68 L. CANFORA, La biblioteca scomparsa, Sellerio Editore, Palermo 2004, p. 84 69 Ibid p. 92

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della conoscenza. Venuto meno questo suo ruolo, anche la città che la ospitava

perse il suo fascino e fu completamente dimenticata.

Oggi la biblioteca è stata ricostruita. I lavori sono iniziati nel 1995. Il

progetto è stato sponsorizzato dall'UNESCO - l'Organizzazione Culturale delle

Nazioni Unite e finanziato con donazioni arrivate da tutto il mondo sotto forma di

soldi, ma anche di libri. L'edificio è collocato, là dove un tempo sorgeva l'antica

Biblioteca. La Biblioteca possiede più di un milione di testi scientifici, un istituto

per il restauro dei libri antichi, una scuola d'informatica, sale per riunioni e

congressi, un parcheggio sotterraneo. I volumi del Sapere sono disposti su

undici piani, per una superficie di 45.000 mq. Quattro piani sono stati scavati nel

sottosuolo, mentre sette si innalzano verso il cielo. I testi tradizionali sono

conservati nei piani inferiori, nei piani superiori sono disposte le scienze

moderne, l'hight-tech e le discipline spaziali. E' importante rilevare la

disposizione dei volumi, che simboleggia l'incontro tra il passato e il presente,

tra storia antica e moderna, quest'ultima sempre in evoluzione. All'entrata due

musei attendono i visitatori: il primo è dedicato ai quindici reperti archeologici

scoperti durante la realizzazione delle fondazioni, l'altro museo è dedicato alle

scienze moderne e precisamente all'evoluzione tecnologica.

2. Il grande Archimede

Archimede occupa tra i grandi scienziati dell’età ellenistica che ho già

citato e in genere del passato certamente un posto di primo piano. L’anedottica

che ha sempre circondato la sua figura, congiunta alla scarsissima diffusione

delle sue opere, accomuna Archimede più ai personaggi del mito o della

leggenda piuttosto che ad altri pensatori. La conseguenza più importante di

questo fa si che venga ricordato come un personaggio leggendario al di fuori

della storia dimenticando che si tratta di uno scienziato di cui ci sono rimaste

alcune opere e i cui risultati continuano ad esserci trasmessi lungo tutto l’arco

dei nostri studi.

Non abbiamo notizie certe della vita di Archimede: l’unica data certa è

96

quella della sua morte avvenuta durante la conquista di Siracusa, una delle più

grandi città del mediterraneo nel 212 a.C. Secondo il grammatico bizantino

Tzetze (XII secolo), avrebbe avuto 75 anni. Secondo la maggior parte degli

studiosi quindi nacque nel 287 a.C nel pieno sviluppo dell’epoca ellenistica.

Fu il più grande matematico dell'antichità classica e tra i maggiori

scienziati di tutti i tempi, definito ironicamente credo da Preti “divino”. Dotato di

un intuito prodigioso e audace, egli portava a compimento le sue scoperte

sottoponendole a una logica rigorosa. Mario Geymonat nel suo libro “Il grande

Archimede” dice, descrivendo la sua figura che “visse intensamente legato al

suo popolo e al suo tempo, tanto che il suo impegno nella vita civile ha favorito

la nascita e la conservazione di innumerevoli aneddoti su di lui”70. A oltre

duemila anni di distanza essi sono considerati racconti ancora piacevoli e pieni

di fascino che nel caso dell’insegnamento scientifico possono costituire oggetto

di narrazione ai bambini.. Emblematico, quello tramandatoci nel II secolo d.C.

dallo storico greco Plutarco: “non c'è ragione di non credere a quanto si dice di

Archimede, e cioè che viveva continuamente incantato da una Sirena a lui

familiare e domestica, al punto da scordarsi persino di mangiare e di curare il

proprio corpo. Spesso, quando i servitori lo trascinavano a viva forza nel bagno

per lavarlo ed ungerlo, egli disegnava sulla cenere della stufa alcune figure

geometriche; e appena lo avevano spalmato di olio, tracciava sulle proprie

membra delle linee col dito”. Anche Antonio Favaro nel suo libro dedicato ad

Archimede con l’omonimo titolo afferma che egli ereditò dal padre Fidia che era

un astronomo l'amore per gli studi scientifici, “ai quali però, per giungere,

com'egli fece, a tanta altezza, dovette essere già dalla natura dotato di

eccezionali disposizioni” (Favaro 1923). Il padre prima e i maestri poi, lo

avviarono allo studio “delle matematiche” (Favaro 1923), in particolare verso la

geometria. Così come da Favaro riprende l’aneddoto per cui Archimede: “non

solamente progredisse fin da principio in modo straordinario, ma altresì che ne

fosse in così alto grado invaghito da trascurare per essa qualsiasi altra

occupazione” (Favaro 1923). Infatti, a nient’altro pensava se non a quei suoi 70 M. GEYMONAT, Il grande Archimede, Mario Teti Editore, Roma 2006, p.17

97

studi, e ovunque si ritrovava altro non faceva che tirar linee e disegnare figure

geometriche, “dimenticando talora perfino di prender cibo e di seguire quelle

consuetudini che erano proprie degli uomini del suo tempo: ai bagni, per modo

di esempio, non andava se non condotto quasi per forza, e non si assoggettava

che a contraggenio alle unzioni che allora solevano praticarsi;eppure anche

allora andava tracciando linee e figure nella cenere del vicino focolare, ed unto

che fosse il suo corpo, seguitava sopra sé stesso a segnar figure col dito”

(Favaro 1923).

Non impiegò molto Archimede a imparare tutto ciò che a Siracusa

potesse essere appreso perciò le sue aspirazioni si rivolsero altrove: Archimede

andò a perfezionare i suoi studi ad Alessandria d'Egitto, la capitale intellettuale

dell’età ellenistica che attirava tutte le più brillanti menti dell’epoca. Qui egli si

recò verso il 243 a.C. quando in Egitto regnava Tolomeo Evergete. Da parte

sua Archimede rifiutò di stabilirsi in questo paese, ma ad Alessandria egli

divenne amico degli scienziati della generazione immediatamente successiva al

matematico Euclide.

Nelle introduzioni ai suoi scritti, Archimede, nomina frequentemente

alcuni di essi: Conone, Dositeo, Eratostene. Di Conone in particolare

Archimede fu scolaro e molto affezionato, tanto che “di lui deplora la morte

dichiarandolo il solo dei suoi amici che ancora gli fosse rimasto e lo elogia

considerandolo nelle matematiche il migliore” (Favaro 1923). Lo stesso

Archimede in merito ad alcune proprie opere, che aveva scritto delle quali non

conosciamo l’identità, dice: “Conone morì senza aver avuto il tempo di trovarne

le dimostrazioni ed ha lasciati questi teoremi nella loro oscurità, ma se egli

fosse vissuto le avrebbe indubbiamente trovate e con questa scoperta ed altre

molte avrebbe allargato il campo delle cognizioni geometriche”. Dopo la morte

di Conone71, si rivolse a Dositeo72, al quale dedicò il trattato Sulla sfera e il

71 Conone di Samo è stato matematico e astronomo greco vissuto nel III secolo a.C.. Per effettuare osservazioni astronomiche e meteorologiche, fece molti viaggi e si stablì in seguito ad Alessandria. Fu amico personale di Archimede che ne rimpianse la prematura scomparsa. 72 Dositeo di Pelusio fu un matematico e astronomo greco, allievo di Conone di Samo, attivo ad Alessandria d'Egitto nella seconda metà del III secolo a.C.

98

cilindro e pure Spirali e Conoidi e sferoidi. C’è chi asserisce che Archimede fu in

relazione anche con Eratostene, il quale fu chiamato da Tolomeo Evergete ad

Alessandria per succedere al suo maestro Callimaco nella direzione della

Biblioteca. Egli veniva chiamato “Beta”, dalla seconda lettera dell’alfabeto

greco, perchè giudicato secondo soltanto a Platone, negli studi di grammatica e

di letteratura e non solo. Con questi colleghi Archimede scambiò lettere dalla

Sicilia, sottoponendo loro i propri lavori prima di stenderne la redazione

definitiva, perché li discutessero e gli suggerissero eventuali modificazioni e

perfezionamenti.

È molto probabile che Archimede, dopo quel suo primo viaggio in Egitto

dove aveva “compiuta la sua educazione matematica” (Favaro 1923), vi sia

tornato successivamente. Sono attribuibili a questo secondo viaggio le grandi

imprese di cui gli storici raccontano: da fonti arabe sappiamo che in Egitto

Archimede “costruì ponti e grandi arginature, queste per regolare le feconde

inondazioni del Nilo, quelli per mantenere le comunicazioni fra le città e le

borgate che dalle acque tracimate rimanevano divise e la invenzione più

meravigliosa quella della coclea che avvantaggiò gli Egiziani” (Favaro 1923). Fu

così che il genio di Archimede si rivelò in scoperte importantissime alcune delle

quali forse gli furono interamente assegnate dalla leggenda.

Archimede scriveva le sue opere nel dialetto dorico, allora parlato a

Siracusa (mentre ad Alessandria si usava l'attico), ma la lingua venne

rimaneggiata da chi le ha trasmesse nei secoli successivi. Va ricordato che le

opere di Archimede non avevano uno specifico intento didattico: egli tralascia le

minuzie e spesso affida al lettore alcuni passaggi del ragionamento molto

complessi. Certo lo scienziato siracusano non si accontentava di dare l'ultima

rifinitura a materie in tutto o in parte già note, ma si dedicava con passione a

scoperte e invenzioni innovatrici. Delle sue opere matematiche si dice che: “il

massimo ingegno sovrumano di colui che Galileo chiama “il mio maestro” e che

egli scrive d’aver superato tutti, rifulge in particolar modo nelle opere

Lo conosciamo soprattutto come corrispondente di Archimede di Siracusa, che dopo la morte di Conone gli invia diversi suoi lavori.

99

matematiche, le quali non sono, come quelle di tanti altri geometri dell'antichità,

compilazioni o raccolte: egli è principalmente e soprattutto uno scopritore ed un

inventore, ed i lavori da lui lasciati contengono cose nuove per la massima

parte escogitate e trovate esclusivamente da lui” (Favaro 1923).

Più che raccogliere le sue ricerche in libri d'insieme, egli le distribuiva per

argomento in opuscoli o in lettere che indirizzava a famosi scienziati a cui era

legato da amicizia e che vivevano ad Alessandria. Questo suo modo di

procedere si può paragonare al fare ricerca di molti scienziati attuali che usano

articoli.

Archimede si interessò a vari ambiti della conoscenza, ma oltre per le

opere resta famoso per il suo metodo di esaustione: volendo dimostrare che

una certa area o un certo volume hanno un determinato valore, si presuppone

che abbia un valore maggiore o minore della figura che io immagino. Ciò è

molto vicino al concetto di limite. Le prime notevoli applicazioni del metodo di

esaustione erano state introdotte da Eudosso nel IV secolo a.c. e questo

metodo era stato accolto come un procedimento scientificamente legittimo

all'inizio del III secolo a.c. da Euclide (soprattutto nel XII libro degli Elementi),

ma chi ne fece le applicazioni più brillanti fu appunto Archimede, che riuscì a

dimostrare in questo modo risultati nuovi e inattesi, il che gli ha meritato

l'ammirazione indiscussa dei contemporanei e dei posteri, che hanno

giustamente ritenuto le sue scoperte come l'applicazione logicamente più

impeccabile di tale metodo.

Il siracusano spiegava con inequivocabile chiarezza come egli si valeva,

sì del metodo di esaustione per procurare alle proprie scoperte una base sicura,

ma ricorreva a metodi intuitivi (di carattere misto, matematico e meccanico)

nella fase inventiva. Questa capacità di avvalersi simultaneamente di due

metodi diversi dimostra sia l'agilità mentale del siracusano, sia il suo

atteggiamento nuovo di fronte alla ricerca, che egli considerava come qualcosa

di vivo, non un ammasso di vincoli e catene intersecando sempre pratica e

teoria

100

3.1. L’assedio di Siracusa e la morte di Archimede

Sotto il sapiente regime di Gerone (amico fraterno di Archimede)

Siracusa aveva raggiunto un grado altissimo di sviluppo: il re da una parte

curava le arti della pace e dall’altra non dimenticava di munire la sua capitale in

modo che potesse resistere agli attacchi. Così la sua città oltre ad essere una

tra le più belle del tempo con monumenti e eleganti palazzi pubblici e privati,

era pure una fortezza formidabile. Queste valide opere di difesa, perfezionate

dalle assidue cure del re Gerone, vennero ben presto messe a dura prova:

l’ormai novantenne re morì dopo 54 anni di regno. A raccogliere la sua

successione fu chiamato il nipote, Ieronimo, appena quindicenne che appena

salito sul trono ruppe la tradizione del nonno che s'era mantenuto

costantemente fedele a Roma.

Alla difesa della città aveva pensato Archimede, il quale, mantenutosi

sempre estraneo alle lotte dei partiti, nel momento del supremo pericolo venne

in soccorso dei suoi concittadini con tutte le opere scaturite dal suo genio. Fu

convinto dai consiglieri di Siracusa: “a rivolgere un poco della sua tecnica dalle

cognizioni teoretiche alle cose concrete e a mescolare in qualche modo la

speculazione coi bisogni materiali, così da renderla più evidente ai profani...e a

preparare delle macchine sia da difesa, che da offesa, che potessero servire a

qualunque tipo di assedio l’assedio” (Plutarco, vita di Marcello cap. 14). I

particolari di questa memorabile difesa-assalto sono narrati da Polibio, dallo

stesso Plutarco e da Tito Livio. È da notare quindi, come questo fatto storico sia

rimasto e tramandato nel tempo: si narra di una guerra che vide come

principale protagonista uno scienziato.

Dalle fonti apprendiamo che per poter arrestare il nemico che investiva la

città Archimede aveva provveduto con particolare astuzia alla difesa di Siracusa

sia per terra che per mare: grazie anche alla conformazione del territorio su cui

era sorta Siracusa, Archimede progettò arceri, scorpioncini, catapulte che

mettevano fuori combattimento le navi e i soldati. Per un ulteriore difesa dagli

101

attacchi via mare, Archimede progettò la cosiddetta “mano di ferro” descritta

soprattutto in Polibio.

Tra la serie di congegni studiati da Archimede per difendere la sua città

non si può non citare i famosi specchi ustori che sarebbero stati usati da

Archimede per deviare i raggi del sole e incendiare le navi di Marcello. Sulla

loro effettiva esistenza gli storici della scienza si mantengono scettici. Lo

scetticismo nasce anche dal fatto che nessuno degli storici già citati, cioè nè

Polibio, nè Plutarco, nè Tito Livio ne parlano; e di quelli che lo affermano, ad

esempio Galeno ne scrive come di cosa udita narrare. Nel terzo anno

dell'assedio: la guerra si concluse nel 212 a.C, la città venne perciò dichiarata

provincia romana e l'intera Sicilia venne annessa all'impero romano.

Archimede è legato a tale guerra non solo per aver messo a disposizione

il suo genio per la difesa della città ma anche per un altro motivo: egli venne

ucciso per mano di un soldato romano. Molti autori hanno scritto sulla sua

morte e perciò sono giunte a noi diverse versioni di tale avvenimento. Si narra

che mentre “venivano dati molti disgustosi esempi di furore e di cupidigia,

Archimede, pur nell'enorme scompiglio quale poteva esser quello suscitato nel

panico della città invasa, in mezzo al correre qua e là dei soldati intenti al

saccheggio, era tutto preso da figure geometriche che aveva tracciato nella

sabbia, fu ucciso da un soldato che ignorava chi egli fosse (Tito Livio, Ab urbe

condita). All'assalitore lo scienziato avrebbe gridato: "Non scompigliare i miei

cerchi!" (Noli turbare circulos meos), espressione divenuta proverbiale in

riferimento allo scienziato con la testa fra le nuvole.

Si narra anche che Marcello fosse grande ammiratore di Archimede per

come era riuscito a difendere con i suoi congegni la città, entrando trionfante a

Siracusa avesse ordinato di salvargli la vita (certamente faceva comodo da vivo

e non da morto). Tutte le fonti concordano nel dire che Marcello provasse

grande dolore dopo la morte di quel grandissimo genio e che ordinò che

venisse costruita una tomba degna del suo nome: fece incidere una iscrizione,

come si narrava fosse stato il suo volere, che rappresentava la scoperta di cui

Archimede andava molto orgoglioso. Dalle parole di Plutarco: “un cilindro

102

contenente una sfera, scrivendovi la proporzione che passa tra il solido

contenente e quel contenuto” (Plutarco) morendo Archimede venne risparmiato

dal vedere lo scempio fatto della sua città dai barbari e crudeli vincitori.

Resta comunque il fatto che l'uccisione di Archimede fu una delle pagine

meno gloriose della storia di Roma.

3.2. Ritrovamento della tomba

Certo è che dopo la caduta di Siracusa, il grande matematico fu

dimenticato dagli stessi siracusani e la sua tomba cadde in abbandono Solo nel

75 a.C. Marco Tullio Cicerone, allora questore di Siracusa, riuscì a ritrovare la

tomba nascosta tra arbusti e cespugli, ma ancora sovrastata da quel cilindro e

da quella sfera, che Archimede aveva voluto come monumento funebre:

“quando ero questore scopersi il suo sepolcro, tutto circondato e rivestito di rovi

e pruni, di cui i siracusani ignoravano l’esistenza, anzi escludevano che ci

fosse… un giorno scrutava ogni angolo con lo sguardo e scorsi una collinetta

che non sporgeva molto dai cespugli, su cui stava l’effige di una sfera e di un

cilindro. Subito dissi ai Siracusani si trattasse proprio di quello che cercavo. Si

mandò mola gente con falci e il luogo fu ripulito e sgombrato… così una tra le

più celebri città della Grecia e una volta anche fra le più dotte avrebbe ignorato

l’esistenza del suo più geniale cittadino, se non glel’avesse fatta conoscere un

uomo di Arpino” (Cicerone). L'episodio è raccontato dallo stesso Cicerone in un

brano delle disputazioni Tuscolane.

Il gesto di Cicerone ha quasi il sapore di una riparazione da parte di un

romano per la morte del grande matematico. Gesto che comunque non potè far

rinascere quella scienza ellenistica della quale Archimede era stato il più

celebre esponente. Si sarebbero dovuti attendere quasi due millenni perché la

scienza e la tecnica tornassero a livelli paragonabili a quelli raggiunti nel III

secolo a.C.

103

3.3. Le opere

I contributi noti di Archimede alla matematica, alla geometria e all’astronomia

Sull’equilibrio dei piani: è un’opera divisa in due libri distinti. Nel primo libro

Archimede inserisce i suoi studi sul principio della leva. Già da tempo gli uomini

avevano familiarizzato con l’uso della bilancia e di leve di diversa grandezza ma

Archimede ne illustra con il suo spirito matematico le proprietà con un

importante enunciato: “le grandezze sono in equilibrio se sospese a distanze

inversamente proporzionali ai pesi”. Archimede ha ben presente una bilancia e

cioè un asta sospesa e sostenuta nel suo punto medio, in posizione orizzontale

quando è in equilibrio sulla quale stanno applicati i pesi.

Si narra che re Gerone nel 240 a.C. fece costruire sotto la direzione dello

stesso Archimede la smisurata nave da donare all’Egitto segno della prosperità

del suo regno. “si narra dunque che tanto legname fu raccolto sull'Etna e

preparato per questo gran vascello quanto sarebbe bastato alla costruzione di

sessanta galere, e tutto il materiale metallico e quello occorrente per le vele e

per le gomene fu provveduto dall'Italia, dalla Spagna e dalla Gallia. Un esercito

di operai attendeva ai lavori. Portata nello spazio di sei mesi la costruzione alla

metà, dal cantiere all'asciutto nel quale si stava lavorando, dovette essere

trascinata in acqua ‘il tirar questa nave in mare essendo cosa molto

malagevole, il solo Archimede ve la trasse con pochi strumenti’. Era una vera e

propria città galleggiante con teatri, biblioteche, giardini... Con essa, ed altre

navi minori che le facevano corona, narrano gli storici che Gerone mandò in

Egitto sessantamila moggia di frumento, diecimila orci di salumi lavorati in

Sicilia, ventimila talenti di carne ed altrettanti di altre vettovaglie: il tutto,

compresa la nave che si chiamava Siracusa e che fu poi detta Alessandria, in

dono a Tolomeo Evergete” (Favaro 1923). Lasciando perdere il racconto quasi

fantastico che ne fa Favaro è lecito domandarsi come Archimede fece per

mettere in mare questa grandissima nave che era stata costruita a terra: era la

più grande nave costruita nell’Antichità. Mise semplicemente in pratica il

104

principio citato in precedenza: con un complesso sistema di carriole, pulegge e

leve riuscì a portare lo scafo in mare usando pochissimi uomini. Si racconta che

egli stesso, stupito, avesse gridato con entusiasmo una delle frasi più celebri

della storia: “datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo”. La frase è

ricordata dal matematico Pappo vissuto nel IV sec., da Simplicio e dal bizantino

Tzetze nel XII sec. Archimede aveva capito che si poteva ridurre la forza

necessaria a muovere un determinato peso semplicemente aumentando in

proporzione la distanza dal punto di applicazione, il fulcro. In astratto sarebbe

quindi possibile sollevare con una forza limitata un peso grandissimo come

quello della Terra purchè ci si possa appoggiare a un punto fisso esterno ad

essa. Su tali principi fondò la costruzione di celebri macchine ad uso civile e da

guerra che ebbero una grande utilità pratica.

Nel resto dei libri I e II, Archimede tratta la determinazione dei centri di

gravità di varie figure piane, come il parallelogramma “il centro di gravità di

qualunque parallelogramma è il punto nel quale si intersecano le diagonali”

(libro I, proposizione 10); il triangolo e il trapezio sempre nel libro I

rispettivamente nella proposizione 14 e 15.

L’intero secondo libro invece concentra l’attenzione sul centro di gravità

della parabola e comprende una dimostrazione attraverso il metodo di

esaustione.

Il concetto di baricentro come punto di applicazione di tutte le forze di un

solido era già conosciuto all’epoca, ma fu Archimede a darne una teoria

razionale e un’esplicita definizione di centro di gravità come abbiamo visto.

Stabilisce quindi che ogni oggetto ha un baricentro e che tramite la sua

conoscenza è possibile ottenere le migliori applicazioni della meccanica e della

statica, che sotto molti aspetti è divenuta una scienza.

Sulla misura del cerchio è un piccolo trattato probabilmente incompleto

legato a quello della sfera e del cilindro, in cui si parla dei rapporti tra cerchi e

triangoli, del rapporto tra il cerchio e il suo diametro, fornendo il valore del π con

105

una precisione migliore di quella ottenuta dai matematici egiziani e babilonesi. Il

pi greco è il simbolo che indica il rapporto tra la circonferenza e il diametro o

raggio del cerchio. Esso risolve il problema della rettificazione della

circonferenza e della quadratura del cerchio. Nel primo dei tre teoremi

Archimede dichiarava: “ogni cerchio è uguale ad un triangolo rettangolo che ha

un cateto uguale al raggio e l’altro uguale alla circonferenza del cerchio”. La

breve ma densa opera è senza dubbio uno dei testi scientifici più appassionati

dell’antichità. La misurazione delle linee curve viene affrontata da Archimede

anche nella quadratura della parabola. La più famosa delle coniche.

Tra il primo e il secondo libro sull’equilibrio dei piani molti critici

inseriscono La quadratura della parabola, opera indirizzata a Dotiseo che viene

considerata come quella che mette più in luce l’intelligenza del grande

Siracusano. È il primo esempio di quadratura di una curva dopo quella del

cerchio. Egli ottenne questo risultato usando sempre il metodo di esaustione

con cui scoprì anche che l’area del segmento parabolico è uguale ai 4/3

dell’area di un triangolo avente la stessa base e uguale altezza della curva.

Questo è un trattato molto complesso: lo stesso Archimede afferma in una nota

autobiografica che aveva raggiunto questo risultato prima per via meccanica poi

per via geometrica.

Sulle spirali fu uno degli ultimi trattati di Archimede che è stato molto

ammirato (usa argomentazioni ampie, raffinate ed eleganti) ma poco letto

perché considerata un’opera assai difficile. La spirale è una curva piana,

caratterizzata da infiniti giri crescenti in progressione aritmetica intorno a un

punto. Questa curva non si riesce a costruire con il compasso: la si ottiene col

movimento di un vettore che aumenta di uno spazio costante a ogni rotazione di

un angolo dato. La spirale è definita in un piano da un punto (chiamato origine o

principio) che si muove di moto uni/orme lungo una retta, mentre questa ruota

di moto circolare uni/orme intorno al punto.

106

Sembra che lo scienziato attribuisse importanza non tanto alla legittimità degli

oggetti di cui si andava occupando, bensì al fatto che essi, per quanto

complicati, si potessero misurare: più un oggetto gli appariva complesso, più la

sua intelligenza ne risultava stimolata:

Sui conoidi e sferoidi è un libro in cui Archimede parla dei conoidi e degli

sferoidi ottenuti dalla rotazione di ellissi, parabole e iperbole. Le loro proprietà

sono simili a quelle del cono e della sfera pertanto il trattato parla proprio di

queste figure, descrivendone i rapporti. Inoltre vi è descritta la procedura per

trovare l’area di un ellisse.

Sulla sfera e sul cilindro è diviso in due libri che all’origine erano forse

due pubblicazioni separate: il primo prevede la misura della superficie e del

volume della sfera e dei suoi diversi settori mentre il secondo espone una serie

di problemi che si presentano nel produrre e nel dividere una sfera secondo

precisi parametri. Su questi due libri, come pure sulla Misura del cerchio e

Sull'equilibrio dei piani, ci sono giunti anche degli ampi commenti di Eutocio,

uno dei maggiori matematici della tarda antichità, nato all'inizio del VI secolo

d.c. ad Ascalona in Palestina. Sono commenti pieni di notizie di storia della

matematica e ricchi di frammenti di lettere e richieste di informazioni scambiate

fra Archimede e i maggiori scienziati suoi contemporanei, che vivevano in quel

tempo ad Alessandria d'Egitto.

Da molti viene considerata l'opera scientifica più ampia e argomentata

che a noi sia giunta di Archimede e ha per oggetto corpi geometrici come sono

appunto la sfera e il cilindro. Ad essi gli antichi collegavano in modo particolare

l'immagine dello scienziato siracusano se è vero, come testimonia Cicerone

(nelle Discussioni Tusculane 5,64-66, citate qui al cap. lO), che sulla sua tomba

erano appunto state scolpite quelle due figure geometriche. Anche altri lavori di

Archimede giunti a noi erano motivati dal problema di misurare figure curvilinee

107

(spirali, parabole, conoidi e sferoidi), ma questi ultimi sono oggetti in qualche

modo artificiali e comunque, allora, privi di una speciale simbologia: il cerchio e

la sfera avevano un significato particolare, matematico e filosofico, legato al

ruolo di queste figure nelle cosmologie dell'antichità.

Il trattato di Archimede parte da alcuni teoremi sul volume del cono e

della piramide già enunciati alla fine del V secolo a.c. da Democrito e dimostrati

nel IV secolo da Eudosso: ogni piramide è la terza parte del prisma avente

uguale base e uguale altezza, ed ogni cono è la terza parte del cilindro avente

uguale base e uguale altezza.

Ma Archimede seppe andare oltre con ragionamenti "infinitesimali"; egli

giunse in tal modo a determinare con esattezza l'area e il volume della sfera,

l'area del segmento di parabola, e a identificare i rispettivi centri di gravità.

La geometria antica fino a Euclide restringeva le proprie conoscenze alle

proprietà delle figure piane non curve: si conosceva come misurare la superficie

di un triangolo, di un parallelogrammo di un trapezio, ma si ignorava la misura

della circonferenza di un cerchio. Stessa situazione per i solidi, si sapeva

misurare il volume di un prisma, di una piramide, ma si ignorava il volume di

una sfera, di un cilindro e di un cono. Egli infatti per primo risolse il problema

della misurazione delle figure geometriche curve. Così ottenne: la superficie di

un cilindro, di un cono, della sfera, il volume di un cilindro, di un cono e di una

sfera. Inoltre trovò il rapporto tra una sfera e un cilindro inscritto. Archimede

immagina misura oggetti in effetti lontani dall’esperienza quotidiana.

Conseguentemente agli studi fatti da Archimede sulla sfera, alcune fonti

arabe citano pure un trattato Sulla costruzione della sfera, nel quale lo

scienziato siracusano avrebbe dato le istruzioni necessarie per fabbricare un

planetario del tipo di quello portato dal generale Marcello come bottino di guerra

a Roma. Molti parlano infatti di una Sfera nella quale egli “avrebbe così

esattamente imitato i moti celesti, e che da alcuni fra gli altri Cicerone, fu tenuta

per più meravigliosa della natura stessa” (Favaro). Coloro che la videro

riferiscono che in questo prototipo di planetario fossero rappresentati i

108

movimenti del Sole, della Luna e dei cinque pianeti allora conosciuti (Mercurio,

Venere, Marte, Giove, Saturno) e pure la formazione dell’eclisse.

Discussioni ci furono in merito al materiale con cui era stata fatta (vetro o

rame o entrambi?) e al modo in cui i movimenti erano stati prodotti. “Sesto

Empirico sembra ravvisarvi uno di quegli automi che non furono sconosciuti

all'antichità; il Cardano non ammette in via assoluta che la macchina fosse

mossa da contrappesi, e crede più verisimile che il movimento fosse

determinato dall'aria racchiusa, cosa questa assai più facile a dirsi che non a

spiegarsi; non esclude tuttavia che si trattasse d'un artifizio di ruote le quali si

dessero tra loro vicendevole moto, senza però dire di che genere fosse la forza

che lo determinava. Assai più probabile è che il moto fosse generato da un

meccanismo idraulico. Molto di più noi sapremmo a questo proposito se fosse

giunto insino a noi quel libro sulla Sferopea che, secondo Pappo e Proclo,

sarebbe stato scritto da Archimede e nel quale pare fosse principalmente

trattato della costruzione della sua sfera e di analoghi meccanismi. Ora, perchè

Archimede abbia potuto costruire quel congegno, che più propriamente si

direbbe oggi dì Planetario, non è dubbio ch'egli dovesse essere grandemente

versato nell'astronomia” (Favaro).

Potrebbero esserci un collegamento tra il planetario ideato da Archimede

e un altro congegno. Si tratta della macchina di Antikythera. Uno studio di

Nature73 illustra il funzionamento della macchina che risale al 65 a.C. e che

serviva a seguire i movimenti di Sole e Luna, predire le eclissi, tracciare il moto

dei pianeti, ecc. Questo raffinato meccanismo è stato ritrovato nel 1900 da

alcuni pescatori di spugne nel relitto naufragato di un’antica nave nel fondale

davanti all’isola di Antikythera, fra il Pelopponeso e Creta. Solo oggi i ricercatori

sono stati in grado di svelare il mistero della sua utilità. Secondo gli autori dello

studio, un gruppo di ricerca internazionale, coordinato da Mike Edmundus

73 Nature è una delle più antiche ed importanti riviste scientifiche esistenti, forse in assoluto (insieme a Science) quella considerata di maggior prestigio nell'ambito della comunità scientifica internazionale. Viene pubblicata fin dal 4 novembre 1869. Essa in particolare pubblica articoli di ricerca riguardanti un ampio intervallo di campi scientifici.

109

dell’università britannica di Cardiff. Grazie ai raggi x e ad una tac, essi hanno

stabilito con esattezza funzioni e pregio tecnologico svelando ad esempio la

questione dei due display uno anteriore (qui si trovavano le lancette che

segnavano il passaggio del Sole e della Luna nelle costellazioni dello Zodiaco,

oltre che indicazioni per le fasi lunari) e uno posteriore (attraverso alcune

lancette indicava il tempo in termini di cicli astronomici).

Nel breve trattato intitolato Arenario Archimede si ripromette di contare i granelli

di sabbia contenuti in una sfera che abbia come centro il Sole e come superficie

il cielo delle stelle fisse. Per ottenere questo risultato egli doveva trovare un

sistema di numerazione capace di esprimere numeri estremamente grandi, in

qualche modo equivalente all'attuale notazione esponenziale. In tal modo

Archimede dimostrò la possibilità di scrivere numeri altissimi, anche se

comunque minori dell' infinito, e giunse alla conclusione che: “È manifesto che

la quantità dei granelli di sabbia avente la grandezza uguale alla sfera delle

stelle fisse quale Aristarco la suppone, è minore di mille miriadi dei numeri

ottavi corrispondenti nel nostro sistema ad una unità seguita da ottantamila

milioni di milioni di zeri. Queste cose poi io, re Gelone [il figlio di Gerone II, al

quale Archimede dedica l' opera], ritengo che sembreranno incredibili ai molti

che siano imperiti nelle matematiche, ma che saranno credibili, mediante le

dimostrazioni, da coloro che sono versati nelle matematiche e che abbiano

meditato sulle distanze e sulle grandezze della Terra, del Sole, della Luna e di

tutto il cosmo: perciò ho ritenuto che fosse bene che tu conoscessi queste cose

(trad. di Frajese). Diversamente dalle altre, quest' opera non è dunque dedicata

a uno scienziato, ma a uno dei signori di Siracusa. Se il problema è di calcolare

il numero di granelli di sabbia necessari a riempire l'intero universo, Archimede

doveva calcolare la grandezza di questo spazio. Anche se l'autore intendeva

con l'Arenario dare un contributo all'aritmetica greca, l'opera risulta altrettanto

preziosa come documento dell'attività astronomica di Archimede. Non

sorprende naturalmente che egli si sia occupato di astronomia, anche se non

ha lasciato alcuna opera di carattere esclusivamente astronomico.

110

È attraverso quest’opera che siamo venuti a conoscenza del mestiere del

padre di Archimede che ci illustra anche quali erano gli strumenti pratici usati

per questi calcoli, cioè il regolo e un cilindro scorrevole:

Il libro dei lemmi è un altro libro che rientra nel campo della matematica e

della geometria. Il testo non è pervenuto originale ma attraverso una traduzione

araba che ne ha alterato sicuramente la forma originale. Il lemma è una

proposizione preparatoria destinata a provarne un’altra, che abbia relazione

diretta col soggetto trattato. Tra le proposizioni vi è quello famoso sulla

proprietà delle corde oltre ad una serie di teoremi e risoluzioni matematico-

geometriche.

Il metodo è un’opera ritrovata solamente nel 1906. In essa Archimede

descrive il suo metodo d’indagine preliminare che lo conduceva alle principali

scoperte matematiche. Vi sono dei passaggi, circa quindici preposizioni, scritti

sotto forma di lettera per Eratostene. Perciò Archimede per giungere ai suoi

risultati insieme a procedimenti matematici usa con originalità anche le

argomentazioni meccaniche, alle quali nega un valore assoluto, ma valuta

essenziali per fare nuove scoperte. È un modo veloce per raggiungere

rapidamente risultati matematici innovativi che però non dimentica di dimostrare

con rigore geometrico. Egli attribuisce quindi immenso valore alle intuizioni

meccaniche ma ritiene indispensabili le dimostrazioni rigorose. Quindi, egli

ricorreva alle misure dirette di figure geometriche per dimostrare

matematicamente la loro veridicità. Forse un matematico in genere si

vergognerebbe a divulgare che una sua scoperta è nata da misure dirette,

tuttavia lo stesso metodo lo adottò anche Newton il quale ritardò l’uscita di

molte scoperte matematiche onde trovare la forma rigorosa che nascondesse il

metodo archimedeo. Dunque per Archimede qualunque mezzo è utile per

giungere al suo risulato, purché poi esso venga davvero dimostrato.

111

Archimede e i giochi matematici

Archimede si occupò anche di questioni più "leggere". Gli piacevano

soprattutto i giochi matematici, e proprio a questi si possono ricondurre almeno

due opere brevi ma significative, composte forse negli anni giovanili: lo

Stomachion e il Problema bovino.

Dello Stomachion ci sono arrivati alcuni passi in traduzione araba e altri in

greco, questi ultimi conservati nel libro il Metodo. Stomachion era il nome di un

gioco, un po' simile al puzzle, forse già in uso prima di Archimede, adatto a

stimolare l'intelligenza dei bambini, a mettere alla prova la loro capacità di

pensare e di immaginare, a spronare la loro creatività. Era costituito da 14

piastrelle d'avorio diversamente tagliate in pezzi con forma di triangoli isosceli e

scaleni, quadrangoli e altri poligoni, e da essi con la fantasia e magari ripetendo

i pezzi si potevano comporre svariate figure: “un elefante enorme, un cinghiale

feroce, un' oca volante, un cacciatore alla posta, un cane che abbaia, e così

una torre e una quantità di altre immagini di questo genere, variate secondo la

destrezza del giocatore” (Geymonat 2006). Lo Stomachion, non sappiamo

come, arrivò in Cina nel periodo antico o nel medioevo, e da lì è tornato in

Europa a metà dell'Ottocento con il nome di Tangram o gioco cinese (costituito

però da 7 e non da 14 pezzi).

Si trattava dunque di una raffinata ricerca di geometria, e non solo un

semplice gioco, poiché con i pezzi si potevano elaborare numerose figure

geometriche.

Il Problema bovino è un problema aritmetico espresso con fine ironia venne

inviato al geografo alessandrino Eratostene. Essa rappresenta un problema a

otto incognite, e intende calcolare con precisione il numero dei buoi del Sole

che pascolano nelle pianure della Sicilia, divisi in modo preciso fra tori e vacche

e fra bianchi, neri, fulvi e screziati. Essi debbono soddisfare una serie di

proporzioni matematiche:

- i tori dal vello bianco siano pari a metà più un terzo dei tori neri, più tutti i

fulvi;

112

- i tori neri siano pari alla quarta parte più un quinto degli screziati e a tutti i

fulvi;

- i rimanenti screziati siano equivalenti alla sesta parte più un settimo dei

tori bianchi più tutti i fulvi.

- E altre complicate condizioni ancora.

Non sappiamo se Eratostene o altri scienziati di Alessandria abbiano risolto il

problema. Il linguaggio algebrico oggi corrente consente di risolvere il problema

attraverso un sistema di equazioni ad otto incognite: la soluzione minima

ottenibile con numeri interi, che misura dunque il numero totale di animali delle

mandrie del Sole, come ha provato il matematico CarI Amthor nel 188O, è un

numero composto da 206.541 cifre nel nostra notazione decimale. Un numero

così grande e complesso ci fa dubitare che Archimede, o Eratostene, a cui il

poemetto era destinato, abbiano risolto in concreto l'indovinello. II siracusano

aveva indubbiamente la capacità di concepire numeri enormi (basti pensare

all'Arenario, l'opera che abbiamo esaminato all'inizio di questo capitolo), ma non

vi è prova che li usasse con tale padronanza da riuscire a risolvere il problema,

sottostando a tutte le sue condizioni.

Archimede come inventore

Archimede costruì numerose macchine, come già visto alcune delle quali

usate nella battaglia di Siracusa. Egli però non ne “fa menzione poiché egli

seppur sospinto dalle richieste del re a costruirne diverse le considerava non

degne della nobiltà della scienza, eppure fu maggiormente con esse che egli

fece crescere la sua fama nel mondo antico” (Geymonat 2006). Costruì

carrucole, leve e piani inclinati che ebbero applicazione pratica nel varo di

grandi imbarcazioni nei cantieri navali siracusani. Questi mezzi riuscivano a

sollevare grandi pesi col minimo sforzo traendone un vantaggio immenso,

secondo la regola per cui l’applicazione di più pulegge per sollevare grandi pesi

effettua una demoltiplicazione dello sforzo applicato. Erone di Alessandria

113

descrive infatti in una delle sue opere una macchina ingegnosa inventata da

Archimede chiamata Elice. Il testo di Erone è mancante, ma Pappo ne lascia

una descrizione di questo meccanismo composto di ruote dentate mosse da

una vite senza fine; gli ingranaggi accoppiati alla vite senza fine comunicano il

movimento demoltiplicandone lo sforzo da applicare tramite la rotazione di una

manovella.

Oltre alla grande nave e al planetario già citati in precedenza, sembra che egli

avesse costruito una meridiana all’interno del tempio di Atena (l’odierna

cattedrale di Siracusa) dove stabilì la misura dell’equinozio, altri addirittura gli

attribuiscono la costruzione di un telescopio a riflessione. Tra le altre

realizzazioni di Archimede si ricorda l’organo idraulico, una macchina in grado

di comprimere l’aria e farla uscire a pressione.

Una delle invenzioni degne di nota è certamente la Coclea o Vite

d’Archimede, visibile anche al Museo della Scienza di Firenze. Durante la

costruzione della nave Siracusana, per mantenere asciutte le sue stive lo

scienziato avrebbe usato proprio questo strumento.

L’acqua entrava dalla base inferiore della vite inclinata e veniva solevata

dai giri della spirale. Il flusso dell’acqua era continuo, l’antico sistema delle

secchie poteva dirsi ormai abbandonato. Inoltre l’altezza fino alla quale l’acqua

poteva essere sollevata dipendeva dalla lunghezza e dall’inclinazione

dell’apparecchio. È stato calcolato da Vitruvio nel De Architettura che con una

coclea si potevano sollevare di 1 metro quasi duecento litri di acqua al minuto.

L’uso di questa vite viene menzionato già nel I secolo a.C. da Diodoro Siculo:

“quanti sfruttano le miniere in Spagna, quando scendono in profondità,

incontrano fiumi che scorrono sottoterra… estraggono l’acqua dei torrenti con le

cosiddette pompe che inventò Archimede di Siracusa quando giunse in Egitto;

trasportando le acque per mezzo di esse lungo una continua serie di gradini

fino all’imboccatura, asciugano il luogo dello scavo e lo rendono adatto allo

svolgimento dei lavori” (Geymonat 2006). Si racconta che questa invenzione

“avvantaggiò gli egiziani, i quali la usarono per alzare le acque e farle pervenire

là dove per soverchia elevazione del terreno, non arrivavano naturalmente le

114

inondazioni del Nilo, altri invece la usassero per prosciugare i terreni, i quali a

motivo della bassezza del loro livello, non potevano liberarsi dalle acque dopo

cessata l’alluvione” (Favaro 1923).

4. Sui galleggianti: il principio di Archimede

Dopo questa lunga premessa eccomi giunta finalmente a discutere

l’argomento centrale del mio lavoro. Il libro Sui galleggianti è forse l’esempio di

applicazione del genio di Archimede più famoso. Ma come arrivò Archimede

alla scoperta del principio per cui gli oggetti immersi in un liquido galleggiano o

affondano?

4.1. la storia della corona

Si racconta che il re Gerone fece commissionare ad un orafo siracusano

una corona d’oro da votare agli dei come ringraziamento per essere diventato

signore di Siracusa. Era stato Gerone stesso a fornire l’oro, e in breve tempo

ricevette l’oggetto, ma gli era giunta voce che l’orefice ne avesse rubato un pò.

Il re temeva che la quantità di oro fornitagli fosse in realtà stata usata solo in

parte per far posto ad un altro materiale, l’argento, notoriamente meno prezioso

senza però far cambiare colore al manufatto e senza mostrare con evidenza

l’imbroglio. Re Gerone quindi si rivolse a Archimede chiedendo di: “assumersi il

compito di riflettere su ciò per suo conto. E capitò che questi mentre si

prendeva pensiero di ciò, andasse nella stanza da bagno e là, mentre si calava

nella vasca, notasse che da questa si versava fuori una quantità d'acqua

equivalente al volume del suo corpo che vi prendeva posto. Ciò gli indicò la via

per risolvere il suo problema: non ebbe indugi, ma balzò fuori dalla vasca in

preda alla gioia e mentre, nudo com' era, si precipitava verso casa, annunciava

115

ad alta voce d'aver trovato quello che cercava. Infatti correndo continuava a

gridare, in greco, 'Éurekal Éurekal ('Ho trovato! Ho trovato! )”. Questo passo

tratto dall’opera De architectura dello scrittore latino Vitruvio, del I secolo a.c.

continua narrando perfettamente i passaggi che portarono Archimede alla

sensazionale scoperta della più importante legge dell’idrostatica. A partire da

questa fase iniziale della scoperta, fabbricò allora, si dice, due lingotti, ciascuno

dello stesso peso della corona, uno d'oro e l'altro d'argento. Dopo aver fatto ciò,

riempì d'acqua fino all'orlo un ampio recipiente, nel quale lasciò cadere il

lingotto d'argento. Fuoriuscì una quantità di acqua uguale al volume di esso che

affondò nel recipiente. Così, tolta la massa, versò di nuovo la quantità d'acqua

mancante, misurandola con un sestario [antica misura di capacità], in modo che

tornasse al livello precedente, fino all'orlo. Scoprì in questo modo il peso

dell'argento corrispondente a una quantità d'acqua determinata [appunto il peso

specifico]. Dopo questo esperimento, analogamente lasciò cadere il lingotto

d'oro nel recipiente colmo e dopo averla tolta e dopo aver aggiunto, seguendo

lo stesso procedimento, l'acqua mancante, misurandola scoprì che non

mancava altrettanta acqua, ma una quantità minore, cioè tanto meno quanto

meno volume ha una massa d'oro rispetto a una d'argento dello stesso peso (in

effetti il peso specifico dell'oro è assai maggiore di quello dell'argento). In

seguito, riempito il recipiente e lasciata cadere nella stessa acqua proprio la

corona, trovò che era traboccata più acqua per la corona che per la massa

d'oro dello stesso peso, e così, sviluppando un ragionamento a partire dal fatto

che mancava più acqua nel caso della corona che in quello del lingotto, portò

allo scoperto la presenza di argento mescolato all'oro, cogliendo sul fatto il furto

dell'orafo. Il peso specifico della corona era intermedio fra quello dell'oro e

quello dell'argento.

Anche il grande Galileo si interessò di tale scoperta dedicando proprio a

questo argomento un lavoro in volgare intitolato: “Discorso del sig. Galileo

Galilei intorno all’arteficio che usò Archimede nel scoprir il furto dell’oro della

corona di Hierone”

Come vedremo, Galileo tentò di trovare un modo alternativo per risolvere

116

il problema ma anche lui giunse all’utilizzo dell’acqua come secoli prima aveva

fatto Archimede. “Ben crederò io che spargendosi la fama dell'aver Archimede

ritrovato tal furto col mezzo dell'acqua, fosse poi da qualche scrittore di quei

tempi lasciata memoria di tal fatto; e che il medesimo, per aggiugner qualche

cosa a quel poco che per fama aveva inteso, dicesse Archimede essersi servito

dell'acqua nel modo che poi è stato dall'universal creduto. Ma il conoscer io che

tal modo era in tutto fallace e privo di quella esattezza che si richiede nelle cose

matematiche mi ha fatto più volte pensar in qual maniera col mezzo dell'acqua

si potesse esquisitamente trovare la mistione di due metalli, e finalmente, dopo

aver con diligenza riveduto quello che Archimede dimostra nei suoi libri delle

cose che stanno nell'acqua, ed in quelli delle cose che pesano egualmente, mi

è venuto un modo che esquisitissimamente risolve il nostro quesito, il qual

modo crederò io esser l'istesso che usasse Archimede, atteso che, oltre

all'esser esattissimo, dipende ancora da dimostrazioni trovate dall'istesso

Archimede” (Galileo).

4.2. Le proposizioni del trattato

Da questo fatto deriva l’osservazione scientifica più generale, il

cosiddetto principio di Archimede, per cui: “un corpo più pesante del liquido nel

quale lo si immerge, discenderà sul fondo, ma il suo peso, nel liquido, diminuirà

di tanto quanto pesa un volume di liquido uguale a quello del corpo”. Quindi

risulterà apparentemente più leggero del suo vero peso.

Questa proposizione è giunta fin sui banchi di scuola in una forma più

semplice: molti l’avranno imparata a memoria alle scuole superiori: “un corpo

immerso in un liquido riceve dal basso verso l'alto una spinta uguale al peso del

liquido spostato”. Inoltre: “le grandezze solide che entro il liquido vengono

portate verso l'alto, sono spinte secondo la verticale condotta per il loro centro

di gravità” (Galleggianti, libro I, alla fine della proposizione 7). Archimede quindi

non si era risparmiato ad applicare i suoi studi sui baricentri delle figure

117

geometriche: la spinta si applica al baricentro del corpo immerso, detto anche

centro di spinta, ed è diretta verso l’alto.

Sono notevoli le analogie ma anche le differenze fra il vivace aneddoto di

"Éureka" e l'analisi che Archimede compie del problema nel trattato, dove

"l'eccitazione della scoperta cede il posto alla fredda logica di una

dimostrazione geometrica". L’idrostatica di Archimede non si esaurisce soltanto

in quell’enunciato, come l’insegnamento scolastico in genere suggerisce. I

problemi che Archimede risolve con il trattato sono molti, tra cui il trovare le

linee di galleggiamento di solidi immersi in equilibrio in un liquido omogeneo e

soprattutto nello studiare la stabilità delle loro posizioni di equilibrio. Archimede

studia la stabilità dell’equilibrio al variare di due parametri: la forma e la densità

del solido.

Particolarmente interessante appare la proposizione 2 del libro I, dove lo

scienziato dimostra che “la superficie di ogni liquido che si trovi in riposo avrà la

figura di una sfera avente come centro lo stesso centro della Terra”. Quindi su

tutti i punti della terra il livello del mare è lo stesso, vale a dire dista ugualmente

dal centro. Questa proposizione in particolare verrà ingiustamente

disconosciuta per molto tempo e confermata soltanto quasi ai nostri giorni.

4.3. Dimostrazione pratica del principio di Archimede

Le navi riescono a galleggiare nel mare nonostante siano fatte di acciaio,

un materiale molto più denso dell'acqua. Questo comportamento si spiega con

il fatto che i liquidi tendono a sorreggere i corpi che vi sono immersi. Però, se

appoggiamo sull'acqua un blocco di acciaio, lo vediamo affondare rapidamente.

Che differenza c'è tra l'acciaio a cui è stata data la forma di nave e l'acciaio

compatto?

Per far luce su questo problema il mio vecchio libro di fisica ricorreva ad

un semplice esperimento. “A un piattello di una bilancia appendiamo due cilindri

di volume identico, uno pieno e uno cavo. Sull'altro piattello aggiungiamo delle

masse, in modo che la bilancia si mantenga in equilibrio. Se immergiamo il

118

cilindro pieno in una bacinella che contiene un liquido, la bilancia modifica

l'equilibrio e pende dalla parte opposta a quella dei cilindri. Ciò significa che il

liquido esercita sul cilindro immerso una forza diretta verso l'alto. Si tratta ora di

determinare quanto è grande questa forza. Riusciamo a ristabilire l'equilibrio di

partenza riempiendo il cilindro cavo dello stesso liquido contenuto nella

bacinella. La forza verso l'alto che il liquido esercita sul corpo immerso è quindi

eguale al peso dell'acqua contenuta nel cilindro cavo. Poiché i due cilindri

hanno lo stesso volume, concludiamo che la forza esercitata dal liquido è

uguale al peso dell'acqua che il cilindro immerso ha spostato” (Amaldi 2002). In

altri termini quindi siamo di nuovo giunti alle parole di Archimede, un corpo

immerso in un liquido riceve una spinta (una forza) verso l'alto eguale al peso

del liquido spostato.

4.4. Il principio di Archimede nel linguaggio matematico

Da un punto di vista matematico, la forza di Archimede può essere espressa nel

modo seguente:

S = PSliquido Vcorpo

Per cui S è la spinta di Archimede, PS è il peso specifico del liquido spostato e

v il volume del corpo che è uguale al volume del liquido spostato. Alcuni libri di

testo inseriscono anche g ovvero l’accelerazione di gravità.

Allo stesso modo, il peso del corpo è dato da:

P = PScorpo Vcorpo

Per cui P sta per il peso del corpo, PS per il peso specifico in questo caso

delll’oggetto e V indica il volume del corpo.

119

4.5. Galleggiamento dei corpi

È noto che alcuni corpi immersi in acqua galleggiano, come un pezzo di

sughero o di legno, mentre altri, come una sfera di ferro, affondano. Per

discutere i diversi casi di equilibrio per un corpo immerso in un liquido è

necessario confrontare le forze agenti: il peso P del corpo e la spinta S di

Archimede subita dal corpo completamente immerso. Nella figura sono

evidenziati i tre casi che possono presentarsi per una sfera immersa in un

liquido:

a) P> S: il corpo affonda;

b) P = S: il corpo è in equilibrio in ogni posizione;

c) p < S: il corpo galleggia.

Nel caso c) il corpo emerge dal liquido, diventando un galleggiante, per fare un

esempio, un pallone riesce a salire dal fondo del mare perché pesa meno di un

uguale volume di acqua. Un sasso, esempio appartenente alla categoria a)

invece affonda perché pesa di più della quantità d’acqua che sposta. Poiché il

peso del corpo e la spinta sono uguali al prodotto rispettivamente del peso

specifico Ps del corpo e del peso specifico PL del liquido per il volume del corpo

(uguale al volume del liquido spostato), per stabilire il tipo di equilibrio è

sufficiente confrontare i pesi specifici. Abbiamo perciò i seguenti tre casi:

a) Ps > PL: il corpo affonda;

b) Ps = PL: il corpo è in equilibrio;

c) Ps < PL: il corpo galleggia.

Un caso particolare di equilibrio è quello del ghiaccio in acqua. Il ghiaccio ha un

peso specifico che è circa i 92/100 di quello dell’acqua, per cui vi galleggia ma

in modo tale che la parte emersa è solo una piccola parte del volume effettivo.

Ho schematizzato in questi tre punti alcune osservazioni scaturite da questo

paragrafo:

120

1. Si può stabilire se un corpo galleggia o va a fondo in un determinato liquido

confrontando i rispettivi pesi specifici. Possiamo così scoprire perché il ghiaccio

galleggia nell’acqua come già ho spiegato. Si scopre anche perché un pezzo di

ferro va a fondo nell’acqua mentre galleggia nel mercurio. Una nave, che per la

maggior parte è fatta di acciaio e altri materiali più densi dell'acqua, non affonda

perché contiene enormi quantità di spazi vuoti e, grazie alla sua forma, sposta

tanta acqua da equilibrare il proprio grande peso. La densità media del

materiale della nave e dell'aria in essa contenuta, risulta così inferiore a quella

dell'acqua. Tuttavia, se si apre una falla sul fondo, essa si riempie d'acqua e

affonda. La densità del corpo umano è di poco inferiore a quella dell'acqua; per

questo motivo il corpo umano galleggia, ma restando in gran parte immerso. Il

sommozzatore che ha bisogno di lavorare ad una certa profondità senza dover

continuamente pinneggiare per mantenere la quota porta una cintura con dei

piombi (P=S). Se facciamo il bagno in un fiume o in un lago fatichiamo di più a

galleggiare perché l'acqua dolce ha un peso specifico inferiore a quella

dell'acqua salata.

2. Il principio di Archimede non vale solo se i corpi immersi sono solidi: questi

possono essere anche liquidi. Anche in questo caso vale la regola per cui i

liquidi purchè non siano miscibili, si stratificano dal basso verso l’alto in ordine

decrescente di peso specifico.

3. Il principio di Archimede vale anche nei gas nel senso che: "Un corpo

immerso in un gas riceve una spinta verso l'alto pari al peso del gas spostato";

tal caso la forza che spinge il corpo verso l’alto viene detta spinta aerostatica.

La maggior parte dei corpi, avendo un peso specifico molto superiore a quella

dell’aria, ricevono una spinta idrostatica praticamente trascurabile. Ad esempio

un palloncino costituito da un involucro di gomma (che ha un peso minimo)

riempito con elio che è un gas 7 volte meno denso dell'aria si muoverà verso

l’alto.

Quindi tutte le considerazioni fatte fin qui sui liquidi valgono anche per i gas,

121

con due importanti differenze:

- solo i corpi con peso specifico molto basso possono essere sollevati

dalla spinta. Da ciò si consegue che: la maggior parte dei corpi ha un

peso specifico maggiore di quello dell’aria e per questo cade; alcuni corpi

con peso specifico uguale a quello dell’aria galleggiano e infine i corpi

con peso specifico minore dell’aria vengono portati verso l’alto, come i

palloncini di elio e le mongolfiere.

- A differenza dei liquidi, il peso specifico dei gas non è costante, ma varia

in funzione della pressione.

4.6. Applicazioni pratiche della spinta di Archimede: Sommergibili e navi,

aerostati e dirigibili

Gli esempi più comuni dell’applicazione del principio di Archimede

riguardano i mezzi di trasporto citati nel titolo: sommergibili e navi se si parla di

mezzi per via mare e aerostati e dirigibili per il cielo. Sul principio di Archimede

si basa infatti la tecnologia navale e sommergibilistica e come vedremo non

solo.

Che può dire di non aver mai visto una nave? Le più grandi navi, come la

Queen Elisabeth 2, sono fatte d’acciaio e pesano decine di migliaia di

tonnellate. Come fanno allora a galleggiare se sono così pesanti? Il loro segreto

sta nella struttura. La chiglia di una nave occupa un grande volume, ma la sua

densità complessiva è minore della densità dell’acqua. Un’altra applicazione

importante del principio di Archimede si ha nella fase di costruzione della nave:

quando l’acqua è densa, le imbarcazioni sono più alte sul livello del mare.

L’acqua salata è più densa dell’acqua dolce, e l’acqua marina fredda è la più

densa di tutte. Perciò i costruttori disegnano sulla nave le cosiddette linee di

122

Plimsoll74 che indicano il carico massimo in acque diverse: una nave, caricata al

massimo nei mari freddi, rischia di affondare in mari più caldi o in un fiume.

Nei sommergibili il peso è variabile, per cui essi possono affondare o

galleggiare. Si tratta infatti di bastimenti completamente chiusi e circondati da

un doppio scafo, composto da diversi compartimenti. li sommergibile galleggia

se i compartimenti sono vuoti, mentre affonda se i compartimenti vengono

riempiti d'acqua. Se l'acqua viene espulsa per mezzo di opportune pompe, il

sommergibile ritorna a galleggiare.

Fu sensazionale l'impresa compiuta da Jacques Piccard che nel 1960,

con il batiscafo "Trieste", costruito dal padre Auguste, riuscì a raggiungere la

profondità di 11 000 m nella Fossa delle Marianne. L'impresa fu realizzata con

una sfera di acciaio molto robusta appesa a una batteria di galleggianti riempiti

di benzina e zavorra.

Un'altra importante applicazione del principio di Archimede si ha nei

palloni aerostatici, detti anche aerostati, che sfruttano la spinta di Archimede in

aria. Essi sono costituiti da un involucro esterno riempito di un gas più leggero

dell'aria, come l'idrogeno o l'elio, oppure anche aria calda. All'involucro è

appesa la navicella in cui si trovano gli strumenti di osservazione e la zavorra,

oltre agli aeronauti. Se il peso complessivo Pt è inferiore alla spinta S,

l'aerostato s'innalza per effetto della forza ascensionale. Con l'aumentare della

quota diminuisce la forza ascensionale perché l'aria diventa meno densa. A una

certa altezza la forza ascensionale si annulla e il pallone rimane a quota

costante. Per farlo ancora innalzare è necessario buttare della zavorra per far

diminuire il peso. Viceversa, per discendere, è necessario far uscire una certa

quantità di gas dall'involucro che, diminuendo di volume, fa diminuire anche la

spinta aerostatica.

Fra le imprese più significative, prima che le moderne tecniche di

aeronautica e di astronautica permettessero la conquista dello spazio, è da

ricordare quella dei fratelli Montgolfier, autori nel 1783 del primo lancio di un 74 Nome del personaggio che nella seconda metà del XIX secolo ottenne dal governo di Sua Maestà Britannica, appunto, che le massime immersioni ammesse venissero obbligatoriamente indicate sulle due fiancate delle navi

123

pallone ad aria calda, e l'altra di Auguste Piccard che, nel 1931 e 1932, compì

due ascensioni fino a 16500 metri di altezza, raggiungendo così per primo la

stratosfera. L'impresa di Piccard fu particolarmente significativa perché egli fu

praticamente l'inventore della cabina pressurizzata, necessaria per la

sopravvivenza dell'uomo in un ambiente, quello della stratosfera, in cui l'aria è

molto rarefatta. Un problema grandissimo rendeva pericoloso l’utilizzo del

pallone aerostatico: rimane in balìa del vento, in quanto non può essere diretto.

Per evitare tale inconveniente i palloni furono dotati di un motore di propulsione,

originando così, all'inizio del secolo scorso, i dirigibili. Fra le imprese compiute

con i dirigibili, alcune anche a carattere militare, ricordiamo quella del dirigibile

Norge, con il quale Nobile e Amundsen partendo da Roma raggiunsero l'Alaska

con tappe intermedie, e l'altra del "GrafZeppelin" che fu il primo aeromobile a

compiere il giro del mondo nel 1929.

5. Il mito di Archimede da Cicerone a Walt disney, e oltre…

Si può notare dalle pagine che ho dedicato alla vita di Archimede come

di lui sono stati narrati una serie di aneddoti a volte al di là del credibile. A

partire da Plutarco secondo cui Archimede sarebbe stato stregato da una

Sirena e che per questo si dimenticava di mangiare e di prendersi cura di sé.

Non appare certamente strano che Archimede sia stato considerato dalle

generazioni successive alla stregua di un mito, “fino al Rinascimento e persino

nel nostro secolo” (Geymonat 2004). La sua fama quindi non si fermò soltanto

al mondo greco ma venne ammirato anche dal mondo latino.”A lui allude con

ogni probabilità il poeta Virgilio in un passo un po’ criptico della terza bucolica”

(Geymonat). La fama di Archimede si mantenne anche nel tardo Medioevo ed è

per questo che a differenza di altri studiosi dell’era ellenistica fu tra i più

tramandati. Nel Rinascimento tra i suoi più grandi estimatori si annovera il

grande Galileo Galilei, il quale afferma di aver letto e studiato le opere di

Archimede con infinito stupore e lo cita esplicitamente più volte, qualificandolo a

124

seconda dei casi come superHumanus, inimitabilis, divinissimus. Soprattutto

per l’identica “inventività tecnica” (Geymonat 2004) Galileo si sentiva vicino ad

Archimede per l’utilizzazione della matematica nella vita pratica e quotidiana,

per le invenzioni fatte. I fondatori della scienza moderna fra Seicento e

Settecento ampliarono il ruolo attribuito ad Archimede proprio nel momento in

cui però l’attualità scientifica dei suoi scritti veniva meno superata da un Newton

ad esempio che comunque mostra rispetto per Archimede, lo elogia e lo

considera quasi un suo pari ma non sente il bisogno di confrontare “il suo

apparato dimostrativo con quello archimedeo” (Geymonat). Oggi il siracusano

viene considerato sia come modello dello scienziato ingegnere, sia come

scienziato teorico. Ma il rischio è che l’aneddottica intorno alla sua figura,

congiunta alla scarsa diffusione effettiva delle sue opere, accomunino

Archimede più ai personaggi del mito che ad altri grandi pensatori.

Così il matematico è trasmigrato felicemente nella fantasia dei giovani e

meno giovani in straordinari personaggi dei cartoni animati, come nella

fortunata serie russa in cui egli si incarica di spiegare e far amare ai bambini

molti teoremi di geometria. Ancora più fortunato e vitale sarà il personaggio di

Archimede Pitagorico: in origine Gyro Gearloose, fa parte della banda Disney,

creato da Carl Barks, è un personaggio dalle fattezze aquiline, alto e con la

capigliatura bionda, inventore pressoché a tutto campo. Ha come parenti il

nonno Cacciavite Pitagorico e suo padre Fulton Pitagorico che però appaiono in

pochissime storie.

Archimede, che esordisce in Paperino e l'amuleto del cugino Gastone,

edita in Italia sul 45 di Topolino, in USA sul 140 di Walt Disney's Comics and

Stories del Maggio 1952 (col titolo di Gladstone's Terrible Secret), deve il suo

nome molto probabilmente a Guido Martina, che volle omaggiare tanto il filosofo

e matematico greco Pitagora, quanto il matematico e fisico greco Archimede.

Questo, però, non è il primo nome assegnato al personaggio. Nelle prime

traduzioni, infatti, venne nominato anche come Giro Rotalibera e Giro Girolamo,

più assonanti al nome originale.

125

Nelle storie di Barks innumerevoli sono le sue invenzioni, a volte

assurde, a volte inutili, a volte avveniristiche, ma spesso con risvolti finali

catastrofici. Le sue invenzioni sono, comunque, molto ricercate dagli abitanti di

Paperopoli e soprattutto dall'illustre magnate Paperon de Paperoni, che cerca

sempre di sfruttarne il genio senza doverlo pagare. Razzi spaziali, nasi

elettronici per cercare tesori, dischi volanti personali: queste e molte altre

ancora sono alcune delle invenzioni che Archimede (il nome con cui è

preferibilmente chiamato dai suoi concittadini) realizza e vende nel suo

laboratorio, dopo che per anni è andato in giro per le strade della città a

vendere invenzioni di tutti i tipi su un carretto da venditore ambulante. Le prime

invenzioni di Archimede sono le scatole pensanti in Paperino e la macchina

soffiapensieri, Compagno quasi inseparabile del simpatico personaggio è Edi,

uno strano robot che non parla ma emette semplicemente dei bzzz ... bzzz il cui

significato solo Archimede riesce a comprendere. Anche in questo caso il nome

italiano dell'aiutante dell'inventore (in inglese chiamato semplicemente helper,

aiutante, appunto) evoca la figura di Thomas Alva Edison.

È da notare quindi come il personaggio di Archimede sia proprio a

misura di bambini: non è passato alla storia solo come il grande inventore di

macchine distruttrici ma come semplice inventore che aiuta gli altri per merito

del suo genio.

126

Quinto capitolo

IL PERCORSO DIDATTICO: IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE IN UNA SCUOLA PRIMARIA

1. Introduzione

A quanti bambini sarà capitato di giocare al mare con una barchetta,

quanti avranno osservato come è semplice sollevare una pietra quando questa

sta nell’acqua ecc, ma quanti di questi si saranno chiesti il perché? Forse

qualcuno di loro l’avrà fatto, ma non sarà riuscito a trovare una risposta e perciò

avrà chiesto agli amici o a qualche adulto senza riuscire ancora una volta a

soddisfare la propria curiosità. Riflettendo sulla realtà che ci circonda potremmo

trovare mille altri interrogativi come questi: i bambini sono molto bravi a farlo.

Con il percorso che ho realizzato ho tentato di dare una risposta ad una tra le

tante domande che alcuni dei bambini potevano essersi posti.

Dopo aver ricercato e studiato la parte fisica sul principio di Archimede

mi sono immersa nella ricerca di materiale che proponesse attività legate al

galleggiamento per bambini di una scuola primaria. Rispetto a tanti altri temi

127

non ho trovato molto: in alcuni progetti che avevo individuato, soprattutto su siti

internet, si proponevano pochi esperimenti che avevano come scopo, ad

esempio, di dividere gli oggetti che galleggiano da quelli che non galleggiano,

provare l’esistenza di una spinta su alcuni oggetti… Ho deciso quindi di

spingermi oltre anche perché potevo realizzare l’esperienza con bambini più

grandi. Ho deciso di individuare alcuni esperimenti chiave che, in successione

avrebbero condotto i bambini alla formulazione del principio di Archimede. Devo

ammettere che inizialmente i dubbi non sono mancati vista la complessità del

tema ma ero abbastanza fiduciosa considerato che, come suggeriscono molti

pedagogisti di cui ho parlato nel primo capitolo e che hanno fatto da retroterra

per il progetto, bisogna osare e non fermarsi alle conoscenze che i bambini già

possiedono. Ero certa che il mio progetto non faceva parte delle conoscenze di

senso comune dei bambini: chi di loro conosce il perché gli oggetti galleggiano

e cosa afferma il principio di Archimede?. Dunque il tema del galleggiamento mi

è sembrato un tema interessante e originale da proporre. Il motto che ho fatto

mio per questo progetto è “partire dall’esperienza e ritornare all’esperienza con

nuove chiavi interpretative”75. Infatti quando il bambino entra nella scuola

primaria, ha già sulle spalle sei anni di storia, fatta di esperienza, di cultura…

“Ha osservato e studiato molteplici aspetti del mondo fisico che lo circonda,

usando gli strumenti a sua disposizione: il corpo, il gioco…”76

2. Piaget: riflessioni sul galleggiamento L’autore fa riferimento all’attività del galleggiamento soprattutto come

pretesto per lo studio dell’evoluzione del pensiero in una situazione pratica.

Reputo il contributo di Piaget indispensabile per la mia iniziale fase di

progettazione. Conoscevo il principio, avevo organizzato le varie fasi del

progetto ma è grazie al contributo dell’autore che ho potuto avere un’idea più

75 DUPRÈ, (a cura di) l’educazione scientifica nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze 1991, p. 140 76 G. MAVIGLIA, Polveri e liquidi, Editoriale Scienza, Milano, 1996, p. 86

128

strettamente pedagogica del fenomeno, quanto meno un’interpretazione fra le

tante.

Piaget inizia il paragrafo (“il galleggiamento dei corpi e l’eliminazione

delle contraddizioni”) dedicato all’argomento che mi ha interessato individuando

le attività, gli esperimenti a cui i bambini da lui osservati erano stati chiamati a

svolgere: il bambino deve di fronte a oggetti diversi classificarli in base al

criterio galleggia o affonda; terminata questa classificazione deve indicare per

ogni oggetto la ragione della classificazione; dopo di che compie l’esperienza

verificando la sua previsione e riassume i risultati cercando la legge. In linea

generale anch’io ho usato la stessa impostazione durante i vari esperimenti:

ognuno fa un’ipotesi, compie l’esperienza, verifica la propria ipotesi traendo le

conclusioni. Ciò corrisponde al metodo sperimentale che anche Piaget

proponeva come metodo di ricerca.

Secondo Piaget il concetto di galleggiamento “non riguarda delle operazioni

tutte accessibili al livello delle operazioni concrete. Né la conservazione del

volume né la nozione di densità sono elaborate in modo sistematico prima del

livello III A (11-12 anni)”77. Del gruppo che ha partecipato al progetto

effettivamente, come illustrerò nella verifica, alcuni bambini hanno trovato delle

difficoltà nel capire il concetto di volume e soprattutto di peso specifico. Dice

Piaget che il tema, per i motivi già citati, è opportuno venga introdotto allo stadio

del passaggio dal pensiero concreto al pensiero formale. Dopo questa

premessa egli suddivide la raccolta delle esperienze dei bambini osservati

secondo stadi di età. C’è quindi il primo, il secondo e il terzo stadio. Per ogni

stadio sono previste delle sottocategorie.

- Il primo stadio.

I bambini di questo stadio hanno fino agli 8 anni di età. Secondo Piaget

questo primo livello è di grande interesse: questi bambini fanno uso di

interpretazioni del fenomeno contraddittorie, ancora elementari e

ingenue. Il presente stadio si suddivide in due sottostadi: nel primo i

bambini prevedono che un oggetto di cui hanno constatato il 77 J. PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 22

129

galleggiamento o non galleggiamento conservi le sue proprietà ma non

riuscendo a dare una spiegazione, non ne estendono le proprietà a

oggetti analoghi. “Iea dice per esempio a proposito di un pezzo di legno,

che resta sopra, l’altro giorno l’ho gettato nell’acqua ed è restato sopra. -

Ma un momento dopo dice che il legno nuoterà dappertutto - E questo

(un pezzo di legno più piccolo)? - il legno piccolo affonderà”78. Questa

reazione dimostra che la classificazione è impossibile: per costruire le

classi degli oggetti che galleggiano e che non galleggiano, una prima

possibilità consiste nell’individuare una proprietà discriminante. Questi

bambini non ci riescono. Nel secondo sottostadio, il bambino prova a

classificare gli oggetti in galleggianti e non ma non giunge ad una

classificazione per tre motivi:

- ammettendo che cominci a cercare, egli non trova la legge e si

accontenta di spiegazioni diverse fra loro

- di fronte all’esperienza trova altre spiegazioni ed aggiunge così altre

divisioni alla classificazione, ma senza operare un riordinamento

completo

- alcune di queste classificazioni sono contraddittorie.

Sembra che l’esperienza in questo caso possa complicare le cose perché il

bambino prima aveva diviso in due gruppi gli oggetti e poi dopo aver

sperimentato, crea ulteriori sottocategorie per giustificare il comportamento da

lui non previsto degli oggetti. Alcune spiegazioni che il bambino osservato da

Piaget fornisce sono: gli oggetti che galleggiano sono quelli piccoli, quelli

leggeri, quelli piatti, quelli sottili mentre gli oggetti che affondano sono quelli

grossi, quelli pesanti, quelli che erano già andati a fondo. Questo tipo di

classificazione porta ben presto il bambino a delle contraddizioni. Ad esempio

non tutti gli oggetti pesanti vanno a fondo perciò un bambino, di un asse

ipotizza che affonderà perché è pesante mentre poi osserva che galleggia e

se la cava dicendo che c’è troppa acqua per riuscire ad andare a fondo. C’è

78 J. PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 24

130

da fare una considerazione: l’esperienza in questo stadio non fa sparire

l’errore poiché i bambini trovano delle vie di fuga continuando sempre a

sostenere la propria ipotesi.

- Il secondo stadio. Livello A

Il bambino comincia a rinunciare alla spiegazione assoluta di peso

(oggetti leggeri galleggiano e oggetti pesanti affondano) per orientarsi

verso il concetto di densità e peso specifico. “Ker classifica gli oggetti

che galleggiano: legno, fiammiferi, trucioli, un coperchio di metallo; quelli

che affondano: una chiave, l’ago, la palla di legno pesante… dopo

l’esperienza inserisce una nuova categoria: oggetti che galleggiano e

che vanno a fondo a seconda che siano vuoti o pieni d’acqua.”79. Le

prime due classi sono definite dal concetto di leggero e di pesante ma “si

può osservare come Ker oscilli tra il vecchio senso assoluto ovvero i

piccoli chiodi leggeri e la grossa palla di legno pesante e il nuovo senso

relativo cioè il peso specifico: il sasso piccolo va a fondo?- si – ma è

leggero? – no, è pietra. – E il chiodo? – va giù perché è ferro”80. Il

bambino non considera più tutti gli oggetti piccoli automaticamente i più

leggeri e quelli grandi i più pesanti. È costretto a rivedere il concetto di

peso assoluto aprendo alla nozione di peso in funzione del volume e

della materia costituente l’oggetto. Secondo Piaget il bambino di questo

livello non è in grado di acquisire completamente la nozione di peso

specifico poiché non comprende ancora né la conservazione del peso,

né la conservazione del volume.

- Il secondo stadio. Livello B

Possono inserirsi in questa categoria i bambini di 9-10 anni: essi

acquisiscono la nozione di conservazione del peso mentre per quanto

riguarda il peso specifico non si limitano più a qualificare le diverse

materie in termini di peso semplice: il ferro è pesante, il legno è leggero,

79 J. PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 30 80 . PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 30

131

ma introducono un nuovo tipo di spiegazione: gli oggetti con un elevato

peso specifico sono più “riempiti” degli altri. Non si tratta ancora una

relazione tra peso e volume dato che non comprendono ancora la

conservazione di quest’ultimo. Cosicché il bambino quando confronta il

peso dei corpi con quello dell’acqua, non mette in relazione il peso

dell’oggetto con il peso dell’acqua spostata, ma con il peso di tutta

l’acqua contenuta nel recipiente. Questa è la causa di un ultimo gruppo

di contraddizioni. “perché la palla e i pezzi di legno galleggiano? - perché

sono abbastanza leggere- e il coperchio che fa? – va a fondo perché non

c’è abbastanza acqua per tenerlo- e le pietre? – l’acqua non le può

portare ma può portare il legno”81. Questo bambino secondo Piaget

classifica gli oggetti in funzione del peso specifico e non del peso

assoluto e arriva anche a formulare un rapporto esplicito tra peso e

volume: l’ago è più pesante del pezzo di legno perché, dice il bambino,

se il legno fosse della stessa “grossezza” dell’ago, sarebbe più leggero. I

presupposti ci sono ma ancora non si riesce a formulare la legge

universale proprio perché non si confronta il peso dell’oggetto con il peso

dell’acqua spostata, ma con il peso dell’acqua del recipiente.

- Il terzo stadio

Come ho illustrato, il pensiero percorre un lungo cammino prima di

creare una spiegazione non contraddittoria e unica. Il bambino ha 11

anni e finalmente, è in grado di capire il concetto di conservazione del

volume ovvero l’ultimo ostacolo alla comprensione del fenomeno

galleggiamento e quindi del principio di Archimede. Mettere in relazione il

peso del corpo considerato e il peso dell’acqua spostata costituiva un

grosso impedimento che ho riscontrato anche nel gruppo con cui ho

lavorato: voleva dire immaginare una situazione, immaginare di poter

togliere l’oggetto immerso e al suo posto vedere uno spazio delimitato.

81 J. PIAGET, Dalla logica del fanciullo alla logica dell’adolescente, Giunti, Firenze 1973, p. 36

132

Posso affermare che non tutto il gruppo con cui ho portato avanti il progetto

era omogeneo: alcuni bambini più della metà vanno inseriti nell’ultima

categoria mentre altri si trovano al secondo stadio. Giustamente direi: l’età82

è un fattore importante ma certe volte viene superato dall’interesse e dalla

proprie capacità. Infatti alcuni bambini della classe quinta sono da collocare

nel secondo stadio mentre alcuni dei bambini di quarta vanno collocati nel

terzo stadio.

3. Informazioni preliminari al progetto

3.1. Alcuni punti chiave del progetto

Per la scienza in generale e per la fisica in particolare, l’esperimento è lo

strumento più importante per arrivare alla scoperta di leggi e alla formulazione

di teorie. Nell’attività scientifica che ho condotto, il termine esperimento è

risuonato molte volte in classe e gli stessi bambini appena mi vedevano

dicevano “C’è Eleonora, oggi si fa un altro esperimento!”. Gli esperimenti che

ho portato avanti erano molto “artigianali” così come gli strumenti ma i bambini

erano consapevoli che si stava facendo una “cosa seria”. Erano loro i

protagonisti, erano loro che sempre secondo la mia guida, facevano (per usare

un importante concetto della teoria di Dewey learning by doing) e imparavano.

Secondo me le scienze e in particolare la fisica vanno fatte e non raccontate.

Solo dopo aver fatto, posso capire i racconti di scienze (vedere slogan ludoteca

scientifica di Pisa). Prima di arrivare al progetto vero e proprio ecco alcuni punti

chiave che ho individuato anche in riferimento alla parte teorica.

- Partire dal bambino: nell’impostare la ricerca mi sono informata sulle

preconoscenze che i bambini possedevano. Ad esempio ho scoperto che i

bambini della classe quinta già conoscevano il concetto di volume e già

82 Il gruppo che ha partecipato al progetto, come evidenzierò successivamente, è composto dalla classe quarta e dalla classe quinta della scuola che mi ha ospitato.

133

avevano studiato alcune proprietà dell’acqua, quali i tre stati… Nessuno di

loro aveva mai studiato il fenomeno del galleggiamento perciò le idee che

loro avevano sul tema potevano essere sbagliate ma non per questo le ho

corrette bruscamente.

- da conoscenza di senso comune a conoscenza scientifica: nel primo e

secondo incontro i bambini spiegavano il fenomeno del galleggiamento

secondo il proprio bagaglio di esperienze. Nel primo incontro si

osservavano oggetti che galleggiano e oggetti che affondano: questa è

conoscenza di senso comune. Alla domanda successiva perché gli oggetti

galleggiano ognuno dava una diversa interpretazione a seconda delle

proprie conoscenze. Lentamente la conoscenza di senso comune è stata

messa da parte perché ad ogni incontro subentravano nuove informazioni

e nuovi stimoli che hanno condotto il bambino alla conoscenza scientifica

del fenomeno. Dovevo aiutare i bambini a mettere in gioco, attraverso il

lavoro di ricerca e sperimentazione, la conoscenza di base che

possedevano che come ho illustrato nel capitolo teorico è dura da

scardinare. Il passaggio è reso possibile anche dall’uso del metodo

scientifico per conoscere la realtà che ci sta attorno.

- La gradualità: non considero produttivo il passaggio brusco tra

conoscenza di senso comune e conoscenza scientifica perciò ho

impostato il percorso nel modo più graduale possibile perché non ero io

che dovevo fornire concetti ma erano i bambini che da soli, rispettando i

propri tempi, dovevano arrivare al cambiamento del loro punto di vista.

Certamente qualcuno ci è arrivato mentre qualcun altro forse aveva

bisogno di ancora più tempo. Il mio scopo, nel rispetto della gradualità

appunto, non era quello di trasformare le loro idee ma accompagnarli nel

processo di modifica fornendo occasioni per metterle alla prova. Intendo

la gradualità anche come modalità da me usata per strutturare le attività:

gli incontri sono tutti concatenati, si va dalla scoperta dell’esistenza di

134

alcuni oggetti che galleggiano e altri no (già i bambini lo sapevano infatti

in questa attività non ci sono stati problemi), alla scoperta di una spinta,

alla scoperta che questa spinta può essere minore o maggiore, alla

scoperta che la spinta è maggiore o minore del peso dell’oggetto, alla

scoperta della Legge di Archimede. Ogni incontro veniva chiuso con un

perché la cui risposta veniva data dall’esperimento dell’incontro

successivo. Penso che aver investito sull’uso di tale metodologia non mi

abbia contraddetta nei risultati ottenuti.

- La discussione come punto di forza: è capitato molte volte durante il

progetto che emergessero tesi diverse o ipotesi contrastanti su uno stesso

esperimento. I bambini sostenevano tesi semplici con una logica

elementare compresa da tutti i compagni, che avevano la possibilità di

replicare con la stessa logica e semplicità. Sono spesso i compagni che

hanno messo in luce i punti deboli di un’ipotesi di un bambino e in questo

scontro dialettico ci si può aiutare reciprocamente e maturare insieme

nuove idee. Inizialmente tutte le ipotesi venivano accettate poiché era il

bambino stesso che ne verificava la propria veridicità attraverso

l’esperimento.

- Learning by doing, usare gli esperimenti: riprendendo il concetto di Dewey

ho puntato sull’esperimento. Attraverso il fare e manipolare e il provare, i

bambini erano i protagonisti riuscendo a osservare il vero comportamento

degli oggetti. Alcuni esperimenti che ho realizzato forse non sono neppure

degni di essere chiamati tali per la loro banalità apparente. Il fare

esperimenti ai bambini piace molto perché si sentono coinvolti e vogliono

mettere alla prova gli oggetti e il mondo intorno a loro.

- L’adulto-animatore: ha un ruolo molto importante. Io stessa mi sentivo

investita di grande responsabilità. I bambini si aspettavano molto e per non

deluderli c’era un solo modo: dovevo conoscere, e ciò vale anche per altre

135

attività, innanzitutto l’argomento. Sulla conoscenza profonda

dell’argomento si possono instaurare esperienze interessanti: i bambini

sono convinti che tu sappia tutto e perciò pongono domande a cui puoi

rispondere solo se conosci l’oggetto di studio. Senza la tua conoscenza

non si può pretendere che i bambini imparino da te qualcosa ma può

accadere invece che l’esperienza sia disastrosa. L’adulto deve anche

organizzare la lezione e i contenuti nel miglior modo possibile adattando il

tutto ai bambini che si hanno di fronte. L’esperienza realizzata mi ha

insegnato che nulla deve essere lasciato al caso: l’animatore deve

impostare passo passo il lavoro, predisporre il materiale, provare a casa

l’efficacia degli esperimenti, condurre in aula l’esperimento nel migliore dei

modi, registrare le opinioni dei bambini, condurre le riflessioni. I compiti

quindi sono molti e molto è l’impegno richiesto.

- Il materiale come importante mezzo: predisporre il materiale è un

compito importante. Il mio obiettivo durante l’elaborazione di esso era

quello della chiarezza. Secondo me il materiale deve essere il più

semplice e il più immediato possibile. A seconda del caso mi sono

servita di cartelloni schematici e schede riassuntive. In entrambi ho

cercato di mettere le informazioni principali, niente di più niente di meno,

per far sì che di primo impatto il bambino avesse subito un immediato

riscontro. Ho puntato quindi molto anche sulla grafica e sull’impostazione

sia delle schede, realizzate al computer, sia dei cartelloni.

- Il linguaggio. un altro elemento da tenere presente è stato proprio

questo. Spesso i bambini dimostravano di aver capito o di saper

spiegare nella propria testa gli esperimenti ma di non riuscire a spiegarlo

a parole. C’è infatti chi magari se ne stava zitto non perché non avesse

capito ma perché non riusciva a spiegarsi. Molte volte sono risuonate in

classe queste parole “non so come spiegarmi!”. Spiegare dei fenomeni

fisici senza possedere un linguaggi appropriato, “scientifico” è

136

abbastanza difficile. Ho puntato molto quindi sull’uso dei termini corretti

tralasciando però una spiegazione della diversità tra peso e massa

perché ho reputato fosse inutile complicare le cose ulteriormente. Ho

cercato di usare termini tecnici ma che fossero chiari e dei quali i bambini

conoscessero il significato. Anche nei cartelloni e nelle schede ho

puntato ad una scelto precisa riguardo al linguaggio. poche frasi ma

chiare e concise.

3.2. Il contesto

La scuola primaria in cui ho svolto il percorso didattico fa parte di un

Istituto Comprensivo della Provincia di Pisa ed è dislocato in una zona collinare.

I bambini che hanno “collaborato” alla realizzazione del progetto sono stati in

tutto 19: 11 frequentano la classe quarta mentre 8 la quinta. La decisione di

estendere il progetto a due classi è stata presa in accordo con le insegnanti

della scuola per due ragioni: i bambini della classe quinta dove avrei dovuto

svolgere il progetto erano solo in 8 perciò la possibilità che durante gli incontri

tale numero scendesse era molto alta e il progetto ne avrebbe risentito; la

seconda invece riguardava l’interesse che la metà della classe quarta durante

gli anni trascorsi a scuola ha dimostrato avere per l’ambito scientifico. Alla fine

questo tipo di scelta si è rivelata molto positiva per il contributo che ognuno ha

dato nelle varie esperienze fatte, anche con qualche sorpresa. Fra questi 19

bambini, mi sembra giusto dirlo, ci sono anche due bambini appartenenti alle

due diverse classi che hanno un ritardo mentale lieve, uno è seguito

dall’insegnante di sostegno mentre l’altro è in fase di certificazione. Entrambi

hanno partecipato al progetto dimostrando grande coinvolgimento soprattutto

nella fase sperimentale, un po’ meno durante l’elaborazione dei dati.

3.3. Le conoscenze pregresse degli alunni

137

Le insegnanti dell’ambito scientifico hanno fin dalla prima iniziato a

sensibilizzare i bambini all’uso del metodo scientifico. Per tutti gli argomenti

affrontati i bambini osservavano, raccoglievano dati formulavano ipotesi,

elaboravano un esperimento per la verifica dell’ipotesi. Le insegnanti hanno

costantemente cercato di mostrare ai bambini l’importanza di tale procedura

nell’ambito della fisica e delle scienze soprattutto nella fase finale di raccolta

delle informazioni e dei dati attraverso schede, foto, ecc. I temi affrontati dalle

due classi sono pressappoco quelli individuati dalle Indicazioni Nazionali: in

classe si è parlato di piante, animali, essere viventi in generale, la terra, l’aria,

l’acqua. In particolar modo su quest’ultimo argomento si è svolto un progetto

che ha caratterizzato buona parte dello scorso anno scolastico. I bambini hanno

affrontato il tema del ciclo dell’acqua attraverso il fare esperimenti. Tra le

metodologie utilizzate in classe c’è proprio la sperimentazione per toccare con

mano e non fermarsi al sentito dire… in base all’argomento e all’esigenza

specifica le insegnanti alternano lezione frontale, lezione a gruppi ed

esperimenti che vengono condotti in classe durante le due ore settimanali di

scienze visto che la scuola non è dotata di un laboratorio scientifico.

3.4.. Ipotesi iniziale del progetto

Dopo essermi documentata sul ruolo che svolge il basare l’insegnamento

scientifico sull’esperienza ho messo alla prova tali considerazioni teoriche

attraverso il mio progetto. Volevo verificare che effettivamente attraverso

l’attività pratica, il fare, e la metodologia dell’esperimento i bambini possono

avvicinarsi a comprendere concetti fisici che regolano la vita di tutti i giorni.

Perciò è importante che il bambino sia in prima persona protagonista

dell’attività: vede, tocca, manipola oggetti e situazioni. Per realizzare ciò ho

utilizzato l’esperimento come modalità di insegnamento.

3.5.. Obiettivi del progetto

138

Prima di stendere gli obiettivi del mio progetto ho consultato il POF

dell’Istituto, il PECUP e la progettazione di Istituto per ambiti disciplinari

elaborata dagli insegnanti in merito alle scienze83. Successivamente a ciò ho

rivisto anche le conoscenze e abilità previste dalle Indicazioni Nazionali.

Gli obiettivi generali del processo formativo che l’Istituto Comprensivo ha

cercato di valorizzare e che mi hanno interessato in funzione del progetto sono:

la valorizzazione dell’esperienza del fanciullo, l’esplicitazione delle ideee e dei

valori presenti nell’esperienza e infine l’attenzione al confronto personale. Le

caratteristiche peculiari delle scienze che le insegnanti della scuola hanno

individuato in relazione agli obiettivi sono: l’acquisizione di conoscenze e abilità

utili per l’interpretazione, lo sviluppo delle capacità di utilizzare linguaggi propri

del metodo scientifico… le scienze inoltre sempre secondo il documento stilato

dalla scuola attivano atteggiamenti nei confronti del mondo che stimolano il

bambino a porre domande, osservare, porre attenzione alle relazioni esistenti,

ad analizzare le situazioni negli elementi costitutivi, a distinguere il certo dal

probabile…84

Dopo questa attenta analisi mi sono dedicata alla formulazione degli obiettivi

del progetto

Obiettivi formativi:

- Sviluppare la curiosità e il gusto della scoperta

- Favorire l’interesse e la motivazione sull’argomento

- Sviluppare la capacità di mettere in relazione eventi e fare confronti

- Partire dalle conoscenze che i bambini hanno della realtà, verificarle e

trasformarle

- Stimolare e risolvere situazioni problematiche attraverso la

sperimentazione

- Mettersi in gioco accettando eventuali errori compiuti nell’ipotesi.

- Risolvere problemi applicando conoscenze acquisite in contesti diversi

83 Vedere allegati 84 Vedere per la forma completa gli allegati

139

- Raggiungere attraverso il metodo scientifico e l’esperimento capacità,

competenze sempre più complesse

- Arrivare a generalizzare i risultati

- Indagare sul comportamento della natura

- Saper lavorare da soli o in gruppo

- Acquisire la capacità di formulare ipotesi e verificarle

- Acquisire una terminologia appropriata

- Rispettare le consegne

- Condividere i risultati

Obiettivi specifici di apprendimento

- Comprendere perchè alcuni corpi galleggiano e altri vanno a fondo

- Scoprire le condizioni che determinano il galleggiamento

- Intuire l’esistenza di una forza che “sostiene gli oggetti”

- Comprendere che la spinta è sempre presente anche nei corpi che non

galleggiano

- Capire che la spinta può essere minore, maggiore o uguale del peso del

corpo immerso e che hanno verso opposto

- Comprendere che la spinta è pari al peso del liquido spostato

- Comprendere l’analogia tra volume dell’oggetto e volume del liquido

spostato

- Acquisire il concetto di volume

- Acquisire il concetto di peso specifico

- Capire che gli oggetti con peso specifico galleggiano su quelli con peso

specifico/densità maggiore

- Capire che oggetti dello stesso materiale possono galleggiare e

affondare

- Capire l’importanza del volume di un oggetto per determinare il suo

galleggiamento

140

- Capire l’importanza del peso di un oggetto

- Capire l’importanza del peso specifico (legame tra peso e volume) per il

fenomeno del galleggiamento

- Capire che non tutti gli oggetti grandi galleggiano e non tutti quelli piccoli

affondano

- Conoscere il funzionamento di un sommergibile

- Estendere la legge di Archimede allo studio Della stratificazione dei

liquidi su liquidi

3.6. Spazi e tempi

Per questo progetto gli spazi usati sono stati: prevalentemente l’aula perché la

scuola non ha un laboratorio di scienze e l’aula computer. Secondo le attività

abbiamo rivoluzionato lo spazio, ad esempio per le attività in cerchio abbiamo

spostato i banchi a nostro piacimento.

Gli incontri sono stati in tutto dieci: per la maggior parte di essi ho utilizzato due

ore. Solo per un incontro mi sono servita di un’ora soltanto. Nella fase iniziale

naturalmente il calendario era molto approssimativo perché dovevo far

coincidere i tempi dei bambini con i tempi delle attività.

3.7.. Strategie

- Attività alternative rispetto alla lezione tradizionale

- Uso di metodologie che rendono la classe più attiva

- Lavori di gruppi a coppie o individuali

- Uso di: osservazione diretta dei fenomeni, attività pratico-

sperimentali, lezioni frontali e conversazioni

- Scoprire nuove tecniche di lavoro

- Discutere, interagire, rendere i bambini protagonisti delle attività

attraverso l’ascolto delle loro opinioni

- Suscitare l’interesse dei bambini per quello che si fa

141

- Utilizzo del messaggio sul computer dello scienziato anonimo e

l’indossare le casacche da scienziati come filo conduttore del

progetto per destare curiosità

- Responsabilizzare il bambino nei confronti del proprio materiale

3.8. Strumenti e materiali

- astuccio

- fogli bianchi

- fotocopie

- computer

- scanner

- macchina fotografica

- fotocopiatrice

- materiale reperito in biblioteca, libreria, internet

- fogli bianchi

- cartelloni

- immagini relative all’attività

- oggetti vari: fogli di alluminio, pongo, sasso, tappi, foglia, cera,

bottone, monete, biglie di vetro…

- elastici

- bicchieri di plastica

- bottiglie

- vasca grande trasparente

- bilancia a bracci

- liquidi diversi

3.9. Prodotto finale - Sottomarino

- Elaborati grafici, cartelloni

- Fascicolo con tutte gli elaborati da consegnare ad ogni bimbo

142

3.10. Verifica La verifica è avvenuta in itinere (per vedere ad ogni incontro e attività proposta

se i bambini hanno compreso i concetti) e alla fine, con una scheda da

completare con domande aperte e chiuse.

5. Il progetto: incontro dopo incontro

PRIMO INCONTRO

AAA cercasi apprendisti scienziati

Questo incontro è stato uno dei più importanti non tanto per i contenuti

ma piuttosto per motivare i bambini. Dovevo riuscire a catturare la loro

attenzione e curiosità per poter portare avanti un percorso fatto di molti incontri

dove imparare ma anche divertirsi. Credo di esserci riuscita nonostante i dubbi

iniziali.

Lo scienziato smemorato si rivolgeva direttamente ai bambini per la

prima volta: “ciao ragazzi, ho saputo che a scienze siete molto bravi perciò mi

dovete aiutare, ho un grosso problema. Una mattina mi sono svegliato e non

ricordavo più niente. Ricordo solo che ero un illustre scienziato ma mi sono

dimenticato che cosa studiavo, come lavoravo, di cosa mi occupavo... I miei

amici mi prendono in giro chiamandomi lo scienziato smemorato. Vi prego ho

assolutamente bisogno di voi. Sapreste dirmi cosa fa uno scienziato e cos’è la

scienza così forse qualcosa mi tornerà in mente. Adesso vi saluto, fate un

ottimo lavoro.”

A questo punto le facce dei bambini parlavano chiaro: forse non era uno

scherzo, come loro avevano inizialmente dubitato e lo scienziato aveva davvero

bisogno di loro. Ho fatto riascoltare il messaggio e ho detto ai bambini di fare

attenzione alle due domande che lo scienziato smemorato ci poneva: che cos’è

la scienza e chi è e cosa fa uno scienziato. Ho chiesto qual’era un modo per

143

poter fare arrivare le nostre risposte allo scienziato… c’è chi ha proposto di

scrivere una lettera… chi fare un video e chi inviare un CD con le voci

registrate. Ciò che mi interessava era un verifica delle idee dei bambini

sull’argomento.

Ecco le opinioni dei bambini:

Che cos’è la scienza??

- È un tipo di lavoro

- È far rivivere le persone

- Per me la scienza è studiare su delle cose

- È una cosa che ti fa studiare il corpo umano, gli animali

- Con la scienza si studia come va il mondo

- È una materia

- Si è studiato all’inizio dell’anno.

I bambini hanno trovato qualche difficoltà nel rispondere a questa domanda,

forse per colpa del registratore che circolava davanti a loro e molti, presi un po’

dall’emozione, hanno preferito non rispondere. Riflettendoci ho capito che forse

quella non era stata una buona tecnica visto che successivamente alla seconda

domanda hanno partecipato con più enfasi e il microfono davanti non ce

l’avevano. Mi sono chiesta e ho chiesto loro, se si erano fatti mai questa

domanda e in coro mi hanno detto di no. Le risposte date evidenziano quanto

sia influente la visione della scienza come disciplina di studio: la maggior parte

ha definito la scienza secondo gli argomenti trattati in classe con l’insegnante.

Chi è e cosa fa uno scienziato?

Forse questa domanda era considerata più facile e i bambini hanno espresso

molte opinioni: alcune un po’ stravaganti altre un po’ più pertinenti ma tutte

veramente sorprendenti. I bambini hanno scavato nella loro conoscenza, molti

hanno ripensato alla loro esperienza scolastica, altri a personaggi dei cartoni

animati. Ecco le opinioni dei bambini:

144

- Analizza le cose

- Analizza le impronte

- Trova animali sottoterra

- Ridà vita ai fossili

- Studia com’è nato il mondo

- Fa gli esperimenti

- Usa le lenti d’ingrandimento

- Studia tanti libri e poi fa gli esperimenti

- Fa le pozioni

- Fa gli antidoti per uccidere o per guarire le persone

- Studia tutte le cose di scienze

- Prevede il futuro

- Studia le forme di vita

- Costruisce le macchine

- Costruisce i robot

- Studia le origini del mondo

- È una persona anziana

- Può essere anche giovane

- Studia lo spazio

- Studia i pianeti

- Studia il sole la luna le stelle

- Studia le piante e gli animali

- Trova tutte le soluzioni ai problemi

- Studia tutte le cose che accadono sulla terra

- Studia tutto

Dalle opinioni emerge chiaro come molti di loro pensano allo scienziato

come a colui che si occupa della materia scienze (nell’opinione di un bambino è

chiara questa idea) che loro fanno a scuola. Infatti molti lo vedono studiare le

piante (in classe hanno seguito con un esperimento la crescita delle piante a

145

scienze), gli animali… ciò corrisponde infatti al programma di scienze. Altri lo

associano all’esperienza che hanno fatto con una tirocinante sull’astronomia.

Perciò molti lo vedono impegnato a studiare le stelle, lo spazio, i pianeti…Altri lo

collegano agli strumenti che lui usa per lavorare perciò pensano che lavori in un

laboratorio, che faccia esperimenti, che usi delle lenti… Altri, che hanno una

visione più completa, credono che lo scienziato si debba occupare di tutto

quello che ci circonda, di tutte le cose che accadono intorno a noi, e per fare ciò

ha bisogno di studiare e fare tanti esperimenti. Per i bambini con più fantasia lo

scienziato costruisce robot, fa rivivere i fossili, prevede il futuro…

Nel cartellone su cui ho riportato le opinioni dei bambini avevo disegnato

una figura di scienziato e avevo creato delle finestrelle con sotto alcune

informazioni utili per scoprire questa figura importante. “cosa ci sarà scritto qui

sotto?”, “le cose giuste” no le cose sbagliate. Chiamavo un bambino e gli facevo

leggere la frase e poi la commentavamo insieme.

- Grazie al suo lavoro la nostra esistenza è migliorata

146

È giusta o sbagliata secondo voi? Per tutti era un’affermazione giusta allora ho

chiesto di motivare la risposta: “perché hanno costruito cose utili, hanno fatto ad

esempio medicine, quelle cose hanno migliorato la nostra vita…”

Abbiamo scoperto quindi che il lavoro dello scienziato è un lavoro importante e

utile per tutti noi che non lo siamo.

- Studia il mondo e i fenomeni che in esso si verificano

Un po’ questo aspetto è emerso nelle opinioni iniziali espresse dai bambini.

Mi è venuto naturale chiedere che cosa sono i fenomeni? Molti hanno

scosso il capo ma lentamente sono emerse delle cose veramente

interessanti. I fenomeni per i bambini sono: “lo tzunami, un eclisse, una

valanga, se nevica o se piove, le stagioni, un meteorite che cade sulla terra,

un missile che viaggia nello spazio”.

Viste le loro opinioni ho pensato di intervenire buttando là uno stimolo.

“secondo voi una palla che rotola su un pavimento, il formarsi dell’ombra,

una macchina che viaggia, un oggetto che cade diversamente da un’altro

possono considerarsi fenomeni e essere studiati dallo scienziato?”

Ecco che ho fatto leggere la frase successiva:

- Non si occupa solo di cose difficili. C’è scienza anche nelle cose di tutti i

giorni

Con questo volevo iniziare a far riflettere i bambini sul fatto che lo scienziato

non deve per forza studiare cose strane per essere definito tale. Le cose

che lui studia appartengono alla realtà di tutti i giorni. Dalle loro opinioni

invece emerge una figura un po’ lontana dalla realtà influenzati forse da certi

cartoni animati che vengono trasmessi alla TV.

Lo scienziato come lavora? Alcuni di loro avevano accennato a laboratori,

esperimenti e certe lenti... ecco in aiuto la scoperta della prossima frase.

- La scienziato si pone delle domande e cerca di darsi delle risposte

147

Cerca infatti di scoprire il perché delle cose che ci circondano. Anche in

questa stanza se ci pensiamo possiamo trovare molti perché. “Ognuno di voi

avrebbe da fare una domanda, avrebbe una curiosità da far svelare ad uno

scienziato se fosse qui? Quali sono i vostri perché che vi vengono in

mente?”

- Perché una bottiglia cade

- Perché piove o nevica o c’è il sole qualche volta

- Perché arrivano le trombe d’aria

- Perché un vulcano erutta

- Perché ci sono i terremoti

- Perché il sole scalda

- Perché il sole brucia gli occhi

- Perché viene l’arcobaleno

- Perché vediamo i colori

- Perché le nuvole stanno in aria

- Perché il cielo è celeste

- Perché le persone crescono

- Perché in acqua si sta a galla

- Perché esiste l’ombra

- Perché sulla luna si sta sospesi in aria

- Perché tutti non hanno il solito colore dei capelli

- Perché i mattoni sono duri

- Perché c’è la gravità

- Perché l’acqua bagna

- Perché in acqua si affonda

- Coma fa l’acqua a bruciare

- Perché alcuni animali ci vedono di notte.

Questo gioco dei perché alla fine, è molto piaciuto ai bambini: hanno

potuto dare sfogo alle domande a cui avevano o non avevano mai

pensato. Sorprendentemente un bambino ha centrato proprio il concetto:

148

si è infatti chiesto il perché le cose galleggiano. Questa è stata una

sorpresa che ho sfruttato nel secondo incontro per riprendere il filo del

discorso. Qualche bambino alla fine ha detto che le domande forse che si

possono fare sono infinite perché infiniti sono i fenomeni da studiare.

- Usa il metodo scientifico

Fino ad adesso ci eravamo soffermati solo sul chi è uno scienziato e cosa

fa. Un altro aspetto importante è proprio quello del come lavora. Qualcuno

mi ha detto all’inizio che con il metodo scientifico “si usa la scienza” e

inoltre “che è il modo di fare dello scienziato” ma nessuno almeno

inizialmente è riuscito a darmi una spiegazione più precisa. Continuando a

leggere sono riaffiorati i concetti che i bambini già avevano studiato. Ecco

la spiegazione del significato di metodo scientifico secondo uno dei

bambini: “lo scienziato all’inizio guarda le cose che gli stanno intorno poi fa

un’ipotesi, cerca di spiegare con parole sue il perché delle cose, poi fatta

l’ipotesi fa un esperimento e se questo esperimento va bene ed è giusto

allora aveva ragione e la sua ipotesi era vera. Invece se l’esperimento va

male deve fare altre ipotesi, cambiare qualcosa e ripartire da capo”. Dopo

questa spiegazione pressoché perfetta abbiamo letto insieme la frase che

io avevo scritto.

- sa che in futuro la sua teoria potrebbe subire delle modifiche

Ecco alcune opinioni dei bambini su questa frase: “la sua teoria può in

futuro essere cambiata perché vengono scoperti nuove cose che

spiegano meglio quel fatto”, “viene corretto”, “la sua teoria comunque

non vuol dire che era sbagliata”, “si aggiunge qualcosa di nuovo”.

- Facendo esperimenti acquisisce nuove conoscenze se…

Acquisisce nuove conoscenze se “l’esperimento è riuscito mentre se

l’esperimento è andato male non c’è nessuna nuova conoscenza perché

149

lo deve fare in un certo modo”. I bambini hanno individuato il significato

che io volevo dare a quel se.

Quasi al termine di questo primo incontro ho puntato molto sull’importanza delle

regole. Sono infatti partita dalla loro quotidianità chiedendo “cos’è importante a

scuola?” c’è chi ha detto: avere

tutto il materiale, ascoltare la

maestra, stare attenti durante le

spiegazioni, fare le cose precisi.

Dagli stessi bambini è venuto

fuori che questo può essere

definito come un insieme di

regole. Per fare bene un’attività

servono delle regole e quindi

anche per diventare abili

apprendisti scienziati serve il

rispetto di alcune di esse.

Vediamo quali: abbiamo srotolato pian piano il cartellone che riportava le

regole. Ogni bambino ne leggeva una e cercava di darle una spiegazione.

- Non improvvisare gli esperimenti. “Vuol dire che avevi deciso di non farlo

poi lo fa dopo cinque minuti”, “fai l’esperimento appena ti viene in

mente”, “non lo devi iniziare appena ti viene in mente”. “Ma perché?”,

“Perché ti devi fare delle domande, perché serve prima un’ipotesi, devi

vedere se hai tutto l’occorrente perché se inizi e ad un certo punto ti

serve qualcosa come fai devi smettere per forza”.

- Procurati prima tutto il materiale: ogni apprendista scienziato deve avere

davanti a sé prima di iniziare l’esperimento tutto il materiale che gli serve.

150

- Informati sulla pericolosità dell’esperimento: “bisogna stare attenti se ci

sono sostanze pericolose”, “se uso l’acido devo stare di più attento alla

pelle”, “bisogna vedere se si usa l’alcool che può prendere fuoco”.

I bambini sono quindi consapevoli che realizzare un esperimento non è

una cosa da sottovalutare: a volte bisogna stare molto attenti alle nostre

azioni e a volte può essere necessario l’aiuto di una persona adulta. Mi

sembrava una regola importante visto che in molti libri per ragazzi

vengono proposti esperimenti certe volte un po’ troppo pericolosi.

- Osserva i particolari e registra i dati: “Perché è importante registrare i

dati?”. I bambini hanno risposto: “perché ti puoi dimenticare qualcosa alla

fine dell’esperimento e lo devi ricominciare da capo”, perché “così se

scrivi puoi vedere alla fine se ci sono state delle trasformazioni”,

“nell’esperimento di scienze delle piantine abbiamo sempre scritto ogni

settimana i cambiamenti e alla fine abbiamo visto le piante che da seme

sono cresciute e di quanto in ogni settimana”, perché “ci sono

esperimenti che durano poco e altri che durano tanto e quindi è

obbligatorio scrivere sennò ti dimentichi”, “per ricordarsi i dati si possono

fare anche le foto perché ci ricordiamo meglio le trasformazioni come

nelle foto delle piantine”.

Quindi è importante osservare, registrare e documentare con fotografie

ed è quello che ho fatto negli incontri successivi.

- Porta sempre a conclusione l’esperimento: la regola è di non farsi

distrarre da altre cose ma restare concentrati per portare a termine

l’esperimento.

- Metti tutto in ordine quando hai terminato e pulisci gli strumenti usati:

queste due regole sono importanti non per la riuscita dell’esperimento

ma per un educazione del bambino. ognuno deve essere responsabile

delle sue cose. Deve tenere in ordine e rimettere a posto il materiale

151

usato sicuramente dopo averlo ripulito per le volte che servirà in futuro e

per le altre persone che lo useranno.

- Non scoraggiarti se l’esperimento non riesce la prima volta controlla

piuttosto se hai rispettato tutte le consegne: non bisogna mai

scoraggiarsi. È questo il messaggio che volevo trasmettere con questa

regola ai bambini. Spesso fanno presto a stancarsi di una cosa

soprattutto se vedono che non riesce invece è lì che bisogna insistere.

Verificare se abbiamo rispettato il procedimento e le consegne è

fondamentale. Serve impegno perché “nessuno di voi è nato scienziato”

Alla fine di questo primo incontro ogni bambino ha realizzato un disegno: come

vi immaginate uno scienziato?. Ecco alcuni disegni prodotti dai bambini:

152

SECONDO INCONTRO

Galleggia o affonda??

Anche in questo incontro ho riproposto inizialmente il messaggio dello

scienziato smemorato. Quando la classe aveva finito di sistemarsi con i banchi

abbiamo iniziato l’attività. G. mi ha subito chiesto “allo scienziato gli è tornata un

po’ di memoria?” ho preso spunto da questa domanda proponendo di nuovo

l’ascolto del messaggio dello scienziato che recitava pressappoco così:

“ciao ragazzi, sono ancora io. L’aiuto che mi avete dato è stato davvero

prezioso. Ascoltando le vostre opinioni un po’ di memoria mi è tornata. Mi sono

ricordato che uno scienziato non può studiare tutti i fenomeni del mondo perciò

si specializza in un ambito.

Grazie ad una parola che ho sentito pronunciare nelle vostre conversazioni mi

sono ricordato che studio il fenomeno del galleggiamento. Ricordo però solo

questo e perciò mi serve ancora il vostro aiuto… mi fido di voi.”

Come avevo già notato nel primo incontro, appena finisce il messaggio, i

bambini restano un po’ in silenzio come se riascoltassero dentro di sé le parole

dello scienziato. Il mio compito era di riportarli a riflettere sulle parole che lo

scienziato Antonio ci ha rivolto. Questa volta c’erano molte cose su cui fare

attenzione. Grazie a questo CD ho potuto introdurre dei passaggi che altrimenti

sarebbero risultati troppo “didattici”. Già nel primo incontro era emerso dalle

parole di un bambino che uno dei perché che si poteva porre lo scienziato era

proprio perché nell’acqua si galleggia? Ho colto subito questa importante

opportunità facendo dire proprio allo scienziato che grazie a questa parola si è

almeno ricordato l’ambito di cui si occupa. C. è rimasto un po’ incredulo forse

del merito che gli è stato dato, ma tutti i bambini della classe glielo hanno

riconosciuto ed è scattato un bell’applauso.

I bambini non si sono tirati indietro di fronte a questo nuovo compito tranne

un bambino che ha chiesto “ma perché se vuole sapere tutte le cose invece di

mandarci il CD non viene qua?”. Certo, questa forse era la soluzione più rapida

153

ma… Abbiamo riflettuto sulla nuova richiesta che lo scienziato ci faceva e sulle

sue parole. Ecco cosa hanno detto i bambini:

- C’ha un altro problemino…

- lo scienziato c’ha detto che non si può occupare di tutto perché i

fenomeni sono tanti e anche i perché

- i perché possono essere infiniti…

Per rendere l’esperienza più significativa e sottolinearla come esperienza fuori

dalle righe (del quaderno) mi sono inventata questo espediente che poteva

rendere più giocoso l’apprendimento e far sentire il compito più vicino ai

bambini: abbiamo deciso che per diventare dei veri apprendisti scienziati

serviva senza ombra di dubbio una divisa. Per ogni incontro abbiamo indossato

una maglietta bianca con scritto davanti il nome del bambino e dietro in un

carattere grande “apprendista scienziato/a”. ai bambini è piaciuta molto questa

idea molte esclamazioni suonavano del tipo “fortissimo” “siamo degli apprendisti

per davvero”.

Un’altra parola però andava svelata. La scienziato parlava per la prima volta

di galleggiamento perciò per sondare le opinioni iniziali su questo concetto ho

fatto questa domanda esplicita: “cosa vuol dire galleggiare secondo te?”

- si galleggia sopra l’acqua

- che si sta a galla al mare

- vuol dire non andare a fondo

- che la forza di gravità ci tiene sopra l’acqua e non ci fa andare a fondo

- che si sta sulla superficie dell’acqua

- restare sopra l’acqua

- qualcosa che sta sopra l’acqua al mare

- stare precisi sul livello del mare… e anche del fiume.

Come si deduce dalle risposte i bambini hanno attinto dalla propria esperienza

osservativa: a chiunque è capitato di vedere cose che galleggiano, infatti in

molte delle risposte compare il concetto collegato al mare. Si deduce quindi che

i bambini hanno osservato molto spesso il fenomeno durante le vacanze al

mare e questo supera altre esperienze. Alcuni definiscono la parola attraverso il

154

suo contrario cioè galleggiare vuol dire stare a galla e perciò non andare a

fondo. Le risposte più frequenti comunque sono state: stare sopra l’acqua e non

andare a fondo. Colpisce certo la risposta data da F. che chiama in causa la

forza di gravità… Nonostante tutto i bambini in generale si sono fatti un’idea su

questo fenomeno attraverso l’esperienza e l’osservazione perciò chi più chi

meno non hanno avuto difficoltà a dare una risposta anzi sembravano un po’

infastiditi dalla domanda che ritenevano troppo banale forse.

Finalmente è giunto il momento di iniziare la parte più attiva del percorso. I

bambini da adesso in poi sono stati coinvolti direttamente negli esperimenti e

nelle attività. In questo primo esperimento, forse non è nemmeno giusto

considerarlo tale, i bambini hanno lavorato a coppie. Ho deciso durante i vari

incontri di alternare metodologie di lavoro diverse passando da lavori individuali

a lavori di gruppo, a lavori a coppie. Prima però di iniziare ho chiesto ai bambini

“cos’è per voi un esperimento?” per vedere quale fossero i loro pensieri in

merito.

- Serve per scoprire cose nuove

- Serve per scoprire le cose che non si sanno

- Trovo la risposta ad una domanda

- Lo fa lo scienziato

- Serve per scoprire qualcosa che non si sa

- Serve per vedere se l’ipotesi che ho è vera o falsa

- Serve per scoprire qualcosa che mi interessa

Solo un bambino è riuscito a dare la risposta “scientifica”, forse a qualcosa è

servito anche il primo incontro.

Mi sono fatta aiutare da due bambini e abbiamo portato la vasca con l’acqua

in classe. I bambini hanno subito iniziato a fare mille domande sul perché e che

cosa fosse. Successivamente ho messo sul tavolo dieci oggetti.

155

Ho chiamato il primo della fila e gli ho chiesto di sceglierne uno così hanno

fatto anche gli altri gruppi fino all’ultima scelta obbligata. Inizialmente ho chiesto

alle coppie a turno di:

- dire ad alta voce il nome dell’oggetto così che anche gli altri potessero

vedere e capire.

- Osservare l’oggetto e descriverne le proprietà al resto della classe con i

sensi chiamati in causa

Dopo questa prima analisi indispensabile a mio avviso ho distribuito una

scheda85da compilare dove veniva richiesto ai bambini di disegnare l’oggetto

scelto e di fare un’ipotesi sul

comportamento di questo una volta

immerso in acqua. Al momento che tutti

avevano scritto la propria ipotesi siamo

passati alla fase più importante

l’osservazione del comportamento

dell’oggetto e poi la sua verifica. è

arrivato così il momento tanto atteso.

Ogni coppia si è alzata dal proprio

banco ed è andata a immergere l’oggetto nella vasca e osservarne il

comportamento. Ognuno doveva descrivere la situazione ai compagni e dire ad

alta voce ipotesi e se questa era quindi vera o falsa. Una volta seduti di nuovo

al proprio banco dovevano

scrivere la verifica

dell’esperimento.

In questa fase ho puntato

molto sulla condivisione dei

risultati e dell’esperienza

cercando di coinvolgere tutti i

bambini sull’esperimento di

85 Vedere allegato numero 1

156

una coppia. Gli oggetti chiamati in causa erano: biglia, sasso, pezzo di

polistirolo, matita, bullone, spugna, moneta, fiore, foglia, bottone. Facendo un

bilancio: solo due bambini non hanno ipotizzato il comportamento giusto del

proprio oggetto che erano il fiore e il bottone (sono i due bambini che hanno

avuto difficoltà per tutto il percorso) mentre il bambino con difficoltà

nell’apprendimento e l’altro con ritardo nello sviluppo cognitivo hanno previsto

giustamente il comportamento del loro oggetto che era il bullone e matita

(questo era particolarmente difficile). Illuminante è stato un bambino che al

momento che ho sistemato gli oggetti sul tavolo ha detto “ma io li so già quelli

che galleggiano”. Questa attività iniziale quindi era molto semplice e intuitiva, mi

serviva semplicemente per mostrare ai bambini e mettere un punto fermo

iniziale sul fatto che esistano oggetti che galleggiano e altri che affondano.

Abbiamo terminato l’incontro fermando nella mente alcuni punti importanti sul

cartellone: alcuni oggetti galleggiano altri affondano.

Mentre mi stavo preparando per uscire i bambini hanno continuato a

sperimentare e ciò mi ha dato molta più soddisfazione rispetto al risultato

dell’esperimento, mettendo nella vasca e provando oggetti che trovavano in

classe… appuntino, penna, righello, gomma…. Facendo ipotesi e verificando.

TERZO INCONTRO

Volume e peso specifico

Appena sono entrata in classe i bambini mi hanno letteralmente

aggredito chiedendomi notizie sull’ormai noto scienziato smemorato. Devo dire

che questa idea, nata un po’ per caso solo come stimolo iniziale si è rivelata di

straordinaria importanza per lo snodarsi del lavoro.

In questo incontro lo scienziato si è rivolto ai bambini con un breve messaggio

(uno dei bambini ha detto “certo che questa volta lo scienziato non aveva tempo

da perdere”): “ciao ragazzi mi sono dimenticato di dirvi che per studiare il

157

fenomeno del galleggiamento bisogna conoscere alcune proprietà degli oggetti.

Buon lavoro.”

Effettivamente è stato un po’ sintetico ma gli input per la classe

certamente non sono mancati. Nell’incontro abbiamo trattato due concetti un po’

complessi che in linea generale non vengono affrontati nella scuola primaria

tranne in alcuni casi il concetto di volume calcolato per figure note. Il

trattamento di questi due concetti ha richiesto sicuramente molto più tempo del

previsto per vari motivi tra cui la difficoltà di comprensione in particolare del

peso specifico e del mio voler spiegare bene tali concetti (avevo organizzato

vari esperimenti per entrambi) per la loro indispensabilità nel capire la legge che

governa il galleggiamento.

Senza perdere tempo abbiamo iniziato subito con il primo esperimento

per andare a scoprire quella importante proprietà che forse non tutti conoscono.

Il volume

Per far capire, almeno spero, questo concetto ho programmato due

diversi esperimenti con un terzo che si è aggiunto mentre stavamo facendo

l’attività a causa di una domanda emersa dalla classe. Da tenere presente

anche Piaget e il fatto che l’acquisizione della conservazione del volume libera il

bambino che può comprendere il fenomeno del galleggiamento.

I bambini dovevano lavorare individualmente sulla scheda86 che io gli avevo

fornito:

Come sempre sono partita da una domanda, “se immergo una pietra in un

recipiente, cosa accade?” Ho chiesto ad ognuno di riflettere bene e formulare

un’ipotesi:

- la pietra affonda

- la pietra prende acqua 86 Vedere allegato secondo incontro

158

- la pietra va in fondo e ci resta

- l’acqua non regge la pietra e perciò questa affonda e ci resta e non ce la

fa a riportarla su

- io spero che il sasso può stare sotto

- il sasso messo in acqua affonda

- l’acqua non ce l’ha la forza per reggere la pietra

- il sasso va a fondo perché è peso

- il sasso affonda e l’acqua sale di livello

- il sasso ingombra nel recipiente e così l’acqua sale di livello

- succede che il sasso occupa uno spazio nel recipiente

Ho elencato in questo modo le risposte non a caso: possiamo dividere le

opinioni dei bambini in due gruppi. Da un lato ho messo il gruppo di quei

bambini che non sono riusciti ad andare oltre, visto che nell’incontro precedente

avevamo parlato di galleggiamento, secondo questi il compito si limitava solo

nel doversi chiedere cosa accadesse alla pietra tralasciando il comportamento

dell’acqua. Nel secondo gruppo ho inserito le opinioni complete. Questi bambini

hanno ricreato la situazione virtuale e hanno anche loro detto che la pietra

affonda ma hanno aggiunto un particolare importante: il livello dell’acqua sale.

In particolare un bambino non si è fermato a questo ma ha aggiunto il perché di

questo comportamento spiegando perfettamente il concetto a cui io volevo

arrivare con questo primo esperimento il livello dell’acqua si alza perché il

sasso occupa uno spazio nel recipiente. Mi ha fatto notare l’insegnante di

classe che i bambini che hanno dato la risposta completa sono quelli più grandi

e che nelle materie scientifiche incontrano minori difficoltà. Dopo questa

conversazione ho coinvolto un bambino nella gestione dell’esperimento: per

dare una risposta alla domanda dovevamo riempire d’acqua un recipiente.

Sono stati i bambini a preparare tutti i materiali e seguire le procedure, il mio

compito era quello di supervisionare. M. ha segnato il livello dell’acqua con un

pennarello sul recipiente. Ho cercato di coinvolgere più bambini possibile perciò

ho fatto in modo che per ogni esperimento le azioni fossero divise in tanti

159

compiti da delegare a tanti bambini. Ho consegnato ad S. infatti, la pietra che

doveva immergere.

Per notare maggiormente l’aumento del livello dell’acqua abbiamo immerso

lentamente questa pietra e verificato che più questa veniva immersa più il livello

dell’acqua saliva. Al momento che il bambino l’ha lasciata andare, la pietra si è

collocata sul fondo come aveva previsto tutta la classe e il livello dell’acqua si è

fermato al suo massimo. Abbiamo concluso con le parole di A. che ha detto “

che se metto qualsiasi cosa nell’acqua il livello dell’acqua aumenta”. Su questa

affermazione è nata un’interessante conversazione. Alcuni bambini hanno

criticato questa frase perché secondo loro non

tutti gli oggetti fanno alzare il livello dell’acqua:

quelli che affondano si e quelli che galleggiano

no. L’unico modo per fare luce sul

comportamento effettivo, quindi sulla verità o

falsità di questa distinzione, era fare una prova

160

e osservare il comportamento. I bambini sono andati a cercare alcuni oggetti

nell’aula e nel corridoio di cui avessero la certezza del loro galleggiamento. Li

abbiamo immersi in un recipiente e abbiamo notato con un po’ di incredulità di

alcuni che anche questi effettivamente spostano una certa quantità d’acqua se

pur minima e perciò il livello se pur di poco si alzava. Perché ho chiesto? Ecco

la risposta perfetta che chiunque insegnante si vuol sentire dire: “perché la

pietra è tanto ingombrante e perciò fa salire tanta acqua mentre le cose che

galleggiano stanno un po’ fuori dall’acqua e la parte in acqua è piccola perciò

ingombrano poco.” Ed un altro: “bisogna tenere di conto solo della parte che sta

in acqua, quella fuori non conta”.

Penso che questo argomento abbia stimolato nei bambini un nuovo

modo di vedere gli oggetti e la loro esperienza quotidiana, ho avuto prova di ciò

dagli interventi che ognuno ha fatto e di

uno in particolare: “questo esperimento si

fa anche quando si fa il bagno e si entra

nella vasca e si vede che il livello

dell’acqua sale perché ci entro a quel punto

dentro l’acqua ci sono io e l’acqua si deve

spostare.” “E se ci entrasse il tuo babbo?”

Ecco come i bambini possono rivalutare le loro esperienze alla luce delle

scoperte grazie a questa attività. È così che l’intera classe è arrivata a dirmi

giustamente che se nella vasca entra il babbo il livello si alzerà vistosamente,

certo dipende dal volume che occupa...

Con il secondo esperimento ho

cercato di dare un’ulteriore supporto al

concetto di volume che si stava

strutturando nei bambini. Sempre secondo

il mio principio che è giusto far partecipare

tutti ho fatto riempire d’acqua i due

recipienti fino all’orlo a due bambini diversi.

161

Altrettanti bambini hanno avuto il compito di immergere due pietre di

diversa dimensione mentre esigevo dal

resto della classe massima attenzione e

osservazione. Anche in questo caso

ognuno ha riportato sulla scheda di raccolta

data le ipotesi (ho sempre detto ai bambini

di non guardare a queste schede come a

delle verifiche o come a un compito noioso

ma solo come ad un indispensabile

strumento dello scienziato che deve

annotare tutto quello che accade in un

esperimento.)

Ecco il pensiero dei bambini in risposta alla

domanda “cosa accadrà se immergo la

pietra in un recipiente pieno fino all’orlo?”.

Ecco le ipotesi che si possono così

riassumere in poche frasi.

- L’acqua trabocca

- L’acqua esce

- L’acqua si versa

“E se ne immergo un’altra di diversa dimensione?”

Nel recipiente della pietra più grande è uscita più acqua perché la pietra

è più grande. Su questo non ci sono stati grossi problemi. Tutti si sono trovati

d’accordo sulle conclusioni: la pietra più grande fa uscire più acqua e che

l’acqua uscita rappresenta la grandezza della pietra ovvero il volume. Abbiamo

ripetuto e scritto che il volume è lo spazio occupato da un oggetto.

Alcuni bambini si sono ricordati di aver già sentito parlare di questa

parola a geometria ed in effetti la maestra ha aperto il libro alla pagina dove

questo concetto era vagamente accennato. Per avere un’ulteriore conferma

della diversità di volume delle due pietre abbiamo misurato con un recipiente

graduato la quantità d’acqua uscita: maggior quantità d’acqua corrisponde alla

162

pietra grande e minor quantità d’acqua corrisponde alla pietra piccola. Per

fissare meglio i concetti ho riassunto il tutto su un cartellone.

Il peso specifico

È forse dei due il concetto più complesso da spiegare ai bambini di una

quarta e da capire. Ho cercato quindi di semplificare al massimo rendendo la

spiegazione ai minimi termini per non confondere le idee.

Questa volta ci siamo serviti di vari oggetti. Abbiamo innanzitutto utilizzato

come contenitori di materiali gli ovetti di plastica vuoti anche se qualcuno

sorridendo mi ha detto che preferiva la cioccolata e qualcun altro la sorpresa.

Sul tavolo ho messo poi

dei sacchetti contenenti

alcuni materiali in particolar

modo : lana, zucchero, ferro

e sassi. Come quinto

materiale per complicare un

po’ le cose ho deciso di

considerare l’aria. A turno ho chiamato i bambini che hanno riempito gli ovetti

con il materiale prescelto. Il quinto ovetto ha creato un po’ di suspance: ho

chiesto “che cosa contiene questo ovetto?” solo un bambino mi ha risposto che

contiene aria. Ognuno ha scritto sopra il nome del contenuto. Io ho

163

semplicemente visionato che tutto procedesse al meglio ma sono stati i bambini

a fare tutto.

Questa volta attraverso un cartellone ho riprodotto le parti importanti di un

esperimento. Ho fatto scrivere ad un bambino il contenuto sugli ovetti disegnati

e ho chiesto a tutti le loro ipotesi in risposta alla domanda: “hanno tutti lo stesso

peso?”

- Non pesano allo stesso modo

- Pesa di più l’ovetto con il ferro

- L’ovetto con l’aria e lana sono leggeri uguali

Dopo questa fase di ascolto reciproco ho fatto girare di mano in mano gli ovetti

per provare a fare una stima per cercare di rispondere alla domanda. I bambini

hanno così fatto una prima verifica della loro ipotesi che poi è stata ancora di

più avvalorata dalla

misurazione con una bilancia.

Abbiamo così messo in ordine

decrescente i vari ovetti dal

più pesante al più leggero

compilando il cartellone. Alla

fine abbiamo tutti insieme

compilato le conclusioni

sempre sul cartellone usato

come supporto per questo

esperimento. Gli ovetti hanno

uguale volume e diverso peso

perché contengono materiali

diversi. Ho chiesto perciò: “gli

164

ovetti hanno uguale volume?” Nonostante l’incertezza iniziale i bambini hanno

capito che il volume è il solito mentre inizialmente qualcuno ha detto che il

volume dell’ovetto con il ferro è maggiore, confondendo volume e peso. Ho così

riportato i bambini a pensare alla situazione del recipiente d’acqua e provare a

immaginarsi l’immersione dei due ovetti. Esce la stessa quantità d’acqua? In

coro la risposta è stata si… quindi con un po’ di ragionamento e non

rispondendo superficialmente si può arrivare alle conclusioni giuste. L’altro

concetto è che gli ovetti hanno peso diverso. Infatti gli ovetti hanno uguale

volume e diverso peso ciò dipende dal materiale che contengono esistono

perciò materiali più pesanti di altri. È necessario confrontare oggetti con uguale

volume.

Siamo arrivati così alla nozione di peso specifico che ho illustrato ai bambini

con l’uso di una mappa:

- ogni materiale ha il suo peso specifico

- ecco alcuni esempi di pesi specifici

- è importante per capire alcuni fenomeni tra cui il galleggiamento

- la sua formula è P.S. = P/V

Ho messo anche la formula perché ho visto nei bambini molta curiosità e

attenzione nei riguardi di questo argomento perciò non credo di aver sbagliato

visto i feedback positivi che mi hanno inviato. Per spiegare la formula ho chiesto

165

ai bambini che cosa questa potesse voler dire: p sta per peso cioè considero il

peso dell’oggetto e per v volume dell’oggetto cioè lo spazio che occupa.

Alcuni più di altri hanno dimostrato di poter affrontare benissimo questo

argomento tanto da chiedermi

l’unità di misura e capire che il 3

come apice vuol dire al cubo cioè

considero un oggetto nelle tre

dimensioni.

Come seconda situazione che

permettesse un’ulteriore

chiarificazione del concetto di peso

specifico ho ipotizzato una serie di

domande che andavano risolte

osservando direttamente il

comportamento del materiale. La

prima domanda era: “per ottenere il peso del sasso…”

- Quanto ferro mi occorre?

- Quanto alluminio?

- Quanto polistirolo?

Per ognuna delle situazioni i bambini come al solito erano invitati a fare le loro

ipotesi che sono state riportate sul cartellone. Dopodichè i bambini si sono

avvicinati alla bilancia a bracci da me costruita e abbiamo pesato sasso e altri

materiali per verificare l’ipotesi.

Nel primo caso del confronto tra sasso e il ferro, i bambini hanno notato che di

ferro ne è bastato poco per equilibrare la bilancia qualcuno ha fatto osservare

alla classe che in poco spazio (volume) il ferro pesa tanto e io ho aggiunto che il

suo peso specifico è maggiore come già avevamo notato nel cartellone letto

precedentemente. Mentre per quanto riguarda l’alluminio abbiamo scoperto che

ne serviva tanto ma non quanto il polistirolo abbiamo così dedotto che per il

polistirolo serve tantissimo volume per ottenere lo stesso peso del sasso. Ho

chiesto quindi di fare una classifica dei pesi specifici dei tre materiali. Fino a qui

166

i bambini non hanno avuto grosse difficoltà. Durante queste prove di peso

soprattutto durante quella del polistirolo i bambini si sono dimostrati molto

riflessivi più di quanto io mi potessi aspettare. Sono scaturite infatti dalle loro

bocche parole molto interessanti. Ecco quelle che ho raccolto:

- i tre materiali allora hanno diverso peso specifico? Mi ha chiesto G alla

fine dei tre esperimenti prima che io potessi informarlo di tale cosa, ha

colto nel segno recependo il messaggio del cartellone riassuntivo dove

avevamo letto alcuni concetti importanti

- allora una cosa piccola può pesare quanto una cosa grande se è fatta

con un materiale diverso

- il polistirolo è tantissimo più leggero del ferro

- per il peso specifico allora non bisogna solo guardare al peso ma anche

al volume

- nel ferro in poco volume ci sta tanto peso mentre nel polistirolo è il

contrario perché mi serve tanto volume per far un piccolo peso.

Certamente non sono tutte rose e fiori come appare da queste frasi perché

queste appartengono solo ad alcuni bambini che si sono fin da subito distinti

come più predisposti a questi tipo di ragionamento. Ci sono stati inevitabilmente

alcuni che non sono mai intervenuti o se l’hanno fatto hanno sbagliato. Senza

dubbio in questo incontro i bambini che non sono abituati, per propria

predisposizione o per altro, a ragionare sulle cose sono stati abbastanza

penalizzati.

Per la difficoltà di questo concetto ho preparato alcune domande87 che

mi sono servite a verificare la positività del mio intervento e la percentuale di

bambini che hanno capito tale concetto. Ho utilizzato alcune domande che

volevano valutare il livello di comprensione raggiunto dai bambini. Ho scelto di

fare in questo modo perché reputo di straordinaria importanza il concetto di

peso specifico per capire la legge di Archimede, perciò volevo raggiungere un

buon livello di comprensione nella classe. D’altra parte ai bambini che non

87 Vedere allegato terzo incontro, il peso specifico

167

hanno capito questo sarà difficile capire i passaggi successivi. È per questo

motivo che ci ho insistito molto.

La verifica sul peso specifico

Le domande erano riferite al concetto di peso specifico basate sulle cose fatte

in classe. Per vedere meglio i risultati ho elaborato questi grafici che si

riferiscono alle due domande innanzitutto.

1. la prima domanda era: cosa occuperà secondo te maggior volume, i kg di

farina o 1 kg di segatura?

I bambini presenti in questo incontro erano 16, ma i due bambini con problemi

si sono rifiutati di fare la verifica perciò il campione è di 14 bambini, escludendo

tre assenti. Su 14 undici hanno dato la risposta corretta. Di quei tre che hanno

sbagliato ho scoperto dopo, che non sapevano cosa fosse la segatura perciò

ammetto di aver commesso un errore. Dando per scontato la conoscenza di

tale materiale li ho messi in difficoltà.

2. Infatti nel secondo quesito il numero di coloro che hanno commesso l’errore

è sceso a 2. Dal grafico questo è subito evidente. I bambini già in classe

avevano lavorato con ferro e lana perciò avevano già un’idea dei due materiali.

Le difficoltà sono diminuite.

1 kg di farina;

3

1 kg di segatura;

11

0

2

4

6

8

10

12

168

3. La terza domanda prevedeva di associare nel modo giusto 1 kg di ferro e 1

kg di polistirolo con il disegno corrispondente. Qui la percentuale degli errori è

aumentata perché la mia richiesta e il ragionamento sottinteso era diverso: si

doveva innanzitutto capire che i due oggetti avevano un peso uguale ma che

inevitabilmente per ottenere la stessa quantità di materiale occorre un volume

maggiore nel caso del polistirolo. Ecco cosa è emerso dalla rielaborazione che

ho fatto delle risposte:

Di nuovo sono riemersi i soliti quattro bambini che non hanno capito il concetto.

Colore che hanno sbagliato hanno collegato con la freccia in modo sbagliato.

4. nella quarta domanda chiedevo ai bambini di riconoscere quale materiale ha

il maggior peso specifico tra ferro e polistirolo.

1 kg di ferro; 12

1 kg di lana; 2

0

246

81012

risposta giusta;

10

risposta sbagliata;

4

0

2

4

6

8

10

169

Dalle risposte, mi sento di dividere in due gruppi la classe; risulta chiaro che

alcuni bambini hanno capito che cosa vuol dire peso specifico e come si utilizza

tale concetto mentre altri (circa 5) hanno difficoltà a riconoscerne l’importanza.

Certamente per apprendere tale concetto non credo bastino due semplici

esperimenti ma servirebbe un lavoro più mirato e sistematico prolungato nel

tempo.

QUARTO INCONTRO

esiste una spinta sugli oggetti

“Ciao ragazzi, l’aiuto che mi state dando è davvero prezioso. Un po’ di

memoria mi è tornata proprio grazie a voi. Fino a ora avete scoperto che alcuni

oggetti galleggiano e altri vanno a fondo… ma vi sieti chiesti il perché? Sento

che la risposta che troverete alla domanda sarà fondamentale. Tenetemi

aggiornato sulle vostre conquiste. A presto”. Anche in questo incontro la

scienziato smemorato si è rivolto con le precedenti parole ai bambini. Devo dire

che questa idea dello scienziato mi è servita molto in generale per riprendere i

concetti degli incontri precedenti. Anche in questo caso attraverso le parole

dello scienziato i bambini hanno di nuovo riflettuto sulle scoperte fatte

soprattutto nel secondo incontro, nel quale abbiamo appunto verificato che non

tutti gli oggetti immersi nell’acqua si comportano allo stesso modo. Così infatti

risposta giusta;

13

risposta sbagliata;

10

5

10

15

170

un bambino è intervenuto ricordando che “gli oggetti quelli in alto sono quelli

che galleggiano e quelli in basso sono quelli che affondano” un altro invece

“basta guardare il cartellone che abbiamo fatto con gli oggetti che ci abbiamo

attaccato, non sono tutti nello stesso posto”.

Dopo questa importante fase di consolidamento delle informazioni

ricevute in precedenza ho stimolato i bambini con una domanda che già era

stata proposta dallo scienziato smemorato nel CD. È giusto adesso fare un

passo in avanti e aggiungere un nuovo tassello alla conoscenza che i bambini

già possiedono sul fatto che alcuni oggetti galleggiano e altri vanno a fondo. È

arrivato il momento di chiederci il perché alcuni oggetti galleggiano e altri vanno

a fondo. In questa fase iniziale ho sondato le idee che la classe aveva,

analizzando le risposte. Ho chiesto ai bambini quindi di rispondere alla

domanda pensando alla loro quotidiana osservazione di tale fenomeno e alle

esperienze fatte negli incontri precedenti.

Ecco le risposte alla domanda perché alcuni oggetti galleggiano mentre altri

vanno a fondo?

- Perché alcuni pesano e altri sono leggeri

- Gli oggetti leggeri galleggiano mentre quelli pesanti vanno a fondo

- Un oggetto galleggia o affonda a seconda della quantità di materiale

dell’oggetto

- Perché ad esempio la matita è più leggera e allora galleggia

- Il sasso non può galleggiare perché è duro e peso

- Le cose galleggiano perché l’acqua sale

- alcuni materiali pesano più di altri e allora l’oggetto affonda

- le cose che non c’hanno niente dentro tipo quelle vuote galleggiano

meglio

- dipende dal materiale e dalla leggerezza

- gli oggetti secondo me galleggiano perché ad esempio se ci metti

nell’acqua una piuma, l’acqua ce la fa a tenerla sulla superficie mentre

se ci metti un sasso l’acqua non ce la fa a tenerla sulla superficie è

troppo peso e va a fondo

171

- perché la pressione dell’acqua fa galleggiare (alla domanda che cos’è la

pressione N. ha risposto “non lo so” mentre altri l’hanno spiegata così: è

la forza dell’acqua, è la forza di gravità nell’acqua, è l’acqua quando è

salata)

- un oggetto galleggia quando c’è la forza di gravità

- dipende dalla superficie dell’oggetto se è piatta o no ad esempio se

lancio un sasso piatto al fiume questo ci rimbalza (molti altri bambini al

sentire questa affermazione sono intervenuti facendo notare che all’inizio

il sasso si comporta in questo modo ma quando si ferma affonda. Questa

affermazione ha suscitato un’intensa discussione. Siamo arrivati alla

conclusione che i sassi, tutti, affondano anche quelli piccoli e la

discussione si è chiusa con l’affermazione di un bambino “certo, io i sassi

del mare o del fiume non li ho mai visti galleggiare”)

La spiegazione favorita soprattutto dai bambini di quarta è stata che il

galleggiare o affondare dipende dalla leggerezza o pesantezza dell’oggetto:

siamo ancora molto lontani dal riconoscere che questa grandezza non è

influente ma piuttosto che la risposta va ricercata da un’altra parte.

Per fare un passo avanti verso la conoscenza del fenomeno e dare la

risposta giusta alla domanda è necessario riuscire a capire che innanzitutto

sugli oggetti, sia quelli che affondano sia su quelli che galleggiano, c’è una

spinta. Questo incontro aveva proprio come obiettivo quello di far sperimentare

ai bambini l’esistenza di una certa forza, che “aiuta” gli oggetti a galleggiare o

nel caso opposto li fa affondare. Per riuscire nel mio intento ho allestito un

nuovo esperimento; è solo attraverso questa

tipologia di attività che i bambini possono

verificare l’esistenza di una spinta di cui ignorano

la presenza. Perciò mi è sembrato importante far

provare ad ogni bambino questa esperienza

anche se ci abbiamo messo molto tempo. Su di

un tavolo avevo collocato una bacinella piena

172

d’acqua. Gli oggetti che avevo selezionato erano: una tavoletta di legno e una

pietra. Ho fatto passare prima di tutto, di mano in mano i due oggetti sui quali si

sarebbe svolto il nostro esperimento. In questo modo i bambini hanno

osservato, manipolato sasso e tavoletta di legno descrivendone alcune

proprietà. Dopo questa fase iniziale a turno ogni bambino veniva chiamato

vicino alla bacinella dove diventava protagonista dell’esperimento descrivendo

ciò che provava. Chiedevo alla classe di:

- fare un’ipotesi sul comportamento dei due oggetti una volta in acqua

- immergere il sasso e la tavoletta di legno

- verificare l’ipotesi

- provare a spingere la tavoletta di legno sul fondo e ipotizzare il suo

comportamento successivo

- rispondere alla domanda perché la tavoletta resta sul fondo

- verificare la risposta

- riportare la tavoletta sul fondo e provare a lasciarla risalire lentamente…

che cosa succede?cosa sento con la mano?

- Rispondere quindi alla domanda che cosa riporta la tavoletta nel suo

posto naturale

- Fare lo stesso con il sasso

- Prevedere se il sasso galleggerà o affonderà

- Verificare l’ipotesi

- Provare a tirare fin sulla superficie il sasso

- Verificare che il sasso sembra più leggero in acqua rispetto a quando è

in aria

- Concludere che anche in questo caso c’è una spinta ma che questa è

piccolissima tanto che il sasso non ce la fa a galleggiare

Insieme con i bambini ho ricondotto queste due diverse situazioni a esperienze

che loro stessi potevano aver fatto durante la loro vita, i loro giochi. Molti

bambini della classe, soprattutto quelli di quarta, hanno ricollegato la situazione

della tavoletta di legno alle tante volte in cui si sono divertiti a voler metter a tutti

i costi sul fondo del mare un pallone. I bambini hanno perfettamente descritto

173

come anche in questa situazione, sentivano che c’era qualcosa di misterioso,

una spinta ho suggerito io, sempre per utilizzare un linguaggio appropriato, che

faceva addirittura uscire dall’acqua velocemente il palloncino e con grande

forza. Per il sasso è stato più facile molti l’hanno paragonato al caso in cui si

vuole tirare su nell’acqua una grande pietra o quando si solleva un’altra

persona. Sollevare una persona nell’acqua o fuori da essa non è proprio la

stessa cosa.

Ormai i bambini si sono abituati e hanno capito l’importanza del

registrare i dati e le informazioni scoperte dopo ogni esperimento fatto. A volte

possiamo utilizzare delle schede, in altre occasioni è più immediato e utile

l’utilizzo di un cartellone. Ed è proprio con questo che abbiamo registrato le

nuove scoperte.

in questa fase finale ho visto emergere l’interesse di tutti i bambini.

Nessuno di loro conosceva l’esistenza prima di adesso di questa forza. Questo

fatto ha catturato la loro attenzione e li ha resi più partecipi e motivati a seguire

le mie parole. Ho riportato tutto sul cartellone per fissare il nuovo concetto. Un

momento importante è stato il riuscire a mostrare con un disegno la differenza

della spinta nei due oggetti.

Sono stati i bambini a decidere che potevamo rappresentarla come un

freccia rivolta verso l’alto. Nel caso del legno la freccia è più grande o più lunga

mentre nel caso del sasso più corta o più stretta. Da questa idea collettiva ho

dedotto che il concetto era arrivato a destinazione: i bambini avevano capito

174

quale era il messaggio che volevo trasmettere. L’obiettivo di questo incontro è

stato raggiunto. Fino a questo momento la classe è rimasta unita: nel senso che

non ci sono discrepanze, i bambini riuscivano a seguire bene e apprendere

questi concetti che fino ad adesso non erano così difficili.

In questo incontro inoltre, sarà forse per l’interesse suscitato dalla

scoperta di questa spinta, ci sono stati alcuni bambini che mi hanno fatto

tantissime domande dimostrando un vero interesse. Volevano che il mistero gli

venisse svelato subito. Alcuni hanno riportato la situazione appresa per

spiegare eventi che avevano osservato nella loro vita quotidiana. Forse nella

mente dei bambini stava cambiando qualcosa, queste continue domande ad

alta voce (e magari alcune non dette ma solo pensate) mi hanno fatto riflettere.

Le attività, gli esperimenti stavano portando un cambiamento: i bambini sono

costretti a riflettere sulle nuove scoperte che magari contrastano con la loro

conoscenza comune del fenomeno. Forse queste domande non sono altro che

la manifestazione di un processo di cambiamento in atto. In queste fasi, il

bambino si chiede perché non riesce a darsi una spiegazione, fa nuove ipotesi

per verificare quelle vecchie. Ecco un esempio di questa situazione nel

pensiero di un bambino di quarta: “ ma perché allora il tronco riesce a

galleggiare se è più peso di un sasso e se ho un granellino di sabbia anche

questo va a fondo e un cubo gigante di polistirolo cosa fa? secondo me

galleggia” dopo una raffica di domande di questo tipo lo stesso bambino dice

con un tono di chi ha fatto un scoperta sensazionale “eh, secondo me allora

vuol dire che non si può dire che un oggetto galleggia perché è leggero… un

tronco non è mica leggero…una barca non è mica leggera e un sassolino che

affonda invece è leggero… una moneta affonda ed è leggera… ”. E., il bambino

che ha provato con queste domande a darsi una spiegazione è stata la

dimostrazione lampante di come questo incontro ha sconvolto un po’ la

conoscenza se non di tutti, della maggior parte dei bambini. E. è giunto ad una

sua conclusione supportata da alcune considerazioni che lui stesso ha fatto con

un ragionamento davvero eccellente basato sulla sperimentazione. Lui stesso

175

era fra quelli che avevano risposto alla domanda sul perché un oggetto

galleggia o affonda spiegando con i concetti di leggero o pesante.

Questi interrogativi sono un sintomo positivo secondo me perché

dimostrano interesse e voglia di scoprire e dare una spiegazione al mondo che

ci circonda… la scuola dovrebbe avere fra i tanti obiettivi proprio questo. È

giusto anche dall’altra parte, procedere per gradi visto che non tutti i bambini

riescono ad apprendere con la solita rapidità considerando anche la difficoltà

dell’argomento. Penso sia giusto, nel rispetto di chi impiega più tempo

nell’apprendere, non rispondere a tutte le domande che alcuni bambini (quelli

con un una velocità d’apprendimento maggiore) facevano visto che a queste

domande le risposte verranno fuori con gradualità negli incontri successivi.

QUINTO INCONTRO

Il principio di Archimede… finalmente!

Sulla stessa lunghezza d’onda dell’incontro precedente, anche questo si

è aperto con alcuni quesiti che i bambini avevano posto alla mia attenzione,

forse perché a casa hanno continuato a pensare alle scoperte che avevamo

fatto. E. esordisce dicendo che è arrivato alla spiegazione giusta e definitiva del

famoso perché. Egli dopo un’attenta è arrivato a dire che: “solo gli oggetti che

respirano galleggiano”… siamo ancora molto lontani ho pensato io. Gli ho

chiesto allora come era arrivato a questa conclusione: mi ha riposto che aveva

pensato a tutti gli oggetti. Gli ho chiesto quindi di fare alcuni esempi: i pesci

respirano e galleggiano, i nuotatori respirano e galleggiano, il tronco respira e

galleggia. Alt! La sua ipotesi non reggeva molto, e lui stesso l’ha abbandonata

quando alcuni bambini gli hanno fatto notare che ci sono oggetti che non

176

respirano ma che ugualmente galleggiano: per fargli cambiare idea molti hanno

fatto degli esempi quali la nave, una matita, il polistirolo… bastava rivedere gli

oggetti su cui avevamo lavorato nei primi incontri per affossare tale ipotesi. La

spiegazione quindi era da ricercare altrove e proprio in questo incontro siamo

giunti alla scoperta della spinta di Archimede.

Dopo essermi cimentata nella falegnameria, ho portato a scuola una bilancia

a bracci molto artigianale: non sapevo se i bambini ne avevano mai vista una,

perciò ho chiesto loro a che cosa potesse servire, tutti hanno detto che era una

bilancia e che con questa potevo confrontare due pesi uno attaccato da una

parte e uno dall’altra. Per rendere partecipi tutti ho chiamato per le diverse fasi

dell’esperimento i bambini a fare e condurre le varie azioni. Se l’attività veniva

svolta da un bambino, gli altri stavano molto più concentrati sull’esperimento.

177

Il bambino doveva attaccare il piatto di sinistra (ho usato come piatti dei

vasetti di yogurt legati con degli elastici e un fermaglio come gancio), al gancio

della bilancia. “Che cosa accade?” In coro hanno risposto che il vasetto di

sinistra poiché era pieno fino all’orlo di pongo era molto pesante e la bilancia

non era più in equilibrio. A sinistra della bilancia avevo appeso due vasetti una

attaccato all’altro con elastici e fermaglio: il primo era vuoto mentre il secondo

conteneva pongo. Allora ho chiesto come posso fare per far ritornare la bilancia

in equilibrio come nella situazione di partenza. Ecco alcune ipotesi fatte dai

bambini:

- metto un altro vasetto pieno di pongo attaccato al braccio di destra

- vuoto tutto

- metto due bicchieri vuoti…

- metto un altro materiale che abbia lo stesso peso nel vasetto di destra

così che di nuovo siano bilanciate

è proprio qui che volevo arrivare, questa ipotesi mi ha consentito di andare

avanti con la preparazione dell’esperimento vero e proprio. Un altro bambino ha

iniziato a riempire il vasetto di destra con le biglie… ma quante ne deve mettere

ho chiesto ai bambini?

- Una quantità tale da far ritornare le braccia parallele al tavolo

- Potrei pesare con un’altra bilancia prima le biglie e poi il pongo (gli ho

fatto notare che anche quella che stavamo usando era una bilancia)

C’è chi arrivati a questo punto ha anche osservato che forse il vasetto di biglie e

il vasetto di pongo non hanno la stesso peso preciso perché dalla parte sinistra

c’è il vasetto di plastica vuoto “che anche se pesa poco qualche grammo ce

l’ha”. Reputo questa un’ottima osservazione. Mi sembra giusto riportare anche

queste conversazioni perché dimostrano come attraverso gli esperimenti non si

discuteva solo di galleggiamento ma anche altri concetti scientifici entrano in

gioco.

178

Comunque i bambini erano convinti che non ce l’avrebbe mai fatta invece

piano piano il vasetto di sinistra si alzava, perché si stava appesantendo con

grande stupore dei bambini. La situazione di partenza era stata ripristinata.

Mi sono meravigliata delle tante osservazioni che sono emerse in questa fase

preliminare sull’uso apparentemente banale di tale bilancia.

Finalmente siamo arrivati al punto cruciale di tutto l’incontro: “che cosa accade

secondo voi, se immergo questo vasetto con il pongo della parte sinistra in un

recipiente pieno d’acqua?”

Facendo le ipotesi i bambini hanno dato spazio alla loro voglia di dare

inevitabilmente una spiegazione a tutto ciò che li circonda:

- va giù verso destra

- l’acqua spinge il vasetto e la bilancia pende verso destra

- va giù dalla parte dove sono le biglie

- va giù a destra perché c’è la spinta dell’acqua che muove l’equilibrio

- va giù a sinistra

- va a destra, la spinta è più forte

- va giù a destra perché è più carico

- a sinistra l’acqua spinge il pongo verso l’alto e quindi la bilancia si piega

verso destra

- il vasetto delle biglie va giù

- il vasetto di pongo affondo nel recipiente

Questi interventi dimostrano un livello di elaborazione e capacità logiche

diverse: molti, avendo assimilato le informazioni degli incontri precedenti hanno

tentati di rispondere in base a quelle. Più della metà ha dato la risposta giusta

cioè che il vasetto di destra sarebbe andato giù, ma in pochi hanno dato la

spiegazione completa dicendo che questo accadeva perché sul vasetto di

destra veniva esercitata una spinta da parte dell’acqua e questo non poteva

affondare perché era legato dall’elastico al braccio della bilancia. Per

convincere di ciò i bambini ho fatto dimostrare a colui che sosteneva che il

vasetto affondava che certamente il vasetto affonda se non è legato ma che

quello non era il caso che a noi ci interessava. Su 19 bambini presenti circa la

179

metà ha dato una spiegazione completa chiamando in causa l’azione esercitata

da questa misteriosa spinta che agisce sugli oggetti che si trovano immersi

nell’acqua.

Abbiamo verificato le ipotesi: effettivamente l’acqua esercita una spinta

sul vasetto di pongo che inevitabilmente si alza. i bambini hanno seguito questa

fase con molto interesse.

Arrivati a questo punto la situazione era la seguente:

- primo vasetto di sinistra: vuoto

- secondo vasetto di sinistra: contiene pongo

- vasetto di destra: contiene biglie

- l’acqua esercita una spinta sul recipiente di pongo che diventa

apparentemente più leggero

sempre procedendo per gradi la domanda successiva era: come posso fare per

ritornare alla situazione di partenza con le braccia della bilancia di nuovo

parallele al piano del tavolo mantenendo sempre il recipiente d’acqua?

- tolgo le biglie, il vasetto diventa più leggero e non pende più a destra

- nel vasetto vuoto ci metto un altro peso

- metto qualcosa nel primo bicchiere di sinistra

- Metto le biglie nel primo bicchiere di sinistra

- Metto un oggetto peso con le biglie

- Ci metto nel primo vasetto di sinistra e quello va giù

- Aggiungo un sasso a sinistra

- Metto qualcosa nel vasetto vuoto di sinistra che deve essere peso

quanto la spinta dell’acqua su l vasetto di pongo

- Metto ancora biglie nel vasetto di destra

- Metto qualcosa a destra e non a sinistra

Reputo tali interventi abbastanza positivi: in pochi hanno sbagliato dicendo che

dovevamo aggiungere qualcosa a destra. Fra quelli che hanno risposto giusto

c’è chi ha dato risposte più o meno complete: alcuni hanno semplicemente

risposto che si doveva aggiungere qualcosa (un sasso, le biglie) nel vasetto di

sinistra. Risposte corrette ovviamente ma certamente non completamente

180

esatte o quantomeno non uguali a quello dove io volevo arrivare. Un solo

bambino ha individuato il materiale corretto da inserire nel vasetto, l’acqua e

solo un altro ha dato la motivazione giusta: mettere qualcosa che abbia un peso

pari alla spinta dell’acqua sul vasetto di pongo. Forse due eccezioni ma che mi

hanno sicuramente dato una forte motivazione a continuare questo processo

verso la scoperta della spinta di Archimede.

Ho perciò chiamato a verificare la sua ipotesi G. che era stato l’unico a

proporre di riempire il vasetto con dell’acqua. Ma quanta ne doveva versare?

Tutti hanno individuato in questo caso la giusta quantità d’acqua necessaria per

ripristinare l’equilibrio iniziale: G. doveva riempire il vasetto fino all’orlo. Che

cosa è successo? Ho fatto notare ai bambini che mentre G. versava l’acqua nel

bicchiere le braccia della bilancia si spostavano fino a posizionarsi

parallelamente al piano del tavolo. Ma che cosa effettivamente era successo?

Versando l’acqua nel bicchiere ho azzerato la spinta che l’acqua dava al

vasetto di pongo. Abbiamo scoperto che la spinta verso l’alto è quindi uguale al

peso dell’acqua del primo

vasetto di sinistra. Perché?

Ovviamente la dimostrazione di

questo è data dal fatto che la

bilancia si è messa di nuovo

nella situazione di equilibrio

iniziale. La spinta è annullata

dal peso dell’acqua che è stata

versata nel primo vasetto.

“Perché posso dire e mettere

un uguale (vedi cartellone)?”

perché sono la stessa cosa,

qualcuno ha risposto.

Ammetto la complessità

di tale passaggio visto che

inevitabilmente coinvolge

181

aspetti importanti del pensiero, quali ad esempio la logica. Circa metà gruppo

vedevo che riusciva a seguire tali passaggi mentre la metà era assorta in altri

pensieri. La possibilità di fare tale esperimento pratico e vedere con i propri

occhi è stato sicuramente importante altrimenti forse nemmeno l’altra metà del

gruppo avrebbe potuto capire. Oltre al fare è stato importante anche l’uso del

cartellone sul quale avevo riassunto schematicamente i vari passaggi: l’ho

utilizzato come base per poter fornire ulteriori spiegazioni ai bambini e sul quale

loro stessi potevano fare affidamento. Ho ripetuto più volte questo passaggio

per aumentare la sicurezza di coloro che già l’avevano capito e riuscire a farci

arrivare anche gli altri.

Ho chiesto ai bambini un ulteriore sforzo. Sul cartellone avevo scritto questo:

il peso dell’acqua del primo vasetto di sinistra è uguale al peso dell’acqua

spostata dal secondo vasetto immerso nel recipiente d’acqua. In questa frase

c’era una parola che non avevamo mai ancora pronunciato perciò mi è

sembrato giusto vederne il significato che i bambini le attribuivano. Che cosa

poteva voler dire? Avvantaggiati dall’aver analizzato con vari esperimenti il

significato matematico di volume i bambini hanno sfruttato tale conoscenza per

rispondere:

- l’acqua spostata non è altro che lo spazio che il vasetto occupa se sta

immerso nell’acqua

- il vasetto occupa un certo volume perciò quando lo inserisco nel

recipiente una parte di acqua se ne deve andare e al suo posto

perfettamente ci va il vasetto. Il volume dell’acqua spostata e il volume

del vasetto sono identici.

Siamo davvero giunti alla scoperta della legge: su un altro cartellone ho

riportato la legge di Archimede.

182

Attraverso dei disegni ho cercato di scomporla e renderla più semplice tanto

che credo che i bambini l’abbiamo davvero capita:

- un corpo immerso in un liquido…: ho domandato loro se il liquido in

questione poteva essere solo l’acqua, loro mi hanno confermato di no e

mi hanno fatto alcuni esempi, alcol, olio, petrolio… ho colto l’occasione

per fornire loro un’altra informazione. Bisogna stare attenti perché al

variare del liquido nel quale un oggetto è immerso cambia anche il

comportamento dell’oggetto.

- …Riceve una spinta verso l’alto…: Spiegare questa parte di frase è stato

molto più semplice. I disegni volendo non sarebbero serviti perché i

bambini avevano capito fin da subito che la spinta da adesso conosciuto

con il nome di Spinta di Archimede è rivolta verso l’alto e non verso il

basso.

- …Uguale al peso del liquido spostato: e per comprendere questa ultima

parte è stato necessario tutto il lavoro di preparazione svolto in questo

incontro. Con un disegno ho voluto richiamare la diversità tra i vari

oggetti immersi secondo il criterio del liquido spostato. Facendo

individuare a voce da alcuni bambini quale era il liquido spostato nei tre

diversi casi.

Al termine ci sono state alcune esclamazioni dei bambini “ah, finalmente si è

capito” “ecco perché la nave galleggia” ecc.

183

Per verificare il livello di comprensione ho proposto questa attività: dividere il

foglio in un prima e un dopo e a piacere rappresentare e descrivere due

momenti significativi dell’esperimento. Rielaborando i risultati ho individuato tre

tipologie diverse di risposte:

- il gruppo dei bambini che ha catalogato nel prima il momento in cui

abbiamo appeso il vasetto vuoto e quello pieno al braccio di sinistra e

ovviamente la bilancia pendeva da questo lato mentre nel dopo hanno

riportato la fase in cui abbiamo pian piano riempito il vasetto di sinistra

con le biglie e i bracci della bilancia sono ritornati paralleli al tavolo.

- Il gruppo che ha messo nel prima il momento in cui abbiamo visto che

l’acqua agisce sul vasetto pieno di pongo con una spinta che trasforma

di nuovo la posizione delle braccia della bilancia mentre nel dopo hanno

descritto la situazione che si stabilizza di nuovo con il riempire il primo

vasetto di sinistra con l’acqua

- Il terzo gruppo di bambini ha fatto un po’ di confusione descrivendo non

proprio un prima e un dopo ma l’intero esperimento.

Ecco un esempio tratto dal lavoro svolto da M.

primo gruppo;

2

secondo gruppo;

12

terzo gruppo;

2

0

2

4

6

8

10

12

184

SESTO INCONTRO

Tra alluminio e pongo…

Insieme al precedente reputo anche questo incontro di fondamentale

importanza per fa capire ai bambini il perché alcune cose galleggiano e altre

affondano e renderli autonomi nel verificare il perché analizzando vari oggetti.

Per rendere l’argomento del giorno meno complesso del previsto ho preparato

una scheda88 da completare nella quale i bambini dopo aver svolto

l’esperimento riportavano direttamente passo passo le informazioni scoperte.

Vista la complessità del tema mi sembrava opportuno utilizzare un valido 88 Vedere allegati sesto incontro.

185

supporto per fissare immediatamente i concetti e non lasciarli campati in aria.

Con il pongo ho modellato due palline. Queste dovevano avere lo stesso peso e

per verificare che così fosse abbiamo utilizzato due tecniche: abbiamo pesato le

due palline prima con la bilancia a bracci e poi visto i dubbi di qualche bambino

ho fatto misurare i rispettivi pesi con una piccola bilancia. Effettivamente F. ha

constatato che le due palline era costituite dalla stessa quantità di materiale. A

questo punto le due palline sono state disegnate dai bambini nelle rispettive

caselle. Un bambino ha fatto notare immediatamente che “i disegni devono

essere precisi perché le due palline devono essere identiche”. Ecco inesorabile

una delle tante mie domande alle quali i bambini ormai erano abituati: “se

immergo la pallina dentro al recipiente pieno d’acqua cosa succede?” Tutti

hanno risposto senza esitare certamente affonderanno tutte e due. Abbiamo

provato e effettivamente le ipotesi della classe erano vere. In silenzio ogni

bambino ha completato le frasi sottostanti: le due palline hanno uguale peso e

uguale volume entrambe affondano perciò la spinta di Archimede non è grande.

Seguendo la scheda il secondo interrogativo metteva già in crisi la

compattezza della classe: “e se modello una pallina di pongo a forma di

barchetta?” Anche qui non ci sono stati grandi

problemi, tutti hanno detto che sicuramente la

barchetta di pongo avrebbe galleggiato. Ma la

parte più difficile deve ancora arrivare, che

cosa era cambiato per far si che la barchetta

potesse galleggiare? Arrivare a capire che il

volume era cambiato mentre il peso era

rimasto identico è stato un po’ faticoso. Sono

partita quindi da lontano visto che solo in

cinque avevano capito e risposto giusto. “quale

modo abbiamo scoperto essere utile per

verificare e confrontare i volumi?” tutti hanno detto che potevamo immergere i

due oggetti nell’acqua e vedere se usciva la stessa quantità d’acqua. La

barchetta faceva uscire molta più acqua della pallina di pongo perciò i bambini

186

hanno escluso che i due potessero avere un volume uguale. “ma quale pesa di

più?” ho chiesto, tutti tranne un bambino hanno risposto che pesano uguali,

“perché non abbiamo mai aggiunto altro pongo alla barchetta perciò è

impossibile che sia aumentato il peso”. Adesso quindi potevamo completare la

parte di scheda che ci interessava dopo aver disegnato le due diverse situazioni

nei riquadri: il volume è cambiato e così di conseguenza è cambiata anche la

quantità di acqua spostata dall’oggetto. Senza problemi particolari tutti i bambini

hanno capito che mentre la barchetta sposta tanta acqua, la pallina ne sposta

poca. Su questo concetto avevo lavorato molto nell’incontro precedente perciò i

bambini hanno fornito le risposte appropriate. “La barchetta quindi galleggia

perché riceve una grande spinta mentre per la pallina di pongo la spinta è

troppo piccola ma comunque c’è, non ha ragione M a dire che non c’è perché

l’abbiamo scoperto nell’incontri vecchi”, queste sono le parole di G. che

controbatteva all’affermazione di M che aveva detto che la pallina di pongo

affonda perché la spinta non c’era. Fortunatamente è stato l’unico che poi ha

ammesso l’errore.

A questo punto con l’utilizzo di una cartellone veramente schematico ho

fornito lo strumento per individuare il perché un oggetto galleggia e un altro va a

fondo. Secondo quanto ho riportato nel capitolo della parte teorica di fisica ho

individuato solo i due casi in cui gli oggetti si possono comportare. Il peso del

liquido spostato può essere maggiore o minore del peso dell’oggetto, nel nostro

caso è il peso della pallina di pongo. Ho chiarito se ci fossero ancora dei dubbi

che il peso del liquido è il peso dell’acqua. A questo punto per sapere in quale

caso siamo devo confrontare (questo concetto l’ho ripetuto all’infinito per farlo

entrare nella testa di tutti) il peso dell’oggetto e il peso del liquido spostato. Ad

un bambino ho fatto leggere il primo caso: se il peso del liquido spostato è

maggiore del peso dell’oggetto allora c’è una grande spinta e l’oggetto

galleggia. Ho chiesto a bambini di pensare ad una situazione: nel caso della

barchetta di pongo siccome essa galleggia il peso del liquido spostato è

maggiore del peso dell’oggetto. Se invece il peso del liquido spostato è minore

187

del peso dell’oggetto siamo nella situazione inversa in cui la forza sarà piccola e

l’oggetto affonda.

Dopo che ho visto i bambini più sicuri su questo siamo andati a completare

la parte conclusiva di tale esperimento sempre tenendo presente almeno in

questa fase iniziale il cartellone riassuntivo. A questo punto c’è chi ha avanzato

una proposta per sapere se l’oggetto ha maggior o minor peso del liquido

spostato. “poter pesare con la bilancia normale o quella a braccia l’oggetto poi

pesare l’acqua che sposta che ho raccolto, e fare un confronto forse con la

bilancia a bracci viene meglio”; questa proposta certamente è validissima in

alcuni casi sono in grado di fare una stima approssimativa. Quindi ha preso per

esempio un altro caso: “una spugna perché galleggia allora?” Circa metà classe

mostrava qualche dubbio ancora mentre l’altra metà rispondeva senza più

guardare il cartellone. Il peso della spugna è minore del peso dell’acqua che

sposta perciò essa galleggia. E per un sasso? Tutti erano d’accordo nel dire

che la situazione era inversa. E una nave perché galleggia?

- perché dentro è fatta non solo di ferro ma anche di altri materiali

- è fatta anche con altri materiali

- c’è ad esempio il legno

- perché è vuota

Quest’ultima osservazione ha sottolineato un’altra volta la capacità di alcuni

bambini di arrivare al centro del problema e dare la risposta più corretta. I

bambini hanno così scoperto che una nave è cava perciò il suo peso è

certamente minore del peso dell’acqua che sposta. Sono i costruttori di tali navi

che devono conoscere bene il principio di Archimede per non rischiare che la

nave affondi una volta calata in

mare.

Questo incontro prevedeva

anche un secondo esperimento.

Con l’alluminio ottengo una

pallina dello stesso volume di

quella di pongo. Giustamente i

188

bambini hanno osservato tale uguaglianza dicendo che però il peso era diverso

quella di alluminio era più leggera. Le due palline avendo lo stesso volume

spostano la stessa quantità d’acqua. Allora si comporteranno ugualmente una

volta immerse in acqua? La risposta ovviamente è negativa. La pallina

d’alluminio, nessuno aveva dubbi su questo, galleggia mentre la pallina di

pongo come abbiamo già visto affonda. Quindi anche se hanno lo stesso

volume non è detto che si comportino allo stesso modo. Spostano la stessa

quantità d’acqua ma l’importante è osservare e confrontare i due pesi: “certo

perché il peso dell’acqua è sempre lo stesso mentre il peso dei due oggetti

cambia”, ha osservato T. aggiungendo al suo ragionamento fatto ad alta voce

che “il peso della pallina di pongo è inferiore al peso dell’acqua che sposta

mentre il peso della pallina di pongo è maggiore del peso dell’acqua è per

questo che si comportano diversamente”. Certamente il bambino ha veramente

capito la Legge di Archimede mentre alcuni in particolare lo guardavano come

se stesse dicendo cose assurde. Il fatto è che alcuni bambini non riuscivano a

seguire i ragionamenti perciò inevitabilmente alcuni passaggi li hanno persi. Più

della metà ha capito il grande valore di questo incontro. “da adesso possiamo

essere in grado di spiegare il perché un oggetto galleggia. Se osservo un

oggetto galleggiare saprò perché ci riesce”. Abbiamo quindi ripreso il cartellone

fatto nel primo incontro dove avevamo disegnato alcuni oggetti che

galleggiavano e altri che affondavano e per ognuno i bambini hanno dato una

spiegazione del perché con le nuove informazioni: il bullone affonda perché “il

suo peso è maggiore del peso dell’acqua spostata quindi la spinta è minore”.

Ogni bambino ha completato la scheda sul confronto tra pallina di alluminio e

pallina di pongo autonomamente.

L’ultima scheda su cui ognuno doveva mettersi alla prova riguardava un aspetto

conclusivo del percorso:

- oggetti di materiali uguali possono comportarsi in diverso modo, alcuni

galleggiano e altri affondano

- non tutti gli oggetti grandi affondano e non tutti gli oggetti piccoli

galleggiano

189

- non tutti gli oggetti pesanti affondano non tutti gli oggetti leggeri

galleggiano

Ogni bambino doveva pensare ad un oggetto che rispondeva a quei requisiti e

disegnarlo nel posto giusto. Tra i disegni divisi per categoria ho trovato:

- esistono cose grandi che non affondano: tronco, barca, nave, barca a

vela

- esistono cose piccole che affondano: sabbia, tronco, granello di sabbia,

sassolino, ninfea

- esistono cose pesanti che galleggiano: barca, tronco, nave, soldo

- esistono cose leggere che affondano: pallina schiacciata di alluminio,

pallina di pongo, pallina di alluminio, una moneta, righello

- oggetti di materiali uguali possono sia galleggiare sia affondare: pallina e

barchetta di pongo, pallina di alluminio schiacciata e foglio di alluminio.

In questo elenco ho riportato gli esempi forniti dai bambini. Le parole

sottolineate corrispondono agli esempi errati. Questa attività voleva sfatare

l’idea che inizialmente era emersa nei bambini per cui un oggetto grande e

pesante affonderà mentre un oggetto leggero e piccolo galleggia. Ciò non è

sempre vero.

SETTIMO INCONTRO

La figura di Archimede

Al percorso ho aggiunto un incontro in collaborazione con l’insegnante di

italiano: abbiamo conosciuto la figura di Archimede quale scienziato e uomo. Ad

ogni bambino ho consegnato un foglio dove c’erano riportate alcune

informazioni. Sul cartellone avevo disegnato la sagoma di ogni foglio diverso.

Seguendo un ordine cronologico ogni bambino individuava il suo momento e

leggeva ad alta voce la sua parte e incollava nel posto giusto il foglio. I bambini

hanno scoperto la figura di Archimede analizzando il periodo in cui era vissuto, i

190

suoi studi nei vari ambiti della conoscenza, il suo difendere Siracusa dai nemici

con l’invenzione di alcune macchine da guerra.

Al termine citando ci siamo messi a guardare un cartone animato sulle gesta di

Archimede Pitagorico.

OTTAVO INCONTRO

Liquidi su liquidi?

Per evidenziare che anche nel caso dei liquidi, alcuni

sono in grado di galleggiare su altri, ho portato in classe

tre liquidi diversi: olio acqua e alcool. La scelta doveva

essere mirata a escludere i liquidi miscibili. Dopo aver

disposto le tre bottiglie piene dei rispettivi liquidi ho

chiesto ai bambini di fare un’ipotesi su come si poteva

comportare l’olio se viene versato nel contenitore dove ci

sta l’acqua. La classe non ha avuto dubbi: l’olio galleggia

sull’acqua. Questa risposta è stata data immediatamente

perché i bambini hanno molte volte osservato tale fenomeno sia a casa sia a

scuola. Abbiamo quindi continuato l’esperimento con un’ulteriore prova da fare:

“se verso nel recipiente l’alcool cosa accade? Dove si posiziona?” Le ipotesi dei

bambini sono molto diverse tra loro: rispetto quindi alla prima parte, questa

richiedeva un’ulteriore livello di conoscenza che i bambini non possedevano

perché forse non gli era mai capitato di fare tale osservazioni. La maggior parte

delle ipotesi sono sbagliate, tranne due bambini che hanno ipotizzato che

l’alcool avrebbe galleggiato sull’olio:

- l’olio si mischia con l’acqua

- l’alcool si mette sopra l’olio

- alcool sta in cima

- cambia il colore

- l’alcool si mescola con l’acqua

191

- l’olio si mescola con l’acqua

- lo spirito va a fondo

- l’acqua sale fino in cima e l’alcool va al posto che era dell’acqua

- l’olio va a fondo

- l’alcool va tra l’olio e l’acqua

- l’olio si mescola con l’alcool

Le ipotesi comprendono forse tutte le possibilità immaginabili perciò l’unico

modo per chiarire le idee ai bambini è stato quello di fare l’esperimento. I

bambini hanno verificato che la situazione non si stravolge più di tanto ma che

l’alcool si posiziona perfettamente in cima con un bell’effetto visivo. Perciò

l’alcool galleggia sull’olio e l’olio galleggia sull’acqua. Ad un certo punto un

bambino ha domandato: “ma se li verso in ordine diverso tipo prima l’alcool poi

l’olio e poi l’acqua cosa succede?” Abbiamo provato però bisogna stare attenti a

non far venire in contatto l’alcool con l’acqua perché sono miscibili.

La spiegazione a questa stratificazione dei liquidi c’è e va ricercata nel

concetto di peso specifico. I liquidi con peso specifico maggiore si posizionano

sul fondo e gli altri in ordine decrescente sopra. Quindi come ha osservato L.,

“vuol dire che l’acqua ha un peso specifico maggiore dell’olio e l’olio ne ha uno

maggiore dell’alcool”.

Era importante far notare che per far galleggiare un liquido su un altro

non è influente la quantità di liquido di quello che sta sotto.

Ho terminato l’incontro dando un semplice compito di verifica89 ai bambini:

dovevano da soli riassumere secondo lo schema seguito altre volte tale

esperimento; dovevano mettere la domanda di partenza, la loro ipotesi, lo

svolgimento dell’esperimento, la verifica della loro ipotesi e le conclusioni.

Correggendo gli elaborati ho notato forti differenze, il gruppo di bambini può

essere diviso in due gruppi:

- coloro che si sono ricordati e hanno rispettato e descritto l’esperimento in

modo completo

89 Vedere allegato, ottavo incontro

192

- coloro che dimenticandosi i vari passaggi hanno riportato in un unico

discorso l’esperimento dimenticando di mettere la domanda le ipotesi e

le conclusioni concentrandosi quindi molto di più sullo svolgimento

dell’esperimento.

NONO INCONTRO

Funzionamento del sommergibile che sfrutta la legge di Archimede

Ho voluto chiudere questo lungo percorso con una attività forse più pratica delle

altre: ogni bambino si sarebbe

costruito il proprio sommergibile. I

materiali usati sono di recupero. Ogni

bambino doveva avere

obbligatoriamente, altrimenti il

sommergibile “avrebbe fatto acqua”,

questi elementi:

- una bottiglia piccola di acqua

- un vasetto di Actimel o altra marca

- una tubo di gomma flessibile

- un tappo di bottiglia della misura dell’imboccatura del tubetto

- forbici appuntite

- nastro adesivo

i bambini domandavano in continuazione che cosa avrebbero realizzato con tali

materiali “da quattro soldi”. Ho chiesto di usare un po’ l’immaginazione. Ognuno

proponeva la costruzione dei più svariati strumenti ma nessuno aveva centrato

il bersaglio. Alla fine ho chiesto “chi di voi sa com’è fatto un sottomarino?” in

tanti hanno alzato la mano e altrettanti volevano andare alla lavagna a

disegnarlo; ho scelto A. che ha disegnato un grande sottomarino con tanto di

periscopio. Mi interessava molto questa parte argomentativa perché volevo

verificare le idee iniziali che loro avevano circa questo mezzo. Ma dove potevo

193

segnare il livello dell’acqua? A. ha posizionato il sottomarino immerso

completamente dentro l’acqua, giustamente direi, ma quello che io volevo

verificare era il loro riconoscere che il sottomarino è in grado di comportarsi a

seconda dell’esigenza in vari modi. A. ha capito dove volevo arrivare e ha

disegnato, mentre tutta la classe lo guardava attentissima, il livello in altri due

punti: il sottomarino è emerso dall’acqua, il sottomarino non sta proprio sul

fondo ma a metà strada. “Che cosa riesce a fare il sottomarino quindi?” Un

bambino è intervenuto dicendo: “il sottomarino non si comporta ad esempio

come la nave o una grande pietra, può galleggiare e può anche andare sul

fondo… fa come gli pare”. “Come riesce a fare ciò?”. Solo G ha alzato la mano

dicendo che dentro il sottomarino ci sono degli scompartimenti dove ci sta

l’acqua e “i marinai se vogliono la levano e la fanno entrare. È per questo che

cambia la sua posizione” . Mi sono davvero meravigliata, migliore spiegazione

di questa forse non riuscivo a darla neppure io, non c’era da aggiungere molto.

Quindi ho chiesto se “gli scomparti sono pieni d’acqua il sottomarino dove si

trova rispetto al livello del mare?” Tutti hanno risposto correttamente “in fondo al

mare”. Perché? Ecco M. il più motivato in assoluto per l’argomento intervenire

dicendo che dipende dal confronto tra il peso dell’oggetto che in quel caso era il

sottomarino e il peso dell’acqua che sposta: “se dentro ci fa stare l’acqua il peso

del sottomarino è maggiore del peso dell’acqua che sposta perciò affonda come

fa una pietra mentre se toglie l’acqua il suo peso diminuisce mentre il peso

dell’acqua spostata resta uguale perciò questo è più maggiore e il sottomarino

riceve una spinta d’Archimede più grande e galleggia.” Sentendo queste parole

certamente non ci credevo molto ma da questo bambino potevo aspettarmelo

visto che aveva grande capacità e un ancor più grande interesse per

l’argomento.

Quei diversi elementi che ogni bambino aveva sul banco quindi

prendevano un preciso significato. Dopo questa prima fase “teorica” siamo

passati all’azione. Ho richiesto ai bambini il maggior impegno attentivo possibile

perché i passaggi per la costruzione del sottomarino dovevano essere fatti e

superati all’unisono.

194

Le fasi di lavoro erano così divise:

- riempire la bottiglia d’acqua fino all’orlo e tapparla bene

- incastrare il tappo di bottiglia nell’apertura del tubetto di Actimel

- fissare con lo scooch il tubetto sopra la bottiglia sdraiata

- praticare un foro nel tubetto nella parte opposta del tappo di plastica

- praticare nella parte più lunga del tubetto tre fori abbastanza grandi

- incastrare nel foro grande del tubetto il tubo di gomma flessibile.

Una volta che tutti avevano finito la costruzione, siamo passati alla

sperimentazione del suo funzionamento. A turno i bambini immergevano in una

grossa bacinella piena d’acqua il proprio

sottomarino: il tubetto di Yogurt fungeva

da zavorra. Se il bambino aspirava l’aria

contenuta nel tubetto, questo si riempiva

di acqua e perciò andava a fondo mentre

se si soffiava l’acqua veniva espulsa fuori

dal tubetto e automaticamente si riempiva

di aria e riemergeva in superficie. I

bambini erano molto soddisfatti di tale

esperienza, ma alcuni sottomarini sono risultati inaffidabili: alcuni non riuscivano

ad andare sul fondo perché non tutte le bottiglie che i bambini avevano portato

a scuole erano adatte per il nostro lavoro. Ammetto che questo è stato un limite

per l’attività che forse non avevo tenuto di conto.

.

195

Al termine i bambini hanno insistito per poter portare a casa il proprio

capolavoro per sperimentare ancora il suo uso e “divertirsi nella vasca” come

hanno proposto in molti.

DECIMO INCONTRO

Il questionario finale90

Ho ritenuto opportuno in questo ultimo incontro conclusivo fare un bilancio

del progetto attraverso un questionario a cui ho sottoposto i bambini. Analizzerò

anche attraverso i grafici ciò che è emerso. I bambini sottoposti alla verifica

sono stati 15 escludendo due assenti e i due bambini con ritardo mentale. Il

questionario è composto da tre parti:

- domande a scelta multipla

- domande vero falso

- esercizio di completamento

nel primo gruppo le domande erano a scelta multipla, alcune fungevano da

distrattori, per un totale di sei domande.

- Prima domanda: per sapere se un oggetto galleggia o affonda cosa devo

confrontare?

Le possibilità di scelta erano quattro. La risposta esatta era la prima poiché

riportava esattamente il confronto tra i pesi, per formulare le altre invece ho

inserito e alternato il confronto di peso e volume per trarre in inganno i

bambini.

90 Vedere allegati

196

La maggioranza di risposte giuste è netta tranne un bambino che ha risposto

che si deve confrontare il peso dell’oggetto e il volume e ben tre che hanno

risposto che dobbiamo confrontare il volume dell’oggetto e il peso dell’acqua

spostata. In totale quindi le risposte negative sono state quattro. Questi quattro

bambini alterneranno per tutto il questionario risposte sbagliate a risposte giuste

evidenziando che il concetto non è stato appreso completamente.

- Seconda domanda: un oggetto galleggia perché?

I bambini dovevano indicare il caso in cui un corpo galleggia individuando che

ciò è dovuto al fatto che il peso dell’oggetto è minore del peso del liquido che

sposta. Tutti hanno risposto esattamente a tale domanda: tra questi

sicuramente ci saranno alcuni che hanno risposto per sentito dire e che

realmente non hanno capito poiché osservando anche le altre risposte

emergono chiaramente molte contraddizioni. Basti guardare alle risposte alla

domanda successiva.

confronto il peso dell'oggetto e il peso dell'acqua spostata;

11

confronto il peso dell'oggetto e il

volume dell'acqua spostata;

1

confronto il volume dell'oggetto e il

volume dell'acqua spostata;

0

confronto il volume dell'oggetto e il peso dell'acqua spostata;

3

0

2

4

6

8

10

12

197

- Terza domanda: un oggetto affonda perché?

Le contraddizioni emergono già a questo punto, forse per distrazione o non so

cosa due bambini ripropongono la stessa risposta data, per altro giustamente,

alla domanda precedente. La mia ipotesi è che prima di tutto non hanno capito

il principio di Archimede e automaticamente non si sono accorti della doppia

risposta uguale. È possibile comunque che siano stati distratti.

- Quarta domanda: con il Principio di Archimede posso spiegare?

il peso dell'oggetto è maggiore del

peso del liquido che sposta;

0

il peso dell'oggetto è

minore del peso del liquido che

sposta; 16

il peso dell'oggetto è

uguale al peso del liquido che

sposta; 0

0

2

4

6

8

10

12

14

16

il peso dell'oggetto è maggiore del

peso del liquido che sposta;

14 il peso dell'oggetto è

minore del peso del liquido che

sposta; 2

il peso dell'oggetto è

uguale al peso del liquido che

sposta; 0

02468

101214

198

A questa domanda non si può parlare di errore vero e proprio perché qui si

trattava di scegliere la risposta in assoluto più completa, che era la terza, molti

bambini si sono fermati alla seconda dimenticando che la legge di Archimede ci

aiuta si a spiegare il perché gli oggetti galleggiano ma anche perché vanno a

fondo. Pensavo che questa domanda fosse davvero banale mentre qualcuno

nel mio inganno ci è cascato, purtroppo.

- Quinta domanda: conoscere il principio di Archimede è importante per…

Ecco di nuovo che emergono i due bambini che non hanno capito e non hanno

seguito il progetto perché per sbagliare questa domanda bisogna non aver mai

ascoltato..

Sorprendentemente c’è stato chi ha avuto il coraggio di rispondere che il

principio di Archimede serve per studiare le stelle. Mah…

il perché gli oggetti

affondano; 0

il perché gli oggetti

galleggiano; 6

il perché gli oggetti

galleggiano o affondano;

10

0

2

4

6

8

10

199

- Sesta domanda: la legge di Archimede dice che…

i bambini dovevano selezionare la risposta completa. Anche qui qualcuno si è

fermato solo alla prima risposta che reputava giusta senza andare a fondo nella

lettura, visto che la risposta più completa era quella in cui si elencavano liquidi

diversi. Comunque considero anche la prima risposta giusta.

progettare missili spaziali;

0

costruire navi e altri tipi di

imbarcazioni; 14

studiare le stelle;

2

02468

101214

un corpo immerso in un liquido riceve una spinta verso l'alto uguale al peso del liquido spostato ;

9

un corpo immerso in un liquido qualsiasi riceve una spinta

verso il basso uguale al peso del liquido spostato;

1

un corpo immerso in un liquido qualsiasi

(petro lio , acqua, o lio…) riceve una

spinta verso l'alto uguale al peso del liquido spostato;

6

0

2

4

6

8

10

200

La seconda serie di domande prevedeva che i bambini scegliessero se

l’affermazione era vera oppure falsa.

DOMANDA

SCELTE

POSSIBILI

RISPOSTE.

BAMBINI

RISPOSTA

ESATTA

tutti gli oggetti leggeri galleggiano

VERO 1

FALSO 15 X

solo gli oggetti pesanti affondano

VERO 3

FALSO 13

X

per sapere se un oggetto galleggia

non mi interessa sapere se è leggero

o pesante

VERO 13

X

FALSO 3

per dire che un oggetto galleggia

devo considerare e confrontare il

peso dell’oggetto con il peso

dell’acqua del recipiente

VERO 4

FALSO 12

X

per dire che un oggetto galleggia

devo considerare e confrontare il

peso dell’oggetto con il peso

dell’acqua spostata

VERO 13 X

FALSO 3

lo spazio occupato da un oggetto

nell’acqua e l’acqua che sposta

VERO 7 X

FALSO 9

201

hanno lo stesso volume

posso misurare la quantità d’acqua

spostata da un oggetto con la

tecnica dell’immersione

VERO 6 X

FALSO 10

l’acqua galleggia sull’olio

VERO 6

FALSO 10 X

un liquido galleggia su un altro

liquido se ha il peso specifico

maggiore

VERO 8

FALSO 8 X

anche sul sasso che affonda c’è la

spinta

VERO 14 X

FALSO 2

Le domande che hanno messo in difficoltà i bambini sono state quelle sul

concetto di volume: solo in sette hanno riconosciuto che acqua spostata e

oggetto occupano lo stesso spazio; mentre in 10 ovvero più della metà non ha

riconosciuto vera l’affermazione che per misurare la quantità d’acqua spostata

posso usare la tecnica dell’immersione. In merito mi sono venute in mente

alcune spiegazioni quali ad esempio: l’aver affrontato tale argomento molte

settimane prima ha fatto si che i bambini potessero dimenticare visto che non

era stato più ripreso. Ciò che invece mi meraviglia è l’errore che molti hanno

fatto nel non riconoscere che acqua spostata e volume oggetto sono la stessa

cosa: mi aspettavo un margine di errore di 5 poiché questi sono i bambini che

secondo me non hanno proprio capito il Principio. C’è uno scarto quindi di due

202

bambini che forse non sono stati molto attenti visto che puntualmente ogni volta

riprendevo questo concetto.

Ulteriore fonte di errore è stata la domanda sui liquidi che galleggiano su altri: è

sorprendente notare come qualcuno abbia risposto che l’acqua galleggia

sull’olio: questi bambini non hanno osservato l’esperimento perché in classe

durante l’incontro dedicato ai liquidi abbiamo provato, prima di tutto a versare

l’olio sull’acqua e poi il contrario. Questi bambini sono rimasti dell’idea che l’olio

essendo denso “regge” l’acqua.

Da notare anche, il numero dei bambini che hanno ormai superato il concetto di

leggero-galleggia e pesante-affonda. Questo passo è stato possibile grazie

all’esperienza: i bambini hanno osservato che quella non poteva essere un

criterio universale. Infatti altrettanti bambini hanno risposto che per sapere se

un oggetto galleggia o affonda bisogna confrontare il peso dell’acqua spostata

e non quella del recipiente (12 risposte sbagliate contro 14 risposte giuste).

Dividerei alla fine, il gruppo che ha partecipato al progetto in tre categorie:

- i bambini che erano interessati e motivati a scoprire il perché gli oggetti

galleggiano, seguivano ciò che veniva detto, volevano compiere

esperimenti, partecipavano attivamente, facevano domande per mettere

alla prova la propria conoscenza. Sono coloro che hanno capito il

principio di Archimede

- nel secondo gruppo invece inserisco coloro che erano disinteressati

perché non capivano e non capivano perché erano disinteressati

- il gruppo di coloro che seguivano e cercavano di capire ma cadevano

ogni tanto in alcuni errori perché non avevano raggiunto il livello del

primo gruppo

La terza parte del questionario, come ho già detto prevedeva una serie di

esercizi di completamento. Il bambino doveva completare nella maniera

corretta la situazione considerata: le situazioni da analizzare erano quattro

perché quattro erano gli oggetti: un pezzo di polistirolo, una moneta, un

203

sassolino, un pezzo di legno. Secondo lo schema che precedentemente

avevamo già usato (non c’era niente di nuovo), il bambino doveva arrivare a

dire che l’oggetto messo in acqua galleggia oppure no secondo il procedimento

che noi avevamo adottato per scoprirlo. Si prende in considerazione il peso

dell’oggetto e peso dell’acqua spostata, si fa una stima e si mette un bel segno

di maggiore o minore fra i due. Una volta fatto questo il bambino secondo il

principio di Archimede, è in grado di dire che se il peso dell’oggetto è maggiore

del peso dell’acqua allora la spinta è piccola perciò l’oggetto affonda mentre se

il peso dell’oggetto è minore del peso dell’acqua spostata la spinta è grande e

l’oggetto galleggia. I bambini dovevano inserire un maggiore o minore, scrivere

se la spinta era grande o piccola e infine concludere con lo scrivere il

comportamento dell’oggetto. Prendendo in considerazione esercizio per

esercizio, nel caso del polistirolo c’è stato un solo bambino che ha commesso

un errore perchè ha scritto che il peso dell’acqua spostata è minore del peso

dell’oggetto e di conseguenza ha detto che la spinta è minore e però che

l’oggetto galleggia perché la realtà che magari ha osservato era evidente. Qui

compare una delle contraddizioni individuate da Piaget. Sempre lo stesso

bambino ha commesso errori simili negli altri quattro esercizi. Al secondo e al

terzo si sono aggiunti altri due bambini che hanno invertito e sostenuto che il

peso dell’acqua è maggiore del peso dell’oggetto (sia per quanto riguarda la

moneta sia per il sassolino), un altro bambino ha detto che l’oggetto moneta

galleggia e un altro che la spinta è grande.

Riassumendo: nel primo esercizio c’è stato un solo bambino che ha sbagliato,

nel secondo quattro bambini, nel terzo tre e nel quarto un solo bambino che è

quello del primo esercizio che si ripropone anche negli altri due. I bambini

quindi hanno ben assimilato questo concetto: è da notare comunque una cosa,

alcuni bambini che qui hanno svolto l’esercizio benissimo hanno trovato

difficoltà nelle domande delle due parti. Qui entrava in gioco il dover

immaginare e avere come punto di riferimento un oggetto reale, fare ipotesi su

una situazione concreta mentre rispondere alle domande era qualcosa di

astratto. Un’altra osservazione da fare riguarda la diversa difficoltà che i

204

bambini hanno incontrato nel completare il caso di oggetti che galleggiano e

oggetti che affondano: i bambini che hanno sbagliato nel caso di oggetti che

galleggiano sono in un esercizio tre e in uno quattro, mentre per il caso di

oggetti che galleggiano c’è stato un solo un errore.

L’ultimo esercizio prevedeva di individuare un oggetto e per quello impostare lo

schema di analisi del galleggiamento. Gli oggetti scelti sono stati: spugna,

nave, barca, foglia, matita, un pomodoro, un pezzo di carta, un pezzo di nave.

Solo due bambini hanno invertito i pesi e sbagliato a scrivere grande o piccolo

per la spinta. Alcuni, in particolare due, sono incompleti e quindi non giudicabili.

205

Conclusioni

Con questo progetto posso dire davvero di aver messo alla prova le mie

capacità maturate durante tutto il percorso universitario. Con il progetto ho

legato i due aspetti importanti che emergono dall’impostazione del nostro corso

di laurea: da un lato la teoria e dall’altro la pratica. Per teoria in questo contesto

intendo ovviamente le conoscenze che ho maturato sul principio di Archimede.

Cosa fondamentale da fare prima di tutto è stata quella di capire bene

l’argomento per poter essere sicura dei concetti, per poter rispondere alle

eventuali domande dei bambini, per far loro apprendere questo difficile

argomento. Questa conoscenza che ho maturato la posso paragonare ai corsi

universitari che abbiamo seguito durante i quattro anni. Senza la conoscenza

sicura, a mio avviso, non si può essere bravi insegnanti. Dall’altro ovviamente,

serve anche la pratica; il poter realizzare il progetto in classe ha fatto sì che

potessi mettere in pratica tutto quello che avevo imparato durante il tirocinio. Il

fatto di tornare di nuovo in un’aula e proporre di nuovo delle attività da me

ideate mi ha fatto tornare alla mente i momenti trascorsi con i bambini durante

le ore del tirocinio diretto. In mezzo, tra teoria e pratica, inserisco la

metodologia, ovvero il modo di “insegnare” ai bambini attraverso l’esperienza.

Anche nel nostro corso di laurea ciò che univa tirocinio (la pratica) e i corsi (la

teoria) erano i laboratori.

Con il progetto credo di aver dato vita all’unione di questi tre aspetti e

credo anche che i risultati siano stati tutto sommato positivi.

La mia ipotesi iniziale, quello cioè che mi aveva dato forza e motivazione

a realizzare tale progetto, era verificare in che misura incide nell’apprendimento

di concetti scientifici, nel mio caso il concetto fisico ovvero il Principio di

Archimede, l’impostare attività mirate basate sul principio del fare esperienza.

Il fare esperienza, sperimentare con la proprie mani ha certamente dato una

marcia in più ai bambini, soprattutto a quelli che facevano più fatica a

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interessarsi alle discipline scientifiche. In alcuni di loro, la stessa insegnante di

classe mi ha fatto notare dei piccoli comportamenti: intervenivano più spesso,

provavano a dare delle risposte, formulavano dei ragionamenti… Fare le attività

come se fossero laboratori, oltre ad aver creato grande entusiasmo, ha

apportato notevoli vantaggi soprattutto in quei bambini che hanno maggiori

difficoltà: particolarmente in loro ho visto un cambiamento negli ultimi incontri

rispetto ai primi. Attraverso l’esperienza più di metà gruppo ha potuto capire e

rispondere alla domanda perché gli oggetti galleggiano?. Oltre all’esperienza

anche l’impostazione secondo la gradualità degli esperimenti ha dato un grosso

contributo.

Ritengo perciò verificata la mia ipotesi iniziale. Attraverso l’esperienza è

possibile arrivare a capire concetti fisici molto più facilmente e coloro che

traggono vantaggi da questa pratica sono soprattutto i bambini che

abitualmente incontrano maggiori difficoltà nell’apprendimento di concetti

scientifici. È vero anche che per alcuni lo sperimentare non basta. Alcuni

bambini del gruppo hanno dimostrato al termine del progetto di non aver capito

il principio di Archimede, mentre altri durante il percorso hanno dimostrato

incertezze in alcuni passaggi.

Concludo quindi dicendo che ovviamente l’esperienza aiuta il bambino a

comprendere la fisica, e le scienze in genere, ma per qualcuno ciò non basta.

Magari per quei bambini che hanno incontrato grosse difficoltà e per quelli che

hanno mostrato incertezze era necessario strutturare il lavoro in un altro modo.

Forse sarebbe stato necessario approfondire di più certi aspetti rispetto ad altri,

non dare alcuni concetti per scontato, renderli più partecipi durante le

conversazioni, motivarli maggiormente, diluire il progetto in un arco di tempo più

lungo. Le soluzioni o le alternative da proporre sarebbero state tante, forse io

stessa ho sbagliato in qualche punto del progetto, ma tutto sommato posso

ritenermi più che soddisfatta dei risultati ottenuti.

Non dimenticherò mai la gioia dei bambini, che traspariva dai loro occhi

nel vedere verificata la propria ipotesi o l’entusiasmo che mettevano nella

realizzazione degli esperimenti.

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