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ANNALISA ANDREONI Il Sessantotto delle scrittrici: considerazioni storiografiche (con note su Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante e su Le ragazze di maggio di Alba de Céspedes) In Natura Società Letteratura, Atti del XXII Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Bologna, 13-15 settembre 2018), a cura di A. Campana e F. Giunta, Roma, Adi editore, 2020 Isbn: 9788890790560 Come citare: https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/natura-societa-letteratura [data consultazione: gg/mm/aaaa]

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ANNALISA ANDREONI

Il Sessantotto delle scrittrici: considerazioni storiografiche (con note su Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante

e su Le ragazze di maggio di Alba de Céspedes)

In

Natura Società Letteratura, Atti del XXII Congresso dell’ADI - Associazione degli Italianisti (Bologna, 13-15 settembre 2018),

a cura di A. Campana e F. Giunta, Roma, Adi editore, 2020

Isbn: 9788890790560

Come citare: https://www.italianisti.it/pubblicazioni/atti-di-congresso/natura-societa-letteratura

[data consultazione: gg/mm/aaaa]

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ANNALISA ANDREONI

Il Sessantotto delle scrittrici: considerazioni storiografiche (con note su Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante

e su Le ragazze di maggio di Alba de Céspedes) Il saggio esamina la consistenza della letteratura femminile del Sessantotto e dintorni, dalla narrativa (Ceresa, Ferrante, Ginzburg, Maraini, Ramondino, Ravera, Sereni, Vasio) alla poesia (Rosselli, Cavalli, Frabotta) al giornalismo (Cederna, Fallaci, Pivano) alla pubblicistica femminista (Accardi-Lonzi, Gianini Belotti, Melandri) e politica (Rossanda) collocandola nel contesto storico-politico e riflettendo sulle ragioni del vuoto d’attenzione da parte della storiografia letteraria. Il saggio svolge, in particolare, una lettura in parallelo del Mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante e delle Ragazze di maggio di Alba de Céspedes.

1. Il problema e il contesto

Secondo Goffredo Fofi i testi più importanti del ’68 sono la Lettera a una professoressa della Scuola di Barbiana, Contro l’Università di Guido Viale e Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante:1 teniamo per fermo questo, cioè che – essendo la Lettera a una professoressa un pamphlet2 e Contro l’Università un saggio-manifesto, uscito sui «Quaderni piacentini» nel febbraio del ’683 – il maggior libro poetico del Sessantotto italiano, maschile o femminile non ha importanza, sia Il mondo salvato dai ragazzini della Morante; teniamo per fermo questo e prendiamolo come punto di partenza per tentare una contestualizzazione e una rilettura della produzione letteraria femminile di quegli anni.

Nella prima parte di questa relazione proverò a fare una mappatura, a grandi linee, di come si è articolata e distribuita la scrittura delle donne sul ’68; nella seconda parte tornerò invece alla Morante e al Mondo salvato dai ragazzini e proverò a toglierlo dallo splendido isolamento in cui è sempre stato relegato e a farne una lettura parallela con un altro libro di poesia, uscito anch’esso nel ’68 e che racconta il ’68: perché i libri di poesia a firma femminile che interpretano lo spirito di quella rivolta giovanile sono, infatti, almeno due.

Proviamo dunque ad allargare il campo alle altre nostre autrici, perché paradossalmente la grandezza della Morante, invece di sortire l’effetto di illuminare l’opera delle altre, ha finito per oscurarle. In particolare, se c’è una nutrita bibliografia sugli autori del ’68, da Pasolini ad Arbasino a Balestrini, e a ogni decennale del Sessantotto vengono proposte riletture delle loro opere, da Il PCI ai giovani! uscita sull’Espresso (10 marzo) all’indomani degli scontri di Valle Giulia (1º marzo)4 — ma in generale Trasumanar e organizzar (1971) — e Teorema (film: 1968; libro: 1969) a Super-Eliogabalo (1969) a Vogliamo tutto (1971), quando ci chiediamo invece anche solo semplicemente che cosa abbiano scritto le autrici sul Sessantotto o quali loro opere ne incarnino lo spirito, a parte il Mondo salvato, si fa una certa fatica a rispondere.

Eppure il ’68 è stato il movimento che ha portato le donne fuori di casa, le ha proiettate sulla scena politica, le ha rese consapevoli dei condizionamenti sociali che agiscono all’interno del rapporto di coppia, dando avvio alla liberazione sessuale. È dalle rivolte del ’67-68 che nascono prima in America e poi in Europa i movimenti femministi contemporanei. I testi fondamentali del femminismo americano e francese vengono letti e tradotti subito: nel 1971 esce per Rizzoli La politica del sesso di Kate Millett, che in America era uscito nel 1969; Luisa Muraro nel 1975 traduce per Feltrinelli Speculum. L’altra donna di Luce Irigaray (Feltrinelli), che era uscito in Francia l’anno prima (ricordo che Il secondo sesso della Beauvoir, uscito nel ’49, aveva dovuto aspettare il ’63 per uscire in traduzione italiana presso il Saggiatore). Ed è del luglio 1970 il Manifesto di Rivolta femminile di Carla Lonzi e Carla Accardi,

1 Si veda l’introduzione di Goffredo Fofi a E. MORANTE, Il mondo salvato dai ragazzini, Torino, Einaudi 2012. 2 SCUOLA DI BARBIANA, Lettera a una professoressa, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina 1996. 3 G. VIALE, Il 68. Contro l’Università e Il Sessantotto tra rivoluzione e restaurazione, Firenze, Interno4 Edizioni, 2018. Cfr. anche Prima e dopo il ’68. Antologia dei «Quaderni piacentini», a c. di G. Fofi e V. Giacopini, Roma, Edizioni Minimum Fax 2008 (segnalo anche che l’intera collezione dei «Quaderni piacentini» è stata digitalizzata ed è leggibile online sul sito della Biblioteca Gino Bianco di Forlì). 4 Il testo della poesia e la trascrizione dei dibattiti che ne seguirono sull’Espresso (16 giugno: Nello Aiello, Vittorio Foa, Claudio Petruccioli, Pier Paolo Pasolini; 23 giugno: Alberto Moravia, François Revel, Michel Butor, Goffredo Parise, Eugenio Montale, Guido Piovene, Franco Fortini, Johannes Agnoli; 30 giugno, replica di Pasolini) sono stati recentemente ristampati in «MicroMega», 2018/1, Sessantotto!, 187-212.

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uno dei documenti fondativi del neo-femminismo di quegli anni, che pone l’accento sulla ‘differenza’, diversamente dal femminismo storico che dal primo Novecento al secondo Dopoguerra aveva posto l’accento sull’uguaglianza tra i sessi e rivendicato la parità dei diritti.5 Il frutto delle ricerche svolte in quel periodo si vede negli anni successivi: nel ’73 esce per Feltrinelli il contributo più importante della ricerca femminista italiana, Dalla parte delle bambine, saggio nel quale Elena Gianini Belotti (Roma 1929), descrivendo i risultati del proprio lavoro nella Scuola per assistenti all’infanzia Montessori di Roma, smaschera i condizionamenti culturali attivi fin dalla nascita sulle bambine all’interno della famiglia, ancor prima che della società.6

Negli anni Settanta aprono case editrici prettamente femministe a Napoli, Roma e Milano, e nascono riviste come «Donne e politica», «Effe», «DonnaWomanFemme», pubblicate a Roma, e «Sottosopra», pubblicata a Milano7. Si creano inoltre gruppi di scrittura femminile, grazie anche all’impegno profuso da Lea Melandri nella formazione delle donne con la “scrittura di esperienza”, una “narrazione di sé” in cui un ruolo fondamentale è attribuito alla sedimentazione del pensiero nella memoria del corpo, capace di arrivare alle zone più nascoste della coscienza.8

Tra i punti di riferimento letterario per chi si muove allora in questo orizzonte vi è Sylvia Plath, nota in Italia prima con il romanzo La campana di vetro pubblicato da Mondadori nel ’68, e solo dopo con le poesie: una selezione da Ariel è tradotta da Giovanni Giudici nel 1975, anche se era già possibile leggere l’opera nell’edizione inglese del ’65. E naturalmente vi è la Woolf della Stanza tutta per sé (1929), tradotto nel ’639 e, di lì a qualche anno, anche delle Tre ghinee: risalente alla fine degli anni Trenta, Le tre ghinee esce presso la casa editrice femminista la Tartaruga di Milano nel 1975; ristampato da Feltrinelli nel ’79 con l’introduzione di Luisa Muraro, diviene oggetto di numerosi dibattiti pubblici, anche radiofonici. Ma ben prima, un romanzo come Il taccuino d’oro di Doris Lessing, uscito nel ’62 in inglese e pubblicato in italiano nel ’64 da Feltrinelli, era stato una lettura fondamentale per quegli anni.

Con il Sessantotto la scrittura femminile esplode in tutte le sue forme, artistiche, narrative, poetiche, teatrali, ma anche generalmente pubbliche come il giornalismo, perché si aprono spazi e si stabilisce una legittimazione alla voce femminile. Si diffonde, parallelamente, la pratica della riunione tra donne e delle discussioni in pubblico. Una testimonianza di Rossana Rossanda, resa in un’intervista a Eliana Di Caro, ci racconta che cosa avviene dopo il ’68:

Scopro la Libreria delle donne di Milano [1975-] con Lea Melandri. C’è la riunione delle donne a Pinarella di Cervia [incontro promosso, ai primi di novembre del ’74, dal Collettivo femminista milanese di via Cherubini 8, al quale parteciparono più di mille donne]: dicono “noi partiamo per tre giorni”. Partono come partivano gli uomini e allora erano mariti e compagni che dovevano far da mangiare, portare i bambini dal medico, tutte cose cui non erano abituati. E questo momento segna una svolta. È un’esperienza che passa attraverso le famiglie, le coppie, un’esperienza fondante alla quale si collega per il Partito comunista anche Nilde Iotti ma soprattutto Adriana Seroni [fondatrice della rivista “Donne e politica”], è la prima volta che circolano i nomi delle femministe Lea Melandri, Luisa Muraro, lo psicanalista Elvio Fachinelli, la rivista fatta per le donne «L’erba voglio». La quantità di tutte queste cose cambia la testa della gente.10

5 Cfr. L. L. SABBADINI, Libera e all’avanguardia. Carla Accardi, in P. CIONI, E. DI CARO et al., Donne nel Sessantotto, Bologna, Il Mulino 2018, 77-90 e C. VALENTINI, A capo della rivolta. Carla Lonzi, ivi, 105-124. 6 Si veda C. DI SAN MARZANO, Dalla parte di una bambina. Elena Giannini Belotti, ivi, 45-59. 7 Tra le case editrici le Nemesiache a Napoli, Scritti di rivolta femminile e la Tartaruga a Milano, la Cooperativa Autopsia a Roma e le Edizioni delle Donne, sorte prima a Roma, poi trasferite a Milano (rinvio ad A. TRAVAGLIATI, Il femminismo e la parola scritta. L’esperienza milanese: dalla libreria delle donne al gruppo della scrittura, Lucca, Tralerighe libri 2017, 123 e, per le riviste, 103). 8 Rimando, in merito, a L. CASCIO, Lea Melandri e la ‘scrittura di esperienza’: la narrazione di sé come pratica politica in questa stessa raccolta di Atti (relazione tenuta nell’ambito della sessione parallela Il Sessantotto delle scrittrici, organizzata dal Gruppo di lavoro “Studi di genere nella letteratura italiana” e da me coordinata nell’ambito del XXII Congresso Nazionale dell’AdI-Associazione degli Italianisti, Natura, società, letteratura, Bologna 13-15 settembre 2018). 9 V. WOOLF, Una camera tutta per sé, in Per le strade di Londra, Milano, Il Saggiatore 1963. 10 E. DI CARO, L’intelligenza e l’intransigenza, Rossana Rossanda, in Donne nel Sessantotto…, 157. «L’erba voglio» (1971-78) era la rivista diretta da Lea Melandri ed Elvio Fachinelli, psichiatra promotore della pedagogia non autoritaria, cfr. TRAVAGLIATI, Il femminismo e la parola scritta…, 108. Lea Melandri (1941) dirigerà poi «Lapis. Percorsi della riflessione femminile» dal 1987 al 1997 e sarà promotrice dell’Università delle donne dal 1987.

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La Rossanda è della generazione precedente a quella dei giovani ’68, essendo nata nel 1924, però è a lei che si

deve uno dei primi libri sul ’68, un vero e proprio reportage politico, L’anno degli studenti, pubblicato in quello stesso anno a Bari da De Donato e scritto andando in giro per le Facoltà universitarie occupate, mentre ancora era deputata del PCI11: un tentativo di capire politicamente, a caldo, quello che stava succedendo. Nel maggio del ’68 la Rossanda, con Lucio Magri, parte per Parigi; racconterà quell’esperienza, molti anni dopo, nel libro La ragazza del secolo scorso (2005).12

In campo giornalistico si registra la critica di costume delle Pervestite di Camilla Cederna, della generazione degli anni Dieci (1911-1997), che nel febbraio del ’68 raccoglie testi usciti sull’«Espresso» nel corso del ’67, descrivendo in maniera impietosa e ironica «a che punto è il pudore nella società in cui viviamo […] insieme al modo in cui oggi cambiano gli uomini e le donne, alle loro abitudini sociali e sessuali, alle loro parole-feticcio, ai loro malesseri progressivi».13 La Cederna teneva in quegli anni sull’«Espresso» la rubrica Il lato debole in cui registrava l’evoluzione sociale del Paese dall’angolo privilegiato di Milano.14 Ma vi è anche il reportage di guerra con Niente e così sia di Oriana Fallaci (1929-2006), che nel ’69 per Rizzoli racconta l’esperienza in Vietnam come corrispondente di guerra dell’“Europeo” (1967): il libro vince nel ’70 il premio Bancarella e ha moltissime ristampe e traduzioni all’estero.15

Nel 1972 esce per Arcana editrice (ma sarà ripubblicato da Bompiani nel 1977) Beat Hippie Yippie, una raccolta di articoli usciti su quotidiani e periodici con i quali Fernanda Pivano (1917-2009), a partire dal 1964, aveva fatto conoscere in Italia il movimento giovanile statunitense anteriore al ’68: il beat e l’underground, l’alcool e la droga, il pacifismo, la non violenza, la questione razziale e autori come Henry Miller, Allen Ginsberg, Jack Kerouac, Norman Mailer.16

E dunque la letteratura femminile sul ’68 c’è eccome; quello che in verità non abbonda è invece la bibliografia critica che studi il fenomeno nel suo insieme. Il problema riguarda non solo il campo della letteratura, ma in generale quello della storiografia sul Sessantotto. Lo riconosce uno dei protagonisti di quegli anni, Guido Viale, nell’introduzione alla raccolta dei suoi scritti pubblicata a cinquant’anni di distanza:

Sicuramente questi testi [Contro l’Università e Il Sessantotto tra rivoluzione e restaurazione, uscito nel ’78], pur ricordandola ripetutamente, non sottolineano a sufficienza la partecipazione femminile, delle allora ragazze e giovani donne, a tutti gli avvenimenti raccontati e analizzati; nonostante che in molti casi, come nelle scuole, all’Università, ma anche negli ospedali e nella pubblica amministrazione, essa sia stata spesso non solo numericamente maggioritaria, ma anche più intensa e costruttiva. È un limite comune a quasi tutta la storiografia di quel periodo, che attende ancora una radicale rivisitazione.17

Vorrei dunque fare almeno una segnalazione bibliografica che va invece nella giusta direzione: si tratta di una

pubblicazione tra le più interessanti uscite per il cinquantenario, rimasto invero piuttosto sottotono, che si intitola Donne nel Sessantotto, uscita presso il Mulino, dovuta a «Controparola», un gruppo di scrittrici e giornaliste nato nel 1992 per iniziativa di Dacia Maraini, che ha al proprio attivo già ottimi libri come le Donne della Repubblica (2016), le Donne nella Grande Guerra (2014) e le Donne del Risorgimento (2011).18

11 R. ROSSANDA, L’anno degli studenti. Prefazione di Luciana Castellina, Roma, Manifestolibri 2018. 12 R. ROSSANDA, La ragazza del secolo scorso, Torino, Einaudi 2005, 348-351. 13 C. CEDERNA, Le pervestite, Milano, Immordino Editore 1968, [5]. 14 C. CEDERNA, Il lato debole, a c. di G. Borgese e A. Cederna, Milano, Feltrinelli 2000. 15 O. FALLACI, Niente e così sia, pref. di L. Cremonesi, Milano, BUR 2016. 16 F. PIVANO, Beat Hippie Yippie. Il romanzo del pre-sessantotto americano, Milano, Bompiani 2017. 17 G. VIALE, Il 68. Contro l’Università…, 9-10. Un breve profilo del contributo femminile all’elaborazione postsessantottina è in N. BALESTRINI-P. MORONI, L’orda d’oro 1968-1977. La grande ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale, Milano, Feltrinelli 2017 (1º ed. 1988), 473-503. Tra le riflessioni uscite in occasione del cinquantesimo si segnalano gli scritti contenuti in Sessantotto!, «Micromega» 2018/1-2. 18 Donne nel Sessantotto…. Utile, tra le pubblicazioni uscite per il cinquantesimo, anche Voci dal Sessantotto. Ritratti editoriali di una contestazione, presentazione di G. Lupo, Milano, EDuCatt 2018.

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2. La narrativa In merito alla narrativa femminile di quella stagione mi limiterò a riflettere su qualche titolo, iniziando da un

romanzo uscito nel ’67, frutto maturo e tra i più solidi della Neoavanguardia, La figlia prodiga (1967) di Alice Ceresa (1923-2001). Il romanzo vince il premio Viareggio opera prima e viene apprezzato da Manganelli, da Calvino, da Giuliani.19 Se è vero che si tratta un romanzo sperimentale, che dissolve completamente l’intreccio al punto che l’azione è evanescente, ed è scritto con uno stile che mima il trattato logico-argomentativo, il tema è però perfettamente in linea con la nuova percezione dell’autocoscienza femminile sessantottina: volge al femminile la parabola del figliuol prodigo e indaga i meccanismi psicologici, affettivi e sociali che si attivano quando in una famiglia nasce una bambina “prodiga”, ossia una bambina che si allontana sul piano morale e comportamentale dalla retta via. La decostruzione dell’istituzione familiare e del processo con cui le bambine diventano femmine sarà il tema anche di un romanzo più tardo della Ceresa, che uscirà nel ’90, dal titolo, appunto, di Bambine.

Certamente la frattura tra Neoavanguardia e ’68 rimane tutta in un aspetto che possiamo sintetizzare con le parole di un’altra protagonista donna del Gruppo ’63, Carla Vasio (1932), che ha dedicato al ’68 alcune pagine del suo libro Vita privata di una cultura (2013):

[Mi chiedo] se noi, della generazione cosiddetta delle Avanguardie, non facciamo parte ormai di una vecchia

generazione colta che è stata consapevole delle valenze di nuove regole più del pensare che del vivere. Dicono [soggetto: i Sessantottini] che le nostre ribellioni erano soltanto evasioni alla Kurt Weill o attese del nulla alla Brecht, e che noi continuavamo ancora a bruciare a lungo nel lungo rogo della Mitteleuropa, destinati a filare la consunzione ultima dell’Illuminismo francese, lucido ma ormai decadente, con la nostra maniera difficilissima e forse troppo civile di disgregare i vecchi contenuti. In effetti, che cosa abbiamo in comune con questa passione di distruggere senza chiedersi a quale fine, ma soltanto, nel migliore dei casi, per quale movente?20 Nel 1968 esce Mio marito di Dacia Maraini (1936), che raccoglie dodici racconti tutti narrati in prima persona da

altrettante protagoniste donne, di varia estrazione sociale, e con varie situazioni sentimentali: uno spaccato della vita femminile alla fine degli anni Sessanta, che rimane sospeso tra la narrazione realistica e quella dell’assurdo.21 Nel 1969 esce presso Einaudi Le parole tra noi leggere di Lalla Romano, che quell’anno vincerà il premio Strega, romanzo autobiografico nel quale il vento nuovo è registrato dall’autrice attraverso la personalità del figlio che vive in una condizione di ribellione “ontologica”, fin da piccolo, alla normalità e al conformismo circostante (ricordo che l’occhio con cui Lalla Romano guardava a questa stagione era quello di una donna nata nel 1906).22 Nel 1973 esce Caro Michele di Natalia Ginzburg, classe 1916: un romanzo epistolare ambientato nel 1970, nel quale la rivolta del ’68 si è ormai trasformata nella lotta violenta e armata. Il libro si conclude con l’uccisione del giovane Michele, che tenta in maniera piuttosto incerta di vivere la propria omosessualità, da parte dei fascisti nel corso di una manifestazione, e registra la dissoluzione dei rapporti familiari, dei quali rimane in piedi soltanto la struttura: la madre di Michele continua nelle lettere al figlio a farsi delle domande senza più capire che cosa stia succedendo.23

Le ricadute romanzesche del ’68 si prolungano negli anni successivi. Valga per tutti il caso di Porci con le ali. Diario sessuo-politico di due adolescenti, romanzo questo sì, di un’autrice che anagraficamente apparteneva alla giovane generazione, Lidia Ravera (1951), scritto con Marco Lombardo Radice nel 1976, vera e propria educazione sentimentale e sessuale degli anni Settanta, libro culto fin da subito che ha venduto ad oggi oltre due milioni e mezzo di copie.24

19 Dopo un successivo oblio, il libro è stato meritoriamente ripubblicato, con prefazione di Patrizia Zappa Mulas, insieme con Bambine e La storia del padre in A. CERESA, La figlia prodiga e altre storie, Milano, La Tartaruga 2004. Se ne veda la lettura di S. SGAVICCHIA, Il romanzo di lei. Scrittrici italiane dal secondo Novecento a oggi, Roma, Carocci 2016, 45-56. 20 C. VASIO, Vita privata di una cultura, Roma, Nottetempo 2013. 21 D. MARAINI, Mio marito, Milano, BUR 2018 (prima edizione Milano, Fabbri-Bompiani-Sonzogno 1968). 22 L. ROMANO, Le parole tra noi leggere, a c. di A. Ria, prefazione di V. Sereni, Torino, Einaudi 2018. 23 N. GINZBURG, Caro Michele, pref. di C. Garboli, Torino, Einaudi 2006. 24 ROCCO E ANTONIA [Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera], Porci con le ali. Diario sessuo-politico di due adolescenti, con una nuova introduzione di Lidia Ravera, Milano, Bompiani 2013 (prima edizione Roma, Savelli 1976).

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Ma il Sessantotto è al centro della narrazione delle donne anche molti anni dopo: uno dei più bei romanzi sul Sessantotto – in realtà un romanzo sul Sessantanove, perché è ambientato nel settembre del ’69 a Posillipo – è Un giorno e mezzo di Fabrizia Ramondino (1936-2008) ed esce vent’anni dopo, nel 1988.25 È quasi una rappresentazione teatrale che si svolge in un grande palazzo napoletano, nel quale convivono e si incontrano personaggi di classi sociali diverse, dal nobile decaduto allo scugnizzo, dagli studenti fuori sede alla ragazza madre alle ragazze tedesche impegnate in una relazione lesbica. Per la sua rilevanza, questo romanzo meriterà di essere letto in maniera più approfondita.26

La narrativa femminile sul Sessantotto arriva fino ai giorni nostri, e posso solo limitarmi a citare il caso letterario e il successo planetario di Elena Ferrante, che nel terzo volume dell’Amica geniale, Storia di chi fugge e di chi resta, uscito nel 2013, rievoca quei giorni nelle vicende degli amici universitari di Elena Greco e nelle esperienze in fabbrica di Lila;27 e il romanzo di Clara Sereni (1946-2018) Via Ripetta 155, uscito nel 2015, narrazione di quegli anni in chiave autobiografica.28

3. La poesia Ma torniamo alla poesia, e questa volta andiamo a ritroso: vorrei partire dal 1976, e non per assecondare la

vulgata storiografica che indica come date iniziali e finali della parabola sessantottina il 1968 e il 1977 (la stagione del Sessantotto dura in realtà molto meno, poiché il clima cambia già con la strage di Piazza Fontana, e da lì si prosegue sul piano inclinato delle stragi che favoriscono la nascita del terrorismo); e neanche vorrei partire dal ’76 perché è l’anno delle famose elezioni in cui il PCI prende il 34,4% e avviene la famosa stretta di mano tra Moro e Berlinguer, preludio al tentativo del ‘Compromesso storico’.

Vorrei invece partire dal ’76 perché nel ’76 esce presso l’editore Savelli di Roma l’antologia di Biancamaria Frabotta, Donne in poesia. Antologia della poesia femminile in Italia dal Dopoguerra ad oggi:29 per trattare della poesia parto da qui sia per la rilevanza storica di questo libro che, intendendo sanare il vulnus della quasi totale assenza della poesia femminile dalle antologie di lirica del Novecento precedenti (ma corre l’obbligo di dire anche successive), è stato il primo a dare avvio agli studi sulla letteratura delle donne in Italia, sia perché esso ci dà una fotografia di ciò che è stata la poesia femminile degli anni immediatamente precedenti, anche se comprende testi ben anteriori al ’68.30

Fra le molte poetesse presenti nell’antologia della Frabotta ve ne sono alcune che avevano fatto parte del Gruppo ’63, e che nel gruppo erano state lasciate abbastanza in ombra, per esempio Piera Oppezzo (1934-2009)31 e Giulia Niccolai (1934), che nel maggio 1979 avrebbero fondato, per i tipi della Tartaruga, la «Rivista di po/esia», interamente dedicata alla poesia femminile, insieme con Cristiana Fischer, Milli Graffi, Graziana Pasqui e altre.

25 F. RAMONDINO, Un giorno e mezzo, Torino, Einaudi 2001. 26 Rimando per questo alla relazione di Beatrice Alfonzetti Il Sessantotto a distanza di Fabrizia Ramondino: «Un giorno e mezzo», in questa stessa raccolta di Atti (relazione tenuta nell’ambito della sessione parallela Il Sessantotto delle scrittrici). Sulla Ramondino si vedano anche Dossier Fabrizia Ramondino, a c. di B. Alfonzetti, «Il caffè illustrato», 66-67, settembre/dicembre 2012; «Non sto quindi a Napoli sicura di casa». Identità, spazio e testualità in Fabrizia Ramondino, a c. di A. Giorgio, Perugia, Morlacchi editore 2013; Fabrizia Ramondino, a c. di B. Alfonzetti e S. Sgavicchia, «L’illuminista», 43-45, dicembre 2015; M. Diano, Fabrizia Ramondino tra Napoli e il mondo, Napoli, Rogiosi editore 2018. 27 E. FERRANTE, Storia di chi fugge e di chi resta, vol. III, L’amica geniale, Roma, Edizioni e/o 2013. 28 C. SERENI, Via Ripetta 155, Firenze-Milano, Giunti 2015. Su questo romanzo rinvio ad A. TREVISAN, «Qualcosa che stavo imparando a fare»: il Sessantotto di Clara Sereni e nell’esperienza di altre “ragazze” in questa stessa raccolta di Atti (relazione tenuta nell’ambito della sessione parallela Il Sessantotto delle scrittrici). 29 Donne in poesia. Antologia della poesia femminile in Italia dal Dopoguerra ad oggi, a c. di B. Frabotta, con una nota critica di D. Maraini, Roma, Savelli 1976 (il libro ebbe subito una seconda edizione nel 1977). 30 L’antologia include anche una Inchiesta poetica sul rapporto che intercorre tra scrittura in versi e condizione femminile e le risposte sono varie a tal punto che meriterebbero di essere analizzate singolarmente. 31 Su Piera Oppezzo rimando a S. TRIULZI, Depressione, rinascita (nel segno dell’utopia) e nuova chiusura. I tre tempi di Piera Oppezzo, in questo stesso volume di Atti (relazione tenuta nell’ambito della sessione parallela Il Sessantotto delle scrittrici).

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Nell’antologia è presente Amelia Rosselli (1930-1996) che con Variazioni belliche (Garzanti 1964) era stata una delle voci – seppure ‘straniera’, come fu subito definita da Pasolini – dell’Avanguardia. A differenza di Pasolini la Rosselli ha un rapporto empatico con i giovani del Sessantotto al punto da partecipare alle assemblee nelle università occupate leggendo le sue poesie. Nel ’69 esce Serie ospedaliera, che contiene testi scritti precedentemente, tra il ’63 e il ’65, ma si incontra con lo spirito nuovo del tempo per i toni libertari e anche per i temi: l’erotismo femminile e il test di gravidanza diventano oggetto di poesia.32 La Rosselli è de facto tra le voci poetiche più alte della stagione del ’68, e nonostante nei nostri programmi scolastici sia pressoché assente, è ormai riconosciuta come poetessa di rilievo internazionale, alla stregua di Sylvia Plath, che fra l’altro tradusse.

Nell’antologia della Frabotta figura, ancora, Patrizia Cavalli (1947) con alcune poesie della raccolta Le mie poesie non cambieranno il mondo del ’74 dedicata a Elsa Morante (che per prima, come ha raccontato la Cavalli in più testimonianze, le aveva lette dicendole «Sono felice, Patrizia, sei una poeta»), come la splendida Non ho seme da spargere per il mondo:

Non ho seme da spargere per il mondo non posso inondare i pisciatoi né i materassi. Il mio avaro seme di donna è troppo poco per offendere. Cosa posso lasciare nelle strade nelle case nei centri infecondati? Le parole quelle moltissime ma già non mi assomigliano più hanno dimenticato la furia e la maledizione, sono diventare signorine un po’ malfamate forse ma sempre signorine.33 Ma soprattuto in questa occasione è interessante vedere chi nell’antologia della Frabotta manca: manca chi ha

rifiutato di esserci. Leggiamo un passo dalla nota critica del libro firmata da Dacia Maraini: Sarebbe interessante semmai, qui, scoprire le ragioni che portano molte donne geniali e dotate di grande talento al

rifiuto caparbio di ogni separazione, quasi che il riconoscersi donna, simile alle altre donne, significasse una degradazione, una rinuncia al meglio di sé. La donna che mette il piede furtivo e risoluto nel campo proibito della poesia maschile, si irrigidisce, si guarda intorno con un poco di vertigine e anche se la sua bocca non parla, i suoi occhi scontrosi e sicuri dicono: io sono un poeta, ho fatto tutto come si deve, delle altre donne non mi interessa, se avessero avuto talento ce l’avrebbero fatta come me; in fondo è solo una questione di talento. E con questo essa rompe i rapporti con il mondo delle sue simili, trasformandole in placide mucche dal fiato corto; cerca di convincerci che la poesia nasce per caso, come un seme robusto che cresce, anche in terra povera e ostile, per pura forza vitale delle radici esistenziali. […] Ma è proprio così? O non è piuttosto vero che la poesia rappresenta l’ultima esplosione di un lungo sotterraneo lavoro di ricerca di identità culturale? […] Se queste scrittrici hanno sentito il bisogno di proteggersi con tanto furore, chiudendosi nello stretto guscio del loro caso personale, forse è anche perché la solidarietà fra donne non ha raggiunto una tale forza da garantire un minimo di sicurezza intellettuale per quelle poche scrittrici che si avventurano nel rischioso campo minato della poesia.34

Queste parole di Dacia Maraini, anche se il nome non è esplicitato, hanno come oggetto una poetessa ben

precisa: Elsa Morante, che aveva rifiutato duramente di essere inserita dalla Frabotta nella sua antologia e l’aveva diffidata dal pubblicare le sue poesie. Del resto, come è noto, la Morante si definiva ‘poeta’ («Morante Elsa. Italiana. Di professione poeta» aveva scritto su «Paese sera» il 17 luglio 1968 rivolgendosi ai giudici che avevano condannato

32 Cfr. M. SERRI, Il linguaggio ribelle dei versi. Amelia Rosselli, in Donne nel Sessantotto…, 61-75. Sulla Rosselli, le cui poesie si leggono nel Meridiano (A. ROSSELLI, L’Opera poetica, a c. di S. Giovannuzzi […], saggio introd. di E. Tandello, Milano, Mondadori 2012), rimando in particolare ad A. LORETO, I santi padri di Amelia Rosselli. «Variazioni belliche» e l'avanguardia, Milano, Arcipelago Edizioni 2014. 33 Donne in poesia. Antologia della poesia femminile in Italia dal Dopoguerra ad oggi, a c. di B. Frabotta, con una nota critica di D. Maraini, Roma, Savelli 1977 (II edizione), 76. 34 Ivi, 29-34.

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Aldo Braibanti a nove anni di reclusione con l’accusa di plagio)35 come faceva in realtà la maggior parte delle autrici della sua generazione, che si definivano ‘scrittore’, non scrittrice, perché il ruolo volto al femminile aveva una ineludibile connotazione rosa (ricordo en passant che proprio nel dicembre 1968 Vittorio Sereni, in una trasmissione televisiva andata in onda alla Televisione della Svizzera Italiana in cui presentava Lalla Romano, la definiva così: «Lalla Romano, scrittore – e dico apposta scrittore anziché scrittrice», in segno di apprezzamento).36 La veemenza dell’argomentazione della Maraini dà la misura dello scontro ideologico che si era consumato in quest’occasione. La Frabotta, impassibile, non pubblica le poesie della Morante che aveva selezionato, perché non può farlo, ma inserisce comunque la pagina che riporta il nome della Morante con la nota biografica, il titolo delle poesie che vi avrebbero dovuto essere e la seguente nota: «non possono apparire in questa antologia, per esplicito divieto dell’autrice, attraverso il suo agente fiduciario».37

Attraverso l’antologia della Frabotta torno dunque, come promesso all’inizio di questo saggio, alla Morante, non per correggere, ma per integrare, almeno in parte, l’affermazione di Goffredo Fofi: vorrei affiancare al Mondo salvato dai ragazzini la lettura di un altro testo poetico a firma femminile, uscito nel ’68, che parla del ’68.

4. Il mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante e Le ragazze di maggio di Alba de Céspedes I libri di poesia a firma femminile che danno voce al ’68 sono infatti, come dicevo all’inizio, almeno due: al

Mondo salvato dai ragazzini della Morante si devono aggiungere le Chansons des filles de mai di Alba de Céspedes, uscite per Les éditions du Seuil a Parigi nel novembre del ’68:38 un poema scritto in francese, che canta il maggio francese e dà voce alle protagoniste femminili del maggio, le ragazze. Le ragazze di maggio è infatti il titolo del libro in italiano, che esce nel 1970 per Mondadori, con il testo francese a fronte.39 Si tratta di un’autotraduzione, o più propriamente di una riscrittura in italiano da parte dell’autrice. Leggerò dal testo italiano delle Ragazze di maggio e non affronterò in questa sede le questioni relative all’autotraduzione e alla riscrittura, perché non sono pertinenti, se non indirettamente, al nostro tema. Ricorderò solo che Alba de Céspedes, italiana per parte di madre, ma cubana per parte di padre, cresciuta in una cultura cosmopolita, si era trasferita a Parigi e aveva maturato la scelta di abbandonare definitivamente Roma, dove era nata e vissuta (salvo gli anni trascorsi negli Stati Uniti) e dove era fin dagli anni Trenta una delle autrici di punta della Mondadori.40

Le ragazze di maggio è un libro che è stato letteralmente rimosso dalla storia della poesia italiana di quel tempo ed è stato studiato soltanto di recente grazie al lavoro del gruppo di Marina Zancan che ha curato il Meridiano dei romanzi della Céspedes.41 Sul Mondo salvato dai ragazzini, al contrario, è stato scritto molto e non ho intenzione, in questa sede, di entrare nel dibattito sull’opera, se non per alcuni aspetti utili al mio discorso sul Sessantotto. Il mondo salvato è un libro composito, scritto in più fasi, ma almeno nella sua terza parte, quella delle Canzoni popolari, va letto insieme a Pro o contro la bomba atomica, testo nato come conferenza nel ’65, e anche insieme al Piccolo manifesto dei comunisti (senza classe né partito), scritto intorno al 1970.42 La carica rivoluzionaria del Mondo salvato dai ragazzini fu

35 Cfr. M. BARDINI, Morante Elsa. Italiana. Di professione poeta, Pisa, Nistri-Lischi 1999, 728-729. 36 ROMANO, Le parole tra noi leggere…, V. 37 Donne in poesia…, 46. 38 A. DE CÉSPEDES, Chansons des filles de mai, Paris, Éditions du Seuil 1968. 39 A. DE CÉSPEDES, Le ragazze di maggio, Milano, Mondadori 1970. 40 Alcune riflessioni sul tema ho svolto in A. ANDREONI, Ritratto d’autrice sub specie patriae: lingue e identità di Alba de Céspedes in L’immagine dell’artista nel mondo moderno, a c. di E. Zuccato, Milano, Marcos y Marcos 2017, 153-166. 41 Cfr. A. DE CÉSPEDES, Romanzi, a c. e con un saggio introduttivo di M. Zancan, Milano, Mondadori 2011. Sulle Chansons des filles de mai/Ragazze di maggio si vedano in particolare S. GIOVANARDI, La produzione poetica, in Alba de Céspedes, a c. di M. Zancan, Milano, il Saggiatore-Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2005, 89-97 e S. CIMINARI, Una scrittrice engagée. La svolta del ’68 nella biografia e nella scrittura di Alba de Céspedes, in questo stesso volume di Atti (relazione tenuta nell’ambito della sessione parallela Il Sessantotto delle scrittrici). 42 Il Piccolo manifesto fu ritrovato da Carlo Cecchi e Cesare Garboli tra le carte della Morante e pubblicato in «Linea d’ombra», n. 30, settembre 1988; si legge nell’edizione di Roma, Nottetempo 2004, con postfazione di Goffredo Fofi, al quale la Morante l’aveva destinato. Sul tema, oltre ai vari interventi di Fofi (di particolare interesse quello radiofonico nella trasmissione Pantheon

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immediatamente riconosciuta da Pasolini, che ne scrisse sul settimanale «Tempo» nella rubrica Caos (Il Caos n. 35, 27 agosto 1968):

Il libro della Morante è addirittura un manifesto politico. Il manifesto politico, potrei dire paradossalmente,

di quella nuova sinistra che in Italia pare non poter esistere, crescere, riaffondando subito nel vecchio qualunquismo, e nel complementare moralismo. Un manifesto politico scritto con la grazia della favola, con umorismo, con gioia […] ed è dunque arduo per un lettore e un critico comprendere come, invece, il fondo di questo libro sia atrocemente funebre, e contenga tutte le ossessioni del mondo moderno: l’atomica, la morale dei consumi e il profondo desiderio di autodistruzione, non più come flatus vocis, o luoghi comuni, ma come elementi assolutamente originali e vissuti personalmente, dentro un sistema linguistico così comunicativo da scandalizzare.43

La lettura ‘rivoluzionaria’ legata al Sessantotto è stata avallata dalla stessa Morante, che nella nota introduttiva

all’edizione del 1971 scrisse:

Il mondo salvato dai ragazzini, scritto in gran parte nel corso del 1966 e terminato nell’estate del 1967, è uscito in prima edizione nella primavera del 1968: sono gli anni cruciali del grande movimento giovanile contro le funebri macchinazioni del mondo attuale organizzato: e la corrispondenza delle date non è casuale. Un’analoga rivolta disperata e inarrestabile (che si definisce, secondo i suoi termini reali, ‘rivolta contro la morte’) è alle origini di questo libro e ne disegna il destino, risolvendosi, come suo tema liberatorio (unica possibile risposta alle domande) nell’Allegro della sua terza la parte, le «canzoni popolari», fra le quali si trova la serie di canzoni che dà il titolo al volume.44

Ora, proprio a proposito del Mondo salvato Carlo Bo ha scritto che «La Morante delle poesie non ha nulla a che

fare con quella che è la linea della lirica moderna».45 È un’osservazione che potremmo estendere alle Ragazze di maggio, che forse anche per questo è stato espunto dalle sintesi storiografiche della poesia di quegli anni. Entrambi, Il mondo salvato e Le ragazze di maggio, sono opere corali, in un certo modo epiche.

Se nella Morante l’ideale politico è l’anarchia (è la Morante stessa, ancor prima dei critici, che lo dice: «A chi le domandi il suo ideale politico, risponde che è un’anarchia, dalla quale si escluda ogni forma di potere e di violenza. Essa non ignora naturalmente che si tratta di un’utopia, ma è convinta, d’altra parte, che l’utopia è il motore del mondo e la sola, reale giustificazione della Storia»),46 nella Céspedes è il comunismo, al quale l’autrice si è avvicinata nell’immediato Dopoguerra, dopo aver attivamente partecipato alla Resistenza, con la direzione per Radio Bari della trasmissione L’Italia combatte, rivolta ai partigiani in lotta nell’Italia centrale e settentrionale. All’interno della trasmissione la Céspedes aveva condotto personalmente la rubrica La voce di Clorinda, che prendeva il nome dalla

di Rai Radio 3, puntata dedicata al Mondo salvato dai ragazzini del 3 marzo 2018), si vedano anche E. MARTINEZ GARRIDO, I romanzi di Elsa Morante. Scrittura, poesia ed etica, Lugano, Agorà &Co 2016, 201-217 e C. FENOGLIO, «Feroce solo della sua bellezza»: Elsa Morante saggista in “Pro o contro la bomba atomica” in Elsa Morante e il romanzo, a c. di S. Calderoni, Atti del convegno Elsa Morante a trent’anni dalla scomparsa (Milano 3 febbraio 2015), Milano, Marco Saya Edizioni 2018, 73-86. 43 Cfr. A. DI FAZIO, La lingua della sommossa ne Il mondo salvato dai ragazzini: “Un sistema linguistico così comunicativo da scandalizzare”, «Quadernos de Filología italiana» 2015, vol. 21, Núm. Especial, 113-130. Si vedano anche M. RIZZARELLI, «Scegliendo per sempre la vita, la gioventù». Pasolini, Elsa Morante e il ’68, «La Libellula», I, 1, dicembre 2009, 141-153 e C. OLIVA, «La tua vera diversità era la poesia». Elsa Morante e Pasolini, «Studium», 2015, 4, 706-717. 44 E. MORANTE, Il mondo salvato di ragazzini, Torino, Einaudi 1971, Nota introduttiva, VI. Sul Mondo salvato, e più in generale sulla poesia di Elsa Morante, oltre a BARDINI, Morante Elsa…, 616-670, si vedano C. D’ANGELI, Leggere Elsa Morante. «Aracoeli», «La Storia», «Il mondo salvato dai ragazzini», Carocci, Roma 2003, 119-140; L. DELL’AIA, La sfera del puer. Il tempo dei ragazzini di Elsa Morante, Roma, Aracne 2013; L. ROCCO CARBONE, Il mondo salvato dai ragazzini. Nel centenario della nascita di Elsa Morante (1912-2012), Napoli, Kairòs edizioni 2013, 123-128; C. MESSINA, Al centro del Mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante. Una lettura della Serata a Colono, «Bollettino di italianistica», 2014, 1, 105-122; Oltre la menzogna. Saggi sulla poesia di Elsa Morante, a c. di G. Cascio, Amsterdam, Istituto Italiano di Cultura per i Paesi Bassi 2015; M. CARMELLO, La poesia di Elsa Morante. Una presentazione, Roma, Carocci 2018. Sul contesto letterario che ruotava intorno alla Morante in quegli anni cfr. G. ROSA, Elsa Morante, Bologna, Il Mulino 2013, 87-106; G. BERNABÒ, La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura, Roma, Carocci, 20162ª 141-181 e R. DE CECCATTY, Elsa Morante. Une vie pour la littérature, Paris, Tallandier 2018, 248-288. 45 Cfr. E. MORANTE, Il mondo salvato… (ed. 1971), Nota introduttiva, VII. 46 Ivi, IX.

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vergine guerriera della Gerusalemme tassiana.47 E il ’68 per la Céspedes è precisamente la prosecuzione della Resistenza, il compimento della lotta che dopo la Resistenza si era interrotta, ma non conclusa.48

Se l’esperienza della Morante è statunitense, bagnata nella controcultura giovanile, non ignara degli allucinogeni, l’esperienza della Céspedes è cubana, terzomondista, comunista e, a partire proprio dal ’68, anche castrista. Nel gennaio del ’68, infatti, la Céspedes fece parte della delegazione italiana al Congresso culturale dell’Avana, con Rossana Rossanda, Giulio Einaudi, Luigi Nono, Francesco Rosi, Giangiacomo Feltrinelli e altri, ma soprattutto fu invitata, nell’ottobre del ’68, da Fidel Castro in occasione centenario dell’insurrezione cubana contro gli spagnoli, in quanto nipote del ‘Padre della Patria’, Carlos Manuel de Céspedes y del Castillo, che nel 1868 aveva suonato la campana della libertà della Demajagua, l’antica tenuta di famiglia, e guidato alla lotta il popolo cubano: Castro intendeva in quel frangente raccordare la propria rivoluzione con quella di Céspedes. Pochi anni dopo, in occasione delle elezioni politiche del 7-8 maggio 1972, Alba avrebbe scritto una lettera all’«Unità» in cui dichiarava il proprio voto per il Partito Comunista e la propria adesione al castrismo.49

Alla fine di maggio 1968 la Céspedes si trovava a Parigi, dove abitava in uno studio di Rue de Tournon, sulla rive gauche, vicino alla Sorbona. Lì, come ci racconta, è nato il libro:

Lavoravo al mio nuovo romanzo, e ho l’abitudine di lavorare di notte; ma, dai primi di maggio, il silenzio

notturno era lacerato da scoppi di granate, da detonazioni, da grida, dal rumore di passi in fuga, che mi distraevano dal mio libro. Non facevo altro che seguire ciò che accadeva intorno a me: rimanevo per ore al transistor, ascoltando le notizie che i radiocronisti trasmettevano direttamente dal Quartiere Latino. Di giorno uscivo, mi recavo alla Sorbona, all’Odéon, assistevo ai dibattiti, alle riunioni, e lì come nelle strade devastate, disselciate, ingombre di automobili carbonizzate e puzzolenti di gas, incontravo i giovani rivoluzionari, li interrogavo, li spingevo a parlare. Più loquaci, le ragazze divenivano ai miei occhi le protagoniste di quella rivolta che fu il primo segno spontaneo e inequivocabile della lotta che sta cambiando la nostra società […] Quelle notti, quei giorni, quegli incontri di cui – a tutta prima – volevo soltanto prendere nota, in italiano, nel mio diario, si sono invece presentati a me come momenti di un unico poema, che mi è venuto naturale scrivere nella lingua, anzi con le stesse parole, di coloro che lo hanno vissuto; e che oggi ho riscritto in italiano.50

Le ragazze di maggio sono venti poemetti di versi brevi, ritmati sul parlato, con rime volutamente facili (in francese

Céspedes usa l’argot e la lingua giovanile, mentre la riscrittura in italiano vira verso la lingua letteraria). Alcuni hanno carattere molto privato e annotano i pensieri non detti delle ragazze, altri hanno un carattere pubblico e raccontano gli scontri tra gli studenti e la polizia, registrando gli slogan, le cronache radiofoniche della rivolta e persino le dichiarazioni di De Gaulle. Uno dei poemetti si intitola Lettera a una madre:

Ascoltami, madre della mia infanzia, il tuo volto ansioso presso il mio letto,

47 Sul punto si veda P. GABRIELLI, «Italia combatte». La voce di Clorinda, in Alba de Céspedes (2005)…, 266-306. 48 Sulla Resistenza nell’opera della Céspedes si vedano almeno L. DI NICOLA, Intellettuali italiane del Novecento. Una storia discontinua, Pisa, Pacini 2012; L. DE CRESCENZIO, La necessità della scrittura. Alba de Céspedes tra Radio Bari e «Mercurio» (1943-1948), Bari, Stilo Editrice 2015; M. S. PALIERI-F. SANCIN, All’Italia con grande amore. Alba de Céspedes, in P. CIONI-E. DI CARO et al., Donne della Repubblica, Bologna, Il Mulino 2016, 159-173; A. ANDREONI, I cavalli di San Lorenzo e la bicicletta: la Resistenza ‘dalla parte di lei’ di Alba de Céspedes, in Maestra ironia. Saggi per Luca Curti, a c. di F. Nassi e A. Zollino, Lugano, Agorà & co. 2018, 155-165; V. P. BABINI, Parole armate. Le grandi scrittrici del Novecento italiano tra Resistenza ed emancipazione, Milano, La Tartaruga 2018, passim. 49 «Desidero rendere pubblico il mio voto che va, come sempre, al Partito comunista poiché credo che soltanto il comunismo possa creare una società giusta. Ne vedo, infatti, un luminoso esempio nel mio paese d’origine: Cuba. In generale non amo le dichiarazioni pubbliche della propria fede, mi sembra che basti vivere e agire da comunista. Ma stavolta, visto il pericolo mortale che minaccia il nostro Paese, mi pare necessario dimostrare quanto forte sia il muro della nostra solidarietà» (CÉSPEDES, Romanzi…, CXXXV. Per le informazioni biografiche su Alba De Céspedes rimando, in generale, alla Nota biografica del Meridiano). 50 CÉSPEDES, Le ragazze di maggio…, risvolto di copertina firmato dall’autrice. La Céspedes enfatizza la propria presenza a Parigi: subito dopo l’inizio dei moti era in realtà partita per un viaggio in Italia, ma tornata a Parigi, riuscì a vivere gli ultimi giorni della rivolta (cfr. sul punto si veda CIMINARI, Una scrittrice engagée…).

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madre sfinita, madre di guai, e di commissioni, madre piena di preoccupazioni, madre di quattro figli lunghi da portare, madre straniera a tutto quello che ero, eppure madre che mi capiva senza capire. Non essere dalla parte della polizia, dalla parte della borghesia, non è la tua parte, quella, madre dalla sporta pesante, dal portamonete leggero, dalle mani che emanano decenni di rigovernatura, di spazzatura, di minestra di verdura, con le tue paure di moglie d’impiegato che può essere licenziato da un giorno all’altro.51 Un altro poemetto, Ninna nanna per un bambino senza nome, dà voce alle paure di una ragazza che ha appena

partorito un bambino e cerca di allattarlo nell’asilo nido improvvisato messo in piedi nella Sorbona nel mese dell’occupazione, mentre il suo compagno è fuori nelle strade a fare a botte con la polizia e non ha tempo di occuparsi di cose così futili come scegliere il nome per suo figlio:

(Quelle detonazioni, quelle grida, dietro la sua voce, al telefono: Gli dànno sotto, stasera, ma non devi stare in pensiero, capito? E quello lì che fa, s’è impaurito? Piange. Digli che domani lo porterò a teatro: all’Odeòn. L’abbiamo già occupato, dalla platea al loggione, per precauzione!) Odeòn, dòn, dòn… Sei fortunato, angelo mio: tu non sarai invitato dalla nonna tutte le settimane, com’ero io, non dovrai baciare la mano a vecchie carampane, non farai la prima comunione, non sarai fotografato col braccio infiocchettato di bianco, non sussurrerai i tuoi peccati ai signori curati, non esiste più l’idea di peccato, il peccato non esiste più.

51 CÉSPEDES, Le ragazze di maggio..., 35-36.

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[…] Ninnaoh, ninnaoh… Figlio di pagliaccetto, non ti permetto di piagnucolare: vivi, sei qua con me, e non esisti per la società: non dovrai fare il servizio militare, non andrai in guerra, no, no, non sarai cacciatore, non ti ciberai di animali accoppati, no, no… sei un viaggiatore clandestino sulla Terra, non hai ancora nome, ninnaoh… non sei ancora imprigionato nella cittadella delle libertà democratiche.52 L’ultimo poemetto, che si intitola La grande stagione, il più lungo – sono più di 560 versi – e il più politico,

racconta la sconfitta del movimento e la smobilitazione, le reazioni vili e festose dei borghesi della rive droite che aspettarono la fine degli scioperi per poter fare rifornimento di benzina e passare il fine settimana in campagna come avveniva prima della rivolta; la chiusa, però, è sulla promessa che la lotta continuerà altrove, da qualche parte, nel mondo:

Ci rifugiavamo nei portoni, nei cortili, e lì ci davano limoni, stracci imbevuti di soluzioni contro i gas lacrimogeni […] E quell’aria nuova di Parigi, che sapeva di macchia, senza nafta, senza benzina, quei cittadini che ci incoraggiavano dalle finestre e dai terrazzi, quell’odore d’ippocastani e di Resistenza, quell’aria della Comune, quel soffio di giovanile violenza.53 […] Ritorneremo, con i nostri manifesti graffiti – seppelliti sotto la calce, per ora – con le nostre bandiere di poesia, con gli striscioni cuciti da ragazze che non avevano mai adoperato l’ago. E non abbiamo buone intenzioni, non vogliamo perdonarvi.

52 Ivi, 57-65. 53 Ivi, 147-149.

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[…] Gli impiegati sono tornati in ufficio. Gli operai si sono avviati alle fabbriche […] Ma niente è più come prima: noi lo sappiamo, anche voi lo sapete.54 Le differenze politiche, sociali, culturali, caratteriali tra la Morante e la Céspedes sono molte, ma entrambe

prestano la loro voce alla rivolta: la carica rivoluzionaria nella Morante appartiene ai ragazzini, ai Felici Pochi, e ha una venatura che potremmo definire furiosa (in senso etimologico): la figura che simboleggia l’apice della ribellione è il pazzariello che se ne va suonando con la sua ocarina; nella Céspedes la carica rivoluzionaria appartiene alle ragazze, cioè il vero elemento di novità è visto nella partecipazione e nell’autocoscienza femminile. Ma entrambe, dicevo, prestano la loro voce alla rivolta, ed è interessante che a farlo in modo così radicale e pervasivo siano due autrici che non appartengono alla generazione dei giovani che stavano sulle barricate, anzi, potevano essere le loro nonne: la Morante ha 56 anni nel ’68, la Céspedes ne ha 57. E, aggiungo, due autrici che erano prevalentemente narratrici. L’adozione della forma poetica si spiega, forse e in parte, anche per l’aspetto corale della rivolta, che in quanto epica non può essere cantata con una forma borghese come quella del romanzo.55

Non sembri immotivato questo confronto fra la Morante e la Céspedes, poiché i parallelismi fra le due autrici sono molti. È la loro stessa data di nascita a suggerirci di leggerle insieme. Non solo appartengono alla stessa generazione, quella degli anni Dieci, ma sono quasi coetanee: la Céspedes è del 1911 e la Morante è del 1912, e cominciano a scrivere entrambe negli anni Trenta. Parallelismi non significa solo aspetti coincidenti, ma anche elementi diametralmente opposti — per esempio la nascita alto-borghese della Céspedes e quella piccolo-borghese della Morante — che si accompagnano a sensibilità diverse, le quali però convergono più volte su temi comuni. La Morante e la Céspedes sono un po’ come il nero e il bianco, reagiscono cioè in maniera opposta, in modo proprio e personale, ma entrambe colgono le questioni cruciali del loro tempo o, per meglio dire, dei loro tempi, perché entrambe scrivono dagli anni Trenta (la Céspedes nel ’38 era già un’autrice Mondadori affermata, con l’enorme successo di Nessuno torna indietro, mentre l’affermazione della Morante arriverà dieci anni dopo) fino agli anni Ottanta (la Morante) e Novanta (la Céspedes).

La Céspedes ama scrivere dell’immediata contemporaneità, mentre la Morante, almeno fino alla Storia, ama sfumare le sue narrazioni in un tempo passato più o meno indefinito e favoloso. Ma i parallelismi sono numerosi, a partire dai due romanzi del secondo Dopoguerra: Dalla parte di lei esce nel ’49, un anno dopo Menzogna e sortilegio, che esce nel ’48.56 Grandi romanzi di centinaia di pagine, che si svolgono lungo decenni di storia italiana, con due

54 Ivi, 171-173. Alba de Céspedes proseguì la sua riflessione sul Sessantotto e sulla stagione che ne derivò anche nelle pagine del romanzo Sans autre lieu que la nuit (1973), poi riscritto in italiano con il titolo Nel buio della notte (1976). Di quest’opera sperimentale, che merita ancora approfondimenti, si veda l’edizione a cura di S. Ciminari in CÉSPEDES, Romanzi… In merito ad essa, oltre ai lavori della Ciminari, rimando al recente studio di L. DE CRESCENZIO, “Sans autre lieu que la nuit”: una nuova stagione dell’impegno letterario e politico di Alba de Céspedes, «Filolog», Rivista di studi letterari, linguistici e storico-culturali dell’Università di Banja Luka, n. 17 (2018), 130-147. 55 Relativamente alla Céspedes si vedano le osservazioni in questo senso di GIOVANARDI, La produzione poetica…, 90-91. 56 Dalla parte di lei di Alba de Céspedes si legge, a c. di L. Di Nicola, in CÉSPEDES, Romanzi…, 305-834. Negli ultimi anni il romanzo ha richiamato l’attenzione di vari studiosi e studiose. Mi limito qui a ricordare, tra i più recenti, L. SPERA, «Dalla parte di lei»: la Roma di Alba de Céspedes, «Esperienze letterarie», 2018/4, 3-26; A. ANDREONI, Il gallo di Alba de Céspedes in Esercizi di lettura per Marco Santagata, a c. di A. Andreoni, C. Giunta, M. Tavoni, Bologna, Il Mulino 2017. Più in generale è da segnalare il recente dossier dedicato all’autrice da «Filolog», n. 17 (2018), 113-214. Su Menzogna e sortilegio la bibliografia è talmente ampia che non avrebbe senso volerla ripercorrere in questa sede.

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grandi protagoniste femminili che narrano in prima persona, con la forza deformante della memoria, la propria storia e la storia della propria famiglia (nella quale è fondamentale il tema del rapporto con la madre, al singolare nella Céspedes, o con le madri, al plurale nella Morante): Elisa in Menzogna e sortilegio e Alessandra in Dalla parte di lei sono forse i più grandi personaggi femminili della letteratura italiana del secondo Dopoguerra.57

Anche in questo caso, come accaduto con il Mondo salvato dai ragazzini, la grandezza di Menzogna e sortilegio, decretata fin da subito da Lukács quando lo definì il più grande romanzo del Novecento italiano, ha sortito l’effetto di oscurare gli altri romanzi importanti scritti dalle donne nel secondo Dopoguerra. In realtà, qualcosa di notevole avviene, nel giro di pochi anni, nella letteratura italiana: escono, tra il ’45 e il ’50, libri come Nascita e morte della massaia di Paola Masino (1945), Lettera all’editore di Gianna Manzini (1945), Artemisia di Anna Banti (1947), Menzogna e sortilegio della Morante (1948), Dalla parte di lei di Alba de Céspedes (1949), L’infanta sepolta di Anna Maria Ortese (1950). Sono i primi anni della Repubblica, anni in cui la scrittura femminile fa un autentico balzo, e sorprende che ciò, nonostante l’esistenza di ormai molta bibliografia specifica, continui a essere ignorato da gran parte della manualistica recente, come se non ci si accorgesse che in ciò sta la vera novità della narrativa italiana del secondo Dopoguerra.

È un fatto storiografico, e propriamente di storiografia letteraria, l’irruzione delle donne nel panorama letterario a partire dal secondo Dopoguerra, e ancor più lo è a partire dal Sessantotto, e come tale andrebbe trattato nelle storie della letteratura italiana e nei manuali, al di là della presenza o meno dei nomi delle autrici che talvolta sono quasi completamente assenti, talaltra vi sono, ma come nomi singoli, non come parte di un fenomeno storico-letterario rilevante.

Credo sia necessario, invece, leggere la produzione letteraria delle donne, narrativa e poetica, in maniera non isolata (nel senso della singola autrice che sarebbe grande, in qualche modo, proprio perché si allontana e si differenzia dalle altre) e tanto meno separata da quella degli autori di sesso maschile, bensì in maniera integrata nel contesto storico-letterario, sia in senso sincronico sia in senso diacronico. In uno dei racconti del Mare non bagna Napoli (1953) Anna Maria Ortese narra della bambina Eugenia, che vive nei bassifondi e ha solo una vaga percezione di quanto la circonda, a causa della sua miopia, e quando riceve finalmente un paio di occhiali, sviene, alla vista improvvisa di tutto ciò che non era mai riuscita a vedere prima; una metafora, come ha osservato Dacia Maraini, ripresa poi dalla Morante in Aracoeli.58 Bisognerebbe, insomma, ricominciare a fare, molto semplicemente, storia della letteratura, indossando questa volta occhiali nuovi per vedere quanto di rilevante abbiamo effettivamente davanti, senza pregiudiziali espunzioni di genere.

57 Sulle figure femminili nelle narrazioni contemporanee rimando a L’invenzione delle personagge, a c. di R. Mazzanti, S. Neonato, B. Sarasini, Roma, Iacobelli editore 2016. 58 D. MARAINI, La forza di Elsa, in Morante la luminosa, a c. di L. Fortini, G. Misserville, N. Setti, Iacobelli editore 2015, 168-174.