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Chiesa di Bologna La formazione liturgica SUSSIDIO PER LA CELEBRAZIONE DELLE SOLENNITÀ PASQUALI Il Tempo di Pasqua Appendice con i testi dei canti Bologna, Seminario Arcivescovile 2 aprile 2011

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Chiesa di Bologna

La formazione liturgica

S U S S IDIO P ER LA CELEBRAZION E

DELLE S OLEN N IT À P AS QU ALI

Il T e mpo di Pas qua

Appendice con i testi dei canti

Bologna, Seminario Arcivescovile 2 aprile 2011

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INDICE

Indice p. 1 “Preparazione e celebrazione delle feste pasquali” p. 2 La celebrazione del Mistero Pasquale/2 p. 7 La mistagogia pasquale. Per educare alla vita buona del Vangelo p. 29 Celebrare il Tempo di Pasqua p. 37 Per dilatare la celebrazione eucaristica nella famiglia p. 46 Nota liturgica p. 46 Tempo … dell’acclamazione p. 51 Maria e il Tempo di Pasqua p. 52 Antifone domeniche e solennità del Tempo di Pasqua p. 55

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“PREPARAZIONE E CELEBRAZIONE DELLE FESTE PASQUALI” Dopo il primo intervento, proviamo a riprendere la Lettera circolare Preparazione e celebrazione delle feste pasquali pubblicata il 16 gennaio 1988 a cura della CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO. Contenuto della Lettera La Lettera si può così articolare: a. Il proemio (nn. 1-5). b. La rilettura del Tempo di Quaresima (nn. 6-26) in cui emerge il rapporto tra Quaresima e itinerario di iniziazione cristiana, Quaresima e ascolto della Parola, Quaresima e penitenza-carità fraterna. c. Il richiamo del significato della Settimana Santa (nn. 27-37) nella quale la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme. d. Il Triduo Pasquale (nn. 38-43) con richiami ai vari giorni: la Messa vespertina del Giovedì santo nella Cena del Signore (nn. 44-57); il Venerdì nella Passione del Signore (nn. 58-72); il Sabato Santo (nn. 73-76); la Veglia Pasquale nella notte santa (nn. 77-96). e. La Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore (nn. 97-99). f. Il Tempo di Pasqua (nn. 100-108) formato dai cinquanta giorni che si succedono dalla Domenica di Risurrezione alla Domenica di Pentecoste e sono un solo giorno di festa, anzi come un’unica grande Domenica. Alcune sottolineature Nelle “Norme generali sull’anno liturgico e sul calendario” leggiamo: «La domenica di Risurrezione si dilata come una “grande domenica” per cinquanta giorni fino alla Pentecoste» (n. 22). Infatti le letture sia festive sia feriali ci invitano a vivere sempre meglio il Mistero Pasquale di Cristo, la grazia che da lì fluisce nei sacramenti e all’interno della Chiesa. È quanto viene affermato nella costituzione conciliare sulla liturgia: «Quest'opera della redenzione umana e della perfetta glorificazione di Dio, che ha il suo preludio nelle mirabili gesta divine operate nel popolo dell'Antico Testamento, è stata compiuta da Cristo Signore principalmente per mezzo del mistero pasquale della sua beata passione, risurrezione da morte e gloriosa ascensione, mistero col quale «morendo ha distrutto la nostra morte e risorgendo ha restaurato la vita». Infatti dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa» (SC n. 5). Cerchiamo, allora, di cogliere alcune opportunità inserite, però, nell’orizzonte della vita delle nostre comunità. Uno dei rischi che si può correre è di lasciare un po’ cadere l’attenzione dopo l’intenso cammino della Quaresima e la celebrazione del Triduo Pasquale. Secondo l’antica tradizione testimoniata dai Padri della Chiesa, la Cinquantina Pasquale è il periodo adatto per aiutare a comprendere meglio i sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia, che inseriscono nel Mistero Pasquale di Cristo, e la loro “influenza” nella vita della Chiesa e del singolo discepolo del Signore. È il tempo della mistagogia. È il tempo per approfondire che cosa significhi e come testimoniare l’invito di Paolo: «se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù» (Col 1, 1) e «essere pasta nuova, poiché siete azzimi…Celebriamo dunque la festa con azzimi di sincerità e di verità» (1 Cor 5, 7-8). In questo cammino sono di grande aiuto le letture del Lezionario sia festivo sia feriale (si veda l’intervento apposito in queste dispense). Le liturgie della prima Domenica di Pasqua sono la dilatazione della gioia della grande Veglia Pasquale che richiama il nostro inserimento in Cristo nel giorno del Battesimo. Diventa opportuno sostituire l’atto penitenziale all’inizio della Messa con il rito dell’aspersione con l’acqua benedetta

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durante la Veglia Pasquale e, al pomeriggio, prevedere la celebrazione dei Vespri Battesimali, che concludono il Triduo Pasquale. Il Tempo di Pasqua per tanti combacia con la celebrazione della Cresima, della prima piena partecipazione all’Eucaristia, del Matrimonio e, conseguentemente con l’anniversario della celebrazione di tali sacramenti. Oggi, per vari motivi e mutate situazioni, questi sacramenti sono celebrati nell’arco dell’intero anno liturgico, però, è importante che si tenga vivo il loro collegamento con il Mistero Pasquale di Cristo celebrato dalla Chiesa. Negli Atti degli apostoli si dice che la comunità di Gerusalemme era perseverante e concorde nella preghiera insieme con Maria, la madre di Gesù (cfr. 1, 12-14). Il Tempo di Pasqua comprende gran parte o l’intero mese di maggio, mese dedicato alla devozione della Beata Vergine Maria. Simile coincidenza, unita alla tradizione tipicamente bolognese dei c. d. “viaggi della Madonna” presenti in Città e in tante comunità parrocchiali, diventa occasione per esprimere la dilatazione del gaudio della Vergine di Nazaret per la vittoria del Figlio sulla morte. Si suggerisce di rivalutare il suggerimento che fu dato dalla Congregazione per il culto divino con la Lettera circolare del 3 aprile 1987 Orientamenti e proposte per la celebrazione dell’anno mariano al n. 21, ove si dice che al termine della celebrazione eucaristico si inserisse l’invocazione finale alla Beata Vergine Maria con l’antifona Regina caeli oppure un altro canto che celebri insieme la risurrezione di Cristo e la gioia della Madre del Risorto. Una delle forme più tradizionali della devozione mariana è la recita del Rosario. Questo “Salterio della Vergine” esige una recita tranquilla e meditativa, perché incentrato sulla contemplazione degli eventi salvifici della vita di Cristo, cui fu strettamente associata la Vergine Madre. La solennità di Pentecoste conclude il grande gaudio pasquale. Nelle comunità c’era la tradizionale “Novena”, che può essere rivalutata cercando di fare tesoro delle opportunità che offrono i testi delle letture e delle orazioni delle Messe e della Liturgia delle ore nei giorni feriali. Sarebbe molto opportuno, poi, che a livello zonale o parrocchiale si instaurasse la celebrazione della Veglia seguendo le indicazioni del Messale Romano (cfr. pp. 239-240.979-980). Nella celebrazione eucaristica si potrebbe inserire la memoria dell’anniversario della Cofermazione seguendo la proposta riportata più avanti. Dopo i Secondi Vespri termina il Tempo di Pasqua, si spegne il cero pasquale, che viene portato presso il battistero e verrà normalmente acceso in occasione della celebrazione del Battesimo e delle esequie, per richiamare la prima e ultima Pasqua del cristiano. Si potrà sottolineare simile gesto con un apposito rito riportato più avanti.

MEMORIA DELLA CONFERMAZIONE Dopo l’omelia, il presidente introduce con queste o altre parole simili:

Fratelli e sorelle, nella notte santa di Pasqua abbiamo rinnovato le promesse battesimali. In questo giorno di Pentecoste, che ci fa riscoprire la presenza e l’azione dello Spirito operante nella Chiesa, ricordiamo il sacramento della Confermazione, invocando la rinnovata spirituale unzione del Paraclito, affinché si accresca in noi l’impegno della comunione e della missione.

Tutti pregano per qualche momento in silenzio. Quindi il presidente pronuncia la seguente supplica intercalata dall’invocazione allo Spirito Santo.

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Presidente: Spirito increato, forza primordiale dell’universo, potenza santificatrice della Chiesa, ravviva in noi i doni del Battesimo e della Confermazione.

Assemblea: Vieni Spirito Santo.

Presidente: Spirito di vita, soffio d’amore energia scaturita dalla Croce, rinvigorisci nel cuore dei tuoi fedeli l’impegno a vivere come stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato.

Assemblea: Vieni Spirito Santo.

Presidente: Spirito del Padre e del Figlio, disceso sulla Vergine, donato agli Apostoli, anima e feconda la Chiesa con il conforto dei tuoi sette santi doni.

Assemblea: Vieni Spirito Santo.

Presidente: Nello stesso Spirito, ora invocato, professiamo la fede cattolica.

Tutti dicono il Credo utilizzando il “Simbolo apostolico”.

RITO DELLO SPEGNIMENTO DEL CERO PASQUALE

Al termine della celebrazione, prima del congedo, il presidente dice: Fratelli e sorelle, nella notte che ha dato vita al “lietissimo spazio” del Tempo Pasquale, il giorno di cinquanta giorni, all’accensione del cero abbiamo acclamato a Cristo nostra luce. E la luce del cero pasquale ci ha accompagnati in questi giorni e ha contribuito a ricordarci la grande realtà del mistero pasquale. Oggi, nel giorno di Pentecoste, al chiudersi del Tempo di Pasqua, il cero pasquale viene spento. Questo segno ci viene tolto, anche perché, allenati alla scuola del Maestro Risorto e infuocati dal dono dello Spirito Santo, ormai dobbiamo essere noi luce di Cristo che si irradia e, come colonna luminosa, passa nel mondo, in mezzo ai fratelli,

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per guidarli nell’esodo verso la Terra promessa. Vedremo ancora, nel corso dell’anno liturgico, risplendere la luce del cero pasquale soprattutto in due importanti momenti del cammino della Chiesa: per la prima Pasqua che vivranno i suoi figli nel Battesimo, e per l’ultima Pasqua quando, con la morte, faranno ingresso nella vera vita.

Si canta come ritornello un’acclamazione a Cristo luce.

Lettore: O raggio benedetto, prima fonte di luce, o ardentemente desiderato al di sopra di tutto; potente, inscrutabile e ineffabile; gioia del bene, visione di speranza soddisfatta, lodato e celebrato, Cristo creatore, Re della gloria, certezza di vita, colma i vuoti della nostra voce con la tua Parola onnipotente e offrila come supplica gradita al Padre tuo altissimo. Rit.

Lettore: Splendore della gloria del Padre, che diffondi il chiarore della vera luce, raggio della luce, fonte di ogni bagliore. Tu, giorno che illumini il giorno, tu vero sole, penetri e infondi nei nostri sensi la fiamma del tuo Spirito. Rit.

Lettore: Sei la lampada della casa paterna che illumina di luce soffusa, Tu sei il sole di giustizia, il giorno che mai volge al tramonto, la luminosa stella del mattino. Rit.

Lettore: Tu del mondo sei il vero datore di luce, più luminoso del pieno sole, tutto luce e giorno, illumini i profondi sentimenti del nostro cuore. Rit.

Lettore: O luce dei miei occhi, dolce Signore, difesa dei miei giorni, o viva fiamma della mia lucerna, o Dio, mia luce, rischiara il mio cammino, Tu sola speranza nella lunga notte Rit.

Mentre si canta il ritornello, il diacono o il presidente spegne il cero; quindi il presidente dice la seguente orazione: Preghiamo.

Degnati, o Cristo, dolcissimo Salvatore, di accendere le nostre lampade; costantemente nel tuo tempio rifulgano, alimentate da te, che sei la luce eterna. Siano rischiarati gli angoli oscuri del nostro spirito e

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siano fugate lontano da noi le tenebre del mondo. Fa’ che vediamo, contempliamo, desideriamo te solo, te solo amiamo, sempre in attesa fervente di te, che vivi e regni con il Padre, nell’unità dello Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

Tutti: Amen.

Presidente: La fede in Cristo Risorto illumini sempre i nostri cuori e rischiariamo con questa speranza le contrade del mondo. Andate in pace, alleluia, alleluia.

Tutti: Rendiamo grazie a Dio, alleluia, alleluia.

L’assemblea si scioglie mentre esegue un canto alla Beata Vergine Maria.

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La celebrazione del Mistero Pasquale/2

L’unità del Mistero Pasquale Nella precedente trattazione dedicata alla Quaresima e al Triduo Sacro, abbiamo sottolineato il carattere unitario del “mistero pasquale”, al quale la Chiesa si prepara, con la celebrazione del sacramento quaresimale e che poi celebra, con pienezza di segni, nel tempo pasquale. In questo senso, il tempo pasquale non è da intendere solo come commemorazione della risurrezione del Signore, ma come celebrazione riattualizzante (memoriale) di tutto il mistero, secondo l’espressione paolina, ripresa più volte dalla liturgia, in particolare nel canto di comunione della veglia e del giorno di Pasqua: “Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato: celebriamo dunque la festa con purezza e verità, alleluia” (1 Cor 5,7-8). La risurrezione è inseparabile dalla crocifissione, e viceversa: “Gesù, il crocifisso è risorto, come aveva detto, alleluia” (seconda ant. di Comunione pasquale, Mt 28,5.6). La passione e morte del Signore restano parte integrante dell’annuncio e della celebrazione della Chiesa, in quanto inseparabili dalla risurrezione: il concetto stesso di “risurrezione” è inseparabile dalla morte: “Cristo è risorto dai morti, con la sua morte ha distrutto la morte, ai morti ha dato la vita” (tropario pasquale bizantino).

Progredire nel mistero della vita I vangeli e la fede della Chiesa non descrivono la risurrezione di Gesù come un “ritorno alla vita”: non si tratta del ristabilimento, seppur prodigioso, della situazione precedente alla morte. Questo semmai è il caso di Lazzaro, che per opera di Cristo “tornò” alla vita, alla vita mortale. Cristo invece è transitato attraverso la morte ed è avanzato nella pienezza della vita (fisica e corporale, ma anche spirituale). Il sepolcro vuoto testimonia la storicità e la tangibilità del fatto, ma la modalità delle apparizioni, per le quali il Signore è riconosciuto presente solo attraverso la fede, mostra che egli è entrato in una dimensione che per noi, pellegrini sulla terra, è raggiungibile solo nella grazia della fede. In effetti, piuttosto che di “apparizioni” di Gesù risorto ai discepoli, dovremmo parlare con Gv 21,1ss di “manifestazioni” del risorto. Non è che il Signore appare e scompare: egli è sempre con i suoi e in alcuni momenti manifesta questa sua presenza. La “fede” resta la chiave centrale di questo nuovo rapporto tra Cristo e i suoi discepoli. Solo per iniziare una riflessione potremmo infatti chiederci: perché Gesù dopo la sua risurrezione non si è manifestato a Caifa, o a Pilato, o alla folla che aveva urlato “Crucifige!”?. Dalla risposta a questo interrogativo potremo comprendere perché il Signore vuole essere conosciuto attraverso la fede e non attraverso l’evidenza…

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica 646 La risurrezione di Cristo non fu un ritorno alla vita terrena, come lo fu per le risurrezioni che egli aveva compiute prima della pasqua: quelle della figlia di Giairo, del giovane di Naim, di Lazzaro. Questi fatti erano avvenimenti miracolosi, ma le persone miracolate ritrovavano, per il potere di Gesù, una vita terrena «ordinaria». Ad un certo momento esse sarebbero morte di nuovo. La risurrezione di Cristo è essenzialmente diversa. Nel suo corpo risuscitato egli passa dallo stato di morte ad un'altra vita al di là del tempo e dello spazio. Il corpo di Gesù è, nella risurrezione, colmato della potenza dello Spirito Santo; partecipa alla vita divina nello stato della sua gloria, sì che san Paolo può dire di Cristo che egli è l'uomo celeste (Cf 1 Cor 15,35-50).

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La “sacramentalità” della liturgia Come abbiamo visto, nella messa vespertina del Giovedì Santo, la Chiesa ricorda come nell’ultima Cena il Signore Gesù le consegnò il rito nuovo della Pasqua: esso, superando la barriera fisicamente invalicabile del tempo e dello spazio, pone il credente in comunione reale con il sacrificio pasquale e con il suo effetto di grazia. La Chiesa esprime questa consapevolezza, ripetendo spesso e particolarmente nei giorni santi, l’espressione “Oggi”.

Dal Catechismo della Chiesa Cattolica 1165 Quando la Chiesa celebra il mistero di Cristo, una parola scandisce la sua preghiera: «Oggi! », come eco della preghiera che le ha insegnato il suo Signore (Cf Mt 6,11) e dell'invito dello Spirito Santo.(Cf Eb 3,7–4,11; Sal 95,8). Questo «oggi» del Dio vivente in cui l'uomo è chiamato ad entrare è l'«Ora» della pasqua di Gesù, che attraversa tutta la storia e ne è il cardine:

«La vita si è posata su tutti gli esseri e tutti sono investiti da una grande luce; l'Oriente degli orienti ha invaso l'universo, e colui che era prima della stella del mattino e prima degli astri, immortale e immenso, il grande Cristo, brilla su tutti gli esseri più del sole. Perciò, per noi che crediamo in lui, sorge un giorno di luce, lungo, eterno, che non si spegnerà più: la Pasqua mistica» (Pseudo-Ippolito Romano, In sanctum Pascha, 1, 1-2: Studia patristica mediolanensia 15, 230-232).

1168 A partire dal Triduo pasquale, come dalla sua fonte di luce, il tempo nuovo della risurrezione permea tutto l'anno liturgico del suo splendore. Progressivamente, da un versante e dall'altro di questa fonte, l'anno è trasfigurato dalla liturgia. Esso costituisce realmente l'anno di grazia del Signore (Cf Lc 4,19). L'Economia della salvezza è all'opera nello svolgersi del tempo, ma dopo il suo compimento nella pasqua di Gesù e nell'effusione dello Spirito Santo, la conclusione della storia è anticipata, « pregustata », e il regno di Dio entra nel nostro tempo.

Oltre a quanto abbiamo annotato nella trattazione del Giovedì Santo, possiamo richiamare l’attenzione su un altro aspetto molto suggestivo: nel CANONE ROMANO, che è la Preghiera Eucaristica (anafora) più antica tra quelle presenti nel Messale Romano in uso oggi, il sacerdote prendendo in mano il calice, esprime la consapevolezza di una identificazione totale tra la Chiesa che concretamente celebra, e l’atto oblativo di Cristo, nel segno dell’identico calice:

“Dopo la cena, allo stesso modo, prese questo glorioso calice nelle sue mani sante e venerabili, …”.

Si potrebbe dire, in sintesi, che “oggetto” della celebrazione del tempo pasquale non è un singolo aspetto ma tutto il mistero di Cristo, di incarnazione, passione, morte, sepoltura e risurrezione, la cui efficacia di salvezza è disponibile “qui e ora”, per la Chiesa che lo celebra nel sacramento. 1169 Per questo la Pasqua non è semplicemente una festa tra le altre: è la «festa delle feste», la «solennità delle solennità», come l'Eucaristia è il sacramento dei sacramenti (il grande sacramento). Sant'Atanasio la chiama «la grande domenica» (Sant'Atanasio di Alessandria, Epistula festivalis, 1 (anno 329), 10: PG 26, 1366), come la Settimana santa in Oriente è chiamata «la grande Settimana». Il mistero della risurrezione, nel quale Cristo ha annientato la morte, permea della sua potente energia il nostro vecchio tempo, fino a quando tutto gli sia sottomesso. 1171 L'anno liturgico è il dispiegarsi dei diversi aspetti dell'unico mistero pasquale. Questo è vero soprattutto per il ciclo delle feste relative al mistero dell'incarnazione (Annunciazione, Natale, Epifania) le quali fanno memoria degli inizi della nostra salvezza e ci comunicano le primizie del mistero di Pasqua.

Il Tempo di Pasqua: l’ottava e la cinquantina Fin dalle origini paleocristiane, fu ben chiaro che la solennità pasquale non poteva considerarsi una semplice ricorrenza annuale del calendario: per questo le fu attribuito uno spazio temporale più vasto e ben identificato, tanto in oriente quanto in occidente: i cinquanta giorni successivi, con una accentuazione speciale nei primi otto, dedicati da una parte alla contemplazione delle testimonianze evangeliche relative alla risurrezione (come ancor oggi nella liturgia dell’ottava) e d’altra parte alla

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introduzione dei fedeli appena battezzati nella comunità e nella vita cristiana, con la catechesi sui sacramenti.

I cinquanta giorni: la “grande domenica” Una delle più antiche attestazioni storiche della Pentecoste è contenuta nel De oratione di Tertulliano (150-230ca); l’autore si riferisce alla pratica delle prostrazioni (metanie), frequenti nel culto cristiano primitivo:

Noi, in conformità alla tradizione ricevuta, esclusivamente nel giorno della risurrezione del Signore dobbiamo guardarci non solo dal prostrarci in ginocchio, ma da qualsiasi comportamento e da qualsiasi gesto di culto che esprima angoscia e dolore; rimandiamo perfino i nostri affari per non lasciare al diavolo nessuna occasione di operare. Lo stesso facciamo anche durante la Pentecoste; lo trascorriamo, a diversità degli altri periodi dell’anno, con uguale solennità e viviamo nella gioia1.

Tertulliano si riferisce qui alla Pentecoste non come ad una festa a sé stante, ma come al periodo di 50 giorni nei quali si dilata la celebrazione della Pasqua. Fin dall’epoca apostolica, la preghiera restando in piedi, senza prostrazioni, era riservata esclusivamente alla domenica: la Pentecoste era dunque vissuta fin dall’origine come una “grande domenica”. La Cinquantina pasquale doveva essere un tempo di riposo e di gioia, con la celebrazione frequente, se non addirittura quotidiana dell’Eucaristia2. Da Sant’Agostino apprendiamo che durante la Pentecoste erano sospese le cause giudiziarie (probabilmente nel solo tribunale episcopale) e i fedeli dovevano piuttosto esercitarsi nella carità e nel perdono reciproco. Si trovano anche indicazioni antiche sulla norma di astenersi dai lavori servili, ma questo di fatto non accadeva (e non poteva ovviamente accadere), se non nei primi giorni di Pasqua. Il riposo festivo venne progressivamente riducendosi all’ottava di Pasqua, poi al lunedì e al martedì dell’ottava, oggi al solo lunedì (Pasquetta). La Pentecoste e il Giubileo La norma apostolica della gioia pentecostale ha delle profonde attinenze con quella ebraica del Giubileo (Lv 25,10-133), che prevedeva l’astensione da ogni lavoro per un anno intero e il recupero di quanto si era perduto: una norma che non ha avuto praticamente mai una vera e propria realizzazione e che costituiva per Israele più un ideale, un segno di speranza, che una realtà storica. Altrettanto si dovrebbe dire per il Popolo della Nuova Alleanza: il tempo della Pentecoste dovrebbe essere il tempo della libertà dalle costrizioni materiali, per pregustare la gioia della Pasqua eterna; il tempo nel quale la legge suprema è l’amore fraterno e la comunione, tempo nel quale toccare con mano e godere della vita nuova in Cristo e nella Chiesa. Già Origene, nel terzo secolo, scriveva che il numero cinquanta ricorda il giubileo ed è come un sacramento del perdono e dell’indulgenza (In Num. hom., 5,2). Isidoro di Siviglia, alla fine del secolo successivo, aggiungeva che "il giubileo si interpreta come l’anno del perdono... Anche noi celebriamo questo numero con la festa di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la risurrezione del 1 Le prostrazioni sono ancora molto presenti nella pratica spirituale orientale e, in quaresima, costituiscono un vero e proprio esercizio di mortificazione, perché vengono ripetute molte volte, anche durante la celebrazione liturgica: i fedeli compiono il segno della croce, poi – piegando entrambi le ginocchia – arrivano a sfiorare il pavimento con la fronte, per poi tornare in posizione eretta. Questa pratica nell’antichità era diffusa in tutto il mondo cristiano, ma in occidente venne pian piano scomparendo, sostituita dal semplice pregare in ginocchio, fatto oggi più raro in oriente. 2 Dobbiamo considerare che nell’antichità la celebrazione eucaristica era vissuta come un grande momento di gioia comunitaria, anche perché associata all’agape fraterna. Questo è il motivo per cui le sinassi (riunioni liturgiche) della quaresima, comportavano raramente l’offerta eucaristica, nei giorni infrasettimanali. 3 “Dichiarerete santo il cinquantesimo anno e proclamerete la liberazione nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia. Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non farete né semina, né mietitura di quanto i campi produrranno da sé. Né farete la vendemmia delle vigne non potate. Poiché è il giubileo, esso vi sarà sacro; potrete però mangiare il prodotto che daranno i campi. In quest'anno del giubileo, ciascuno tornerà in possesso del suo”.

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Signore, con cui la colpa è rimessa e la pena è cancellata, così che liberi da ogni legame possiamo ricevere la grazia dello Spirito Santo che viene a noi" (Etym., lib. V, 37,3-4). Non è un caso che la MESSA CRISMALE, vero preludio della Pasqua, riproponga i testi di Is 61 e Lc 4, che presentano il Messia-Cristo come colui che promulga l’anno di grazia del Signore:

Is 61,1-3.6.8b-9; Lc 4,16-21 “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore”.

La Liturgia stessa di Pentecoste vede nella celebrazione dei 50 giorni pasquali il compimento dell’antica legge del Giubileo, come testimonia in particolare l’inno delle Lodi mattutine4, di un autore anonimo del sesto secolo. 1. Beáta nobis gáudia / anni redúxit órbita, cum Spíritus Paráclitus / effúlsit in discípulos.

1. Il ciclo dell’anno ci ha riportato le gioie beate di quando lo Spirito Paraclito risplendette nei discepoli.

2. Ignis vibránte lúmine / linguæ figúram détulit, verbis ut essent próflui / et caritáte férvidi.

2. Con una luce sfolgorante di fuoco, discese in forma di lingua, affinché fossero fluenti nel parlare e fervidi nell’amare.

3. Linguis loquúntur ómnium; / turbæ pavent gentílium, musto madére députant, / quos Spíritus repléverat.

3. Parlano nelle lingue di tutti; restano sbigottite le folle dei gentili, reputano ubriachi di mosto coloro che lo Spirito ha riempito.

4. Patráta sunt hæc m!stice / Paschæ perácto témpore, sacro diérum número, / quo lege fit remíssio.

4. Si compirono queste cose misticamente passato dalla Pasqua il sacro numero di giorni, in cui nella legge si compie la remissione.

5. Te nunc, Deus piíssime, / vultu precámur cérnuo: illápsa nobis cælitus / largíre dona Spíritus.

5. Ora, o Dio piissimo, ti preghiamo, col capo chino: concedici i doni dello Spirito discesi dal cielo.

6. Dudum sacráta péctora / tua replésti grátia; dimítte nunc peccámina / et da quiéta témpora.

6. Da tempo hai riempito di grazia i cuori che hai consacrato; ora perdona i peccati e dà un tempo tranquillo.

7. Per te sciámus da Patrem / noscámus atque Fílium, te utriúsque Spíritum / credámus omni témpore. Amen.

7. Concedi che per te conosciamo il Padre e riconosciamo anche il Figlio e crediamo in ogni tempo in te, Spirito di entrambi. Amen.

La lettura “giubilare” della Pentecoste cristiana, offre alcune prospettive spirituali molto significative. Possiamo tentare una lettura in parallelo tra queste due realtà:

IL GIUBILEO EBRAICO (cfr. Lv 25) LA PENTECOSTE CRISTIANA Il periodo di 50 anni: sette settimane di anni, più uno. Ogni sette anni, vi era l’anno sabbatico, vissuto come un grande sabato. Ogni sette anni sabbatici, si aggiungeva l’anno del giubileo.

Sette settimane, più una domenica: sette, numero simbolico del tempo, moltiplicato per se stesso (cioè considerato nella sua pienezza), più uno, il numero dell’unità di Dio, della sua infinita perfezione, il numero dell’eternità.

Tempo di riposo dal lavoro della terra. La Pasqua ci introduce nel riposo di Dio; riposo che afferma la libertà dell’uomo rispetto alla schiavitù delle cose materiali.

Tempo di riposo per la terra stessa, che non doveva essere lavorata, ma lasciata produrre spontaneamente i suoi frutti.

La Pasqua ricostituisce l’armonia, il giusto rapporto con le cose materiali e con i beni del cosmo.

4 Traduzione liturgica in italiano: Giorno d'immensa gioia nella città di Dio: la fiamma dello Spirito risplende nel cenacolo. Si rinnova il prodigio degli antichi profeti: una mistica ebbrezza tocca le lingue e i cuori. O stagione beata della Chiesa nascente, che accoglie nel suo grembo le primizie dei popoli! E' questo il giubileo dell'anno cinquantesimo, che riscatta gli schiavi e proclama il perdono. Manda su noi, Signore, il dono del tuo Spirito, concedi al mondo inquieto la giustizia e la pace. O luce di sapienza, rivelaci il mistero del Dio trino ed unico, fonte d'eterno amore. Amen.

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Si ritorna in possesso dei propri beni perduti. La Pasqua ricostituisce la nostra dignità ferita e ci rende il dono perduto della misericordia divina e la dignità di figli di Dio.

È bandita ogni forma di oppressione sul prossimo.

Nella mistero della sua Pasqua, riceviamo in dono lo Spirito Santo, l’amore stesso di Dio, che produce rapporti nuovi, di fraternità, di amore e di servizio reciproco, e rende ogni uomo, nostro “prossimo”. La Pasqua dona la gioia della carità fraterna.

Il Giubileo ristabilisce il diritto di Dio sul creato, di cui l’uomo è solo ospite, non proprietario.

Nella Pasqua noi proclamiamo che “Gesù Cristo è il Signore”, che sconfigge ogni dominio che opprime l’uomo: il male, il peccato, la morte.

Il Giubileo restituisce la libertà perduta. L’uomo è liberato dalla necessità di possedere e ritrova in Cristo la sua autentica libertà.

Il Giubileo afferma che Israele è proprietà divina e che ogni membro del popolo è a servizio di Dio.

Dalla Pasqua nasce la Chiesa di Dio, che Cristo “si è acquistata con il suo sangue” (At 20,28).

Si potrebbe tentare un altro suggestivo percorso, che qui abbozziamo solamente: quello di rileggere, alla luce della tradizione ebraica del “giubileo” i cosiddetti sommari degli Atti degli Apostoli, che contengono una decrizione ideale della comunità dei credenti. Gli Atti mostrano come la grazia della fede in Cristo, crocifisso risorto, definisce un rapporto nuovo con se stessi, con i fratelli, con le cose materiali. La gioia dell’amore fraterno è la nota dominante della vita di questo nuovo popolo, riscattato dal Sangue di Cristo.

Atti degli Apostoli 2,42-48; 4,32-35 42Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. 43Un senso di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli. 44Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; 45chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. 46Ogni giorno tutti insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con letizia e semplicità di cuore,47lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo. 48Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati. 32La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune.33Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. 34Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto 35e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno.

Quaresima e Pentecoste: “sacramento” del presente e del futuro “Ecco, questi giorni santi che celebriamo dopo la resurrezione del Signore rappresentano la vita futura, quella che vivremo dopo la resurrezione. Come i giorni della quaresima, celebrati prima della Pasqua, hanno simboleggiato la vita stentata fra le tribolazioni della condizione mortale, così questi giorni di letizia simboleggiano la vita futura quando regneremo insieme col Signore. La vita raffigurata dalla quaresima, prima di Pasqua, è quella che viviamo adesso; la vita raffigurata dai cinquanta giorni che seguono la resurrezione del Signore non è quella che viviamo adesso ma quella che speriamo e, nella speranza, amiamo. Mentre la si ama, si loda Dio che ce l'ha promessa, e tali lodi costituiscono l'Alleluia”. (dal discorso 243 di sant’Agostino). “Ma voi sapete che l'importante per noi è fare il bene durante il periodo dei quaranta, in modo che nel periodo dei cinquanta possiamo lodare il Signore. Per questo celebriamo nella fatica, nel digiuno e nell'astinenza i quaranta giorni che precedono la veglia: essi simboleggiano il tempo presente. I giorni che decorrono dopo la resurrezione del Signore simboleggiano invece la gioia eterna. Non sono la gioia eterna ma la simboleggiano: si tratta di una rappresentazione misteriosa, fratelli, non ancora della realtà. Difatti, quando noi celebriamo la Pasqua non è che venga crocifisso il Signore, ma come simbolicamente celebriamo con ricordo annuale i fatti del passato così anche anticipiamo

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quelli dell'avvenire. Sta comunque il fatto che in questo tempo attenuiamo i digiuni: a significare che il numero di questi giorni ci rappresenta la pace che ha da venire. Badate, fratelli, che non vi succeda che, volendo celebrare questi giorni in maniera carnale, con indebito permissivismo e manica larga vi abbandoniate a ubriachezze smodate e così non meritiate di celebrare in eterno con gli angeli ciò che i giorni stessi simboleggiano. Poni che io debba rimproverare un ubriaco. Egli mi dirà: Tu stesso ci hai insegnato che questi giorni raffigurano la gioia eterna; tu ci hai lasciato intravvedere che questo tempo è il preannuncio del godimento che proveremo in cielo insieme con gli angeli. Non dovevo quindi passarmeli bene? Oh! bene sì, non male. Il periodo attuale ti rappresenta infatti la gioia eterna se sarai stato tempio di Dio. Se viceversa riempi questo tempio di Dio con la sporcizia dell'ubriachezza, dovranno risuonarti all'orecchio le parole dell'Apostolo: Chi violerà il tempio di Dio, Dio lo annienterà. Sia pertanto scolpito nel cuore della vostra Santità questo: è meglio un uomo che capisce poco ma vive bene anziché uno che capisce molto ma vive male”. (dal discorso 252 di sant’Agostino). Gli otto e i cinquanta giorni. L’antica tradizione cristiana, testimoniata in particolare da sant’Agostino, poneva in grande rilievo il significato teologico dei numeri 8 (7 + 1), e 50 (7x7 + 1) come annuncio del giorno eterno di Dio. Dal discorso 260/c sull’ottava di Pasqua: “Notate qui che, come nell'ottava dei sacramenti il giorno ottavo giunge dopo i sette, così accade nel sacramento della Pentecoste, che arriva dopo sette settimane che chiudiamo nel quarantanovesimo giorno. Anche lì si aggiunge un ottavo giorno per arrivare al numero completo di cinquanta: una unità nel numero minore e parimenti una unità nel numero maggiore. Ma, per quanto concerne l'eternità, di cui l'ottavo giorno è simbolo, non può né crescere né diminuire: è un oggi perpetuo, poiché non c'è tempo nuovo che subentri a quello che se ne va. Quell'oggi non inizia con la fine del giorno di ieri né termina quando inizierà il domani, ma è un oggi che rimane per sempre. Se ci sono stati tempi passati, essi son tutti passati senza che quel giorno passasse; e se verranno tempi futuri, verranno tutti senza che quel giorno inizi”. Dal discorso 259 sull’ottava di Pasqua: “È come quando adesso, passati sette giorni, si entra nell'ottavo che equivale al primo. Allo stesso modo, quando saranno passate e terminate le sette epoche in cui si snoda il tempo presente, destinato a passare, torneremo allo stato di immortalità e beatitudine da cui decadde l'uomo. Per questo nel giorno ottavo si dà compimento ai sacramenti conferiti agli infanti. E, riguardo al numero sette, se lo si moltiplica per sette si ha quarantanove: al quale numero se si aggiunge una unità si ottiene come un ritorno al punto di partenza e si ha cinquanta, numero che nel mistero noi celebriamo nei giorni da Pasqua a Pentecoste. Lo stesso risultato vien fuori se, pur con computo diverso, il numero quaranta viene diviso come sopra proponevamo, aggiungendo poi il numero dieci come simbolo della ricompensa. In questa maniera con ambedue i sistemi di computare si raggiunge sempre lo stesso numero cinquanta. Che se questo numero si moltiplica per tre - simbolo della Trinità - si ottiene centocinquanta. Se a questo numero si addiziona di nuovo il tre - a comprovare l'avvenuta moltiplicazione per tre e l'allusione alla Trinità - si giunge a comprendere come in quei centocinquantatré pesci sia stata prefigurata la Chiesa”.

Il tempo dell’Alleluia Caratteristica peculiare della liturgia pasquale, nei riti occidentali, è il canto frequente e ripetuto dell’ALLELUIA. HALLELUYA è la traslitterazione della parola ebraica !"#$%&'() che significa lodiamo Dio: hallelu + Ya, dove Ya è l’abbreviazione del Nome divino. Questa parola-acclamazione si trova frequentemente nel libro del salterio, in apertura o chiusura del salmo. Il Salmo 136 (eterna è la sua misericordia), si apre con questa acclamazione e nel suo sviluppo viene considerato come una esegesi spirituale dell’Alleluia, per questo viene spesso chiamato “il grande Hallel”. Esso veniva cantato dagli ebrei nella festa di Pasqua. Lo cantò anche Gesù con gli apostoli, dopo l’ultima cena (Mt 26,30).

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Ma soprattutto l’Alleluia si trova nel libro dell’Apocalisse: è l’acclamazione della folla immensa che canta l’inaugurazione del regno di Dio e l’imminenza delle nozze dell’Agnello, in contrapposizione al lamento terreno per la distruzione di Babilonia.

Dopo questo, udii come una voce potente di folla immensa nel cielo che diceva: "Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi. Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!". E per la seconda volta dissero: "Alleluia! Il suo fumo sale nei secoli dei secoli!". Allora i ventiquattro anziani e i quattro esseri viventi si prostrarono e adorarono Dio, seduto sul trono, dicendo: "Amen, alleluia". Dal trono venne una voce che diceva: "Lodate il nostro Dio, voi tutti, suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi!". Udii poi come una voce di una folla immensa, simile a fragore di grandi acque e a rombo di tuoni possenti, che gridavano: "Alleluia! Ha preso possesso del suo regno il Signore, il nostro Dio, l'Onnipotente. Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria, perché sono giunte le nozze dell'Agnello; la sua sposa è pronta: le fu data una veste di lino puro e splendente". La veste di lino sono le opere giuste dei santi (Ap 19,1-8).

L’Alleluia entrò molto presto nel culto cristiano, tanto in oriente, quanto in occidente. sant’Agostino è testimone dell’uso di cantarlo nei 50 giorni di Pasqua, che venivano chiamati anche “tempo dell’Alleluia”. Per il suo carattere pasquale, veniva si iniziò a cantarlo anche nei riti funebri: così ancora oggi nel rito bizantino e nel rito mozarabico. Nel rito bizantino, l’alleluia ritorna oltre che come acclamazione al Vangelo, anche nel “Cherubikon”, un inno molto solenne che introduce la presentazione dei doni all’altare e nel quale si esprime la consapevolezza della partecipazione alla Liturgia celeste:

“Noi che misticamente raffiguriamo i Cherubini e alla Trinità vivificante cantiamo l'inno trisagion, deponiamo ogni mondana preoccupazione per accogliere il Re dell'universo, invisibilmente scortato dalle schiere angeliche. Alleluia. Alleluia. Alleluia”.

Nel rito romano, San Damaso lo prescrisse da Pasqua a Pentecoste, mentre San Gregorio Magno lo estese l’alleluia a tutto l’anno, ma questa norma non venne seguita dappertutto. Sarà papa Alessandro II nel 1061 a codificare l’omissione dell’Alleluia a partire dalla settuagesima, fino alla notte pasquale. Ancora oggi, le chiese latine omettono totalmente l’alleluia durante la quaresima. Il modo di cantare l’Alleluia e la sequenza In epoca patristica, questo canto prevedeva la ripetizione per tre volte dell’alleluia, con numerose modulazioni sulle vocali: dopo il terzo alleluia era presente lo “jubilus”, un vocalizzo prolungato sull’ultima sillaba (ya) che contiene il Nome divino. Notker Balbulus (840-912) nel suo Liber hymnorum (raccolta di sequenze) racconta che i suoi monaci di san Gallo, per meglio ricordare le lunghissime melodie senza testo proprie degli alleluia gregoriani, avevano preso l'abitudine di inserire un testo (prosa) alla melodia, trasformandola in canto sillabico. Questi canti vennero in seguito inseriti nella liturgia della Messa, trovando la loro naturale collocazione dopo il canto dell'alleluia, prolungandone lo jubilus5. Il significato spirituale dell’Alleluia Dimensione pasquale, suggerita dal Salterio, e dimensione escatolica, suggerita dall’Apocalisse: il canto dell’Alleluia costituisce una mirabile sintesi della fede professata, celebrata e vissuta.

Dal discorso 256 “sull’Alleluia nei giorni di Pasqua” di ant’Agostino. “Cantiamo Alleluia anche adesso, sebbene in mezzo a pericoli e a prove che ci provengono e dagli altri e da noi stessi. … Oh felice Alleluia, quello di lassù! Alleluia pronunciato in piena tranquillità,

5 Il numero delle sequenze crebbe rapidamente e costituirono la base di numerosi canti sacri popolari in lingua volgare. Tra le molte sequenze esistenti, nel Messale di San Pio V del 1570 ne rimasero solo 4 (Pasqua, Pentecoste, Corpus Domini, e Messe dei defunti). Il Messale del 1970 prevede come obbligatorie solo le sequenze di Pasqua (Victime paschali) e Pentecoste (Veni Sancte Spiritus), mentre sono facoltative quelle del Corpus Domini (Lauda Sion) e dell’Addolorata (Stabat Mater). È stato abolito il Dies Irae della Messa dei defunti.

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senza alcun avversario! Lassù non ci saranno nemici, non si temerà la perdita degli amici. Qui e lassù si cantano le lodi di Dio, ma qui da gente angustiata, lassù da gente libera da ogni turbamento; qui da gente che avanza verso la morte, lassù da gente viva per l'eternità; qui nella speranza, lassù nel reale possesso; qui in via, lassù in patria. Cantiamolo dunque adesso, fratelli miei, non per esprimere il gaudio del riposo ma per procurarci un sollievo nella fatica. Come sogliono cantare i viandanti, canta ma cammina; cantando consolati della fatica, ma non amare la pigrizia. Canta e cammina! Cosa vuol dire: cammina? Avanza, avanza nel bene, poiché, al dire dell'Apostolo ci sono certuni che progrediscono in peggio. Se tu progredisci, cammini; ma devi progredire nel bene, nella retta fede, nella buona condotta. Canta e cammina! Non uscire di strada, non volgerti indietro, non fermarti! Rivolti al Signore”.

Dal discorso 246 di sant’Agostino “Cosa significa infatti Alleluia? È un vocabolo ebraico Alleluia, e significa "Lodate Dio". Alleluia vuol dire: lodate, Ia vuol dire: Dio. Ogni volta che echeggia tra noi l'Alleluia, cioè: lodate Dio, ci sproniamo a lodare Dio. Con la concordia del cuore, che supera quella delle corde di una cetra, innalziamo lodi a Dio, cantiamo Alleluia. Terminato il canto, essendo deboli ci allontaniamo per rifocillare il corpo. Perché lo ristoriamo se non perché ci sentiamo venir meno? Ma c'è di peggio. È tale e tanta la fragilità della carne, tanti i fastidi che ci causa la vita presente, che tutte le cose, anche le più importanti, ci vengono a noia. Adesso che questi giorni stanno volgendo al termine, come abbiamo desiderato che tornassero da qui a un anno! e con quanta avidità siamo tornati a loro durante questo intervallo! Eppure, se ci si dicesse: Acclamate dicendo Alleluia senza interruzione, addurremmo delle scuse. Perché tali scuse? Perché per la stanchezza non potremmo perseverare, perché anche fare il bene ci darebbe fastidio e stancherebbe. Lassù, al contrario, non si viene mai meno, non ci si stanca mai. State dunque in piedi e lodate6, voi che abitate nella casa del Signore, negli atri della casa del nostro Dio. Perché cercare quali saranno le tue occupazioni lassù? Dice: Beati coloro che abitano nella tua casa, Signore! Ti loderanno nei secoli dei secoli”. Dal discorso 252 di sant’Agostino “Non è infatti senza motivo, miei fratelli, che la Chiesa conserva la consuetudine, tramandataci dagli antichi, di far ripetere in questi cinquanta giorni l'Alleluia. Che se questo Alleluia significa "lode a Dio", viene con ciò indicata a noi, ora nell'affanno, la condizione di quando saremo nella pace. Quando infatti sarà terminato il nostro affanno di adesso e noi avremo raggiunto quella pace, la nostra unica occupazione sarà la lode di Dio: lassù non faremo altro se non dire: Alleluia. Che vuol dire: Alleluia? Lodate Dio. Ebbene, chi, se non gli angeli, potrà lodare Dio senza esaurirsi? Gli angeli non hanno né fame, né sete, non sono soggetti né a malattia né a morte. Quanto a noi, invece, è vero che abbiamo detto: Alleluia, che l'abbiamo cantato anche stamani in questa basilica; e anche poco fa, dopo che ci eravamo radunati, abbiamo detto: Alleluia. Ci ha raggiunto una specie di olezzo della lode divina e della quiete celeste; ma in proporzione maggiore è ancora la mortalità a schiacciarci. Ci stanchiamo a parlare e vogliamo dare ristoro alle nostre membra; e anche se ripetiamo in maniera prolungata l'Alleluia, la stessa lode di Dio ci viene resa pesante dalla materialità del nostro corpo. La pienezza dell'Alleluia con esclusione di ogni limite l'avremo alla fine del tempo presente, quando saranno cessati i travagli. Cosa dire quindi, o fratelli? Cantiamo adesso l'Alleluia come meglio possiamo, per meritare di poterlo cantare ininterrottamente. Lassù l'Alleluia sarà nostro cibo e nostra bevanda; sarà l'Alleluia l'impegno della quiete, tutta la gioia sarà l'Alleluia, cioè la lode di Dio. Chi infatti è in grado di lodare qualcosa senza stancarsi se non chi ne gode senza alcuna noia? Orbene, di quanta forza non sarà dotata allora la nostra mente, di quanta stabilità non sarà dotato il nostro corpo, divenuto immortale, se né la mente verrà meno nel contemplare Dio dov'è immersa, né le membra si afflosceranno nell'impegno, che sarà ininterrotto, di lodare Dio?”.

“Ci si stanca a cantare Alleluia” (Dal discorso 229/B) “Quando tutti i santi saranno radunati insieme, quando s'incontreranno tanti che non si conoscevano, si ritroveranno tanti che si conoscevano, e staranno talmente al sicuro che mai si perderà un amico, mai si avrà a temere un nemico? Ecco, noi diciamo: Alleluia; è bello, è lieto, è pieno di gioia, di giocondità, di soavità. Eppure, se lo dicessimo sempre, ci stancheremmo. Siccome però ritorna in un

6 Allusione alla pratica di pregare in posizione eretta durante i giorni pasquali.

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preciso tempo dell'anno, con quanta gioia arriva, con quanta nostalgia se ne va! Forse anche lassù uguale sarà la gioia e uguale la stanchezza? No, non sarà così. Qualcuno forse dirà: Ma come è possibile che sia sempre così e non ci si stanchi mai? Se io ti saprò indicare qualcosa in questa vita di cui non ci si può stancare, dovrai credere che lassù tutto sarà così. Ci si stanca del cibo, ci si stanca del bere, ci si stanca degli spettacoli, ci si stanca di questo e di quell'altro; ma della salute non ci si stanca mai. Come dunque quaggiù, in questo morire della carne, in questa fragilità, in questo fastidio per il peso del corpo mai ci può essere stanchezza della salute, così lassù mai ci sarà stanchezza della carità, dell'immortalità, dell'eternità”.

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La liturgia del Tempo di Pasqua

Tra visione unitaria del mistero e cronologia Come abbiamo già più volte sottolineato il mistero pasquale ha un carattere profondamente unitario: ogni singola parte richiama e contiene l’altra. Questo vale in particolare per i misteri della risurrezione. Per comprendere meglio, possiamo utilizzare come riferimento la narrazione di due evangelisti, che riportamo in maniera molto schematica: - San Luca, che è molto interessato al senso teologico della storia come luogo della rivelazione,

negli Atti degli Apostoli dispone il racconto dei misteri all’interno di una precisa cronologia: la risurrezione al mattino di Pasqua, l’Ascensione al quarantesimo giorno, l’effusione dello Spirito nel giorno cinquantesimo (Pentecoste)7.

- San Giovanni, che offre una lettura più mistica e teologica degli eventi, sottolinea il senso unitario di tutti i singoli aspetti: già nella passione di Cristo, Giovanni individua la sua esaltazione, il dono dello Spirito e la nascita della Chiesa. Nei racconti della risurrezione possiamo leggere insieme anche la glorificazione celeste del Signore e il dono dello Spirito Santo. Non per niente, il Vangelo di Pentecoste (Gv 20), ricorda come Gesù alitò lo Spirito sui discepoli la sera stessa di Pasqua, e in quella stessa sera li inviò nel mondo.

Queste due dimensioni dunque, sono indispensabili per comprendere il senso e il modo della celebrazione liturgica della Pasqua: da una parte l’aspetto cronologico/narrativo, dall’altra parte quello teologico/ontologico, che enfatizza maggiormente l’unità del mistero e il significato del passaggio di Cristo (e della Chiesa) nelle dimensioni dell’essere, dalla vita mortale alla gloria di Dio. Così, mentre la Liturgia vive le tappe della domenica di Risurrezione, dell’ottava di Pasqua, della Ascensione e della Pentecoste, non dobbiamo mai considerare queste celebrazioni come ricorrenze a se stanti, ma come espressioni diverse dell’unico mistero: la Pentecoste, ad es., non è la festa dello Spirito Santo, ma è la Pasqua di Cristo, che fiorisce nella Chiesa, alla quale il risorto comunica il suo Spirito. Le prime testimonianze storiche attestano che oggetto della celebrazione pasquale dei cinquanta giorni era tutto il complesso della esaltazione di Cristo nel dono dello Spirito Santo: fu in un secondo tempo, ma già verso la fine del IV secolo, che avviene una specificazione dei singoli aspetti e una amplificazione cronologica del mistero della salvezza. Ancora la pellegrina Egeria di Gerusalemme e san Girolamo, testimoniano che a Gerusalemme il contenuto della festa del cinquantesimo giorno (Pentecoste) erano tanto l’ascensione al cielo di Gesù che l’invio dello Spirito Santo: la profonda connessione dell’uno e dell’altro mistero sono sottolineati anche dal racconto storicizzante degli Atti. Lo sviluppo storico: Ascensione e Pentecoste La solennità dell’Ascensione, nel 40.mo giorno dalla risurrezione, venne istituita già verso la fine del IV secolo, quando si sentì il bisogno di disporre in una cronologia la contemplazione e la celebrazione del poliedrico mistero pasquale. Affermatasi inizialmente con fatica (poiché non cadeva di domenica), questa festa venne a costituire quasi lo spartiacque del tempo di Pasqua e a spezzare l’originaria cinquantina. Il Messale di San Pio V, codificò l’uso di spegnere il cero pasquale dopo la lettura del Vangelo, segnando, quasi la fine del Tempo di Pasqua. Ancora oggi, nel rito bizantino, terminata la divina Liturgia dell’Ascensione, la comunità si sofferma in preghiera sostando in ginocchio, cioè nella posizione che indica tipicamente la conclusione della gioia pasquale.

7 Si può notare ancora che anche Luca, nel Vangelo, pare collocare l’ascensione, cronologicamente nella sera stessa di Pasqua, dopo la manifestazione agli apostoli (Lc 24,50).

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Con la riforma liturgica è stato felicimente soppresso tanto il “Tempo dell’Ascensione”, quanto la pur antica “ottava di Pentecoste” che seguiva la solennità del 50mo giorno; la domenica che intercorre tra Ascensione e Pentecoste (che oggi purtroppo non si celebra in Italia, a causa del trasferimento della festa) ha preso il titolo di Settima domenica di Pasqua. Si è così ricomposta l’unità e la peculiarità della cinquantina pasquale, anche se – da un punto di vista pastorale – resta ancora molto da fare: tra le devozioni del mese di maggio, le sagre paesane e le gite di primavera, i fedeli ancora non arrivano a percepire la peculiarità di questo tempo.

Elementi celebrativi

ALLELUIA: Abbiamo già accennato al canto dell’ALLELUIA, come elemento caratterizzante della Liturgia dei 50 giorni pasquali. Oltre alla sua ricomparsa come Canto al Vangelo, lo troviamo sempre nelle antifone di Ingresso e di Comunione (per coerenza, il canto che eventualmente le sostituisce, lo deve sempre contenere). Nella liturgia della Parola, inoltre, è sempre possibile sostituire con il triplice alleluia il ritornello del salmo responsoriale. In questo caso, nella messa feriale, si puà omettere il canto al Vangelo. Il duplice alleluia è anche presente nel congedo della Messa e della Liturgia delle ore, nell’ottava di Pasqua e nella solennità di Pentecoste. Nella Liturgia delle Ore, l’alleluia è presente praticamente in ogni antifona, fino a diventare esso stesso l’antifona della salmodia delle ore minori (ora media e compieta). Nella notte di Pasqua, il canto viene reintrodotto con molta solennità: spetta infatti direttamente al celebrante il compito di intonarlo 3 volte, alzando ogni volta il tono. Nella Liturgia episcopale, il diacono (cui spetterà il compito di proclamare l’annuncio angelico con la lettura del vangelo), annuncia sommessamente l’Alleluia al Vescovo, il quale poi lo intona solennemente.

Dal Cerimoniale dei Vescovi 352. Terminata l’epistola, secondo l’opportunità e secondo la consuetudine del luogo, uno dei diaconi o il lettore si avvicina al vescovo e gli dice: Reverendissimo Padre, vi annunzio una grande gioia, che è “alleluia”. Dopo questo annunzio oppure, se esso non ha luogo, immediatamente dopo, l’epistola, tutti si alzano. Il vescovo, in piedi senza mitra, intona solennemente l’Alleluia, aiutato, se è necessario, da uno dei diaconi o dei concelebranti. Lo canta tre volte elevando gradualmente il tono della voce: il popolo dopo ogni volta lo ripete nel medesimo tono. Quindi il salmista o il lettore proclama il salmo, a cui il popolo risponde con l’Alleluia.

LETTURE BIBLICHE: Poichè la Pasqua segna il compimento della rivelazione, durante questo tempo liturgico le letture bibliche, sia nella Messa che nella Liturgia delle Ore, sono tratte dal NUOVO TESTAMENTO. In particolare sono ampio oggetto di lettura gli Atti degli Apostoli e l’Apocalisse di Giovanni. Nell’ufficio delle letture, si trovano anche le lettere di Giovanni. Occorre tenere presente questo principio nella scelta di brani da leggere in occasione di momenti di preghiera, o nelle feste dei santi, quando bisogna prendere le letture dai Comuni. IL CERO PASQUALE: Dal Cerimoniale dei Vescovi: “Il cero pasquale si accende in tutte le celebrazioni liturgiche più solenni di questo tempo, sia alla messa, sia alle lodi e ai vespri. Dopo il giorno di Pentecoste, il cero pasquale è conservato con il debito onore nel battistero. Alla fiamma del cero si accendono, nella celebrazione del battesimo, le candele dei neo-battezzati. Durante tutto il tempo pasquale, per conferire il battesimo si adopera l’acqua benedetta nella notte pasquale” (n. 372). LA MEMORIA DEI SANTI: Dopo l’ottava di Pasqua, riprende la possibilità di celebrare le memorie e le feste dei Santi. Queste però assumono una coloritura particolare: nelle antifone e nei canti della Messa si aggiunge sempre l’Alleluia. Le memorie degli Apostoli e dei Martiri assumono una coloritura particolare, con testi propri per il tempo pasquale. Anche il Comune della Beata Vergine Maria ha testi propri per il tempo pasquale, prima e dopo l’Ascensione.

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LE CELEBRAZIONI ESEQUIALI: La celebrazione della Messa e dei riti esequiali prevede testi propri, che mettono maggiormente in evidenza la speranza pasquale. Sono previste letture proprie. DAL DIRETTORIO SU PIETÀ POPOLARE E LITURGIA Nel Tempo Pasquale La benedizione annuale delle famiglie nelle loro case 152. Durante il tempo pasquale - o in altri periodi dell’anno – si svolge l’annuale benedizione delle famiglie, visitate nelle loro case. Raccomandata alla cura pastorale dei parroci e dei loro collaboratori, questa consuetudine molto sentita dai fedeli è una preziosa occasione per far risonare nelle famiglie cristiane il ricordo della costante presenza benedicente di Dio, l’invito a vivere in conformità al Vangelo, l’esortazione a genitori e figli di custodire e promuovere il mistero del loro essere “chiesa domestica”8. La «Via lucis» 153. In tempi recenti, in varie regioni, si è venuto diffondendo un pio esercizio denominato Via lucis. In esso, a guisa di quanto avviene nella Via Crucis, i fedeli, percorrendo un cammino, considerano le varie apparizioni in cui Gesù – dalla Risurrezione all’Ascensione, in prospettiva della Parusia – manifestò la sua gloria ai discepoli in attesa dello Spirito promesso (cf. Gv 14, 26; 16, 13-15; Lc 24, 49), ne confortò la fede, portò a compimento gli insegnamenti sul Regno, definì ulteriormente la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa. Attraverso il pio esercizio della Via lucis, i fedeli ricordano l’evento centrale della fede – la Risurrezione di Cristo – e la loro condizione di discepoli che nel Battesimo, sacramento pasquale, sono passati dalle tenebre del peccato alla luce della grazia (cf. Col 1, 13; Ef 5, 8). Per secoli la Via Crucis ha mediato la partecipazione dei fedeli al primo momento dell’evento pasquale – la Passione – e ha contribuito a fissarne i contenuti nella coscienza del popolo. Analogamente, nel nostro tempo, la Via lucis, a condizione che si svolga con fedeltà al testo evangelico, può mediare efficacemente la comprensione vitale dei fedeli del secondo momento della Pasqua del Signore, la Risurrezione. La Via lucis può divenire altresì un’ottima pedagogia della fede, perché, come si dice, «per crucem ad lucem». Infatti con la metafora del cammino, la Via lucis conduce dalla constatazione della realtà del dolore, che nel disegno di Dio non costituisce l’approdo della vita, alla speranza del raggiungimento della vera meta dell’uomo: la liberazione, la gioia, la pace, che sono valori essenzialmente pasquali. La Via lucis, infine, in una società che spesso reca l’impronta della “cultura della morte”, con le sue espressioni di angoscia e di annientamento, è uno stimolo per instaurare una “cultura della vita”, una cultura cioè aperta alle attese della speranza e alle certezze della fede. Il «Regina cæli» 196. Nel tempo pasquale, per disposizione di papa Benedetto XIV (20 aprile 1742), al posto dell’Angelus Domini si recita la celebre antifona Regina cæli. Essa, risalente probabilmente al secolo X-XI9, congiunge felicemente il mistero dell’incarnazione del Verbo (Cristo, che hai portato nel grembo) con l’evento pasquale (è risorto, come aveva promesso), mentre l’”invito alla gioia” (Rallegrati), che la comunità ecclesiale rivolge alla Madre per la risurrezione del Figlio, si ricollega e dipende dall’”invito alla gioia” («Rallegrati, piena di grazia»: Lc 1, 28), che Gabriele rivolse all’umile Serva del Signore, chiamata ad essere la madre del Messia salvatore. A guisa di quanto è stato suggerito per l’Angelus, sarà conveniente talvolta solennizzare il Regina cæli oltre che con il canto dell’antifona, con la proclamazione del vangelo della Risurrezione. Il mese di maggio Diventa sempre più urgente una attenta riflessione pastorale sulla sovrapposizione del Tempo di Pasqua con la pratica devozionale del “mese mariano”. Al riguardo è molto illuminante un passaggio del Direttorio su pietà popolare e Liturgia: I «mesi mariani» 190. Relativamente alla pratica di un “mese mariano”, diffusa in varie Chiese sia dell’Oriente sia dell’Occidente10, si possono richiamare alcuni orientamenti essenziali11.

8 (Cf. RITUALE ROMANUM, De Benedictionibus, Ordo benedictionis annuae familiarum in propris domibus, 68-89) !"L’antifona è attestata nell’Antifonario (secolo XII) dell’Abbazia di san Lupo di Benevento. Cf. R. J. HESBERT (ed.), Corpus Antiphonalium Officii, vol. II, Herder, Roma 1965, pp. xx-xxiv; vol. III, Herder, Roma 1968, p. 440."10 Nel rito bizantino il mese di agosto, la cui liturgia è centrata sulla solennità della Dormizione di Maria (15 di agosto), costituisce, fin dal secolo XIII, un vero “mese mariano”; nel rito copto il “mese mariano” coincide sostanzialmente con il mese di kiahk (dicembre-gennaio) ed è strutturato liturgicamente intorno al Natale. In Occidente le prime testimonianze del mese di maggio dedicato alla Vergine, si hanno verso la fine del secolo XVI. Nel secolo XVIII il mese mariano, nel senso moderno dell’espressione, è già ben attestato; ma si tratta di un’epoca in cui i pastori

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In Occidente i mesi dedicati alla Vergine, sorti in un’epoca in cui si faceva scarso riferimento alla Liturgia come a forma normativa del culto cristiano, si sono sviluppati parallelamente al culto liturgico. Ciò ha posto e pone tuttora alcuni problemi di indole liturgico-pastorale che meritano un'accurata valutazione. 191. Limitatamente alla consuetudine occidentale di celebrare un “mese mariano” in maggio (in novembre, in alcuni paesi dell’emisfero australe), sarà opportuno tenere conto delle esigenze della Liturgia, delle attese dei fedeli, della loro maturazione nella fede, e studiare la problematica posta dai “mesi mariani” nell’ambito della “pastorale d’insieme” della Chiesa locale, evitando situazioni di contrasto pastorale che disorientano i fedeli, come accadrebbe, ad esempio, se si spingesse per abolire il “mese di maggio”. In molti casi la soluzione più opportuna sarà quella di armonizzare i contenuti del “mese mariano” con il concomitante tempo dell’Anno liturgico. Così, ad esempio, durante il mese di maggio, che in gran parte coincide con i cinquanta giorni della Pasqua, i pii esercizi dovranno mettere in luce la partecipazione della Vergine al mistero pasquale (cf. Gv, 19, 25-27) e all’evento pentecostale (cf. At 1, 14), che inaugura il cammino della Chiesa: un cammino che essa, divenuta partecipe della novità del Risorto, percorre sotto la guida dello Spirito. E poiché i “cinquanta giorni” sono il tempo proprio per la celebrazione e la mistagogia dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, i pii esercizi del mese di maggio potranno utilmente dar rilievo alla funzione che la Vergine, glorificata in cielo, svolge sulla terra, “qui e ora”, nella celebrazione dei sacramenti del Battesimo, della Confermazione e dell’Eucaristia12. In ogni caso dovrà essere diligentemente seguita la direttiva della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla necessità che «l’animo dei fedeli sia indirizzato prima di tutto verso le feste del Signore, nelle quali, durante il corso dell’anno, si celebrano i misteri della salvezza»13, ai quali, certo, è stata associata la beata Vergine Maria. Un’opportuna catechesi convincerà i fedeli che la domenica, memoria ebdomadaria della Pasqua, è «il giorno di festa primordiale». Infine, tenendo presente che nella Liturgia Romana le quattro settimane di Avvento costituiscono un tempo mariano armonicamente inserito nell’Anno liturgico, si dovranno aiutare i fedeli a valorizzare convenientemente i numerosi riferimenti alla Madre del Signore offerti da questo intero periodo.

L’ottava di Pasqua Con la celebrazione della domenica di Risurrezione e dell’ottava di Pasqua, la Chiesa esprime in particolare questa consapevolezza che la Pasqua non è una ricorrenza tra le altre, ma un mistero che si dilata nel tempo e si apre all’eternità. La domenica di Risurrezione e la domenica dell’ottava di Pasqua sono il prototipo del Giorno del Signore, memoria, presenza e profezia della risurrezione di Cristo e della Chiesa14. Anticamente questo periodo veniva chiamato “settimana dei sacramenti”, perché durante questi giorni veniva spiegato ai neofiti il significato dei sacramenti che avevano ricevuto nella notte di Pasqua. Questa infatti era la prassi antica: prima si riceveva la grazia del sacramento, poi, con il sostegno della luce divina, la Chiesa ne svelava il significato. La liturgia mostra ancora oggi questa attenzione verso i neofiti, che vengono commemorati nella preghiera eucaristica. La dimensione battesimale è molto presente anche nelle orazioni di questi giorni. Il rito ambrosiano prevede ancora, per ognuno di questi giorni, anche una “messa per i battezzati”, testimonianza dell’antica prassi di celebrare l’eucaristia ogni giorni con i rinati a vita nuova. Nell’antichità l’ottava di Pasqua concludeva anche l’itinerario delle stazioni romane che aveva caratterizzato tutta la Quaresima, con quotidiane processioni da una Chiesa ad un'altra. L’ultima stazione, nel sabato, poi nella domenica dell’ottava, avveniva nella Chiesa di San Pancrazio, sul Gianicolo: il giovane che subì il martirio sotto Diocleziano, è venerato come protettore e custode

incentrano la loro azione apostolica – tranne che per la Penitenza ed il sacrificio eucaristico – non tanto sulla liturgia quanto sui pii esercizi, e verso di essi convogliano di preferenza i fedeli. 11 Cf. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Lettera circolare Orientamenti e proposte per la celebrazione dell’Anno mariano, 64-65. #$"%&'"()*+,&"-,.-*(/-0,-"1+"2('-("&"-"1(*'(3&,4-".&))5-,-/-(/-0,&"*'-14-(,(6"*78"!"!#$"$9:9#8"#9";<"#=>8"14 Abbiamo ampiamente trattato questo tema nel precedente incontro dedicato al Giorno del Signore. In particolare la seconda domenica di Pasqua dovrebbe essere l’occasione di un annuncio forte della novità cristiana della domenica, come giorno di Cristo e della Chiesa. Il Vangelo della incredulità di Tommaso infatti, ponendo in relazione la domenica della risurrezione e quella successiva, costituisce il fondamento teologico della domenica cristiana.

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dei giuramenti e delle promesse. Sulla sua tomba, i neofiti rinnovavano la loro professione di fede e deponevano le albe battesimali. Il 5 maggio del 2000, con un decreto della Congregazione per il Culto divino, il servo di Dio Giovanni Paolo II dispose che alla seconda domenica di Pasqua venisse aggiunto il titolo “DELLA DIVINA MISERICORDIA”, senza alcun mutamento nei testi liturgici15. La Liturgia della Parola dei giorni dell’ottava è caratterizzata dall’inizio della lettura degli Atti degli Apostoli, che proseguirà fino a Pentecoste; mentre le pagine evangeliche riportano tutte le memorie delle manifestazioni del Signore risorto. La celebrazione è sempre festiva: è previsto il Gloria e la sequenza di Pasqua. Nella Liturgia delle Ore, si ripetono sempre a Lodi e a Vespro i salmi del giorno di Pasqua. DAL DIRETTORIO SU PIETÀ POPOLARE E LITURGIA La devozione alla divina misericordia 154. Connessa con l’ottava di Pasqua, in tempi recenti e a seguito dei messaggi della religiosa Faustina Kowalska, canonizzata il 30 aprile 2000, si è progressivamente diffusa una particolare devozione alla misericordia divina elargita da Cristo morto e risorto, fonte dello Spirito che perdona il peccato e restituisce la gioia di essere salvati. Poiché la Liturgia della “Domenica II di Pasqua o della divina misericordia” – come viene ora chiamata16 – costituisce l’alveo naturale in cui esprimere l’accoglienza della misericordia del Redentore dell’uomo, si educhino i fedeli a comprendere tale devozione alla luce delle celebrazioni liturgiche di questi giorni di Pasqua. Infatti, «il Cristo pasquale è l’incarnazione definitiva della misericordia, il suo segno vivente: storico-salvifico e insieme escatologico. Nel medesimo spirito, la Liturgia del tempo pasquale pone sulle nostre labbra le parole del salmo: “Canterò in eterno le misericordie del Signore” (Sal 89 [88], 2)».17

Anno A Anno B Anno C Pasqua di Risurrezione: At 10, 34a. 37-43 Noi abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. Sal 117 Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo. Col 3, 1-4 Cercate le cose di lassù, dove è Cristo. oppure 1Cor 5, 6b-8 Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova. SEQUENZA: Alla vittima pasquale, s'innalzi oggi il sacrificio di lode. L'agnello ha redento il suo gregge, l'Innocente ha riconciliato noi peccatori col Padre. Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. «Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?». «La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto, e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti. Cristo, mia speranza, è risorto; e vi precede in Galilea». Sì, ne siamo certi: Cristo è davvero risorto. Tu, Re vittorioso, portaci la tua salvezza. Gv 20, 1-9 Egli doveva risuscitare dai morti. oppure alla sera Lc 24,13-35 Resta con noi perché si fa sera. oppure Mt 28,1-10 E' risorto e vi

precede in Galilea. Mc 16,1-7 Gesù Nazareno, il crocifisso, è risorto.

Lc 24,1-12 Perché cercate tra i morti colui che è vivo?

15 DECRETO DELLA CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO: Pietà e tenerezza è il Signore (Sal 111, 4), il quale per il grande amore con il quale ci ha amati (Ef 2,4), ci ha donato con indicibile bontà il suo unico Figlio, nostro Redentore, affinché attraverso la sua morte e risurrezione aprisse al genere umano le porte della vita eterna, e affinché, accogliendo la sua misericordia dentro il suo tempio, i figli dell’adozione esaltassero la sua gloria fino ai confini della terra. Ai nostri giorni i fedeli di molte regioni della terra, nel culto divino e soprattutto nella celebrazione del mistero pasquale, nel quale l’amore di Dio verso tutti gli uomini risplende in massima misura, desiderano esaltare quella misericordia. Accogliendo tali desideri, il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha benignamente disposto che nel Messale Romano d’ora innanzi al titolo della II Domenica di Pasqua sia aggiunta la dizione « o della Divina Misericordia », prescrivendo anche che, per quanto concerne la celebrazione liturgica della stessa Domenica, siano da adoperare sempre i testi che per quel giorno si trovano nello stesso Messale e nella Liturgia delle Ore di Rito Romano. 16 Cf. Notificazione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti (5.5.2000): cf. L’Osservatore Romano 24 maggio 2000, p. 4. 17 GIOVANNI PAOLO II, Lettera enciclica Dives in misericordia, 8.

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Lunedì dell’Ottava: At 2, 14. 22-32 Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato e noi tutti ne siamo testimoni. Sal 15 Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio. Mt 28, 8-15 Andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno Martedì dell’Ottava: At 2, 36-41 Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo. Sal 32 Dell’amore del Signore è piena la terra. Gv 20, 11-18 Ho visto il Signore e mi ha detto queste cose Mercoledì dell’Ottava: At 3, 1-10 Quello che ho te lo do: nel nome di Gesù, àlzati e cammina! Sal 104 Gioisca il cuore di chi cerca il Signore. Lc 24, 13-35 Riconobbero Gesù nello spezzare il pane Giovedì dell’Ottava: At 3, 11-26 Avete ucciso l'amore della vita, ma Dio l'ha risuscitato dai morti Sal 8 O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Lc 24, 35-48 Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno Venerdì dell’Ottava: At 4, 1-12 In nessun altro c’è salvezza Sal 117 La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo Gv 21 1-14 Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce Sabato dell’Ottava: At 4, 13-21 Non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato Sal 117 Ti rendo grazie, Signore, perché mi hai risposto Mc 16, 9-15 Andate in tutto il mondo e proclamate il vangelo Seconda Domenica di Pasqua: L’OTTAVO GIORNO

At 2,42-47 [Quelli che erano stati battezzati] erano perseveranti nell’insegna-mento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere. Sal 117 Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre. 1 Pt 1, 3-9 Ci ha rigenerati per una speranza viva, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti.

At 4, 32-35 Un cuore solo e un'anima sola. Sal 117 Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre. 1 Gv 5, 1-6 Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo.

At 5, 12-16 Venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne. Sal 117 Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre. Ap 1, 9-11.12-13.17.19 Ero morto, ma ora vivo per sempre.

SEQUENZA (Facoltativa) - Gv 20, 19-31 Otto giorni dopo venne Gesù.

Le Domeniche di Pasqua Per le domeniche di questo periodo, in occasione della riforma liturgica, si è individuata una felice intitolazione: seconda, terza, … domenica di Pasqua. Nel Messale precedente queste domeniche venivano celebrate come prima domenica dopo Pasqua, ecc. La nuova denominazione, peraltro inedita nella storia della Liturgia, ha il pregio di ricordare che non esiste un “dopo Pasqua”, ma che la Pasqua è la dimensione costitutiva della Chiesa e che ogni domenica è Pasqua settimanale. Nei tre cicli annuali, le domeniche ripresentano i grandi temi della vita cristiana: l’incontro con il risorto, la rivelazione del mistero trinitario, il mistero della Chiesa, il dono dello Spirito Paraclito.

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Anno A Anno B Anno C Terza Domenica di Pasqua: LE APPARIZIONI DEL RISORTO

At 2, 14a. 22-33 Non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere. Sal 15 Mostraci, Signore, il sentiero della vita. 1 Pt 1, 17-21 Foste liberati con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia. Lc 24, 13-35 Lo riconobbero nello spezzare il pane.

At 3,13-15.17-19 Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti. Sal 4 Risplenda su di noi, Signore, la luce del tuo volto. 1Gv 2,1-5 Gesù Cristo è vittima di espiazione per i nostri peccati e per quelli di tutto il mondo. Lc 24,35-48 Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno.

At 5, 27b-32. 40b-41 Di questi fatti siamo testimoni noi lo Spirito Santo. Sal 29 Ti esalterò, Signore, perché mi hai risollevato. Ap 5, 11-14 L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza. Gv 21, 1-19 Viene Gesù, prende il pane e lo dà loro, così pure il pesce.

Quarta Domenica di Pasqua: IL PASTORE E IL GREGGE

At 2, 14a.36-41 Dio lo ha costituito Signore e Cristo. Sal 22 Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. 1 Pt 2, 20b-25 Siete tornati al pastore delle vostre anime. Gv 10, 1-10 Io sono la porta delle pecore.

At 4, 8-12 In nessun altro c’è salvezza. Sal 117 La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo. 1 Gv 3,1-2 Vedremo Dio così come egli è. Gv 10, 11-18 Il buon pastore dà la vita per le pecore.

At 13, 14. 43-52 Ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani. Sal 99 Noi siamo suo popolo, gregge che egli guida. Ap 7, 9. 14-17 L'Agnello sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita Gv 10, 27-30 Alle mie pecore io do la vita eterna.

Quinta Domenica di Pasqua: RIVELAZIONE TRINITARIA

At 6, 1-7 Scelsero sette uomini pieni di Spirito Santo. Sal 32 Il tuo amore, Signore, sia su di noi: in te speriamo. 1 Pt 2, 4-9 Voi stirpe eletta, sacerdozio regale. Gv 14, 1-12 Io sono la via , la verità e la vita.

At 9, 26-31 Bàrnaba raccontò agli apostoli come durante il viaggio Paolo aveva visto il Signore. Sal 21 A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea. 1 Gv 3, 18-24 Questo è il suo comandamento: che crediamo e ci amiamo. Gv 15, 1-8 Chi rimane in me ed io in lui fa molto frutto.

At 14, 21b-27 Riferirono alla comunità tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro. Sal 144 Benedirò il tuo nome per sempre, Signore Ap 21, 1-5 Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi Gv 13, 31-33a. 34-35 Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni agli altri

Sesta Domenica di Pasqua: LA PROMESSA DEL PARACLITO

At 15, 1-2. 22-29 È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie. Sal 66 Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ap 21, 10-14. 22-23 L'Angelo mi mostrò la città santa che scende dal cielo. Gv 14, 23-29 Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

At 10, 25-27. 34-35. 44-48 Anche sui pagani si è effuso il dono dello Spirito Santo. Sal 97 Il Signore ha rivelato ai popoli la sua giustizia 1 Gv 4, 7-10 Dio è amore. Gv 15, 9-17 Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.

At 15, 1-2. 22-29 È parso bene, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie Sal 66 Ti lodino i popoli, o Dio, ti lodino i popoli tutti. Ap 21, 10-14. 22-23 L'Angelo mi mostrò la città santa che scende dal cielo. Gv 14, 23-29 Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.

Settima domenica di Pasqua: LA PREGHIERA SACERDOTALE DI CRISTO In Italia non si celebra.

At 1,12-14 Erano perseveranti e concordi nella preghiera. Sal 26 Contemplerò la bontà del Signore nella terra dei viventi. 1 Pt 4,13-16 Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo. Gv 17,1-11a Padre, glorifica il Figlio tuo.

At 1,15-17.20ac-26 Bisogna che uno divenga, insieme a noi, testimone della sua risurrezione. Sal 102 Benedetto il Signore nell'alto dei cieli. 1 Gv 4, 11-16 Chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. Gv 17,11b-19 Siano una cosa sola, come noi.

At 7,55-60 Io contemplo il Figlio dell'uomo che sta alla desta di Dio. Sal 96 Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria. Ap 22, 12-14.16-17.20 Vieni, Signore Gesù! Gv 17,20-26 Che tutti siano una cosa sola.

La solennità dell’Ascensione

Il “Legionario” dell’Ascensione offre ogni anno il brano degli Atti degli Apostoli come prima lettura: alla richiesta di una instaurazione “politica” del suo regno, Gesù contrappone la promessa dello Spirito Santo, e poi è elevato in alto sotto gli occhi dei discepoli. Caratteristico è il salmo 46

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che nel Salterio canta la conquista di Gerusalemme e l’ingresso dell’arca dell’alleanza nella città santa: “Ascende il Signore tra conti di gioia”. Nei cicli A e B, l’epistola è tratta dalla lettera agli Efesini: la prima contempla la gloria di Cristo intronizzato nel cielo; la seconda è una esortazione a raggiungere la pienezza di Cristo. Nel ciclo C troviamo un prezioso brano dalla lettera agli Ebrei, il testo di fondamentale importanza per comprendere il mistero pasquale di Cristo come perfetta offerta sacerdotale. Il primo prefazio canta la signoria universale di Cristo, il secondo la narrazione storica del mistero. Ascensione del Signore: At 1,1-11 Fu elevato in alto sotto i loro occhi. Sal 46 Ascende il Signore tra canti di gioia. Ef 1, 17-23 Lo fece sedere

alla sua destra nei cieli. Mt 28, 16-20 Mi è stato ogni potere in cielo e in terra.

Ef 4, 1-13 Raggiungere la misura della pienezza di Cristo. Mc 16, 15-20 Il Signore fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.

Eb 9,24-28; 10,19-23 Cristo è entrato nel cielo stesso. Lc 24,46-53 Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo.

PREFAZIO DELL’ASCENSIONE I: Il Signore Gesù, re della gloria, vincitore del peccato e della morte, oggi è salito al cielo tra il coro festoso degli angeli. Mediatore tra Dio e gli uomini, giudice del mondo e Signore dell’universo, non si è separato dalla nostra condizione umana, ma ci ha preceduti nella dimora eterna, per darci la serena fiducia che dove è lui, capo e primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria. PREFAZIO DELL’ASCENSIONE II: Dopo la risurrezione egli si mostrò visibilmente a tutti i discepoli, e sotto il loro sguardo salì al cielo, perché noi fossimo partecipi della sua vita divina. PREFAZIO DOPO L’ASCENSIONE: Entrato una volta per sempre nel santuario dei cieli, egli intercede per noi, mediatore e garante della perenne effusione dello Spirito. Pastore e vescovo delle nostre anime, ci chiama alla preghiera unanime, sull’esempio di Maria e degli Apostoli, nell’attesa di una rinnovata Pentecoste. DAL DIRETTORIO SU PIETÀ POPOLARE E LITURGIA La novena di Pentecoste 155. La Scrittura attesta che nei nove giorni intercorrenti tra l’Ascensione e la Pentecoste, gli apostoli «erano assidui e concordi nella preghiera, insieme con alcune donne e con Maria, la Madre di Gesù, e con i fratelli di lui» (At 1, 14), in attesa di essere «rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24, 49). Dalla riflessione orante su questo evento salvifico è sorto il pio esercizio della novena di Pentecoste, molto diffuso nel popolo cristiano. In realtà nel Messale e nella Liturgia delle Ore, soprattutto nei Vespri, tale “novena” è già presente: testi biblici ed eucologici richiamano, in vario modo, l’attesa del Paraclito. Pertanto, quando è possibile, la novena della Pentecoste sia fatta consistere nella celebrazione solennizzata dei Vespri. Ove invece questa soluzione non sia attuabile, si faccia in modo che la novena di Pentecoste rispecchi i temi liturgici dei giorni che vanno dall’Ascensione alla Vigilia di Pentecoste. In alcuni luoghi viene celebrata in questi giorni la settimana di preghiera per l'unità dei cristiani18.

La Domenica di Pentecoste Dal Catechismo della Chiesa Cattolica La Pentecoste 731 Il giorno di Pentecoste (al termine delle sette settimane pasquali), la Pasqua di Cristo si compie nell'effusione dello Spirito Santo, che è manifestato, donato e comunicato come Persona divina: dalla sua pienezza Cristo Signore effonde a profusione lo Spirito19. 732 In questo giorno è pienamente rivelata la Santissima Trinità. Da questo giorno, il Regno annunziato da Cristo è aperto a coloro che credono in lui: nell'umiltà della carne e nella fede, essi partecipano già alla comunione della Santissima Trinità. Con la sua venuta, che non ha fine, lo Spirito Santo introduce il mondo negli « ultimi tempi », il tempo della Chiesa, il Regno già ereditato, ma non ancora compiuto:

«Abbiamo visto la vera Luce, abbiamo ricevuto lo Spirito celeste, abbiamo trovato la vera fede: adoriamo la Trinità indivisibile, perché ci ha salvati»20.

18 Cf. Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, Directoire pour l’application des Principes et des Normes sur l’Oecuménisme (25.3.1993), 110: AAS 85 (1993) 1084. 19 Cf At 2,33-36 20 Ufficio delle Ore bizantino. Vespri di Pentecoste, Stico 4.

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Nel calendario ebraico è chiamata “festa delle settimane” (Shavuot, in greco pentecoste): nella Scrittura è chiamata anche “festa della mietitura” o “delle primizie”. Accanto ai primi frutti della terra, Shavuot celebra anche la divina consegna della legge a Mosè sul Monte Sinai. Gli Ebrei usano decorare le case e le sinagoge con erbe e rami verdi a ricordo della verdeggiante montagna sulla quale fu consegnata la Legge. Come abbiamo già ricordato, in origine con la parola “Pentecoste” si identificava nel culto cristiano il periodo intero dei cinquanta giorni, celebrati come la “grande domenica”. Nel sec. IV i vari significati dell’unico mistero vennero distribuiti cronologicamente, secondo il racconto di Atti. La Pentecoste divenne subito una festa battesimale, soprattutto per quei catecumeni che non avevano superato gli scrutini di quaresima. Si teneva una veglia notturna più corta rispetto a quella pasquale (perché vi era un minor numero di battezzandi), con una strutura simile (lucernario, liturgia della parola, sacramenti). Verso l’VIII-IX secolo si cominciò ad anticipare questa veglia al sabato pomeriggio e poi al mattino (come accadde anche per la veglia pasquale). La sequenza VENI SANCTE SPIRITUS è stata attribuito a vari autori (tra cui il re Roberto il Pio di Francia, papa Innocenzo III, e Stefano Langton arcivescovo di Canterbury): essa è chiamata anche “Sequenza aurea” ed è considerata uno dei capolavori della poesia sacra cristiana. Nel IX secolo venne composto l’inno VENI CREATOR attribuito a Rabano Mauro, arcivescovo di Magonza. Una particolare enfasi è attribuita all’Ora Terza (con un inno proprio), in quanto celebra l’ora della discesa dello Spirito Santo sugli apostoli. Ancora nel XIX secolo esisteva in Italia l'uso di far piovere dall'alto sui fedeli, al Gloria della messa di Pentecoste, dei petali di rose rosse, per evocare la discesa dello Spirito Santo. Per questo la festività prese il nome anche di "Pasqua rosata", che conserva tuttora in alcune zone del centro e del sud dell'Italia, o di Pascha rosatum. Le Chiese slave bizantine vengono adornate con rami frondosi e fiori. Il Messale attuale prevede una Messa per il sabato mattina, in cui è rilevante l’orazione sulle offerte in cui lo Spirito Santo viene chiamato “la remissione di tutti i peccati”. Colletta: “Dio onnipotente ed eterno che ci dai la gioia di portare a compimento i giorni della Pasqua, fa’ che tutta la nostra vita sia una testimonianza del Signore risorto”. È prevista una Messa Vespertina per la vigilia, che prevede una ricca scelta di letture dall’Antico Testamento; il Messale italiano offre la possibilità di celebrare la Liturgia della Parola con ampiezza, sul modello della Veglia Pasquale, con salmi e orazioni: la storia di Babele, l’alleanza sul Sinai, la visione delle ossa inaridite, la promessa dello Spirito su ogni uomo. La colletta della Messa vigiliare, celebra il compiersi della cinquantina pasquale: “Dio onnipotente ed eterno, che hai racchiuso la celebrazione della Pasqua nel tempo sacro dei cinquanta giorni, rinnova il prodigio della Pentecoste…”. Il prefazio è una nuova composizione di frammenti del Sacramentario Gelasiano. Mentre la prima lettura è sempre il racconto di Atti (2,1-11), vi è una diversificazione per le altre letture nei cicli B e C. Il Cerimoniale dei Vescovi prescrive la celebrazione solenne della Messa e della Liturgia delle Ore da parte del vescovo (cfr. n. 376). Di grande importanza la celebrazione del Vespro, con il quale si conclude il Tempo di Pasqua: esso dovrebbe essere celebrato in ogni comunità con grande solennità. DAL DIRETTORIO SU PIETÀ POPOLARE E LITURGIA La domenica di Pentecoste 156. Il tempo pasquale si conclude, al 50° giorno, con la domenica di Pentecoste, commemorativa dell’effusione dello Spirito Santo sugli apostoli (cf. At 2, 1-4), dei primordi della Chiesa e dell’inizio della sua missione ad ogni lingua, popolo e nazione. Significativa importanza ha assunto, specie nella chiesa cattedrale ma anche nelle parrocchie, la celebrazione protratta della Messa della Vigilia, che riveste il carattere di intensa e

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perseverante orazione dell’intera comunità cristiana, sull’esempio degli apostoli riuniti in preghiera unanime con la Madre del Signore21. Esortando alla preghiera e al coinvolgimento nella missione, il mistero della Pentecoste rischiara la pietà popolare: anch’essa «è una dimostrazione continua della presenza dello Spirito Santo nella Chiesa. Egli accende nei cuori la fede, la speranza e l’amore, virtù eccelse che danno valore alla pietà cristiana. Lo stesso Spirito nobilita le numerose e svariate forme di trasmettere il messaggio cristiano secondo la cultura e le consuetudini di ogni luogo in tutti i tempi»22. Con formule note, che provengono dalla celebrazione della Pentecoste (Veni, creator Spiritus, Veni, Sancte Spiritus)23 o con brevi suppliche (Emitte Spiritum tuum et creabuntur…), i fedeli sono soliti invocare lo Spirito soprattutto all’inizio di un’attività o di un lavoro, come in particolari situazioni di smarrimento. Anche il Rosario, nel terzo mistero glorioso, invita a meditare l’effusione dello Spirito Santo. I fedeli poi sanno di aver ricevuto, particolarmente nella Confermazione, lo Spirito di sapienza e di consiglio che li guida nella loro esistenza, lo Spirito di fortezza e di luce che li aiuta a prendere le decisioni importanti e a sostenere le prove della vita. Sanno che il loro corpo, dal giorno del Battesimo, è tempio dello Spirito Santo, e dunque va rispettato e onorato, anche nella morte, e che nell’ultimo giorno la potenza dello Spirito lo farà risorgere. Mentre apre alla comunione con Dio nella preghiera, lo Spirito Santo spinge verso il prossimo con sentimenti di incontro, riconciliazione, testimonianza, desiderio di giustizia e di pace, rinnovamento della mentalità, vero progresso sociale, slancio missionario24. In questo spirito, la solennità di Pentecoste è celebrata in alcune comunità come «giornata della sofferenza per le missioni»25. Veglia di Pentecoste: Gn 11,1-9 La si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra. Sal 32 Su tutti i popoli regna il Signore. ORAZIONE: Scenda su di noi, o Padre, i tuo Santo Spirito, perché tutti gli uomini cerchino sempre l'unità nell'armonia e, abbattuti gli orgogli di razza e di cultura, la terra diventi una sola famiglia, e ogni lingua proclami che Gesù è il Signore. Egli è Dio e vive e regna nei secoli dei secoli. Es 19,3-8a,16-20b Il Signore scese sul monte monte Sinai davanti a tutto il popolo. Sal 102 La grazia del Signore è su quanti lo temono. ORAZIONE: O Dio dell'alleanza antica e nuova, che ti sei rivelato nel fuoco della santa montagna e nella Pentecoste del tuo Spirito, fa' un rogo solo dei nostri orgogli, e distruggi gli odi e le armi di morte; accendi in noi la fiamma della tua carità, perché il nuovo Israele radunato da tutti i popoli accolga con gioia la legge eterna del tuo amore. Per Cristo nostro Signore. Ez 37,1-14 Ossa inaridite, infonderò in voi il mio spirito e rivìvrete. Sal 50 Rinnovami, Signore, con la tua grazia. ORAZIONE: O Dio, creatore e Padre, infondi in noi il tuo alito di vita: lo Spirito che si librava sugli abissi delle origini torni a spirare nelle nostre menti e nei nostri cuori, come spirerà alla fine dei tempi per ridestare i nostri corpi alla vita senza fine. Per Cristo nostro Signore. Gl 3,1-5 Io effonderò il mio spirito sopra ogni uomo. Sal 103 Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra. ORAZIONE: Ascolta, o Dio, la tua Chiesa unita in concorde preghiera in questa santa veglia a compimento della Pasqua perenne; scenda sempre su di essa il tuo Spirito, perché illumini la mente dei fedeli e tutti i rinati nel Battesimo siano nel mondo testimoni e profeti. Per Cristo nostro Signore. Rm 8,22-27 Lo Spirito intercede con gemiti inesprimibili. Gv 7,37-39 Sgorgheranno fiumi di acqua viva.

Pentecoste: At 2, 1-11 Tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare. Sal 103 Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra.

21 Cf. CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO, Lettera circolare sulla preparazione e celebrazione delle feste pasquali, 107; le modalità, i testi biblici e le orazioni per la veglia di Pentecoste – già presenti in alcune edizioni del Messale Romano nelle varie lingue - sono indicati in Notitiae 24 (1988) 156-159. 22 Giovanni Paolo II, Omelia pronunziata durante la Celebrazione della Parola a La Serena (Chile), 2, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, X/1 (1987), cit., p. 1078 23 Cf. EI, Aliae concessiones 26, pp. 70-71. 24 Cf. Gal 5,16.22; CONCILIO VATICANO II, Ad gentes, 4; Gaudium et spes, 26. 25 Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Redemptoris missio, 78: in AAS 83 (1991) 325.

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1 Cor 12, 3b-7. 12-13 Noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo Sequenza Gv 20, 19-23 Come il Padre ha mandato me anch’io mando voi.

Gal 5, 16-25 Il frutto dello Spirito. Gv 15, 26-27; 16, 12-15 Lo Spirito di verità vi guiderà a tutta la verità

Rm 8, 8-17 Quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. Gv 14, 15-16. 23-26 Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa.

SEQUENZA: Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, padre dei poveri, vieni, datore dei doni, vieni, luce dei cuori. Consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo. Nella fatica, riposo, nella calura, riparo, nel pianto, conforto. O luce beatissima, invadi nell’intimo il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua forza, nulla è nell’uomo, nulla senza colpa. Lava ciò che è sórdido, bagna ciò che è árido, sana ciò che sánguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli, che solo in te confidano i tuoi santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. PREFAZIO: Oggi hai portato a compimento il mistero pasquale e su coloro che hai reso figli di adozione in Cristo tuo Figlio hai effuso lo Spirito Santo, che agli albori della Chiesa nascente ha rivelato a tutti i popoli il mistero nascosto nei secoli, e ha riunito i linguaggi della famiglia umana nella professione dell’unica fede.

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APPROFONDIMENTO TEOLOGICO Atemporalità del mistero e gloria eterna di Cristo

Tratto da “Discese agli inferi, salì al cielo…”: lezioni di teologia del Card. Giacomo Biffi ai docenti universitari. Le professioni di fede in uso nella Chiesa sembrano concepire gli eventi successivi alla morte di Gesù come una teoria di fatti distinti che si sono succeduti secondo un ordine cronologico ben definito: la discesa agli inferi, la risurrezione, l’ascensione, la intronizzazione alla destra del Padre, la venuta di Cristo giudice. È un concatenarsi di avvenimenti che prolunga senza soluzione di continuità la serie degli episodi della vita terrestre: la concezione, la nascita, la passione, la morte. Si è visto però come questa «storicizzazione» della gloria del Risorto, che pure in una certa misura è in-negabilmente presente, sia nel Nuovo Testamento più superficiale che profonda tanto da presentarsi con for-me e significati diversi. Soprattutto è più strumentale che intesa in modo diretto: essa viene introdotta non tanto con la pretesa di far proseguire la «storia» al di là della morte di Gesù, quanto per lo scopo di cogliere il più compiutamente possibile le componenti dell’evento prodigioso che ha concluso la storia esaurendola. Con il passaggio dalla condizione terrestre alla «gloria» tutto è consumato, niente può essere aggiunto. La risurrezione e già la fine: non c’è storia al di là della storia. Tuttavia la «storicizzazione» non è arbitraria e illegittima; anzi, essa è stata necessaria. Era il solo modo consentito a spiriti eminentemente concreti di cogliere la ricchezza della condizione del Risorto. Nessuno di questi fatti – la discesa agli inferi, l’ascensione, la intronizzazione, la «parusia» – può essere negato senza che si travisi il senso dello stato di gloria. Essi sono tutti reali. Ciò che non è reale, è la loro sussistenza separata, la loro disgregazione, dovuta solo alla nostra intelligenza discorsiva che, se non analizza, immiserisce le sue sintesi e in definitiva travisa e tradisce con la semplificazione la complessità dei suoi og-getti. Anzi c’è da dire che anche la cronologia, sotto qualche profilo, è reale: l’esperienza del sepolcro vuoto, le successive apparizioni del Risorto, le sue ascensioni, la pentecoste; la «parusia» in quanto manifestazioni dell’unico evento che è la «gloria» di Cristo, sono disposte secondo una successione che trapunta la tela della storia umana e perciò è essa stessa storica senza dubbio. Non va però dimenticato che sono manifestazioni temporalmente distinte e ordinate di una realtà unica e sovratemporale. Il un torto della nostra riflessione teologica il non aver tenuto abbastanza conto della natura puramente stru-mentale e manifestativa di tale cronologia. C’è l’attenuante – ma è un’attenuante? – dello scarso impegno posto finora dalla teologia occidentale nella meditazione di ciò che segue l’immolazione del Calvario, considerata praticamente come l’unico fatto redentivo. La gloria di Cristo raramente era oggetto di indagini molto approfondite, sicché gli eventi della sua vita gloriosa venivano accettati e ripetuti senza molti controlli sulle fonti e senza troppe ricerche circa la loro intelligibilità. Di qui l’utilità di un riesame complessivo e totale della condizione di Gesù che «sta alla destra del Padre» (cfr. G. Biffi, Alla destra del Padre, Milano, 1970, pp. 16-18). Che un uomo – appartenente alla nostra famiglia, costituito nella nostra stessa natura – stia «alla destra del Padre», cioè sia entrato a partecipare nel modo più intenso pensabile alla divina intimità, e quindi alla divina potenza sull’universo, questo è l’evento che sta al centro di tutta la visione cristiana delle cose, questo è l’elemento primario e caratterizzante della nostra fede. Sicché, se ci si dimentica di questa centralità, o deliberatamente la si relega in secondo piano, o la si lascia tra le idee risapute e psicologicamente inoperanti, l’intera prospettiva offertaci dalla Rivelazione divina si altera o almeno risulta sfocata. Oggi sta prevalendo una presentazione «debole» del cristianesimo, che ferma l’attenzione soprattutto su ciò che è «imitabile» di quanto Cristo ha compiuto: l’amore per il prossimo, l’aiuto ai poveri e agli sventurati, la donazione di se stesso agli altri. È un’attenzione giusta, doverosa, irrinunciabile, purché non si sovrapponga a quella primaria dello stato di gloria e di potenza raggiunta da Gesù di Nazaret; stato che è la fonte ontologica della «umanità nuova», e quindi anche della «carità» che è l’anima di tutta la vita ecclesiale. Anche la contemplazione del Figlio di Dio crocifisso, e quindi umiliato e sofferente – tipica della pietà oc-cidentale – è preziosa per noi, che stiamo vivendo nelle nostre vicissitudini personali e comunitarie l’esperienza della sconfitta e del dolore come via obbligata alla redenzione. Ma non può farci dimenticare

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che il Vangelo è essenzialmente una «buona notizia», cioè l’annuncio di una vittoria e di un trionfo sovru-mano raggiunto: la vittoria di Cristo, che è anche vincita dell’uomo sulle forze del male; il trionfo definitivo del Capo come premessa al trionfo del «Christus totus». Appunto perché sta sempre più o meno rivivendo il mistero della salita al Calvario e sta verificando quoti-dianamente la sua fiacchezza di fronte ai poteri mondani, la Chiesa deve tener sempre desta la convinzione della forza del suo Salvatore. È il pensiero di san Paolo che dal Signore raccoglie la parola consolante: «La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza» (2 Cor 12,9); e perciò non esita ad affermare: «Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte» (2 Cor 12,9.10). A chi appassionatamente condivide l’esperienza ecclesiale, troppe volte Gesù appare sconfitto e quasi estromesso dalla storia esteriore del mondo; ma proprio per questo noi abbiamo bisogno di sapere e di ri-cordare che già adesso il vincitore è lui, ed è lui che dalla destra del «Benedetto» muove e guida la storia vera dell’universo e dei singoli secondo il suo disegno e la sua volontà, che sono perfettamente conformi al disegno e alla volontà del Padre. Abbiamo già notato che quello di tener viva e salda la certezza della «potenza» di Cristo – come potenza già in atto, e non solo come speranza escatologica – è un problema pastorale che san Paolo sente acutamente soprattutto nelle lettere della prigionia; (…) dunque anche noi dobbiamo renderci ragione della centralità di questo elemento della fede cristiana e riscoprire esistenzialmente la primarietà del Cristo «pantocrator», la cui figura dominava di solito dall’abside delle antiche basiliche.

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LA MISTAGOGIA PASQUALE

Per educare alla vita buona del Vangelo Premessa “Cristiani non si nasce, si diventa”. Con questa espressione lapidaria Tertulliano (Apologeticum, 18), verso il 200, si faceva interprete di una consapevolezza che animò l’azione missionaria e pastorale della Chiesa fin dai primi tempi e che continuerà lungo i secoli. Si diventa cristiani attraverso una progressiva introduzione alla vita nuova rivelata e offerta in Gesù Cristo. A questo processo si dà il nome di iniziazione cristiana, fondata su due presupposti: lo sviluppo di una fede personale accompagnata da un fattivo cambiamento di vita e l’apporto fondamentale dell’azione educativa e santificatrice della Chiesa che trova la sua espressione culminante nella celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione. “Ogni volta, scrive Henri De Lubac, che la Chiesa indaga sulla sua fede, sul suo pensiero e sulla sua teologia, essa ritorna ai Padri”(“La costituzione Lumen Gentium e i Padri della Chiesa”, in La teologia dopo il Vaticano II, Queriniana, Brescia 1967, 228). Nello stesso tempo l’attuale contesto sociale, culturale, religioso e anche quello ecclesiale ha pochi contatti con quello dei primi secoli. Quale lezione, dunque, il modello di catechesi del catecumenato antico può offrire alle comunità e agli operatori del nostro tempo? Fare riferimento al passato non significa cadere nella tentazione di archeologismo. Un richiamo che, già alla fine del XIX secolo, risuonava nelle sagge parole di Luis Duchesne: “Nella Chiesa nessuna preoccupazione per l’avvenire può disinteressarsi della tradizione. Ma non sono così antiquato da credere che l’avvenire del cristianesimo consista nella restaurazione di questo o quell’altro antico stato di cose, qualunque siano i nomi che lo raccomandano”(Autonomies ecclésiastique. Église separées, Paris 1896, VII). Richiamarsi all’esperienza dei Padri impegna a individuare le scelte ispiratrici del processo iniziatico e della catechesi catecumenale per, poi, attuarle con discernimento e creatività, adattandole al nostro tempo. La scelta della pastorale mistagogica costituisce oggi una svolta necessaria per passare da una pastorale che prepara ai sacramenti a una pastorale di progressivo inserimento nel mistero. "Voglio rivolgere un'ultima parola ai nuovi illuminati; e chiamo così non solo quanti hanno meritato di recente il dono spirituale, ma pure coloro che l'hanno ricevuto già da un anno o da molto più tempo. Anch'essi se vogliono, possono gioire continuamente di tale appellativo. In realtà questa nuova giovinezza non conosce vecchiaia, non soggiace a malattia, non cede allo scoraggiamento, non appassisce con il tempo, non si arrende a nulla, non è vinta da nulla, tranne solo che dal peccato. E' il peccato infatti la sua gravosa vecchiezza ...” (S. Giovanni Crisostomo, Catechesi X, 21). Terminata la Veglia Pasquale e dopo la prima Eucaristia non tutto è finito. Con la celebrazione dei sacramenti i catecumeni hanno varcato l'ultima porta dell'iniziazione e, secondo una espressione di san Giovanni Crisostomo, «sono ora liberi e cittadini della Chiesa, santi, giusti, eredi, membra di Cristo e tempio dello Spirito» (Catechesi III, 5). I neofiti devono ora vivere nella novità di vita ricevuta con i sacramenti. Dal “Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti”. Il tempo della mistagogia 37. Dopo quest'ultimo grado [la celebrazione dei sacramenti], la comunità insieme con i neofiti prosegue il suo cammino nella meditazione del Vangelo, nella partecipazione all'Eucaristia e nell'esercizio della carità, cogliendo sempre meglio la profondità del mistero pasquale e traducendolo sempre più nella pratica della vita. Questo è l'ultimo tempo dell'iniziazione cioè il tempo della "mistagogia" dei neofiti.

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38. In realtà una più piena e più fruttuosa intelligenza dei "misteri" si acquisisce con la novità della catechesi e specialmente con l'esperienza dei sacramenti ricevuti. I neofiti infatti sono stati rinnovati interiormente, più intimamente hanno gustato la buona parola di Dio, sono entrati in comunione con lo Spirito Santo e hanno scoperto quanto è buono il Signore. Da questa esperienza, propria del cristiano e consolidata dalla pratica della vita, essi attingono un nuovo senso della fede, della Chiesa e del mondo. 39. La nuova e frequente partecipazione ai sacramenti, se da un lato chiarisce l'intelligenza delle Sacre Scritture, dall'altro accresce la conoscenza degli uomini e l'esperienza della vita comunitaria, così che per i neofiti divengono più facili e più utili insieme i rapporti con gli altri fedeli. Perciò il tempo della mistagogia ha una importanza grandissima e consente ai neofiti, aiutati dai padrini, di stabilire più stretti rapporti con i fedeli e di offrire loro una rinnovata visione della realtà e un impulso di vita nuova. 40. Poiché la caratteristica e l'efficacia di questo tempo dipendono da questa personale e nuova esperienza della vita sacramentale e comunitaria, il momento più significativo della "mistagogia" è costituito dalle cosiddette "Messe per i neofiti" o Messe delle domeniche di Pasqua, perché in esse, oltre alla comunità riunita e alla partecipazione ai misteri, i neofiti trovano, specialmente nell'anno "A" del Lezionario, letture particolarmente adatte per loro. A queste Messe si deve perciò invitare tutta la comunità locale insieme con i neofiti e con i loro padrini. Quanto ai testi di tali Messe, si possono usare anche quando l'iniziazione si celebra fuori del tempo consueto. La mistagogia è quel tempo, limitato nella durata – da Pasqua a Pentecoste –, ma che ritorna ogni anno, nel quale la comunità cristiana accoglie al suo interno coloro che, celebrando i sacramenti dell’iniziazione cristiana, sono diventati figli di Dio. Dall'attenta lettura delle mistagogie si evince la necessità di vedere i riti per capirli: “Desideravo anche per il passato, o figli genuini e desideratissimi della Chiesa, parlarvi di questi spirituali e celesti misteri. Siccome però sapevo che si crede di più a quello che si vede che a quello che si sente, aspettai questo momento. Prendendovi ora che l'esperienza vi ha reso maggiormente atti a comprendere quello che sarà detto, vi potrò guidare (mistagogizzare) verso il prato assai splendido e profumato di questo paradiso. Ormai siete divenuti capaci dei più divini misteri, perché fatti degni anche del battesimo vivificatore...” (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi I, 1). Tutto, dunque, deve essere analizzato, spiegato e approfondito da parte del vescovo, e tutto come riappreso da parte dei battezzati, ma con una percezione più profonda, in quanto ontologicamente diversi dai catecumeni. All'ammonizione che ormai si deve procedere sempre in avanti: “Bada a te stesso - dice al neofita - perché non ti avvenga che, mentre metti mano all'aratro, ti volga poi indietro e ritorni alle amare consuetudini di questa vita. Fuggi invece sul monte incontro a Cristo…“ (I,8). Dalla Nota pastorale “L’iniziazione cristiana. 1. Orientamenti per il catecumenato degli adulti” del Consiglio permanente della Cei (30 marzo 1997) 80. - Rigenerati a vita nuova i neofiti devono essere aiutati premurosamente e amichevolmente dalla comunità dei fedeli, dai loro padrini e dai pastori ad approfondire i misteri celebrati, a consolidare la pratica della vita cristiana e a favorire un pieno e sereno inserimento nella comunità (RICA, 235). 81. - Per assicurare la formazione dei neofiti è opportuno prevedere alcuni incontri catechistici, destinati a spiegare ulteriormente i sacramenti ricevuti e a introdurre opportunamente nella comprensione degli altri sacramenti, soprattutto quello della Riconciliazione, ad approfondire il mistero della Chiesa e il significato della vita nuova del battezzato e della sua sequela di Cristo.

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Anche le celebrazioni delle Messe per i neofiti nelle domeniche di Pasqua favoriscono una più fruttuosa intelligenza dei misteri celebrati e la partecipazione sempre più attiva all’Eucaristia, culmine e fonte della vita ecclesiale. 82. - Con particolare cura si dovrà promuovere l’esperienza comunitaria dei neobattezzati ed il loro inserimento nella vita parrocchiale. Si tratta, per i neofiti, di intensificare i rapporti personali con i diversi membri della comunità, prendere atto della vita parrocchiale e delle sue attività pastorali, conoscere forme e iniziative di formazione permanente dei fedeli adulti, alle quali aderire per continuare il cammino di fede. In questo inserimento comunitario dei neofiti hanno grande responsabilità i padrini, i catechisti e i presbìteri. 83. - Alla fine del tempo di Pasqua termina la mistagogia, ultima fase dell’iniziazione. Per la Pentecoste occorrerà prevedere, anche con solennità esterna, una celebrazione conclusiva. I neofiti, abbandonati i posti a loro riservati, si mescolano al popolo dei fedeli, come ricorda efficacemente sant’Agostino: Oggi i nostri nuovi nati si riuniscono agli altri fedeli e volano, per così dire, fuori del nido. La crescita di questi nuovi battezzati, però, non é affatto conclusa. Continua con la ricerca personale, l’esperienza comunitaria, la partecipazione alla vita liturgica e, in particolare, a itinerari di formazione permanente previsti per i fedeli adulti. Merita poi attenzione l’iniziativa, suggerita dal Rito, della celebrazione dell’anniversario del Battesimo: dopo un anno i neobattezzati si ritrovano insieme per ringraziare Dio, comunicarsi esperienze spirituali e acquistare nuove energie per il loro cammino di credenti (cf. Rica, 239). Due riflessioni potrebbero esserci utili a partire da ciò che è richiesto ai neofiti. La prima: ci siamo tanto abituati a un cristianesimo offerto tramite la cultura condivisa da prescindere quasi dal cammino di conversione o almeno da un briciolo di fede manifesta per concedere ai richiedenti le cose più sacre che abbiamo, cioè i sacramenti, cosa che non è certo nella natura né nella dottrina del cristianesimo stesso. La seconda: il fatto che i neofiti abbiano nella Chiesa uno statuto preciso, prerogative solo ora aperte, una collocazione visibile e specifica nell’Assemblea, addirittura per un breve periodo un abbigliamento caratteristico, ci ricorda che nella Chiesa non vige il regime dell’omogeneizzazione indifferenziata, ma della diversità organizzata, e, si potrebbe aggiungere, anche gerarchicamente. Quindi è normale che non tutti possano o debbano fare tutto nelle nostre liturgie o nelle diverse incombenze comunitarie: i catecumeni possono entrare e fermarsi sino alla liturgia della Parola, i fedeli giungono sino alla condivisione della mensa del Signore, i neofiti hanno dei posti particolari in assemblea che abbandoneranno terminata la mistagogia; certi requisiti sono richiesti per svolgere compiti pubblici come il lettore, il padrino e simili, per altri compiti sono richieste altre attitudini o prerequisiti e così via. Ma tutti egualmente fanno parte del popolo di Dio in cammino verso il Regno con la stessa dignità, benché con statuti differenti. Se la prassi corretta dell’iniziazione cristiana fosse più visibile, questo potrebbe aiutare a comprendere che si può far parte della Chiesa in diversi modi: come simpatizzanti, come catecumeni, come eletti, come neofiti e anche come ministri, come ministri ordinati e, perché no, come penitenti, tanto per riprendere una prassi tanto antica quanto saggia. E che oggi potrebbe risultare di straordinaria attualità, pensando ad esempio ai “ritorni” alla Chiesa, dopo decenni di assenza, dei giovani nubendi: un inserimento pieno ed immediato – che corrisponderebbe in pratica alla dichiarazione di radicale irrilevanza dell’esperienza personale passata di chi abbiamo davanti - sarebbe l’unica freccia disponibile per il nostro arco? Ancor più interessante sarebbe una riflessione simile applicata alle nuove situazioni matrimoniali “irregolari” che si sono venute a creare.

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LE OTTO DOMENICHE DI PASQUA (Anno A) Ogni domenica celebra l’unico mistero pasquale-pentecostale, ma questo periodo ne esalta il significato ponendolo in primo piano. La celebrazione eucaristica rende presente il Signore Risorto e settimanalmente dobbiamo chiederci come cambia la nostra vita a partire dall’annuncio che «Egli non è qui (nella tomba). È risorto come aveva detto» (Mt 28,6) e ci dona il suo Spirito, per cui siamo vivificati nel corpo di una umanità nuova, nella quale più «nessuno vive per se stesso o muore per se stesso» (Rm 14,7). Dalla lettura degli Atti degli apostoli si coglie l’invito a dare un volto nuovo anche alla comunità parrocchiale: il tempo pasquale è come una prolungata revisione di vita circa l’impegno di evangelizzazione, di liturgia e di vita comunitaria. Non si fa festa solo interrompendo il lavoro, ma anche impostando il lavoro in un modo nuovo, con spirito di servizio, con stile fraterno, con una più attenta premura per gli altri, confrontandosi con la Parola di Dio e con il modello delle prime comunità cristiane. 1^ domenica di Pasqua: L’annuncio del Risorto e la vita nuova (Gv 20,1-9) ! Celebrazione dei sacramenti della iniziazione cristiana con l’invito alla comunità a rinnovare gli impegni del Battesimo e preghiera per i neofiti. Questi vengono aiutati a vivere la vita nuova in Cristo. I già battezzati dovrebbero chiedersi: se non fossi cristiano, deciderei di diventarlo ? Come cambierebbe la mia vita per l’incontro con il Signore risorto ? 2^ domenica di Pasqua: La fede in Gesù risorto, gioia e amore nella Chiesa (Gv 20,19-31) ! La domenica è il giorno ottavo nel quale la comunità cristiana si riunisce per annunciare la Pasqua del Signore nell’attesa della sua venuta. Il vangelo di Giovanni riporta il racconto della apparizione del Signore nel giorno stesso della risurrezione e otto giorni dopo. Egli è presente a ogni riunione dei suoi fedeli nelle assemblee domenicali: non si può mancare a questo appuntamento con il Risorto. Nella consapevolezza di questa presenza si edifica la comunità ecclesiale per la quale la primitiva chiesa di Gerusalemme è modello esemplare. ! Il Risorto dà ai discepoli, con il dono dello Spirito, la capacità di rimettere i peccati (v. 23): i neofiti vengono progressivamente iniziati al sacramento della penitenza. Tutta la comunità, celebrando la domenica della divina misericordia, si chiede come accoglie il dono dello Spirito, Signore che dà la vita, anche attraverso il sacramento della misericordia. L’esperienza rinnovatrice della Pasqua si manifesta nella vita spirituale come consolante certezza di essere stati liberati dal maligno e di essere continuamente assistiti dal Paraclito. ! L’immagine di Gesù, secondo le rivelazioni a Santa Faustina Kowalska, comunica il tono del tempo pasquale: il Cristo mostra i segni della passione che lo hanno fatto entrare nell’oscurità della morte, ma ora sono come una sorgente di luce e colore. Come recita il III Prefazio pasquale: «Egli continua a offrirsi per noi e intercede come nostro avvocato: sacrificato sulla croce più non muore, e con i segni della passione vive immortale». Se nella quaresima si è sperimentata la vita cristiana come sequela di Gesù nell’accettazione della croce, ora si deve poterla sentire come espansione del cuore, penetrato dallo Spirito, in opere di carità. Il servizio, di per sé faticoso, viene reso facile dall’interiore mozione dello Spirito del Signore. In un clima di entusiasmo si compie ciò che normalmente si fa con sforzo. 3^ domenica di Pasqua: Gesù: compimento delle Scritture, riconosciuto nello spezzare il pane (Lc 24,13-35). ! Nella liturgia si metterà in rilievo il momento della fractio panis. I neofiti vengono aiutati a comprendere la messa, soprattutto nella parte propriamente eucaristica e la comunità cristiana rinnova l’impegno a preparare adeguatamente la celebrazione domenicale. (Durante la settimana si troverà l’occasione per presentare il gruppo liturgico ai neofiti)

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4^ domenica di Pasqua: Il buon Pastore presente nella Chiesa (Gv 10,1-10). ! La presenza del Risorto continua attraverso il ministero dei pastori; ma questa domenica offre l’occasione per presentare la comunità cristiana come il gregge le cui pecore sono conosciute e chiamate per nome e ciascuna risponde alla voce del pastore e lo segue. Ognuno ha un nome, una responsabilità, un servizio nella Chiesa. Ciascuno è invitato a superare l’anonimato per rendere operante la grazia sacramentale del battesimo. (Si troverà l’occasione per fare incontrare i neofiti con i ministri della comunità cristiana: sacerdote, diacono, accolito, lettore, catechisti, direttore coro …) 5^ domenica di Pasqua: La Chiesa fra la partenza e il ritorno di Cristo (Gv 14,1-12) ! «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me»: siamo di fronte alla coerenza della fede rappresentata più che da parole da gesti di accoglienza per cui nella casa del Padre c’è posto per tutti. Il libro degli Atti presenta oggi la scelta da parte della comunità di sette uomini per un servizio di carità. Tutti sono interpellati a prendere atto delle emergenze del momento e a rispondervi con la propria disponibilità personale. ! Si potrebbe suggerire anche un impegno specifico di carità, motivato dalla fede (cfr l’insistenza del vangelo sull’aver fede/credere) da portare nella messa della domenica successiva (quando la continuazione del vangelo insisterà sull’amore). I neofiti verranno adeguatamente informati sulle iniziative di carità della comunità parrocchiale (presentazione del Gruppo caritas). 6^ domenica di Pasqua: La promessa dello Spirito Santo (Gv 14,15-21) ! Le letture di oggi (il ministero di Filippo e l’invito di Paolo a dare ragione della speranza che abbiamo) suggeriscono di verificare la missione di evangelizzare. La comunità cristiana – in particolare gli adulti – vengono sollecitati ad avere occasioni di approfondimento della fede per riuscire a orientare la propria umanità nella vera libertà dello Spirito (interiorizzare il comandamento dell’amore) e per testimoniare la fede. Così la Chiesa rende presente il Signore Risorto. Verranno presentati ai neofiti i catechisti e gli educatori con i vari momenti di formazione alla fede. 7^ Ascensione: Esaltazione di Gesù vivente nella gloria di Dio Padre in comunione con lo Spirito Santo (Mt 28,16-20). ! L’esperienza pasquale fa vivere l’impegno nel mondo avendo chiara la speranza di un destino escatologico. ! I neofiti sono invitati a trovare un nuovo equilibrio nella organizzazione della propria vita, tenendo conto della prospettiva del regno, tutta la comunità cristiana deve essere in questa ricerca di un modo nuovo di vivere la quotidianità come «feria». «Certo, siamo avvertiti che niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire, bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo. Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Dio, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il Regno di Dio» (GS 39; cfr. anche GS 43 e 57). 8^ Pentecoste: Manifestazione dello Spirito Santo nella Chiesa (Gv 20,19-23) ! Memoria della confermazione come conferma dell’adesione al Signore Risorto attraverso la preghiera per domandare l’effusione dello Spirito. ! La Chiesa è ricca dei doni dello Spirito che siamo chiamati a riconoscere e ad accogliere. Quali carismi sono presenti nel territorio parrocchiale? Istituti di vita consacrata, movimenti ecclesiali, gruppi di preghiera … I neofiti vengano messi a conoscenza di questa vitalità e la comunità a trovare le via della comunione per l’unica missione e l’utilità comune (1 Cor 12).

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«Senza lo Spirito Santo, Dio è lontano, il Cristo resta nel passato, il vangelo una lettera morta, la Chiesa una semplice organizzazione, l’autorità un potere, la missione una propaganda, il culto un arcaismo, e l’agire morale un agire da schiavi. Ma nello Spirito Santo il cosmo è nobilitato per la generazione del Regno, il Cristo risorto si fa presente, il vangelo si fa potenza e vita, la Chiesa realizza la comunione trinitaria, l’autorità si trasforma in servizio, la liturgia è memoriale e anticipazione, l’agire umano viene deificato» (Atenagora).

DEPOSIZIONE DELLA VESTE BIANCA NELLA DOMENICA “IN ALBIS” Anticamente a Roma, alla sera del sabato in albis, quando i neofiti tornavano a visitare il battistero, il papa pronunciava sui nuovi battezzati una preghiera mentre toglievano la veste bianca battesimale. Questo significava l’ingresso nella ordinarietà della vita cristiana. Dove ci sono neofiti battezzati nella veglia pasquale si può compiere il gesto della riconsegna della veste battesimale. Il presidente alla porta della chiesa ACCOGLIE I CATECUMENI CHE INDOSSANO LA VESTE BIANCA e li accompagna ai posti preparati per loro, inizia la celebrazione con il rito dell’aspersione e lo conclude con la seguente preghiera: Visita, Signore, questo tuo popolo con i tuoi disegni di salvezza; vedi come è tutto illuminato dalla gioia pasquale e conserva nei nostri neofiti ciò che tu stesso hai operato in loro. Fa’ che mentre si spogliano delle vesti bianche, il loro cambiamento sia soltanto esteriore: L’invisibile candore di Cristo sia inseparabile dalla loro vita: fa’ che non lo perdano mai. La tua grazia aiuti tutti ad ottenere, per mezzo delle buone opere, quella vita immortale alla quale impegna il mistero della Pasqua. Per Cristo nostro Signore. Amen I neofiti depongono le vesti bianche e vengono accompagnati in mezzo all’assemblea. È bene comunque che per tutte le domeniche di pasqua i neofiti abbiano un loro posto.

BATTESIMO-CONFERMAZIONE NELLA LUCE DELLA PASQUA-PENTECOSTE

Si può dire che il Battesimo si rapporta alla Pasqua e la Confermazione alla Pentecoste, però considerate come aspetti di un unico evento: la risurrezione dai morti del Signore che dona il suo Spirito alla Chiesa. Questa realtà così ricca e complessa ha avuto bisogno di esprimersi in momenti differenti, così essa viene comunicata al cristiano nella Chiesa con segni differenziati e in celebrazioni articolate. Non si attende la Pentecoste per richiamare la dimensione «crismale» della esistenza cristiana: essa è già ricordata a Pasqua, quando i fedeli ringraziano Dio per la salvezza ricevuta in Gesù Cristo, rinnovano i loro impegni, e quindi prendono atto della testimonianza che essi devono rendere al Signore. Anzi, tutta la «cinquantina pasquale» contribuisce a risvegliare nei cristiani la loro coscienza di essere presi nel dinamismo pentecostale di crescita e di cooperazione per edificare la Chiesa come servizio al mondo. Entrambi i sacramenti Battesimo-Confermazione hanno nel Tempo di Pasqua il loro «luogo» opportuno per essere richiamati e approfonditi nei doni che conferiscono, dopo essersi disposti nella preparazione quaresimale ad assecondarne le esigenza di conversione e di lotta.

L’EUCARISTIA E LA COMUNIONE DELLO SPIRITO SANTO

La seconda «preghiera eucaristica» recita, rivolgendosi al Padre: «…santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito perché diventi cono per noi il corpo e il sangue di Gesù Cristo nostro Signore». Questa preghiera detta «epicletica» (dal greco epiclesis = invocazione) è

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accompagnata dall’imposizione delle mani: tipico gesto esprimente l’azione dello Spirito Santo. Questo intervento dello Spirito Santo non è limitato al momento pre-consacratorio; esso è invocato anche dopo la consacrazione perché nella comunità di coloro che si comunicheranno continui la sia azione trasformante: «Ti preghiamo umilmente: per la comunione al corpo e al sangue di Cristo lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo» (seconda «preghiera eucaristica»). Questo corpo nel quale essere riuniti è quello ecclesiale di Cristo. Lo Spirito Santo quindi anche attraverso l’eucaristia continua l’attività che si manifesta in tutta la storia della salvezza, perché la Chiesa si edifichi nella storia e per il mondo come corpo di Cristo.

NOTA SULLA “MESSA DELLA PRIMA COMUNIONE”

L’Eucaristia è il sacramento culmine dell’iniziazione cristiana; perciò la “Messa di prima Comunione” deve necessariamente far riferimento all’iniziazione e, in particolare al Battesimo; anche la celebrazione della Confermazione ha inizio con la memoria del Battesimo. Un orientamento dato dalle CEI relativamente all’iniziazione dei fanciulli e dei ragazzi dice giustamente che "In considerazione del legame con il mistero pasquale i sacramenti dell’iniziazione cristiana si celebrano di norma nella Veglia Pasquale, o in altra domenica durante il Tempo di Pasqua” (n. 46; cfr. anche 55). Anche l’Istruzione del 25 marzo 2004 Redemptionis sacramentum su "Alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia", dice: "Salvo casi eccezionali, è poco appropriato amministrarla il Giovedì Santo "in Cena Domini". Si scelga piuttosto un altro giorno, come le domeniche II-VI di Pasqua o la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo o le domeniche "per annum", in quanto la domenica è giustamente considerata il giorno dell’Eucaristia” (n. 87).

MEMORIA DELLA CONFERMAZIONE NEL GIORNO DI PENTECOSTE … Viene adombrata la carne dalla imposizione delle mani perché l’anima rifulga illuminata dallo Spirito … (Tertulliano, De resurrectione mortuorum, VIII,3) Il rito ripropone all’assemblea dei fedeli l’imposizione delle mani, memoriale della loro Confermazione nel giorno della Cresima, secondo sacramento della’iniziazione cristiana, Pentecoste personale in comunione con tutta la Chiesa. Dopo l’omelia il diacono o un ministro accende dal cero pasquale le candele distribuite in precedenza ai fedeli. Tenendo in mano la candela accesa il presidente invita a rinnovare la professione di fede nella formula battesimale (cfr. Messale, Veglia Pasquale o Rituale del Battesimo). Quindi il presidente dice la seguente preghiera imponendo le mani sull’assemblea: Dio onnipotente, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci hai rigenerato dall’acqua e dallo Spirito Santo liberandoci dal peccato, rinnova su di noi in questo giorno santo l’effusione del Tuo Santo Spirito Paraclito: spirito di sapienza e di intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di pietà, e riempici dello Spirito del tuo santo timore. Per Cristo nostro Signore. Amen. Si spengono i ceri e il rito prosegue con la preghiera universale.

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Presidente: Fratelli carissimi, invochiamo Dio, Padre onnipotente: sia unanime la nostra preghiera, in quell’unità di fede, speranza e carità, che lo Spirito Santo genera nei nostri cuori. Diacono o ministro: Padre santo, tu mandasti nella Pentecoste il tuo Spirito dando inizio e vita alla tua Chiesa. Da quel giorno continui a radunare sulla terra una moltitudine di fedeli che tu hai scelto ed unito al tuo Figlio, Gesù Cristo, Signore e fratello nostro; fa’ che questo tuo popolo, nel suo vangelo, cresca nell’unità della fede e dell’amore in unione con il papa, i vescovi, i presbiteri e i diaconi, fino alla sua venuta, noi ti preghiamo: Ascoltaci, o Signore ! Cristo Gesù, tutti gli uomini hanno un solo Creatore e Padre fa’ che tutti si riconoscano fratelli senza discriminazione di razze, di lingua, di religione, fa’ che cerchino con lealtà e purezza di cuore il regno del Padre che è pace e gioia sotto la guida del tuo Spirito Paraclito, noi ti preghiamo: Ascoltaci, o Signore ! Spirito Paraclito, l’immensità del cielo è piena della tua sapienza, l’ordine del creato è pieno della tua scienza, quanto la terra contiene ci rivela la tua bontà; dona a coloro che ci governano il dono della saggezza, ai responsabili della società civile il tuo consiglio, a noi pellegrini sulla terra la tua fortezza, ai poveri, ai malati, agli oppressi il tuo conforto, a tutte le vittime dell’odio umano la tua pietà, a quanti abusano dei tuoi doni il tuo perdono, noi ti preghiamo: Ascoltaci, o Signore ! Presidente: O Dio, che nell’amore della creazione ci hai voluti a tua immagine e somiglianza; per riscattarci dalla disobbedienza antica hai mandato e sacrificato il tuo Figlio, e ai suoi apostoli hai dato lo Spirito Santo affinché per mezzo di essi e dei loro successori fosse trasmesso a tutti i membri della tua Chiesa, esaudisci la nostra preghiera: continua oggi, nella comunità dei credenti, i prodigi che il tuo amore ha operato agli inizi della predicazione del vangelo ed estendi il tuo Spirito Paraclito sulla intera umanità, frutto della tua creazione, affinché tutti ricevano grazia, misericordia e pace. Per Cristo nostro Signore. Amen

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CELEBRARE IL TEMPO DI PASQUA “I 50 giorni dalla domenica di Resurrezione alla domenica di Pentecoste sono celebrati nella letizia e nell'esultanza come un solo giorno di festa, anzi come una GRANDE domenica” (“Norme generali sull'anno liturgico e sul calendario”, n.° 22). Fin dai primi secoli la Chiesa ha sentito il bisogno di organizzare un tempo liturgico che aiutasse i cristiani ad approfondire l'evento centrale della loro fede, ovvero il Mistero della Pasqua. È noto che già a partire dal III secolo, la festa annuale della Pasqua divenne una “cinquantina gioiosa” (Tertulliano parla di “laetissimum spatium”), una grande domenica che durava 7 settimane, durante le quali si commemoravano insieme la Resurrezione del Crocifisso, la sua dipartita e il dono dello Spirito Santo. Ancora oggi i 50 giorni che uniscono la domenica di Resurrezione a quella di Pentecoste, che noi chiamiamo Tempo di Pasqua, costituiscono un itinerario spirituale di necessario approfondimento del Mistero Pasquale vero e proprio archetipo della vita della Chiesa e dell'esistenza cristiana. Durante i 50 giorni infatti «la comunità, insieme con i nuovi battezzati, prosegue il suo cammino nella meditazione del Vangelo, nella partecipazione all'Eucaristia e nell'esercizio della carità, cogliendo sempre meglio la profondità del Mistero pasquale e traducendolo sempre più nella pratica della vita» (Rito dell'iniziazione cristiana degli adulti, n.° 37).

Tutta la vita di Gesù è stata l’annunzio dell’ “oggi” di Dio, Gli Atti, testo tipicamente pasquale, raccontano che quell’ “oggi” non si è arrestato con la Resurrezione, con l’Ascensione, ma, a partire dalla manifestazione ed effusione dello Spirito continua, nell’ “oggi” della Chiesa La Chiesa è frutto della Pasqua e, attraverso di essa, noi incontriamo il Cristo risorto. La “cinquantina” di Pasqua è un unico tempo. Non è un tempo per arrivare alla Pentecoste, non è un tempo di transizione per arrivare ad una nuova festa, ma è un tempo tutto festivo, perché ciò che la Pasqua dona è ormai attuale. La lettura cronologicamente anticipata degli Atti, già prima di Pentecoste, ci riporta a questo mistero: la vita liturgica della Chiesa, espressamente nella sua dimensione sacramentale, è vita e presenza del Cristo risorto e dello Spirito. La dimensione ecclesiologica si rivela così realtà sacramentale. Il Cristo risorto, Colui che spezza il pane già con i discepoli di Emmaus, è lo stesso Cristo che ha radunato la prima comunità nella “fractio panis” ed è Colui che “oggi” raduna la Chiesa, dispersa nel mondo intorno, all’unica Eucaristia. Come afferma Nocent:«possiamo vedere nelle otto domeniche di Pentecoste – 49 giorni+uno – “la volontà di esprimere l’ultimo giorno”, l’ottavo giorno, oramai iniziato in terra, dall’unica Pasqua che si protende nel tempo». La Liturgia della Parola non si dispiega, nel Tempo di Pasqua, in una successione cronologica di eventi, ma nella riproposizione dei differenti aspetti delle meraviglie e dell’opera della Resurrezione. Il Tempo di Pasqua inizia con la domenica di Risurrezione e si protrae per cinquanta giorni fino alla solennità di Pentecoste, per questo motivo è anche detto Cinquantina pasquale. Nella tradizione patristica e liturgica i cinquanta giorni che seguivano la celebrazione della Pasqua annuale venivano considerati come una grande domenica, un solo “grande giorno”. Per la Chiesa antica i cinquanta giorni del tempo di Pasqua erano vissuti come «una perenne e ininterrotta festività» nella quale si celebrava nella gioia la risurrezione del Signore. In tali giorni era vietato ogni atteggiamento e ogni gesto che ne potesse oscurare il carattere festivo e gioioso (digiuno, genuflessioni…) e ciò per esprimere la gioia della Chiesa per la vittoria del Signore sulla morte e per la nuova vita che la partecipazione alla Pasqua di Cristo aveva fatto germogliare nei credenti.

“Il Signore è davvero risorto. Alleluia. A lui gloria e potenza nei secoli eterni”. (Ant. ingresso Dom. di Pasqua)

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Quando i padri affermano che si tratta di “una grande domenica”, intendono questo tempo pasquale come un unico “ottavo giorno”, nome che veniva dato alla domenica, cioè un giorno che va fuori dai ritmi normali del tempo, fondato sulla settimana, divenendo in tal modo profezia, anticipazione, “caparra” della vita eterna. È per questo motivo che le domeniche del Tempo di Pasqua sono considerate domeniche di Pasqua e, dopo la domenica di risurrezione, si chiamano domeniche II, III, IV, V, VI e VII di Pasqua. Questo sacro tempo dei cinquanta giorni si conclude con la domenica di Pentecoste.

A partire dai testi biblici ed eucologici si comprende subito come la Chiesa in questo Tempo sia condotta a “fare propria” la Pasqua che ha celebrato “in unità” nel Triduo santo. Tutta la liturgia, nelle domeniche di questo tempo liturgico, guida all’incontro con il Cristo risorto presente nella comunità dei credenti e mostra i frutti della Pasqua nella vita della Chiesa, nelle varie angolature nelle quali è possibile comprendere il mistero pasquale. Cristo Gesù, il Signore, è divenuto il Vivente ed è presente ed operante nella Chiesa: domenica per domenica la celebrazione liturgica introduce a tale realtà. Il Risorto, viene incontro alla comunità radunata nel suo nome, si lascia incontrare e toccare da ogni generazione di credenti, anche da chi, come Tommaso, la sera del giorno di Pasqua era assente. Nella sua Pasqua è divenuto per la Chiesa Colui nel quale le Scritture trovano pieno compimento, la loro chiave interpretativa e il loro senso ultimo. Nello spezzare il pane, con e per mezzo dei gesti memoriali dell’Ultima Cena, gli occhi dei discepoli si aprono e «ritorna la memoria del cuore che ardeva nel loro petto mentre il Risorto, pellegrino sconosciuto che camminava accanto a loro sulla strada, spiegava le Scritture». Egli è il buon pastore che i discepoli hanno seguito nel suo cammino verso la Pasqua, hanno ascoltato le sue parole e visto i suoi gesti; ora pertanto ne riconoscono la voce e lo seguono. Egli è il pastore che continua a nutrire le pecore con la sua stessa vita alla duplice mensa del banchetto eucaristico, anticipazione e preludio di quel banchetto preparato dal Padre, fin dalla fondazione del mondo, per tutta l’umanità. Quindi Gesù Risorto è divenuto per la sua Chiesa la guida, Colui che la conduce attraverso i sentieri della storia verso i pascoli della vita eterna. Gesù il Signore è “la via”, una “via nuova e vivente” inaugurata per noi (cfr. Eb 10,20), quella via che ogni discepolo/ credente è chiamato a percorrere per giungere alla piena conformazione con il suo Maestro e Signore. Cristo Gesù è la verità e la vita, Colui che rivela il volto del Padre perché insegna e consegna ai suoi discepoli il comandamento dell’amore, quell’amore da Lui vissuto nella totalità del dono. Non si tratta, infatti, semplicemente della consegna di una norma, ma della consegna di un modello di vita, di progetto esistenziale. Nella Pasqua di Gesù è stato dato alla Chiesa il dono per eccellenza, quel dono che rende possibile e attuale ognuno dei doni che abbiamo appena elencato: il dono dello Spirito Santo. Lo Spirito è il Consolatore, colui che guida i discepoli alla “verità tutta intera” e che “ricorderà” tutto ciò che Gesù ha detto; è il “dono” dei tempi messianici, “segno” del compimento delle promesse di Dio. Che la Pentecoste sia il compimento e il coronamento del tempo pasquale lo dimostra anche il fatto che il termine “Pentecoste” sia stato usato sia per indicare l’ultimo giorno di questo tempo, sia l’intero periodo dei cinquanta giorni. La celebrazione liturgica del Tempo pasquale, mentre annuncia e celebra la presenza viva del Risorto nella comunità dei credenti, le rivela i molteplici volti della Pasqua, delineando anche i «tratti irrinunciabili del volto della Chiesa, le realtà che stanno alla base della sua vita e che le sono state donate appunto dalla vittoria pasquale del suo Signore». Il Tempo di Pasqua è, per eccellenza, il tempo della mistagogia, cioè il tempo della “intelligenza dei misteri” che si sono celebrati nella notte di Pasqua: luogo proprio della celebrazione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana, in quanto i sacramenti sono partecipazione alla vittoria pasquale di Cristo, eventi sorgivi del processo dinamico di conformazione a Lui.

Fin dall’antichità è esistita nella Chiesa una speciale metodologia catechistica che, proprio a partire da una comprensione piena dei riti e delle preghiere, tende a far partecipare attivamente i fedeli alla celebrazione liturgica. Questa catechesi prese il nome di catechesi mistagogica.

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Il termine mistagogia affonda le radici nella parola greca mystérion che a sua volta deriva dal verbo myéô che significa: insegnare una dottrina, iniziare ai misteri; infatti «erano chiamati mystai coloro che venivano introdotti (= ago) nella comprensione piena dei santi misteri della fede al termine del catecumenato e dopo aver ricevuto i tre sacramenti dell’Iniziazione cristiana: Battesimo, Confermazione, Eucaristia». La tradizione ci riporta antiche e splendide catechesi mistagogiche di alcuni dei Padri della Chiesa facendone emergere la finalità. Cirillo di Gerusalemme, ad esempio, nel rivolgersi ai neofiti li chiama «figli genuini e desideratissimi della Chiesa»; spiega il tempo e lo stile della catechesi mistagogica in questo modo: «Siccome sapevo che si crede di più a quello che si vede che a quello che si ode, ho aspettato questo momento...Ormai siete divenuti capaci dei più divini misteri, perché fatti degni anche del battesimo vivificatore. Dal momento che ormai bisogna imbandire a voi il banchetto degli insegnamenti più perfetti, incominciamo dunque a insegnarveli diligentemente, affinché comprendiate quello che avete veduto compiersi su di voi nella notte del battesimo». Teodoro di Mopsuestia nelle sue Omelie catechetiche: «Ogni sacramento è l'indicazione, attraverso segni e simboli, di realtà invisibili e ineffabili. Una rivelazione e una spiegazione su tali realtà sono certamente necessarie, se qualcuno vuole conoscere la forza di questi misteri. Se ciò che accade effettivamente fosse soltanto quello che si vede fare, la spiegazione sarebbe superflua, perché basterebbe la vista a mostrarci le cose che si verificano. Ma nel sacramento si trovano i segni di ciò che avverrà (nel futuro) o di ciò che è già avvenuto (nel passato), e perciò è necessario un discorso che spieghi il senso dei segni e dei misteri». In tal modo le catechesi mistagogiche sono distinte, come tempo e come metodologia, sia dalla catechesi catecumenale che dall'omelia.

Nella Chiesa antica alla mistagogia era dedicata tutta la settimana che segue la Pasqua; il Vescovo rivolgendosi ai «neofiti» (= nuove piante) offriva «il banchetto degli insegnamenti più perfetti»; che si concludeva con la domenica in albis, così detta per la deposizione delle vesti bianche. La mistagogia aveva dunque la funzione di condurre, attraverso i segni, oltre la soglia del mistero cristiano dove è possibile incontrare il Signore risorto che misticamente, e realmente, si fa presente alla sua Chiesa.

La mistagogia, sia come termine che come metodo del processo dell’ Iniziazione cristiana è ritornata a pieno titolo, come frutto della riflessione conciliare del Vaticano II. Il nuovo Rito dell’iniziazione cristiana degli adulti (= RICA, 1972), consapevole dell'importanza che hanno i santi segni per entrare più profondamente nel mistero cristiano, ha recuperato questa antica tradizione: «Dopo quest'ultimo grado (il conferimento dei 3 sacramenti di Iniziazione: Battesimo, Confermazione, Eucaristia), la comunità insieme con i neofiti prosegue il suo cammino nella meditazione del Vangelo, nella partecipazione all'Eucaristia e nell'esercizio della carità, cogliendo sempre meglio la profondità del mistero pasquale e traducendolo sempre più nella pratica della vita. Questo è l'ultimo tempo dell'Iniziazione cioè il tempo della "mistagogia" dei neofiti» (RICA 37). E continua ancora: «In realtà una più piena e più fruttuosa intelligenza dei misteri si acquisisce con la novità della catechesi e specialmente con l'esperienza dei sacramenti ricevuti. I neofiti infatti sono stati rinnovati interiormente, più intimamente hanno gustato la buona parola di Dio, sono entrati in comunione con lo Spirito Santo e hanno scoperto quanto è buono il Signore. Da questa esperienza, propria del cristiano e consolidata dalla pratica della vita, essi traggono un nuovo senso della fede, della Chiesa e del mondo» (RICA 38). Le catechesi dunque, come all'inizio della Chiesa, devono tornare ad essere un cammino che introduca alla vita liturgica (catechesi mistagogica).

Le «Premesse» all'edizione italiana del RICA (1978) così affermano: «questo itinerario, graduale e progressivo di iniziazione e di evangelizzazione... è presentato con valore di forma tipica per la formazione cristiana»; ed invitavano a «costituire una catechesi di tipo mistagogico dei sacramenti già ricevuti, in vista di una esperienza più piena della loro divina efficacia». Dall'esperienza dei Padri e dalla tradizione liturgica, «emerge dunque che “mistagogia” è:

* una conoscenza-esperienza sempre più profonda, piena, fruttuosa del mistero pasquale e la sua traduzione nella pratica della vita;

* un attingere un nuovo senso della fede, della Chiesa, del mondo;

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* ciò è possibile per la confluenza di almeno due vie: la novità di una catechesi che permette di chiarire l'intelligenza delle Scritture mediante la meditazione della buona parola di Dio e mediante una più profonda comprensione dei riti e delle preghiere; la comunione con lo Spirito Santo prodotta dai sacramenti ricevuti accresce l'esperienza della vita sacramentale e comunitaria, permettendo di fare esperienza del Signore e del suo amore, motivo di crescita e di continua conversione». Risulta così evidente che lo specifico della mistagogia non si riduce alla semplice spiegazione dei riti sacramentali dopo la loro celebrazione. Ancora due immagini patristiche che ci aiutano a coglierne la comprensione ed il valore: «Presso gli uomini esiste la norma di avvolgere in fasce i bambini alla loro nascita perché il corpo ancora tenero, che si è appena costituito, non riceva alcun danno, ma senza movimento, resti della sua costituzione; e li si mette a dormire e li si fa riposare prima in fasce e, dopo, li si conduce al naturale nutrimento appropriato a conveniente a loro. Allo stesso modo anche noi, è come se avessimo strettamente avvolti in fasce d’insegnamento coloro che sono appena nati col battesimo, perché si affermi in essi il ricordo della grazia che è stata data; e terminato il discorso, li abbiamo fatti riposare, perché era sufficiente la misura di ciò che era stato detto…» (Teodoro di Mopsuestia, Omelie catechetiche XV,1) Ed il vescovo Agostino: «Questa giornata è detta “Ottava dei nuovi nati”; a questi si toglie oggi dal capo il velo in segno della libertà da loro acquistata… Due sono le nascite dell'uomo: il nascere e il rinascere; la prima ci fa nascere alla fatica e alla miseria, l'altra ci fa rinascere alla pace e alla felicità eterna. Hanno oggi la loro festa i bambini: questi infanti, questi piccoli, lattanti ancora attaccati al seno della mamma, i quali, in quanto infanti, non conoscono, come vedete, quale grande grazia viene loro data oggi; ma anche tutti costoro - vecchi, uomini maturi, giovani - sono nuovi nati… Quelli che voi vedete neonati, sono nati vecchi perché l'Adamo da cui tutti nasciamo, è stato detto il nostro uomo vecchio, mentre il Cristo da cui rinasciamo, è l'uomo nuovo. Costoro dunque sono sia neonati sia rinati a una vita nuova e con il loro nascere portano in sé, se così si può dire, una vecchiezza giovane. Oggi i nostri nuovi nati si riuniscono agli altri fedeli e volano per così dire fuori dal nido. Ci dobbiamo rivolgere a loro mentre li generiamo alla vita nuova; dobbiamo fare come le madri dei rondinotti e dei passerotti che volano strepitando intorno ai loro piccoli, quando questi cominciano a volare fuori dal nido, e con i loro gridi li avvertono amorosamente dei pericoli» (Discorso 376A).

Dopo la celebrazione dei sacramenti nella Veglia Pasquale, occorreva, e occorre anche oggi, un tempo di “intelligenza” di ciò che si è vissuto; intelligenza non di ordine razionale, ma intelligenza che scaturisce dalla fede donata dagli stessi sacramenti. Il sacramento celebrato nella Veglia di Pasqua, come ha avuto bisogno del tempo della Quaresima quale preparazione nella conversione, così ha bisogno di un altro tempo, quello della mistagogia per essere fatto proprio, potremmo dire assimilato. Sarebbe importante «recuperare l’importanza del “celebrare nel tempo” anche per ciò che riguarda i sacramenti; anche i sacramenti non sono “atti puntuali”, ma hanno bisogno di tempi e spazi “appropriati”. E il tempo nel quale i sacramenti possono “respirare” è proprio il Tempo pasquale nel quale si celebra la forza della risurrezione di Cristo nella vita della Chiesa».

PER LA CELEBRAZIONE Domenica di Pasqua. Il Tempo pasquale inizia con la Domenica di Pasqua, chiamata, con espressione ebraica ”solennità delle solennità”. Dopo la grande celebrazione della Veglia pasquale, che ha segnato il punto culminante del Triduo pasquale e di tutto l'anno liturgico, questa Messa della Domenica di Pasqua è un solenne rendimento di grazie per il soffio di vita nuova portato dal Risorto nella Chiesa e nei singoli cristiani; è una RINNOVATA PROFESSIONE DI FEDE in Colui che è il vivente, riapparso glorioso in mezzo i suoi. La Chiesa che proclama sempre le meraviglie di Dio, lo fa soprattutto in questo giorno, nella pienezza della gioia pasquale (prefazio). Il formulario della Messa del giorno

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pone l’accento sul fatto storico della risurrezione, senza dimenticare le sue implicanze teologico – salvifiche, le sue ripercussioni sulla vita teologale e morale dei cristiani, la proiezione escatologica della Pasqua. La Lettera circolare Paschalis sollemnitatis al n.97 così si esprime: «Si celebri la Messa del giorno di Pasqua con grande solennità. È opportuno oggi compiere l’aspersione dell’acqua, benedetta nella veglia, come atto penitenziale. Durante l’aspersione si canti l’antifona «Ecco l’acqua», o un altro canto di carattere battesimale». La fedeltà a questi richiami possono aiutare a dare l’impronta caratteristica a questo giorno, che spesso rischia, dopo la grande Veglia, di trasformarsi nelle comunità parrocchiali in una messa scarna dal punto di vista del clima celebrativo. Durante tutto il tempo pasquale in ogni celebrazione liturgica il cero pasquale rimane acceso, al termine di tale tempo il suo posto è accanto al cero pasquale e viene acceso solamente durante la celebrazione dei Battesimi e per le esequie. La Lettera circolare, inoltre, richiama alla valorizzazione della celebrazione dei Vespri detti battesimali, da concludere con la processione al fonte battesimale. E’ un forte richiamo al frutto della Pasqua che nel Battesimo ha fatto della comunità credente un popolo sacerdotale che innalza a Dio Padre nello Spirito per mezzo del suo Signore il sacrificio del ringraziamento e della lode, espressione del nuovo culto. Ottava di Pasqua o settimana “in Albis”.

I primi otto giorni del tempo pasquale costituiscono l’ottava di Pasqua e si celebrano come solennità del Signore (cf Norme generali per l’ordinamento dell’anno liturgico e del calendario, 22-26). La Liturgia della Parola in tutti i giorni dell’ottava pasquale presenta una struttura tipicamente festiva, con lettura, epistola e vangelo. Le pericopi sono tutte focalizzate sul mistero della Resurrezione, La liturgia di questa ottava è, però, caratterizzata non solo dal mistero pasquale, ma anche dall’attenzione per i neobattezzati, i quali nelle celebrazioni eucaristiche quotidiane venivano introdotti più profondamente nei misteri dei sacramenti dell’iniziazione da essi ricevuti (catechesi mistagogiche). Questa settimana si chiamava un tempo, a motivo delle vesti bianche dei neobattezzati, anche settimana in albis, e la domenica seguente domenica in albis.

È una opportunità pastorale e catechetica per itinerari di Iniziazione cristiana. L’ottava si conclude con la Domenica “in albis depositis”, in quanto venivano deposte le vesti bianche; è incentrata sul Vangelo della manifestazione del Risorto “otto giorni dopo”. Dalla Lettera circolare è richiesto «che si faccia sempre, nell’ottava di pasqua, la preghiera di intercessione per i neo-battezzati, inserita nella preghiera eucaristica» (n. 102). II Domenica di Pasqua. La seconda domenica di Pasqua è il giorno ottavo della resurrezione e ottava del battesimo. I cristiani sono uomini che hanno fatto esperienza della liberazione pasquale, il dono dello spirito diventa principio di una nuova creazione, l'inizio di una nuova l'umanità. L'incredulità di Tommaso e il suo successivo vedere, spiegano i padri della Chiesa, è servito alla comunità credente che, pur non avendo visto il Signore, hanno parte del dono del suo Spirito e della sua pace. Da qui nasce una gioia indicibile e gloriosa. Ogni anno a Pasqua, «non solo si ricorda il grande evento che è al centro della storia della salvezza, ma lo si rivive questo fatto, nella sua efficacia attualità sacramentale, e lo si proietta nella certezza di un futuro, quando vita e gioia saranno l'espressione concreta della Pasqua eterna. Un passato, dunque un presente ed un futuro in cui si esprime la mirabile ricchezza misterica della Pasqua cristiana». È il senso dell'incessante ripresa della Pasqua nella vita della Chiesa. Celebrare è rivivere, RIUNITI, il mistero della Pasqua, in un'affermazione di fede e in un'espressione concreta d'amore. La Pasqua riunisce: per questo è avvenuto Gesù, per questo è morto e del risorto, per riunire i figli dispersi. I cristiani si distinguono subito come coloro che si riuniscono in un giorno determinato, per incontrarsi, come per un appuntamento, con Cristo Signore. Una presenza la sua, invisibile ormai, ma non per questo meno reale ed efficace.

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III Domenica di Pasqua. La celebrazione eucaristica di questa domenica viene illuminata dalla descrizione del racconto di Luca 24, 13-35. L’evangelista lo descrive con i termini propri della Celebrazione eucaristica del suo tempo. Il termine «spezzare il pane» per indicare l'Eucaristia, è troppo frequente nel libro degli Atti, per non pensare qui ad essa. Un episodio, questo, che la liturgia della messa è rivivere in pieno nei suoi due momenti: i due momenti in cui si articola l'unico atto di culto che è la Messa. Noi incontriamo Gesù nell'assemblea liturgica, lo ascoltiamo quando vengono proclamate le Scritture perché è Lui stesso che ci spiega la parola, ma lo riconosciamo quando viene spezzato il pane. Prima L'ASCOLTO della parola e poi L'INCONTRO con Cristo nella frazione del pane, cioè al momento della comunione; ma «perché ci sia questo incontro è necessario che avvenga per primo l'ascolto. L'ascolto si riaggancia un passato di fede, l'incontro e di attualizza quel passato in una presenza di amore». L'episodio di Emmaus è il fatto che si riprende sacramentalmente in ogni Messa domenicale In questa terza domenica di Pasqua, inoltre, la liturgia ritorna con rinnovata letizia su alcuni temi fondamentali della celebrazione pasquale: la dimensione cosmica della risurrezione di Cristo; il compimento, nella resurrezione di Cristo, di tutti i segni con cui Dio aveva preparato a poco a poco, lungo i secoli della storia della salvezza; la nostra resurrezione finale con Cristo. IV Domenica di Pasqua. La liturgia di questa domenica è dominata dalla figura significativa del Buon Pastore, un'implicita affermazione di Cristo Dio e uomo. Dio, nell'Antico Testamento, si era rivelato al suo popolo Israele con questa immagine del buon pastore che si prende cura del suo gregge. Gesù riprende questa immagine biblica per la sua persona facendone un'affermazione indiretta della sua divinità: Egli, infatti è una sola cosa con il Padre. Un'immagine che viene completata con quella del buon pastore che dà la vita per il suo gregge: affermazione della sua azione redentrice. È naturale che la figura del buon pastore venga rievocata dalla liturgia proprio nel tempo pasquale: periodo liturgico in cui la Chiesa si stringe intorno a Cristo Signore, che morendo sulla croce e risorgendo ha ridonato agli uomini la vita. Ecco perché tale immagine, fin dall'inizio, fu così cara ai primi cristiani considerandola un compendio della loro fede in Cristo Signore. L'antifona di comunione lo esprime con eloquenza: «è risorto il Buon pastore, che ha offerto la vita per le pecorelle, e per il suo gregge è andato incontro alla morte, alleluia». Ciò che salva il gregge è la mutua conoscenza tra il pastore le pecore: esse LO ASCOLTANO perché LO CONOSCONO. La vita della comunità cristiana dipende allora da questo “rapporto profondo” che i discepoli hanno con il Maestro. Nella conoscenza di Lui, che per Giovanni significa intima comunione di spirito con Lui, i cristiani possono trovare quella serenità e sicurezza che dovrebbero poi trasfondere nel mondo. Nel momento della COMUNIONE EUCARISTICA Gesù si rivela in pieno il Buon Pastore: non solo la sua parola penetra i cuori, li illumina e li riscalda, ma in lui stesso il risorto, colui che ha donato la vita, che si dona a chi crede e si accosta a riceverlo sotto il segno dell'eucaristia. In questa domenica la Chiesa prega in modo particolare per le vocazioni di “speciale consacrazione". La comunità cristiana deve avvertire la responsabilità di maturare nella vita cristiana e far sì che al suo interno possano, alcuni dei suoi membri, accogliere la chiamata ad una consegna radicale a Dio, in Cristo, per l’annuncio e la testimonianza del Vangelo. Una vita tutta e totalmente donata, come quella del Buon pastore, al Padre per i fratelli.

V Domenica di Pasqua. La quinta domenica di Pasqua fa emergere come la celebrazione dell'eucaristia, specialmente quella domenicale, e l'espressione è la manifestazione più bella della vita della Chiesa. Nella celebrazione eucaristica abbiamo il culmine dell'azione con cui Dio in Cristo santifica il mondo e l‘azione della Chiesa che, per mezzo di Cristo, nello Spirito rende culto al Padre. Inoltre «la celebrazione eucaristica contribuisce a che i cristiani esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della Chiesa». E’ dalla Pasqua di Cristo che è nata la Chiesa. Dalla Pasqua di Cristo, morto e risorto, la Chiesa attinge incessantemente la sua vita; una

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vita pasquale che trova il suo compimento nella liberazione dalla schiavitù del peccato e nell'alleanza nuova ed eterna con Dio Padre. In questa domenica la Chiesa viene presentata nel suo essere e la sua vita, riconoscendo in Cristo la «sua pietra angolare, eletta e preziosa» su cui si regge tutto il suo edificio; Colui che la guida e la sostiene. Cristo Gesù è il suo Maestro e Signore, Colui che è la via la verità e la vita. Non si può andare al Padre se non per mezzo di questa via, non si può accogliere la salvezza se non attraverso questa verità; non si può entrare nella vita eterna se non si partecipa a questa vita. Cristo Gesù ha voluto la sua Chiesa come un edificio compatto e nello stesso tempo come un organismo vitale, in cui ognuno ha la sua funzione in modo gerarchico e ordinato. La Chiesa ed insieme di tutti i fedeli: «pietre vive, innalzate in edificio spirituale, in un sacerdozio santo, stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, un sacerdozio santo, popolo che Dio si è acquistato». La Chiesa così intesa manifesta nella celebrazione eucaristica pienamente se stessa. Cristo, figlio del Padre e primogenito tra i fratelli, presiede invisibilmente la celebrazione e conduce la Chiesa al Padre; il celebrante e i ministri consacrati che presiedono la celebrazione, rappresentano visibilmente Cristo, proclamano, loro e non altri, la sua parola, dispensano l'Eucaristia, pregano a nome di tutto il popolo; il popolo santo di Dio offre il sacrificio di Cristo e di se stesso insieme con i ministri ordinati e comunica così con Dio e con i fratelli. Nell'Eucaristia, dunque, questa unità si riafferma e si rinsalda. La celebrazione di questa domenica richiede una maggiore cura, perché tale unità e ministerialità emerga in tutto il suo valore e nella sua bellezza. VI Domenica di Pasqua.

Nella sesta domenica di Pasqua che precedere la solennità dell'Ascensione, comunità credente è orientata verso il compimento del mistero pasquale: il trionfo supremo di Cristo e la venuta dello Spirito santo. Cristo è morto ed è risorto proprio per questo: ritornare nella gloria del Padre suo e Padre nostro, per preparare un posto alla nostra umanità glorificata nella sua ed inviare un altro consolatore lo Spirito paraclito che rimanga con la sua Chiesa per sempre.

La liturgia di questa domenica ricorda ai fedeli che la propria grandezza sta nel fatto di essere stati santificati da Cristo Signore e che ora sono chiamati a glorificarLo in loro. La discesa dello Spirito, riprendendo l'opera di Cristo la porta a compimento nella verità che libera e salva.

Lo Spirito è dono del Padre, un dono che però si recepisce solo nella fede e nell'amore. Un amore che consiste nell'osservare la parola di Gesù, ossia i suoi comandamenti. Questo amore effettivo sarà la manifestazione stessa dello Spirito, sia per coloro cui è dato sia per gli altri. Cristo allora continua ad essere presente nella sua Chiesa, anche dopo la sua glorificazione, nel dono dello Spirito che si manifesta per mezzo della fede e dell'amore che i suoi figli esercitano. Questa carica interiore darà ai cristiani la forza di rispondere a chiunque domandi ragione della speranza che è in loro. La certezza che Cristo è vivo, ed è presente nella sua Chiesa e nell'anima dei cristiani, li rende sereni anche in mezzo alle persecuzioni e alle tribolazioni. La DIMENSIONE MISSIONARIA DELLA CHIESA è già presente: si sottolinea la mediazione degli Apostoli, che hanno il compito di confermare, attraverso l'imposizione delle mani, non solo il battesimo ricevuto nel nome del Signore Gesù, ma anche la predicazione dei missionari. È una chiara allusione al secondo sacramento che inizia, cioè forma, rafforza e conferma, dopo il battesimo il cristiano e gli comunica il dono dello Spirito perché dia della sua vita testimonianza fattiva della sua fede in Cristo. Il tempo pasquale è quello in cui la nostra fede nella resurrezione viene confermata, e nello stesso tempo si fa convinzione profonda, da manifestare nel modo di pensare, di parlare e di vivere. La celebrazione dell'eucaristia, mentre è il memoriale della morte redentrice del Cristo, rafforza in questa fede e impegna a testimoniarla nella vita. Ascensione

In questa solennità la liturgia celebra in Cristo asceso al cielo il compimento dell'avventura del Figlio di Dio, che uscito dal Padre per venire nel mondo, lascia di nuovo il mondo per ritornare al Padre. La Chiesa celebra non tanto il fatto dell'Ascensione di Gesù, quanto il mistero, cioè il valore di questa Ascensione. Essa risulta l'ultimo atto di quella «esaltazione pasquale» che, iniziata con la resurrezione, anzi come dice l'evangelista Giovanni con l’intronizzazione di Cristo sulla

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croce, ha innalzato alla gloria del Padre la sua umanità, dopo la vittoria sul peccato e sulla morte. In questo trionfo Cristo non è solo, con lui, Capo, anche le membra, ascendono alla gloria del Padre resi partecipi della sua stessa vita. La glorificazione di Cristo, infatti, non è un avvenimento che riguarda solo la persona di Gesù, ma riguarda tutti gli uomini. Tutti sono chiamati a comprendere a «quale speranza sono stati chiamati, a quale tesoro di gloria sono stati condotti, quando Dio risuscitò Cristo dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cieli». L'umanità intera, in Cristo, ha raggiunto la sfera celeste. Egli, nella sua glorificazione, è diventato non solo Signore e giudice di tutta la creazione, ma è diventato Capo del corpo che è la Chiesa. Ne deriva che dove si trova il Capo, là è destinato a giungere anche il corpo. L'Ascensione è una festa di speranza che scaturisce dalla certezza nella fede del Signore risorto. I cristiani, afferma san Paolo, sono coloro che «ATTENDONO LA BEATA SPERANZA», una speranza che da una parte acuisce il desiderio del cielo dall'altra non disancora dagli impegni di questo mondo. È questo uno dei paradossi cristiani: la continua tensione fra l'impegno nel mondo in cui vivono e il desiderio del mondo in cui sperano. Nella celebrazione dei divini misteri tale tensione raggiunge il suo equilibrio e nella docilità all'azione dello spirito viene trasformata in rinnovata energia di vita. I cristiani «pellegrini sulla terra, possono pregustare nella fede e nei sacramenti la gloria di quella patria eterna, dove Cristo ha innalzato l'uomo accanto a sè» nella gloria Gli stessi discepoli, tornate dal monte a Gerusalemme, in obbedienza la parola del Maestro si riuniscono in preghiera in attesa di ricevere la forza dello Spirito. Le solennità pasquali non si chiudono con l'Ascensione ma occorre attendere di essere rivestiti di potenza dall'alto: è ciò che fa tutta la Chiesa in questi giorni che è l separano dalla Pentecoste.

Pentecoste. Con la solennità della Pentecoste giunge a compimento il tempo colmo di gioia dei 50 giorni in cui la Chiesa celebra «la risurrezione del Signore, la gloria del suo Sposo, l'ineffabile potenza del suo amore che si irradia con soave forza e dolce consolazione mediante il dono dello Spirito santo». Questo dono, nel quale «Dio viene sempre a salvare l'uomo e l'uomo è abilitato a compiere le opere del suo Signore», costituisce il compimento delle promesse divine contenute nella Scrittura e segna giustamente il compimento della celebrazione liturgica del Tempo di Pasqua. Il Mistero celebrato in questo giorno può essere ricondotto a questi temi particolari, espressi anche nel prefazio di Pentecoste: " giungere a compimento il mistero pasquale; " si commemora il dono dello spirito santo effuso sugli apostoli; " inizia la missione della Chiesa presso tutte le lingue, i popoli e le nazioni.

Nel cinquantesimo giorno, pienezza della Pasqua, vi sono due grandiose liturgie da tenere presente: quella della vigilia e del giorno. La sera del sabato, secondo le indicazioni del Messale romano, si può prolungare la celebrazione vigilare ad imitazione de Cenacolo di Gerusalemme. Le letture previste per la Messa Vespertina della Vigilia ci introducono nella ricchezza del mistero salvifico della Pentecoste: lo spirito di Dio e del Signore opera come energia di unità, fonte di fraternità nella giustizia e nell'amore. Andando ogni giorno a Gesù con la propria fede, la Chiesa si disseta incessantemente all'acqua viva dello Spirito, nel quale trova la sorgente della propria vita e della propria missione e già sperimenta di partecipare, pellegrina sulla terra, alla liturgia del cielo. La gioia dei tempi messianici ha inizio con la fede pasquale in Gesù, fede alla cui luce la croce non è né scandalo né stoltezza ma potenza di Dio per la salvezza di quanti accolgono il suo amore. Non a caso nella liturgia di questa solennità il Vangelo riporta al giorno stesso di Pasqua, quando il Signore risorto venne in mezzo ai suoi riuniti portando la sua pace ed alitando il suo Spirito su di essi, perché con la remissione dei peccati, data in suo nome, essi portassero nel mondo la sua pace. Ogni missione scaturisce dalla Pasqua del Signore che si fa presente in mezzo ai suoi per renderli partecipi della sua salvezza e dunque della sua missione. La missione di Gesù è il fondamento e il modello della missione di discepoli. In quanto comunità della nuova alleanza i discepoli sono abilitati dallo Spirito a portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra, accogliendo nella

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Chiesa i credenti perché «abbiano la conoscenza della salvezza nella remissione dei peccati» e diventino, a loro volta, discepoli inviati dal Risorto nella potenza dello Spirito.

Gli elementi con cui Luca descrive la Pentecoste cristiana sono un chiaro riferimento alla teofania del Sinai in occasione dell'antica alleanza (Es 19, 16 – 19). È l'intervento potente del Signore che si fa presente al popolo che si è scelto e al quale sta per consegnare la legge nuova: lo Spirito in un cuore rinnovato. Gesù, risorto e asceso al cielo, ha ricevuto dal Padre lo Spirito per poterla sua volta riversare sui suoi discepoli. Pentecoste compimento della Pasqua. I discepoli sono ancora riuniti nella preghiera e nell’attesta, con Maria, la madre di Gesù e con alcune donne fedeli: lo Spirito scende e riempie la casa che tutti li accoglieva. Al Giordano lo Spirito è sceso su Cristo, uomo-Dio, a Pentecoste discende sul Cristo mistico della Chiesa nascente, raccolto in preghiera, “iniziandolo” a rendere testimonianza delle grandi opere compiute da Dio. Lo Spirito santo è Colui che scrive la rivelazione di Dio nel cuore dell'uomo in quanto trasforma i credenti, trasfigurandoli «nell'icona gloriosa del Signore» e costituendoli perciò comunità della nuova alleanza. I popoli elencati in modo solenne ed emblematico rappresentano la primizia della Chiesa chiamata ad essere testimone di Gesù «fino agli estremi confini della terra». È finito il tempo in cui l'umanità è chiusa nell'angustia della propria incomunicabilità, è finito il tempo della confusione delle lingue: lo Spirito è «fonte di unità nella confessione delle grandi opere di Dio e di unità di tutti i popoli nell'identità e mutua comunicazione delle loro culture».

Da un autore africano del secolo VI: «Celebrate questo giorno come membra dell'unico corpo di Cristo. Infatti NON LO CELEBRERETE INUTILMENTE SE VOI SARETE QUELLO CHE CELEBRATE. Se cioè sarete incorporati a quella Chiesa, che il Signore colma dello Spirito santo, estende con la sua forza in tutto il mondo, riconosce come sua venendo da essa riconosciuto». Per la celebrazione di questa solennità si potrà creare un contesto di fuoco, ad esempio con delle fiaccole, nell'aula liturgica. Dopo l'omelia, per la professione di fede si potrà andare al fonte battesimale cantando e rinnovare le promesse del Battesimo. La partecipazione eucaristica sia per tutti i fedeli «con i segni del pane e del vino che proprio il fuoco dello Spirito»

Come sintesi conclusiva possiamo dire che il tempo pasquale sottolinea, almeno, 4 aspetti importanti: ! È tempo di Cristo: è Lui la nostra Pasqua, ed è Lui il Vero Agnello in cui si compiono le antiche prefigurazioni. ! È tempo dello Spirito (Gv 20,19-23): Cristo è risorto per opera dello Spirito Santo ed è Egli stesso sorgente dello Spirito. Attraverso questo dono possiamo partecipare realmente alla vita nuova del Risorto nella Chiesa. “Dove c'è lo Spirito di Dio, là c'è la Chiesa” (S. Ireneo). ! È tempo della Chiesa: tutto il Mistero della Chiesa trae origine e forza dal Mistero salvifico Pasquale e progredisce sotto l'azione dello Spirito di Pentecoste. ! È tempo escatologico: la Pasqua che celebriamo è anticipazione della vita nuova e attesa del suo compimento nella Pasqua celeste. Il Tempo di Pasqua è dunque: partecipazione piena alla vita nuova del Signore Risorto; richiamo forte ad una autentica testimonianza di vita; conferma della speranza di vittoria sulla Morte; accoglienza gioiosa della sollecitazione dello Santo; invito a vivere nella libertà dei figli di Dio; richiamo a portare agli altri la gioia della Resurrezione. Con questi atteggiamenti andiamo incontro al compimento del tempo pasquale: il giorno di Pentecoste, giorno della manifestazione della Chiesa ed inizio della sua missione nell’annuncio, nella testimonianza, nel servizio; segno sacramentale di Cristo, unico Salvatore del mondo.

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PER DILATARE LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA

FAMIGLIA

Sarebbe opportuno facendo riferimento a quanto indicato alle pp. 130-137 di La famiglia in preghiera (Ed. Conferenza Episcopale Italiana, Roma 1994) predisporre sussidi appropriati da distribuire alle famiglie per aiutarle a vivere nelle proprie case come “chiesa domestica” il cammino del Tempo di Quaresima e il Triduo Pasquale.

NOTA LITURGICA

ASSEMBLEA LITURGICA E BATTISTERO

Il tempo di Pasqua è il tempo liturgico che, in modo del tutto speciale fa risaltare, il legame tra il battistero o fonte battesimale, «icona spaziale» del sacramento del Battesimo e l’assemblea riunita a celebrare i Divini Misteri. La Sacrosanctum Concilium (=SC) al n. 26 così scrive: «Le azioni liturgiche non sono azioni private, ma celebrazioni della Chiesa; che è sacramento di unità, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi. Perciò tali azioni appartengono all’intero Corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; i singoli membri poi vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli uffici dell’attuale partecipazione». La novità più radicale e importante della Riforma a livello di principi è stata la riscoperta dell’assemblea-chiesa come elemento base della stessa liturgia. È con la SC che l’assemblea liturgica ritorna ad assumere una piena soggettualità, persa durante i secoli a causa della forte clericalizzazione dell’agire liturgico, impoverito nei suoi segni e nel suo linguaggio celebrativo. Il termine «partecipazione», parola chiave e ricorrente della riforma liturgica (SC n. 52) ha riportato l’assemblea liturgica alla sua vera soggettualità e di conseguenza al suo ruolo nel’ambito della celebrazione liturgica. A partire dai molti interventi magisteriali, che si succederanno al periodo post riforma, la comunità dei fedeli, radunata e presieduta dal suo pastore a celebrare la sacra liturgia, e considerata come la massima epifania della Chiesa, è stata oggetto di molte riflessioni. La partecipazione alla liturgia è diritto e dovere di tutti i fedeli in forza del Battesimo che li ha resi popolo sacerdotale, ed è la prima ed indispensabile fonte da cui i cristiani possono attingere l’autentico spirito cristiano. Così afferma Gelineau: «L’assemblea dei cristiani è un’esigenza in se stessa, antecedentemente a qualsiasi azione liturgica particolare, parola o rito. Essa è già di per se stessa azione e situazione liturgica; è già in se stessa mistero e sacramento, grazie alla presenza operante del Signore». La SC al n. 106 evidenzia la motivazione storico – teologica del riunirsi della Chiesa di domenica, ricorda infatti che: «Secondo la tradizione apostolica, che ha origine dallo stesso giorno della risurrezione di Cristo, la Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, in quello che si chiama giustamente «giorno del Signore » o « domenica ». Se anzitutto si stabilisce il giorno dell’assemblea, non è meno presente la consapevolezza della prima comunità cristiana di concepirsi come assemblea. Ciò significa che l’esperienza del radunarsi insieme tra i credenti in Cristo è determinante per l’autocoscienza della comunità cristiana quale ekklesìa Da tale motivazione scaturisce di conseguenza l’esigenza – impegno del ritrovarsi come assemblea liturgica: «In questo giorno infatti i fedeli devono riunirsi in assemblea per ascoltare la parola di Dio e partecipare alla eucaristia e così far memoria della passione, della risurrezione e della gloria del Signore Gesù e

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render grazie a Dio, che li « ha rigenerati nella speranza viva per mezzo della risurrezione di Gesù Cristo dai morti» (1 Pt 1,3)». Già al n. 6 era stato affermato che a partire dal giorno di Pentecoste: «che segnò la manifestazione della Chiesa al mondo, quelli che accolsero la parola di Pietro furono battezzati » ed erano « assidui all'insegnamento degli apostoli, alla comunione fraterna nella frazione del pane e alla preghiera... lodando insieme Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo » (At 2,41-42,47). Da allora la Chiesa mai tralasciò di riunirsi in assemblea per celebrare il mistero pasquale: leggendo « in tutte le Scritture ciò che lo riguardava» (Lc 24,27), celebrando l'eucaristia, nella quale « vengono resi presenti la vittoria e il trionfo della sua morte » e rendendo grazie «a Dio per il suo dono ineffabile» (2 Cor 9,15) nel Cristo Gesù, «a lode della sua gloria» (Ef 1,12), per virtù dello Spirito Santo (SC 6). Questa assemblea liturgica i cristiani continueranno a celebrarla come segno della presenza di Cristo e del suo mistero attraverso il tempo e lo spazio. Già a partire dal II secolo la celebrazione eucaristica si presenta con uno schema simile a quello attuale. Il termine Chiesa vuol dire assemblea; la Chiesa vive e si realizza innanzitutto, dunque, quando «si raccoglie in assemblea convocata dal e riunita nel suo Spirito». Come ci ricorda la Nota pastorale della CEI del 1984 «Il Giorno del Signore»: “Il «dies dominicus» è anche il «dies Ecclesiae», il giorno della Chiesa”. La comunità dei fedeli che si raduna, nella fede e nella carità, «è il primo sacramento della presenza del Signore in mezzo ai suoi: nel segno umile, ma vero, del convenire in unum, nel ritrovarsi dei molti nell'unità di «un cuore solo e un'anima sola», si manifesta l'unità di quel corpo misterioso di Cristo che è la Chiesa». L’ assemblea liturgica «deve saper esprimere in se stessa la verità del suo «segno»: nell'accoglienza che sa fare unità fra tutti i presenti; nell'intensità della preghiera che sa aprire alla comunione con tutti i fratelli nella fede, anche lontani; nella generosità della carità che sa farsi carico delle necessità di tutti i poveri e dei bisognosi, il cui grido la raggiunge da ogni parte della terra; nella varietà dei ministeri, infine, che sa esprimere tutta la ricchezza dei doni che lo Spirito effonde nella sua Chiesa e i diversi compiti che la comunità affida ai suoi membri». L'assemblea «si realizza e si manifesta, nella sua forma più piena e più perfetta, quando è radunata attorno al suo Vescovo, o a coloro che, a lui associati con l'Ordine sacro nello stesso sacerdozio ministeriale, legittimamente lo rappresentano nelle singole porzioni del suo gregge, le parrocchie» (n.9). L’assemblea liturgica, in quanto tale, è chiamata non solo a manifestare la chiesa ma ad essere anche «luogo rivelativo ed educativo» per la stragrande maggioranza del popolo cristiano. Essa non è elemento secondario della celebrazione è piuttosto «il contesto che permette una corretta, chiara e fruttuosa comprensione del rito». Parlando del luogo dove si riunisce la Chiesa, la Nota pastorale della CEI per la Costruzione di nuove chiese del 1993, offre una ricca definizione di assemblea liturgica: «La realtà della chiesa nella sua profondità misterico-sacramentale si esprime nell'immagine storico-salvifica del «popolo di Dio» e si manifesta in modo speciale nell'assemblea liturgica, soggetto della celebrazione cristiana. Infatti Gesù Cristo, Verbo incarnato, sacramento del Padre, partecipa per mezzo dello Spirito la sua mediazione salvifica al popolo profetico, sacerdotale e regale, la cui ragion d'essere è l'annuncio, la lode, il servizio». L’assemblea, che si raduna a celebrare, gode dello statuto di popolo profetico, sacerdotale e regale, gli stessi “tria munera” che appartengono a Cristo Capo e Signore della Chiesa e che ha comunicato al suo Corpo mistico mediante il sacramento del Battesimo. Lo stesso spazio liturgico diventa connotativo della realtà della Chiesa nel suo essere e nel suo continuo crescere nella dinamica della vita cristiana; infatti in ogni liturgia, soprattutto nella celebrazione eucaristica il farsi dell’assemblea ha il suo punto di partenza nell’iniziativa libera e gratuita del Signore, il quale convoca i credenti attorno a sé. Pertanto: «Il luogo nel quale si riunisce la comunità cristiana per ascoltare la parola di Dio, per innalzare a lui preghiere di intercessione e di lode e soprattutto per celebrare i santi misteri, è immagine speciale della chiesa, tempio di Dio, edificato con pietre vive. […] Il progetto ecclesiologico-liturgico scaturito dal concilio Vaticano II esprime due convinzioni che: la chiesa è mistero di comunione e popolo di Dio pellegrinante verso la Gerusalemme celeste; la liturgia è azione salvifica di Gesù Cristo, celebrata nello Spirito,

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dall'assemblea ecclesiale, ministerialmente strutturata, attraverso l'efficacia di segni sensibili» (n.1 – 2) Nel 1996, la CEI, affrontando l’adeguamento delle chiese in fedeltà ai criteri della riforma liturgica, constata come sia «l'assemblea celebrante a generare e plasmare l'architettura della chiesa». Nel radunarsi la «Chiesa, in qualche modo, proietta, imprime se stessa nell'edificio di culto e vi ritrova tracce significative della propria fede, della propria identità, della propria storia e anticipazioni del proprio futuro». Ciò scaturisce dal fatto che «L'assemblea che celebra, manifestando nella sua conformazione e nei suoi gesti il volto della Chiesa, è una realtà eminentemente viva, dinamica, "storica", in continua, anche se lenta, trasformazione». Facendone risentire di tali trasformazioni alla stessa liturgia«profondamente sensibile rispetto alle vicende e alle trasformazioni ecclesiali e sociali», in quanto pur componendosi di alcuni elementi essenziali ed immutabili, è anch'essa una realtà viva, vissuta da uomini e donne concrete, quindi contestualizzata nei diversi contesti culturali sia storici che geografici. L’assemblea liturgica, nell’atto del celebrare, è «attuazione e rivelazione del mistero della Chiesa […] e proprio perché mistero non è frutto dell’azione di coloro che sono radunati ma dello Spirito che opera nel radunarsi, nel celebrare, nel ricordare». L’assemblea trova la sua origine sorgiva nei sacramenti dell’Iniziazione cristiana: «Per mezzo dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana, gli uomini, uniti con Cristo nella sua morte, sepoltura e risurrezione, vengono liberati dal potere delle tenebre, ricevono lo Spirito di adozione a figli e celebrano, con tutto il popolo di Dio, il memoriale della morte e risurrezione del Signore» (Rito Iniziazione cristiana adulti, Premesse, n.1). Non esiste, dunque, assemblea liturgica senza la celebrazione di questi sacramenti ed è grazie alla loro celebrazione che la Chiesa attua se stessa diventando segno della presenza e dell’azione salvifica di Dio. Secondo uno studio che approfondisce il legame tra assemblea liturgica e Iniziazione cristiana viene evidenziato come dal RICA emerge che l’«Iniziazione si compie nell’assemblea e l’assemblea, a sua volta, prende forma nella e dalla Iniziazione». La dimensione sacramentale della Pasqua del Signore si attua nei fedeli mediante la celebrazione rituale cioè celebrativo – liturgica, divenendo per la vita cristiana «condizione di verità, forma e senso. La forma con cui la comunità celebra è «quella recettiva di chi si lascia costituire nella fede e nella sua forma ecclesiale dalla presenza del Signore». Lo spazio liturgico connota tale accoglienza nella misura in cui «si interseca con la forma della fede ecclesiale». I «molteplici linguaggi ai quali la liturgia ricorre - parola, silenzio, gesto, movimento, musica, canto - trovano nello spazio liturgico il luogo della loro globale espressione. Da parte sua lo spazio contribuisce con il suo specifico linguaggio a potenziare e a unificare la sinfonia del linguaggi di cui la liturgia è ricca. Così, anche lo spazio, come il tempo, viene coinvolto dalla celebrazione del mistero salvifico di Cristo e, di conseguenza, assume caratteri nuovi e originali, una forma specifica, tanto che se ne può parlare come di una "icona"» (Nota pastorale, Adeguamento…, n. 13). Una lunga tradizione che sta alle nostre spalle ha in qualche modo umiliato lo spazio dell'iniziazione cristiana e lo ha ridotto sovente ad un angolo oscuro e abbandonato con un fonte battesimale che ha serie difficoltà ad esprimere le luminose origini pasquali della vita cristiana. Gli spazi liturgici, come del resto ogni altro spazio, non sono affatto innocui; si sono pertanto strutturati come espressione visibile di ciò che la Chiesa intendeva annunciare attraverso i riti. In altre parole, è praticamente il rito che con le sue esigenze ha dato forma allo spazio. All'inizio, come si legge negli Atti degli Apostoli (8,26-40), ogni luogo dove vi fosse dell'acqua era adatto al battesimo. Nei primi secoli infatti tanti battesimi avevano luogo sulle rive di un fiume, di un lago o del mare (cf Tertulliano, De baptismo IV). La progressiva strutturazione di un rito sempre più ricco di azioni simboliche, unitamente ad altre esigenze molto pratiche, portarono la celebrazione di questo sacramento in un primo tempo semplicemente in un luogo riparato e poi, soprattutto dopo la pace costantiniana, dalle case private in un luogo costruito appositamente vicino alla chiesa, dove il rito si concludeva con l'Eucaristia.

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Nascono così i primi battisteri, che per essere funzionali al rito assumono inevitabilmente una struttura fortemente simbolica. I battisteri pertanto sorsero come edifici ben distinti dallo spazio dove coloro che già erano battezzati si radunavano per la celebrazione dell'Eucaristia. Il battesimo infatti è la "porta" che immette nella Chiesa, che aggrega al popolo di Dio e che pertanto permette la partecipazione al banchetto eucaristico, segno della piena comunione in Cristo e nella Chiesa. Il luogo del battesimo consisteva generalmente in una vasca dove il battezzando da una parte scendeva per venire immerso e dall'altra usciva per meglio esprimere il passaggio ad una situazione del tutto nuova, per esprimere la morte dell'uomo vecchio e la nascita dell'uomo nuovo con Cristo risorto. Subito all'uscita della vasca il neo-battezzato veniva accolto dai fratelli, rivestito della tunica bianca e riceveva dal Vescovo la Confermazione. Infine tutti i neo-battezzati entravano processionalmente in chiesa accolti come fratelli da tutta quanta la comunità cristiana che dava loro l'abbraccio di pace per la prima volta. Fin dall'inizio, come attesta anche lo stesso Cipriano (258), vescovo di Cartagine, soprattutto per gli ammalati e le persone deboli (cf Epist. 76,12), non è mai mancato anche il battesimo per infusione, cioè versando semplicemente l'acqua sul capo, senza la completa immersione del corpo. L'infusione ha preso il sopravvento quando, verso la fine del primo millennio, in una società interamente cristianizzata, vennero a mancare quasi del tutto i battesimi degli adulti. Per ovvi motivi si preferiva battezzare i bambini per infusione e di conseguenza in vasche sempre più piccole. Ciò nonostante i battisteri, per la forza dell'antica tradizione, continuarono ad essere costruiti presso le cattedrali delle grandi città fino al XIII secolo. Tuttavia, venendo a mancare in una società cristiana una chiara distinzione fra battezzati e non, come pure l'articolato itinerario di conversione, anche «il fonte battesimale finì con l'entrare in chiesa, diventando parte integrante dello spazio riservato al fedeli». Sovente confuso fra le tante cappelle laterali, il fonte battesimale per quasi un millennio esprime una Chiesa che praticamente s'identifica con la società civile. Il profondo rinnovamento conciliare della Chiesa non poteva non influire sulla prassi dell'Iniziazione cristiana, e di conseguenza anche sullo spazio cultuale riservato alla celebrazione del Battesimo. Anche oggi «questo spazio è chiamato, come del resto tutta quanta la struttura architettonica della chiesa, a rivelare l'identità e la sua missione nel mondo odierno». Si è riscoperta la dimensione comunitaria della fede e del battesimo; dimensione che per lungo tempo è stata oscurata. Per questo le norme (con soluzioni forse un po’ troppo affrettate e sbilanciate sulla visibilità del rito) prevedono o uno spazio battesimale che prima di tutto permetta una celebrazione comunitaria. «Il Fonte battesimale può essere collocato in una cappella, situata in chiesa o fuori di essa, o anche in altra parte della chiesa, visibile ai fedeli; in ogni caso deve essere disposto in modo da consentire la partecipazione comunitaria». (RICA, Premesse, 25). La Nota pastorale della CEI sulla progettazione di nuove chiese, al n.11 così afferma: «Si tenga presente che il rito del Battesimo si articola in luoghi distinti, con i relativi «percorsi» che devono essere tutti agevolmente praticabili. In ogni caso, non è possibile accettare l'identificazione dello spazio e del fonte battesimale con l'area presbiteriale o con parte di essa, né con un sito riservato ai posti dei fedeli». Proprio a questo scopo si. sta instaurando sempre più la prassi innovativa di porre il fonte battesimale in uno spazio ben distinto, ma sull'itinerario ideale che conduce verso l'altare, affinché «risulti manifesto il nesso del Battesimo con la parola di Dio e con l'eucaristia che è culmine dell'Iniziazione cristiana». Accanto al fonte battesimale è prevista una dignitosa collocazione del cero pasquale: il Battesimo è inserimento nel Mistero Pasquale, e richiama l’assemblea ad un permanente itinerario di conversione secondo l’adagio di Leone Magno: «Cristiano diventa quel che sei». È interessante ricordare che i più antichi battisteri erano circolari, come lo erano in genere i mausolei, per evidenziare la partecipazione alla morte di Cristo. Stesso significato per alcuni battisteri esagonali: Cristo è morto nel sesto giorno della settimana.

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Assai più numerosi i battisteri ottagonali in memoria della risurrezione avvenuta nell'ottavo giorno, cioè nel primo giorno della nuova creazione, dopo il settimo dell'antica alleanza. Ritornando poi all'antica tradizione, le attuali norme prevedono la possibilità di fonti battesimali con l'acqua corrente affinché l'acqua viva manifesti ancor meglio la pienezza di vita nuova in Cristo (RICA; Premesse, 21 e 25) È tutta questa ricchezza simbolica che la comunità dei battezzati è chiamata a riacquistare e ad esprimere attraverso lo spazio riservato alla celebrazione dell'Iniziazione cristiana. Come realtà che non sta alle spalle, evento già avvenuto e chiuso in se stesso, ma come processo di crescita che continuamente spinge verso il futuro, in quel «già e non ancora» a cui la liturgia continuamente richiama. Il Tempo di Pasqua, dunque, tempo particolarmente adatto per la catechesi mistagogica. Esso può offrire la possibilità di realizzare itinerari, che a partire dalle stesse celebrazioni esprimano l’unità dei sacramenti dell’Iniziazione cristiana ed il loro intrinseco legame con la dinamica celebrativa facendo crescere l’assemblea liturgica, per e nella celebrazione, verso la pienezza della sua identità e missione.

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IL TEMPO … DELL’ACCLAMAZIONE

Questo è il tempo della gioia! Al n°100 del documento Paschalis sollemnitatis, leggiamo: “La celebrazione della Pasqua continua nel tempo pasquale. I cinquanta giorni che si succedono dalla domenica di risurrezione alla domenica di Pentecoste, si celebrano nella gioia come un solo giorno di festa, anzi come «la grande domenica». Questa affermazione ci consente di andare alla radice dell’espressione naturale della gioia: l’acclamazione, acclamare significa prima di tutto approvare clamorosamente, assentire con entusiasmo, applaudire. Il termine acclamazione, in liturgia, caratterizza « tutto un insieme di formule liturgiche che non sono né antifone, né responsori, né orazioni, né esorcismi, e che nella loro brevità esprimono un augurio o un’affermazione di fede, un’invocazione o una supplica»26 Dal punto di vista della struttura testuale le acclamazioni sono descritte come «un breve periodo che costituisce un’unità semantica che può essere formata da una sola parola o da più frasi, pronunciate sia in continuazione, sia alternativamente».27 Si possono distinguere vari tipi di acclamazioni liturgiche28: 1. acclamazione grido (ad esempio “Parola di Dio”, “Luce di Cristo”, “Credo”, …) 2. acclamazione inno (ad esempio “Santo”, formule dossologiche, …) 3. acclamazione jubilus (ad esempio “Alleluia”, “Osanna”, “Kyrie” fiorito, …) 4. acclamazione di saluto e dialogo (ad esempio “Il signore sia con voi”, …) 5. acclamazione responsoriale (risposte brevi di salmi e responsori) Tutte queste formule hanno in comune una cosa: sono segni e strumenti della partecipazione vocale dell’assemblea. «Le acclamazioni e le risposte dei fedeli al saluto del sacerdote e alle orazioni, costituiscono quel grado di partecipazione attiva che i fedeli riuniti devono porre in atto in ogni forma di Messa, per esprimere e ravvivare l’azione di tutta la comunità.»29 Ad esempio l’Amen è l’assenso, la ratifica alla preghiera presidenziale, l’ Alleluia è l’espressione tipica della lode divina; i saluti e i dialoghi sono l’espressione viva, in azione, dell’unione fra il sacerdote e il popolo; e così via. Le acclamazioni hanno dunque nella celebrazione una funzione di primaria importanza; anzi, come già riportato sopra riguardo alla partecipazione attiva del popolo (actuosa partecipatio) sono senz’altro i gesti e i momenti più importanti. I riti in cui queste formule operano sono diversi e neppure la brevità della formula basta a caratterizzare le «acclamazioni» come rito. Il Santo, ad esempio, è un rito di acclamazione, eppure non è una formula semplice e breve. Per sapere identificare le acclamazioni è sufficiente leggere - o meglio studiare – il libro dell’Apocalisse, il libro dell’acclamazione per eccellenza come nessun altro libro ispirato. Qui si trovano, nel loro contesto più vero e per così dire nella loro sorgente, tutte le espressioni, anzi le formule stesse dell’acclamazione cristiana. «A Colui che è, era e sarà »30 «nei secoli dei secoli ».31 «Senza fine, giorno e notte dicono: Santo! Santo! Santo!»32

$?"F. Cabrol in DAL Dictionnaire d’ Archeologie chretienne et de Liturgie), I 253-254."$@"J. Gelineau in Le traduzioni dei libri liturgici, Città del Vaticano 1966, p. 266."$>"<7'"<8%(,-**-A6"B-1C&,1("2DE"$!"<7'"EF2G",8?="""9="Ap 1,4; 4,8; 11,17; ecc."9#"Ap 1,4; 5,14; 7,12; ecc."

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Gridano «a gran voce »,33 come una «gran voce di molta folla »34, come la voce «di molte acque e di forti tuoni »35. E con Amen36, anche l’altra acclamazione divina, dalla complessa traduzione, della lode pura: Alleluia37. Come realizzare le acclamazioni? Se vogliamo una celebrazione piena e rispettosa dell’indole di ogni acclamazione, non basta recitare quei testi o cantarli col materiale musicale disponibile al momento: «Un Signore, pietà cantato su una melodia non è un’acclamazione litanica, ma una “lode” generica; un Alleluia recitato non è un’esclamazione di lode, ma una giaculatoria; un Gloria a te, Signore biascicato sottovoce non è più niente»38.

Alcune proposte dal RN

N° Titolo Come realizzarlo 9 ALLELUIA 10 ALLELUIA (O FILII ET FILIAE) 12 ALLELUIA! CANTATE AL SIGNORE Possibilità polifonica 14 ALLELUIA! SIGNORE, TU HAI PAROLE DI

VITA ETERNA Possibilità polifonica

31 Amen ! (Cerino) Possibilità polifonica 32 Amen ! (Rossi) Possibilità polifonica

MARIA E IL TEMPO DI PASQUA

La prima celebrazione che offre degli spunti di analisi e riflessione, in merito al tema, è la VII domenica dopo Pasqua, ciclo A. La prima lettura è tratta da At 1,12-14. Il testo dice che i discepoli, dopo l’Ascensione del Signore tornarono a Gerusalemme, nel luogo dove abitavano e con loro c’era anche Maria, la madre di Gesù. Il credente che partecipa alla Celebrazione Eucaristica, quindi, mentre si avvia a compimento il tempo Pasquale, constata che Maria ha voluto seguire Gesù negli ultimi istanti della sua vita e poi, non nutrendo dubbi sulla risurrezione di Lui, è rimasta con i discepoli fino al momento della discesa del Consolatore. Sempre nella VII domenica dopo Pasqua, la seconda colletta, riportata nell’edizione italiana del Messale Romano, riprende il tema della presenza di Maria nel cenacolo. L’eucologia, interpretando il testo di At 1,12-14, presenta la Chiesa raccolta come i discepoli con Maria nel cenacolo. Il Messia risorto è asceso al cielo: subito i discepoli tornano alla loro casa e vivono insieme, nella preghiera, per attuare il comandamento

9$"Ap 4,8"99"5,12; 7,10; ecc."9H"Ap 19,1"9I"Ap 14,2; 19,6"9?"Ap 1,6-7; 5,14; 7,12; 19,4; 22,17"9@"Ap 19,l ss"9>"G. Stefani, in Il canto dell’Assemblea, n. 9"

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ricevuto: voi mi sarete testimoni (Lc 24,48; At 1,8). Il prefazio per i giorni dopo l’Ascensione, presente solo nell’edizione italiana e non nell’editio typica del Messale, ha per tema l’attesa della venuta dello Spirito. Nel testo ancora una volta si accenna agli apostoli ed a Maria come modelli di preghiera unanime. Il testo eucologico, infatti, presenta il Messia come intercessore presso il Padre: egli otterrà per la Chiesa il dono dello Spirito Santo. I fedeli, intanto, mentre attendono il Paraclito, come avvenne nel cenacolo, rimangono in preghiera e Maria è con loro. Il prefazio insiste sulla comunione della preghiera, attraverso l’aggettivo unanime, riprendendo il testo di At 1,14, in cui si dice che i discepoli erano assidui e concordi nella preghiera. L’aggettivo unanime, però, sottolinea anche l’atteggiamento che la comunità cristiana deve assumere, se vuol essere simile alla comunità apostolica, su cui discese lo Spirito Santo. Nel Comune della B. Vergine Maria del Messale Romano Italiano il formulario n. 6 è stato pensato per le celebrazioni nel tempo di Pasqua. La prima delle due collette insiste sul tema della gioia che viene restituita al mondo dopo il peccato per mezzo della risurrezione. Maria è chiamata ad intercedere perché tutti i credenti possano partecipare di quella gioia divina, entrando nella vita senza fine. La seconda colletta, da recitarsi nel tempo dopo l’Ascensione, riprende le tematiche già esaminate nella VII domenica di Pasqua. Il Padre, che donò lo Spirito Santo ai suoi discepoli riuniti nel cenacolo con Maria, conceda anche a noi, per intercessione della Madre celeste di consacrarci al servizio del Regno, annunziando con le parole e con l’esempio le grandi opere dell’amore divino. Il testo sintetizza ciò che è detto in At 1,12-14 e negli ultimi versetti di ciascun vangelo sinottico, in cui Gesù raccomanda di andare ad annunciare la buona novella, perdonare i peccati e battezzare tutte le genti (cfr. Mt 28,18-20; Lc 24,46-48; Mc 16,15-18). Nel documento “ORIENTAMENTI E PROPOSTE PER LA CELEBRAZIONE DELL'ANNO MARIANO” leggiamo alcuni suggerimenti per celebrare, nel modo più consono, la tradizione popolare del mese mariano. Al n.3 si legge: “ Nel corso dell'Anno liturgico la beata Vergine, per la sua singolare partecipazione al mistero di Cristo, è costantemente celebrata sotto una mirabile varietà di aspetti: … — nel tempo di Pasqua, in cui la gioia ecclesiale per la risurrezio ne di Cristo e per il dono

dello Spirito è come prolungamento del gaudio di Maria di Nazaret, la Madre del Risorto: essa infatti, secondo il sentire della Chiesa, fu riempita di « ineffabile letizia » per la vittoria del Figlio sulla morte e, secondo gli Atti degli Apostoli, fu al centro della Chiesa nascente, in attesa del Paraclito (cf. At 1, 14); …”

Una precisazione doverosa, che ci permette di inserire nel modo più adeguato anche il canto nelle diverse celebrazioni, infatti come leggiamo al n. 16 dello stesso documento “Forse più che in altre celebrazioni, nelle messe della beata Vergine Maria, la scelta dei canti deve essere curata e aderente alle norme dell'istruzione Musicam Sacram In particolare i canti liturgici dovranno essere: — confacenti all'oggetto specifico della celebrazione; — adatti al particolare momento della messa in cui vengono eseguiti; — validi dal punto di vista musicale e tali da favorire la partecipazione dei fedeli, soprattutto nelle parti loro spettanti. Nessun dubbio, negli interventi in musica e canto, continueremo a riferirci alle Antifone d’Ingresso e Comunione, anche nelle celebrazioni della B. Vergine Maria, con la pertinenza rituale dovuta e tali dai favorire la partecipazione dell’assemblea. Ancora un suggerimento dal documento sopra citato al n. 21 si esegua “nel tempo di Pasqua l'antifona Regina caeli o un altro canto che celebri insieme la risurrezione di Cristo e la gioia della Madre del Risorto.

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MESSE DELLA BV MARIA

ANTIFONA D'INGRESSO ANTIFONA ALLA COMUNIONE

SANTA MARIA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE

Rallegrati, Madre della luce: Gesù, sole di giustizia, vincendo le tenebre del sepolcro illumina tutto l'universo. Alleluia

Rallegrati, Vergine Madre: Cristo è risorto. Alleluia

MARIA VERGINE FONTE DI LUCE E DI VITA

Salve, Madre della luce: vergine hai generato il Cristo e sei divenuta l'immagine della Chiesa madre, che nell'onda pura del Battesimo rigenera i popoli credenti. Alleluia.

Te beata, o Vergine Maria, che adombrata dallo Spirito Santo hai portato nel grembo verginale il Figlio dell'eterno Padre e sei divenuta la dimora dei sacramenti celesti. Alleluia.

MARIA VERGINE DEL CENACOLO

I discepoli erano assidui e concordi nella preghiera con Maria, madre di Gesù. Alleluia.

I discepoli erano assidui Nell’ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Alleluia.

MARIA VERGINE REGINA DEGLI APOSTOLI

I discepoli erano assidui e concordi nella preghiera con Maria, madre di Gesù. Alleluia.

Beata la Vergine Maria, che ha portato in grembo il Figlio dell'eterno Padre. Alleluia.

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ANTIFONE DELLE DOMENICHE E SOLENNITÀ DEL TEMPO DI PASQUA Dom Ant Ingresso Ant Comunione

2° Come bambini appena nati, bramate il puro latte spirituale, che vi faccia crescere verso la salvezza. Alleluia. (1Pt 2,2) Oppure: Entrate nella gioia e nella gloria, e rendete grazie a Dio, che vi ha chiamato al regno dei cieli. Alleluia. (4 Esd 2,36-37 (Volg.))

“Accosta la tua mano, tocca le cicatrici dei chiodi e non essere incredulo, ma credente”. Alleluia. (cf. Gv 20,27)

3° Acclamate al Signore da tutta la terra, cantate un inno al suo nome, rendetegli gloria, elevate la lode. Alleluia. (Sal 66,1-2)

I discepoli riconobbero Gesù, il Signore, nello spezzare il pane. Alleluia. (cf. Lc 24,35)

4° Della bontà del Signore è piena la terra; la sua parola ha creato i cieli. Alleluia. (Sal 33,5-6)

È risorto il buon Pastore, che ha dato la vita per le sue pecorelle, e per il suo gregge è andato incontro alla morte. Alleluia. Oppure: “Io sono il buon pastore e offro la vita per le pecore”, dice il Signore. Alleluia. (Gv 10,14.15)

5° Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi; a tutti i popoli ha rivelato la salvezza. Alleluia. (Sal 98,1-2)

“Io sono la via, la verità e la vita”, dice il Signore. Alleluia. (Gv 14,6)

6° Con voce di giubilo date il grande annunzio, fatelo giungere ai confini del mondo: il Signore ha liberato il suo popolo. Alleluia. (cf. Is 48,20)

“Se mi amate, osservate i miei comandamenti”, dice il Signore. “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, che rimanga con voi in eterno”. Alleluia. (Gv 14,15-16)

Ascensione “Se mi amate, osservate i miei comandamenti”, dice il Signore. “Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore, che rimanga con voi in eterno”. Alleluia. (Gv 14,15-16)

“Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo”. Alleluia. (Mt 28,20)

Pentecoste Lo Spirito del Signore ha riempito l’universo, egli che tutto unisce, conosce ogni linguaggio. Alleluia. (Sap 1,7) Oppure: L’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito, che ha stabilito in noi la sua dimora. Alleluia. (Rm 5,5; 8,11)

Tutti furono ripieni di Spirito Santo e proclamavano le grandi opere di Dio. Alleluia. (At 2,4.11) Oppure: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. Ricevete lo Spirito Santo”. Alleluia. (Gv 20,21.22)

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Chiesa di Bologna

La formazione liturgica

S U S S IDIO P ER LA CELEBRAZION E

DELLE S OLEN N IT À P AS QU ALI

Il T e mpo di Pas qua

Appendice con i testi dei canti

Bologna, Seminario Arcivescovile 2 aprile 2011

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CHRISTUS RESURREXIT 170

& bbb c ˙A1 Coro misto

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(q = 104)

œœ œœ ˙ œB œ œ œ œ œChri-stus re-sur-re - xit,

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œ œ œ œn ˙al - le - lu - ia!

& bbb JœA1

1. Acclamazione pasquale

œ Jœ œn œO tu che dor - mi,

œ œ œ œ œ œsor - gi dai mor - ti,

!B

!

& bbb œA2 œ œ œn œCri- sto sa - rà la

œ œ œ œtu - a lu - ce.

!C

!

& bbb Œ2. Salmo 117 (118)

œ œ œ œ œn œn1. Dal-la stret- ta ho gri -

œ œ œ œ œA œda- to al Si - gno-re:

& bbb B

œ œ œ jœ œ jœm’ha e - sau- di - to, m’ha

œ œ ˙sciol - to.

& bbb C Ó Œ œ œ2. Mi - a

Jœ œ Jœ œn œ œn œfor-za e mi - o in - no

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& bbb œ œ œ œA œè il Si - gno - re:

B Ó Œ œ œe - gli

& bbb .œ Jœ Jœn œ Jœfu la mi - a sal -

œ œ ˙Avez - za.

C

& bbb œ œ œ œ ˙3. Io non mo - ri - rò,

œ œ ˙ma vi-vrò,

B

& bbb Œ œ œn .œn Jœnar - re - rò le

œ œ œA œ œsu - e o - pe- re.

C

& bbb Ó Œ œ œ4. Ti rin -

œ œ œ œn .œn Jœgra - zio per - ché mi

& bbb œ œ œ œA œhai e - sau - di - to.

B Œ œ Jœn œ JœSei sta- to la

& bbb Jœ œ jœ œA œmi - a sal - vez - za.

C

& bbb œ œ œ œ œ œ œ œ œ5. Que-sto è il gior-no che il Si -

œ œ œ œ œgno - re ha fat - to:

& bbb B œ œ œ œ œn œn œral - le - gria - mo - ci, e - sul -

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Christus resurrexit,Christus resurrexit.Alleluia, alleluia.

O tu che dormi, sorgi dai morti.Cristo sarà la tua luce.

1. Dalla stretta ho gridato al Signore:m’ha esaudito, m’ha sciolto.

2. Mia forza e mio inno è il Signore:egli fu la mia salvezza.

3. Io non morirò, ma vivrò,narrerò le sue opere.

4. Ti ringrazio perché mi hai esaudito.Sei stato la mia salvezza.

5. Questo è il giorno che il Signore ha fatto:rallegriamoci, esultiamo.

& bbb œ œ œ ˙tia - - - mo.

C

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RN 170 T: Salmo 117 M: J. Berthier

TESTO Ancora un’ acclamazione: ci invita a risorgere con Cristo, proclamando il bellissimo testo del Salmo Alleluiatico 117, Questo splendido inno biblico è collocato all’interno della piccola raccolta di Salmi, dal 112 al 117, detta lo "Hallel pasquale", cioè la lode salmica usata dal culto ebraico per la Pasqua. Il Salmo 117 rincuora i cristiani a riconoscere nell’evento pasquale di Gesù "il giorno fatto dal Signore", in cui "la pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo". Col Salmo essi possono quindi cantare pieni di gratitudine: "Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza" (v. 14); "Questo è il giorno fatto dal Signore, rallegriamoci ed esultiamo in esso" (v. 24).

MUSICA Lo stile, originale e riconoscibile, è sempre quello: frasi brevi e incisive, facili, ma pur sempre nobili, che intercalano o, spesso, accompagnano, come refrain di sottofondo, l’intervento del solista. In questo caso il disegno melodico interpreta, in modo inequivocabile, l’annuncio della mattina di Pasqua: Cristo è risorto! Anche per questo brano il suggerimento è quello di poterlo eseguire intercalando le acclamazioni con strumenti a fiato, a corde che ne arricchiscono l’armonia.

QUANDO

Le possibilità sono diverse, trattandosi di una acclamazione, può servire per aprire una celebrazione, così come per incamminarsi a ricevere l’eucaristia oppure per riecheggiare l’alleluia del saluto finale: Rendiamo grazie a Dio alleluia, alleluia!

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CRISTO È RISORTO, 172ALLELUIA (Haendel)

Rit. Cristo è risorto, alleluia!Vinta è ormai la morte, alleluia!

1. Canti l’universo, alleluia,un inno di gioia al nostro Redentor.

2. Con la sua morte, alleluia,ha ridato all’uomo la vera libertà.

3. Segno di speranza, alleluia,luce di salvezza per questa umanità.

& ## c ˙RIT.

.œ jœCri - sto˘è ri -

Solenne e gioioso (q = 96)

˙ ˙sor - to,

œ œ œ œ œ œal - le - lu -

& ## wia!

œ œ œ œ œ œVin - ta è˘or -mai la

˙ ˙mor - te,

& ## œ œ .œ jœal - le - lu -

wFINE

ia!œ œ œ œ œ œ

1. Can - ti l’u - ni -

& ## ˙ ˙ver - so,

œ œ œ œal - le - lu -

wia,

& ## œ œ œ œ œ œun in - no di

˙ ˙#gio - ia

& ## œ œ œ .œ# jœal no - stro Re - den -

wtor.

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RN 172 T: M. Piatti M: G.F. Haendel

TESTO1 Haendel compose questo coro per descrivere l’accoglienza, in Gerusalemme, di Giuda Maccabeo, nell’Oratorio omonimo. I fanciulli, le giovani, e il popolo degli Israeliti, si succedono, in una sequenza trionfale, a salutare il vittorioso; ed il tutto culmina in una marcia. In seguito, qualcuno vi applicò il testo latino salmico Cantate Domino, divenne così un brano di “musica sacra” a diffusione europea, tradotto in lingue diverse.

Il testo in esame è indovinato, quanto al contenuto globale (messaggio di vittoria pasquale) e all’articolazione fondamentale tripartita : affermazione – acclamazione/commento esortazione/ripresa

La robusta melodia si presenta tripartita: A,B,C, sono sezioni che fungono da apertura, intermezzo e ripresa: ciascuna delle sezioni si compone di due semifrasi. La prima e la terza giocano sull’alternanza tonica dominante; la seconda tocca la relativa minore e poi modula sulla dominante, per rilanciare la ripresa. A loro volta le semifrasi sono costruite con incisi che ritmicamente fanno rima tra loro: un modo di procedere questo che, ottiene un effetto di stabilità e rassicurazione.

Come realizzarlo: con un attacco sicuro ed una conduzione “solenne e gioiosa”. E’ auspicabile una esecuzione articolata : pochi/tutti con possibili riprese strumentali, così come il testo originario dell’Oratorio parlava di trombe flauti e cembali.

QUANDO

In ogni momento rituale acclamatorio, del T. P. ed in particolare alla processione col Vangelo.

1 Cfr F. Rainoldi in MeA 1982/42, p.16, Marietti - AL

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CRISTO, SPLENDORE DEL PADRE 175

& 43 œA

œ œ1. Cri -

Do

sto, splen -

In uno - Energico (m . = 54-60)

œ œ œdo -

Sol

re del

.˙Pa -

La– .˙dre,

Sol

& œB

œ œal - le - lu -

.˙ia,

œ œ œal - le - lu -

.˙ia,

& œC œ œCri - sto, fra -

œ œ œtel - lo del -

œ œ œl’uo -

.˙mo,

& œD

œ œsia glo - ria˘a

.te,

œ œ œsia glo - ria˘a

.˙te!

1. Cristo, splendore del Padre,alleluia, alleluia,Cristo, fratello dell’uomo,sia gloria a te, sia gloria a te.

2. Cristo, risorto da morte,alleluia, alleluia,in te rimane la vita:crediamo in te, crediamo in te.

3. Luce e salvezza del mondo,alleluia, alleluia,forza, rifugio, conforto:speriamo in te, speriamo in te.

4. Manda lo Spirito Santo,alleluia, alleluia,guida nel nostro camminoincontro a te, incontro a te.

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RN 175 T: F. Rainoldi M: J. Berthier

TESTO2

Il testo verbale invita, con poche ma incisive invocazioni, ad acclamare a Cristo nel suo mistero: Verbo incarnato, salvatore,datore dello Spirito. A dare vigore ed essenzialità con-tribuisce il testo musicale, quasi solo un'ossatura costruita prevalentemente sulle note dell'accordo di DO e la sua dominante (SOL). II ritmo, molto semplice, è strutturato su due soli valori. Da notare che i suoni lunghi ( in questo caso esattamente il triplo dei brevi) si trovano prevalentemente sulle finali di ogni verso, quasi a dare respiro alla frase.

MUSICA E’ un inno, e quindi può essere eseguito da tutta l'assemblea all'unisono, possibilmente senza slabbrature ma cercando di mantenere agilmente la precisione rit-mica (da dirigere in uno ». La forma del testo, invocazione/ acclamazione, permette anche l'alternarsi di un solista io un piccolo gruppo) con l'assemblea. E’ un inno, ma è anche un canone a quattro. La struttura melodico - armonica permette infatt i la so-vrapposizione delle parti ( in questo caso quattro) con entrate successive, e il gesto acclamativo si dilata fonicamente ed emotivamente: cantare « in canone » è anche un gioco e il gioco fa festa. le possibilità esecutive sono diverse; per esempio, invece di partire subito con il canone, si potrebbe far eseguire la 1° strofa da voci femminili all'unisono, la 2° strofa da voci maschili, sempre all'unisono, e la 3° e 4° strofa « in canone. Le possibilità sono diverse, e perché non introdurre diverse parti strumentali da rafforzare o sostituire le risposte-acclamazioni?

QUANDO

Essendo un inno, il suo posto all’'interno di una celebrazione può essere l'apertura, la chiusura o un altro momento in cui sia opportuno tale gesto. Quanto ai tempi liturgici, le strofe richiamano le tappe fondamentali del mistero di Cristo: incarnazione, resurrezione, dono dello Spirito, così che il canto risulla adatto per tu t t e le feste in cui si celebri tale mistero globalmente o in qualche suo aspetto.

2 Cfr J. Tafuri in MeA 1980/31, p. 10

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CRISTO VIVENTE 176

& ### ! œS

œ œ1. Tu sei il

œ œ œFi - glio del

& ### jœ œ jœDi - o vi -

œ œven - te

‰ jœ œ œche of- fre˘al

&

& ### 42 ..4(q = 70)œ

RIT.

œ œCri - sto vi -

œ œven - te

& ### œ œ œ œie - ri og - gi˘e

œ œsem - pre,

œ œ œce - le -

& ### œ œ œ œbria - mo˘il tuo mi -

jœ œ jœste - ro d’a -

& ### œ œmo - re,

œ œ œac - cla -

œ œ œmia - mo˘al tuo

& ### œ œno - me,

œ œ œ œu - ni - ca sal -

œ œvez - za:

& ### ‰ jœ œ œa te la

œ œ œlo - de˘e la

& ### œ œ œglo - ria, Si -

œ œ œgno - re Ge -

˙sù.

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& ### œ œ œmon - do la

œ œ œsua re - den -

œ œzio - ne

& ### ‰ Jœ œ œda o - gni

œ œma - le.

œ ‰ jœT A

& ### œ œ œ œte il no- stro

œ œcan - to

œ œ œ œdi be - ne - di -

& ### œ œzio - ne!

˙ ! œS

œ œTu sei il

& ### œ œ œVer - bo splen -

jœ œ jœden - te del

œ œPa - dre,

& ### ‰ jœ œ œla lu - ce

œ œ œve - ra che

œ œ œfa co - mu -

& ### œ œnio - ne

‰ Jœ œ œtra uo-mo˘e

œ œuo - mo.

& ### œ ‰ jœTA

œ œ œ œte il no- stro

œ œcan - to

& ### ..œ œ œ œdi be - ne - di -

œ œzio - ne!

˙

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Rit. Cristo vivente ieri oggi e sempre,celebriamo il tuo mistero d’amore,acclamiamo al tuo nome, unica salvezza:a te la lode e la gloria, Signore Gesù.

1. Tu sei il figlio del Dio viventeche offre al mondo la sua redenzioneda ogni male.A te il nostro canto di benedizione!Tu sei il Verbo splendente del Padre,la luce vera che fa comunionetra uomo e uomo.A te il nostro canto di benedizione!

2. Tu sei l’Agnello che Dio ha immolatoper dare ai figli riconciliazione,perdono e pace.A te il nostro canto di benedizione!Tu sei la Vita offerta in pienezza,l’unica Via di liberazionedel nostro mondo.A te il nostro canto di benedizione!

3. Tu sei il Santo che doni lo Spiritoper rinnovare la tua creazionee i nostri cuori.A te il nostro canto di benedizione!Tu sei il Pane donato dal cielo,cibo di vita e consolazione,forza d’amore.A te il nostro canto di benedizione!

4. Tu sei Colui che sei e che eri,Colui che viene per ogni nazionea fare grazia.A te il nostro canto di benedizione!Tu sei il Cristo vivente in eterno,sei la primizia di risurrezione,nostra speranza.A te il nostro canto di benedizione!

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3 Il brano è inserito nella raccolta preparata per il XXIII CEN di Bologna “CRISTO IERI OGGI SEMPRE” EP 1996

RN 1763 T: A.M. Galliano M: A. Parisi

TESTO Il tema del XXIII CEN di Bologna “Gesù Cristo, unico salvatore del mondo, ieri,oggi e sempre” è ripreso nel testo di questo brano, che appartiene alla raccolta nata per le celebrazioni eucaristiche di tale evento. Le parole del ritornello invitano a proclamare la fede che ogni cristiano racchiude nel suo intimo e guida i suoi passi verso l’altare dove si celebra il mistero della salvezza, acclamando a Cristo unica salvezza. Le quattro strofe ripercorrono la storia della salvezza operata in Cristo e si dipanano nelle affermazioni: Tu sei il figlio del Dio vivente - Tu sei il Verbo – Tu sei l’Agnello – Tu sei la Vita, etc, che si alternano all’ acclamazione: A te il nostro canto di benedizione! Un linguaggio semplice ed essenziale per l’assemblea riunita, in occasioni particolari.

MUSICA Una melodia semplice e allo stesso tempo solenne e coinvolgente.

Il ritornello può essere cantato a quattro voci. Le strofe, divise in due parti, vanno eseguite, alternando un coretto maschile e uno femminile, con la risposta dell’assemblea.

La proposta dell’autore prevede, oltre l’organo, l’utilizzo dei fiati ed in particolare degli ottoni che ben sottolineano il carattere acclamatorio del ritornello.

QUANDO

E’ un canto d’ingresso che adatto a caratterizzare la solennità della celebrazione. Sarebbe opportuno eseguire tutte le strofe ma nel caso si facesse una scelta, mai tralasciare l’ultima che nella seconda parte annuncia “Tu sei il Cristo vivente in eterno, sei la primizia di risurrezione, nostra speranza” che richiama il tempo liturgico che stiamo considerando.

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ILMATTINO DI PASQUA 179

Rit. Il Signore è risorto: cantate con noi!Egli ha vinto la morte, alleluia.

1. a) Il mattino di Pasqua,nel ricordo di lui,siamo andate al sepolcro:non era più là!

b) Senza nulla sperare,con il cuore sospeso,siamo andati al sepolcro:non era più là!

& ## 22 ŒRIT.

œ œ œ œ œRe

Il(Al-

Si-le -

gno-lu -

re˘è ri -

Allegro moderato (q = 160)

œ œ œ œ œ œsor -ia,

La/Do#

to:al -

can-le -

ta-lu -

Re

te con

& ## .. 86œ œ œ œ œ œnoi!ia,

Si–

E-al -gli˘hale -

vin-lu -

Mi

to la

œ œ œ œ#mor-ia,

La

te,˘al-al -

le -le -

Mi7/4

lu -lu -

3 wFINE

ia!ia!)

La4 3

& ## 86 .. ŒS1

œa)1.

œ œ œ œRe

Il mat - ti -

Si–/Re

no di

(o = q = 52-60)

.œ œ œ œ œ œ œPa-

La

squa, nel ri-cor-

Re

do di

& ## ..œ œ œ œ œ œ œlu -

Fa#–

i, sia-mo˘an-da-

Si–7

te˘al se-

œ œ œ œ œ œ#pol-

Sol

cro:non e -

Mi

ra più

.˙là!

La7

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2. a) Sulla strada di casaparlavamo di luie l’abbiamo incontrato:ha parlato con noi!

b) Sulle rive del lagopensavamo a quei giornie l’abbiamo incontrato:ha mangiato con noi!

3. a) Oggi ancora, fratelli,ricordando quei giorni,ascoltiamo la vocedel Signore tra noi!

b) E, spezzando il suo Panecon la gioia nel cuore,noi cantiamo alla vitanell’attesa di lui!

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RN 179 T e M: P. Sequeri

TESTO4

Siamo di fronte a un testo chiaramente pasquale con un accento decisamente acclamativo nel ritornello. Le strofe, scritte in prima persona, pongono chi canta direttamente all’interno del mistero pasquale, visto nello svolgersi degli eventi immediatamente successivi alla risurrezione: le donne che vanno al sepolcro e scoprono la tomba vuota (Mt 28,1-8; Mc 16,1-8; Lc 24,1-10), i due discepoli che, disillusi, si allontanano da Gerusalemme (Lc 24,13-35; Mc 16,12-13), l’apparizione del Risorto ai discepoli sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-19). La terza strofa mette in risalto l’attualizzarsi nell’Eucarestia degli eventi pasquali evocati nelle strofe precedenti, in particolare nella Parola e nell’Eucarestia.

MUSICA La composizione è strutturata in forma di canzone nell’alternanza tra ritornello e strofe. Questa alternanza è sottolineata pure dalla differenza di tempo: ritornello in tempo semplice, strofe in tempo composto. Tale struttura, naturalmente, chiede di affidare ad un solista il canto delle strofe, vista la difficoltà del cambio ritmico. Anche gli strumenti che accompagnano devono essere attenti ad una assoluta precisione ritmica per non assecondare inutili, ma possibili rallentamenti.

QUANDO

Questo canto appare particolarmente adatto per la processione d’ingresso perché collega l’evento pasquale all’intera celebrazione eucaristica. In quest’ottica non sembra opportuno tralasciare la seconda e la terza strofa perché sviluppano con consequenzialità questa logica. Questa composizione, di carattere festoso è adatta ad un’assemblea giovanile.

4 Cfr Don Graziano Ghisolfi in ULN Schede di canti per la Quaresima - Pasqua 2010

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REGINA DEI CIELI 184

& b 42 ‰ jœRe -

œ œ œgi -

Fa

na dei

(q = 92-100)

Jœ œ Jœcie-li,

La–

ral -

œ œle -

Si@

gra -

Do

& b ˙ ,ti,

Fa .œ Jœal -

Si@

le -

œ œlu -

Fa

˙ia:

Sol–7

˙Do

& b œ œ œ œCri -

Re–

sto, che˘hai por -œ œ œta -

La–

to nel˙

8

grem -

Si@9

˙3

bo,

Fa4

& b .œ jœal -

Si@

le -œ œlu -

Sol–

˙7

ia,

Do

˙56 .œ jœ

è

Fa

ri -

& b œ œ œ œsor -

Re–7

to co-me˘a -

Jœ œ Jœve-

Si@

va pro -

œ œmes -

Fa

so,

.œ3 jœ

al -

Sol–4

le -

& b œ œlu -

Re– Do ˙ia.

Fa /La˙/Sol œ œ œPre -

Si@

ga˘il Si -

œ œ œgno-

Re–

re per

& b ˙3

no -

Sol7/4

˙7

i,

Do .œ jœal -

Fa

le -

œ œ œlu -

Si@

ia,

Do .œ jœal -

La–

le -

& b œ œ œlu -

Re–

ia,

.œ jœal -

Si@

le -

œ œlu -

Si@6 ˙ia!

Fa œU

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Regina dei cieli, rallégrati, alleluia:Cristo, che hai portato nel grembo, alleluia,è risorto come aveva promesso, alleluia.Prega il Signore per noi,alleluia, alleluia, alleluia!

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RN 184 T: Liturgia M: M. Piatti

TESTO5

II testo di questa antifona racchiude i misteri fondamentali della vita della Madonna: il verbo « rallegrati » richiama il saluto dell'angelo, che le ha annunciato il concepimento, nel suo ventre, del figlio di Dio. L'attesa dell’umanità si concretizza nel modo più umano possibile; nell'attesa di una madre, nel suo « portare » il proprio figlio nel grembo per nove mesi. Maria è madre del Salvatore, di colui che, attraverso la sua morte e la resurrezione, regna e regnerà sopra tutte le nazioni. E? quindi Madre e Regina: regina nel regno dei cieli, regina della dimora di Dio, della patria alla quale aspiriamo. E’ nostra Signora, madre di tutti gli uomini, che raccoglie le nostre preghiere ed intercede per noi presso Dio.

MUSICA La musica sembra uno sviluppo del « rallegrati »: interpreta la gioiosità intima che prelude a qualcosa di grande, e sì espande verso la fine nella certezza e nella fiducia di una presenza.

II canto può essere eseguito all'unisono da tutta l'assemblea, se affiatata e non troppo numerosa. Si presta anche bene a un dialogo fra solista (o coretto) che esegue l'antifona, e tutti che rispondono con l'alleluia.

QUANDO

È indicato naturalmente per tutte le celebrazioni di feste mariane ed in particolare per l'Assunzione. Nella liturgia eucaristica si può inserire come antifona d'ingresso.

5 Cfr P.Silva in MeA 1980/31 p.16

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VERGINE MADONNA 226& ## 42 ..6

œ œ œ œ1. Ver - gi - ne, Ma -

œ œ œdon - na del

& ## œ œ œ œcie - lo,

œ Œ œ œ œ œno - stra so -

& ## œ œ œ œrel - la e

œ œ œMa - dre,

Jœ ‰ œ œti can -

& ## œ œ œtia - mo

œ œ œ œu - na can-zo -

œ œ œne

œ Œ

& ## œ œ œper lo-da -

œ œ œ œre le

œ œ œ œtu-e vir-tù,

œ Œ

& ## œ œ œper pre-gar -

œ œ œ œti di

œ œ œ œvol-ger-ti˘a noi.

œ Œ

& ## œRIT.

œ œSan-ta Ma -

œ œ œri - a, il

œ œ œ œvi-so no-stro

œ œsplen-de

& ## ‰ jœ œ œse nel - la

œ œ œte - ne - bra

œ œ œ œdel no - stro

& ## œ œ œ œog-gi la tua

œ œ œlu - ce s’ac -

œ œcen - de.

‰ jœ œ œMa-ria di

& ## œ œ œ œNa - za - reth, rac -

œ œ œ œcon- ta - ci di

œ œCri - sto;

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1. Vergine, Madonna del cielo,nostra sorella e Madre,ti cantiamo una canzone per lodare le tue virtù,per pregarti di volgerti a noi.

Rit. Santa Maria, il viso nostro splendese nella tenebra del nostro oggila tua luce s’accende.Maria di Nazareth, raccontaci di Cristo;Madre di Dio, che custodivi la Parola,ridona al mondo la tua voce.

2. Vergine del «sì» fiducioso,mostraci la gioia dell’offertasull’altare della vita.Tu sei dono per l’umanità,sei modello per tutti noi.

3. Vergine e giovane donna,scelta nel disegno di Dioper ridare storia all’uomo;resa Madre non da uomini,ma dal dono dello Spirito.

& ## œ œ œMa - dre di

œ œ 3œ œ œDi - o, che cu- sto -

œ œ œ œdi - vi la Pa -

& ## œ œro - la,

‰ jœ œ œri - do-na˘al

œ œ œ œmon-do la tua vo -

& ## ..˙per continuare

ce.

jœ œ œ œ ˙per finire

–ce.œU Œ

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4. Vergine dell’umile ascolto,docile alla mano di Diosei vissuta nella preghiera;resa forte nella libertàdalla forte tua fedeltà.

5. Vergine e sposa perfetta,sempre in comunione con lo Spirito,guarda a noi, rendici uniti;dona amore a tutti gli uomini,dona gioia ai nuovi apostoli.

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RN 226 T: e M: GM Rossi

TESTO6 Questa canzone è dedicata alla “Regina degl Apostoli”: E’ una contemplazione della Vergine, Madonna del cielo, ma anche nostra sorella e madre: Sia i vocaboli che il periodare sono semplici, concreti, contemporanei. La fede cristiana, riguardo a Maria viene espressa dalle strofe in modo affermativo, mentre nel ritornello si tramuta in un’espressione di supplica comunitaria (“ridona al mondo la tua voce!”).

MUSICA Musicalmente, lo schema è quello classico della canzone (str. e rit.), come un breve preludio iniziale. Il canto è impiantato in SI min., ma con caratteristiche spesso più modali che tonali. La melodia è semplice: va rilevato che il ritornello è del tutto alla portata di un'assemblea "media", non spingendosi oltre il DO # in alto. Il ritmo è lineare; occorre solo fare attenzione (per il solista) alla battuta 3, in cui si trova quasi un appoggiatura (FA # MI-FA # ), da eseguire con eleganza; per l'assemblea, occhio alla battuta 36 del ritornello, che include una terzina (SI-LA- FA #) e che non va precipitata. Tutti apprezzeranno l'armonia (accordi), fresca e moderna, che sostiene la linea melodica, Nell'esecuzione , bisogna rispettare il dinamismo voluto dall'autore: ritornello cantato da tutti, in contrasto con la strofa - che va assolutamente riservata a uno, o anche due solisti -. Il "tutti" è il momento dell'adesione unanime alla figura della Vergine, "messaggera di Dio". Come accompagnamento, oltre all'organo, si può aggiungere una chitarra: arpeggi nella strofa, accordi sgranati nel ritornello. Attenti a non strascicare l'andatura; in particolare il solista cerchi di fraseggiare in modo fluido, come se dovesse "parlare".

QUANDO

È un canto di inizio, nei mesi, tempi o feste dedicati a Maria, e dovrebbe andar bene anche per un'assemblea "eterogenea".

6 Cfr C. Prandini in MeA 1987/64 p.23 Marietti AL

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RD T: F. Buttazzo M: D. Scarpa

TESTO7

Decisamente apprezzabile poiché ricco di echi di parole bibliche. Il ritornello fa evidentemente riferimento all'episodio della Pentecoste narrato in Atti 2,1-11: «Mentre... si trovavano tutti insieme... venne d'improvviso dal ciclo un rombo, come di vento... apparvero loro lingue come di fuoco... ed essi cominciarono a parlare come lo Spirito davava loro potere di esprimersi». Il vento e il fuoco sono protagonisti anche nelle prime due strofe: la prima riprende il racconto della Pentecoste, che vede i discepoli timorosi trasformarsi in coraggiosi testimoni del Risorto («Avrete forza dallo Spirito che scenderà su di voi e mi sarete testimoni fino agli estremi confini della terra»: At 1,8); la seconda è di comprensione meno immediata, così come meno palese è il riferimento alla Scrittura (ad esempio: «le certezze che ingannano la vita» sono forse le "false certezze" che propone il mondo?). Nelle strofe terza e quarta gli agganci biblici tornano invece a es-sere evidenti: lo Spirito è invocato come fonte di coraggio e forza (cfr. At 1,8 e 2,1-11), di amore, di pace e di unità (cfr. Gai 5,22).

MUSICA Il canto non presenta particolari difficoltà né ritmiche né melodiche. Pur nella sua semplicità, può offrire però diverse modalità esecutive in base al contesto celebrativo e ai mezzi a disposizione. La maniera più semplice può prevedere 1''unisono nella strofa (prendendo te parti di soprani e tenori) e “giocare" sull'ingresso dei vari attori; il ritornello, invece, può essere eseguito da tutti, mentre due solisti potranno alternarsi nella strofa e unirsi nell’invocazione che rilancia il ritornello. (Quando il canto è eseguito nella celebrazione della Confermazione, data la tessitura piuttosto comoda, potrebbero essere gli stessi cresimandi - convenientemente preparati! a proporre le strofe). Una seconda e più sonora maniera potrebbe essere l'esecuzione polifonica con l'armonizzazione proposta a quattro voci, che non presenta grandi difficoltà (si ponga attenzione però al pianissimo del vocalizzo e al suggerimento di cantare le strofe a mezza voce: data la tessitura piuttosto grave e l'unisono in cui, in al-cuni punti, le voci si incontrano, si rischierebbe altrimenti di appesantire l'intero canto).

QUANDO

Certamente durante la celebrazione della Confermazione di ragazzi e adulti, ma anche all'interno di veglie di preghiera per la festa di Pentecoste o per invocare lo Spirito all'inizio di riunioni spirituali; non dimentichiamo infatti che lo Spirito Santo è presente e agisce in ogni celebrazione sacramentale: non è dunque un peccato invocarlo... per ricordarcelo!

7 Cfr.G.Scattolin MeA 2008/139 p. 28 EDB

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!!!!!!"#$%&!'()!&*!!!!!!+,-./!0&! PASQUA

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ALLELUIA 9

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Alleluia, alleluia, alleluia!

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ALLELUIA (O filii et filiae) 10

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Alleluia, alleluia, alleluia!

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ALLELUIA! CANTATE AL SIGNORE 12

Rit. Alleluia, alleluia!Alleluia, alleluia!

1. Cantate al Signore con gioia:grandi prodigi ha compiuto.Cantatelo in tutta la terra!

2. Agli occhi di tutte le gentimostra la sua grandezza,rivela la sua giustizia!

& # 86 œ jœ œ jœAl -

Sol /Fa#

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3

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4. Tua, o Padre è la gloria!Tutta la terra ti acclama!Del tuo Spirito è ricolmol’universo!

5. Forte è la tua Parola,penetra come una spada:ci trasformerà e vivremonella luce!

6. Tu sei il Cristo Signore,nato fra noi da Maria:fai rinascere alla vitacon Dio!

7. Oggi il Signore è risorto,ora il Cristo è vivente:chi soffrì con lui ora cantaalleluia!

8. Venga lo Spirito Santo,fuoco che accende la terra:nella libertà si rinnoviil nostro cuore!

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4. Tu -

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3 7

3. Fedele è il Signore per sempre,buono e misericordioso:lodate il suo nome in eterno!

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ALLELUIA! SIGNORE, 14TU HAI PAROLE DI VITA ETERNA

Alleluia, alleluia, alleluia!Signore, tu hai parole di vita eterna. Alleluia!

& b 43 œ œAl - le -

œ œ œ œ œ œlu -

Re–

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(Do)

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(q = 96-100)

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Fa

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Si@ Do

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Fa

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Si@ La–

œ œ œU FINE

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S

œ W(Signore, tu hai parole di vita

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AMEN! (Cerino) 31

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Fa Mi@

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Amen, amen!

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AMEN! (Rossi) 32

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CANONE (m = 72-80)

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Amen, amen! Amen, amen! Amen, amen!

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Pro manuscripto a cura dell’Ufficio Liturgico Diocesano e del Centro Servizi Generali dell’Arcidiocesi

Via Altabella, 6 - 40126 Bologna - tel. 051.64.80.777 - fax 051.235.207 posta elettronica: [email protected]