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1 Bruno Bracalente Il sistema di contabilità nazionale e la comparazione degli aggregati economici nel tempo e nello spazio Dispense per il corso di Statistica Economica – Modulo I Università degli Studi di Perugia Facoltà di Economia Perugia 2008

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Bruno Bracalente

Il sistema di contabilità nazionale e la comparazione degli aggregati economici

nel tempo e nello spazio

Dispense per il corso di Statistica Economica – Modulo I

Università degli Studi di Perugia Facoltà di Economia

Perugia 2008

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Parte I

Il sistema di contabilità nazionale

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1. Concetti introduttivi La Contabilità Nazionale (CN) è un sistema di informazioni statistiche attraverso il quale viene descritta in termini quantitativi l’attività economica di un paese o di una regione o di un’altra qualsiasi unità territoriale. Nata durante la seconda guerra mondiale sotto lo stimolo delle teorie keynesiane, la CN è attualmente realizzata in tutti i paesi secondo schemi comuni che garantiscono la confrontabilità delle grandezze economiche misurate, dal prodotto interno lordo, ai consumi, al reddito disponibile, al risparmio, ecc. Per i paesi europei il sistema attualmente utilizzato è il Sistema Europeo dei Conti SEC95, introdotto nel 1999, a sua volta derivato dal System of National Accounts definito in sede ONU, la cui ultima versione risale al 1993 (SNA93). In Italia i conti nazionali sono costruiti annualmente dall’Istituto Nazionale dei Statistica (ISTAT), che peraltro valuta le principali grandezze economiche anche a cadenza trimestrale (conti trimestrali). Inoltre, un insieme più ristretto di grandezze economiche viene valutato, sempre dall’ISTAT, anche a livello regionale (conti regionali). I dati concernenti la produzione, il consumo, gli investimenti, i rapporti con l’estero, le operazioni finanziarie, ecc. forniti dalla CN sono indispensabili per lo studio dei fenomeni economici, in particolare per l’analisi della crescita e dei divari di sviluppo tra paesi. Su di essi si fondano le decisioni delle imprese e di altri soggetti economici, così come le decisioni di politica economica adottate dai governi. In Italia il Governo ha peraltro l’obbligo di presentare al Parlamento, entro il mese di marzo di ogni anno, la Relazione sulla situazione economica del Paese, che contiene i conti economici nazionali relativi all’anno precedente. 1.1. Operatori, transazioni, aggregati L’attività economica descritta dalla CN è costituita dall’insieme delle operazioni elementari messe in atto dai soggetti che fanno parte del sistema economico. Vediamo allora, per iniziare, quali sono le categorie di soggetti che agiscono nel sistema economico e quali principali attività o operazioni economiche essi mettono in atto. Le categorie di soggetti o operatori che agiscono nel sistema economico, e sono pertanto osservati dalla CN, sono quattro:

- imprese - famiglie - pubbliche amministrazioni - resto del mondo

Le imprese sono i soggetti che nel sistema economico svolgono la funzione principale di produrre beni e servizi. Si tratta di ogni forma di impresa, dalle grandi società di capitali alle imprese individuali o a carattere familiare (le cui operazioni economiche, come vedremo, non sempre è agevole distinguere da quelle della relativa famiglia), che operano in ogni campo dell’attività economica, dall’agricoltura all’industria ai servizi.

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Per realizzare la produzione le imprese impiegano lavoro, capitale e beni e servizi intermedi acquistati da altre imprese. La produzione realizzata viene poi generalmente ceduta sul mercato: ad altre imprese se si tratta di beni o servizi da impiegare in successivi processi produttivi; ancora alle imprese se si tratta di beni finali di investimento; alle famiglie se si tratta di beni o servizi di uso finale destinati al consumo. Le famiglie, o meglio le persone fisiche che ne fanno parte, prestano il proprio lavoro alle imprese, comprese quelle a carattere famigliare, ricevendone un compenso che utilizzano principalmente per acquistare i beni e servizi di uso finale prodotti dalle imprese e necessari a soddisfare i loro bisogni (consumi). La parte di remunerazione (reddito) non utilizzata per acquistare beni di consumo atti a soddisfare i bisogni attuali viene accantonata (risparmiata) per aumentare, attraverso gli investimenti, la capacità di produzione e quindi di consumo nei periodi futuri. Le pubbliche amministrazioni (PA) producono servizi non destinabili alla vendita, come l’istruzione, i servizi sanitari, l’amministrazione della giustizia, la difesa nazionale ecc. ed esercitano la funzione della redistribuzione del reddito e della ricchezza tra i soggetti economici tramite trasferimenti (imposizione fiscale, contributi e prestazioni sociali). Il resto del mondo comprende tutti gli operatori che non appartengono al sistema economico analizzato, ma che intrattengono rapporti con gli operatori che ne fanno parte. La sintetica descrizione delle categorie di operatori che agiscono nel sistema economico ha messo in evidenza come essi, per realizzare la loro funzione nel sistema, compiono operazioni con altri operatori, ovvero realizzano attività economiche elementari che si traducono in transazioni economiche. Le imprese acquistano da altre imprese beni e servizi intermedi, si procurano la manodopera, pagano i relativi stipendi, pagano gli interessi sui prestiti ottenuti dalle banche, versano imposte alle PA, da cui talvolta ricevono contributi, ecc. Le famiglie ricevono redditi da lavoro, ma anche redditi da impiego del capitale (interessi, dividendi), o prestazioni sociali dalle PA (pensioni, indennità di disoccupazione, ecc.), pagano alle PA imposte e contributi, acquistano beni e servizi di consumo e fanno risparmi. Le pubbliche amministrazioni prelevano imposte e contributi, erogano prestazioni sociali alle famiglie e contributi alle imprese, producono servizi pubblici, realizzano investimenti pubblici. La maggior parte delle transazioni è a carattere bilaterale e si realizza attraverso scambi tra operatori sul mercato: quelle che hanno ad oggetto acquisti e vendite di beni e servizi, sul mercato dei beni e servizi; quelle che hanno ad oggetto acquisizioni o cessioni di fattori produttivi (lavoro, beni capitali), sul mercato dei fattori produttivi. Altre transazioni, principalmente quelle che fanno capo alle PA, come il prelievo delle imposte o l’erogazione di prestazioni sociali (ma anche le donazioni tra privati), non si realizzano come scambio sul mercato, ma avvengono senza contropartita e vengono per questo denominate transazioni unilaterali (o trasferimenti).

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Per giungere ad una rappresentazione quantitativa delle transazioni che avvengono nel sistema economico, che è l’obiettivo della CN, occorre osservare tali transazioni in un periodo temporale, denominato periodo contabile, generalmente l’anno, oppure il trimestre. L’insieme di transazioni dello stesso tipo in un determinato periodo contabile, ad esempio l’insieme delle operazioni di acquisto di beni o servizi di consumo in un anno, definisce un flusso aggregato di transazioni, o semplicemente aggregato, ad esempio l’aggregato annuo dei consumi. La necessaria aggregazione dei flussi elementari, al fine di definire aggregati economicamente significativi, come i consumi, gli investimenti, ecc., ovviamente richiede che essi siano espressi in valore e non in unità fisiche. Il che pone dei problemi di valutazione ogni volta che ad una attività economica rilevante per la CN non corrisponde una operazione di mercato e quindi un prezzo. In questi casi – ad esempio il consumo da parte degli agricoltori di beni da loro stessi prodotti, i servizi (non destinabili alla vendita) prodotti dalle PA, e molti altri simili – è possibile assegnare un valore solo utilizzando qualche criterio convenzionale, da cui derivano valori imputati. I flussi che scaturiscono dalle operazioni compiute dai soggetti economici in un determinato periodo contabile modificano anche le consistenze patrimoniali dei soggetti stessi. All’inizio del periodo contabile gli operatori possiedono attività reali (abitazioni, macchinari, altre forme di capitale fisso, scorte) e attività e passività finanziarie (depositi, azioni, obbligazioni, titoli del debito pubblico, prestiti, ecc.). Alla fine del periodo contabile queste attività e passività si saranno modificate per effetto delle operazioni compiute: aumento o diminuzione di depositi; emissione e sottoscrizione di nuove azioni o obbligazioni o titoli del debito pubblico, acquisto di abitazioni, di macchinari o di altri beni di investimento e conseguente aumento del capitale fisso, variazione delle scorte, ecc. La CN descrive principalmente i flussi che si sono determinati in un determinato periodo contabile e che hanno dato luogo a diversi aggregati, e di questo soprattutto ci occuperemo nel seguito. La CN descrive tuttavia – attraverso i cosiddetti conti patrimoniali – anche gli stock delle attività reali e finanziarie e delle passività finanziarie detenute dagli operatori alla fine (e all’inizio) del periodo contabile. 1.2. Gli stadi del processo economico e il sistema semplificato di CN Le operazioni messe in atto dai soggetti o operatori economici si riferiscono a diversi stadi del processo economico, ognuno dei quali deve essere convenientemente rappresentato in termini quantitativi. I tre stadi fondamentali del processo economico descritti dalla CN sono:

- la formazione e l’impiego delle risorse; - la distribuzione e redistribuzione del reddito; - la formazione del capitale.

Gli aggregati che si determinano in uno stadio del processo economico figurano in uno o più conti o equazioni contabili che descrivono quello stadio. Ad esempio, il cosiddetto conto della produzione (uno dei primi del sistema di CN) è una equazione

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contabile molto semplice che esprime il valore della produzione come somma dei costi sostenuti per realizzarla: costo per gli acquisti di beni e servizi intermedi (l’aggregato consumi intermedi) e costo per la remunerazione dei fattori produttivi primari (lavoro e capitale), che come vedremo è l’aggregato valore aggiunto o prodotto lordo. Quest’ultimo è un aggregato molto importante ottenuto a saldo del conto, come differenza tra altri aggregati: il valore della produzione, dato dalla somma delle produzioni di beni e servizi di tutte le imprese del sistema economico, e il valore dei consumi intermedi, dato dalla somma di tutti gli acquisti di beni e servizi intermedi da parte delle medesime imprese. Gli aggregati ottenuti a saldo di ogni conto (prodotto lordo, reddito nazionale, reddito disponibile, risparmio) sono particolarmente importanti, non solo perché sono quelli più significativi ai fini dell’analisi economica, ma anche perché svolgono una funzione di collegamento tra le diverse equazioni contabili. La CN non è infatti costituita da un insieme scollegato di conti. E’ invece un sistema integrato di equazioni contabili, ognuna delle quali descrive uno stadio del processo economico ed è collegata alla successiva proprio attraverso l’aggregato ottenuto a saldo, che viene ripreso per essere analizzato sotto un altro profilo. Ad esempio, il risparmio è ottenuto a saldo dell’ultimo conto relativo alla distribuzione secondaria del reddito (è la parte di reddito non consumata) ed è ripreso dal successivo conto della formazione del capitale come fonte di finanziamento dell’accumulazione, cioè per l’acquisto di beni di investimento. 1.2.1. Il sistema semplificato di CN in economia chiusa Per definire un primo schema semplificato di CN consideriamo un sistema economico chiuso, senza rapporti con il resto del mondo, in cui agiscono due soli blocchi di operatori: quelli che producono (le imprese); quelli che detengono i fattori produttivi primari, lavoro e capitale, e che utilizzano i beni finali prodotti (le famiglie). Si ipotizza dunque, come ulteriore semplificazione, che le famiglie non acquistino solo i beni di consumo finale, ma anche quelli destinati alla formazione del capitale (i beni di investimento), beni capitali che vengono poi prestati alle imprese. In questa rappresentazione semplificata del sistema economico l’attenzione è centrata sul mercato dei fattori produttivi primari (lavoro e capitale) e, per quanto riguarda i beni, sul solo mercato dei beni finali. Quei beni, cioè, che non sono più soggetti a trasformazione e possono essere utilizzati per soddisfare i bisogni attuali tramite i consumi, o quelli futuri tramite gli investimenti, che aumentando la capacità produttiva consentono di aumentare produzione e consumo in periodi successivi. Non viene invece considerato il mercato dei beni intermedi, il che non consente di cogliere la fitta rete di relazioni che si stabilisce all’interno del blocco dei produttori (scambi di beni e servizi intermedi), che è visto come un’unica grande azienda integrata. I flussi di scambi tra produttori la CN li descrive attraverso gli schemi di contabilità disaggregata, le cosiddette tavole Input Output, che non verranno però trattati nel seguito. Il mercato dei fattori produttivi primari e quello dei beni finali possono essere rappresentati dal classico schema che descrive i due circuiti, uno reale e uno monetario,

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che caratterizzano un sistema economico con due blocchi di operatori, riportato nella figura seguente:

Il circuito reale. Gli utilizzatori finali cedono i fattori produttivi primari lavoro e capitale ai produttori, che li impiegano nel processo produttivo insieme ai beni e servizi intermedi per realizzare la produzione. La produzione che esce dal blocco dei produttori, cioè la produzione finale di beni di consumo e di investimento, viene ceduta agli utilizzatori finali. Il circuito monetario. A fronte della cessione dei fattori produttivi primari ai produttori gli utilizzatori finali ricevono salari e stipendi, interessi, dividendi, ecc. (cioè redditi), con i quali acquistano i beni di consumo e di investimento assicurando i relativi ricavi ai produttori. Dallo schema precedente derivano alcune identità contabili particolarmente importanti per la CN:

- il valore della produzione finale realizzata dai produttori coincide con la spesa finale effettuata dagli utilizzatori finali per acquistare i beni di consumo e di investimento che la compongono (in economia chiusa la produzione finale non può avere altro sbocco che questo). Dunque: produzione finale = spesa finale;

- il valore della produzione finale, che per definizione è dato dalla somma dei

costi sostenuti per realizzarla, coincide con le remunerazioni dei fattori produttivi primari, poiché gli acquisti di beni e servizi intermedi si traducono in costi per alcune imprese e ricavi per altre e quindi si compensano nell’ambito del blocco dei produttori, considerato come un’unica azienda integrata. Dunque: produzione finale = reddito;

UTILIZZATORI FINALI

PRODUTTORI

Mercato beni finali

Mercato fattori primari

Redditi

Lavoro e capitale

Ricavi

Consumi e investimenti

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- il reddito percepito dagli utilizzatori finali viene interamente speso per soddisfare i bisogni attuali e futuri, ovvero per acquistare i beni finali di consumo e di investimento. In realtà, una parte del reddito viene risparmiata, ma il risparmio, come si vedrà tra poco, è contabilmente equivalente agli investimenti. Dunque: spesa finale = reddito.

In conclusione, tre fenomeni distinti come la produzione finale, il reddito e la spesa finale, che emergono in fasi diverse del processo economico, assumono lo stesso valore monetario. Da qui la centralità di tale aggregato, che per ora chiamiamo semplicemente reddito o prodotto lordo, nei sistemi di CN e nell’analisi economica. Dal medesimo schema e dalle relative identità contabili appena richiamate derivano inoltre le tre note equazioni keynesiane che costituiscono il nucleo essenziale della CN in economia chiusa. Se indichiamo con Y il prodotto finale (uguale al reddito), con C la spesa per consumi finali e con I quella per beni di investimento, possiamo scrivere una prima equazione che pone in relazione il prodotto finale e la spesa per consumi e investimenti e che pertanto esprime l’equilibrio sul mercato dei beni e servizi tra l’offerta globale (di beni finali) e la relativa domanda: Y = C + I Riprendiamo ora l’aggregato Y, questa volta inteso come reddito, e analizziamone le utilizzazioni che ne possono fare gli utilizzatori finali. Abbiamo appena detto che lo destinano tutto all’acquisto di beni di consumo e investimento. In realtà possiamo considerare un passaggio intermedio: gli utilizzatori finali una parte del reddito la consumano e un’altra la risparmiano. Se indichiamo con S il risparmio, possiamo dunque scrivere: C + S = Y Il risparmio, per assicurare un consumo futuro, dovrà però essere destinato all’acquisto di beni di investimento e quindi si avrà: I = S che è la condizione affinché la spesa finale (C + I) sia uguale al prodotto finale e al reddito. A proposito di questa identità contabile va chiarito che essa è necessariamente vera, in economia chiusa, una volta inteso il risparmio come tutto il reddito non speso in beni di consumo e una volta considerato l’investimento comprensivo della variazione delle scorte. Anche considerando che una parte del risparmio delle famiglie non venga utilizzata direttamente, dalle famiglie stesse, per acquistare beni di investimento, l’uguaglianza resta vera, poiché a quella parte di reddito non spesa e non investita corrispondono comunque beni finali prodotti (data l’uguaglianza tra produzione finale e reddito), beni finali che saranno stati necessariamente o acquistati da altre imprese (e quindi fanno parte degli investimenti) o restati invenduti presso le imprese che li hanno prodotti (e quindi fanno parte delle scorte e di conseguenza ancora degli investimenti).

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La prima equazione contabile descrive in modo semplificato lo stadio della formazione e dell’impiego delle risorse: la formazione delle risorse in economia chiusa deriva soltanto dalla produzione (finale), mentre gli impieghi finali sono costituiti da consumi e investimenti. L’equazione contabile è una versione semplificata di quello che nel seguito verrà chiamato conto delle risorse e degli impieghi. La seconda equazione è legata alla prima attraverso l’anello di congiunzione costituito dal prodotto finale Y, ora ripreso nella accezione di reddito per descriverne l’utilizzazione in consumo o risparmio e definisce un conto del reddito (che in seguito vedremo come l’ultimo conto che descrive lo stadio della distribuzione e ridistribuzione del reddito). Il saldo di questo secondo conto, il risparmio S, è l’anello di congiunzione con il terzo dove viene ripreso come fonte di finanziamento degli investimenti: conto della formazione del capitale, che si riferisce allo stadio della accumulazione. 1.2.2. L’uguaglianza tra produzione e reddito a partire dai dati aziendali L’uguaglianza tra produzione finale e reddito di un sistema economico senza scambi con l’estero, emersa dallo schema dei flussi reali e monetari tra due blocchi di operatori, la possiamo verificare anche a partire dai dati aziendali, considerando un sistema economico (chiuso) visto come l’insieme di tre aziende integrate. Indichiamo con cxi, yi, pi, rispettivamente i costi per beni e servizi intermedi, il valore aggiunto e la produzione della generica azienda i. Supponiamo, inoltre, che la prima azienda impieghi solo fattori primari e ceda la produzione alla seconda, che la utilizza come impieghi intermedi, la quale realizza a sua volta una produzione che cede alla terza azienda, che infine destina la sua produzione a usi finali. Lo schema seguente illustra la situazione descritta:

Aziende

Costi di produzione

Consumi Valore Produzione intermedi aggiunto

1 cx1 = 0 y1 p1 2 cx2 = p1 y2 p2 3 cx3 = p2 y3 p3

Per aggregazione dei flussi relativi alle singole imprese si ottengono i corrispondenti aggregati della CN relativa al sistema semplificato descritto, ovvero la produzione totale (Pt), i consumi intermedi (Cx) e il valore aggiunto (Y) sono dati dalla somma delle produzioni (pi), dei consumi intermedi (cxi) e dei valori aggiunti (yi) delle singole imprese. Nel caso dell’esempio si ottiene: Cx = p1+ p2 Pt = p1+ p2 + p3 Y = y1 + y2 + y3

In complesso Cx Y Pt

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La produzione finale in questo schema corrisponde a p3, è cioè la produzione della terza e ultima impresa, l’unica che cede la produzione ad usi finali. E si vede immediatamente che la produzione finale è uguale al valore aggiunto. Infatti il valore aggiunto Y è anche la differenza tra la produzione totale e i consumi intermedi, ovvero Y = Pt – Cx, da cui: Y = (p1+ p2 + p3) - (p1+ p2 ) = p3 In conclusione, la somma dei valori aggiunti aziendali Y, che è la somma delle remunerazioni dei fattori produttivi primari e quindi il reddito, è uguale alla produzione finale. Nella tabella seguente l’uguaglianza tra produzione finale e reddito viene mostrata con un esempio1.

Tabella 1.1. Produzione finale e reddito in un sistema di tre aziende integrate Costi di produzione Branche Beni Fattori Valore intermedi primari produzione Agricoltura - 100 100 Industria 100 200 300 Servizi 300 300 600 Totale 400 600 1000

1.2.3. Dai dati aziendali ai conti della CN Oltre alla uguaglianza tra produzione finale e reddito, dalla aggregazione dei flussi compresi nello schema precedente deriva immediatamente, sommando per colonna, un altro conto non compreso nel sistema semplificato precedente. E’ il conto della produzione del paese, che esprime il valore della produzione (Pt) come somma dei costi sostenuti per realizzarla, ovvero il costo per i beni e servizi intermedi impiegati nella produzione (Cx) e quello per la remunerazione dei fattori produttivi primari (Y): Cx + Y = Pt Peraltro, poiché il valore aggiunto (reddito) Y è uguale alla produzione finale e questa in economia chiusa non è altro che la somma dei consumi finali (C) e degli investimenti (I), supponendo noti C ed I, si può scrivere anche un’altra equazione contabile: Pt = Cx + C + I 1 Lo schema è ripreso da V. Siesto, La contabilità nazionale italiana, Il Mulino, Bologna 1996.

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Tale equazione, denominata conto di equilibrio dei beni e servizi, esprime l’equilibrio tra l’offerta globale, che in economia chiusa è costituita soltanto dalla produzione totale, e la domanda globale, che è costituita dalla domanda per beni e servizi intermedi e da quella per beni e servizi finali. E’ facile verificare che la prima delle tre equazioni keynesiane del sistema semplificato di CN, ovvero il conto delle risorse e degli impieghi, si ottiene anche per consolidamento delle due precedenti, sostituendo la prima nella seconda ed eliminando i consumi intermedi che figurano sia al primo che al secondo membro dell’equazione: Cx + Y = Cx + C + I Y = C + I Come già detto, quest’ultimo conto mostra l’equilibrio tra le risorse disponibili per usi finali (in economia chiusa, solo quelle prodotte) e i relativi impieghi finali (in economia chiusa, solo per consumi e investimenti). Come si vedrà più avanti, le tre precedenti equazioni contabili costituiscono i primi conti del SEC, quelli che descrivono la fase della formazione e dell’impiego delle risorse. 1.2.4. Il sistema semplificato di CN in economia aperta Rimuoviamo ora la principale semplificazione, ovvero l’ipotesi di economia chiusa, e consideriamo che nel sistema economico avvengono anche operazioni con il resto del mondo: scambi di beni e servizi, che si traducono in importazioni ed esportazioni; operazioni relative all’impiego di fattori produttivi (lavoro e capitale) da cui derivano redditi; operazioni unilaterali (aiuti internazionali, rimesse degli emigrati) da cui derivano trasferimenti. Oltre agli aggregati precedenti, indichiamo con: M = importazioni; E = esportazioni; R = redditi e trasferimenti netti dall’estero (ricevuti meno versati) B = accreditamento verso l’estero. Il sistema contabile costituito dalle precedenti tre equazioni keynesiane può essere facilmente adattato al caso di economia aperta. Le tre equazioni diventano rispettivamente: Risorse e impieghi: M + Y = C + I + E Distribuzione e utilizzazione del reddito: C + S = Y + R Formazione del capitale: I + B = S

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In economia aperta alle tre equazione precedenti se ne aggiunge inoltre una quarta, che riassume le transazioni con operatori non residenti: Conto del resto del mondo: E + R = M + B Nel primo conto, tra le risorse disponibili per l’impiego finale non figura più soltanto la produzione, ma anche l’importazione di beni e servizi, mentre dal lato degli impieghi figurano non solo i consumi e gli investimenti, ma anche le esportazioni. Nel secondo conto il reddito (Y) inteso come contropartita della produzione finale realizzata nel paese non rappresenta l’unica componente di reddito disponibile per il consumo o per il risparmio. A Y va sommato (algebricamente) R, ovvero vanno aggiunti tutti i redditi derivanti dall’impiego di fattori produttivi fuori del paese (dividendi di azioni di società estere, redditi da lavoro guadagnati occasionalmente all’estero e così via) e sottratti quelli in direzione opposta (redditi netti dall’estero); così come vanno sommati i trasferimenti netti dall’estero, ovvero i flussi unilaterali non dipendenti dall’impiego di fattori produttivi (ad esempio le rimesse degli emigrati). La somma di Y ed R dà luogo ad un nuovo aggregato, il reddito disponibile, che si determina a conclusione di diverse fasi della distribuzione del reddito (che come vedremo più avanti sono descritte da diversi conti) e che è l’aggregato che viene effettivamente suddiviso tra consumo e risparmio. Nel terzo conto l’identità contabile tra risparmio ed investimento viene meno poiché in economia aperta si può investire più di quanto si è risparmiato, ricorrendo all’indebitamento con l’estero (in tal caso B sarà negativo), oppure il risparmio può eccedere gli investimenti, nel qual caso si ha di conseguenza un accreditamento verso l’estero (B positivo). La quarta equazione contabile, infine, riprende l’aggregato ottenuto a saldo dalla precedente (B) e lo esprime in relazione a tutti gli aggregati relativi a operazioni con il resto del mondo e quindi mostra come all’accreditamento o all’indebitamento verso l’estero hanno contribuito le varie componenti delle transazioni internazionali: il saldo tra esportazioni ed importazione e quello dei redditi e trasferimenti con l’estero. Nella Tabella 1.2. viene presentato lo schema semplificato di CN relativo all’Italia nel 2005. Come si vede, i rapporti con l’estero hanno tutti un saldo negativo, che si traduce tra l’altro in un reddito disponibile per i consumi e il risparmio minore di quello prodotto e in un indebitamento del paese nei confronti del resto del mondo.

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Tabella 1.2. Sistema semplificato di contabilità nazionale. Italia 2005 (milioni di euro)

Conto risorse e impieghi M - Importazioni 371780 C – Consumi finali 1130291 Y - Prodotto lordo 1423049 I - Investimenti 293807 E - Esportazioni 370731 totale 1794829 totale 1794829

Conto del reddito C – Consumi finali 1130291 Y - Reddito 1423049 S - Risparmio 276667 R - Redditi e trasf. dall'estero -16091 Totale 1406958 Reddito disponibile 1406958

Conto formazione del capitale I - Investimenti 293807 S - Risparmio 276667 B - Accreditamento/indebit.* -17140 Totale 276667 Totale 276667

Conto resto del mondo E - Esportazioni 370731 M - Importazioni 371780 R - Redditi e trasf. dall'estero -16091 B - Accreditamento/indebit.* -17140 Totale 354640 Totale 354640 (*) Dato approssimato, poiché il conto della formazione del capitale è in forma semplificata. ESERCIZIO 1 Dati i seguenti aggregati relativi all’economia italiana nel 2006 (milioni di euro): Consumi finali 1174481 Investimenti 313031 Importazioni 422843 Esportazioni 410732 Redditi e trasferimenti dall’estero -17214 Costruire i quattro conti del sistema semplificato di contabilità nazionale in economia aperta.

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Soluzione: Per costruire il primo di tali conti manca il prodotto lordo, che può però essere ricavato a saldo dal conto delle risorse e degli impieghi: Y = C + I + E – M = 1174481 + 313031 + 410732 – 422843 = 1475401. Sostituito Y nella seconda equazione possiamo calcolare a saldo il risparmio: S = Y + R – C = 1475401 – 17214 – 1174481 = 283706. Sostituito a sua volta nella terza equazione calcoliamo a saldo l’accreditamento o indebitamento (va ricordato però che l’effettivo conto della formazione del capitale comprende altri aggregati minori che vedremo in seguito e che qui vengono trascurati): B = S – I = 283706 – 313031 = -29325. I quattro conti sono pertanto: Conto risorse e impieghi: M + Y = C + I + E 422843 + 1475401 = 1174481 + 313031 + 410 732 Conto del reddito: C + S = Y + R 1174481 + 283706 = 1475401 - 17214 Conto formazione del capitale: I + B = S 313031 – 29325 = 283706 Conto del resto del mondo: E + R = M + B 410732 – 17214 = 422843 - 29325 1.3. Le basi del sistema europeo di contabilità nazionale SEC95 I sistemi di contabilità nazionale effettivamente costruiti, sia in Europa che negli altri paesi del mondo, sono molto più articolati di quello semplificato sopra descritto. Come già detto, per i paesi europei il sistema utilizzato a partire dal 1999 è il Sistema Europeo dei Conti SEC95, a sua volta derivato dallo SNA93 definito in sede ONU. Sia lo SNA, a livello mondiale, che il SEC, per i paesi europei, fissano una serie di norme e definizioni atte a garantire la confrontabilità a livello internazionale degli aggregati di CN. Tali norme – concordate a livello internazionale e nel caso del SEC95 fissate in un Regolamento del Consiglio dell’Unione europea – si riferiscono, oltre che alla definizione e ai criteri di valutazione degli aggregati (che verranno illustrati di volta in volta), anche ad aspetti di carattere generale come la delimitazione dell’economia nazionale, la classificazione degli operatori e delle unità produttive, la classificazione delle operazioni e degli aggregati, che vengono brevemente accennati nel seguito. 1.3.1. La delimitazione dell’economia nazionale Le operazioni rilevanti per la CN di un paese sono quelle compiute da soggetti economici appartenenti al sistema economico di quel paese, intendendo per appartenenti al sistema gli operatori che hanno nel territorio economico del paese un centro di interesse economico, e che vengono per questo definiti come residenti. Alla

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residenza economica non corrisponde dunque necessariamente la residenza anagrafica o giuridica. Il territorio economico è per lo più costituito dal territorio geografico, ma comprende anche altre porzioni di territorio, come ad esempio le acque territoriali, i giacimenti situati in acque internazionali sfruttati da operatori residenti, le zone franche, ecc. Si ha invece centro di interesse economico in un paese quando in esso l’operatore svolge una attività economica significativa a tempo indeterminato o comunque per un periodo sufficientemente lungo (almeno un anno). Non sono dunque considerati residenti, ad esempio, i lavoratori occupati in altri paesi che svolgono nel paese considerato lavori per un breve periodo dell’anno. Sono al contrario considerati residenti dal punto di vista economico i lavoratori stranieri che vi operano per un lungo periodo (superiore all’anno), anche senza che vi abbiano stabilito la residenza anagrafica, e perfino se privi di permesso di soggiorno nel paese. A maggior ragione è considerata residente una filiale di una impresa estera, limitatamente agli stabilimenti insediati nel paese. 1.3.2. La classificazione degli operatori economici in settori istituzionali Gli operatori economici sono centri elementari di decisione economica, caratterizzati da autonomia di decisione in campo economico e finanziario e in genere dal possesso (almeno potenziale) di una contabilità completa. I soggetti economici che possiedono queste caratteristiche – persone fisiche, imprese individuali, società, banche, assicurazioni, amministrazioni pubbliche, associazioni, ecc. – sono dal SEC definiti unità istituzionali e classificati in settori istituzionali, sulla base dell’uniformità di comportamento nell’esercizio della loro funzione principale. Nello schema semplificato visto in precedenza gli operatori erano classificati in due soli blocchi: i produttori (le imprese) e gli utilizzatori finali (le famiglie). Il SEC invece articola la classificazione degli operatori residenti in più settori. Intanto perché ovviamente considera anche le pubbliche amministrazioni, che nello schema semplificato venivano trascurate; poi perché lo stesso blocco delle imprese viene articolato in più settori; infine perché considera anche le istituzioni senza scopo di lucro, come le associazioni, fondazioni ecc. I settori identificati dal SEC sono pertanto i seguenti cinque: Società e quasi-società non finanziarie: comprende le imprese che producono beni agricoli e industriali e servizi non finanziari organizzate in forma societaria (società di capitali, cooperative, di persone); ma comprende anche le imprese che non posseggono una personalità giuridica autonoma (imprese individuali, società semplici) e che tuttavia hanno un comportamento economico distinto da quello dei proprietari e pertanto sono assimilate alle società (e definite quasi-società). Nella pratica si considerano quasi-società tutte le imprese prive di personalità giuridica che hanno almeno cinque dipendenti. Società e quasi-società finanziarie: comprende le società e quasi-società la cui funzione principale consiste nel fornire servizi di intermediazione finanziaria e di assicurazione (banche, ausiliari finanziari, assicurazioni, fondi pensione, fondi comuni di investimento, ecc.)

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Amministrazioni pubbliche: comprende tutti gli enti e le istituzioni pubbliche centrali e periferiche che producono servizi non destinabili alla vendita finanziati prevalentemente tramite versamenti obbligatori da parte di altri soggetti e che operano nel campo della ridistribuzione del reddito e della ricchezza (amministrazioni centrali e locali, enti di previdenza e assistenza). Famiglie, distinte in: famiglie consumatrici: comprende le persone fisiche nella loro funzione principale di consumatori finali; famiglie produttrici : comprende tutte le imprese individuali e familiari di piccole dimensioni che non rientrano nel concetto di quasi-società (perché con meno di cinque dipendenti), per le quali non è sempre agevole distinguere le operazioni compiute dai titolari nella veste di imprenditori da quelle compiute come membri delle rispettive famiglie. Tra le famiglie produttrici sono considerati anche i soggetti che producono beni e servizi per uso proprio. Istituzioni senza scopo di lucro al servizio delle famiglie: il settore, denominato più semplicemente Istituzioni sociali private (ISP), comprende tutti gli organismi senza scopo di lucro dotati di personalità giuridica che producono servizi (non destinabili alla vendita) a vantaggio delle famiglie e si finanziano prevalentemente attraverso contributi volontari versati dalle famiglie stesse (associazioni di volontariato, di consumatori, religiose, sportive, sindacati, partiti politici, fondazioni, ecc.) Resto del mondo: comprende tutti i soggetti non residenti (imprese, famiglie, pubbliche amministrazioni, ecc.) che effettuano operazioni con unità istituzionali residenti. Comprende anche le istituzioni dell’Unione europea, che tra l’altro prelevano imposte ed erogano contributi ai soggetti residenti, e le organizzazioni internazionali. A differenza dei quattro precedenti settori interni, che raggruppano unità istituzionali sufficientemente omogenee in quanto a comportamento economico, obiettivi e funzioni nel sistema, quest’ultimo è invece un settore sui generis costituito da unità eterogenee. La classificazione dell’economia in settori interni omogenei consente di analizzare i flussi di transazioni economiche che avvengono tra di essi durante il periodo contabile e di definire la maggior parte degli aggregati economici che caratterizzano l’economia nazionale anche nella loro articolazione settoriale, attraverso i cosiddetti conti settoriali. Così sarà possibile, come vedremo più avanti, misurare aggregati particolarmente rilevanti per l’analisi economica come, ad esempio, il reddito disponibile o il risparmio delle famiglie, il risultato di gestione o la formazione del capitale delle imprese, l’indebitamento (deficit) della pubblica amministrazione, ecc. Nella tabella seguente è riportato il valore aggiunto prodotto in Italia nel 2005 classificato per settori istituzionali. Come si vede, più della metà del valore aggiunto complessivo è prodotto dalle società non finanziarie, ma è molto rilevante (poco meno del 30%) anche la quota di valore aggiunto prodotta dalle famiglie (produttrici), data la

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particolare rilevanza delle micro imprese famigliari e del lavoro autonomo nel nostro paese.

Tabella 1.3. Valore aggiunto dei settori istituzionali. Italia 2005 (milioni di euro) Valore Settori istituzionali aggiunto Società non finanziarie 662313 Società finanziarie 55571 Amministrazioni pubbliche 190129 Famiglie e istituzioni sociali private 369979 Totale 1277992

1.3.3. La classificazione delle unità produttive in branche di attività economica Oltre alla classificazione dei soggetti economici in settori istituzionali, il SEC prevede una seconda classificazione dell’economia nazionale, prendendo a riferimento non più le unità istituzionali, ovvero gli operatori caratterizzati da autonomia decisionale (imprese, famiglie, ecc.), ma le unità produttive, che non sempre coincidono con le unità istituzionali. In molti casi, infatti, le unità istituzionali che producono beni e servizi esercitano una pluralità di attività, alcune principali altre secondarie, ad esempio attività principale nell’industria o nell’agricoltura e attività secondarie nel commercio o in altri servizi, o viceversa. Per analizzare gli aspetti concernenti la produzione e lo scambio di beni e servizi, ad esempio per misurare la produzione o il valore aggiunto dell’industria, occorre allora distinguere, nell’ambito delle unità istituzionali impegnate in più attività, le unità elementari che svolgono le singole attività omogenee quanto a tipo di produzione. Queste unità elementari (stabilimenti, negozi, uffici, ecc.), che a differenza delle unità istituzionali non hanno alcuna autonomia e alcun potere di decisione economica, ma sono semplici strutture produttive, dal SEC vengono chiamate unità di attività economica a livello locale (Uael) e vengono classificate in branche di attività economica. Ogni branca comprende unità produttive (Uael) che producono i soli beni e servizi che la definiscono: prodotti dell’agricoltura, dell’industria alimentare, mezzi di trasporto, servizi commerciali, di intermediazione finanziaria, di istruzione, sanitari e così via. In definitiva, la CN classifica il complesso dell’attività economica di un paese in due modi alternativi: da un lato osservando le unità elementari di produzione per descrivere la produzione e lo scambio di beni e servizi, dall’altro osservando le unità istituzionali aventi autonomia in campo economico per descrivere il loro comportamento soprattutto nella distribuzione e impiego del reddito, nell’attività di accumulazione e in quella finanziaria. E’ dunque evidente che nell’analisi dei primi stadi del processo economico, quelli che descrivono in particolare l’attività di produzione, è più rilevante la

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classificazione in branche di attività, mentre negli stadi superiori, dalla distribuzione del reddito in poi, ha senso soltanto la classificazione in settori istituzionali. Nella tabella seguente è riportato il valore aggiunto prodotto in Italia nel 2005 questa volta classificato per branche di attività. Ne emerge in primo luogo il grande peso dei servizi nell’economia del paese (oltre il 70% del valore aggiunto complessivo).

Tabella 1.4. Valore aggiunto delle branche di attività. Italia 2005 (milioni di euro) Valore Branche di attività aggiunto Agricoltura, silvicoltura, pesca 28048 Industria in senso stretto 263376 Estrazione di minerali 5130 Industria manifatturiera 232758 Energia, gas, acqua 25488 Costruzioni 76683 Servizi 909885 Commercio, riparazioni, alberghi e pubblici esercizi 199945 Trasporti e comunicazioni 98063 Intermediazione finanziaria e servizi alle imprese 343360 Altre attività di servizio 268517 Totale 1277992

1.3.4. La classificazione delle operazioni e degli aggregati Nelle pagine precedenti abbiamo già introdotto i concetti di operazioni economiche e di aggregati economici e anche alcune loro caratteristiche, ad esempio il carattere bilaterale o unilaterale delle operazioni. Ora questi concetti vengono ripresi e collocati nel quadro delle definizioni e classificazioni previste dal SEC. Una prima classificazione delle operazioni economiche è nelle seguenti tre classi fondamentali:

- operazioni su beni e servizi, che si riferiscono alla produzione e allo scambio di beni e servizi e quindi si realizzano nella fase della formazione e impiego delle risorse e in quella della formazione del capitale;

- operazioni di distribuzione e redistribuzione del reddito e della ricchezza,

che si riferiscono alla distribuzione del reddito derivante dall’attività produttiva ai fattori della produzione e ai trasferimenti operati prevalentemente dalle PA e si realizzano dunque nella fase della distribuzione primaria del reddito e in quella della distribuzione secondaria o ridistribuzione;

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- operazioni su strumenti finanziari, che hanno la proprietà di modificare crediti e debiti degli operatori e si realizzano nella fase dell’accumulazione.

Le operazioni appartenenti alla prima e alla terza classe (su beni e servizi o su strumenti finanziari) sono sempre bilaterali , sono relative cioè ad uno scambio (con contropartita) tra operatori; quelle appartenenti alla seconda classe possono essere sia bilaterali, come la distribuzione del reddito ai fattori produttivi, sia unilaterali , come i trasferimenti che avvengono nel quadro della distribuzione secondaria e ridistribuzione del reddito, in particolare ad opera dello Stato (imposte, contributi, prestazioni sociali). Una seconda classificazione delle operazioni è in:

- operazioni correnti, svolte con continuità nell’esercizio dell’attività corrente degli operatori, si riferiscono alle operazioni su beni e servizi e a gran parte dei trasferimenti, come le imposte correnti sul reddito e sul patrimonio, le prestazioni sociali, ecc.;

- operazioni in conto capitale, fatte in funzione dell’accumulazione, talvolta a carattere eccezionale, come le imposte straordinarie sul patrimonio, le donazioni di rilevante importo, i contributi pubblici agli investimenti.

Per quanto riguarda invece gli aggregati, la principale distinzione da fare è tra:

- aggregati interni, relativi a flussi che si verificano nel territorio economico del paese, senza alcuna considerazione della residenza degli operatori. Ad esempio, il prodotto interno lordo, che come vedremo misura la produzione finale realizzata nel paese, anche impiegando fattori produttivi appartenenti ad unità non residenti;

- aggregati nazionali, che si riferiscono invece a flussi relativi ai soli operatori

residenti nel territorio economico del paese. Ad esempio, il reddito nazionale, che come vedremo è il reddito realizzato anche al di fuori del paese attraverso l’impiego di fattori produttivi appartenenti ad operatori residenti; o il consumo nazionale, che comprende anche le spese effettuate dai residenti per i soggiorni all’estero, ma non quelle effettuate dai turisti stranieri nel paese considerato.

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2. La formazione e l’impiego delle risorse 2.1. La produzione 2.1.1. Definizione e criteri di delimitazione del concetto di produzione L’attività di produzione è di fondamentale importanza per il sistema economico e di conseguenza anche per il sistema di CN, che ha il compito di descriverlo. La misura della produzione richiede in primo luogo che sia univoco il concetto adottato e chiara la sua delimitazione. Il SEC stabilisce che la produzione è un flusso di beni o servizi atti a soddisfare bisogni (o comunque ad essere scambiati) che deriva da ogni attività nella quale vi sia un impiego di fattori produttivi remunerati sotto il controllo e la responsabilità di una unità istituzionale. La caratteristica che meglio consente di discriminare ciò che è da ciò che non è produzione per la CN è l’impiego di fattori produttivi remunerati. Infatti, per il SEC non rientrano nel concetto di produzione:

- i servizi che le famiglie producono autonomamente e che trovano impiego finale nelle medesime famiglie. In particolare i servizi domestici e il lavoro di cura fatto da membri della famiglia – che rientra nel concetto di produzione solo se affidato a terzi dietro compenso – o i servizi di trasporto che quasi ogni famiglia si auto-produce con i mezzi di trasporto che possiede;

- i guadagni e le perdite in conto capitale, come la rivalutazione di merci in

magazzino o di titoli in portafoglio per effetto dell’aumento dei corsi di borsa, e così via, perché si verificano come semplice effetto di variazioni dei prezzi, al di fuori dell’attività produttiva come sopra definita;

- i processi naturali di crescita indipendenti dall’opera dell’uomo, come la crescita

delle foreste o l’accrescimento delle risorse ittiche. In base alla precedente definizione invece rientra nel concetto di produzione l’economia irregolare. Il SEC95 esplicita infatti che la produzione comprende, oltre alle attività regolari, anche quelle attività che sono classificate come illegali, informali e sommerse. Illegali sono le attività di produzione di beni e servizi la cui vendita, distribuzione o possesso sono vietate dalla legge o sono svolte da operatori non autorizzati. Sono comprese nel concetto di produzione se danno luogo a pagamenti volontari, come il contrabbando, la produzione e il commercio di droga, lo sfruttamento della prostituzione. La stima delle attività illegali comporta tuttavia notevoli difficoltà, pertanto né l’Italia, né gli altri paesi europei hanno finora concretamente inserito la valutazione di queste attività nella contabilità nazionale.

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Informali sono le attività che riguardano unità istituzionali caratterizzate da relazioni di lavoro basate su vincoli di parentela o relazioni personali, con basso livello organizzativo e scarsa o nessuna divisione tra lavoro e capitale. Sono attività quantitativamente rilevanti nei paesi in via di sviluppo, mentre nei paesi sviluppati sono sostanzialmente irrilevanti, essendo limitate ad alcune attività svolte nel settore agricolo, nelle costruzioni, il lavoro a domicilio, le attività non registrate di piccoli commercianti. Sommerse sono le attività relative alla produzione legale, svolta in unità produttive organizzate, non direttamente osservate per ragioni sia di natura statistica, sia di natura economica. Il sommerso statistico è costituito da quelle attività – legali e regolari sotto il profilo economico – che le rilevazioni statistiche non riescono a cogliere a causa dei limiti di copertura e di aggiornamento dei registri delle unità produttive, che come vedremo sono lo strumento per fare le indagini sulle imprese. Nel nostro paese tali limiti sono dovuti soprattutto alle caratteristiche di notevole polverizzazione del sistema delle imprese e al peso crescente di forme particolari di partecipazione al processo produttivo (liberi professionisti, collaboratori, consulenti) difficilmente rilevabili attraverso le indagini rivolte alle imprese. Il sommerso economico è originato invece dalla volontà di una parte delle imprese di evadere il fisco o i contributi sociali, o di non rispettare altre norme (sui salari minimi, sul numero massimo di ore di lavoro, ecc.) In pratica, il sommerso economico è identificato con l’utilizzo del lavoro non regolare e con la sottodichiarazione della produzione regolare da parte delle unità produttive. Come vedremo più avanti il sommerso economico è oggetto di una apposita valutazione indiretta che ha l’obiettivo di misurarne l’entità e di integrare quindi la valutazione della produzione e del valore aggiunto che deriva dalla osservazione della economia “emersa”. 2.1.2. Classificazione della produzione Nell’ambito del concetto di produzione sono identificabili tre categorie ben distinte dal punto di vista economico. La prima è la produzione di beni e servizi destinabili alla vendita, ovvero da un lato la produzione messa sul mercato e venduta a prezzi economicamente significativi (che coprono almeno il 50% del costo di produzione); dall’altro la produzione potenzialmente vendibile sul mercato, ma ceduta sotto forma di retribuzione in natura, o anche ceduta per un impiego intermedio da una unità produttiva ad un’altra appartenente alla stessa unità istituzionale, o infine compresa nella variazione delle scorte. La seconda è la produzione destinata ad uso finale del produttore, ovvero la produzione di beni e servizi destinati all’auto-consumo o all’auto-investimento da parte della stessa unità istituzionale che li ha prodotti. Si tratta in particolare: dei prodotti agricoli auto-consumati dalle famiglie degli stessi agricoltori; dei servizi di abitazione goduti da persone e famiglie che occupano la propria casa; dei servizi domestici prodotti impiegando personale retribuito; della produzione di beni di investimento (macchine, fabbricati, software) realizzata da imprese e destinati a soddisfare proprie

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esigenze di investimento; delle abitazioni costruite o ampliate in proprio dalle famiglie (altra forma di auto-investimento). La terza categoria è costituita dalla produzione di beni e servizi non destinabili alla vendita, ovvero la produzione di beni e servizi da parte di amministrazioni pubbliche e istituzioni sociali private offerta gratuitamente o comunque a prezzi non economicamente significativi (che coprono meno del 50% dei costi di produzione).

Alle tre categorie di produzione corrispondono necessariamente tre diversi metodi di stima. Per la produzione destinabile alla vendita, che peraltro rappresenta la quota largamente prevalente dell’intero aggregato, la stima avviene prevalentemente attraverso la rilevazione (totalitaria o campionaria) di dati contabili presso le aziende e successiva aggregazione. Vediamo allora prima di tutto come si definisce e si calcolano la produzione e il valore aggiunto a livello di impresa. 2.1.3. Produzione e valore aggiunto a livello di impresa La produzione di un’impresa è data dal valore dei beni e servizi prodotti in un dato intervallo di tempo (ad esempio, un anno) e che sono stati venduti o che avrebbero potuto esserlo ma non lo sono stati per diverse ragioni. Tali ragioni possono essere: a) che la produzione è rimasta invenduta e pertanto è affluita alle scorte di prodotti finiti; b) che la produzione non è ancora terminata perché il processo produttivo ha durata maggiore del periodo di tempo considerato (è il caso in particolare della produzione edilizia o dei cantieri navali); c) che la produzione non è destinata ad essere venduta in quanto si tratta di beni o servizi intermedi reimpiegati all’interno della stessa impresa (ma attraverso lo scambio tra due sue Uael diverse) ovvero di capitali prodotti in proprio e da impiegare nell’impresa stessa. D’altro canto, le vendite effettuate nel periodo considerato possono essere maggiori della produzione perché sono in parte prelevate dalle scorte di magazzino. Ai fini della determinazione della produzione a livello aziendale, indichiamo con: p : produzione; v : vendite (fatturato, compresi i ricavi accessori: contributi ricevuti, fitti attivi); r : reimpieghi di origine interna; ki : incremento capitali fissi prodotti in proprio; gf : variazione giacenze di prodotti finiti; gc : variazione giacenze di prodotti in corso di lavorazione. Per la definizione appena formulata, la produzione è dunque: p = v + r + ki + gf + gc .

Il valore aggiunto di un’impresa è dato dalla differenza tra il valore della produzione realizzata nel periodo contabile e quello dei beni e servizi intermedi impiegati nel processo produttivo e rappresenta la remunerazione dei fattori produttivi primari. Oltre alle notazioni precedenti, indichiamo con:

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y : valore aggiunto; cx : impieghi di beni e servizi intermedi (consumi intermedi); a : acquisti di beni e servizi intermedi; ga : variazione giacenze di beni e servizi intermedi. I consumi intermedi, che comprendono anche i reimpieghi di origine interna, sono: cx = (a + r) - ga mentre il valore aggiunto (o prodotto lordo) dell’impresa sarà: y = p - cx = v + r + ki + gf + gc - (a + r - ga) = v + ki + gf + gc + ga – a. ESERCIZIO 2 Consideriamo un sistema economico chiuso costituito da tre aziende di cui sono noti i dati dei costi e dei ricavi sono riportati nella tabella seguente. Voci di costo e ricavo Azienda 1 Azienda 2 Azienda 3 Acquisti beni e servizi intermedi 0 600 800 Variazione giacenze beni e servizi intermedi 0 30 -20 Vendite 800 1000 1400 Incremento capitali fissi prodotti in proprio 0 20 0 Variazione giacenze prodotti finiti 20 -10 -20 Variazione giacenze prodotti in corso lavorazione 0 50 0 a) Costruire il conto della produzione; b) Posto che la produzione finale sia ripartita in consumi per l’80% e in investimenti per il restante 20%, costruire il conto di equilibrio dei beni e servizi e il conto delle risorse e degli impieghi. Soluzione: a) Come già visto nel capitolo 1, dalla aggregazione dei dati aziendali si ottiene il conto della produzione: Cx + Y = Pt. Occorre dunque calcolare la produzione, i consumi intermedi e il valore aggiunto delle tre aziende e aggregarli per determinare i corrispondenti aggregati del paese. Per la azienda 1: p1 = 800 + 20 = 820; Cx1 = 0; y1 = 820. Per la azienda 2: p2 = 1000 + 20 –10 + 50 = 1060; Cx2 = 600 – 30 = 570; y2 = 1060 – 570 = 490. Per la azienda 2: p2 = 1400 – 20 = 1380; Cx3 = 800 + 20 = 820; y3 = 1380 – 820 = 560. Aggregando si ottiene : Pt = 820 + 1060 + 1380 = 3260; Cx = 570 + 820 = 1390;

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Y = 820 + 490 + 560 = 1870. Il conto della produzione è pertanto : Cx + Y = Pt 1390 + 1870 = 3260. b) La produzione finale è la differenza tra Pt e Cx ed è pari al valore aggiunto (reddito): Y = 1870. I consumi finali e gli investimenti sono: C = 0.8 1870 = 1496; I = 0.2 1870 = 374. Pertanto si ha: conto di equilibrio beni e servizi: Pt = Cx + C + I 3260 = 1390 + 1496 + 374; conto risorse e impieghi: Y = C + I 1870 = 1496 + 374. 2.1.4. I prezzi di valutazione della produzione e del valore aggiunto I flussi che formano gli aggregati della CN vengono in genere valutati ai prezzi di mercato, ovvero al prezzo sostenuto dall’acquirente (prezzo di acquisto). Per la produzione il SEC però assume l’”ottica del produttore” per cui il prezzo da applicare non è quello pagato dall’acquirente ma quello percepito dal produttore, che viene chiamato prezzo base. La differenza è costituita dalle componenti del prezzo che derivano da imposte prelevate dalle PA o da contributi che le PA erogano alle imprese. Più precisamente, si tratta delle imposte (indirette) sui prodotti e dei relativi contributi. Le imposte sui prodotti (Tp) sono imposte commisurate alla quantità o al valore dei beni e servizi prodotti o scambiati (IVA, imposte e dazi sulle importazioni, imposte di fabbricazione, diritti sugli spettacoli, imposte sulla pubblicità, ecc.). Tali imposte ovviamente gravano sui costi di acquisto dei prodotti sostenuti dagli acquirenti, ma vengono versate allo Stato e non fanno certo parte dei ricavi dei produttori. I contributi ai prodotti (Rcp) sono invece erogati dalle PA ai produttori e commisurati ai beni e servizi prodotti o scambiati, compresi quelli importati, in genere proprio per tenere basso il prezzo di mercato, integrando le entrate dei produttori medesimi. Ad esempio, i contributi alla produzione di olio d’oliva, i contributi alle società di trasporto pubblico a copertura delle perdite subite dovendo praticare prezzi inferiori ai costi di produzione in ottemperanza ad indirizzi di politica sociale stabiliti dalle PA. Sono insomma una sorta di imposte negative, che fanno parte dei ricavi dei produttori (sono parte dei cosiddetti ricavi accessori compresi nel fatturato) ma non del prezzo di acquisto degli acquirenti. Se indichiamo con Pt(pb) la produzione totale a prezzi base e con Pt(pm) la stessa produzione valutata a prezzi di mercato si ha: Pt(pb) = Pt(pm) - Tp + Rcp = Pt(pm) - (Tp - Rcp), dove (Tp - Rcp) sono le imposte sui prodotti al netto dei relativi contributi .

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La medesima valutazione a prezzi base è prevista anche per il valore aggiunto, ottenuto come differenza tra la produzione totale a prezzi base e i consumi intermedi valutati a prezzi di mercato. Indicato con Y(pb) il valore aggiunto a prezzi base e con Y(pm) quello a prezzi di mercato, valgono pertanto analoghe relazioni: Y(pb) = Y(pm) - Tp + Rcp = Y(pm) - (Tp - Rcp). Per il valore aggiunto, pur non previsto dal SEC, si utilizza spesso anche un terzo criterio di valutazione, ovvero la valutazione al costo dei fattori. Poiché il valore aggiunto esprime anche, come più volte ricordato, la remunerazione dei fattori produttivi primari, la valutazione al costo dei fattori intende far coincidere esattamente il valore aggiunto con la somma di tali remunerazioni, il che comporta l’esclusione di altre imposte (sulla produzione) e l’inclusione di altri contributi (alla produzione). Le altre imposte sulla produzione (Tp’) comprendono tutte le imposte prelevate sulle imprese a motivo dell’attività di produzione, non commisurate alla quantità o al valore dei beni e servizi prodotti o scambiati (IRAP; imposte sulla proprietà o sull’utilizzo di terreni o fabbricati impiegati dalle imprese nell’attività di produzione; tasse relative a licenze professionali o per l’esercizio di attività; imposte sull’inquinamento provocato dalle attività di produzione, ecc.). Tutte queste imposte gravano anch’esse sul prezzo di mercato, e sono anche comprese nel prezzo base, ma riducono il reddito da distribuire tra i fattori produttivi e vanno dunque sottratte, se si intende effettuare una valutazione del valore aggiunto al costo dei fattori. Gli altri contributi alla produzione (Rcp’) comprendono tutti i contributi erogati dalle PA alle imprese a motivo dell’esercizio dell’attività di produzione e non commisurati ai beni e servizi prodotti: contributi per l’occupazione di particolari categorie di lavoratori (disabili, disoccupati di lunga durata, ecc.) o per la formazione professionale; per la riduzione dell’inquinamento; contributi in conto interessi. Al contrario delle imposte di cui sopra, questi contributi aumentano il reddito da distribuire tra i fattori produttivi e nella valutazione al costo dei fattori vanno quindi aggiunti. Indicato con Y(cf) il valore aggiunto al costo dei fattori, vale dunque la seguente relazione: Y(cf) = Y(pb) - (Tp’ - Rcp’) e poiché Y(pb) = Y(pm) - (Tp - Rcp), si ha anche Y(cf) = Y(pm) - (Tp - Rcp) - (Tp’ + Rcp’). Dalle relazioni precedenti possiamo ovviamente esprimere anche la valutazione ai prezzi di mercato in relazione a quelle a prezzi base e al costo dei fattori, nel modo seguente: Y(pm) = Y(pb) + (Tp - Rcp) Y(pm) = Y(cf) + (Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’).

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2.2. I conti della formazione e dell’impiego delle risorse secondo il SEC95 I primi conti del sistema di CN sono tutti relativi ad operazioni su beni e servizi e descrivono la formazione delle risorse disponibili nel sistema economico e il loro impiego. Come già accennato, tali conti sono:

- il conto di equilibrio dei beni e servizi; - il conto della produzione; - il conto delle risorse e degli impieghi.

Conto di equilibrio dei beni e servizi E’ il primo conto del sistema e rappresenta il bilancio tra gli elementi dell’offerta complessiva di risorse di cui dispone il sistema economico e gli elementi della domanda complessiva, ovviamente per un sistema economico aperto agli scambi con il resto del mondo. Tra gli elementi dell’offerta figurano la produzione totale, compresa quella destinata ad usi intermedi di altre imprese, e le importazioni di beni e servizi dall’estero. Tra gli elementi della domanda figurano i consumi intermedi e gli elementi della domanda finale, sia interna (i consumi finali e gli investimenti), sia estera (le esportazioni). Gli investimenti a loro volta sono articolati in diverse componenti: gli investimenti fissi lordi, le variazioni delle scorte e gli investimenti in oggetti di valore. Rinviando a più avanti le definizioni di ognuno di questi aggregati, vediamo intanto come si esprime questa prima equazione contabile. Riprendiamo alcune notazioni già introdotte e aggiungiamo le altre necessarie: Pt : Produzione totale (a prezzi base); Tp : Imposte sui prodotti; Rcp : Contributi ai prodotti; M : Importazioni di beni e servizi; Cx : Consumi intermedi; Cf : Consumi finali; If : Investimenti fissi lordi; Ivs : Investimenti in variazione delle scorte; Iov : Investimenti in oggetti di valore; E : Esportazioni di beni e servizi. Il conto di equilibrio dei beni e servizi assume la seguente forma:

M + Pt + (Tp - Rcp) = Cx + Cf + If + Ivs + Iov + E Come si vede, nella equazione contabile figurano, oltre agli aggregati sopra menzionati, anche le imposte sui prodotti al netto dei relativi contributi. La ragione è che la produzione totale, come già detto, è valutata a prezzi base, mentre tutti gli altri aggregati sono valutati a prezzi di acquisto o di mercato e quindi affinché l’equilibrio del conto sia assicurato occorre aggiungere l’aggregato (Tp - Rcp) dal lato dell’offerta.

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Conto della produzione Come ripetuto più volte, il conto della produzione esprime il valore della produzione totale come somma dei costi sostenuti per ottenerla: i costi per beni e servizi intermedi e quelli per la remunerazione dei fattori produttivi primari. La somma delle remunerazioni dei fattori produttivi primari è l’aggregato valore aggiunto, più precisamente denominato, quando ci si riferisce all’intera economia, prodotto interno lordo (Pil). Va precisato infatti che nella terminologia della CN l’espressione valore aggiunto è utilizzata per esprimere lo stesso concetto del Pil a livello di branca di attività. Si parla cioè di valore aggiunto dell’agricoltura o dell’industria o dei servizi e di prodotto interno lordo del paese. Il Pil ai prezzi di mercato misura il risultato finale dell’attività produttiva delle unità residenti ed è pari alla somma dei valori aggiunti delle branche aumentata delle imposte nette sui prodotti (compresa l’IVA). Va notato che il Pil ai prezzi di mercato coinciderebbe esattamente con la somma dei valori aggiunti di branca se anche questi fossero valutati ai prezzi di mercato. Il conto della produzione assume dunque la seguente forma:

Cx + Yp = Pt + (Tp - Rcp)

dove Yp : Prodotto interno lordo. Il conto della produzione ci mostra che il Pil si ottiene anche sottraendo i consumi intermedi alla produzione totale, e quindi può anche essere inteso, oltre che come reddito, anche come produzione finale, ovvero come l’aggregato che esprime il risultato privo di duplicazioni del processo di creazione di nuova ricchezza. Conto delle risorse e degli impieghi Il conto delle risorse e degli impieghi deriva dalla fusione del conto di equilibrio dei beni e servizi e del conto della produzione, sommando le due sezioni di destra e le due di sinistra e cancellando per compensazione i flussi di uguale denominazione e diverso segno:

M + Yp = Cf + If + Ivs + Iov + E In questo conto non compaiono più né la produzione totale, né i consumi intermedi, ma soltanto risorse e impieghi finali. Il conto esprime pertanto il bilancio tra le risorse e gli impieghi di beni e servizi per usi finali. Peraltro, tutti gli aggregati del conto sono a prezzi di mercato e quindi non vi compaiono più neppure le imposte nette sui prodotti. Dal conto delle risorse e degli impieghi risulta chiaro anche il terzo concetto che il Pil esprime: quello di spesa finale. Il Pil è infatti ottenibile come somma delle componenti della domanda finale interna (consumi finali e investimenti) e delle esportazioni nette (E – M).

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2.3. I metodi di valutazione del Pil Come si è visto, il prodotto interno lordo esprime contemporaneamente tre diversi concetti: quello di produzione finale; quello di reddito percepito dai fattori produttivi primari; quello di spesa finale. Ad ognuno di tali concetti corrisponde un possibile metodo di stima, come nello schema seguente:

Concetto espresso dal Pil

Metodo di valutazione

Produzione finale

Metodo reale o del valore aggiunto

Reddito

Metodo personale o del reddito

Spesa finale

Metodo del bilancio o della spesa

Il metodo reale (o del valore aggiunto) vede il Pil come produzione finale, ovvero come differenza tra produzione totale e consumi intermedi. Può essere pertanto valutato a partire dai dati aziendali e successiva aggregazione per determinare il valore aggiunto delle branche di attività. Il Pil è infine ottenuto come somma dei valori aggiunti delle branche. Con un accorgimento però: poiché il valore aggiunto di ogni branca è valutato a prezzi base e non ai prezzi di mercato – essendo ottenuto sottraendo i consumi intermedi alla produzione totale valutata a prezzo base – per ottenere il prodotto interno lordo, che è valutato invece ai prezzi di mercato, alla somma dei valori aggiunti delle branche vanno sommate le imposte sui prodotti al netto dei relativi contributi, che come si è visto fanno appunto la differenza tra un aggregato valutato a prezzi base e il medesimo aggregato valutato a prezzi di mercato. Indicato con Yh il valore aggiunto di una generica branca h si ha: Yp = ∑

hhY + (Tp - Rcp).

Il metodo personale (o del reddito) vede il Pil come somma delle remunerazioni dei fattori primari impiegati nel processo produttivo. Può essere pertanto valutato a partire dai dati personali (di origine fiscale) concernenti i redditi percepiti dai titolari dei fattori produttivi (lavoro, capitale, impresa) impiegati per realizzare la produzione. Anche in questo caso tuttavia la semplice somma dei redditi guadagnati dai titolari dei fattori produttivi primari non conduce direttamente al valore del Pil ai prezzi di mercato, ma alla valutazione del valore aggiunto al costo dei fattori. A tale valutazione occorre pertanto aggiungere tutte le imposte sui prodotti e sulla produzione al netto dei relativi contributi: Y(pm) = Y(cf) + (Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’). Il metodo del bilancio (o della spesa) vede il Pil come somma delle spese finali sostenute dagli operatori. Può essere pertanto valutato a partire dalle stime degli

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aggregati di domanda, ovvero dei consumi finali, delle diverse componenti degli investimenti, delle esportazioni nette. A differenza dei metodi precedenti, in quest’ultimo caso gli aggregati da cui deriva il Pil sono tutti valutati a prezzi di mercato e quindi lo stesso Pil ne risulta valutato a prezzi di mercato, senza apportare alcun aggiustamento: Yp = Cf + If + Ivs + Iov + (E - M). La scelta dell’uno o dell’altro metodo dipende dalle caratteristiche dei sistemi statistici dei diversi paesi. Ad esempio, è evidente che il metodo personale è concretamente applicabile solo se sono considerate sufficientemente affidabili le relative informazioni contenute nelle banche dati fiscali e se, di conseguenza, il sistema statistico è in condizione di fondarsi anche su tale fonte statistica di tipo amministrativo. In Italia l’affidabilità dei dati di origine fiscale come noto non è particolarmente elevata. Di conseguenza, la stima del valore aggiunto e del Pil avviene attraverso il metodo reale ed è quindi basata essenzialmente su informazioni derivanti da indagini statistiche sulle imprese. Le stime indipendenti delle diverse componenti della domanda finale, cui si accennerà più avanti, consentono poi di utilizzare il metodo del bilancio o della spesa come metodo di controllo della compatibilità delle diverse stime ottenute. ESERCIZIO 3 Nella tabella seguente sono riportati alcuni aggregati relativi all’economia italiana nel 2006 (milioni di euro).

Aggregati Valore Valore aggiunto (a prezzi base) Agricoltura 27192 Industria in senso stretto 270001 Costruzioni 79776 Servizi 939618 Produzione totale (a prezzi base) 2923833 Consumi finali 1174481 Consumi intermedi 1607249 Investimenti fissi lordi 306605 Variazione scorte e oggetti di valore 6426 Importazioni 422843 Esportazioni 410732 Imposte sui prodotti al netto dei contributi 158817 Altre imposte sulla produzione al netto dei contributi 44652

a) Calcolare il prodotto interno lordo in tutti i modi possibili. b) Calcolare inoltre, nei vari modi possibili, il valore aggiunto ai prezzi base e al costo dei fattori.

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Soluzione: a) Con i dati a disposizione, il prodotto interno lordo può essere calcolato nei modi seguenti: 1) come somma dei valori aggiunti di branca a prezzi base più le imposte sui prodotti al netto dei contributi (metodo reale): Yp = ∑

hhY + (Tp - Rcp).

= (27192 + 270001 + 79776 + 939615) + 158817 = 1475401; 2) a saldo del conto delle risorse e degli impieghi (metodo del bilancio): Yp = Cf + If + (Ivs + Iov) + E – M = 1174481 + 306605 + 6426 + 410732 – 422843 = 1475401; 3) a saldo del conto della produzione: Yp = Pt + (Tp - Rcp) – Cx = 2923833 + 158817 – 1607249 = 1475401. b) Il valore aggiunto a prezzi base Y(pb) è la soma dei valori aggiunti delle branche: Y(pb) = 27192 + 270001 + 79776 + 939615 = 1316584; ma si può anche ottenere come differenza tra la produzione totale a prezzi base e i consumi intermedi: Y(pb) = Pt - Cx = 2923833 – 1607249 = 1316584; o anche dal Pil ai prezzi di mercato meno le imposte sui prodotti al netto dei contributi: Y(pb) = Y(pm) - (Tp - Rcp) = 1475401 – 158817 = 1316584. Il valore aggiunto al costo dei fattori è dato dal valore aggiunto a prezzi base meno le altre imposte sulla produzione al netto dei contributi: Y(cf) = Y(pb) - (Tp’ - Rcp’) = 1316584 – 44652 = 1271932 o anche dal Pil ai prezzi di mercato meno le imposte sui prodotti e sulla produzione al netto dei contributi: Y(cf) = Y(pm) - (Tp - Rcp) - (Tp’ + Rcp’) = 1475401 – 158817 – 44652 = 1271932. 2.4. I consumi finali I consumi finali sono la componente largamente prevalente dell’impiego delle risorse disponibili per usi finali (Pil e importazioni): in Italia circa l’62% del totale (e l’80% del Pil). L’aggregato consumi finali rappresenta la spesa sostenuta per soddisfare i bisogni, compresi quelli di carattere collettivo soddisfatti dalle pubbliche amministrazioni. Più precisamente, i consumi finali sono costituiti dagli acquisti di beni e servizi fatti, nel paese o all’estero, dalle famiglie, dalle PA o dalle istituzioni sociali private per soddisfare bisogni individuali e collettivi della popolazione. A differenza del Pil, i consumi finali sono dunque definiti su base nazionale (consumi finali nazionali): come si è detto, comprendono infatti tutte le spese sostenute dai residenti, comprese quelle effettuate all’estero (in particolare le spese per turismo fuori dal paese) ed escluse invece le spese per consumi dei non residenti effettuate nel territorio economico del paese (in particolare le spese dei turisti stranieri).

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Come emerge dalla precedente definizione, i consumi finali possono essere classificati secondo due criteri:

- la natura dei bisogni soddisfatti: individuali , espressi dalle singole persone o famiglie, come l’alimentazione, il vestiario, i trasporti, ecc.; collettivi , ovvero bisogni indivisibili espressi collettivamente dalla popolazione, come la difesa nazionale, la sicurezza pubblica, ecc.;

- i soggetti che sostengono la spesa: famiglie, pubbliche amministrazioni,

istituzioni sociali private. La spesa delle famiglie è ovviamente tutta destinata al soddisfacimento di bisogni individuali. Anche la spesa delle istituzioni sociali private (al servizio delle famiglie) è considerata come destinata a soddisfare bisogni esclusivamente individuali. La spesa delle pubbliche amministrazioni è invece rivolta a soddisfare sia bisogni collettivi, come quelli sopra ricordati (difesa, sicurezza) ed altri ancora, che solo le PA possono soddisfare, sia bisogni a carattere individuale, come l’istruzione, la sanità, i trasporti pubblici, i servizi sociali, ecc., che invece possono essere soddisfatti anche da soggetti privati. L’estensione di questa seconda componente della spesa delle PA può di conseguenza variare molto da paese a paese, in particolare a seconda dell’orientamento politico prevalente con riferimento alla estensione dell’intervento dello stato in campo sociale. Lo schema seguente esprime la classificazione dei consumi finali secondo i due criteri:

Soggetti che sostengono la spesa

Natura dei bisogni

Totale spesa

Individuali

Collettivi Famiglie PA ISP

X X X

X

Spesa delle famiglie Spesa delle PA Spesa delle ISP

In complesso

Consumi individuali

Consumi collettivi

Consumi finali

In definitiva, l’aggregato consumi finali può essere visto alternativamente come la somma dei tre aggregati di spesa – delle famiglie, delle PA, delle ISP – o come la somma dei due aggregati che esprimono le due diverse tipologie di bisogni soddisfatti: i consumi finali individuali e i consumi finali collettivi. In particolare, l’aggregato consumi finali individuali esprime un concetto molto rilevante per l’analisi economica e sociale: quello di consumi finali effettivi delle famiglie, ovvero il valore dei beni e servizi da esse effettivamente consumati per soddisfare i propri bisogni individuali, indipendentemente dalla circostanza che le famiglie stesse abbiano sostenuto direttamente o no la relativa spesa. I consumi finali effettivi esprimono dunque più completamente e correttamente di quanto non faccia la spesa delle famiglie i bisogni da esse effettivamente soddisfatti e quindi il loro livello di benessere.

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Cerchiamo ora di precisare meglio che cosa comprendono le diverse componenti dei consumi finali e poi attraverso quali metodi essi vengono stimati. La Spesa delle famiglie comprende tutte le spese da esse sostenute per acquistare sul mercato beni e servizi destinati al consumo. Comprende tuttavia anche tutte quelle componenti viste in precedenza, che rientrano nel concetto di produzione e sono destinate al consumo senza passare per il mercato: la produzione per uso proprio (autoconsumi) dei produttori agricoli; la produzione (e il conseguente autoconsumo) di servizi abitativi da parte delle famiglie che abitano la casa di proprietà (fitti figurativi); le retribuzioni in natura percepite dai lavoratori dipendenti; i servizi domestici prodotti dalle famiglie con personale retribuito e utilizzati (consumati) dalle famiglie stesse. Nell’ambito della spesa delle famiglie possono sorgere problemi di confine tra ciò che va considerato consumo finale e ciò che invece potrebbe essere consumo intermedio o perfino investimento, poiché i beni acquistati dalle famiglie non sempre hanno in sé la connotazione di beni di consumo finale. Il problema sorge soprattutto per alcune spese – energia elettrica, carburanti, mobili, automobili, ecc. – delle famiglie di lavoratori autonomi, professionisti, piccoli imprenditori, per le quali bisogna distinguere gli acquisti fatti per l’attività dell’impresa da quelli fatti per le esigenze della famiglia. Nel primo caso si tratta di beni e servizi impiegati nel processo produttivo e quindi le relative spese vanno considerate consumi intermedi (nel caso della energia elettrica o dei carburanti, ad esempio) o investimenti (nel caso dei mobili, delle automobili e dei beni durevoli in genere). Nel secondo caso si tratta invece sempre di consumi finali. Un caso particolare riguarda le spese di trasporto sostenute dai lavoratori dipendenti per recarsi al lavoro: pur trattandosi di spese sostenute per la produzione del reddito, rientrano nei consumi finali e non in quelli intermedi, non essendo a carico dei datori di lavoro ma degli stessi lavoratori dipendenti. Le imprese possono infatti conteggiare tra i consumi intermedi soltanto le spese effettivamente sostenute, non anche quelle che, pur funzionali all’attività di produzione, sono sostenute da altri soggetti. In base allo stesso criterio, peraltro, tutta la produzione di servizi non destinabili alla vendita delle pubbliche amministrazioni è considerata finale, anche se in parte se ne avvantaggiano le imprese nel loro processo produttivo, come nel caso, ad esempio, dei servizi prodotti dai ministeri delle attività produttive o dai corrispondenti assessorati regionali o degli enti locali. L’acquisto (o la produzione in proprio) di abitazioni da parte delle famiglie costituisce invece l’unico esempio di investimento fatto dalle famiglie stesse, in corrispondenza del quale ogni anno dovrà essere valutata la produzione di servizi che tale bene capitale produce, da considerare, come già detto, nell’aggregato produzione e in quello dei consumi finali. La stima della spesa delle famiglie può essere fatta utilizzando tre diversi metodi, a seconda della disponibilità di informazioni e del tipo di beni:

- il metodo della spesa, che consiste nel rilevare, con una apposita indagine, il valore degli acquisti fatti dalle famiglie;

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- il metodo delle vendite, che consiste nel rilevare lo stesso valore dai soggetti che vendono (in particolare i commercianti) o facendo ricorso a statistiche amministrative (ad esempio, immatricolazioni di automobili nel pubblico registro automobilistico);

- il metodo della disponibilità, che è una variante del precedente, e che consiste

nel determinare le “vendite apparenti” sottraendo al totale delle risorse disponibili di un determinato bene (produzione totale e importazioni) gli impieghi diversi dai consumi finali (consumi intermedi o investimenti).

In Italia si utilizza prevalentemente il metodo della spesa, che si basa su una estesa indagine sui consumi delle famiglie. Si tratta di una indagine campionaria su circa 24.000 famiglie – ognuna delle quali impegnata per una settimana – con la quale si rilevano, insieme alle principali caratteristiche delle famiglie (numero di componenti, condizione professionale, tipo di comune di residenza, ecc.) tutte le spese sostenute per consumi finali. Per gli acquisti ricorrenti, la rilevazione avviene attraverso la registrazione su un libretto delle spese di ogni singolo acquisto effettuato in ogni giorno della settimana dai membri della famiglia. Per gli acquisti meno ricorrenti, la rilevazione viene invece fatta con riferimento alle spese sostenute nel corso dell’ultimo trimestre. La Spesa delle pubbliche amministrazioni per consumi finali è la somma di due componenti. La prima è costituita dal valore della produzione di beni e servizi delle PA, compresa in parte nei consumi individuali e in parte nei consumi collettivi, a seconda del tipo di servizio. Ad esempio, la produzione di servizi di ordine pubblico o relativi alla amministrazione generale dello stato, compresa nei consumi collettivi; la produzione dei servizi degli ospedali pubblici o delle scuole pubbliche, compresa nei consumi individuali. Il valore di questa componente della spesa è pari al valore della produzione (totale) dei relativi servizi delle PA, valutata al costo (beni e servizi intermedi impiegati più valore aggiunto). La seconda componente della spesa delle PA è costituita dal valore dei beni e servizi acquistati sul mercato e ceduti dalle PA alle famiglie senza corrispettivo, come prestazioni sociali in natura. Ad esempio, i medicinali a carico del servizio sanitario nazionale, i servizi sanitari presso case di cura private convenzionate, ecc. La Spesa delle istituzioni sociali private è formata dalle medesime due componenti della spesa per consumi individuali delle PA: a) il valore della produzione di beni e servizi prodotti da tali istituzioni, che essendo al servizio esclusivo delle famiglie sono tutti considerati di tipo individuale. Analogamente a quanto appena detto per la PA, il valore di questa componente della spesa è pari al valore della produzione (totale) dei relativi servizi (beni e servizi intermedi più valore aggiunto); b) il valore dei beni e servizi acquistati sul mercato e ceduti dalle ISP alle famiglie senza corrispettivo, come prestazioni sociali in natura. Nella tabella seguente sono riportati i consumi finali dell’Italia nel 2005 classificati per settore che sostiene la spesa e con separazione dei consumi individuali da quelli collettivi nell’ambito della spesa delle PA.

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Tabella 2.1. Consumi finali. Italia 2005 (milioni di euro) Valore Aggregati consumi Spesa delle famiglie 834264 Spesa delle pubbliche amministrazioni 290636 per consumi individuali 171160 per consumi collettivi 119476 Spesa delle Istituzioni sociali private 5391 Consumi finali 1130291

ESERCIZIO 4 Con i dati della tabella precedente calcolare i consumi finali effettivi delle famiglie. Soluzione: I consumi finali effettivi delle famiglie coincidono con il totale dei consumi individuali, sono cioè dati dalla somma della spesa delle famiglie delle ISP e della parte di spesa delle PA destinata a consumi individuali: Consumi finali effettivi = 834264 + 5391 + 171160 = 1010815. 2.5. Gli investimenti lordi Gli investimenti lordi sono costituiti dalle acquisizioni, al netto delle cessioni, da parte dei produttori di beni destinati a generare reddito in uno o più periodi successivi. Essi sono articolati in tre diversi aggregati:

- gli investimenti fissi lordi; - la variazione delle scorte; - gli acquisti netti di oggetti di valore.

Gli investimenti fissi lordi. Sono definiti come il valore dei beni materiali e immateriali prodotti acquistati dai produttori per essere impiegati nel processo produttivo per un periodo superiore ad un anno. Si tratta dunque di beni:

- materiali , come i fabbricati, i macchinari, gli autoveicoli, ecc.; - ma anche immateriali , come il software, gli originali di opere letterarie e

artistiche, ecc.; - prodotti , ovvero derivanti da una attività di produzione; il che esclude ad

esempio l’acquisto di terreni o di giacimenti minerari: nel conto delle risorse e degli impieghi solo ciò che fa parte delle risorse – la produzione (o le importazioni) – può far parte degli impieghi e quindi degli investimenti;

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- impiegati nel processo produttivo, il che esclude altri beni capitali come ad esempio gli armamenti, che sono infatti compresi nei consumi della pubblica amministrazione;

- per un periodo superiore all’anno, il che esclude dal novero degli investimenti i beni non durevoli, che rientrano tra i consumi intermedi.

Nell’aggregato investimenti fissi rientrano peraltro i servizi in essi incorporati, forniti da intermediari e notai, che gravano anche sullo scambio di beni di investimento usati. In quest’ultimo caso a livello del complessivo sistema economico gli acquisti e le cessioni si compensano e quindi contribuiscono all’aggregato investimenti fissi soltanto tali servizi. Poiché ne aumentano la durata e l’efficienza, sono inoltre compresi negli investimenti fissi anche le manutenzioni e riparazioni straordinarie. I possibili metodi di calcolo degli investimenti fissi sono gli stessi visti a proposito dei consumi finali:

- metodo della spesa, basato cioè sulla rilevazione diretta degli acquisti di beni di investimento fatti dalle imprese. Per la CN italiana le informazioni sono raccolte con due indagini correnti sulle imprese (vedi Cap. 7);

- metodo delle vendite, utilizzato per gli acquisti di beni di investimento soggetti a

registrazione amministrativa (autoveicoli, navi, aerei, macchine agricole semoventi);

- metodo delle disponibilità, utilizzato per le costruzioni, i macchinari, le

attrezzature, la cui produzione (e importazione) ha come possibile destinazione soltanto l’investimento e le esportazioni. Valutate queste ultime, ne deriva a saldo la stima degli investimenti.

Nell’ambito degli investimenti fissi lordi è importante la distinzione tra investimenti sostitutivi e investimenti aggiuntivi. I primi sono gli investimenti necessari per ripristinare il capitale “consumato” nel corso del processo produttivo, che ha subito una riduzione di valore per effetto del logorio fisico e della obsolescenza economica (invecchiamento tecnologico). Come si è visto, tale perdita di valore è misurata dagli ammortamenti e quindi gli stessi ammortamenti rappresentano i cosiddetti investimenti sostitutivi. Gli investimenti aggiuntivi sono la parte residua: la differenza tra investimenti fissi lordi e ammortamenti, ovvero gli investimenti fissi netti. Questi ultimi misurano dunque l’effettivo incremento di dotazione di capitale fisso del sistema produttivo. I dati sugli investimenti sono articolati per branche di attività secondo due diverse modalità:

- per branche proprietarie, ovvero gli acquisti di beni di investimento fatti dalle unità produttive appartenenti alle varie branche;

- per branche produttrici , ovvero il valore dei beni di investimento prodotti dalle

varie branche.

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E’ evidente che tutte le branche di attività presentano valori significativi degli investimenti classificati secondo il primo criterio, mentre soltanto alcune branche, cioè quelle che producono beni di investimento (costruzioni, meccanica, mezzi di trasporto), presentano valori non nulli degli investimenti classificati per branche produttrici. Nelle tabelle seguenti sono riportati gli investimenti fissi lordi dell’Italia nel 2005 classificati per branche proprietarie e per branche produttrici.

Tabella 2.2. Investimenti fissi lordi per branche proprietarie. Italia 2005 (milioni di euro) Valore Branche proprietarie investimenti Agricoltura 12340 Industria in senso stretto 70464 Costruzioni 9799 Servizi 200018 Totale 292621

Tabella 2.3. Investimenti fissi lordi per branche produttrici. Italia 2005 (milioni di euro) Valore Branche produttrici investimenti Prodotti in metallo e macchine 93902 Mezzi di trasporto 26903 Costruzioni 138330 Altri prodotti 33486 Totale 292621

La variazione delle scorte. Misura la variazione del capitale circolante che si è verificata durante il periodo contabile. Come già rilevato a proposito della valutazione della produzione e del valore aggiunto a livello aziendale, si possono distinguere tre diversi tipi di scorte:

- materie prime e beni intermedi acquistati dai produttori; - prodotti finiti ma non ancora venduti; - prodotti in corso di lavorazione.

La variazione deve essere valutata in termini fisici , separatamente per le tre tipologie di scorte, e applicando ad ognuna delle tre variazioni appropriati prezzi medi del periodo contabile. I dati aziendali non sono quindi utilizzabili neppure in questo caso,

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poiché nei bilanci delle aziende la differenza tra i valori assegnati alle scorte alla fine e all’inizio del periodo contabile riflette non solo le variazioni delle quantità di beni (del livello fisico delle scorte), ma anche le eventuali variazioni dei prezzi verificatesi durante il periodo contabile. Ma come sappiamo, le variazioni dei prezzi non possono essere conteggiate perché costituiscono variazioni in conto capitale e quindi non rientrano nel concetto di produzione: anche per le scorte vale la regola che solo ciò che viene registrato tra le risorse (produzione e importazioni) può essere registrato tra gli impieghi. I prezzi medi da applicare devono peraltro essere coerenti con quelli adottati per la valutazione della produzione e dei consumi intermedi. Pertanto alla variazione delle scorte di beni e servizi intermedi si applicano i prezzi di acquisto; a quella dei prodotti finiti si applicano i prezzi base e alla variazione dei prodotti in corso di lavorazione i costi di produzione. Le acquisizioni meno cessioni di oggetti di valore. Gli oggetti di valore sono beni non finanziari acquistati e posseduti soprattutto come beni rifugio: oggetti d’arte, da collezione e di antiquariato, gioielli, pietre preziose, oro non monetario, ecc. Per le loro specifiche caratteristiche di beni rifugio non utilizzati nei processi produttivi, se non secondariamente (ad esempio, i mobili di antiquariato negli uffici delle aziende), questi beni non fanno parte degli investimenti fissi e tuttavia concorrono alla formazione lorda del capitale, sia delle imprese, sia delle famiglie. Per quanto riguarda la compravendita degli oggetti di valore, poiché a livello dell’intero sistema economico gli acquisti e le cessioni si compensano tra loro, contribuiscono all’aggregato soltanto i margini degli intermediari. A questi naturalmente va aggiunto il valore della nuova produzione del periodo, valutata ai prezzi base, come tutta la produzione. 2.6. Le importazioni e le esportazioni Le importazioni e le esportazioni sono operazioni su beni e servizi tra residenti e non residenti. Le importazioni sono la componente estera della formazione (offerta) di risorse, le esportazioni la componente estera del loro impiego (domanda). Entrambi gli aggregati riguardano sia beni che servizi. Le importazioni e le esportazioni di beni comprendono gli scambi di merci a titolo oneroso o gratuito tra residenti e non residenti e sono registrate nel momento in cui avviene il trasferimento di proprietà. Entrambi gli aggregati sono valutati a prezzi Fob (free on board), che comprendono: il prezzo base del bene; il costo dei servizi di distribuzione e trasporto fino alla frontiera; le imposte sui prodotti meno i contributi. Le importazioni e le esportazioni di servizi comprendono tutti i servizi (di trasporto, comunicazioni, assicurazioni, istruzione, sanitari, turistici, ecc.) prestati da non residenti a favore di residenti (importazioni) o da residenti a favore di non residenti (esportazioni). Le spese per viaggi all’estero riguardano sia beni che servizi, ma per semplicità vengono considerate tra le importazioni o esportazioni di servizi. Come già detto a proposito dei consumi finali, le spese delle famiglie residenti per viaggi all’estero sono comprese tra i consumi finali. Un aggregato di pari valore ora lo ritroviamo dal lato dell’offerta tra le importazioni di servizi. D’altro canto, i consumi finali (nazionali) non comprendono le spese nel paese dei turisti stranieri, che ora compaiono nel conto risorse e impieghi tra le esportazioni. La coerenza contabile dei

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diversi aggregati è dunque assicurata ed è anche spiegata la ragione per cui la valutazione dei consumi finali è fatta su base nazionale. A conclusione di questo capitolo, nelle tabelle seguenti sono riportati i conti della produzione e delle risorse e impieghi dell’Italia nel 2005.

Tabella 2.4. Conto della produzione. Italia 2005 (milioni di euro) Aggregati Valore RISORSE Produzione totale (a prezzi base) 2792552 Imposte nette sui prodotti 145056 IMPIEGHI Consumi intermedi 1514560 Prodotto interno lordo 1423048

Tabella 2.5. Conto delle risorse e degli impieghi. Italia 2005 (milioni di euro) Aggregati Valore RISORSE Prodotto interno lordo 1423048 Importazioni 371770 IMPIEGHI Consumi finali 1130291 Investimenti fissi lordi 292621 Variazione scorte -1191 Oggetti di valore 2377 Esportazioni 370731

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ESERCIZIO 5 Nella tabella seguente sono riportati alcuni aggregati relativi all’economia italiana nel 2006 (milioni di euro)

Aggregati Valore Importazioni 422843 Esportazioni 410732 Spesa delle famiglie 869209 Spesa delle PA 299512 Spesa delle ISP 5760 Investimenti fissi lordi 306605 Produzione totale (a prezzi base) 2923833 Consumi intermedi 1607249 Imposte sui prodotti al netto dei contributi 158817 Altre imposte sulla produzione al netto dei contributi 44652

Costruire il conto delle risorse e degli impieghi. Soluzione: Per costruire il conto mancano due aggregati: il prodotto interno lordo e la variazione delle scorte e oggetti di valore (che per semplicità consideriamo un solo aggregato). Il primo lo possiamo calcolare attraverso gli aggregati del conto della produzione, nel modo seguente (come già visto nell’esercizio n. 5): Yp = Pt + (Tp - Rcp) – Cx = 2923833 + 158817 – 1607249 = 1475401. La variazione delle scorte e oggetti di valore lo ricaviamo invece a saldo del conto delle risorse e degli impieghi, dopo aver calcolato i consumi finali come somma delle tre componenti di spesa (delle famiglie, delle PA e delle ISP): Cf = 869209 + 299512 + 5760 = 1174481 (Ivs + Iov) = Yp + M – ( Cf + If + E) = 1475401 + 422843 – (1174481 + 306605 + 410732) = 6426. E quindi il conto delle risorse e degli impieghi è il seguente: Yp + M = Cf + If + (Ivs + Iov) + E 1475401 + 422843 = 1174481 + 306605 + 6426 + 410732

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3. La distribuzione e ridistribuzione del reddito Le fasi della distribuzione e ridistribuzione del reddito riguardano le operazioni mediante le quali il risultato della attività produttiva viene ripartito tra i soggetti titolari dei fattori produttivi, nonché le operazioni con le quali si realizza la ridistribuzione del reddito e della ricchezza, prevalentemente per effetto dell’intervento dello Stato. La prima è la distribuzione primaria del reddito, così denominata perché riguarda i redditi che si formano nel processo economico attraverso l’impiego dei fattori produttivi primari; la seconda è la distribuzione secondaria o ridistribuzione del reddito, che modifica il potere di acquisto dei soggetti economici attraverso flussi indipendenti dall’impiego di fattori produttivi (trasferimenti). 3.1. La distribuzione primaria del reddito Il conto della produzione genera a saldo il Pil, da cui, detratti gli ammortamenti, si ottiene il prodotto interno netto, che rappresenta da un lato il valore della nuova ricchezza creata nel processo produttivo, dall’altro la somma delle remunerazioni dei fattori primari impiegati. Il prodotto interno netto è l’aggregato da ripartire e questa operazione di ripartizione costituisce la distribuzione primaria del reddito. Il SEC95 prevede che la distribuzione primaria del reddito venga descritta attraverso due conti:

- conto della generazione del reddito (o distribuzione del valore aggiunto), che descrive la ripartizione del risultato dell’attività produttiva tra i fattori primari che vi hanno concorso;

- conto della attribuzione dei redditi primari , che descrive la fase, speculare alla

precedente, della appropriazione dei redditi derivanti dall’impiego dei fattori nel processo di produzione da parte dei soggetti economici (unità istituzionali) che li possiedono.

3.1.1. Conto della generazione del reddito (distribuzione del valore aggiunto) L’aggregato da ripartire è il prodotto interno netto (Yp’), che essendo valutato ai prezzi di mercato comprende, oltre ai costi dell’impiego dei fattori produttivi primari (oggetto della ripartizione), tutte le imposte indirette sulla produzione e sulle importazioni al netto dei relativi contributi. Dunque, dal lato delle uscite del conto figurano anche le imposte sui prodotti e le altre imposte sulla produzione e con segno negativo i relativi contributi (imposte negative). I fattori primari della produzione, come abbiamo visto nel capitolo 2, sono il lavoro, il capitale e l’attività imprenditoriale. Ad essi corrispondono, secondo la teoria economica, tre diversi tipi di reddito: il reddito da lavoro (salari e stipendi); il reddito da capitale (interessi e rendite); il reddito di impresa (profitto). Nella realtà tuttavia le tre precedenti categorie di redditi non sono sempre misurabili separatamente, poiché accanto ai percettori “puri” di redditi da lavoro (operai, impiegati, dirigenti) o di redditi da capitale (titolari di azioni o obbligazioni, proprietari di terreni o fabbricati, ecc.),

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molti soggetti economici riassumono nella stessa persona più di un fattore produttivo e percepiscono pertanto un reddito che remunera complessivamente diversi fattori. E’ soprattutto il caso dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti), delle piccole imprese familiari e dei liberi professionisti, che percepiscono un reddito che remunera il lavoro da essi svolto, il capitale investito (automezzi, attrezzature, magazzini, locali, ecc.) e il rischio della loro attività imprenditoriale. Il reddito percepito da tutti questi soggetti, che sono classificati tra le famiglie produttrici, viene di conseguenza definito reddito misto. Vi sono poi, soprattutto in Italia, moltissime piccole e medie (e grandi) imprese nelle quali l’imprenditore, oltre ad apportare il capitale, svolge direttamente la funzione di direzione aziendale: percepisce pertanto un reddito che remunera entrambi i fattori produttivi, che è chiamato reddito di capitale-impresa. Inoltre, nell’ambito degli stessi redditi da capitale non è agevole identificare la quota riferibile all’impiego di capitale nella attività produttiva, alla quale corrispondono redditi primari, dalla quota che invece si riferisce ad altre operazioni economiche (interessi sui finanziamenti ottenuti per far fronte a spese personali impreviste, mutui per finanziare partecipazioni in altre società, e così via). Di conseguenza, i flussi dei redditi da capitale vengono descritti complessivamente nel successivo conto della attribuzione dei redditi primari. In conclusione, gli unici redditi primari che la CN riesce ad identificare separatamente sono i redditi da lavoro dipendente (Wp), valutati i quali si ottiene a saldo un aggregato residuale, denominato risultato di gestione e redditi misti (O) che comprende tutti gli altri redditi primari complessivamente considerati. I redditi interni da lavoro dipendente rappresentano il costo del lavoro sostenuto dalle imprese per l’impiego di lavoratori dipendenti, residenti o no, nelle loro attività produttive insediate nel territorio economico del paese (redditi valutati su base interna). Tali redditi sono costituiti da due componenti:

- le retribuzioni lorde; - i contributi sociali a carico del datore di lavoro.

Le retribuzioni lorde comprendono tutti i compensi, monetari e in natura, riconosciuti ai lavoratori dipendenti, valutati al lordo delle imposte e dei contributi sociali a carico dei dipendenti stessi, trattenuti alla fonte per essere versati alla amministrazione fiscale o agli enti previdenziali. Tra le retribuzioni in natura sono compresi i buoni pasto, i servizi degli asili nido aziendali, i fitti non pagati relativi ad abitazioni messe a disposizione dei dipendenti, le azioni gratuite distribuite ai dipendenti, le riduzioni di interessi sui prestiti concessi dal datore di lavoro, ecc. I contributi sociali a carico del datore di lavoro possono essere effettivi o figurativi . I primi sono versamenti fatti dai datori di lavoro agli enti previdenziali o alle imprese di assicurazione o ai fondi pensione a copertura dei rischi e bisogni sociali dei dipendenti (malattia, invalidità, maternità, carichi di famiglia, disoccupazione, vecchiaia, indigenza, ecc.) e quindi al fine di garantire le corrispondenti prestazioni sociali (indennità di malattia, di maternità, di disoccupazione, assegni famigliari, pensioni di invalidità, di vecchiaia, ecc.). I secondi (contributi figurativi) rappresentano la

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contropartita delle prestazioni sociali erogate ai dipendenti o ex-dipendenti direttamente dai datori di lavoro e non per il tramite di enti previdenziali o assicurazioni o fondi pensione e senza costituzione di riserve a tale fine. I redditi da lavoro dipendente vengono valutati a partire dalla stima delle unità di lavoro (Vedi Cap. 6) dipendenti. Moltiplicando le unità di lavoro dipendenti per le retribuzioni lorde unitarie, stimate tramite indagini ad hoc, si determinano le retribuzioni lorde complessive. I contributi sociali effettivi si rilevano dalle entrate degli enti previdenziali o degli organismi assicurativi. Quelli figurativi si stimano attraverso le informazioni fornite dai datori di lavoro. Il risultato di gestione e i redditi misti esprimono il reddito da capitale-impresa delle società e i redditi misti dei lavoratori in proprio e delle micro-imprese familiari. Da notare che a partire dal risultato di gestione e dai redditi misti si può determinare facilmente un aggregato equivalente al reddito di impresa, ovvero agli utili correnti prima della distribuzione e al lordo dell’imposta sul reddito. Il reddito d’impresa si ottiene infatti sommando al risultato di gestione o al reddito misto i redditi da capitale derivanti dalle attività finanziarie e dalle altre attività appartenenti all’impresa e sottraendo gli interessi da versare sui debiti contratti e i canoni di affitto da pagare per la locazione di terreni da parte dell’impresa. Per il paese il conto della generazione del reddito assume la seguente forma:

Wp + (Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’) + O = Yp’ La somma del reddito interno da lavoro dipendente (Wp) e del risultato di gestione e redditi misti netti (O) è il valore aggiunto (netto) al costo dei fattori (escluse tutte le imposte e compresi tutti i contributi). Il conto della generazione del reddito è l’ultimo conto del SEC che può essere costruito sia per branche che per settori istituzionali. Dal conto successivo non ha più senso ragionale per unità di produzione e branche, ma solo per unità istituzionali e settori. Nella tabella seguente è riportato il conto della generazione del reddito dell’Italia nel 2005.

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Tabella 3.1. Conto della generazione del reddito. Italia 2005 (milioni di euro) Aggregati Valore RISORSE Prodotto interno lordo 1423048 Ammortamenti (-) 222223 Prodotto interno netto 1200825 IMPIEGHI Redditi dal lavoro dipendente 581122 Retribuzioni lorde 422323 Contributi sociali a carico datori di lavoro 158799 Risultato di gestione e redditi misti 431729 Imposte nette sui prodotti 145056 Altre imposte nette sulla produzione 42918

3.1.2. Conto della attribuzione dei redditi primari Per questo conto, come per tutti i successivi, i soggetti di interesse sono le unità istituzionali, le uniche caratterizzate da autonomia di decisione in campo economico e finanziario, e quindi le sole protagoniste delle fasi di distribuzione e redistribuzione del reddito e dei processi di accumulazione. Il conto viene pertanto costruito anche per settori istituzionali, oltre che per il paese in complesso. Il conto della attribuzione dei redditi primari per settori istituzionali è costituito da due sezioni: la prima descrive l’acquisizione del reddito da parte dei soggetti (unità istituzionali) titolari dei fattori della produzione; la seconda mostra l’intera circolazione dei redditi da capitale, come nello schema seguente.

Aggregati

Società Famiglie Pubbliche ammin.

In complesso

Redditi lavoro dipendente - W - W

Risultato gestione e reddito misto O(s) O(f) O(pa) O

Imposte indirette nette - - T-Rc T-Rc

Redditi da capitale attivi K(s) K(f) K(pa) K

Redditi da capitale passivi (-) Kp(s) Kp(f) Kp(pa) Kp Saldo redditi primari

Yn(s)

Yn(f)

Yn(pa)

Yn

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Il reddito da lavoro dipendente è ovviamente attribuito al settore famiglie, tenendo conto però che le famiglie che appartengono all’omonimo settore istituzionale sono quelle residenti (in senso economico) e pertanto i redditi da lavoro dipendente da attribuire non sono quelli interni Wp, ma i corrispondenti redditi nazionali da lavoro dipendente W: W = Wp - Wm + We dove Wm e We rappresentano, rispettivamente, i redditi da lavoro dipendente guadagnati nel paese dai lavoratori non residenti e quelli guadagnati all’estero dai lavoratori residenti. Il risultato di gestione e i redditi misti vanno attribuiti in parte alle società – i redditi da capitale-impresa, O(s) – in parte alle famiglie – i redditi misti delle famiglie produttrici, O(f) – e in piccola parte anche alle PA, O(pa). Le imposte indirette sulla produzione e sulle importazioni al netto dei contributi vanno ovviamente attribuite alle PA, ma soltanto quelle di competenza delle PA residenti (T - Rc), ottenute sottraendo dalle complessive quelle di competenza dell’Unione europea (Tm - Rce): (T - Rc) = [(Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’)] - (Tm - Rce) Nella seconda sezione per ogni settore istituzionale vengono registrati i redditi da capitale complessivamente ricevuti (attivi) e quelli complessivamente pagati (passivi). I redditi da capitale sono i redditi percepiti dai proprietari di attività finanziarie o di beni materiali non prodotti quale corrispettivo per aver messo tali attività a disposizione di un’altra unità istituzionale. Si tratta dunque di:

- interessi (percepiti dai titolari di depositi, titoli diversi dalle azioni, prestiti); - utili distribuiti dalle società (dividendi percepiti dai proprietari di azioni, redditi

prelevati dai membri delle quasi-società); - utili reinvestiti di investimenti diretti all’ester o (utili non distribuiti e reinvestiti

di società estere controllate e filiali estere appartenenti ad investitori residenti); - redditi da capitale attribuiti agli assicurati (redditi primari ricavati

dall’investimento di riserve tecniche di assicurazione); - fitti di terreni e diritti di sfruttamento di giaci menti (corrisposti ai proprietari

di terreni o di giacimenti minerari). Per chiarire meglio come i redditi da capitale vengono registrati nei conti dei settori istituzionali e in quello consolidato del paese, consideriamo la seguente tabella a doppia entrata in cui in fiancata figurano i settori che pagano redditi da capitale e in testata quelli che li ricevono.

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Settori che pagano

Settori che ricevono In complesso

Società Famiglie Pubbliche Resto del ammin. mondo

Società Famiglie Pubbliche ammin. Resto del mondo

Ks,s Ks,f Ks,pa Ks,rm Kf,s Kf,f Kf,pa Kf,rm Kpa,s Kpa,f Kpa,pa Kpa,rm Krm,s Krm,f Krm,pa

Kp(s)

Kp(f)

Kp(pa)

In complesso

K(s) K(f) K(pa)

Kp K

I flussi ovviamente riguardano anche i rapporti con i non residenti, che da un lato possono pagare redditi da capitale a unità istituzionali residenti (ad esempio dividendi relativi ad investimenti azionari in società estere) e dall’altro possono riceverne da unità residenti (investitori stranieri in azioni di società residenti o in titoli del debito pubblico). Nei conti generali del paese la CN non registra però tutti i flussi da settore a settore che compaiono nella tabella, ma solo i totali di colonna e di riga relativi ai settori residenti. Vi figurano cioè da un lato tutti i redditi da capitale attivi K(i) ricevuti dagli operatori residenti anche da operatori non residenti, e dall’altro tutti i redditi da capitale passivi Kp(i) pagati dagli operatori residenti anche a non residenti. Nella tabella precedente, sommando per riga gli aggregati relativi ai diversi settori istituzionali si ottengono i corrispondenti aggregati relativi al complesso del paese: W : reddito nazionale da lavoro dipendente; O : risultato di gestione e reddito misto; T-Rc: imposte indirette nette versate alle PA residenti; K: redditi da capitale attivi; Kp: redditi da capitale passivi. I redditi da capitale attivi (K) e quelli passivi (Kp) sono pressoché equivalenti, dato che gli attivi per un soggetto residente sono passivi per un altro e viceversa. La differenza tra i due aggregati (K – Kp) dipende soltanto dai flussi derivanti da operazioni con unità non residenti ed esprime i redditi da capitale netti dall’estero. Il conto del paese assume pertanto la seguente forma:

Kp + Yn = O + W + (T - Rc) + K Il saldo del conto del paese è il reddito nazionale netto (Yn) ed esprime l’insieme dei redditi guadagnati, nel paese e nel resto del mondo, dai fattori produttivi posseduti da unità residenti. Dal prodotto interno netto al reddito nazionale netto. Si può vedere facilmente che il reddito nazionale netto differisce dal prodotto interno netto per l’importo dei redditi

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dei fattori (lavoro e capitale) netti dall’estero e per l’ammontare delle imposte indirette pagate all’Unione europea al netto dei contributi concessi (Tm - Rce). Riprendiamo l’espressione del prodotto interno netto derivante dal conto della generazione del reddito: Yp’ = Wp + (Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’) + O e quella del reddito nazionale netto derivante dal conto precedente: Yn = O + W + (T - Rc) + (K - Kp). Sottraendo la prima dalla seconda si ottiene infatti: Yn = Yp’ + (W - Wp) + (K - Kp) - (Tm - Rce) dove -(Tm - Rce) = (T - Rc) - [(Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’)]. Pertanto, il reddito nazionale netto è uguale al prodotto interno netto, più i redditi da lavoro netti dall’estero, più i redditi da capitale netti dall’estero, meno le imposte indirette nette versate alla Unione europea (ovvero: più i contributi ricevuti dalla Ue al netto delle imposte indirette versate). I redditi primari dei settori istituzionali . Al livello dei settori istituzionali il saldo del conto è denominato saldo dei redditi primari o semplicemente reddito primario . Una particolare avvertenza merita la differenza tra i redditi da capitale attivi e i corrispondenti passivi, che per ogni settore istituzionale esprime i redditi da capitale netti non dal resto del mondo (come nel conto del paese) ma dagli altri settori istituzionali, compreso il resto del mondo. Ad esempio, i consistenti redditi da capitale netti delle famiglie (vedi Tabella 4.2.) derivano principalmente dalla larga prevalenza di redditi attivi percepiti dagli altri settori residenti (ad esempio, dalle società per i dividendi o per gli interessi sui depositi bancari, dalle pubbliche amministrazioni per gli interessi sui titoli del debito pubblico) rispetto a quelli passivi da esse versati ai medesimi settori (ad esempio, interessi sui mutui contratti per l’acquisto di abitazioni). Vediamo di seguito le espressioni contabili del reddito primario settore per settore. Per le società (finanziarie e non finanziarie), il reddito primario netto Yn(s) è dato da: Yn(s) = O(s) + (K(s) - Kp(s)) dove O(s) : risultato di gestione attribuito al settore istituzionale società;

(K(s) - Kp(s)) : redditi da capitale netti (attivi meno passivi) dagli altri settori istituzionali (compreso il resto del mondo). Per le famiglie (produttrici e consumatrici) il reddito primario netto Yn(f) è dato da: Yn(f) = W + O(f) + (K(f) - Kp(f))

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dove W : reddito (nazionale) da lavoro dipendente; O(f) : risultato di gestione e reddito misto attribuito al settore famiglie;

(K(s) - Kp(s)) : redditi da capitale netti (attivi meno passivi) dagli altri settori istituzionali (compreso il resto del mondo). Per le pubbliche amministrazioni il reddito primario netto Yn(pa) è dato da: Yn(pa) = O(pa) + (T - Rc) + (K(pa) - Kp(pa)) dove O(pa) : risultato di gestione attribuito al settore PA;

(T - Rc) : imposte indirette nette, escluse quelle di competenza della Ue; (K(pa) - Kp(pa)) : redditi da capitale netti (attivi meno passivi) dagli altri settori istituzionali (compreso il resto del mondo). Nella tabella seguente è riportato il conto della attribuzione dei redditi primari per settori istituzionali dell’Italia nel 2005. Come si vede, gran parte del reddito primario spetta alle famiglie (86%), in quanto titolari non solo del fattore lavoro e dei relativi redditi, ma anche di gran parte dei redditi da capitale attivi (che comprendono gli utili distribuiti dalle società). Tabella 3.2. Conto della attribuzione dei redditi primari per settore istituzionale. Italia 2005 (milioni di euro)

Aggregati Società Pubbliche

ammin. Famiglie e

ISP In

complesso RISORSE Redditi da lavoro dipendente (nazionale) 580569 580569 Risultato di gestione e reddito misto (netto) 184708 -1098 248117 431727 Imposte indirette nette 189508 189508 Redditi da capitale attivi meno passivi -150478 -57962 201250 -7190 IMPIEGHI Saldo redditi primari / Reddito nazionale 34230 130448 1029936 1194614

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ESERCIZIO 6 Nella tabella seguente sono riportati alcuni aggregati relativi all’economia italiana nel 2006 (milioni di euro)

Aggregati Valore Importazioni 422843 Esportazioni 410732 Consumi finali 1174481 Investimenti fissi netti 74933 Variazione delle scorte e oggetti di valore 6426 Ammortamenti 231672 Retribuzioni lorde 442805 Contributi sociali a carico datori di lavoro 164894 Redditi da lavoro netti dall’estero -318 Redditi da capitale netti dall’estero -4941 Imposte sui prodotti al netto dei contributi 158817 Altre imposte sulla produzione al netto dei contributi 44652 Imposte indirette nette versate alla Ue -1242

a) calcolare il prodotto interno lordo, il prodotto interno netto e il reddito nazionale

netto; b) costruire il conto della generazione del reddito e quello della attribuzione dei

redditi primari. Soluzione: a) Il Pil si può calcolare con il metodo del bilancio o della spesa dal conto risorse e impieghi, una volta calcolati gli investimenti lordi (somma di quelli netti e degli ammortamenti): If = 74933 + 231672 = 306605 Yp = Cf + If + (Ivs + Iov) + E - M = 1174481 + 306605 + 6426 + 410732 - 422843= 1475401. Il prodotto interno netto (Pin) è il Pil meno gli ammortamenti: Yp’ = 1475401 – 231672 = 1243729. Il reddito nazionale netto si ottiene sommando al Pin i redditi dei fattori primari netti dall’estero e sottraendo le imposte nette versate alla Ue: Yn = Yp’ + (W - Wp) + (K - Kp) - (Tm - Rce) = 1243729 – 318 – 4941 + 1242 = 1239712 b) Prima calcoliamo il reddito interno da lavoro dipendente come somma delle retribuzioni lorde e dei contributi sociali a carico dei datori di lavoro: Wp = 442805 + 164894 = 607699. Per costruire il conto della generazione del reddito manca l’aggregato risultato di gestione e redditi misti netti, che si ottiene a saldo: O = Yp’ – [Wp + (Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’)] = 1243729 – (607699 + 158817 + 44652) = 432561. Per costruire il conto della attribuzione dei redditi primari occorre prima calcolare il reddito da lavoro dipendente nazionale e le imposte indirette al netto di quelle versate alla Ue:

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W = Wp + (We – Wm) = 607699 – 318 = 607381 (T- Rc) = [(Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’)] - (Tm - Rce) = 158817 + 44652 + 1242 = 204711. E quindi Yn = O + W + (T - Rc) + (K - Kp). 1239712 = 432561 + 607381 + 204711 – 4941. 3.2. La distribuzione secondaria del reddito La distribuzione secondaria del reddito descrive il passaggio dal saldo dei redditi primari dei settori istituzionali e dal reddito nazionale per l’intera economia al reddito disponibile tramite i trasferimenti correnti. E’ la fase della distribuzione del reddito che descrive le modificazioni di potere d’acquisto delle unità istituzionali non per effetto dell’impiego di fattori produttivi, ma prevalentemente per effetto dell’intervento dello Stato, attraverso le imposte correnti sul reddito e sul patrimonio e le prestazioni sociali, e in parte attraverso sistemi privati (assicurazioni, casse mutue, fondi pensione). I trasferimenti correnti sono flussi unilaterali indipendenti dall’impiego di fattori produttivi. Sono flussi unilaterali (di denaro, ma anche di beni o servizi) perché avvengono senza contropartita contestuale, ovvero senza uno scambio sul mercato. E sono definiti correnti perché sono prevalentemente destinati a finanziare i consumi (sono invece definiti trasferimenti in conto capitale, come vedremo in seguito, quelli destinati a sostenere i processi di accumulazione, ovvero a finanziare gli investimenti). La maggior parte della distribuzione delle risorse da parte dello Stato avviene in denaro (pensioni, indennità di disoccupazione, assegni familiari, ecc.), ma una parte avviene in natura, in particolare sotto forma di servizi di istruzione e prestazioni sanitarie prodotte ed erogate direttamente o acquistate e fornite ai cittadini con finanziamento a carico delle amministrazioni pubbliche. Ai due aspetti corrispondono due fasi della distribuzione secondaria o redistribuzione del reddito. 3.2.1. Conto della ridistribuzione del reddito Per ogni settore istituzionale, il conto della redistribuzione del reddito in denaro aggiunge tra le entrate al saldo dei redditi primari determinato nel conto precedente i trasferimenti correnti attivi , mentre registra tra le uscite i trasferimenti correnti passivi. I principali trasferimenti correnti in denaro sono:

- le imposte correnti sul reddito e sul patrimonio: versate alle PA dagli altri settori istituzionali (imposte sulle persone fisiche e sulle società, sugli interessi, tasse automobilistiche, ecc.);

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- i contributi sociali : compresi nel reddito da lavoro dipendente e quindi attribuiti alle famiglie nel conto della attribuzione dei redditi primari, ora contabilmente trasferiti dalle famiglie alle PA (o alle società, nel caso di sistemi previdenziali privati);

- le prestazioni sociali: corrisposte alle famiglie dalle PA (pensioni, indennità di

disoccupazione, assegni familiari, ecc.) o dalle società, nel caso di sistemi previdenziali privati, per far fronte a determinati rischi o eventi (malattia, vecchiaia, invalidità, disoccupazione, ecc.);

- gli altri trasferimenti correnti : premi e indennizzi di assicurazioni contro i danni

(da e verso società di assicurazione); trasferimenti correnti tra PA; aiuti internazionali correnti; trasferimenti correnti diversi (borse di studio, rimesse degli emigrati).

Lo schema dei flussi di trasferimenti tra settori istituzionali, del tutto simile a quello già visto a proposito di redditi da capitale, è riportato nella tabella seguente:

Settori che pagano

Settori che ricevono In complesso

Società Famiglie Pubbliche Resto del ammin. mondo

Società Famiglie Pubbliche ammin. Resto del mondo

Rs,s Rs,f Rs,pa Rs,rm Rf,s Rf,f Rf,pa Rf,rm Rpa,s Rpa,f Rpa,pa Rpa,rm Rrm,s Rrm,f Rrm,pa

Rp(s)

Rp(f)

Rp(pa)

In complesso

R(s) R(f) R(pa)

Rp R

Anche in questo caso la CN non registra però tutti i flussi da settore a settore che compaiono nella tabella2. Nei conti generali del paese la CN registra soltanto i totali di colonna e di riga relativi ai settori residenti: i trasferimenti attivi R(i) ricevuti dagli operatori residenti anche dai non residenti e i trasferimenti passivi Rp(i) versati dagli operatori residenti anche a non residenti. I primi vanno aggiunti e i secondi sottratti al saldo dei redditi primari dei corrispondenti settori istituzionali, come nello schema seguente:

Aggregati

Società Famiglie Pubbliche ammin.

In complesso

Saldo redditi primari Yn(s) Yn(f) Yn(pa) Yn Trasferimenti correnti attivi R(s) R(f) R(pa) R Trasferimenti correnti passivi(-) Rp(s) Rp(f) Rp(pa) Rp Reddito disponibile netto

Yd(s)

Yd(f)

Yd(pa)

Yd

2 Tali flussi sono invece una componente fondamentale di schemi di contabilità nazionale disaggregata come le matrici di contabilità sociale, che qui non vengono tuttavia trattate.

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Il conto del Paese è il riepilogo di quelli settoriali e assume la seguente forma:

Rp + Yd = Yn + R Analogamente a quanto visto per i redditi da capitale, il conto presenta duplicati tutti i flussi di ridistribuzione. E anche in questo caso, se si consolidano i flussi tra residenti il conto fa emergere soltanto i trasferimenti correnti netti dall’estero, che rappresentano il passaggio dal reddito nazionale netto al reddito nazionale disponibile netto (Yd). Si ha infatti: Yd = Yn + (R – Rp) Ovvero, il reddito disponibile netto è dato dal reddito nazionale netto più i trasferimenti correnti netti dall’estero. Il reddito disponibile netto del paese esprime la capacità di acquisto del complesso delle unità istituzionali, ovvero le risorse disponibili per soddisfare i bisogni attuali o futuri, per acquistare beni e servizi di consumo o risparmiare. Il reddito disponibile dei settori istituzionali. Il saldo per i singoli settori istituzionali costituisce il loro reddito disponibile netto, che esprime la capacità di acquisto di ciascun settore. Analogamente a quanto visto per il paese, per il generico settore istituzionale i il reddito disponibile è dato dalla seguente espressione: Yd(i) = Yn(i) + (R(i) - Rp(i)) Dove (R(i) - Rp(i)) rappresenta trasferimenti correnti netti dagli altri settori istituzionali, compreso il resto del mondo. Nella tabella seguente è riportato il conto delle ridistribuzione del reddito per settori istituzionali dell’Italia nel 2005. Tabella 3.3. Conto della ridistribuzione del reddito. Italia 2005 (milioni di euro) Pubbliche Famiglie In Aggregati Società ammin. e ISP complesso RISORSE Saldo redditi primari / Reddito nazionale 34230 130448 1029936 1194614 Trasferimenti correnti attivi meno passivi -27720 125183 -107344 -9881 IMPIEGHI Reddito disponibile 6510 255631 922592 1184733 Il primo elemento di interesse che emerge dal conto è che a livello del complesso del paese il reddito disponibile è minore del reddito nazionale, poiché i trasferimenti

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correnti netti dall’estero sono negativi, in particolare per effetto delle rimesse all’estero degli immigrati nel nostro paese. A livello di settori si osserva invece come il ruolo ridistribuivo dello Stato riduca, rispetto al reddito primario, il reddito disponibile sia delle famiglie, sia delle società, ovviamente a vantaggio delle PA che in questo modo aumentano le risorse disponibili per i consumi pubblici, sia individuali che collettivi. La ridistribuzione del reddito in natura. Come già visto a proposito di consumi finali effettivi delle famiglie, la capacità di acquisto non coincide con la capacità di acquisire e usufruire di beni e servizi, poiché quest’ultima deriva anche dai beni e servizi prodotti o acquistati dalle PA e dalle Istituzioni sociali private e trasferiti alle famiglie come trasferimenti sociali in natura. Tali trasferimenti vengono ora conteggiati al fine di determinare il reddito disponibile corretto dei diversi settori istituzionali interessati a tali trasferimenti: le PA e le ISP, per le quali detti trasferimenti diminuiscono il reddito disponibile calcolato con il conto precedente; per le famiglie, per le quali invece lo incrementano nella stessa misura. Di conseguenza, a livello dell’intero paese i trasferimenti in natura attivi (delle famiglie) si compensano con quelli passivi (delle PA e delle ISP) e pertanto il reddito nazionale disponibile corretto coincide con il reddito nazionale disponibile. 3.2.2. Conto della utilizzazione del reddito disponibile Il conto descrive la ripartizione del reddito disponibile tra spesa per consumi finali e risparmio netto (S) ottenuto a saldo. A livello di settori istituzionali, per la determinazione del risparmio occorre tuttavia tenere conto anche di una rettifica per le variazioni dei diritti netti delle famiglie sui fondi pensione privati. Se nel periodo contabile si verifica una variazione in aumento delle riserve, perché i contributi versati superano le prestazioni erogate, si determina un credito delle famiglie, che ne aumenta il risparmio. Le rettifiche riguardano quindi le famiglie (in aggiunta) e le società, in particolare le società finanziarie (in diminuzione). I flussi da considerare per costruire il conto per i settori istituzionali e per il paese sono riportati nello schema seguente:

Aggregati Società Famiglie Pubbliche ammin.

In complesso

Reddito disponibile Yd(s) Yd(f) Yd(pa) Yd Rettifica (-) Ret (+) Ret - - Consumi finali - Cf(f) Cf(pa) Cf Risparmio netto

S(s)

S(f)

S(pa)

S

Il conto del paese assume dunque la seguente forma:

Cf + S = Yd

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Il risparmio dei settori istituzionali . Il saldo per i singoli settori istituzionali costituisce il loro risparmio netto. Vediamo di seguito come si determina per i singoli settori. Per le Società, il risparmio netto S(s) è dato da: S(s) = Yd(s) - Ret dove Yd(s) : reddito disponibile delle società; Ret : rettifica variazione riserve fondi pensione; Per le Famiglie, il risparmio netto S(f) è dato da: S(f) = Yd(f) + Ret - Cf(f) dove Yd(f) : reddito disponibile delle famiglie;

Cf(f) : spesa per consumi delle famiglie. Per le Pubbliche amministrazioni, il risparmio netto S(pa) è dato da: S(pa) = Yd(pa) - Cf(pa)

dove Yd(pa) : reddito disponibile delle PA;

Cf(pa) : spesa per consumi delle PA. Nella tabella seguente viene riportato il conto della utilizzazione del reddito per settori istituzionali dell’Italia nel 2005, da cui si rileva che l’unico settore che presenta un risparmio positivo è quello delle famiglie.

Tabella 3.4. Conto della utilizzazione del reddito. Italia 2005 (milioni di euro) Pubbliche Famiglie In Aggregati Società ammin. e ISP complesso RISORSE Reddito disponibile 6510 255631 922592 1184733 Rettifica -10161 10161 IMPIEGHI Consumi finali 290636 839655 1130291 Risparmio -3651 -35005 93098 54443

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ESERCIZIO 7 Nella tabella seguente sono riportati alcuni aggregati relativi all’economia italiana nel 2006 (milioni di euro)

Aggregati Valore Consumi finali nazionali 1174481 Spesa delle famiglie e delle ISP 874969 Redditi da lavoro dipendente nazionali 607381 Risultato di gestione e redditi misti netti 432561 Redditi da capitale netti dall’estero -4941 Trasferimenti correnti netti dall’estero -13197 Imposte sui prodotti al netto dei contributi 158817 Altre imposte sulla produzione al netto dei contributi 44652 Imposte indirette nette versate alla Ue -1242 Rettifica per diritti famiglie su riserve fondi pensione privati 9981

a) calcolare il reddito nazionale netto, il reddito disponibile netto e il risparmio

netto; b) noto che il reddito disponibile netto delle società e delle PA è pari,

rispettivamente, a -13523 e 291538 (milioni di euro), calcolare il reddito disponibile netto e il risparmio netto delle famiglie (comprese le ISP);

c) calcolare il risparmio netto delle PA.

Soluzione: a) Calcolate le imposte indirette nette alle PA residenti, come nell’esercizio precedente: (T - Rc) = [(Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’)] - (Tm - Rce) = 158817 + 44652 + 1242 = 204711 il reddito nazionale netto deriva dal conto della attribuzione dei redditi primari (anch’esso già calcolato nell’esercizio precedente): Yn = O + W + (T - Rc) + (K - Kp). = 432561 + 607381 + 204711 – 4941 = 1239712. Dal conto della distribuzione secondaria del reddito, il reddito disponibile netto si ottiene sommando al reddito nazionale netto i trasferimenti correnti netti dall’estero: Yd = Yn + (R – Rp) = 1239712 – 13197 = 1226515. Dal conto della utilizzazione del reddito, il risparmio netto si ottiene sottraendo al reddito disponibile netto il consumi finali: S = Yd – Cf = 1226515 – 1174481 = 52034. b) Dal conto della distribuzione secondaria del reddito per settori, il reddito disponibile del paese può anche essere visto come la somma dei redditi disponibili dei settori istituzionali. Pertanto, il reddito disponibile delle famiglie è: Yd(f) = Yd – Yd(s) – Yd(pa) = 1226515 + 13523 – 291538 = 948500. Il risparmio delle famiglie e delle ISP si ottiene sommando al reddito disponibile del settore le rettifiche per i diritti delle famiglie sulle variazioni delle riserve dei fondi pensione privati e sottraendo la loro spesa per consumi:

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S(f) = Yd(f) + Ret - Cf(f) = 948500 + 9981 - 874969 = 83512. c) Dal conto della utilizzazione del reddito per settori istituzionali, il risparmio delle PA si ottiene come differenza tra il risparmio netto del paese e quello degli altri settori istituzionali: S(pa) = S – S(s) – S(f). Il risparmio netto delle famiglie è stato appena calcolato, mentre quello delle società è dato dal reddito disponibile del settore meno le rettifiche: S(s) = Yd(s) – Ret = -13523 – 9981 = -23504. E quindi: S(pa) = 52034 – 83512 + 23504 = -7974.

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4. L’accumulazione e i conti patrimoniali La fase della accumulazione è descritta dal conto della formazione del capitale fisso, dal conto finanziario e da altri due conti di minore rilevanza, necessari per costruire i conti patrimoniali, relativi alle variazioni del valore delle attività e passività patrimoniali, da un lato per cause non riconducibili ai processi economici, dall’altro causate da variazioni dei prezzi. 4.1. Il Conto della formazione del capitale Dal conto della utilizzazione del reddito, il risparmio passa al conto della formazione del capitale come fonte principale di finanziamento degli investimenti. Abbiamo visto come in economia chiusa il conto dell’accumulazione è descritto semplicemente dalla identità I=S e come in economia aperta occorre considerare anche l’accreditamento o indebitamento B, talché l’equazione contabile diventa I+B=S. In realtà in economia aperta, e a maggior ragione a livello di settori istituzionali, come fonte di finanziamento della accumulazione di capitale, al risparmio dei settori istituzionali, e al risparmio del paese, si devono però aggiungere i trasferimenti in conto capitale attivi (RK) al netto di quelli passivi (RKp). I trasferimenti in conto capitale sono flussi unilaterali (in denaro o in natura) prevalentemente erogati o prelevati dalle PA nell’ambito dei processi di accumulazione. Sono costituiti da:

- contributi agli investimenti , erogati dalle PA o dalla Ue allo scopo di finanziare in tutto o in parte il costo di acquisizione del capitale fisso delle imprese (macchinari, mezzi di trasporto, fabbricati, ecc.) o delle famiglie (ad esempio, per la ristrutturazione dell’abitazione). Possono essere anche in natura: messa a disposizione di altre unità istituzionali di mezzi di trasporto, fabbricati, ecc.;

- imposte in conto capitale, prelevate dalle PA a intervalli irregolari o

saltuariamente sul valore delle attività o del patrimonio netto (imposte straordinarie sul patrimonio) o sul valore dei beni trasferiti tra unità istituzionali (successioni, donazioni);

- altri trasferimenti in conto capitale, comprendono gli indennizzi di danni da

calamità naturali, trasferimenti tra amministrazioni pubbliche a copertura di deficit, lasciti e donazioni.

Lo schema dei flussi di trasferimenti in conto capitale tra settori istituzionali, simile a quelli precedenti, è riportato nella tabella seguente:

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Settori che pagano

Settori che ricevono In complesso

Società Famiglie Pubbliche Resto del ammin. mondo

Società Famiglie Pubbliche ammin. Resto del mondo

RKs,s RKs,f RKs,pa RKs,rm RKf,s RKf,f RKf,pa RKf,rm RKpa,s RKpa,f RKpa,pa RKpa,rm RKrm,s R Krm,f RKrm,pa

RKp(s)

RKp(f)

RKp(pa)

In complesso

RK(s) RK(f) RK(pa)

RKp RK

Anche per questi trasferimenti la CN registra, nei conti generali del paese, soltanto i totali di colonna e di riga relativi ai settori residenti: i trasferimenti in conto capitale attivi RK(i) ricevuti dagli operatori residenti anche dai non residenti e i trasferimenti in conto capitale passivi RKp(i) versati dagli operatori residenti anche a non residenti. I primi vanno aggiunti e i secondi sottratti al risparmio netto dei corrispondenti settori istituzionali, come nello schema riportato nella tabella seguente. Aggregati Società Famiglie Pubbliche

amm. In complesso

Risparmio netto

S(s)

S(f)

S(pa)

S

Trasferimenti in conto capitale attivi

RK(s)

RK(f)

RK(pa)

RK

Trasferimenti in conto capitale passivi (-)

RKp(s)

RKp(f)

RKp(pa)

RKp

Investimenti netti

I’(s)

I’(f)

I’(pa)

If’+Ivs+Iov

Acquisizioni nette di attività reali non prodotte

Anp(s)

Anp(f)

Anp(pa)

Anp

Accreditamento(+)/Indebitamento(-)

B(s)

B(f)

B(pa)

B

Va inoltre considerato che l’accumulazione di capitale non avviene soltanto in termini di investimenti netti, ovvero tramite i tre aggregati investimenti fissi, variazione delle scorte e acquisizioni meno cessioni di oggetti di valore che compaiono nel conto delle risorse e degli impieghi. Avviene anche tramite l’acquisizione, al netto delle cessioni, di attività reali non prodotte (Anp), ovvero di terreni, brevetti, avviamento commerciale ecc. Attività non comprese negli investimenti perché non prodotte, ma che fanno parte a tutti gli effetti della formazione del capitale delle unità istituzionali.

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Il conto del paese assume dunque la forma seguente:

If ’ + Ivs + Iov + Anp + B = S + (Rk – RKp)

Il saldo del conto è l’accreditamento (se positivo) o l’indebitamento (se negativo) B nei confronti dell’estero. Le unità istituzionali, i settori e il paese nel suo complesso possono investire e incrementare lo stock di capitale anche al di là delle risorse (risparmio proprio e trasferimenti in conto capitale) di cui dispongono, facendo ricorso all’indebitamento. Oppure possono farlo in misura minore, nel qual caso si avrà un accreditamento. L’accreditamento o indebitamento dei settori istituzionali. Per i settori istituzionali il conto assume la forma seguente: I’ (i) + Anp(i) + B(i) = S(i) + (RK(i) - RKp(i)) dove S(i) : risparmio del settore i; (RK(i) - RKp(i)) : trasferimenti in conto capitale netti dagli altri settori, compreso il resto del mondo; I’ (i) : investimenti netti del settore i; Anp(i) : acquisizioni meno cessioni di attività non finanziarie non prodotte del settore i; B(i) : accreditamento (+) o indebitamento (-) del settore i. Pertanto, l’accreditamento o indebitamento del settore i è dato da: B(i) = S(i) + (RK(i) - RKp(i)) - I(i) - Anp(i). Se B(i) è positivo significa che il settore i ha investito solo una parte delle risorse disponibili (risparmio e trasferimenti netti in conto capitale) e quindi ha messo la restante parte a disposizione di altri settori istituzionali (accreditamento). Questo è il caso in particolare delle famiglie, che risparmiano molto più di quanto non investono e quindi mettono gran parte del loro risparmio a disposizione di altri settori, in particolare delle società e delle PA. Il contrario avviene se B(i) è negativo (è il caso delle società e delle PA). L’accreditamento o indebitamento delle PA. Tra i diversi settori istituzionali, la pubblica amministrazione è quello per cui è più interessante analizzare la composizione dell’accreditamento o, come più spesso avviene, dell’indebitamento. A partire dal saldo del conto della formazione del capitale delle PA, dato dalla seguente espressione: B(pa) = S(pa) + (RK(pa) - RKp(pa)) - I’ (pa) - Anp(pa)

per identificare le “fonti” dell’indebitamento (o dell’accreditamento) della PA occorre ripercorrere a ritroso i conti del settore relativi alla utilizzazione del reddito, ridistribuzione e generazione del reddito e sostituire ai rispettivi saldi contabili le corrispondenti espressioni, ovvero:

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S(pa) = Yd(pa) - Cf(pa) ; Yd(pa) = Yn(pa) + (R(pa) - Rp(pa)) ; Yn(pa) = O(pa) + (T - Rc) + (K(pa) - Kp(pa)) . Sostituiti nella espressione di B(pa) si ha: B(pa) = [O(pa) + K(pa) + T + R(pa) + RK(pa)] - [Cf(pa) + I’ (pa) + Anp(pa) + Rc + Rp(pa) + + RKp(pa) + Kp(pa)]

Ovvero, l’accreditamento (se positivo) o l’indebitamento (se negativo) delle PA è dato dalla differenza tra tutte le entrate realizzate dalle PA nel periodo contabile (risultato di gestione, redditi da capitale attivi, imposte indirette, imposte correnti sul reddito e sul patrimonio, contributi sociali, imposte in conto capitale) e tutte le uscite nello stesso periodo (spesa per consumi individuali e collettivi delle PA, investimenti pubblici, acquisizioni nette di attività reali non prodotte, contributi ai prodotti e alla produzione, prestazioni sociali, contributi agli investimenti, risarcimenti di danni da calamità naturali, interessi passivi, in particolare sul debito pubblico). Un sotto-aggregato dell’accreditamento o indebitamento delle PA, particolarmente importante per l’analisi del bilancio pubblico, è il cosiddetto saldo primario, dato da B(pa) al netto degli interessi sul debito pubblico.

Nella tabella seguente viene riportato il conto della formazione del capitale per settori istituzionali dell’Italia nel 2005.

Tabella 4.1. Conto della formazione del capitale per settori istituzionali. Italia 2005 (milioni di euro) pubbliche Famiglie In Società ammin. e ISP complesso RISORSE Risparmio -3651 -35005 93098 54443 Trasferimenti in conto capitale 18633 -18771 1067 929 IMPIEGHI Investimenti netti 35544 8011 28029 71584 Attività reali non prodotte -219 124 26 -69 Accreditamento/indebitamento -20343 -61911 66110 -16143

Dal conto si rileva che l’indebitamento del paese dipende dall’indebitamento delle PA e delle società, non compensato da un pur rilevante accreditamento delle famiglie, i cui investimenti, com’è naturale, sono stati molto minori del risparmio.

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ESERCIZIO 8 Nella tabella seguente sono riportati alcuni aggregati relativi all’economia italiana nel 2006 (milioni di euro)

Aggregati Valore Consumi finali nazionali 1174481 Investimenti fissi lordi 238098 Ammortamenti 231672 Variazione scorte e oggetti di valore 6426 Importazioni 422843 Esportazioni 410732 Reddito disponibile netto 1226515 Trasferimenti in conto capitale netti dall’estero 1991 Acquisizioni meno cessioni attività reali non prodotte 98

a) costruire il conto della formazione del capitale; b) noto che l’accreditamento o indebitamento delle famiglie (e ISP) e delle società

è pari rispettivamente a 57718 e -19083 (milioni di euro), calcolare l’indebitamento delle PA e il rapporto deficit/Pil.

Soluzione: a) Calcolato il risparmio netto dal conto della utilizzazione del reddito (come nell’esercizio precedente): S = Yd – Cf = 1226515 – 1174481 = 52034, e gli investimenti fissi netti: If’ = If – A = 238098 – 231672 = 74933, il conto della formazione del capitale è: If ’ + (Ivs + Iov) + Anp + B = S + (Rk – RKp) 74933 + 6426 + 98 + B = 52034 + 1991 da cui B si ottiene a saldo: B = 52034 + 1991 – (74933 + 6426 + 98) = -27432. b) L’indebitamento delle PA si ottiene come differenza tra quello del paese e quelli degli altri settori istituzionali: B(pa) = B – B(s) – B(f) = - 27432 + 19083 - 57718 = - 66067. Il prodotto interno lordo, necessario per calcolare il rapporto deficit/Pil, si ottiene a saldo del conto delle risorse e degli impieghi: Yp = Cf + If + (Ivs + Iov) + E – M = 1174481 + 306605 + 6426 + 410732 – 422843 = 1475401; e il rapporto deficit/Pil è quindi: B(pa) /Yp = 66067/1475401 = 0.045 (4.5 %)

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4.2. Il conto finanziario L’accreditamento o l’indebitamento di ogni settore istituzionale si realizza attraverso operazioni finanziarie, che sono le operazioni che fanno aumentare o diminuire le consistenze delle attività e delle passività finanziarie (dei crediti e dei debiti) delle unità istituzionali che ne fanno parte. Ad esempio, le società per finanziare gli investimenti in eccesso rispetto al proprio risparmio fanno ricorso a prestiti bancari, o all’emissione di obbligazioni o di azioni, mentre le famiglie finanziano gli investimenti delle medesime società sottoscrivendo le obbligazioni e le azioni o aumentando i depositi bancari. I debiti e i crediti derivano principalmente dal ruolo che gli intermediari finanziari svolgono nel trasferimento del risparmio dai settori dove si forma ai settori che lo richiedono per fare investimenti. Nascono tuttavia anche da operazioni su beni e servizi: vendite a pagamento differito, importazioni ed esportazioni coperte da crediti commerciali, ecc. Le attività e le passività finanziarie sono classificate nelle seguenti sette categorie o strumenti finanziari , elencati in ordine decrescente di liquidità:

- oro monetario e diritti speciali di prelievo (possono essere posseduti solo dalle banche centrali ed entrano nelle riserve ufficiali del paese);

- biglietti, monete e depositi (compresi i depositi in valuta estera); - titoli diversi dalle azioni (obbligazioni, buoni del tesoro, certificati di deposito,

strumenti finanziari derivati); - prestiti (rapporti di credito/debito senza un corrispondente titolo negoziabile); - azioni e altre partecipazioni (comprese le quote di fondi comuni di

investimento); - riserve tecniche di assicurazione (considerate come parte del risparmio degli

assicurati, per i quali costituiscono attività finanziarie, mentre costituiscono passività per le imprese di assicurazione e per i fondi pensione);

- altri conti attivi o passivi (crediti commerciali, anticipazioni di pagamento, crediti e debiti derivanti da sfasamenti temporali nel pagamento di imposte, contributi, retribuzioni, ecc.).

Per le operazioni finanziarie la CN utilizza il criterio della registrazione netta: per ogni strumento vengono registrate non l’ammontare di tutte le operazioni, ma le variazioni che le attività e le passività hanno subito durante il periodo contabile. Ad esempio, non tutti i depositi effettuati, ma le variazioni dei depositi dall’inizio alla fine dell’anno. Le operazioni finanziarie sono definite attive quando si riferiscono a finanziamenti accordati, nel qual caso si registrano dunque variazioni di attività , mentre sono definite passive quando si riferiscono a finanziamenti ricevuti, nel qual caso si registrano variazioni di passività. Ad esempio, si hanno operazioni finanziarie attive (e si registrano come variazioni di attività) per i soggetti (ad esempio, famiglie) che depositano somme in banca o sottoscrivono azioni; mentre le stesse operazioni sono passive (e si registrano come variazioni di passività) per i soggetti che ricevono i

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finanziamenti (le banche che hanno ricevuto i depositi, le società che hanno emesso le azioni). Indicando con OF il totale delle operazioni finanziarie attive e con OFp il totale delle operazioni finanziarie passive, il conto finanziario del paese assume la seguente forma:

OF = OFp + B Il totale delle operazioni finanziarie attive rappresenta il complesso dei finanziamenti accordati dagli operatori residenti, anche a operatori non residenti, mentre il totale delle operazioni passive rappresenta il complesso dei finanziamenti ricevuti, anche da operatori non residenti. La differenza tra operazioni attive e passive se positiva indica pertanto un accreditamento dei soggetti residenti rispetto al resto del mondo, se negativa un indebitamento. Il conto finanziario mostra dunque di nuovo l’accreditamento o indebitamento B, questa volta sotto forma di saldo delle operazioni finanziarie dei soggetti residenti. Le informazioni più interessanti del conto finanziario derivano tuttavia dalla articolazione delle operazioni finanziarie attive e passive per categorie di strumenti finanziari, come nella tabella seguente relativa all’Italia nel 2005. Tabella 4.2. Conto finanziario del paese. Anno 2005 (miliardi di euro)

Strumenti finanziari

Variazioni attività

Variazioni passività

Differenza

Oro monetario e DPS Biglietti, monete, depositi Titoli diversi dalle azioni Prestiti Azioni e altre partecipazioni Riserve tecniche assicurazione Altri conti attivi o passivi

0.1 176.6 70.6 167.2 56.7 61.6 17.0

- 179.2 128.9 142.0 34.5 58.6 17.3

0.1 -2.6 -58.3 25.2 22.2 3.0 -0.3

Totale

OF = 549.8

OFp = 560.5

B = -10.7

La tabella mostra che le differenze più significative tra variazioni delle attività e delle passività riguardano i prestiti e le azioni e altre partecipazioni, in positivo, e i titoli diversi da azioni, in negativo. Le prime indicano finanziamenti netti accordati ai non residenti attraverso prestiti, da un lato, e sottoscrizioni di azioni emesse da società non residenti, dall’altro. Le differenze negative, di ammontare superiore (da qui il deficit), indicano finanziamenti ricevuti da soggetti non residenti, quasi per intero sottoscrivendo titoli emessi da soggetti residenti (in particolare titoli del debito pubblico emessi dalle PA e sottoscritti da investitori stranieri).

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Il conto finanziario può essere costruito anche per i singoli settori istituzionali, il che consente di ottenere altre importanti informazioni sugli strumenti finanziari attraverso i quali i soggetti economici che ne fanno parte si accreditano o si indebitano rispetto agli altri settori istituzionali (compreso il resto del mondo). Compilato per settori istituzionali il conto assume la medesima forma: OF(i) = OFp(i) + B(i) dove: OF(i) e OFp(i) sono, rispettivamente, le operazioni attive e passive del settore i; B(i) è l’accreditamento (se positivo) o l’indebitamento (se negativo) del settore i nei confronti di tutti gli altri settori, compreso il resto del mondo. Nelle tabelle seguenti sono riportati, sempre per il 2005, i conti finanziari relativi alle società e quasi società non finanziarie e alle famiglie e istituzioni sociali private. Tabella 4.3. Conto finanziario delle società e quasi società non finanziarie. Anno 2005 (miliardi di euro)

Strumenti finanziari

Variazioni attività

Variazioni passività

Differenze

Biglietti, monete, depositi Titoli diversi dalle azioni Prestiti Azioni e altre partecipazioni Riserve tecniche assicurazione Altri conti attivi o passivi

33.3 5.6 28.4 7.4 0.6 7.7

- 2.1 67.6 26.2 6.6 6.2

33.3 3.5 -39.2 -18.8 -6.0 1.5

Totale

OF(s) = 83.0

OFp(s) = 108.7

B(s) = -25.7

Tabella 4.4 - Conto finanziario delle famiglie e istituzioni sociali private. Anno 2005 (miliardi di euro)

Strumenti finanziari

Variazioni attività

Variazioni passività

Differenze

Biglietti, monete, depositi Titoli diversi dalle azioni Prestiti Azioni e altre partecipazioni Riserve tecniche assicurazione Altri conti attivi o passivi

48.3 -12.1 - 33.7 56.5 4.2

- - 52.6 - 2.4 0.8

48.3 -12.1 -57.6 33.7 54.1 3.4

Totale

OF(s) = 130.6

OFp(s) = 55.8

B(s) = 74.8

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Come si vede, l’indebitamento delle società non finanziarie è finanziato con un aumento dei prestiti ricevuti (maggiore di quello relativo ai prestiti concessi dalla stesse società) e con emissioni di azioni, che pure hanno fatto aumentare le loro passività. Nel contempo le società non finanziarie hanno anche aumentato la liquidità (depositi e biglietti) il che ha controbilanciato una parte dell’aumento di passività. Il consistente accreditamento delle famiglie deriva ancora da aumenti della liquidità, ma anche dalla sottoscrizione di azioni e dalle variazioni delle riserve tecniche delle assicurazioni. Nel contempo le famiglie hanno anche aumentato le proprie passività con un maggiore ricorso a prestiti (per finanziare i propri investimenti e consumi) e hanno diminuito le attività detenute in titoli diversi dalle azioni. 4.3. Altri conti dell’accumulazione I due precedenti conti dell’accumulazione hanno messo in evidenza, rispettivamente, le variazioni delle attività reali prodotte (investimenti) e non prodotte e quelle delle attività e passività finanziarie, necessarie per costruire il conto patrimoniale di fine periodo, una volta noti i relativi stock di inizio periodo. Prima bisogna però registrare eventuali variazioni delle attività e passività patrimoniali, dovute a cause non riconducibili ai processi economici o a variazioni dei prezzi e quindi non comprese negli aggregati fin qui considerati. Per questo il SEC prevede due appositi conti: il conto delle altre variazioni in volume delle attività e passività; il conto della rivalutazione delle attività e passività. Conto delle altre variazioni in volume delle attività e passività. Registra le variazioni delle attività reali o finanziarie dovute a fattori indipendenti dai processi economici e le conseguenti variazioni della ricchezza nazionale. Le principali variazioni in volume sono:

- la scoperta o l’esaurimento (-) di nuovi giacimenti petroliferi o altre riserve minerarie;

- la scoperta di siti archeologici; - la crescita naturale o l’esaurimento (-) di risorse biologiche non coltivate

(legname, risorse ittiche); - la registrazione o la scadenza di brevetti; - le distruzioni di beni per catastrofi naturali (compresa la distruzione di moneta); - le confische senza indennizzo da parte delle amministrazioni pubbliche; - l’assegnazione o cancellazione di diritti speciali di prelievo; - le cancellazione di crediti inesigibili.

Il conto assume la seguente forma:

VAT (v) = VPF(v) + VRn(v) dove VAT (v) : variazioni in volume delle attività; VPF(v) : variazioni in volume delle passività; VRn(v) : variazioni in volume della ricchezza nazionale.

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Conto della rivalutazione delle attività e passività. Registra le variazioni di valore delle attività reali e delle attività e passività finanziarie dovute a variazioni dei prezzi che comportano guadagni o perdite in conto capitale e la conseguente variazione della ricchezza nazionale. Ad esempio, l’aumento o la diminuzione di valore, nel corso del periodo contabile, di abitazioni e fabbricati di proprietà o delle scorte; variazioni delle quotazioni delle azioni, ecc. Il conto assume la seguente forma:

VAT (r) = VPF(r) + VRn(r) dove VAT (r) : variazioni dovute a rivalutazioni delle attività; VPF(r) : variazioni dovute a rivalutazioni delle passività; VRn(r) : variazioni dovute a rivalutazioni della ricchezza nazionale. 4.4. I conti patrimoniali e la ricchezza nazionale 4.4.1. I conti patrimoniali Per ogni settore istituzionale e per il paese nel suo complesso i conti patrimoniali descrivono, all’inizio e alla fine del periodo contabile, l’insieme delle attività reali e finanziarie e delle passività finanziarie possedute dai soggetti economici che ne fanno parte, nonché le variazioni intervenute nel periodo per effetto dell’attività di formazione del capitale e della attività finanziaria dei soggetti economici (e per le cause non riconducibili ai processi economici o dipendenti da variazioni dei prezzi ricordate al paragrafo precedente). Il conto registra da un lato le consistenze (di inizio o fine periodo) delle attività reali prodotte (stock di capitale fisso, valore delle scorte e degli oggetti di valore posseduti), e di quelle non prodotte (terreni, giacimenti minerari, brevetti, avviamento commerciale), nonché delle diverse categorie di attività finanziarie (AT); dall’altro registra le consistenze delle passività finanziarie (PF) e il saldo del conto, costituito dalla ricchezza nazionale (Rn). La ricchezza nazionale esprime il valore di tutte le attività reali e finanziarie, al netto delle passività, possedute dai soggetti economici del paese in un determinato momento (all’inizio o alla fine dell’anno). E’ il valore di tutte le abitazioni, dei fabbricati, degli impianti industriali, delle attrezzature di negozi e uffici (privati e pubblici), dei mezzi di trasporto (escluse le automobili ad uso privato, dalla CN considerate tra le spese per consumi di beni durevoli), dei terreni, giacimenti, dei beni culturali, dei beni immateriali, nonché della differenza tra attività e passività finanziarie. Per il paese nel suo complesso quest’ultima differenza è però di limitata entità, essendo costituita dalle attività nette verso l’estero, che come si è visto corrispondono all’accreditamento o indebitamento del paese. Gli elementi principali del conto patrimoniale sono riportati nel prospetto seguente, mentre il conto del paese può essere espresso nella seguente forma semplificata:

AT = PF + Rn

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Attività reali e finanziarie (AT)

Passività finanziarie (PF)

Attività reali

prodotte capitale fisso scorte oggetti di valore non prodotte

Attività finanziarie Oro monetario e DPS Biglietti, monete, depositi Titoli diversi dalle azioni Prestiti Azioni e altre partecipazioni Riserve tecniche assicurazione Altri conti attivi o passivi

Biglietti, monete, depositi Titoli diversi dalle azioni Prestiti Azioni e altre partecipazioni Riserve tecniche assicurazione Altri conti attivi o passivi Saldo: ricchezza nazionale (Rn)

Per quanto riguarda la stima delle diverse componenti del conto patrimoniale, abbiamo già visto che lo stock di capitale fisso, che costituisce l’elemento più importante, viene valutato con il metodo dell’inventario permanente. Per gli altri elementi si fa ricorso a informazioni sulla situazione patrimoniale delle unità istituzionali rilevate tramite indagini. Le consistenze delle diverse categorie di attività e passività finanziarie, anche per settori istituzionali, vengono valutate dalla Banca d’Italia. 4.4.2. La variazione della ricchezza nazionale Il passaggio dal conto patrimoniale di inizio periodo a quello di fine periodo avviene attraverso la registrazione delle variazioni delle attività reali e delle attività e passività finanziarie già registrate nei diversi conti dell’accumulazione. A saldo del conto che mostra tali variazioni del patrimonio netto si determina la variazione della ricchezza nazionale, in gran parte coincidente con il risparmio netto del periodo. La variazione della ricchezza nazionale è infatti data dalla somma delle seguenti componenti:

- variazione delle attività reali prodotte (If’ + Ios + Iov); - variazione delle attività reali non prodotte (Anp); - variazione delle attività finanziarie (OF); - (meno) variazione delle passività finanziarie (-OFp); - variazione della ricchezza dovuta ad altre variazioni in volume (VRn(v)); - variazione della ricchezza dovuta a rivalutazioni (VRn(r)).

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Si ha dunque: VRn = If’ + Ios + Iov + (OF – OFp) + VRn(v) + VRn(r)

= If’ + Ios + Iov + B + VRn(v) + VRn(r). E quindi, dal conto della formazione del capitale: VRn = S + (RK - RKp) + VRn(v) + VRn(r). A meno di elementi secondari come i trasferimenti netti in conto capitale e le variazioni di ricchezza indipendenti dal processo produttivo o causate da incrementi dei prezzi, il risparmio – già determinato come differenza tra reddito disponibile e consumo finale – può essere dunque visto anche come l’insieme delle variazioni di attività e passività in cui è stato trasformato (acquistando terreni, fabbricati o altri beni di investimento, o aumentando i depositi bancari o sottoscrivendo azioni o titoli del debito pubblico, ecc.)

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5. Le transazioni internazionali In tutte le equazioni contabili illustrate nei capitoli precedenti figurano, esplicitamente o implicitamente, grandezze che si riferiscono ai rapporti tra residenti e non residenti. Il SEC prevede che tutte queste grandezze vengano raccolte in un ulteriore conto, denominato conto del resto del mondo (o conto delle transazioni internazionali). Già nello schema semplificato di CN nel caso di economia aperta, presentato nel capitolo 1, figurava infatti una quarta equazione contabile (E + R = M + B) che mostrava i flussi di beni e servizi (E e M), redditi e trasferimenti (R) che concorrono a determinare l’accreditamento o indebitamento del paese nei confronti del resto del mondo (B). I conti dettagliati della distribuzione e redistribuzione del reddito e della formazione del capitale visti nei capitoli precedenti consentono ora di dettagliare anche i flussi delle transazioni internazionali che contribuiscono alla determinazione dell’accreditamento o indebitamento del paese. Il SEC prevede che il conto sia intestato al resto del mondo (come nella versione semplificata del capitolo 1), le cui entrate corrispondono quindi alle uscite del paese considerato e viceversa. Qui adotteremo invece l’ottica del paese, di cui mostreremo il conto delle transazioni internazionali. Riprendiamo la serie di equazioni contabili del paese, a partire dal conto delle risorse e degli impieghi (quest’ultimo espresso però in termini di aggregati netti, ovvero considerando Yp’ invece di Yp e If’ invece di If, in modo da renderlo coerente con gli altri conti):

M + Yp’ = Cf + If ‘+ Ivs + Iov + E Wp + (Tp - Rcp) + (Tp’ - Rcp’) + O = Yp’ Kp + Yn = O + W + (T - Rc) + K Rp + Yd = Yn + R Cf + S = Yd If ’ + Ivs + Iov + RKp + Anp + B = S + Rk Sommando membro a membro le precedenti equazioni contabili e semplificando si ottiene la seguente espressione dell’accreditamento o indebitamento: B = (E - M) + (W - Wp) + (K - Kp) + (R - Rp) + (Rce - Tm) + (RK - RKp) - Anp L’accreditamento o indebitamento del paese viene dunque articolato in diversi saldi elementari netti dall’estero relativi a: beni e servizi (E - M); redditi da lavoro (W - Wp); redditi da capitale (K - Kp); trasferimenti correnti (R - Rp); contributi meno imposte dalla Ue (Rce - Tm); trasferimenti in conto capitale (RK - RKp); acquisizioni nette di attività reali non prodotte (Anp). Gli aggregati-saldo appena definiti solo in alcuni casi derivano da aggregati relativi esclusivamente a rapporti tra residenti e non residenti: è il caso dei saldi (E - M) e (Rce - Rm). Negli altri casi si tratta invece di saldi tra aggregati che riguardano anche i rapporti dei residenti con i non residenti: ad esempio, i redditi da lavoro netti dall’estero (W - Wp) sono ottenuti come differenza tra i redditi da lavoro nazionali (compresi quelli guadagnati all’estero) e quelli interni (compresi quelli guadagnati nel paese da non residenti; e analogamente per i redditi da capitale e per i trasferimenti correnti e in

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conto capitale. Questi saldi vanno dunque espressi in modo diverso in modo da registrare nel conto delle transazioni internazionali i corrispondenti flussi in entrata e in uscita nel paese e dal paese. Indichiamo con We, Wm : redditi da lavoro dall’estero e verso l’estero; Ke, Km : redditi da capitale dall’estero e verso l’estero; Re, Rm : trasferimenti correnti dall’estero e verso l’estero; RKe, RKm : trasferimenti in conto capitale dall’estero e verso l’estero. Poiché W = Wp + We - Wm (ed espressioni analoghe valgono anche per K, R e RK), si ha : W - Wp = We - Wm K - Kp = Ke - Km R - Rp = Re - Rm RK - RKp = Rke - RKm Il saldo B può dunque essere espresso nel modo seguente: B = (E - M) + (We - Wm) + (Ke - Km) + (Re - Rm) + (Rce - Tm) + (RKe - RKm) + - Anp. dove: E - M : saldo beni e servizi (bilancia commerciale); We - Wm : redditi da lavoro netti dall’estero; Ke - Km : redditi da capitale netti dall’estero; Re - Rm : trasferimenti correnti netti dall’estero; Rce - Tm : contributi al netto delle imposte dalla Ue; RKe - RKm : trasferimenti in conto capitale netti dall’estero; Anp : acquisizioni meno cessioni di attività reali non prodotte. L’accreditamento o indebitamento del paese, o saldo delle transazioni internazionali, viene dunque articolato in diversi saldi elementari, che possono essere suddivisi in due saldi principali, relativi rispettivamente alle operazioni correnti e alle operazioni in conto capitale. Saldo delle operazioni correnti: SOC = (E - M) + (We - Wm) + (Ke - Km) + (Re - Rm) + (Rce - Tm). Saldo delle operazioni in conto capitale: SOK = (RKe - RKm) – Anp. Il conto delle transazioni internazionali si presenta come nel prospetto seguente:

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Aggregati

Entrate del paese

Uscite del paese

Saldi

Esportazioni di beni e servizi Importazioni di beni e servizi Redditi da lavoro dipendente dal resto del mondo al resto del mondo Redditi da capitale dal resto del mondo al resto del mondo Trasferimenti correnti dal resto del mondo al resto del mondo Contributi e imposte dal resto del mondo al resto del mondo

E We Ke Re Ce

M Wm Km Rm Tm

E - M We - Wm Ke - Km Re - Rm Ce - Tm

Totale transazioni correnti

SOC

Trasferimenti in conto capitale dal resto del mondo al resto del mondo Acquisizioni nette attività reali n.p.

RKe

RKm Anp

RKe - RKm - Anp

Totale transazioni in conto capitale

SOK

Totale transazioni

B

Nella tabella seguente viene riportato il conto delle transazioni internazionali dell’Italia nel 2005. L’indebitamento (B = -16144) dipende dal saldo negativo delle sole operazioni correnti, in particolare dai saldi negativi riguardanti i redditi (poco più di 54.000 in entrata e quasi 62.000 in uscita) e i trasferimenti (circa 14.000 in entrata e 24.000 in uscita).

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Tabella 5.1. Conto delle transazioni internazionali. Italia 2005 (milioni di euro)

Entrate del paese

Uscite del paese

Saldi

Esportazioni di beni e servizi (di cui: acquisti nel territorio dei non residenti) Importazioni di beni e servizi (di cui: acquisti all’estero dei residenti) Redditi da lavoro dipendente dal resto del mondo al resto del mondo Redditi da capitale dal resto del mondo al resto del mondo Trasferimenti correnti dal resto del mondo al resto del mondo Contributi e imposte dal resto del mondo al resto del mondo

370731 28597

1629

54432

13874

5335

371780 13996

2183

61623

23755

3801

-1049 14601

-544

-7191

-9881

1534 Totale transazioni correnti

446001

463142

-17141

Trasferimenti in conto capitale dal resto del mondo al resto del mondo Acquisizioni nette attività reali n.p.

3530

2602 69

928 -69

Totale transazioni in conto capitale

3530

2671

859

Totale transazioni

449531

465813

-16144

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ESERCIZIO 9 Nella tabella seguente sono riportati alcuni aggregati relativi all’economia italiana nel 2006 (milioni di euro)

Aggregati Valore Importazioni 422843 Esportazioni 410732 Redditi interni da lavoro dipendente 607699 Redditi da lavoro dipendente nazionali 607381 Reddito nazionale netto 1239712 Reddito disponibile netto 1226515 Imposte indirette nette versate alla Ue -1242 Redditi da capitale netti dall’estero -4941 Trasferimenti in conto capitale netti dall’estero 1991 Acquisizioni meno cessioni attività reali non prodotte 98

Calcolare il saldo delle operazioni correnti, quello delle operazioni in conto capitale e l’accreditamento o indebitamento del paese. Soluzione: Per calcolare il saldo delle operazioni correnti occorre prima determinare i redditi da lavoro netti dall’estero, come differenza tra il reddito da lavoro dipendente nazionale e quello interno: We – Wm = W – Wp = -318. Poi occorre determinare i trasferimenti correnti netti dall’estero, come differenza tra il reddito disponibile e il reddito nazionale: Re – Rm = R – Rp = Yd – Yn = 1226515 – 1239712 = -13197. Infine, il saldo beni e servizi: E – M = 410732 – 422843 = -12111. Ora si può calcolare il saldo delle operazioni correnti: SOC = (E - M) + (We - Wm) + (Ke - Km) + (Re - Rm) + (Rce - Tm). = -12111 – 318 – 4941 – 13197 + 1242 = -29325 e il saldo delle operazioni in conto capitale: SOK = (RKe - RKm) - Anp = 1991 – 98 = 1893. Infine, l’accreditamento o indebitamento del paese: B = SOC + SOK = -29325 + 1893 = -27432.

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6. I fattori della produzione L’attività di produzione avviene attraverso l’impiego da parte delle imprese di diversi input produttivi: materie prime e beni e servizi acquistati da altre imprese e fattori produttivi primari, costituiti dal lavoro e dal capitale (oltre che dalla attività imprenditoriale). Se però si considera il sistema delle imprese come un blocco unitario, come un’unica grande impresa integrata, gli scambi di beni e servizi intermedi si compensano reciprocamente e si possono trascurare, esattamente come già visto nel capitolo precedente a proposito della misura dell’output, dove l’attenzione è stata concentrata sulla sola produzione che esce dal blocco dei produttori (produzione finale). Allo stesso modo, i fattori della produzione sui quali concentrare prevalentemente l’attenzione sono pertanto i fattori primari: lavoro e capitale. Nel seguito vengono descritti i metodi e le fonti statistiche per la loro misurazione. 6.1. Il lavoro Il lavoro come fattore della produzione è in genere espresso in unità fisiche: il numero di occupati o altre misure più adatte a esprimere l’effettivo volume di lavoro impiegato nel processo produttivo. Le informazioni statistiche sul numero degli occupati e su altre importanti grandezze relative al mercato del lavoro vengono rilevate con apposite indagini statistiche sulle famiglie residenti, mentre la stima del volume di lavoro impiegato nel processo produttivo viene effettuata attraverso una procedura complessa che utilizza diverse fonti statistiche. 6.1.1. La rilevazione dell’occupazione e gli indicatori relativi al mercato del lavoro Come per la contabilità nazionale, le grandezze relative al mercato del lavoro sono definite e misurate in base a criteri standardizzati che ne garantiscono la confrontabilità tra paesi. Detti criteri sono stabiliti dall’ILO (International Labor Office) e fatti propri in Europa dall’Eurostat e in Italia dall’ISTAT. La principale fonte statistica per l’analisi del mercato del lavoro è la rilevazione delle forze di lavoro, una indagine campionaria sulle famiglie residenti armonizzata a livello europeo. Per l’Italia l’indagine riguarda annualmente circa 300.000 famiglie residenti in 1246 comuni, stratificati all’interno di ogni provincia, per un totale di circa 800.000 individui (l’1.4% della popolazione), per ognuno dei quali vengono rilevate le informazioni sulla propria condizione occupazionale in una determinata settimana di riferimento dell’indagine (quella precedente alla data della intervista). Dal 2004 la rilevazione è distribuita in tutto l’arco dell’anno, invece che essere concentrata in una specifica settimana di ogni trimestre, come in passato. I dati trimestrali pubblicati rappresentano dunque una situazione media del trimestre e non più la situazione di una specifica settimana del trimestre. Analogamente per i dati annuali, che sono la media dei dati trimestrali. Le principali grandezze oggetto di misurazione sono le forze di lavoro, l’occupazione e la disoccupazione. Vediamone le definizioni.

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Le forze di lavoro sono costituite dalle persone residenti che lavorano o comunque esprimono la volontà di lavorare. Comprendono quindi sia gli occupati che le persone in cerca di occupazione (comunemente dette disoccupati) e rappresentano pertanto l’offerta di lavoro. Gli occupati sono, secondo la definizione adottata, le persone in età di 15 anni e oltre che nella settimana di riferimento dell’indagine hanno svolto almeno un’ora di lavoro retribuito (anche in natura) o non retribuito nella ditta di un familiare, compresi gli assenti dal lavoro per ferie, malattia o altra causa, purché l’assenza non superi i tre mesi o se durante l’assenza si continua a percepire almeno il 50% della retribuzione. La stessa regola vale anche per i lavoratori in cassa integrazione guadagni, che sono pertanto conteggiati tra gli occupati se ricorre l’una o l’altra delle due precedenti condizioni. Le persone in cerca di occupazione sono invece le persone non occupate di 15-74 anni che sono alla ricerca “attiva” di una occupazione e sono immediatamente disponibili a lavorare, ovvero se: a) hanno effettuato almeno una azione di ricerca entro i 30 giorni precedenti (è ciò che si intende per ricerca “attiva” del lavoro); b) sono disponibili ad accettare un lavoro, o ad avviare un’attività autonoma, entro le successive due settimane. Le persone che non appartengono alle forze di lavoro costituiscono infine gli inattivi (o non forze di lavoro). Ognuna delle grandezze precedenti è articolata secondo diversi caratteri, in particolare secondo il sesso, l’età, la regione di residenza. Una distinzione importante è inoltre tra occupati dipendenti, che lavorano per un’altra impresa, e occupati indipendenti, che lavorano in proprio o che sono coadiuvanti di una impresa familiare. Nella tabella seguente sono riportati i dati relativi all’Italia nel 2005 degli occupati, delle persone in cerca di occupazione, delle forze di lavoro e della popolazione residente, classificati per sesso.

Tabella 6.1. Popolazione per condizione occupazionale e sesso. Italia 2005 (migliaia) In Condizione Maschi Femmine complesso Forze di lavoro 14640 9811 24451 Occupati 13738 8825 22563 In cerca di occupazione 902 986 1888 Non forze di lavoro 13610 20074 33684 Popolazione residente 28250 29885 58135

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A partire dalle precedenti grandezze si possono definire i principali indicatori relativi al mercato del lavoro, ovvero i tassi di attività (o di partecipazione), di disoccupazione, di occupazione, sia generici (senza distinzioni di sesso o età), sia specifici (per sesso e classi di età). Indichiamo con: P : popolazione residente di età compresa tra 15 anni e 64 anni; FL : forze di lavoro; L : occupati; D : in cerca di occupazione (disoccupati); a : tasso di attività; d : tasso di disoccupazione; l : tasso di occupazione della popolazione. I tassi di attività, di occupazione e di disoccupazione sono dati dai seguenti rapporti:

Tasso di attività : a = P

FL

Tasso di disoccupazione : d = FL

D

Tasso di occupazione (della popolazione): l = P

L

Il tasso di disoccupazione è l’indicatore tradizionalmente più utilizzato per analizzare le condizioni del mercato del lavoro. Da solo non è tuttavia sufficiente a formulare giudizi appropriati, perché gli effetti negativi o positivi del ciclo economico, che si traducono in variazioni della domanda di lavoro, si riflettono anche sulla offerta, misurata dalle forze di lavoro, e non solo sulla disoccupazione. Le difficoltà dell’economia, oltre ad aumentare la disoccupazione, in genere fanno anche diminuire la partecipazione al mercato del lavoro di una parte della popolazione potenzialmente disponibile a lavorare, che per effetto delle maggiori difficoltà a trovare lavoro non lo cerca più attivamente. Di conseguenza, per le definizioni date, quella parte di popolazione non è più considerata in cerca di occupazione e non è più conteggiata tra le forze di lavoro. Ne deriva pertanto quella che viene definita “disoccupazione invisibile” derivante dal cosiddetto fenomeno del “lavoratore o disoccupato scoraggiato”. Il contrario avviene quando la domanda di lavoro da parte delle imprese aumenta: la disoccupazione diminuisce perché una parte dei disoccupati trova lavoro, ma altre persone si aggiungono a quelle in cerca di occupazione – e quindi alle forze di lavoro – incoraggiate dalle maggiori opportunità di trovare lavoro. Meccanismi di questo tipo contribuiscono a spiegare anche i divari territoriali nei tassi di attività e di disoccupazione: nelle aree territoriali ad economia più debole, ad esempio nelle regioni meridionali italiane, si registra in genere, oltre ad un più elevato tasso di disoccupazione, anche un minore tasso di attività, mentre il contrario avviene nelle regioni economicamente più dinamiche del Centro Nord.

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La necessità di considerare congiuntamente tasso di disoccupazione e tasso di attività fa sì che l’indicatore sintetico più adeguato per l’analisi del mercato del lavoro sia il tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro, che infatti può essere visto come prodotto tra l’indicatore complementare del tasso di disoccupazione e il tasso di attività. Si ha infatti:

l = P

FL

FL

L

P

L = =FL

D)-(FL

P

FL= (1- d) a

Nella tabella seguente sono riportati i tassi di occupazione per sesso di alcuni principali paesi europei. L’Italia è il paese con il tasso di occupazione più basso (57.6%), ben lontano dai cosiddetti “obiettivi di Lisbona” fissati dal Consiglio dell’Ue, che prevedono per il 2010 un tasso di occupazione della popolazione in età di lavoro del 70%. Come si vede, lo scostamento dipende principalmente dalla componente femminile, il cui tasso di occupazione è solo del 45.3%, mentre l’obiettivo 2010 è posto al 60%.

Tabella 6.2. Tassi di occupazione sulla popolazione di 15-64 anni nei principali paesi europei per sesso. Anno 2005 In Paesi Maschi Femmine complesso Italia 69.9 45.3 57.6 Francia 68.8 57.6 63.1 Germania 71.3 60.6 66.0 Regno unito 77.6 65.9 71.7 Spagna 75.2 51.2 63.3 EU-27 70.8 56.2 63.4

ESERCIZIO 10 Nella seguente tabella sono riportati alcuni indicatori e aggregati relativi al mercato del lavoro nel Mezzogiorno (anno 2004):

Forze di lavoro (migliaia) 7478.7 Tasso di disoccupazione (%) 13.7 Tasso di attività della popolazione in età di lavoro (%) 54.3

calcolare il numero di occupati e quello dei disoccupati (in migliaia) e il tasso di occupazione sulla popolazione in età di lavoro. Soluzione: Sono noti: FL = 7478.7; d = 0.137; a = 0.543

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Dobbiamo determinare: L, D e l. Per le espressioni precedenti, abbiamo: D = d ⋅ FL = 0.137 ⋅ 7478.7 = 1024.6; L = FL – D = 7478.7 – 1024.6 = 6454.1; Poiché l = L/P, per determinare l dobbiamo prima calcolare P (popolazione in età di lavoro): P = 1/a ⋅ FL = 1/0.543 ⋅ 7478.7 = 13772.9; e quindi: l = L/P = 6454.1/13772.9 = 0.469. Il tasso di occupazione l si può però calcolare anche direttamente, tramite la relazione che lo lega ai tassi di attività e di disoccupazione: l = (1-d) a = (1 – 0.137) ⋅ 0.543 = 0.469. 6.1.2. La misurazione dell’input di lavoro impiegato nel processo produttivo Il numero di occupati rilevato con l’indagine sulle forze di lavoro, benché molto utile ai fini delle analisi sul mercato del lavoro, non è una buona misura dell’input di lavoro impiegato nel processo produttivo di un sistema economico nazionale (o regionale). In primo luogo perché l’indagine riguarda le sole famiglie residenti (anagraficamente), mentre il processo produttivo di interesse per la CN è quello che si svolge nel territorio economico del paese. Processo produttivo che in parte può impiegare anche il lavoro di non residenti, mentre non è detto che impieghi il lavoro di tutti i residenti. Più specificamente, l’occupazione misurata dall’indagine sulle forze di lavoro non comprende i lavoratori che pur non essendo residenti secondo l’anagrafe lavorano nel territorio economico del paese (come i frontalieri, gli stagionali non residenti), che vanno invece compresi nella valutazione dell’input di lavoro. Così come vanno compresi i lavoratori non appartenenti a famiglie ma a convivenze e gli occupati in età non considerata dall’indagine. D’altro canto, l’indagine comprende i residenti che lavorano all’estero e che vanno invece esclusi dalla valutazione dell’input di lavoro. Ai fini della misurazione dell’input di lavoro impiegato nel processo produttivo occorre, in altri termini, una valutazione su base interna, così come su base interna viene valutato l’output del medesimo processo produttivo. L’input di lavoro così valutato è costituito dagli occupati interni, che comprendono quindi tutti gli occupati impiegati nelle attività di produzione che si svolgono all’interno del territorio economico del paese: compresi i non residenti che lavorano per unità produttive residenti; esclusi i residenti che lavorano fuori dal territorio economico. Ai fini della misura dell’input di lavoro il SEC95 suggerisce tuttavia di fare riferimento ad un concetto diverso da quello di occupato, in modo da tenere conto della diversa intensità di lavoro che può caratterizzare i diversi occupati, alcuni dei quali, ad esempio, lavorano part-time e altri fanno invece un doppio lavoro. L’unità di misura dell’input di lavoro suggerita è l’ unità di lavoro equivalenti a tempo pieno, che in Italia è stata introdotta da tempo ed è alla base della valutazione delle cosiddette ULA (unità di lavoro). Queste ultime sono determinate attraverso un procedimento molto

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complesso che porta anche alla definizione di un altro concetto relativo alla occupazione: quello di posizioni lavorative. La posizione lavorativa è definita come un contratto di lavoro, esplicito o implicito, tra una persona e una unità produttiva residente, finalizzato allo svolgimento di una attività produttiva retribuita. Ogni occupato ricopre almeno una posizione lavorativa, ma può ricoprirne anche più di una. Ad esempio, se svolge un doppio lavoro ricopre due posizioni lavorative. Le posizioni lavorative rappresentano dunque il numero dei posti di lavoro, compresi quelli corrispondenti alle seconde attività (e in genere alle posizioni plurime) e sono pertanto sempre in numero maggiore rispetto a quello degli occupati. Le unità di lavoro (equivalenti a tempo pieno) si determinano riducendo ad unità omogenee, in proporzione al numero di ore di lavoro, le diverse posizioni lavorative per tenere conto del fatto che ad una parte di esse non corrisponde un impiego full time. Le seconde attività sono infatti quasi sempre svolte ad orario ridotto e parte delle stesse prime (o uniche) attività possono essere svolte contrattualmente part time o comunque, per diverse cause, anch’esse ad orario ridotto. La compresenza di diverse tipologie di lavoro, dal part-time al doppio lavoro, è peraltro soltanto una delle ragioni per cui il semplice numero di occupati interni non è una buona misura dell’input di lavoro. Un’altra ragione non meno importante per pervenire ad una stima ad hoc del volume di lavoro effettivamente impiegato nel processo produttivo è la notevole diffusione, soprattutto nel sistema economico del nostro paese, del lavoro irregolare (“in nero”), che non riguarda solo il caso già menzionato del doppio lavoro, ma anche molti casi di lavoro principale o unico, in particolare il lavoro degli stranieri non residenti. Come si vedrà più avanti, il lavoro irregolare è una delle fonti della economia sommersa, che dovrà in qualche modo essere valutata per integrare le stime del valore aggiunto e di altri aggregati della CN. Anche la corrispondente occupazione dovrà dunque essere ricompressa nell’input di lavoro impiegato nel processo produttivo. Per questo il procedimento di stima delle ULA cerca di identificare tutte la diverse tipologie di lavoro, compreso quello irregolare. La complessa procedura adottata dall’ISTAT per la stima delle ULA è fondata sul confronto tra le principali indagini statistiche sull’offerta di lavoro e le corrispondenti sul lato della domanda: censimento della popolazione e indagini correnti sulle forze di lavoro, da un lato; censimenti dell’industria e dei servizi e indagini correnti sulle imprese, dall’altro. Fonti ad hoc sono inoltre utilizzate per cercare di stimare il lavoro irregolare degli stranieri non residenti. Nella tabella seguente sono riportati gli occupati residenti, quelli interni e le ULA nel 2005.

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Tabella 6.3. Occupati residenti, occupati residenti e ULA per posizione nella Professione. Italia 2005 (migliaia) Dipendenti Indipendenti Totale Occupati residenti 16533 6030 22563 Occupati interni 18355 5978 24333 Unità di lavoro 17298 7031 24329

Nel complesso, le ULA erano pressoché lo stesso numero degli occupati interni, il che vuol dire che il fenomeno del doppio lavoro e quello del part-time si compensavano reciprocamente. Gli occupati interni sono invece molto più numerosi degli occupati residenti rilevati dall’indagine sulle forze di lavoro, il che dipende in larga misura dal lavoro degli stranieri non residenti. Considerazioni un po’ diverse valgono tuttavia se si analizza il passaggio da occupati residenti a occupati interni a ULA separatamente per i dipendenti e gli indipendenti. ESERCIZIO 11 Poniamo che in una regione:

- gli occupati rilevati con l’indagine sulle forze di lavoro siano 300.000; - che di essi il 10% lavorino stabilmente in altre regioni; - che nella regione lavorino stabilmente 20.000 occupati residenti in altre regioni

o all’estero; - che il 10% degli occupati che lavorano nella regione siano a tempo parziale, a

metà orario; - che il 20% dei medesimi occupati faccia un doppio lavoro, con il secondo

lavoro a metà orario, calcolare gli occupati interni, le posizioni lavorative e le ULA della regione. Soluzione: Gli occupati interni sono dati dagli occupati residenti (300.000) più la differenza tra i non residenti che lavorano nella regione (20.000) e i residenti che lavorano fuori regione (10% di 300.000, pari a 30.000): Occupati interni = 300.000 + 20.000 – 30.000 = 290.000. Le posizioni lavorative sono date dagli occupati (interni) più le posizioni multiple, queste ultime pari al numero di occupati con doppio lavoro (il 20% di 290.000, pari a 58.000): Posizioni lavorative = 290.000 + 58.000 = 348.000. Le ULA sono determinate riducendo le posizioni lavorative per tenere conto del fatto che una parte di esse sono a orario ridotto: le posizioni uniche a tempo parziale (il 10% dei 290.000 occupati, pari a 29.000, e le posizioni multiple a metà tempo (le 58.000 già stimate), per un complesso di 87.000. Pertanto delle 348.000 posizioni lavorative,

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261.000 sono a orario intero (e quindi ognuna di esse costituisce una unità di lavoro) e 87.000 a metà orario unità di lavoro), da cui: ULA = 261.000 + 0.5 ⋅ 87.000 = 304.500. 6.2. La misura dello stock di capitale L’input di capitale viene misurato tramite il valore dello stock di capitale, ovvero il valore dei beni durevoli impiegati dalle imprese per realizzare il processo di produzione valutati ai prezzi correnti di sostituzione. Per la stima dello stock di capitale i dati contabili delle imprese non sono utilizzabili, poiché sono registrati a valori storici, espressi cioè ai prezzi delle varie epoche di acquisto dei beni capitali e non ai prezzi correnti del periodo contabile. Il valore dello stock di capitale si stima pertanto attraverso il cosiddetto metodo dell’inventario permanente, che è un metodo di valutazione indiretto fondato sull’ammontare degli investimenti effettuati in passato, considerando un numero di anni pari alla durata economica delle varie tipologie di beni di investimento. Il metodo prevede dunque in primo luogo che i capitali fissi vengano raggruppati in classi omogenee dal punto di vista della durata economica (h = 5, 10, 15 anni, ecc.). Per ogni classe h di capitali fissi e per un determinato anno t a cui si riferisce la stima si può calcolare sia il capitale lordo che il capitale netto a partire dagli investimenti degli h anni precedenti. Detti investimenti devono però essere rivalutati, attraverso appropriati indici dei prezzi dei beni di investimento, in modo da esprimerli ai prezzi dell’anno t. Il capitale lordo esprime il valore dello stock di capitale nella ipotesi che i beni capitali abbiano mantenuto integra la loro efficienza economica. La sua stima va dunque effettuata al lordo del consumo di capitale fisso, misurato dagli ammortamenti. Se si ipotizza che i beni capitali vengano ritirati in blocco a conclusione degli h anni di durata economica, lo stock di capitale lordo è pertanto dato dalla semplice somma di tali investimenti negli h anni precedenti. Ad esempio, per la stima del capitale lordo della classe di durata economica 5 anni alla fine del 2005 si considerano gli investimenti effettuati nel 2005, nel 2004 ecc., fino al 2001 e si sommano tali investimenti espressi ai prezzi del 2005. In generale, indicato con It

(h) il valore degli investimenti dell’anno t della classe di beni capitali di durata economica h (ai prezzi dell’anno t), lo stock di capitale lordo della classe h alla fine dell’anno t (indicato con Kt

(h) ) è dato dalla espressione seguente:

)(htK = )(h

tI + )(1

htI − + h

tI 2− +…+ h

jtI − +… + hhtI )1( −− = ∑

=

1

0

h

j

(h)-tI j .

Mentre lo stock di capitale lordo complessivo è dato da: Kt = ∑

h

htK .

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Come si è accennato, l’espressione è corretta solo se si ipotizza che tutti i beni capitali compresi negli investimenti h jtI − del generico anno t-j sopravvivano intatti al tempo t, e

che vengano pertanto ritirati in blocco tutti alla conclusione della vita utile ipotizzata, ovvero dopo h anni. In questo caso si dice che la funzione di eliminazione dei beni capitali è ad uscita simultanea. Ad esempio, se la vita economica di un mezzo di trasporto è fissata in 10 anni, quel criterio significa che tutti i mezzi di trasporto acquistati 10 anni prima dell’anno t sono ancora presenti nello stock di capitale all’inizio dell’anno t (o, che è lo stesso, alla fine dell’anno t-1) e che ne escono tutti insieme nell’anno t. Noto lo stock di capitale della classe h alla fine dell’anno t-1, il capitale lordo dell’anno t si ottiene dunque sommando allo stock di capitale iniziale i nuovi investimenti dell’anno t e sottraendo il valore dei beni capitali “ritirati”, che non è altro che il valore degli investimenti di h anni prima, come nella espressione seguente:

)(htK = )(

1h

tK − + )(htI – )(h

htI − .

L’ipotesi precedente è ovviamente poco realistica e per questo nella stima dello stock di capitale lordo si assume in genere una ipotesi di eliminazione dei beni capitali ad uscita distribuita, in genere secondo una curva normale. Si assume cioè che nell’anno t non escano in blocco tutti i beni capitali acquistati h anni prima, ma un insieme di beni capitali di età diverse, prevalentemente di età h, ma anche, per una aliquota minore, di età h-1 e h+1, per un’aliquota ancora minore di età h-2 e h+2 e così via, secondo una distribuzione a campana (e con somma delle aliquote pari a 1). Indicati con )(h

tR i ritiri di beni capitali così determinati, l’espressione precedente per la

stima del capitale lordo dell’anno t a partire dal valore dello stock di capitale iniziale )(1

htK − , si modifica nel modo seguente:

)(h

tK = )(1

htK − + )(h

tI – )(htR .

Lo stock di capitale netto misura invece il valore dei beni durevoli impiegati nel processo produttivo al netto della perdita di valore da essi subita con il tempo a seguito della obsolescenza economica, perdita di valore misurata dagli ammortamenti. Stima degli ammortamenti. Come lo stock di capitale, anche gli ammortamenti non possono essere stimati tramite i dati contabili delle imprese, che risentono delle mutevoli politiche degli ammortamenti da esse adottate, e vengono pertanto stimati ancora con il metodo dell’inventario permanente. La stima degli ammortamenti consiste nel determinare l’entità della perdita di valore dello stock di capitale fisso e tradurla in una grandezza monetaria ai prezzi correnti di sostituzione. Per la generica classe di beni capitali di durata economica h si tratta di calcolare l’ammortamento dell’anno t applicando appropriate quote di ammortamento agli investimenti effettuati negli h anni precedenti, secondo una espressione del tipo seguente:

82

)(h

tA = d1 )(1

htI − + d2

htI 2− +…+ dj

hjtI − +… + dh

hhtI − (con ∑

jjd =1).

Il SEC suggerisce di utilizzare la legge di ammortamento lineare, ovvero a quote costanti, nel qual caso si ha dj =1/h (j=1, …, h) e quindi:

)(htA =

h

1( )(

1h

tI − + htI 2− +… + h

htI − ).

Mentre l’ammortamento complessivo è dato da: At =

h∑ At

(h) .

Nella tabella seguente vengono riportate le stime dello stock di capitale lordo e netto per branche di attività in Italia nel 2005.

Tabella 6.4. Stock di capitale lordo e netto per branche di attività. Italia 2005 (milioni di euro) Branche di attività Lordo Netto Agricoltura, silvicoltura, pesca 359623 182202 Industria in senso stretto 1502887 779942 Costruzioni 154722 90108 Servizi 5725727 3535653 Totale 7742959 4587905

83

7. La valutazione del Prodotto interno lordo nella CN italiana 7.1. Le indagini correnti sulle imprese Uno dei principali pilastri del sistema delle statistiche economiche a sostegno della contabilità nazionale italiana è costituito dalle indagini annuali sui ricavi e i costi delle imprese. Da tali indagini si ottengono infatti le informazioni necessarie per la stima dell’aggregato principe della CN, il Pil (e la sua articolazione in valore aggiunto delle varie branche di attività), ma anche, come vedremo, quelle necessarie per stimare altri importanti aggregati. Le indagini correnti sui ricavi e i costi delle imprese sono due:

- una indagine totalitaria sulle imprese di maggiori dimensioni (indagine sul sistema dei conti delle imprese - SCI);

- una indagine campionaria sulle imprese minori (indagine sulle piccole e medie

imprese - PMI ). L’ indagine sul sistema dei conti delle imprese è un’indagine annuale relativa a tutte le imprese italiane con almeno 100 addetti (circa 9000) con la quale si rileva un set completo di informazioni relative al conto economico e allo stato patrimoniale dell’impresa, oltre ad informazioni sugli addetti, sul costo del personale e sugli investimenti. L’ indagine sulle piccole e media imprese è invece un’indagine campionaria, sempre annuale, relativa alle imprese con meno di 100 addetti, condotta su oltre 100.000 imprese (circa il 3% del totale di quella classe dimensionale) con la quale si rilevano le più importanti voci del conto economico, gli addetti, il costo del personale e gli investimenti. L’universo di riferimento delle indagini sulle imprese è costituito dall’Archivio statistico delle imprese attive (Asia): una sorta di anagrafe delle imprese “attive”, cioè di tutte le imprese che conducono effettivamente un’attività economica, nel campo dell’industria e dei servizi. L’archivio è stato costruito a partire dal censimento intermedio dell’industria e dei servizi del 1996, integrando diversi archivi relativi alle imprese (delle camere di commercio, dell’Inail, dell’Inps ecc.) ed è aggiornato annualmente con informazioni di origine amministrativa e derivanti dalle stesse indagini correnti sulle imprese. Da Asia si traggono le informazioni anagrafiche, sulla forma giuridica e sugli addetti necessarie per realizzare le due indagini statistiche correnti sulle imprese. La stima del valore aggiunto di una branca di attività tuttavia non avviene, per ragioni che saranno chiare tra poco, come semplice aggregazione di dati rilevati presso le imprese. Attraverso le indagini sulle imprese si stimano invece dei parametri caratteristici , ad esempio il valore aggiunto per addetto, che vengono poi “riportati all’universo” moltiplicandoli per una misura il più possibile corretta del lavoro impiegato nel processo produttivo, ovvero le ULA, la cui valutazione secondo i criteri accennati nel capitolo precedente costituisce il secondo pilastro su cui si fonda la stima

84

di diversi aggregati della CN italiana, a partire dal valore aggiunto e dal Pil, come sarà più chiaro a conclusione del prossimo paragrafo. Nella tabella seguente sono riportati alcuni aggregati e rapporti caratteristici delle imprese italiane, classificate per classi dimensionali, tratti dalle indagini correnti sulle imprese del 2003. Ne emergono in particolare i bassi valori della produttività media aziendale (valore aggiunto per addetto) e del costo unitario medio del personale delle imprese di minori dimensioni (1 – 9 addetti) rispetto alle medie (50 – 249 addetti) e alle grandi (250 addetti e oltre). Tabella 7.1. Alcuni aggregati e indicatori economici tratti dalle indagini correnti sulle imprese industriali e di servizi, per classe di addetti. Anno 2003 Classi di Fatturato Valore aggiunto Costo del lavoro addetti (milioni di euro) valore assoluto per addetto per dipendente (milioni di euro) (migliaia di euro) (migliaia di euro) 1 - 9 686317 189151 25.0 19.9 10 - 19 242174 61170 34.0 23.7 20 - 49 271113 63971 40.6 27.7 50 - 249 429528 94297 47.9 32.4 250 e oltre 685712 166388 58.8 36.3 Totale 2314844 574976 36.5 28.4 7.2. La stima dell’economia sommersa La stima della produzione e del valore aggiunto sulla base dei dati rilevati con le indagini correnti sulle imprese garantisce una rappresentazione esaustiva non dell’intera attività economica, ma di una sua parte: quella osservabile dai sistemi statistici. Accanto alla economia osservabile (o emersa) esiste però un’economia parzialmente o totalmente non osservabile dalle autorità amministrative o fiscali e quindi neppure dai sistemi statistici. Il SEC tuttavia prevede, come già rilevato, che tutte le attività di produzione di beni e servizi devono essere considerate ai fini della valutazione dei relativi aggregati di contabilità nazionale, indipendentemente dalla circostanza che siano emerse o sommerse, o perfino illegali. I risultati dell’attività produttiva rilevati con le indagini sulle imprese vanno perciò integrati per tenere conto anche delle attività che costituiscono la cosiddetta economia sommersa. I dati dei conti economici aziendali rilevati attraverso le indagini sulle imprese presentano due limiti riconducibili al fenomeno dell’economia sommersa:

- non sono riferibili alle attività produttive realizzate attraverso l’impiego di lavoro irregolare;

85

- sono in genere consistenti con i dati dichiarati alle autorità fiscali e pertanto sono talvolta affetti dalla medesima distorsione imputabile a sottodichiarazione dei risultati economici.

Gli accorgimenti previsti dalla CN per integrare l’attività economica emersa con quella sommersa sono pertanto:

- la valutazione dell’input di lavoro impiegato nel processo produttivo, indipendentemente dalla circostanza che si tratti di occupazione regolare o non regolare;

- la correzione delle sottodichiarazioni rilevabili nelle indagini sulle imprese.

L’economia sommersa che origina dall’impiego di lavoro irregolare viene inserita negli aggregati di CN tramite la valutazione dell’input di lavoro in termini di ULA. Tale valutazione, come già visto nel capitolo precedente, viene infatti realizzata anche con l’obiettivo di comprendere il lavoro irregolare nella misura dell’input di lavoro effettivamente impiegato nel processo produttivo. Le ULA irregolari , che si aggiungono a quelle regolari, fanno riferimento a diverse tipologie di occupati irregolari: gli irregolari residenti , ovvero le prestazioni lavorative continuative di lavoratori residenti non osservabili presso le imprese, oppure le prestazioni occasionali di altre persone residenti (studenti, casalinghe, pensionati); le posizioni plurime, ovvero le attività oltre la principale (secondo o terzo lavoro) non dichiarate alle istituzioni fiscali; gli stranieri non residenti che svolgono attività lavorative non regolari. L’economia sommersa che origina da sottodichiarazione dei risultati economici delle imprese viene a sua volta inserita negli aggregati di CN attraverso la correzione (rivalutazione) dei dati che si sospettano dichiarati in modo non veritiero. La procedura di correzione – che riguarda le sole imprese con meno di 20 addetti, ritenute più soggette al fenomeno della sottodichiarazione – si fonda su due ipotesi:

a) che le imprese tendano a sottodichiarare il fatturato, ma non i costi di produzione;

b) che a livello di categoria di attività economica (una articolazione delle branche)

e per ciascuna classe dimensionale il reddito del lavoratore indipendente non possa essere inferiore a quello medio dei lavoratori dipendenti.

Quando ciò avviene, il fatturato (e di conseguenza il valore aggiunto) dell’impresa vengono corretti in aumento nella misura necessaria a riportare il reddito unitario da lavoro indipendente al livello di quello medio dei lavoratori dipendenti. In definitiva, la stima della produzione e del valore aggiunto di una determinata branca si fonda sulla stima di parametri caratteristici (produzione per addetto o valore aggiunto per addetto) tramite le indagini sulle imprese, articolati per categorie di attività economica e classi dimensionali e corretti per tenere conto delle sottodichiarazioni, e

86

successiva espansione all’universo attraverso le ULA, comprese le irregolari, stimate per le medesime categorie di attività economica e classi dimensionali. Con riferimento alla stima del valore aggiunto di una generica branca h, indichiamo con (i deponenti i e j si riferiscono rispettivamente alla classe dimensionale e alla categoria di attività economica, con hj ∈ ): y(d)

i,j : valore aggiunto dichiarato nelle indagini sulle imprese; y(i)

i,j : valore aggiunto integrato per sottodichiarazione; y(c)

i,j : valore aggiunto corretto (dichiarato più integrato); l i,j : addetti rilevati con le indagini sulle imprese; ULA (r)

i,j : unità di lavoro regolari; ULA (i)

i,j : unità di lavoro irregolari; ULA (t)

i,j : unità di lavoro totali (regolari più irregolari). Le informazioni e le fasi della procedura per introdurre nella stima del valore aggiunto della branca h anche le componenti sommerse sono schematizzate nel prospetto seguente: Fonti statistiche Economia

emersa Economia sommersa

Economia in complesso

Dati aziendali

VA dichiarato: y(d)i,j

Addetti : li,j

Integrazione VA sottodichiarato: y(i)i,j

VA corretto: y(c)

i,j

Stime input lavoro

Lavoro regolare: ULA (r)

i,j

Lavoro irregolare: ULA (i)

i,j Volume di lavoro:

ULA (t)i,j

Stime valore aggiunto

∑∈hji ji

dji

l

y

, ,

)(, )(

,rjiULA

∑∈hji ji

iji

l

y

, ,

)(, )(

,rjiULA +

+∑∈hji ji

cji

l

y

, ,

)(, )(

,ijiULA

∑∈hji ji

cji

l

y

, ,

)(, )(

,tjiULA

La stima del valore aggiunto Yh di una generica branca h che tiene conto sia della correzione per sottodichiarazione sia del lavoro non regolare è data pertanto dalla seguente espressione:

Yh = ∑∈hji ji

cji

l

y

, ,

)(, )(

,tjiULA .

L’espressione di Yh può essere vista peraltro come la somma di diverse componenti relative alla economia emersa e sommersa:

Yh = ∑∈hji ji

dji

l

y

, ,

)(, )(

,rjiULA +∑

∈hji ji

iji

l

y

, ,

)(, )(

,rjiULA +∑

∈hji ji

cji

l

y

, ,

)(, )(

,ijiULA

87

Nelle tabelle seguenti, con riferimento alla stima del valore aggiunto e del Pil dell’Italia nel 2004, vengono riportate le stime del valore aggiunto relativo all’economia sommersa per causa e l’incidenza del sommerso nelle diverse branche. Come si vede, l’incidenza del sommerso si avvicina al 18% del Pil, dipende principalmente dalle sottodichiarazioni, è maggiore nei servizi e nell’agricoltura che nell’industria.

Tabella 7.2. Valore aggiunto relativo alla economia sommersa per causa e corrispondente quota sul Pil. Italia 2004. Valore assoluto % del Pil Causa del sommerso (migliaia) Sottodichiarazioni 141347 10.2 Lavoro irregolare 89257 6.4 Riconciliazione stime 15215 1.1 Totale 245819 17.7 Tabella 3.3. Valore aggiunto relativo alla economia sommersa per branca. Italia 2004. valore assoluto % del Branche di attività (milioni di euro) valore aggiunto Agricoltura 5814 20.5 Industria 42360 11.0 Servizi 197645 22.1 Totale 245819 17.7

7.3. La produzione di beni e servizi non destinabili alla vendita e alcuni casi particolari La stima del valore aggiunto può essere fondata sui dati aziendali soltanto con riferimento ai beni e servizi destinabili alla vendita, che peraltro rappresentano gran parte della produzione e del valore aggiunto del paese. Per i servizi non destinabili alla vendita, poiché non c’è produzione venduta o vendibile dalla quale sottrarre i consumi intermedi, la valutazione non può avvenire con il metodo reale. La produzione totale viene quindi valutata attraverso i costi di produzione, costituiti dai consumi intermedi e dagli elementi del valore aggiunto (lordo). Così, ad esempio il valore aggiunto delle PA, non essendovi redditi da impresa o profitti, è dato dai soli redditi da lavoro dipendente e, se valutato al lordo, dagli ammortamenti. Mentre la sua produzione (totale) comprende, oltre al valore aggiunto, anche i costi per l’acquisto dei beni e servizi intermedi impiegati (energia, materiale di

88

consumo, servizi di pulizia, ecc.) Gli stessi criteri si applicano per stimare la produzione e il valore aggiunto dei servizi prodotti dalle istituzioni sociali private. La produzione di beni e servizi per uso proprio del produttore viene stimata prevalentemente attraverso le indagini sui consumi delle famiglie ed è valutata ai prezzi (base) di prodotti simili. Questo è in particolare il caso degli autoconsumi dei produttori agricoli e dei fitti figurativi delle abitazioni utilizzate dalle famiglie che ne sono proprietarie. La produzione di fabbricati in proprio viene in genere valutata al costo di produzione e quella di servizi domestici prodotti con personale retribuito in base al costo del personale impiegato. Un caso particolare nella stima della produzione e del valore aggiunto riguarda i servizi di intermediazione commerciale o finanziaria. La produzione dei servizi commerciali è misurata dai margini commerciali, che sono dati dalla differenza tra i prezzi di vendita e quelli di acquisto dei beni venduti. Più complesso è il caso dei servizi resi dalle banche e dagli altri intermediari finanziari. L’attività produttiva delle banche dà luogo a ricavi di due tipi:

- provvigioni direttamente addebitate ai clienti, imprese o famiglie (ad esempio per la tenuta del conto corrente, cassette di sicurezza, pagamento bollette, ecc.);

- ricavi derivanti dall’attività di intermediazione finanziaria, corrispondenti alla

maggiorazione degli interessi sugli impieghi rispetto a quelli pagati sui depositi. Questi vengono chiamati servizi di intermediazione finanziaria indirettamente misurati .

Un operatore che si finanzia presso una banca paga un interesse passivo (attivo per la banca) che può essere visto come la somma di due componenti: a) l’interesse per l’utilizzazione del capitale preso a prestito e impiegato nel processo produttivo come fattore primario, che corrisponde a ciò che percepisce l’operatore che quel capitale ha messo a disposizione di altri, depositandolo in banca (l’interesse passivo per la banca); b) un interesse aggiuntivo a compenso dell’attività di intermediazione finanziaria prodotta dalla banca, pari alla differenza tra interesse attivo e passivo (per la banca), che per l’utilizzatore rappresenta il costo dell’acquisto di un servizio (di intermediazione finanziaria) e cioè un consumo, che può essere finale o intermedio a seconda del tipo di impiego di quel servizio. Questa componente è il corrispettivo del servizio reso dalla banca ed entra quindi nella valutazione della sua produzione, unitamente alle provvigioni direttamente addebitate ai clienti. A conclusione, nella tabella seguente è riportato il valore aggiunto dell’Italia nel 2005 per branca, valutato sia al costo dei fattori che ai prezzi base, e viene mostrato come da tali valutazioni si perviene al Pil a prezzi di mercato aggiungendo opportunamente le imposte indirette nette.

89

Tabella 7.4. Valore aggiunto al costo dei fattori e a prezzi base per branca. Italia 2005 (milioni di euro) Branche di attività costo dei fattori prezzi base Agricoltura 30218 28048 Industria in senso stretto 252596 263376 Costruzioni 74396 76683 Servizi 877864 909885 Totale valore aggiunto 1235074 1277992 Imposte nette sui prodotti 145056 145056 Altre imposte nette sulla produzione 42918 Pil ai prezzi di mercato 1423048 1423048

90

Parte II

La comparazione degli aggregati economici nel tempo e nello spazio

91

8. I numeri indici e la comparazione degli aggregati economici Gli aggregati della contabilità nazionale illustrati nei capitoli precedenti vengono valutati anno dopo anno, e alcuni anche a cadenza trimestrale, dando luogo a serie temporali di dati annuali (o trimestrali). Una delle più importanti utilizzazioni di tali serie di aggregati è l’analisi delle loro variazioni nel tempo, con l’obiettivo di misurare l’intensità della loro “crescita”. La crescita economica, in genere misurata in base all’andamento del Pil, così come la crescita dei consumi, degli investimenti ecc., non può tuttavia essere misurata tramite la comparazione nel tempo di aggregati valutati ai prezzi dei singoli anni (prezzi correnti). La ragione è che la variazione del loro valore a prezzi correnti, la variazione nominale, non è attribuibile soltanto alla variazione della “quantità” di beni e servizi di cui tali aggregati sono espressione, ma anche alla variazione nel frattempo intervenuta nel livello dei prezzi dei medesimi beni e servizi. Per questa ragione per alcuni aggregati alla valutazione a prezzi correnti viene affiancata una seconda valutazione a prezzi costanti, cioè ai prezzi di un anno scelto come base o ai prezzi dell’anno precedente, in modo da eliminare dal confronto temporale l’effetto dell’aumento dei prezzi. Un accorgimento simile è necessario anche per confrontare correttamente gli aggregati relativi a paesi diversi. Così come i confronti nel tempo vanno fatti eliminando l’effetto dell’andamento dei prezzi, quelli nello spazio vanno fatti eliminando l’effetto dei diversi livelli dei prezzi interni, ovvero esprimendo gli aggregati a parità di potere d’acquisto. Il problema riguarda anche i confronti tra paesi che adottano una medesima valuta, come gran parte dei paesi europei, non solo quelli che adottano valute diverse, per i quali la conversione mediante i tassi di cambio non costituisce una soluzione accettabile, data la loro notevole variabilità nel tempo, legata a fattori speculativi, e in ogni caso perché riflettono il potere di acquisto esterno e non quello interno. I metodi di deflazione degli aggregati per i confronti nel tempo e quelli di determinazione di aggregati a parità di potere d’acquisto per i confronti nello spazio si basano sulla utilizzazione di appropriati numeri indici. Nel seguito di questo capitolo vengono pertanto richiamati i principali numeri indici necessari per i confronti nel tempo e nello spazio e viene fatto cenno alla misura dell’inflazione. 8.1. Caso di un solo bene: i numeri indici semplici

Partiamo dal caso più semplice, ipotizzando un aggregato costituito da un solo tipo di bene, il cui prezzo e la cui quantità al tempo t, denominato tempo corrente, li indichiamo rispettivamente con pt e qt, mentre con riferimento al tempo 0, denominato tempo base, li indichiamo con p0 e q0. Indichiamo inoltre con vt = pt ⋅ qt e v0 = p0 ⋅ q0 il valore dell’aggregato, rispettivamente, al tempo corrente e a quello base. Con questi dati possiamo definire tre numeri indici semplici, relativi alle variazioni, rispettivamente, dei prezzi, delle quantità e del valore. L’ indice semplice dei prezzi del tempo corrente rispetto a quello base è dato dal rapporto tra il prezzo del tempo t e quello del tempo 0 (eventualmente moltiplicato per 100, per ottenere un indice in base 100):

92

pi0,t =0

t

p

p;

Se ad esempio il prezzo dell’ipotetico bene è passato da 1000 a 1100 euro, l’indice vale 1.1 e se viene moltiplicato per 100 vale 110, il che vuol dire che il prezzo è aumentato del 10%. L’ indice semplice delle quantità del tempo corrente rispetto a quello base è dato dal rapporto tra la quantità del tempo t e quella del tempo 0:

qi0,t =0

t

q

q.

L’ indice semplice del valore del tempo corrente rispetto a quello base è dato infine dal rapporto tra il valore dell’aggregato del tempo t e quello del tempo 0:

vi0,t = 0

t

v

v.

Poiché vale la relazione seguente:

0

t

v

v =

0

t

p

p⋅

0

t

q

q,

ovvero:

vi0,t = pi0,t ⋅ qi0,t , nel caso dei numeri indici semplici vale la proprietà di decomponibilità delle cause o di reversibilità dei fattori, ovvero l’indice del valore è esprimibile come prodotto tra l’indice dei prezzi e quello delle quantità. E quindi è possibile scomporre la variazione del valore nelle sue due componenti, variazione dei prezzi e variazione delle quantità. Nel caso di confronti spaziali gli indici elementare si definiscono allo stesso modo. Se denotiamo con a e b due paesi, di cui a è assunto come paese base, e indichiamo con pa e qa i prezzi e le quantità del bene considerato nel paese base e con pb e qb i prezzi e le quantità relativi al paese b, gli indici dei prezzi, delle quantità e del valore sono dati, rispettivamente, dai rapporti tra i prezzi (pb/pa), tra le quantità (qb/qa) e tra i valori (vb/va), e ovviamente vale ancora la relazione tra i tre indici vista in precedenza. Nel seguito di questo capitolo i numeri indici verranno illustrati con riferimento al confronto temporale, ma è chiaro fin da ora che gli stessi indici possono essere applicati anche ai confronti spaziali.

93

8.2. I numeri indici complessi I confronti tra aggregati economici nel tempo e nello spazio ovviamente non riguardano un singolo bene, ma un insieme di beni (e servizi). Ad esempio, i beni e servizi compresi nell’aggregato consumi finali. Di conseguenza, se vogliamo depurare un aggregato dall’andamento dei prezzi, tale andamento non possiamo valutarlo tramite un numero indice semplice, ma dobbiamo ricorrere ad un numero indice complesso che sintetizzi l’andamento, a volte molto differenziato, dei prezzi dei diversi beni. Si considerino n beni i cui prezzi e le cui quantità nell’anno base 0 e nell’anno corrente t per il generico bene h li indichiamo, rispettivamente, con ph0, pht e qh0, qht. L’insieme delle informazioni sui prezzi e sulle quantità degli n beni nei due tempi 0 e t le riportiamo nello schema seguente:

Beni

Prezzi Quantità

0 t 0 t

1 p10 p1t q10 q1t

. . . . . . . . . . h ph0 pht qh0 qht

. . . . . . . . . . n pn0 pnt qn0 qnt

Con tali dati si possono definire i due seguenti aggregati effettivi:

∑h

ph0 qh0 ;

∑h

pht qht ,

ovvero, rispettivamente, la spesa effettiva nell’anno base e nell’anno corrente. Con i medesimi dati dello schema si possono inoltre calcolare anche i due seguenti aggregati fittizi:

∑h

ph0 qht ;

∑h

pht qh0 ,

ovvero, rispettivamente, la spesa (fittizia) che si sarebbe avuta al tempo corrente se i prezzi degli n beni fossero restati quelli del tempo base e la spesa fittizia che si sarebbe avuta se al tempo corrente fossero rimaste invece costanti le quantità del tempo base. Il rapporto tra i due aggregati effettivi misura la variazione del valore dell’aggregato considerato dall’anno 0 all’anno t ed è chiamato indice della variazione del valore:

94

V0,t = ∑

hh0h0

hth

ht

qp

qp.

Come già rilevato, la variazione del valore dipende dalle variazioni sia dei prezzi che delle quantità. Per separare le due componenti, ovvero per ottenere da un lato una misura della variazione dei prezzi e dall’altro una misura della variazione delle quantità, occorre rapportare opportunamente aggregati effettivi e fittizi. Si ottengono così due diversi indici complessi dei prezzi e due delle quantità. I due indici dei prezzi sono i seguenti: Indice dei prezzi di Laspeyres

PL0,t =

hh0h0

h0h

ht

qp

qp=

∑∑

h h0h0

h0h0

h0

ht

qp

qp

p

p

h

;

Indice dei prezzi di Paasche

PP0,t =

hhth0

hth

ht

qp

qp=

∑∑

h hth0

hth0

h0

ht

qp

qp

p

p

h

.

Come si vede, entrambi gli indici complessi possono essere espressi come medie ponderate dei numeri indici semplici dei prezzi dei singoli beni che fanno parte dell’aggregato (pht/ph0 per il generico bene h). La differenza tra i due indici complessi sta nel fattore di ponderazione, che nell’indice di Laspeyres è costituito dalla quota sul totale della spesa effettiva per il bene h nell’anno base, mentre in quello di Paasche è costituito dalla quota sul totale della spesa fittizia ph0 qht. Nel primo caso (Laspeyres) l’indice è pertanto detto a ponderazione fissa alla base, mentre nel secondo (Paasche) è detto a ponderazione variabile. Gli indici delle quantità sono invece i seguenti: Indice delle quantità di Laspeyres

QL0,t =

hh0h0

hth

h0

qp

qp=

∑∑

h h0h0

h0h0

h0

ht

qp

qp

q

q

h

;

Indice delle quantità di Paasche

QP0,t =

hh0ht

hth

ht

qp

qp=

∑∑

h h0ht

h0ht

h0

ht

qp

qp

q

q

h

.

95

Anche tali indici complessi possono essere visti come medie ponderate dei numeri indici semplici delle quantità relativi ai singoli beni che fanno parte dell’aggregato (qht/qh0 per il generico bene h). Per l’indice di Laspeyres il fattore di ponderazione è ancora costituito dalla quota sul totale della spesa per il bene h nell’anno base, mentre per l’indice di Paasche è la quota sul totale della spesa fittizia pht qh0 . Chiediamoci ora se gli indici complessi appena definiti consentono effettivamente di scomporre la variazione del valore dell’aggregato nelle sue due componenti: la variazione dei prezzi e la variazione delle quantità. Detto in altri termini, si tratta di stabilire se anche detti indici complessi soddisfano la proprietà di decomponibilità delle cause o di reversibilità dei fattori , che come si è visto è sempre valida per gli indici semplici. In generale, indicata con V la variazione del valore dell’aggregato e con P e Q rispettivamente l’indice dei prezzi e quello delle quantità, come già visto nel caso di indici semplici, si dice che un indice soddisfa la proprietà di decomponibilità delle cause o di reversibilità dei fattori se vale la relazione: P Q = V. Tale proprietà in realtà non è soddisfatta né dall’indice di Laspeyres, né da quello di Paasche. E’ infatti facile verificare che: PL QL ≠ V ; PP QP ≠ V. E’ tuttavia altrettanto facile verificare che valgono le relazioni seguenti: PL QP = V ;

PP QL = V.

Si dice pertanto che gli indici di Laspeyres e Paache soddisfano la proprietà di reversibilità dei fattori in senso debole. Come vedremo più avanti, è tuttavia proprio sulla base di tale proprietà di decomponibilità o reversibilità debole che i due indici vengono utilizzati nell’ambito della deflazione degli aggregati. A partire dalle due relazioni precedenti è peraltro possibile definire un altro numero indice complesso (l’indice di Fischer) che soddisfa la proprietà di decomponibilità delle cause o reversibilità dei fattori in senso forte. Moltiplicando membro a membro le precedenti due equazioni si ottiene infatti: PL PP QL QP = V2 e definiti PF = (PL PP)1/2 e QF = (QL QP)1/2 , si ottiene immediatamente:

PF . QF = V. Gli indici PF e QF sono gli indici di Fisher, rispettivamente dei prezzi e delle quantità, definiti come medie geometriche dei corrispondenti indici di Laspeyres e Paasche.

96

L’indice di Fisher tuttavia non soddisfa un’altra proprietà pure importante ai fini della deflazione degli aggregati: la proprietà di additività , secondo la quale se un aggregato è dato dalla somma di diverse componenti elementari - ad esempio il Pil, che è pari alla somma delle componenti della domanda finale - il valore a prezzi costanti dell’aggregato deve essere uguale alla somma dei valori a prezzi costanti delle sue componenti elementari. Quest’ultima proprietà è invece soddisfatta dagli indici di Laspeyres e di Paasche, che anche per questo ne viene raccomandata l’utilizzazione nell’ambito dei procedimenti di deflazione degli aggregati di CN. Altrettanto importanti, specialmente nei confronti spaziali, sono infine le proprietà di reversibilità delle basi e di transitività delle basi. Vediamole separatamente. Un generico indice soddisfa la proprietà di reversibilità delle basi se vale la relazione seguente: It,0 = 1/I0,t ovvero l’indice calcolato per il tempo 0 rispetto alla base t è uguale al reciproco dell’indice del tempo t rispetto alla base 0. Tale proprietà, che dovrebbe sembrare ovvia – se dal tempo 0 al tempo t i prezzi sono raddoppiati, l’indice del tempo 0 in base t deve valere ½ – vale per gli indici semplici. Ad esempio: i t,0 = p0/pt = 1/i0,t . La proprietà non vale invece né per l’indice di Laspeyres, né per quello di Paache. Come è facile verificare si ha infatti: 1/PL

0,t = PPt,0 ;

1/PP0,t = PL

t,0 . La proprietà di reversibilità delle basi vale invece per l’indice di Fischer, poiché dalle espressioni precedenti si può scrivere: 1/PL

0,t ⋅ 1/PP0,t = PP

t,0 ⋅ PLt,0

da cui (1/PL

0,t ⋅ 1/PP0,t)

1/2 = (PPt,0 ⋅ PL

t,0)1/2

e quindi 1/PF

t,0 = PF0,t .

La proprietà di transitività delle basi (o circolarità) è invece verificata se vale la seguente relazione: I0,s Is,t = I0,t .

97

Tale proprietà consente di cambiare la base semplicemente dividendo i due corrispondenti indici già calcolati con la vecchia base: ad esempio un nuovo indice al tempo t in base s, invece che 0, può essere ottenuto nel modo seguente:

Is,t = s0,

t0,

I

I.

In altri termini, se vale la proprietà di transitività delle basi si ha che serie di numeri indici con diversa base differiscono tra loro per una costante moltiplicativa (1/ I0,s) e di conseguenza il confronto nel tempo (o nello spazio) è indipendente dalla scelta della base. La medesima proprietà consente inoltre di esprimere un indice a base fissa come prodotto di indici a base mobile, ottenuti cioè rapportando ogni situazione a quella del tempo immediatamente precedente. Si può scrivere cioè: I0,t = I0,1 I1,2 …. It-1,t . Nessuno degli indici complessi elencati in precedenza, neppure quello di Fisher, soddisfa però questa proprietà, che è invece valida per gli indici semplici. Gli indici a catena. Il principale limite degli indici complessi a base fissa è la perdita di rappresentatività del sistema di ponderazione, man mano che ci si allontana dall’anno base, a causa di vari cambiamenti economici che si verificano nel tempo e che possono riguardare la comparsa di nuovi prodotti e la scomparsa di altri, oppure altri mutamenti nelle quantità acquistate dei vari beni, così come nei loro prezzi relativi. Per ovviare, almeno in parte, a tale perdita di rappresentatività del sistema di ponderazione, ovvero a quello che viene definito logoramento della base, in genere si procede, dopo un certo numero di anni, al cambiamento della base di calcolo del numero indice. L’aggiornamento della base dopo un certo numero di anni non consente tuttavia di inglobare nei numeri indice i cambiamenti dei prezzi e delle quantità con la necessaria tempestività. Per questo il SEC95 raccomanda di utilizzare i cosiddetti indici a catena, invece dei tradizionali numeri indici a base fissa. Un indice a catena dell’anno t con riferimento all’anno 0 è definito nel modo seguente:

CI0,t = I0,1 I1,2 …. It-1,t = 1

t

s=∏ Is-1,s

dove I0,1, …., It-1,t sono numeri indici complessi di un qualsiasi tipo. Ad esempio, gli indici a catena di Laspeyres dei prezzi e delle quantità dal tempo 0 al tempo 2 sono i seguenti:

CPL0,2 =

hh0h0

h0h

h1

qp

qp ∑

hh1h1

h1h

h2

qp

qp;

98

CQL0,2 =

hh0h0

h1h

h0

qp

qp ∑

hh1h1

h2h

h1

qp

qp.

Il continuo rinnovo della base, che è caratteristico degli indici a catena, eliminando il problema del suo logoramento, rende praticamente ininfluente anche la scelta del tipo di numero indice complesso (Laspeyres, Paasche o Fisher). Tuttavia, poiché nessuno di tali indici complessi gode della proprietà di transitività delle basi o circolarità, nella ipotesi che sia i prezzi che le quantità assumano di nuovo i valori originari, l’indice a catena non ritornerà al suo valore iniziale. Inoltre, gli indici a catena non soddisfano la proprietà di additività, il che costituisce un limite rilevante, almeno sotto il profilo teorico, ai fini della loro applicazione alla deflazione degli aggregati di contabilità nazionale, poiché danno luogo a discrepanze nella quadratura dei relativi conti. In pratica, tuttavia, tali discrepanze sono di entità modesta e pertanto i vantaggi prima menzionati sono dal SEC considerati complessivamente prevalenti rispetto a quest’ultimo limite. ESERCIZIO 12 Nella tabella seguente sono riportati i prezzi e le quantità scambiate di un paniere di tre beni in tre anni successivi: Prezzi Quantità Beni Anni Anni 0 1 2 0 1 2

1 10 11 12 120 120 130 2 9 10 10 200 220 210 3 20 22 21 80 70 80 a) Assumendo come base l’anno 0, calcolare gli indici dei prezzi e delle quantità di Laspeyres, Paasche e Fischer dell’anno 2; b) calcolare l’indice della variazione del valore dall’anno 0 all’anno 2 e mostrare tutte le possibili scomposizioni di tale variazione nel prodotto di due indici, relativi rispettivamente alla variazione delle quantità e alla variazione dei prezzi; c) calcolare l’indice a catena dei prezzi di Laspeyres del tempo 2 e confrontarlo con il corrispondente indice a base fissa. Soluzione: Riportiamo nella tabella seguente lo schema di calcolo degli aggregati effettivi e fittizi al tempo 0 e al tempo 2 necessari per il calcolo dei diversi indici:

99

Beni ph0 qh0 ph2 qh2 ph2 qh0 ph0 qh2 1 1200 1560 1440 1300 2 1800 2100 2000 1890 3 1600 1680 1680 1600 Totale 4600 5340 5120 4790 a) Gli indici dei prezzi sono pertanto: PL

0,2 = 5120/4600 = 1.113; PP

0,2 = 5340/4790 = 1.115; PF

0,2 = (1.113 ⋅1.115)1/2 = 1.114. Gli indici delle quantità sono invece: QL

0,2 = 4790/4600 = 1.041; QP

0,2 = 5340/5120 = 1.043; QF

0,2 = (1.041 ⋅1.043)1/2 = 1.042. b) L’indice della variazione del valore è V0,2 = 5340/4600 = 1.161 e può essere scomposto in tre modi: V0,2 = PL

0,2 QP0,2 → 1.161 = 1.113 ⋅ 1.043;

V0,2 = PP0,2 Q

L0,2 → 1.161 = 1.115 ⋅ 1.041;

V0,2 = PF0,2 Q

F0,2 → 1.161 = 1.114 ⋅ 1.042.

c) Riportiamo nella tabella seguente lo schema di calcolo degli aggregati effettivi e fittizi necessari per determinare gli indici dei prezzi di Laspeyres dal tempo 0 al tempo 1 e dal tempo 1 al tempo 2:

Beni ph0 qh0 ph1 qh0 ph1 qh1 ph2 qh1

1 1200 1320 1320 1440 2 1800 2000 2200 2200 3 1600 1760 1540 1470

Totale 4600 5080 5060 5110

L’indice concatenato del tempo 2 rispetto al tempo 0 è dato da: CPL

0,2 = CPL0,1 ⋅ CPL

1,2 = (5080/4600) ⋅ (5110/5060) = 1.1043 ⋅ 1.0099 = 1.115. Il valore dell’indice concatenato è maggiore del corrispondente indice a base fissa, che è pari a 1.113. 8.3. I numeri indici dei prezzi al consumo e la misura dell’inflazione

L’inflazione è un processo generalizzato di aumento dei prezzi che riguarda l’insieme di beni e servizi ed è misurata mediante gli indici dei prezzi al consumo (IPC). Un indice dei prezzi al consumo è una media delle variazioni dei prezzi di uno stesso

100

insieme di beni e servizi (denominato paniere) rappresentativo del complesso della spesa per consumi finali delle famiglie, tra il tempo base e il tempo corrente e viene calcolato, attraverso aggregazioni successive, con la formula di Laspeyres. I prezzi considerati sono quelli originati da transazioni monetarie, ovvero che si formano effettivamente sul mercato, escludendo quindi i valori imputati, come gli autoconsumi o i fitti figurativi relativi ad abitazioni di proprietà. Va inoltre precisato che gli indici dei prezzi al consumo si riferiscono alle transazioni che avvengono nel territorio economico del paese, compresi quindi gli acquisti dei non residenti ed esclusi quelli fatti all’estero dai residenti. Per l’Italia vengono calcolati tre diversi indici dei prezzi al consumo:

- l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC). Misura l’andamento generale dei prezzi a livello dell’intero sistema economico, ed è l’indicatore di riferimento per il monitoraggio e il controllo dell’inflazione;

- l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati (FOI).

Spesso chiamato indice del costo della vita, si riferisce ai prezzi dei beni e servizi acquistati dalle sole famiglie che fanno capo ad un lavoratore dipendente (extra agricolo) ed è utilizzato per adeguare periodicamente i valori monetari espressi in euro correnti (ad esempio, i canoni di affitto, gli assegni dovuti al coniuge separato, ecc.);

- l’indice armonizzato dei prezzi al consumo per i paesi dell’Unione europea

(IPCA). E’ calcolato per fornire una misura dell’inflazione comparabile a livello europeo.

I tre indici sono calcolati, con la medesima metodologia, a partire da un’unica rilevazione concernente lo stesso paniere di beni e servizi. Le differenze tra i tre indici riguardano:

- il concetto di prezzo considerato: il prezzo pieno di vendita, per gli indici NIC e FOI; il prezzo effettivamente pagato dalle famiglie, per l’indice IPCA (la differenza riguarda essenzialmente il prezzo dei farmaci: intero prezzo di vendita o solo ticket a carico delle famiglie);

- la ponderazione utilizzata, rappresentativa della spesa delle famiglie

considerate nei diversi indici: quella delle famiglie di operai e impiegati, per l’indice FOI; quella dell’insieme delle famiglie, per NIC e IPCA.

Il paniere di beni e servizi è articolato in 206 voci di prodotto (spesso composte da più prodotti, tanto che quelli complessivamente considerati sono quasi mille), classificate in gruppi, categorie e infine in 12 capitoli di spesa, riportati nella tabella seguente insieme al peso con cui, nei diversi indici, ogni capitolo di spesa contribuisce a determinare il corrispondente indice generale.

101

Tabella 8.1. Pesi dei capitoli di spesa per il calcolo degli indici dei prezzi al consumo (in percentuale sul totale; anno 2007). Indici dei prezzi Capitoli di spesa NIC IPCA FOI 1. Prodotti alimentari e bevande non alcoliche 16.4 17.3 16.3 2. Bevande alcoliche e tabacchi 3.0 3.2 3.4 3. Abbigliamento e calzature 8.6 9.4 9.4 4. Abitazione, acqua, energia e combustibili 9.8 10.3 9.5 5. Mobili, articoli e servizi per la casa 8.7 9.2 8.6 6. Servizi sanitari e spese per la salute 8.0 3.6 6.4 7. Trasporti 15.1 16.0 17.0 8. Comunicazioni 2.8 3.0 2.9 9. Ricreazione, spettacoli e cultura 7.7 7.2 8.5 10. Istruzione 0.9 1.0 1.1 11. Alberghi, ristoranti e pubblici esercizi 10.8 11.4 9.4 12. Altri beni e servizi 8.0 8.4 7.2 Totale 100.0 100.0 100.0

Come si vede, la differenza più rilevante tra le tre strutture dei pesi riguarda il capitolo Servizi sanitari e spese per la salute, che nell’indice IPCA è molto minore poiché, come detto, per i farmaci viene considerato il prezzo effettivamente pagato dalle famiglie invece del prezzo pieno di vendita. Va osservato inoltre, che il relativamente modesto peso del capitolo di spesa Abitazione, acqua, elettricità e combustibili dipende dal fatto che gli affitti pagati dalle famiglie pesano poco sul bilancio medio delle famiglie italiane, dato che gran parte di esse abitano in abitazioni di proprietà e i fitti figurativi, come detto, non entrano negli indici dei prezzi. Le informazioni statistiche sui prezzi vengono raccolte attraverso due rilevazioni:

- una rilevazione territoriale , effettuata nei capoluoghi di provincia, a cura degli uffici comunali di statistica, che riguarda la maggior parte dei beni e servizi (circa l’80% della spesa) i cui prezzi sono rilevati in circa 40.000 punti vendita rappresentativi sia della grande distribuzione commerciale che dei negozi tradizionali e dei mercati rionali;

- una rilevazione centralizzata, effettuata direttamente dall’Istat per i prodotti i

cui prezzi sono uguali in tutto il territorio nazionale (tabacchi, periodici, medicinali, alcune tariffe); per i prodotti soggetti a frequenti cambiamenti tecnologici (computer, telefoni cellulari); per i servizi la cui fruizione non riguarda solo i residenti nei comuni coinvolti nell’indagine (stabilimenti balneari, camping).

Le serie temporali (mensili) degli indici dei prezzi si basano sulla tecnica del concatenamento di indici di Laspeyres a base mobile, assumendo come base di calcolo

102

il mese di dicembre dell’anno precedente, mese nel quale ogni anno viene rinnovato il paniere dei beni e servizi e il relativo sistema di ponderazione. Nella tabella seguente sono riportati gli indici NIC e FOI (medie annuali degli indici mensili) relativi al periodo 2000–2006. L’indice NIC, rispetto all’indice FOI, come si vede mostra una dinamica dei prezzi leggermente più accentuata.

Tabella 8.2. Indici dei prezzi al consumo (1995 = 100). Italia 2000-2006 Indici dei prezzi Anni NIC FOI 2000 112.8 112.1 2001 115.9 115.1 2002 118.8 117.9 2003 122.0 120.8 2004 124.7 123.2 2005 127.1 125.3 2006 129.8 127.8

Nella tabella seguente sono invece riportati gli indici armonizzati relativi ai principali paesi europei e all’insieme dei 12 paesi dell’euro nel periodo 2001–2005. Dal confronto si rileva una dinamica dell’inflazione italiana sensibilmente più accentuata di quella registrata dai principali paesi europei e da quella media del complesso dei paesi dell’euro zona, esclusa la Spagna.

Tabella 8.3. Indici armonizzati dei prezzi al consumo nei principali paesi europei (1996 = 100). Paesi 2001 2002 2003 2004 2005 Italia 110.9 113.8 117 119.7 122.3 Francia 106.3 108.3 110.7 113.3 115.4 Germania 107.4 107.6 108.8 110.7 112.8 Regno Unito 106.9 108.3 109.8 111.2 113.5 Spagna 112.8 116.8 120.5 124.1 128.7 Eu 12 (euro zona) 109.1 111.2 113.5 115.9 118.2

103

9. Il confronto degli aggregati nel tempo Si è già sottolineato nel capitolo precedente che per misurare l’intensità della crescita di grandezze economiche è necessario distinguere, nelle variazioni di valore (nominali) degli aggregati, la parte derivante da variazioni dei prezzi da quella derivante da variazioni “in quantità”. Per questo nei sistemi di CN gli aggregati relativi a operazioni su beni e servizi - compresi nei conti di equilibrio dei beni e servizi, in quello della produzione e quindi nel conto delle risorse e degli impieghi - vengono valutati anche a prezzi costanti di un anno scelto come base, al netto cioè degli effetti dell’inflazione. Negli anni più recenti le tradizionali valutazioni a prezzi costanti sono state peraltro sostituite con più appropriate valutazioni ai prezzi dell’anno precedente, procedendo poi alla costruzione di aggregati in volume attraverso la tecnica del concatenamento. La necessità di confrontare nel tempo gli aggregati contabili al netto degli effetti dell’inflazione non riguarda peraltro soltanto quelli derivanti da operazioni su beni e servizi, esprimibili come somma di quantità per i relativi prezzi. Ad esempio, una esigenza conoscitiva altrettanto rilevante è valutare l’andamento nel tempo del potere d’acquisto reale di aggregati come il reddito da lavoro dipendente, il reddito disponibile, il risparmio, ecc. Per questi aggregati monetari, che non sono esprimibili come somma di prezzi per quantità, la trasformazione in aggregati in termini reali, ovvero la loro deflazione, non prevista e non realizzata nell’ambito della CN, va fatta con criteri diversi. 9.1. Gli aggregati a prezzi costanti Per gli aggregati dati dalla somma di numerose quantità per i relativi prezzi (la produzione, i consumi, gli investimenti, ecc.) esprimerli a prezzi costanti vuol dire semplicemente calcolare aggregati fittizi in cui alle quantità del tempo corrente non si applicano i prezzi del medesimo periodo, ma quelli di un anno diverso scelto come base. In teoria, disponendo di tutte le quantità che entrano nell’aggregato, ad esempio le quantità di beni e servizi che compongono i consumi delle famiglie, e di tutti prezzi di tali beni anche per l’anno base, un generico aggregato al tempo t valutato ai prezzi dell’anno base 0, indicato con A0,t, può essere ottenuto direttamente attraverso l’espressione seguente: A 0,t =∑

h

ph0 qht .

In pratica, tuttavia, la valutazione dell’aggregato a prezzi costanti non avviene applicando tale metodo analitico, ma attraverso altri due metodi indiretti utilizzati a seconda del tipo di aggregato (o di componente dell’aggregato):

- la deflazione tramite indici di prezzo; - l’ estrapolazione tramite indici di quantità.

La deflazione consiste nel dividere l’aggregato a prezzi correnti per un appropriato indice dei prezzi dal tempo base a quello corrente:

104

A 0,t =∑

h

pht qht / P0,t .

Se la deflazione fosse fatta tramite un indice dei prezzi di tipo Paasche (e se inoltre l’indice fosse non campionario, ma completo) si otterrebbe la stessa espressione del metodo analitico. Infatti:

∑h

pht qht / ∑

hhth0

hth

ht

qp

qp=∑

h

ph0 qht .

Il metodo della estrapolazione consiste invece nel moltiplicare l’aggregato del tempo base per un indice rappresentativo della variazione delle quantità dal tempo base a quello corrente: A 0,t =∑

h

ph0 qh0 . Q0,t .

In questo caso, estrapolando con un indice delle quantità di tipo Laspeyres (e se l’indice fosse completo) si otterrebbe di nuovo la stessa espressione del metodo analitico. Infatti:

∑h

ph0 qh0 . ∑

hh0h0

hth

h0

qp

qp=∑

h

ph0 qht .

In pratica, la valutazione a prezzi costanti non è tuttavia ottenuta applicando o l’uno o l’altro dei due metodi precedenti all’intero aggregato, ma applicando l’uno (deflazione) – largamente prevalente – o l’altro (estrapolazione) alle sue componenti elementari, a seconda delle loro caratteristiche e del tipo di informazioni disponibili. In ogni caso, i consumi finali non possono essere valutati a prezzi costanti applicando a tutte le componenti dell’aggregato il metodo della deflazione poiché una parte di esso è costituita dai servizi non destinabili alla vendita che come tali non hanno un prezzo di mercato. Ancora diverso è il caso degli aggregati che costituiscono saldi contabili, come il valore aggiunto, non direttamente esprimibili come somma di quantità per prezzi, la cui valutazione a prezzi costanti segue pertanto una diversa procedura. Vediamo separatamente questi due aspetti. Il valore a prezzi costanti dei servizi non destinabili alla vendita. Come appena ricordato, poiché non si ha produzione venduta sul mercato, a tali servizi non è applicabile il metodo della deflazione attraverso indici di prezzo. E’ pertanto necessario ricorrere al metodo della estrapolazione, calcolando appropriati indici rappresentativi della variazione delle quantità di servizi prodotti. A questo proposito occorre però distinguere tra servizi individuali e collettivi.

105

Soltanto per i servizi individuali (istruzione, sanità, ecc.) è infatti concretamente possibile calcolare indici rappresentativi della variazione delle quantità dei singoli servizi prodotti. Ad esempio, il numero di ore di insegnamento per i servizi di istruzione, le giornate di degenza ospedaliera, per tipo di prestazione sanitaria, per i servizi sanitari, ecc. Pertanto, il valore a prezzi costanti di questa prima componente dei servizi non destinabili alla vendita può essere valutato abbastanza agevolmente moltiplicando per tali indici delle quantità il costo unitario dei servizi dell’anno base. Per i servizi collettivi, a beneficio di tutta la popolazione e quindi non divisibili, come i servizi generali della pubblica amministrazione, la difesa, l’ordine pubblico, la giustizia, ecc., indicatori delle quantità di servizi prodotti non sono invece definibili e quantificabili. La stima a prezzi costanti deve di conseguenza seguire altre vie. Una è la valutazione a prezzi costanti degli elementi di costo di produzione dei servizi, ovvero dei consumi intermedi, del reddito da lavoro dipendente e degli ammortamenti. Un’altra, più semplice e approssimativa, è l’estrapolazione del valore dei servizi dell’anno base attraverso un indice della variazione del volume di lavoro impiegato per la loro produzione, ipotizzando cioè che la variazione della quantità di servizi sia strettamente proporzionale alla variazione dell’input di lavoro. Va rilevato a questo proposito che misurare la variazione dell’output dei servizi collettivi tramite le variazioni dell’input rende priva di significato la misura della loro produttività, che è definita proprio come rapporto tra l’output e gli input impiegati per ottenerlo. La deflazione del valore aggiunto. Gli aggregati che costituiscono saldi di flussi, come il valore aggiunto, dato dalla differenza tra produzione totale e consumi intermedi, ma anche i margini commerciali, dati dalla differenza tra il valore dei beni venduti e quello dei beni acquistati, non sono esprimibili direttamente come prodotto di quantità per prezzi, ma come differenza tra aggregati a loro volta esprimibili come prodotto di quantità per prezzi. Ad essi si applica pertanto la tecnica della doppia deflazione, che consiste nel deflazionare separatamente le componenti da cui derivano (produzione e consumi intermedi, nel caso del valore aggiunto) e nel calcolare per differenza l’aggregato a prezzi costanti. Nei casi in cui i dati necessari alla doppia deflazione del valore aggiunto non siano tutti disponibili si può fare ricorso anche ad un unico indicatore (metodo dell’indicatore semplice), in due possibili versioni:

- deflazione diretta del valore aggiunto a prezzi correnti attraverso un unico indice dei prezzi (alla produzione). L’ipotesi sottostante è che l’andamento dei prezzi sia stato lo stesso per la produzione e per i consumi intermedi;

- estrapolazione del valore aggiunto al tempo base attraverso un indice della

quantità (indice della produzione industriale). L’ipotesi è che anche la quantità dei consumi intermedi abbia avuto la stessa dinamica della produzione.

106

9.2. Prezzi e volumi Come si è visto nel paragrafo precedente, la deflazione degli aggregati derivanti da operazioni su beni e servizi, neutralizzando l’effetto della variazione dei prezzi, consente di misurare la cosiddetta variazione “in quantità”. Quest’ultima va tuttavia più propriamente intesa come variazione “in volume”. L’aggregato depurato dagli effetti dell’inflazione è infatti una somma ponderata di quantità per prezzi (costanti) che può aumentare o diminuire a causa non soltanto della variazione della quantità complessiva, ma anche della composizione dell’aggregato. Ad esempio, il valore dei consumi finali a prezzi costanti potrebbe essere aumentato, a parità di quantità complessivamente consumata, a causa di una modificazione della composizione del paniere verso beni e servizi a prezzo più elevato. Così come la spesa per viaggi ferroviari potrebbe aumentare a parità di numero di passeggeri/Km, e a parità dei prezzi dei biglietti, per effetto di una modificazione della composizione dei viaggiatori a vantaggio della prima classe rispetto alla seconda. Nella scomposizione della variazione del valore questi effetti di composizione vanno attribuiti alla cosiddetta componente quantità, più correttamente denominata volume. Allo stesso modo va trattato il problema delle modificazioni di qualità dei beni e servizi, come ad esempio l’introduzione di un nuovo modello di automobile o di computer. Le differenze di qualità identificano beni e servizi diversi, che vanno pertanto considerati separatamente nel processo di deflazione. Se si è in presenza di qualità diverse, ad esempio un nuovo modello di computer con maggiori potenzialità, la corrispondente variazione del valore non può essere attribuita alla componente prezzo, ma va attribuita alla componente volume. Peraltro, si ha un prodotto diverso non solo se è intrinsecamente diverso, ma anche se viene ceduto in particolari condizioni. Ad esempio, l’energia elettrica erogata alle ore di punta va considerata di qualità diversa rispetto alla medesima energia erogata in altri orari; lo stesso vale per il caso di uno stesso bene venduto in negozio o al mercato rionale o per i già menzionati viaggi ferroviari in prima o seconda classe. In tutti questi casi i maggiori prezzi vanno attribuiti a una maggiore qualità del bene o servizio e quindi alla componente volume. Diverso è invece il caso della discriminazione di prezzo, che si ha quando per gli stessi beni o servizi sono deliberatamente stabiliti prezzi diversi a favore di determinate categorie, come ad esempio le tariffe di trasporto agevolate per pensionati o studenti. In questo caso il prezzo del bene o servizio è dato dalla media ponderata dei prezzi praticati ai diversi soggetti e la eventuale variazione del valore a parità di quantità deve essere attribuita alla componente prezzo. 9.3. Gli indici delle variazioni in volume e dei prezzi impliciti Riprendiamo l’espressione di un generico aggregato a prezzi costanti, in generale ottenuto, come si è detto, applicando metodi diversi alle sue diverse componenti elementari:

107

A 0,t =∑h

ph0 qht .

Se rapportiamo tale aggregato dell’anno t valutato ai prezzi dell’anno base per il corrispondente aggregato a prezzi correnti dell’anno base otteniamo un indice della variazione in volume di tipo Laspeyres dall’anno base all’anno corrente. Abbiamo infatti:

hh0h0

hth

h0

qp

qp= QL

0,t .

Se invece rapportiamo l’aggregato del tempo t a prezzi correnti per l’aggregato del medesimo anno ma a prezzi costanti dell’anno 0 otteniamo un indice della variazione dei prezzi di tipo Paasche dall’anno base all’anno corrente:

hhth0

hth

ht

qp

qp= PP

0,t .

Detto indice dei prezzi, derivante non da una apposita rilevazione come quelle da cui si ottengono gli indici NIC, FOI e IPCA descritti in precedenza, ma implicitamente dalle procedure di deflazione dell’aggregato, è denominato indice dei prezzi impliciti o deflatore implicito. Se calcolato con riferimento alla spesa per consumi delle famiglie, tale indice ci fornisce una ulteriore misura dell’inflazione, diversa da quella ottenuta con l’indice NIC, ma ad essa simile. In conclusione, le variazioni dell’aggregato nel periodo considerato al netto dell’inflazione sono dunque esprimibili attraverso un indice in volume di tipo Laspeyres, mentre quelle dei prezzi attraverso un indice di tipo Paasche, e il loro prodotto è la variazione nominale dell’aggregato. Per la proprietà della reversibilità debole dei fattori si ha infatti:

PP0,t Q

L0,t =

hhth0

hth

ht

qp

qp

hh0h0

hth

h0

qp

qp= ∑

hh0h0

hth

ht

qp

qp = V0,t .

Nella tabella seguente sono riportati i consumi finali in Italia dal 1995 al 2000, a prezzi correnti e costanti, insieme al corrispondente deflatore dei consumi e all’indice NIC dei prezzi al consumo. Il deflatore segnala una inflazione un po’ più marcata rispetto all’indice NIC (16.6% contro 12.8% nel quinquennio). Va tuttavia tenuto presente che i due indicatori non sono del tutto comparabili, poiché il deflatore tiene conto anche dei beni e servizi non destinabili alla vendita.

108

Tabella 9.1. Consumi finali, deflatore dei consumi e indice NIC dei prezzi al consumo. Anni Prezzi correnti Prezzi 1995 Deflatore Indice NIC (1995 = 100) (1995 = 100) 1995 706959 706959 100.0 100.0 1996 750511 715366 104.9 104.0 1997 791153 733512 107.9 106.1 1998 829565 752024 110.3 108.2 1999 867486 769438 112.7 110.0 2000 919482 788797 116.6 112.8

ESERCIZIO 13 A partire dai dati contenuti nella precedente tabella 8.1, per l’intero quinquennio 1995–2000 calcolare la variazione nominale (del valore) dei consumi finali e scomporla nel prodotto delle variazioni dei prezzi e in volume. Soluzione: indice della variazione nominale: 919482/706959 = 1.30; indice della variazione dei prezzi: 116.6/100.0 = 1.166; indice della variazione in volume: 788797/706959 = 1.116. Scomposizione della variazione nominale: 1.30 = 1.166 ⋅ 1.116. 9.4. Gli aggregati ai prezzi dell’anno precedente e le serie concatenate in volume La valutazione a prezzi costanti di un anno scelto come base presenta il limite, già rilevato nel capitolo precedente, derivante dal fatto che con il passare del tempo i prezzi del periodo base non sono più rappresentativi, il che impone di aggiornare di tanto in tanto la base stessa. Il cambiamento della base peraltro non risolve del tutto il problema, poiché i cambiamenti della struttura dei prezzi, che determinano le scelte degli operatori economici, vanno colti tempestivamente e non a distanza di qualche anno. Per rispondere a questa esigenza di tempestività, ovvero per inglobate negli indici gli effetti di tutti i cambiamenti economici che si verificano nel tempo, negli anni più recenti la valutazione degli aggregati a prezzi costanti è stata sostituita con la valutazione ai prezzi dell’anno precedente e con il conseguente concatenamento delle relative serie in volume. La valutazione di un aggregato ai prezzi dell’anno precedente e i relativi indici delle variazioni in volume e delle variazioni dei prezzi si ottengono in modo del tutto simile a quanto già visto a proposito della valutazione a prezzi costanti. Il valore di un aggregato relativo all’anno t, ma valutato ai prezzi dell’anno precedente (t-1) è dato dalla seguente espressione:

109

A t-1,t =∑h

pht-1 qht .

Se dividiamo il precedente aggregato per il corrispondente a prezzi correnti dell’anno precedente otteniamo un indice della variazione in volume di tipo Laspeyres tra i due anni consecutivi:

h1-ht1-ht

hth

1-ht

qp

qp= QL

t-1,t .

Se invece rapportiamo l’aggregato del tempo t a prezzi correnti per l’aggregato del medesimo anno ma ai prezzi dell’anno precedente t-1 otteniamo un indice della variazione dei prezzi di tipo Paasche:

hht1-ht

hth

ht

qp

qp= PP

t-1,t .

Il prodotto dei due indici, delle variazioni in volume (Laspeyres) e delle variazioni dei prezzi (Paasche) esprime ancora la variazione del valore dell’aggregato. Inoltre, poiché entrambi gli indici soddisfano la proprietà di additività, è garantita anche la coerenza dei risultati della deflazione, nel senso che la somma delle serie espresse ai prezzi dell’anno precedente è uguale all’aggregato complessivo deflazionato con il medesimo criterio. I confronti nel tempo non interessano però soltanto rispetto all’anno precedente, ma anche per periodi pluriennali, ad esempio per misurare la crescita economica nel corso di un quinquennio o di un decennio. Per rispondere a questa esigenza conoscitiva occorre dunque definire anche una serie temporale dell’aggregato che esprima la sua dinamica in volume in modo simile alle serie di aggregati a prezzi costanti. Calcolati gli indici di volume a base mobile, ovvero di ogni anno rispetto al precedente, una serie atta ad esprimere tale dinamica può essere ottenuta attraverso la concatenazione di tali indici. Scelto un anno di riferimento (ad esempio il 2000), che indichiamo ancora con 0, l’ indice concatenato delle variazioni in volume (di Laspeyres) dell’anno corrente t rispetto all’anno di riferimento è dato dalla seguente espressione:

CQL0,t = QL

0,1 QL

1,2 …. QLt-1,t =

1

t

s=∏ QL

s-1,s .

CQL

0,t misura dunque la variazione in volume dell’aggregato considerato dall’anno di riferimento all’anno corrente, ma inglobando, a differenza del corrispondente indice a base fissa, i cambiamenti economici che si sono determinati anno dopo anno. Per determinare l’aggregato all’anno t confrontabile con quello dell’anno 0 di riferimento,

110

nel senso che - come negli aggregati a prezzi costanti - il confronto sia al netto degli effetti dell’inflazione, basta dunque moltiplicare l’aggregato a prezzi correnti dell’anno di riferimento (A 0) per tale indice concatenato delle variazioni in volume: CA0,t = A0

CQL0,t .

Con tale procedura si costruiscono le cosiddette serie concatenate in volume, derivanti dalle serie espresse ai prezzi dell’anno precedente, ed è quindi possibile fare confronti multiperiodali al netto dell’andamento dei prezzi. Analogamente al caso degli aggregati a prezzi costanti, l’ indice concatenato dei prezzi impliciti , deriva direttamente dal rapporto tra l’aggregato dell’anno t a prezzi correnti e il corrispondente aggregato concatenato in volume, ed è ancora di tipo Paasche. Si ha infatti: At /

CA0,t = CPP0,t .

Ad esempio, per t = 2 si ha:

A2 / CA0,2 = ∑

h

ph2 qh2 / (∑h

ph0 qh0 ∑

hh0h0

h1h

h0

qp

qp ∑

hh1h1

h2h

h1

qp

qp) = ∑

hh1h0

h1h

h1

qp

qp ∑

hh2h1

h2h

h2

qp

qp =

= PP

0,1 ⋅ PP1,2

= CPP0,2 .

Alternativamente, si possono determinare direttamente gli indici dei prezzi rispetto all’anno precedente rapportando l’aggregato a prezzi correnti di ogni anno a quello corrispondente valutato ai prezzi dell’anno precedente, ad esempio per l’anno t:

hht1-ht

hth

ht

qp

qp= PP

t-1,t

e poi procedere al concatenamento:

CPP0,t = PP

0,1 PP1,2 …. PP

t-1,t = 1

t

s=∏ PP

s-1,s .

Come già osservato, il limite di tale procedura sta nel fatto che le serie concatenate non soddisfano la proprietà di additività e quindi si produce una discrepanza nella quadratura dei conti, che tuttavia, se il periodo considerato non è particolarmente lungo, è in genere di entità molto modesta. Nella tabella seguente sono riportate le serie 2000-2005 del Pil in Italia a prezzi correnti, ai prezzi dell’anno precedente e i valori concatenati in volume (anno di riferimento 2000).

111

Tabella 9.2. Prodotto interno lordo dell'Italia dal 2000 al 2005 (milioni di euro). Anni Prezzi correnti Prezzi dell'anno Valori concatenati precedente (anno 2000) 2000 1191057 1167462 1191057 2001 1248648 1212442 1212442 2002 1295226 1252918 1216588 2003 1335354 1295707 1217040 2004 1390539 1351426 1231689 2005 1423048 1391763 1232773

ESERCIZIO 14 A partire dai dati della precedente tabella 8.2, per il periodo 2000-2005: a) calcolare il deflatore implicito del Pil (base 2000 = 100) e determinare la variazione dei prezzi impliciti dall’anno iniziale a quello finale del periodo; b) calcolare l’indice dei prezzi impliciti di ogni anno rispetto al precedente e determinare la variazione complessiva dei prezzi dall’anno iniziale a quello finale concatenando gli indici ottenuti. Mostrare l’uguaglianza con il risultato ottenuto al punto precedente; c) calcolare la variazione nominale del Pil e scomporla nel prodotto della variazione dei prezzi e della variazione in volume. Soluzione: a) Il deflatore implicito è dato dal rapporto tra valori a prezzi correnti e corrispondenti valori concatenati in volume (per 100): 2000: 100; 2001: (1248648/1212442) ⋅ 100 = 103.0; 2002: (1295226/1216588) ⋅ 100 = 106.5; 2003: (1335354/1217040) ⋅ 100 = 109.7; 2004: (1390539/1231689) ⋅ 100 = 112.9; 2002: (1423048/1232773) ⋅ 100 = 115.4. La variazione dei prezzi impliciti è pertanto del 15.4%. b) L’indice dei prezzi impliciti di ogni anno rispetto al precedente è dato dal rapporto tra il Pil a prezzi correnti e quello valutato ai prezzi dell’anno precedente, a partire dal 2001 (il 2000 è infatti valutato ai prezzi del 1999 e quindi il relativo indice dei prezzi impliciti va escluso dal calcolo): 2001: 1248648/1212442 = 1.0299; 2002: 1295226/1252918 = 1.0338; 2003: 1335354/1295707 = 1.0306; 2004: 1390539/1351426 = 1.0289; 2002: 1423048/1391763 = 1.0225. Indice concatenato: P00,05 = 1.0299 ⋅ 1.0338 ⋅ 1.0306 ⋅ 1.0289 ⋅ 1.0225 = 1.154

112

La variazione dei prezzi è del 15.4%, come determinato nell’esercizio a). c) Indice della variazione nominale del Pil: 1423048/1191057 = 1.195; indice della variazione dei prezzi: 115.4/100.0 = 1.154; indice della variazione in volume: 1232773/1191057 = 1.035. Scomposizione della variazione nominale del Pil: 1.195 = 1.154 ⋅ 1.035. 9.5. La deflazione degli aggregati monetari Gli aggregati che derivano dalla distribuzione primaria e secondaria del reddito sono flussi monetari non esprimibili come somme di prezzi per quantità e quindi non sono deflazionabili con i metodi visti nei paragrafi precedenti. Anche per essi esiste però la necessità di valutarne il potere d’acquisto reale, depurato cioè dell’effetto della variazione dei prezzi. Sebbene tali valutazioni non vengano ufficialmente effettuate dagli istituti nazionali di statistica, il SEC suggerisce una metodologia da applicare, che in generale consiste nel deflazionare l’aggregato a prezzi correnti dividendolo per un indice dei prezzi relativo ai beni e servizi nei quali l’aggregato viene prevalentemente speso. Per misurare le variazioni del potere d’acquisto reale del reddito da lavoro dipendente viene così suggerito di deflazionarlo dividendolo per il deflatore implicito della spesa per consumi individuali o per l’indice dei prezzi al consumo. In particolare nel caso italiano, poiché si dispone dell’indice dei prezzi per le famiglie di operai e impiegati (FOI), quest’ultimo appare l’indice più adeguato allo scopo, unitamente al deflatore implicito prima ricordato, o uno analogo, come quello relativo alla spesa per consumi delle famiglie. Gli stessi deflatori e indici dei prezzi al consumo si applicano ovviamente a tutti gli aggregati, relativi sia al paese nel suo complesso sia ai settori istituzionali, che come il reddito da lavoro dipendente vengono prevalentemente impiegati in consumi finali, ad esempio le pensioni e in genere le prestazioni sociali. Diverso è il caso del risparmio, che costituendo la principale fonte di finanziamento degli investimenti, deve essere deflazionato dividendolo per il deflatore relativo a tale aggregato o comunque per un indice dei prezzi dei beni di investimento. Un aspetto diverso dai precedenti è la valutazione del reddito da lavoro dipendente, o anche da capitale, a saggi costanti di remunerazione. In generale, i redditi dei fattori produttivi primari possono essere visti come prodotto di unità di servizi forniti dai fattori della produzione per i saggi di remunerazione degli stessi (saggi salariali, tassi di interesse). Per questi aggregati si possono stimare i relativi flussi a saggi costanti di remunerazione, come suggerito dal SEC95. Il reddito da lavoro dipendente a saggi costanti di remunerazione può essere ottenuto applicando al volume di lavoro impiegato nel processo produttivo al tempo corrente, classificato per tipo di lavoro o qualifica, i corrispondenti redditi unitari da lavoro dipendente del tempo base, come nella espressione seguente: W0,t = ∑

h

Lht wh0 ,

113

dove W0,t è il reddito da lavoro dipendente dell’anno t ai saggi di remunerazione dell’anno 0, Lht indica l’input di lavoro della qualifica h nell’anno corrente e wh0 il saggio unitario di remunerazione degli occupati della qualifica h nell’anno base. Il seguente rapporto tra il reddito da lavoro dipendente dell’anno t a saggi di remunerazione dell’anno base e il reddito da lavoro dipendente (a prezzi correnti) del medesimo anno base:

0

t0,

W

W= ∑

hh0h0

hh0ht

wL

wL

è un indice di tipo Laspeyres che misura la variazione del volume di lavoro impiegato nel processo produttivo, tenendo conto anche delle sue variazioni di composizione qualitativa, oltre che della variazione del numero di unità di lavoro. Ad esempio, l’indice può assumere un valore maggiore di uno, e quindi indicare un aumento del volume di lavoro anche nella ipotesi che non vi sia variazione nel numero di unità di lavoro (o perfino in caso di loro diminuzione), a causa di un cambiamento della sua composizione qualitativa a vantaggio delle qualifiche, e quindi delle remunerazioni, più elevate. Invece, il seguente rapporto tra il reddito da lavoro dipendente dell’anno t e quello a saggi di remunerazione costanti:

t0,

t

W

W= ∑

hh0ht

hhtht

wL

wL

è un indice di tipo Paasche che misura la variazione delle remunerazioni unitarie, ferma restando la composizione dell’input di lavoro (dell’anno corrente). In definitiva, analogamente al caso degli aggregati derivanti da operazioni su beni e servizi, i due rapporti esprimono le due componenti moltiplicative, ovvero le variazioni in volume e le variazione dei “prezzi” (remunerazioni unitarie), nelle quali è possibile scomporre la variazione nominale del reddito da lavoro dipendente. Infatti:

0

t0,

W

W

t0,

t

W

W=

0

t

W

W.

Problemi molto più complessi, anche dal punto di vista teorico, si pongono per la stima dei redditi da capitale a saggi costanti di remunerazione, tanto che la questione non è neppure affrontata dal SEC.

114

ESERCIZIO 15 Con riferimento all’Italia e al periodo 2000-2005, nella tabella seguente sono riportati i redditi interni da lavoro dipendente, le unità di lavoro dipendenti e la spesa per consumi delle famiglie a prezzi correnti e relativi valori concatenati. Redditi interni da Unità di lavoro Spesa per consumi Anni lavoro dipendente dipendenti prezzi correnti valori concatenati (anno 2000) 2000 467393 16279.2 709930 709830 2001 493295 16653.8 733562 714701 2002 516010 16958.3 755855 715871 2003 536230 16992.3 784333 722865 2004 555481 17042.9 810143 727751 2005 581122 17298.5 834264 732064 Calcolare la corrispondente serie dei redditi unitari da lavoro dipendente in termini reali e calcolarne la variazione percentuale dall’anno iniziale a quello finale del periodo considerato. Soluzione: Calcoliamo prima la serie dei redditi unitari da lavoro dipendente (a prezzi correnti), data dal rapporto tra redditi da lavoro e numero di ULA dipendenti, e poi i deflatori della spesa per consumi delle famiglie, dati dal rapporto tra valori a prezzi correnti e valori concatenati. Infine, i redditi unitari in termini reali sono ottenuti dividendo la prima serie per i deflatori della spesa per consumi. I risultati sono riportati nella tabella seguente:

Anni

Redditi unitari lavoro dipendente

(euro correnti)

Deflatore spesa per consumi (2000 = 100)

Redditi unitari in termini reali

(1) (2) (3) = (1) : ( 2) 2000 28711 100.0 28711 2001 29621 102.6 28870 2002 30428 105.6 28814 2003 31557 108.5 29085 2004 32593 111.3 29284 2005 33594 114.0 29468

La variazione percentuale dei redditi unitari da lavoro dipendente in termini reali dal 2000 al 2005 è stata pari a: (29468/28711 –1) ⋅ 100 = 2.6 %.

115

9.6. I confronti pluriennali e la misura delle variazioni Le serie concatenate in volume (o a prezzi costanti) degli aggregati relativi al conto delle risorse e degli impieghi, in particolare del prodotto interno lordo, sono alla base dell’analisi della crescita economica. Indicato con Xt un qualsiasi aggregato o indicatore relativo all’anno t – ad esempio, il Pil (in volume o a prezzi costanti) o il Pil per abitante – l’intensità della crescita può essere misurata calcolando diversi tassi di variazione, sia annuali che riferiti a periodi pluriennali. Il tasso di variazione annuale (da un anno al successivo) si ottiene nel modo seguente (eventualmente moltiplicato per 100 per esprimerlo in termini percentuali):

gt-1,t =1-t

t

X

X-1.

E’ facile verificare che, calcolato su dati concatenati in volume, tale tasso di variazione annuale corrisponde all’indice di Laspeyres (meno 1) della variazione in volume dall’anno t-1 all’anno t. Se la misura della crescita che si intende calcolare è invece riferita ad un periodo pluriennale, si possono calcolare due tassi di variazione diversi: il tasso cumulato e il tasso medio annuo. Il tasso cumulato è quello che si è avuto dall’anno iniziale (0) a quello finale (t) del periodo analizzato, considerando cioè il cumulo delle variazioni annuali che si sono avute nel periodo:

g0,t =0

t

X

X-1.

La crescita cumulata del periodo è però in generale avvenuta a tassi annui variabili, alcuni maggiori della media, altri minori. Indicati tali tassi di variazione con g0,1, g1,2, …,

gt-1,t, il passaggio dal valore iniziale X0 a quello finale Xt può essere espresso nel modo seguente: X0 (1+ g0,1)

(1+ g1,2) … (1+ gt-1,t)

= Xt . Calcolare il tasso di variazione medio annuo vuol dire allora ricercare quel tasso di variazione annuo che se fosse rimasto costante nel periodo avrebbe prodotto la medesima crescita cumulata, ovvero avrebbe condotto ugualmente l’aggregato da X0 a Xt. In altri termini, il tasso di variazione medio annuo è il tasso composto tg ,0 che

soddisfa la seguente equazione: X0 (1+ tg ,0 )t = Xt ,

da cui

tg ,0 = (0

t

X

X)1/t -1.

116

ESERCIZIO 16 a) Utilizzando i dati riportati nella precedente tabella 8.2, calcolare il tasso di crescita medio annuo dell’economia italiana nel periodo 2000-2005. b) Utilizzando invece i dati dell’Esercizio 15: b1) calcolare il tasso di variazione medio annuo dei redditi unitari da lavoro dipendente; b2) sulla base del deflatore implicito, calcolare il tasso di variazione medio annuo dei prezzi al consumo. c) Utilizzando l’indice FOI riportato nella tabella 7.2, calcolare la variazione percentuale media annua dei prezzi al consumo delle famiglie di operai e impiegati dal 2000 al 2006 e confrontarla con quella del periodo 1995-2000. Soluzione: a) Il tasso di crescita va calcolato sui valori concatenati del Pil nel periodo considerato. Quindi: g = (1232773/1191057)1/5 – 1 = 0.007 (0.7%).

b1) Calcolata la serie dei redditi unitari da lavoro dipendente (vedi Esercizio 15), il loro tasso di crescita medio annuo è: g = (29468/28711)1/5 – 1 = 0.005 (0.5%).

b2) Il delatore implicito del 2005 (base 2000 = 100) è 114.0. Pertanto il suo tasso di variazione medio annuo è: g = (114/100)1/5 – 1 = 0.027 (2.7%).

c) Dalla tabella 7.2 si ha che l’indice dei prezzi FOI (base 1995 = 100) vale 112.1 nel 2000 e 127.8 nel 2006. Pertanto la sua variazione percentuale media annua dal 2000 al 2006 è: g = [(127.8/112.1)1/6 – 1] ⋅ 100 = 2.2%;

mentre quella dal 1995 al 2000 è: g = [(112.1/100)1/5 – 1] ⋅ 100 = 2.3%.

117

10. Il confronto degli aggregati nello spazio I confronti nello spazio, ad esempio per analizzare i divari di sviluppo o di produttività o di livelli di benessere tra paesi, vanno fatti eliminando dagli aggregati l’effetto dei diversi livelli dei prezzi interni, ovvero esprimendo gli aggregati a parità di potere di acquisto. Tale operazione è resa necessaria non soltanto per confrontare aggregati di paesi che adottano diverse valute, ma anche per i confronti tra paesi che adottano la stessa valuta, poiché anch’essi sono caratterizzati da divari, spesso rilevanti, nei livelli dei prezzi interni, e perfino per i confronti tra regioni o città all’interno di uno stesso paese, sebbene le informazioni statistiche disponibili non consentano ancora di affrontare il problema anche a questo livello delle analisi. Nel seguito si farà riferimento al caso più generale di confronti tra paesi con diverse valute. 10.1. Gli aggregati a parità di potere d’acquisto

Le valutazioni a parità di potere d’acquisto, così come quelle a prezzi costanti o dell’anno precedente, riguardano gli aggregati derivanti da operazioni su beni e servizi, che sono esprimibili come somma di prezzi per quantità. Il problema si pone in modo diverso a seconda che si tratti di confronti bilaterali (tra due soli paesi) o di confronti multilaterali (tra più di due paesi). 10.1.1. Confronti bilaterali Consideriamo un prodotto h il cui prezzo in due paesi a e b nelle rispettive valute nazionali (se diverse) è, rispettivamente, pha e phb . Ad esempio, supponiamo che il prezzo di un certo tipo di carne sia pari in USA a 20 $ al Kg e in Italia a 15 euro al Kg. Definiamo la parità economica elementare relativa al bene considerato come il rapporto tra i due prezzi nelle rispettive valute:

parità economica elementare per il bene h =ha

hb

p

p.

La parità economica elementare è la misura della parità di potere di acquisto per il bene h considerato: indica il numero di unità della valuta di b necessarie in quel paese per acquistare la stessa quantità del bene h che una unità di valuta di a acquisterebbe nel paese a. E’ dunque il tasso di conversione, analogo al tasso di cambio, tra le due monete che garantisce lo stesso potere di acquisto in termini del prodotto considerato. Nell’esempio precedente, scelto gli USA come paese base (a), la parità economica elementare tra euro e dollaro con riferimento a quel tipo di carne è 0.75, e ciò significa che, con riferimento all’acquisto di quella carne, un dollaro equivale a 0.75 euro. Ovviamente, se il confronto riguarda due paesi che adottano la stessa valuta, ad esempio Francia e Italia, la parità economica elementare coincide con l’indice semplice dei prezzi nel caso di dati spaziali, assumendo il paese a come base. Ad esempio, se il paese scelto come base fosse la Francia e se ora l’indice della parità economica

118

elementare risultasse pari a 0.90 vorrebbe dire semplicemente che il prezzo di quel tipo di carne in Italia è del 10% minore che in Francia. A questo punto occorre però passare dal caso semplice di un unico bene a quello di un paniere di beni rappresentativo di un intero aggregato, ad esempio i consumi delle famiglie, e quindi dall’indice semplice della parità economica elementare ad un indice sintetico (complesso) della parità di potere d’acquisto valido per l’intero aggregato. In generale, la sintesi di indici semplici può essere fatta con uno degli indici complessi già noti (Laspeyres, Paasche o Fisher). Ad esempio, definito un paniere di beni e servizi comune ai due paesi e scelto a come paese base, fare la sintesi con l’indice dei prezzi di Laspeyres (per i confronti spaziali) vuol dire calcolare l’indice seguente:

PLa,b =

∑∑

h haha

haha

ha

hb

qp

qp

p

p

h

= ∑

hhaha

hah

hb

qp

qp.

Mentre la sintesi con l’indice di Paasche conduce all’indice seguente:

PPa,b =

∑∑

h hbha

hbha

ha

hb

qp

qp

p

p

h

= ∑

hhbha

hbh

hb

qp

qp.

Tuttavia, come è già noto, né l’indice di Laspeyres, né quello di Paasche soddisfano la proprietà di reversibilità delle basi. Si ha infatti:

PLb,a ≠ L

ba,P

1 e PP

b,a ≠ Pba,P

1 ,

e pertanto il confronto tra i livelli dei prezzi dei due paesi, ove fatto con tali indici, non sarebbe univoco, ma dipenderebbe dal paese scelto come base. Come sappiamo, l’indice complesso che soddisfa la proprietà di reversibilità delle basi, ed è quindi da preferire nei confronti binari a parità di potere d’acquisto, è l’indice di Fisher, dato dalla media geometrica degli indici di Laspeyres e Paasche. Si ha infatti:

PFb,a = (PL

b,a PPb,a)

1/2 = Fba,P

1 .

La parità di potere di acquisto calcolata con tale indice è dunque univoca, nel senso che calcolata per un paese b rispetto ad un altro a è esattamente il reciproco di quella calcolata per il secondo rispetto al primo. Indicato con PPAa,b = PF

a,b tale indice delle parità di potere d’acquisto, la conversione dell’aggregato relativo al paese b, espresso nella sua valuta, in un nuovo aggregato

119

espresso a parità di potere di acquisto, si ottiene dividendo l’aggregato originario per l’indice PPAa,b, come nello schema seguente:

Paese

Aggregato (nelle singole valute)

Indice PPA

Aggregato

(in PPA)

a Xa PPAa,a =1 Xa

b Xb PPAa,b

ab

b

PPA

X

ESERCIZIO 17 Nella tabella seguente sono riportati i prezzi di tre prodotti in Italia e in Usa, espressi nelle valute dei singoli paesi, e le relative quantità consumate: Italia USA Prodotti Prezzi Quantità Prezzi Quantità (euro) (dollari) 1 12 40 10 120 2 30 20 26 100 3 16 10 12 40 a) Calcolare un indice della parità di potere d’acquisto scegliendo come paese base gli USA; b) trasformare i due aggregati espressi nelle rispettive unità monetarie nei corrispondenti aggregati a parità di potere d’acquisto. Soluzione: a) Calcoliamo gli indici dei prezzi di Laspeyres e Paasche per l’Italia rispetto agli USA. Gli elementi per il calcolo sono riportati nella tabella seguente: Prodotti phbqhb phaqha phbqha phaqhb 1 480 1200 1440 400 2 600 2600 3000 520 3 160 480 640 120 Totale 1240 4280 5080 1040 Si ha pertanto: PL

a,b = 5080/4280 = 1.187 ;

120

PPa,b = 1240/1040 = 1.192.

L’indice delle parità di potere d’acquisto è quindi: PPAa,b = PF

a,b = (1.187 ⋅ 1.192)1/2 = 1.190. b) Gli aggregati relativi ai due paesi nelle rispettive unità monetarie sono: per gli USA: ∑

h

pha qha = 4280;

per l’Italia: ∑h

phb qhb = 1240.

Poiché gli USA sono il paese scelto come base, per esprimere i due aggregati a parità di potere d’acquisto basta dividere l’aggregato relativo all’Italia per il suo indice delle PPA, come nella tabella seguente:

Paesi Aggregato nella

valuta del paese

Indice PPA

Aggregato in PPA

(1) (2) (3) = (1) : ( 2) a 4280 1 4280 b 1240 1.190 1042

10.1.2. Confronti multilaterali Nei confronti multilaterali la necessaria indipendenza dei risultati dalla scelta del paese-base richiede che l’indice delle PPA soddisfi anche la proprietà di transitività delle basi. La proprietà di transitività, illustrata nel Capitolo 7, adattata al caso di dati spaziali e indicando con a, r e s tre generici paesi, può essere espressa nel modo seguente: Ia,r Ir,s = Ia,s da cui

Ir,s= ra,

sa,

I

I.

Per il paese s, il passaggio da una base (a) ad un’altra (r) avviene dividendo il proprio indice della vecchia base a (Ia,s) per Ia,r. In generale, come già accennato nel Capitolo 7, considerando l’insieme dei paesi, il passaggio da una base (a) all’altra (r) avviene dividendo gli indici della prima base per una medesima costante (Ia,r). Il che ovviamente lascia immutati i rapporti tra gli indici dei diversi paesi, che è esattamente ciò che serve perché la scelta del paese base possa considerarsi indifferente ai fini del confronto multilaterale. Sappiamo però che neppure l’indice di Fisher soddisfa tale proprietà e di conseguenza, per poter effettuare i confronti multilaterali a parità di potere di acquisto in modo indipendente dalla scelta del paese base, occorre procedere con altri metodi.

121

Il SEC95 suggerisce di utilizzare l’indice EKS (di Eltero, Koves, Szulc), che è costruito con una procedura simile a quella degli indici a catena per i confronti temporali. La procedura si basa su una matrice di indici dei prezzi di Fisher relativi a tutti i possibili confronti binari tra m paesi del tipo seguente:

1 … r … s … m 1 PF

11 ... PF1r … PF

1s … PF1m

. …………………………….. r PF

r1 … PFrr … PF

rs … PFrm

. ………………………….…. s PF

s1 ... PFsr … PF

ss … PFsm

. ……………………………. m PF

m1 … PFmr … PF

ms … PFmm

L’indice EKSrs è dato dalla media geometrica degli indici binari di Fisher che collegano direttamente o indirettamente i generici paesi r e s, ovvero è dato dalla radice m.ma del prodotto degli elementi della riga r e della colonna s:

EKSrs = (∏=

m

j 1

PFrj P

Fjs )

1/m .

L’indice EKS gode della proprietà di transitività delle basi, poiché vale la relazione: EKSrs EKSst = EKSrt . Infatti:

(∏=

m

j 1

PFrj P

Fjs )

1/m (∏=

m

j 1

PFsj P

Fjt )

1/m =

= (∏=

m

j 1

PFrj P

Fjs (1/PF

js)PFjt)

1/m = (∏=

m

j 1

PFrj P

Fjt )

1/m = EKSrt .

Come gli indici a catena utilizzati nei confronti temporali, anche l’indice EKS non rispetta la condizione di additività e pertanto il SEC suggerisce di limitarne l’applicazione ai confronti spaziali riguardanti aggregati singoli. Altri metodi utilizzabili per i confronti multilaterali invece prescindono dai confronti binari e soddisfano contemporaneamente il requisito della transitività e della additività. Tra questi, il più utilizzato è il metodo di Geary-Khamis (GK), suggerito dal SEC per esprimere a parità di potere d’acquisto gli aggregati somma di componenti. Con tale metodo le parità di potere di acquisto vengono calcolate su un paniere di n beni comuni a tutti i paesi e il confronto viene fatto tra il livello dei prezzi di un paese,

122

nella sua unità monetaria, e quello medio dell’insieme dei m paesi considerati, in una unità monetaria comune. Indichiamo con: phj e qhj (h=1, …, n; j=1, …, m) rispettivamente i prezzi (nella valuta del paese) e le quantità scambiate del generico bene h nel paese j; PPAj : il fattore di conversione dalla valuta del paese j all’unità monetaria comune (parità di potere di acquisto). Definiamo, inoltre: il prezzo del bene h nel paese j espresso in unità monetaria comune:

j

hj

PPA

p;

il prezzo medio, ponderato con le rispettive quantità, del bene h in unità monetaria comune nell’insieme degli m paesi:

πh = ∑

jhj

jhj

j

hj

q

qPPA

p

, (h=1, …, n).

L’indice della parità di potere d’acquisto è definito come rapporto tra l’aggregato effettivo del paese j, ai prezzi e nella valuta del paese, diviso l’aggregato fittizio ottenuto applicando alle quantità del paese j i prezzi medi negli m paesi in moneta comune:

PPAj = ∑

hhjh

hjh

hj

q

qp

π (j=1, …, m).

Si tratta dunque di un indice di tipo Paasche, ma con riferimento ai prezzi medi in moneta comune e non a quelli di un paese scelto come base, il che elimina all’origine il problema della transitività delle basi. Le due relazioni precedenti definiscono un sistema omogeneo di n+m equazioni lineari in n+m incognite, che va risolto in modo iterativo: si fissano valori arbitrari per PPAj

(ad esempio tutti pari ad 1) e si calcolano gli n valori di πh, che si sostituiscono nel secondo insieme di equazioni, determinando m valori di PPAj, che si sostituiscono nelle prime n equazioni, e così via fino al raggiungimento della convergenza. Le soluzioni del sistema così ottenute non sono tuttavia indipendenti dai valori iniziali adottati nel processo di iterazione; differiscono però per uno scalare, talché sono indipendenti dai valori iniziali i rapporti tra gli indici PPA di diversi paesi. Scelto un paese di riferimento r, l’indice delle parità di potere di acquisto proposto da Geary e Khamis per il generico paese j è pertanto:

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GKrj = r

j

PPA

PPA.

Determinati gli indici delle parità di potere d’acquisto con uno dei due metodi precedenti, indichiamo genericamente con PPArj (invece che con gli acronimi EKS e GK) quello del paese j rispetto al paese di riferimento r. Gli aggregati degli m paesi a parità di potere d’acquisto si ottengono dividendo gli aggregati originari espressi nelle valute dei rispettivi paesi per i corrispondenti indici PPArj, come nello schema seguente:

Paese

Aggregato (nelle singole valute)

Indice PPA

Aggregato

(PPA)

1 X1 PPAr,1

r1

1

PPA

X

. … … …

j Xj PPAr,j

rj

j

PPA

X

. … … … r Xr PPAr,r =1 Xr

. … … …

m Xm PPAr,m

rm

m

PPA

X

ESERCIZIO 18 Nella tabella seguente, per i principali paesi europei e per gli USA sono riportati il Pil (nella valuta dei singoli paesi), la popolazione residente e l’indice delle PPA: Pil in valuta nazionale Popolazione Indice Paesi (miliardi) (milioni) PPA Italia 1417.2 58.5 1.004 Francia 1659.0 60.6 1.075 Germania 2207.0 82.5 1.043 Regno Unito 1225.3 60.0 0.747 Spagna 905.5 43.0 0.913 USA 12455.8 296.0 1.203 Per ognuno di tali paesi calcolare il Pil per abitante a parità di potere d’acquisto.

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Soluzione: Calcolati i rapporti tra Pil e popolazione residente, il Pil per abitante a parità di potere d’acquisto si ottiene semplicemente dividendo il risultato per il corrispondente indice delle PPA, come nella tabella seguente: Pil per abitante Indice Pil per abitante Paesi (migliaia) PPA in PPA Italia 24.2 1.004 24.1 Francia 27.4 1.075 25.5 Germania 26.8 1.043 25.7 Regno Unito 20.4 0.747 27.3 Spagna 21.0 0.913 23.0 USA 42.1 1.203 35.0