il terzo faust di valery
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IL “TERZO FAUST” DI PAUL VALERY
di Michele Calcagno
Il grandioso mito di Faust torna e ritorna con inesauribili metamorfosi e rinascite nella cultura
moderna e contemporanea. Quale ne può essere il motivo? Una possibile risposta, molto
probabilmente non originale, ma a mio parere suggestiva, sta nel fatto che, forse più di ogni altro
personaggio, la figura di Faust si rende disponibile a farsi specchio di chi sceglie di riportarlo a
nuova vita rivisitando e reinventando le sue eterne traversie. L'uomo di cultura, l'intellettuale,
l'artista è spinto a questa sfida con le incarnazioni precedenti del personaggio, quasi che il suo
Faust possa essere quello vero e definitivo.
Ecco allora presentarsi dopo il primo Faust, quello di Marlowe, stilizzata figura di negromante
giustamente punito dall'ira divina, il secondo Faust, capolavoro incontrastato di Goethe, che nel
protrarsi della vita del suo autore si rifrange in rappresentazioni diverse: da quella quasi giovanile
dell'Urfaust e della prima parte del dramma, pervasa di spirito ribelle ed inconoclasta di impronta
sturm-und-draghiana, alla seconda parte scritta nella maturità e nella vecchiaia, capace di
reinventare addirittura il senso finale della vicenda, con il riscatto conclusivo del personaggio.
Il terzo Faust, così programmaticamente definisce il proprio progetto Paul Valery, fa la sua
comparsa negli anni più bui del XX secolo, ed il suo ritorno è carico di significato nel delineare lo
spirito del tempo.
Siamo agli inizi del Secondo conflitto mondiale, la Francia è invasa e le truppe tedesche sfilano
trionfatrici sotto l'arco di trionfo di Parigi. Paul Valery è in quel momento un mito vivente, il più
celebrato ed importante poeta francese, l'autore di opere indimenticabili come La giovane parca o
Il cimitero marino . Ma solo i più intimi tra quanti lo frequentano sanno del lato segreto della sua
produzione letteraria. Alle grandi poesie e ai brillanti testi in prosa che Valery pubblica per lo più
occasionalmente, si aggiunge, enorme nelle sue dimensioni e tenace nell'impegno, il lavoro
solitario, quello che si potrebbe definire il suo personale laboratorio del pensiero, a cui si dedica
sistematicamente ogni giorno, da cinquant'anni, svegliandosi ogni mattina all'alba. Sono decine di
quaderni pubblicati solo dopo la morte, pagine che raccolgono il frutto monologico di una infinita
meditazione, attraverso la quale, con rigore cartesiano, Valery scandaglia la propria mente e le sue
possibilità, in un vero e proprio esercizio laico di ascesi intellettuale.
“Il mio obiettivo” scrive Valery in un frammento “è cercare una forma capace di ricevere tutte le
discontinuità, tutto l'eterogeneo della coscienza”. Punto di partenza è costantemente l'osservazione
di se stesso e sulla base di questo sguardo fermo e spassionato rivolto all'interno di sé, Valery
ramifica la sua analisi verso tutti gli aspetti della realtà rapportabili all'io.
Questo costante sforzo di chiarezza e di trasparenza del pensiero ubbidisce ad una sorta di
imperativo etico a cui il grande poeta si è sottomesso sin dalla giovinezza, quando aveva assunto
come proprio mito personale la figura di Leonardo da Vinci, rappresentazione concreta del lo spirito
universale, Al genio di Leonardo, nel 1894, aveva dedicato un importante studio, l' Introduzione al
metodo di Leonardo da Vinci, rimasto poi un riferimento costante per tutta la sua vita. Nello spirito
di queste meditazioni sull'autonomia e la forza creativa della coscienza pensante il giovane Valery
aveva dato vita, quasi negli stessi anni, a un personaggio divenuto poi leggendario, il signor
Teste, vero e proprio specchio letterario dello spirito del suo autore.
Il personaggio di Teste, che compare per la prima volta nel racconto La serata con il signor Teste ,
del 1896, è, si potrebbe dire, il punto iniziale di una lunga e rigorosa linea di pensiero, tenacemente
mantenuta e coerentemente sviluppata da Valery per tutta la vita, al termine della quale si trova il
personaggio di Faust, nell'originalissima interpretazione che ne viene data nei due testi teatrali che
compongono il volume Il mio Faust.
Il signor Teste nasce come incarnazione dell'esigenza tutta cartesiana di una chiarezza e trasparenza
assolute, capaci di vincere l'opacità imponderabile della vita. Nel racconto La serata con il signor
Teste la voce del narratore ci ragguaglia sul suo incontro fortuito con questo uomo straordinario
che, pur vivendo solitario in una condizione di quasi indigenza, ha saputo riflettere costantemente,
per anni e anni, su tutta la sapienza umana, ma senza libri e senza pregiudizi, raggiungendo così la
conoscenza di alcune “leggi dello spirito” ignorate dagli altri uomini: la potenza del pensiero puro
e il dominio dell'intelligenza sulla realtà bruta delle cose. E' sin troppo facile riconoscere nella
figura di questo “mistico senza Dio”che unisce entro di sé l'estrema astrattezza dell'intelletto ed un
forte senso della tragicità della condizione umana, una delle incarnazioni del suo autore, quella del
solitario che quotidianamente all'alba dialoga con se stesso, quasi mettendo tra parentesi il mondo.
Simile sconsolata ed inesorabile constatazione della solitudine di chi si dedica disinteressatamente
al lavoro del pensiero e allo scandaglio dell'Io lascerà il suo segno nel secondo dei testi del volume
Il mio Faust, che porta non a caso proprio questo titolo: Il solitario o le maledizioni dell'universo.
Proprio al termine di quella lunga linea unitaria che con rigore disegna il profilo intellettuale di
Paul valery, tutta dispiegata nel segno sicuro della forza e della supremazia del pensiero, ecco
comparire, con un'ombra inquietante che lo accompagna, il personaggio di Faust. Quando , ad
incrinare la tranquilla vecchiaia del grande poeta rimasto fedele a se stesso, si profila sullo sfondo
della storia il naufragio della ragione e della civiltà europea. Subentra allora un nuovo spirito,
disincantato e scettico, che tanto è stato amato dal grande filosofo tedesco Karl Loewith. L'opera Il
mio Faust è il frutto da questo diverso sguardo sul mondo e sugli uomini. In definitiva, Valery
consegna al personaggio di Faust il proprio testamento spirituale.
E' per questo che i due testi che compongono il libro solo con fatica si potrebbero definire “opere
teatrali”. E' Valery stesso nella prefazione a sottolineare cautamente come egli intenda con queste
due opere solamente dar corpo a un dialogo interiore sul tema faustiano: “Ma nulla dimostra più
indubitabilmente la potenza di un creatore quanto l'infedeltà o la non sottomissione della sua
creatura. Più l'ha creata viva, più l'ha resa libera. Perfino la sua ribellione esalta il suo autore: Dio lo
sa...”. Ecco dunque il progetto di Valery: “Inconsciamente, sentivo pian piano e in modo vago
delinearsi in me il disegno di un terzo Faust, capace di comprendere un numero imprecisato di
opere più o meno destinate al teatro: drammi, commedie, tragedie, féeries a seconda
dell'occasione”. Quello che propone è una sorta di “teatro mentale” che raggiunge il suo scopo –
scatenare la scintilla del pensiero attraverso il dialogo dei pochi personaggi – senza bisogno di
“raccontare qualcosa”, in quel senso “gastronomico” di cui parla Theodor Adorno, dileggiando il
piacere appagante del teatro borghese.
Ciò che Valery decide di pubblicare nel volume Il mio Faust sono abbozzi, i soli esistenti, di quel
grandioso progetto: tre quarti di Lust ou La demoiselle de cristal , e due terzi de Le solitaire ou Les
maledictions d'Univers, secondo il calcolo non privo di ironia fornito dall' autore.
La demoiselle de cristal si apre con Faust, dimenticato, per così dire, dalla morte ed ancora
eternamente vivo nel pieno del XX secolo, mentre si accinge a dettare la propria autobiografia
intellettuale alla sua segretaria Lust. Già il nome assegnato vale un programma, in tedesco
significa infatti brama, voglia, desiderio). Faust intende consegnare a questo libro la propria
immagine più vera, la sintesi del suo pensiero e della sua esistenza. E alla giovane segretaria Faust
chiede esplicitamente di favorire lo sgorgare dei suoi pensieri, facendosi appunto ricettiva e
trasparente come il cristallo. Ma Lust è una giovane ragazza del '900 e Faust fa presto la figura
dell'uomo sorpassato dai tempi. Interviene a questo punto il vecchio compagno d'avventure
Mefistofeleche si inserisce “diabolicamente” nella schermaglia, ma è anche lui ormai superato dai
tempi, goffo e ridicole nel ripetere le sue strategie di seduzione, e Faust lo spinge a constatare che
il mondo è cambiato ed i suoi poteri sulla natura, nell'epoca delle scoperte scientifiche, servono
ormai a ben poco : “Non fai più paura. L'Inferno compare solo all'ultimo atto. Non inquieti più lo
spirito degli uomini di questa età. Vi è ancora qualche gruppetto di appassionati, popolazioni
arretrate... Ma i tuoi metodi sono sorpassati, i tuoi giochetti ridicoli...” Mefistofele è tutt'al più utile
per le faccende più basse. Infatti, per mezzo di tre grotteschi e ignobili demoni degni del cinema di
animazione Mefistofele seduce in sogno un altro personaggio, il Discepolo, uno studente che, come
già accadeva nel Faust goethiano, spera frequentando la casa dell'insigne professore di ottenere la
più profonda sapienza. La parte pubblicata termina con l'incontro notturno tra il Discepolo e Lust,
due giovani che riescono dopo qualche incertezza ad intendersi perfettamente tra di loro, anche se
poi, alla fine, Lust rifiuta sbrigativamente le proposte amorose del Discepolo, che commenta con
umorismo nella battuta finale: “Voi mi rimandate al diavolo!”.
L'altro testo incompiuto che compone il volume, Le solitaire, è un'opera più breve, con un più
palese impianto simbolico denso di riflessioni filosofiche e di amaro pessimismo. All'aprirsi della
scena Faust e Mefistofele si trovano in cima ad un'alta montagna, in un luogo scabro e deserto al
termine di un'impervia ascesa. Qui incontrano il Solitario. Il malessere dovuto all'altezza costringe
Mefistofele al ritorno e Faust osserva beffardamente al compagno che lamenta il mal di
montagna: “Non hai ancora capito che non c'è né alto né basso”. Rimasto solo.con il Solitario,
Faust è sorpreso ed atterrito dal suo monologare delirante . Il dialogo tra Faust ed il Solitario è una
scintillante raccolta di massime fulminanti in cui hanno modo di liberarsi lo spirito scettico e
l'amarezza nei confronti del mondo contemporaneo che appartengono al Valery di quegli anni. Le
conclusioni a cui spinge la spietata disamina nichilista del Solitario pongono in questione ogni
possibilità di trovare un senso nella realtà: “Tutto ciò che può essere detto non vale niente. Sai bene
cosa fanno gli esseri umani di quel che può venire espresso. Tu lo sai. Ne fanno una vile moneta,
uno strumento di errore, un mezzo di seduzione, di dominio, di sfruttamento. Ma nulla di ciò che è
puro, sostanziale, prezioso e reale, è trasmissibile. La realtà è assolutamente incomunicabile. Essa
è ciò che non somiglia a nulla, che non può essere rappresentato o spiegato da nulla; ciò che non
significa nulla, e che non ha né durata né collocazione in un modo o in un ordine qualsiasi.”
Affascinato dalla personalità geniale del Solitario, Faust decide di vedere “il seguito di quel pazzo”;
si nasconde per spiarlo, ma il Solitario lo sorprende ed inferocito lo getta nell'abisso. All'inizio del
secondo atto Faust si trova nella grotta delle Fate che lo hanno raccolto svenuto al fondo della
rovinosa caduta. Le fate a turno cercano di sedurlo, riescono a farlo rinvenire e gli offrono i loro
doni. Già Mefistofele nel Faust goethiano aveva saputo far leva sul più grande dei desideri
dell'uomo: possedere ogni potere sulla realtà. E questo propongono le Fate: il possesso di tutti i
poteri che vorrà. Ma il Faust di Valery, spirito disincantato e stanco ben diverso dal suo
predecessore, è mediocremente attratto dalla grandiosa offerta, perchè “so troppo per amare, so
troppo per odiare, e non ne posso più di essere una creatura”. Amara ed inutile saggezza che nasce
dalla consapevolezza che “se ciò che fu non fu che un assurdo dispendio, quel che sarà il futuro mi
interessa ancor meno”.
Nel dialogo in versi che conclude il testo il bilancio conclusivo è lasciato alle parole delle Fate: “Tu
sai solo negare, la tua prima parola è stata No... E questa sarà anche l'ultima.”