in memoria - ferrara

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Page 1: In memoria - Ferrara
Page 2: In memoria - Ferrara

In memoriadi Roberto Battaglia e di Mario Roffi

che, primi, individuaronotemi di emancipazione femminile

nelle opere di Ludovico Ariosto

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Ludovico Ariosto

La Lena

Introduzione e traduzione di Bruna Bignozzi

Comune di Ferrara

2016

Già stampato su carta, nel 2007,dall 'ex Centro Stampa del Comune di Ferrara

nell 'ambito del programma per le celebrazionidi Ferrara, Città del Rinascimento

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Il dialetto è una forma linguistica di ambito più ristretto rispetto all'italiano,ma non per questo inferiore, in quanto tutti e due sono strutture,

di ambito più largo o limitato, più o meno prossime o lontane,ma lingue nel senso saussuriano del termine.

Luigi Heilmann

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Nell’ambito del programma per le celebrazioni di “Ferrara, Città del Rinascimento”, diverse sono le operazionieditoriali che vedono il sostegno dell’Amministrazione Comunale.La presente traduzione in dialetto ferrarese della commedia di Ludovico Ariosto “La Lena” curata dalla scrittriceBruna Bignozzi, così come l’analoga operazione di Diego Marani con i “Menecmi” di Plauto, si inserisce in questofilone progettuale, assumendo una valenza del tutto particolare per la natura teatrale dell’opera cinquecentesca e lascelta della sua trasposizione dialettale.É noto che i l l inguaggio teatrale è un codice performativo, un l inguaggio per la messa in scena, in cui gli elementicentrali diventano la comunicazione, la comprensione, i l coinvolgimento. Tradurre un testo teatrale, dunque,significa non solo trasporlo dalla l ingua di origine alla l ingua di destinazione mantenendo il più possibile inalteratoil significato e lo sti le del testo, ma anche attualizzare l’opera, renderla nuovamente e pienamente fruibile dalpubblico contemporaneo, evocando immagini, gesti e spazi. La scelta del dialetto ferrarese in quanto l ingua didestinazione è interessante poiché ben si coniuga con la natura comica del testo, riallacciandosi alla tradizionedelle nostre più celebri commedie dialettali.Per questi motivi un’operazione come quella di Bruna Bignozzi è da salutare con favore e sta a testimoniare comenella nostra città sia stata pronta e fruttuosa l’adesione delle istituzioni, delle associazioni, degli artisti e degliintellettuali alla programmazione dell’anno dedicato al Rinascimento e agli Estensi.

Gaetano SaterialeSindaco di Ferrara

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Introduzione

È noto che gli Estensi amavano, tra i vari intrattenimenti, gli spettacoli teatrali. E, tra questi, occupava un postoimportante la commedia che, di solito, veniva messa in scena durante i l periodo del carnevale e/o nelle celebrazionidi eventi festosi, come ad esempio i l matrimonio di un principe di casa d’Este.Nel primo decennio del Cinquecento, l ’allestimento di questo tipo di spettacoli fu affidato dal duca Alfonso I aLudovico Ariosto, poeta di corte che già si era cimentato nella Tragedia di Tisbe (oggi perduta), scritta per lacompagnia fondata da Ercole I.Così, messer Ludovico, cantore non troppo svagato, fece presto costruire, in un salone del palazzo ducale, un grandepalcoscenico con una scena fissa, su cui c’era una piazzetta con due case a fronte e sullo sfondo palazzi e chiesestil izzati. Nondimeno, uno spirito fecondo come il suo poteva sentirsi appagato del ruolo di pedestre allestitore, purcomprensivo di quello di “coreografo” e di “regista”?Gli venne in soccorso i l suo demone creativo suggerendogli di farsi anche sceneggiatore, ovvero scrittore dei testidelle commedie da mettere in scena. Fu in tal modo che, tra la stesura di un canto e l’altro dell’Orlando Furioso, eglidivenne, appunto, commediografo.Un commediografo innovativo, pur attingendo alla tradizione classica; un commediografo ironico, realistico,divertente, ma con un fondo di disincantata amarezza.Scrisse cinque commedie nell’arco di vent’anni: La Cassaria, I Suppositi, Il Negromante, La Lena, Gli Studenti(quest’ultima incompiuta), strutturate secondo la definizione canonica di quel particolare genere teatrale.1 Tuttavia,esse sono apportatrici di vari elementi originali, oltre quell i tipici del cl ima culturale del Rinascimento italiano che,nel nostro caso, è soprattutto quello ferrarese. Infatti, una fantasia ricca come quella del nostro grande concittadinonon poteva certo l imitarsi a scrivere commedie che ricalcassero pedissequamente quelle di Plauto e di Terenzio comeinvece fecero altri scrittori suoi contemporanei.Egli mise in scena la sua prima commedia, La Cassaria, nel 1508, durante i l periodo del carnevale, con una novitàsingolare: non era in versi, bensì in prosa.Tuttavia, come nelle commedie plautine, la vicenda si svolge in una città lontana, anche se certe situazioni sti l lanoferraresità. Il perno dell’intrigo è una cassa piena d’ori fi lati. Ma sono gl’imbrogli, orditi da servi a favore di giovanipadroni contro padri spilorci, ad animare i l plot che si conclude l ietamente. Nel carnevale dell’anno successivo,l’Ariosto mise in scena la sua seconda commedia: I Suppositi (ovvero, gli scambiati). Già i l titolo dice dell’argomentoe quindi dei molti equivoci che nascono per una serie di scambi di persona. Ma la novità, forse più ri levante, è datadall’ambientazione della vicenda in Ferrara con riferimenti palesi alla vita quotidiana del tempo.Ne fu fatta una rappresentazione anche in Vaticano, dieci anni dopo, nel 1519: la prospettiva della città di Ferraraspiccava allora sulla scena del grande teatro pontificio; mentre papa Leone X (al secolo, Giovanni De’ Medici, figliodi Lorenzo i l Magnifico), a detta dei cronisti, rideva divertito dalle battute salaci.Difatti, egli chiese una nuova commedia all ’Ariosto, che rimise mano a Il negromante, completando la versioneinterrotta. Ma Il Negromante non verrà messa in scena. Il perché non si sa con precisione. Comunque, certe battute"contro i l clero ignorante e sporcaccione, e addirittura contro i l giubileo, bandito dal papa e le relative indulgenze,fanno pensare che, per quanto largo fosse Leone X, i l poeta avesse osato un po’ troppo" (v. Silvio D’Amico Storia delteatro drammatico, vol. I; Milano, 1960). Seguì un nuovo silenzio decennale.

* * *

Nel 1528 viene rappresentata una nuova commedia, La Lena, in versi endecasil labi sdruccioli. L’occasione è data dalcarnevale e, pare, dai festeggiamenti per i l matrimonio di Ercole II d’Este con Renata di Valois.La fabula è ambientata in Ferrara. Si svolge nella piazzetta della scena fissa su citata, non lontana dai luoghi delPotere politico e religioso. Tuttavia, pian piano, l ’azione si dipana virtualmente attraverso tutta la città.Nel cortile del palazzo ducale (ora, piazza municipale) sostano gli uccellatori del duca e vari contadini appena giuntidalla campagna. Nella piazza grande (ora, piazza della Cattedrale e piazza Trento-Trieste) le treccole espongono invendita quaglie e piccioni; in via Gorgadello (ora, via degli Adelardi) cianciano gli avventori dell’osteria.In via dei Sabbioni (ora, via Saraceno) c’è invece i l banco a pegni dell’Ebreo a cui non mancano mai i buoni affari;come non mancano a quello dei Carri e di Riva. E, pur più modesti, gl i affari non scarseggiano nemmeno alleprostitute che battono la strada nel Gambaro (via del Gambero) e dietro al palazzo del Paradiso (via Romiti già viaBordelletto).Nella città nuova, ovvero l’addizione erculea, abita una fantomatica Dorotea che insegna a leggere alle fanciulle. Maper arrivare alla sua casa (in realtà introvabile) bisogna giungere alla chiesa di Santa Maria degli Angeli (oggiscomparsa) poi al monastero (la Certosa), ai giardini di palazzo Mosti, quindi in contrada del Mirasole.Insomma, per una ragione o per l ’altra, si gira per tutta Ferrara, ma solo di giorno, perché di notte la città è buia epericolosa. Vi transitano soltanto persone di malaffare o alcuni signori accompagnati dai servi che portano lalanterna. Tuttavia, i l giovane Fabio, nostro protagonista, ha osato rientrare a casa solo, ed è stato puntualmenteaggredito presso i portici di Santo Stefano; almeno secondo il racconto di Corbolo, i l suo famiglio. In ogni modo,proprio da questo fatto narrato dal servo bugiardo, hanno origine le esternazioni di certi personaggi che affermano

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di non aver alcuna fiducia nelle Istituzioni cittadine, perché tutto i l potere burocratico, subalterno al Duca, ègravemente corrotto.Il podestà, prima di dare udienza a un cittadino che ha subìto un torto, guarda se porta con sé "l’offerta", ma se lovede a mani vuote trova la scusa del gran daffare per non dargli ascolto. Inoltre, egli sta addirittura in combutta colconestabile (cioè i l capo della "polizia") nella spartizione di vari guadagni i l leciti. I segretari, gl i sbirri e, giù giù, finoai l ivell i infimi della burocrazia e delle forze dell’ordine sono tutti pronti a trarre profitto dai malcapitati.Perfino i guardiacaccia delle bandite ducali, gl i uccellatori, sono fedifraghi: vendono di frodo i fagiani che, secondole gride, non possono apparire nei banchetti delle feste, nemmeno quelle nuziali.E i l Duca? No comment. Ma se qualcuno si rivolge direttamente a lui perché gli è stato fatto un sopruso, lui che fa? Lomanda dal podestà. Allora è meglio risolvere le controversie privatamente perché se si spera di ottenere giustiziadalle autorità si rischia di uscirne colpevoli pur essendo vittime.In verità, le pene per i diversi tipi di reato sono definite chiaramente negli Statuti, comprese quelle riguardanti gliadulteri, ma esse vengono comminate ad esclusivo arbitrio del giudice. Nondimeno, l ’adulterio e i l mercimonio fisicosono frequenti in città. E non solo di tipo eterosessuale. Infatti, la nostra Lena caudata, cioè quella con l’aggiunta didue scene (v. Prologo dove, però, si gioca sia sul doppio signifi cato di Lena, titolo della commedia e nome dellaprotagonista, sia sul doppio senso di coda) informa il pubblico cui si presenta, pur con le parole dell’autore, che le“code” non piacciono solo a lei, bensì anche a dei "gioveni ai quali [ella] sa che le code non spiaceno, anzi loraggradiscono e le accettano per foggia buona e da persone nobili” (cfr, Satira VI, 25-33), in cui Ariosto individuasoprattutto negli umanisti la categoria di persone più inclini alle pratiche sodomitiche.

* * *

Ma La Lena commedia è solo trasfigurazione letteraria della realtà? Oppure è anche specchio riflettente la societàferrarese del tempo, vista nel rapporto col Potere e le sue leggi, spesso inique e/o mal applicate?Le pene citate nell’opera (per adulterio, insolvenza, radunanze, consumo dei fagiani nei banchetti, aggressioni, furto)sono tutte presenti negli Statuti ducali. Come lo sono alcune corvées cui è soggetta la popolazione. Qui, ne viene citatauna, cioè l’obbligo di prestare i buoi, settimanalmente, per gli sterramenti attorno alla città (v. atto III, quando ilpossidente Ilario, commentando la vendita di una coppia di bestie, dirà: Almen non avrò dubbi che‘l giudice alle fosseme li scortichi).Pure le Istituzioni con le relative figure professionali rispondono a verità storica. E, verosimilmente, risponde arealtà anche la loro corruzione, cancro inestirpabile di tutte le società umane in ogni tempo della storia.E i l costume truffaldino nei rapporti interpersonali quotidiani, seppur esagerato per esigenza di copione, rifletteanch’esso quella società ferrarese? Si presume di sì perché la frode appartiene, da sempre, all ’incorreggibile inciviltàumana.Tuttavia, questo costume imperituro rientra anche (secondo me) nel concetto dell’eterna foll ia collettiva, leit motivariostesco, così chiaro nel “Furioso”: sulla luna c’è di tutto: senno, vanità, sentimenti, aspirazioni e via dicendo, - solla pazzia non v’è poca né assai;/ che sta qua giù, né se ne parte mai -.La turlupinatura del prossimo appartiene, naturalmente, anche alla nostra protagonista, la Lena.Specialmente adesso che si è fatta pure ruffiana.La sua attività di meretrice l’ha resa esperta nell’uso delle "code" e dell’inganno. Nondimeno, a differenza di certigiovani e di certe persone nobili a cui le code non spiaceno, lei, delle sue code, ne farebbe volentieri a meno perché leripugnano.Innanzitutto, le fa schifo la "coda" di Fazio, vecchio taccagno dal fiato puzzolente. Però deve sopportarla per poterabitare gratis una casupola, per poter mangiare qualche piatto di minestra avanzata, per avere un paio di scarpenuove ogni tre o quattro anni e per averne qualche paio di vecchie e spellate per suo marito, beone sfaccendato, lacui "coda", ormai, la disgusta parimenti.Eppure la Lena dispone di ben altre competenze. Sa insegnare i l cucito, i l ricamo nonché i rudimenti della lettura; e lofa per Licinia, la figlia di Fazio. Ma, questo lavoro non ha retribuzione specifica, è compreso nella ricompensa di cuisi è sopra detto.Un giorno, però, le si presenta un’occasione che potrebbe farle guadagnare del danaro. Un’occasione d’oro, da nonperdere, anche perché le servirà per umiliare quel pidocchio di Fazio.C’è un giovane, i l nobile Fabio, che è ardentemente innamorato di Licinia, la quale lo ricambia con altrettantapassione. Tuttavia, come tutte le ragazze di buona famiglia, Licinia non può uscir di casa se non accompagnata.Allora Fabio chiede a Lena, sua custode, di farsi ruffiana. Lei accetta, ma al prezzo di ben venticinque fiorini. Ilgiovane non dispone di tale somma, ritiene però di poterla avere a prestito. Ma poiché le vicende, spesso, vannoall’incontrario delle previsioni, proprio da qui nascono gl’imprevisti, gl’inconvenienti e gl’imbrogli che danno vitaalla divertente commedia.La mancata realizzazione del guadagno sperato induce la Lena ad intensificare la crudezza del l inguaggio, soloapparentemente caricaturale. In verità, esso serve a dar vigore alle sue amare esternazioni di donna delusa emercificata, ma che ha lucida coscienza di sé.Parole assai aspre, che fanno emergere la drammaticità del personaggio, pur celata dietro i l paravento ridancianodella commedia. Tuttavia, proprio le parole sguaiate dei rinfacci nei confronti dell’amante e del marito lerestituiscono dignità ponendola moralmente più in alto dei suoi due sfruttatori.

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La Lena sa di essere una persona sconfitta, senza speranza alcuna di riscatto, in una società dove tutto sembraritornare al punto di partenza. Così, rassegnata, comunica al marito lenone il suo tristo piano di sopravvivenza per i lfuturo, quello cioè di farsi ruffiana di mestiere:-S’io avessi a star tuttavia giovane,/ il mantener amendue col medesimo/ modo usato fin qui, mi sarìa agevole;/ ma comele formiche si provveggono / pel verno, così è giusto che le povere/ par mie per la vecchiezza si proveggano-.Questa rigida circolarità d’azione e d’intenti della nostra Lena è, forse, una denuncia ante l itteram di una vessatacondizione di genere?

Bruna Bignozzi

Nota

1 La commedia è “una composizione drammatica d’origine classica, in versi o in prosa, divisa in atti e in scene, cheritrae personaggi e fatti comuni, con esito spesso l ieto e destando il riso. (1304-08, Dante)”.[da Dizionarioetimologico della l ingua italiana di M. Cortelazzo-P. Zoll i].

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Maurizio Bonora.Tra Dionisio e Apollo, episodi. Sopra le spalle del grande filosofo (part.), 1990-2005.

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Maurizio Bonora.I luoghi del femminile, 2003. Terracotta.

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Prologo

(della seconda edizione caudata)

Ecco La Lena che vuol far spettacoloun’altra volta di sé, né considerache se l’altr’anno piacque, contentarsenedovrebbe, né si por ora a pericolodi non piacervi: che ‘l parer de gli uominimolte volte si muta, et i l medesimoche la matina fu, non è da vespero.E s’anco ella non piacque, che più giovaneera alor e più fresca, men dovrebbeviora piacer. Ma la sciocca s’imaginach’esser più bella, or che s’ha fatto metterela coda drieto; e parle che, venendovicon quella inanzi, abbia d’aver più graziache non ebbe l’altr’anno, che lasciòvisiveder senz’essa, in veste tonda e in abitoda questo, ch’oggi s’usa, assai dissimile.E che volete voi? La Lena è simileall’altre donne, che tutte vorrebbonosentirsi drieto la coda, e disprezzano(come sian terrazzane, vil i e ignobili)quelle ch’averla di drieto non vogliono,o per dir meglio, ch’aver non la possono:perché nessuna, o sia ricca o sia povera,che se la possa por, niega di porsela.La Lena, insomma ha la coda, e per farvilaveder un’altra volta uscirà in publico;di voi, donne, sicura che laudargli ladebbiate; et è sicura anco dei gioveniai quali sa che le code non spiaceno,anzi lor aggradiscono e le accettanoper foggia buona e da persone nobili .Ma d’alcuni severi et increscevolivecchi si teme, che sempre disprezzanotutte le fogge moderne, e sol laudanoquelle ch’al tempo antico si facevano.Ben sono ancora dei vecchi piacevoli,l i quali non hanno le code a fastidio,et han piacer de le cose che s’usano.Per piacer, dunque, a questi e agli altri che amanole fogge nuove, vien La Lena a farvisiveder con la sua coda. Quelli rigididel tempo antico faran ben, levandosi,dar luogo a questi che la festa vogliono.

Continua

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Prologo

Èco la Lena c'la vòl far spètàcul 'd l ié 'n'àltra volta; l 'an cunsidèra brisa che sè l 'altr an l 'è piasù, la duvrìacuntantàrsin, e adèss l 'an duvrìa riscciàr d'an piasérav più: parché al parér dla zent al cambia inpréssia, e quèl dlamatìna al n'è più quél dla sira.Invéz, s'la n'é brisa piasù alóra cl 'éra più zóvna e più frésca, adèss l 'av duvrìa piasér 'ncóra 'd mén. Mò la ssiòca l 'ascréd d'èssar più bèla adèss c'la s'è fata métar ad dré la cóa; ag par che gnénd con quèla la gàva d'avér più graziadl'altr an, c'la s'è lassà védar da vuàltar senza cóa, in vèst tònda, purassà difarénta ad quéla ca custùma st'an chi.E cus a vliv vuàltar? La Lena l 'è cumpàgna a chij'àltar dòn,che tuti l i vrìa santìrass ad dré la cóa e l i disprèza (cmètèrazàn grézi e ignobili) quéli ch'in vòl brisa averla ad dré o, par mèj dir, quéli ch'in la pòl brisa avér, parché nissùnadòna, sgnóra o puvréta, c'la s'la póssa métar, la rifiuta 'd métarsla. La Lena, insóma, la gà la cóa, e par fàrvla védarla gnirà fóra in pùblic n'àltra vòlta, sicùra che vuàltar dòn a gl'à duvìdi ludàr; e l 'è sicùra anc di zùan, a quéj c'la sache i l cóvv ing spiàs brisa, anzi i l i gradìss e i l j azèta par bòna fórma e da parsónn nòbil.Mò as gà paura ad zért vècc sèvèr e fastidiós, che sémpar i dispréza tut i quèij mudèran e i lòda sól quéji di sò témpantìc.Però a ghè anc di vècc cumpiasént c'ang dà brisa fastìdi i l cóvv, e ag pias quél ca custùma adéss. Dóncan, la Lena lavién a fàrass védar con la sò cóa a tuti quéji c'ag piàs i quèij nóv. I vècc sèver dal témp antici farìa bén a lassàr alpòst a quésti ac vòl la fèsta.

Continua

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Maurizio Bonora.Tra Apollo e Dionisio, episodi. Il grande abbraccio amoroso e Capriole come le parole, 1990-2005. Tempera acrilica su tela.

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La Lena

Corbolo famiglio di Flavio2

Flavio giovane benestanteLena ruffianaFazio vecchio, amante di LenaLicinia giovane figlia di FazioIlario anziano padre di FlavioEgano vecchioPacifico marito di LenaCremonino famiglioGiuliano parente di PacificoTorbido perticatoreGemignano aiutante di TorbidoBartolo creditore di PacificoMagagnino sbirroSpagnuolo sbirroMenica massara di FazioStaffieri dueMenghino famiglio di Fazio

La scena è in Ferrara. L'azione si svolge in una sola giornata.L'opera, tradotta in dialetto ferrarese, è in prosa, tuttavia fedele, i l più possibile, al testo ariotesco.Per suggerirne una corretta lettura, si è ritenuto opportuno evidenziare l 'accento acuto o grave sulle vocali e o (es.:quél, quèl oppure bót bòt ). Inoltre si sono accentate le vocali toniche nella maggioranza delle parole (es. : àltar, altàr),le voci verbali essere e avere, nonché i pronomi personali (mì, tì, lù, vù, nù) per dar loro più vigore espressivo.Per le consonanti, invece, si è scelto di non usare simboli per la complessità e l 'arbitrarietà selettiva che essicomportano.

Cfr., Ludovico Ariosto, La Lena, BUR, Milano 1995-05, a cura di Stefano Bianchi da cui si è tratto i l testo.

Nota

2 Corbolo era di Corbola (RO). Forse [ndr]

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Maurizio Bonora.Laboratorio europeo delle arti, planimetria generale; 2003. Olio su carta.

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Atto IScena I

Corbolo, Flavio

CORBOLOFlavio, se la dimanda è però lecita,dimmi, ove vai sì per tempo? che suonanopur ora i matutini; né debb’esseresenza cagione che ti sei con tal studiovestito e ben ornato, e come bossolodi spezie ti sento odorifero.FLAVIOIo vo qui dove i l mio Signor gratissimo,Amor, mi mena a pascere i fameliciocchi d’una bellezza incomparabile.CORBOLOE che bellezza vuoi tu in queste tenebreveder? Se forse non desiderila stella amata da Martin d’Amelia;ma né quell’anco di levarsi è solitacosì per tempo.FLAVIONé cotesta, Corbolo,né stella altra del ciel, né i l sole proprioluce quanto i begli occhi di Licinia.CORBOLONé gli occhi de la gatta: questo aggiungeredovevi ancora, che sarìa più similecomparazion, perché son occhi e lucono.FLAVIOIl malanno che Dio te dia, che comparigli occhi d’animal bruto ai lumi angelici!CORBOLOGli occhi di Cochiolìn più confarebbonsi,di Sabbadino, Mariano e simili ,quando di Gorgadello ubriachi escono.FLAVIODeh, va’ in malora!CORBOLOAnzi in buon’ora a stenderminel letto, et a fornirvi un suavissimosonno che tu m’hai rotto.FLAVIOOr vien qui et odimi,e pon da lato queste sciocche arguzie,Corbol, che sempre abbi aùto grandissimafede in te, te ne sei potuto accorgerea molti segni; ma maggior indizioch’io te n’abbia ancor dato, son per darteneora, volendo farti consapevoled’un mio secreto di tal importanzia,che la roba vorrei, l ’onor e l ’animaperder, prima che udir che fusse publico.E perché credo aver de la tua operabisogno in questo, ti vo’ far intenderech’a patto ignun non te ne vo’ richiedere,se prima di tacerlo non mi t’oblighi.CORBOLONon accade usar meco questo prologo,

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che tu sai ben per qualche esperïenziach’ove sia di bisogno so star tacito.FLAVIOOr odi: io so che sai, senza ch’io ‘l replichi,ch’amo Licinia, figliuola di Fazionostro vicino, e che da lei rendutomiè i l cambio; che più volte testimonioalle parole, ai sospiri, alle lacrimesei stato, quando abbiamo avuto commododi parlarci, stand’ella a quella picciolafinestra, io ne la strada; né mancatociè mai, se non il luogo, a dar rimedioa nostri affanni. Il quale ella mostratomiha finalmente, che far amiciziam’ha fatto con la moglie di Pacifico,la Lena: questa che qui a lato abita,che le ha insegnato da fanciulla a leggereet a cucire, e seguita insegnandolefar trapunti, riccami, e cose simili:e tutto i l dì Licinia, fin che suoninoventiquattro ore, è seco, sì che facile-mente, e senza ch’alcun possa avedersene,la Lena mi potrà por con la giovane.E lo vuol far, e darci oggi principiointende: e perché l i vicìn, vedendomientrar, potrìan alcun sospetto prendere,vuol ch’io v’entri di notte.CORBOLOE’ convenevole.FLAVIOVerrà a suo acconcio e tornerà la giovane,come andarvi e tornarne ogni dì è solita.Ma non me ne son oggi io più per movereinsino a notte. Questa notte tacita-mente uscironne.CORBOLOCon che modo volgerehai potuto la moglie di Pacificoche ruffiana ti sia de la discepola?FLAVIODisposta l’ho con quel mezzo medesimocon che più salde menti si dispongonoa dar le rocche, le città, gli esserciti,e talor le persone de’ lor principi:con denari, del qual mezzo i l più facilenon si potrebbe trovar. Ho promessoleventicinque fiorini, et arrecarglieliora meco dovea, perché riceverlianch’io credea da Giulio, che promessomigli avea dar ieri, e m’ha tenuto all’ultimo.Iersera, poi, ben tardi mi fe’ intendereche non me li dava egli, ma servirmenefacea da un suo, senza pagargliene utileper quattro mesi; ma dovendo darmeli,quel suo voleva i l pegno, i l qual sì subitonon sapendo io trovar, e già avend’ordinedi venir qui, non ho voluto romperlo,e son venuto; ancor ch’io stia con animomolto dubbioso se mi vorrà crederela Lena, pur mi sforzarò, dicendolecome ita sia la cosa, che stia tacitafin a diman.CORBOLO

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Se ti crede, fia un’operasanta che tu l’inganni. Porca! ch’arderla possa i l fuoco! No ha coscienzia,di chi si fida in lei la figlia vendere!FLAVIOE che sai tu che gran ragion non abbia?Acciò tu intenda, questo vecchio miserole ha voluto già bene, e ‘l desideriosuo molte volte n’ha avuto.CORBOLOMiracolo!Gli è forse i l primo.FLAVIOBen credo, patendoloil marito, o fingendo non accorgersi.Imperò che più e più volte Faziogli ha promesso pagar tutti i suoi debiti,perché i l meschìn non ardisce di metterepié fuor di casa, acciò che non lo faccianoli creditori suoi marcire in carcere;e quando attener debbe, niega i l perfidod’aver promesso, e dice:- Dovrebbe esserviassai d’aver la casa e non pagarmenepigion alcuna-; come nulla meritiella de l’insegnar che fa a Licinia!CORBOLOVeramente, se fin qui nulla merita,meriterà ne l’avenir, volendoleinsegnar un lavoro i l più piacevoleche far si possa, di menar le calcolee batter fisso. Ella ha ragion da vendere.FLAVIOAbbia torto o ragion, c’ho da curarmene?Poi che mi fa piacer, le ho d’aver obligo.Or quel che da te voglio è che mi comperifin a tre paia o di quaglie o di tortore;e quando aver tu non ne possi, pigliamidue paia di piccioni, e fagli cuocerearosto, e fammi un capon grasso metterelesso: e gli arreca ad ora convenevole,e con buon pane e meglior vino; e siatia cor ch’abbian da bere in abondanzia.Quest’è un fiorino, te’: non me ne renderedanaio in drieto.CORBOLOIl ricordo è superfluo.FLAVIOIo vo’ far segno a la Lena.CORBOLOSì, faglieloma su la faccia, che, per Dio, lo merita.FLAVIOPerché, se mi fa bene, ho io da offenderla?CORBOLOIl farti ella suonar, come un bel cembalo,di venticinque fiorini, tu nominibene? Ma dimmi: ove sarà, pigliandolitu in presto, poi provisïon di renderli?FLAVIOHo quattro mesi da pensarci termine,che sai che possa in questo mezzo nascere?Non potrebbe morir, prima che fossimoli tre, mio padre?

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CORBOLOSì; ma potrìa vivereancor; se vive, come è più credibile, che modo avrai di pagar questo debito?FLAVIONon verrai tu sempre a prestarmi un’opera,che gli vorrò far un fiocco?CORBOLOTe n’offeropiù di diece.FLAVIOMa sento che l’uscio apreno.CORBOLOE tu aprir loro i l borsello apparecchiati.

Scena II

Flavio, Lena, Corbolo

FLAVIOBuon dì Lena, buon dì.LENASarìa più propriodir buona notte. Oh, molto sei sollecito!CORBOLORisalutar ben lo dovevi, ed esserepiù cortese.LENACon buoni effetti vogliolorisalutar, non con parole inutil i .FLAVIOSo ben che i l mio buon dì sta nel tuo arbitrio.LENAE ‘l mio nel tuo.CORBOLOAnch’io i l mio nel tuo metterevorrei.LENAO che guadagno! Dimmi, Flavio:hai tu quella faccenda?CORBOLOBen puoi credereche non sarìa venuto, non avendola.Ti so dir che l’ha bella e ben in ordine.LENANon li dico di quella; ma dimandoglis’egli arreca danar.FLAVIOCredea arrecarliper certo …LENATu credevi? mal principiocotesto.FLAVIO… che un amico mio servirmenedovea fin ieri, e poi mi fece intendereiersera, ch’era già notte, che darmelifarebbe oggi o diman senza alcun dubbio.Ma sta' sopra di me: doman non fìenovint’ore, che l i arai.LENADiman, avendoli,

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farò che l’altro dì, a questa medesimaora, intrarai qua dentro. Intanto renditicerto di star di fuori.FLAVIOLena, reputad’averli.LENAPur parole, Flavio: reputach’io non son , senza denari, per crederti.FLAVIOTi do la fede mia.LENASarìa mal cambio tôr per denari la fede, che spenderenon si può; e questi che i dazi riscuoteno fra le tristi monete la bandiscono.CORBOLOTu cianci, Lena, sì?LENANon ciancio: dicolidel miglior senno ch’io m’abbia.CORBOLOPuò essereche, essendo bella, tu non sia piacevoleancora?LENAO bella o brutta, i l danno e l’utileè mio: non sarò almén sciocca, che volgere mi lassi a ciance.FLAVIOMi sia testimonioDio.LENATestimonio non vo’ ch’allo esamineio non possa condur.CORBOLOSì poco creditoabbiamo teco noi?LENANon stia qui a perderetempo, ch’io gli conchiudo ch’egli a metterenon ha qua dentro i l piede se non vengonoprima questi denari e l ’uscio gli aprino.FLAVIOTu temi ch’io te la freghi?CORBOLOSì fregala,padron, che poi ti sarà più piacevole.LENAIo non ho scesa.CORBOLO(Un randello di frassinodi due braccia ti freghi le spalle, asina!)LENAIo voglio, dico, denari, e non frottole.Sa ben che ‘l patto è così; né dolersenepuò.FLAVIOTu dì i l vero, Lena: ma può essereche sii sì cruda, che mi vogli escluderedi casa tua?LENAPuò essere che sì semplicemi estimi, Flavio, ch’io ti debba crederech’in tanti dì che siamo in questa pratica

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tu non avessi trovati, volendoli,venticinque fiorini? Mai non mancanodenari all i par tuoi. Se non ne voglionoprestar gli amici, all i sensali volgiti,che sempre hanno tra man cento usuraii.Cotesta veste di velluto spogliati,l ievati la berreta, e all ’Ebreo mandali,che ben de l’altre robe hai da rimetterti.FLAVIOFacciàn, Lena, così: piglia in depositofin a diman questa roba, et impegnalase, prima che diman venti ore suonino,non ti do l i denari, o fo arrecareliper costui.LENATu pur te ne spoglia, e mandalaad impegnar tu stesso.FLAVIOMi deliberodi compiacerti, e di farti conoscereche gabar non ti voglio. Piglia, Corbolo,questa berretta e questa roba. aiutami,ch’ella non vada in terra.CORBOLOChe, vuoi trartela?FLAVIOLa vo’ a ogni modo satisfar; che diavolofia?CORBOLOOr vadan tutti l i beccai e impicchinsi,che nessun ben come la Lena scortica.FLAVIOVoglio che fra le quindici e le sediciore, da parte mia, tu vada a Giulio,e che lo preghi che mi trovi sùbitochi sopra questi miei panni m’accomodide l i denar che sai che mi bisognano.E se ti desse una lunga, rivolgitial banco de’ Sabbioni, e quivi impegnaliventicinque fiorini; e, come avutoliabbi, o da un luogo o da un altro, qui arrecali.CORBOLOE tu starai spogliato?FLAVIOChe più? Portamiun cappin e un saion di panno.LENASpacciala;ch’ancor ch’egli entri qui, non ha da crederech’io voglia che di qua passi la giovaneprima che l i contanti non mi annoveri.FLAVIOIntrarò dunque in casa.LENASì ben, entraci;ma con la condizion ch’io ti specifico.

Scena III

Corbolo solo

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CORBOLOPotta! che quai son per attaccargliela.Ho ben avute a’ miei dì mille pratichedi ruffiane, bagasce e cotal femineche di guadagni disonesti vivono;ma non ne vidi a costei mai la simile,che con sì poca vergogna e tanto avida-mente facesse i l suo ribaldo offizio.Ma si fa giorno: per certo non eranoli matutini quell i che suonavano;esser dovea l’Ave Maria o la predica;o forse i preti iersera troppo avevanobevuto, e questa matina erant oculigravati eorum. Credo che anco Giulionon potrò aver, che la matina è solitodi dormir fino a quindici ore o sedici.In questo mezzo sarà buono andarmenfin in Piazza, a veder se quaglie o tortorevi posso ritrovar, e ch’io le comperi.

Continua

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ATTO IScena I

Corbolo, Flavio

CORBOLOFlavio, s'at al póss dmandàr, mò 'nduvàt axì prèst? L'è péna sié ór. A gà pur d'èssar na rasón sé tat jé tut tirà eprofumà.FLAVIOA vagh indù c'am porta l 'amor; a vagh a cuntantàr i mié òcc ingórd dna beléza mai vista.CORBOLOMò che beléza vót védar con stal scur? S'an è parché at vó védar la stéla 'd Matrtìn d'Amelia; mò gnanc quéla las'aliéva 'xì prèst.FLAVIONè questa chi, Corbolo, nè n'altra stéla dal ziél e gnanc al sól al lus cmè i bèj òcc dla Licinia.CORBOLOGnanc jòcc dla gata: quést at duvréss dir, cal sarìa un paragón mèij, parché quéij jè òcc ac lus.FLAVIOChe Dio al't maladìssa, c'at paragón j òcc d'na bruta bèstia a quéij dal mié ànzul.CORBOLOAc sumiliarìa ad più j òcc ad Cochiòlìn o ad Sabadìn o ad Mariàn od chjàltar imbriàgh quant i vién fóra da Gurgàdèl.FLAVIOMò va' 'n malóra!CORBOLOAnzi, in bònóra, a sténdram a lèt, a finir al mié bel són che tì t'am'à interót.FLAVIOAdèss vién chi e scólta; e lassa star i l tò batudìn.Corbolo, che mì a gàva avù sémpar tanta fiducia in tì, tat t'in jé putèst acòrzar da tant ségn; mò adèss a són drédàrtan un più gròss; at vój cunfidàr un mié segrét axì inpurtànt ch'avrìa pèrdar tuta la mjé ròba, l 'unór e anc l 'animaprima che la zént l 'al gnéss a savér. E parché a créd d'aver bisógn dal tò ajùt, pròpia ins quèl chi, prima zura che t'andirà gnént, sinò a lass pèrdar.CORBOLOCon mì an ghè brisa bisógn d'arcmandazión, t'al sa bén ca sò star zit, quant l 'è nècèssari.FLAVIOAdèss sta a santìr: tì t'al sa d'an péz che mì a són inamurà dla Licinia, la fiòla 'd Fazio, al nòstar vsìn; e che anca ljél'am vòl bén; e che tant vòlt t'à santì i l paròl, i suspìr, e ta vist i l làgarm ogni volta ch'en putèst dzcórar, l jé da clafnèstra piculìna e mì in sla strada; mò a n'én mai putèst avér un pòst par star insiém. Finalment, adèss ag n'è un. Ljél'à ma fat far amicizia con la mujér 'd Pacifico, la Lena, quéla cla sta chi vsìn, e cla gà 'nsgnà, fin da pìcula, a lèzar e acusìr, e 'ncóra la séguita a 'nsgnàrag di punt nóv, a ricamàr, e quèij dal zènar. E tut al dì la Licinia, fin vèrs sié or dlasira, la sta là da la Lena, cl 'am putrà far star con la Licinia. E la vòl cuminziàr pròpia incuó. Mò parché i vsìn i putrìasupstàr s'im vdéss andàr déntar, la vòl ca vaga déntar col scur.CORBOLOL'è propia mèj!FLAVIOLa Licinia la gnirà e l 'andrà via cóm la fa tut i dì; mò mì bisogna ca stàga là fin a nòt. A gnirò fóra stanòt, zito zito.CORBOLOCum at fat a cunvìnzar la mujér 'd Pacifico a far da rufiàna con la sò sculàra?FLAVIOA l'ò cunvinta con cal mèz che zèrt mént, bén più férmi, jè disposti a dar i fòrt, i l zità, ji èsèrcit, e i l pèrsón di sòprìnzip: con i soldi: ans pòl truvar un mèz più fàzil . A gò inpruméss vintzinc fiorini e ad purtàri adèss con mì, parchéam cardéva d'avéri jér sira da Giulio che l 'am l'éva inpruméss. E pò, jér sira tardi, al m'a dit c'an mi dava brisa lù;però l 'am faséa sarvìr da un sò 'migh, senz'ùtil par quàtar mis, però al vléa un pégn. Mì, axì sùbit an savéa in dùtruvàral, mò sicóm ca jéra za d'acòrd ad gnir chi, a son gnu l istéss, anc s'an són brisa sicùr che la Lena l 'am créda. Acdirò cum è andà i quèij e che la stàga bòna fin a dman.CORBOLOSe l 'at créd, la sarà 'n'òpra santa se tl 'ingàn. Pòrca! Che 'l fógh al la brusa! L'an gà cussiénza a véndar la fiòla ad chis fida ad ljé!FLAVIOE cus in sat tì, che l 'an gàva rasón? Sta ben a santìr, cal vecc spilòrcc al ghè inamurà e al gà sudisfàt i l sò vój purassàvòlt.

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CORBOLOMiràcul! L'è fórsi al prìm.FLAVIOA créd ben, supurtàndal al marì o finzénd d'an acorzirssìn brisa. Parché Fazio al gà sémpar inpruméss ad pagàr i sòdèbit, parché al mèschìn an pòl gnanc métar al nas fóra da l 'ùss sinò i sò crèditór i l fa marzìr in parsón; e quant l 'èora ad pagàr, al vecc malìgn al néga d'aver inpruméss.Alg dis: -av duvrìa bastàr la ca' senza pagar l 'afìt, cmè s 'insgnàr a la Licinia al duvéss èssar a gràtis.CORBOLOVèramént, sè fin chi l 'an mèrita gnént, la mèritarà int l 'avgnìr, dato che l 'ag vòl insgnàr un lavór, al più piaséul c'agsia: ad mnar i fiànc avanti e 'ndré. La gà rasón da véndar.FLAVIORasón o tòrt, cus mn'inpòrta?Sicóm cl'am fa piasér, ag són ubligà.Adèss, quél ca vój da tì, l 'è cat'am cómpri un par 'd quàj o 'd tórtur; e se t'an i tróv brisa, cómpr'am dó para ad clómbe faj cuósar aròst, e fa métar a léss un bèl capón grass; pò ta ghi pòrt a l 'ora giusta, e con dal bón pan e dal vin mèij;e sta ténti chi béva purassà. Quést l 'è 'n fiorino, tien't al rèst.CORBOLOSta sicùr!FLAVIOMì a vag a far ségn a la Lena.CORBOLOSì, fàgal, mò in sla fàza, che, par dio, la s'al merita.FLAVIOParché l 'òja da uféndar s'l 'am fa dal bén?CORBOLOFàrat sunàr cmè 'n bèl strumént da vintzinc fiorini, ti t'al ciàm bén?Mò dim: s'it inprèsta i sòld, cum faràt a dàrghi indré?FLAVIOA gò quàtar mis par pansàrag su, chissà intant cus a pòl suzèdar; a putrìa anc murir mié pàdar éntar tri mis.CORBOLOSì 'l putrìa, mò al vivrà 'd sicùr; cum faràt mai a pagàr sti dèbit chi?FLAVIOT'an gnirà tì a dàram na man, ògni vòlta c'ag vrò far un fiòc?CORBOLOAt'in dag diés.FLAVIOA sént chi vèrz l 'uss.CORBOLOE tì prepàrat a vèrzar al bursìn.

Scena II

Flavio, Lena, Corbolo

FLAVIOBón dì, Lena, bón dì.LENAA sarìa mèj dir bòna nòt. Mò cum t'jé svèlt!CORBOLOAt duvréss rispóndar mèj al salut e èssar più èducàda.LENAAl vój salutàr con di fat, no con d'i l ciàcar.FLAVIOAl sò bén che al mié bón dì al sta in tì.LENAE 'l mié in t'al tò.CORBOLOAnca mì avrìa métar al mié in tal tò.LENAMò che bèl guadàgn!Alóra Flavio, gàt cla fazénda?

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CORBOLOT'an vrà mina c'al sia gnù senz'avérla?At sò dir cal glà, bèla e bén in órdan.LENAAn dig brisa quéla. A ga dmand s'al gà i baijòc.FLAVIOA cardéva ad purtàrti, a jéra sicùr...LENATì 'd cardévi? Brut prinzìpi l 'è quést!FLAVIO...che un miè 'mig al mi duvéa dar fin da jér; pò, jér sira, l 'era za nòt, al m'à fat capìr che, senza dùbi, al mì darà incuóo dman.Fìdat ad mì: a dman, at gavrà prèst i tò sòldi.LENADman, quant agh'javrò, at dirò che passadmàn, a chi sta stéssa óra, at gavrà l 'incóntar chi déntar.Intant, ad sicùr, adèss, sta fóra.FLAVIOLena, fa cónt d'avéri za.LENASól ciàcar, Flavio; arcòrdat che, senza i soldi, ant créd brisa.FLAVIOAt dag la mié parola.LENAAl sarìa un brut càmbi, tór pri soldi la parola, cl 'an spòl brisa spéndar. E quéj ac tìra su i l gabèl, i la mitrìa tra 'lmunéd falsi.CORBOLOTì, Lena at baùc axì?LENANo c'an baùc; al dig con la testa purassà a pòst.CORBOLOPòlal èssar ch'èssend béla, tì t'an sii brisa anc cunpiasénta?LENAO bèla o bruta , al dan o l 'ùti l l 'è miè: almén an sarò brisa ssiòca da canbiàr idea con d'i l ciàcar.FLAVIOAm sia testimòni Dio.LENA,Un testimòni ch'an póss brisa purtàr a testimuniàr.CORBOLOAxì póca fiducia at gà in nù.LENAAn stàga chi a pèrdar temp; in conclusión, lù al n'à da métar pié chi déntar s'an rìva prima i sòldi: quéij i varzrà l 'uss.FLAVIOTì t créd c'at fréga?CORBOLOSì, sfrégla padrón, che pò at piasrà ad più.LENAMì an gò rèumàtic.CORBOLO(che un bastón ad fràssin al 't sfargàss i l spall, putàna).LENAMì a vój, a dig sòldi, brisa dil busié.Lù al sa bén che 'l pat l 'è 'xì; e an pòl brìsa lamantàrass.FLAVIODi' la vrità, Lena, mò pòl èssar cat jé 'xi dura da lassàram fóra 'd ca' da tì?LENAPòl darsi che tì, Flavio, t'am créd 'xi sséma da crédar che, dòp tant dì ca sén in chist afàri, tì t'an av 'ncóra truà,zarcàndi,vintzìnc fiorini? Ai tò pàri ang manca brisa i soldi. Se j amìg in vòl brisa inprastàrti, va da qualch mèdiatórch'i gà sémpar tra 'l man zént usùrai.Spójàt at chi sta vèsta 'd vlùd, càvat la bréta e manda tut dal Ebrèi, chè tì at gà bén dl'àltra ròba da métrat.FLAVIOLena, fén axì: tién in dèposit sta roba chi, e pò inpégnla, se prima che dman a sóna dó ór, an at dag brisa i sòldi, o anti fag brisa purtàr da stucachì.LENA

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Spójat e màndla tì stéss a impgnàrla.FLAVIOA vój pròpia cuntantàrat, e fàrat védar c'an t vój brisa inbrujàr; ciàpa, Corbolo, sta bréta e sta ròba; jutàm cl'an vàgain tèra.CORBOLOCòss a vót cavàrtla?FLAVIOA la vój far cunténta, cus a sarà maij?CORBOLOAdèss, tut i mazlàr i vàga a inpicàrass parché nissùn a spéla bén cmè la Lena..FLAVIOA vój che, vèrs quatr ór, at vag, a nóm miè, da Giulio; e c'at al prèg c'al tróva sùbit qualdùn c'al dàga i sòldi c'am vól,con l 'inpégn dla mié ròba.E sè al la tira lónga, va al banc di Sabiùn, e l ì impégnla par vintzinc fiorini; e cum t'ja vù, ó in t'un pòst ó 'nt'àltar,pòrti chi.CORBOLOE tì, stat spujà?FLAVIOPòrtam un bartìn e un mantél 'd pan.LENAStrìgat, che anc s'al vién déntar, al n'à da crédar che da chi a passa la ragazéta se mì a n'ò cuntà tut i sòld.FLAVIOAlóra, vàghia pròpia déntar?LENASì, va là; mò con la cundizión c'at dig mì.

Scena III

Corbolo solo

CORBOLOLa gnòca! Ca són quasi par maladìrla.Ai mié dì ò 'vu a che far tant vòlt con d'i l rufiàn, d'i l putàn e cla ràza 'd fémann c'l is ciàpa da vìvar con di guadàgndisunèst; mò a n'ò mai vist una cla féss ast mastiér spórc con 'xi póca vargógna e con tant avidità cmè stiécachì.Mò ormai l 'è dì; e, zèrt, i n'era brisa quéli dil sié ch'i l campàn ac sunàva; l i dùvéa èssar l 'Avemaria o la predica; ofórsi i prèt jér sira jéva buèst tròp, e stamatìna i sè 'ndurmanzà.A créd che stamatìna an putrò vedàr gnanc Giulio, che la matìna, al solit, al dòrm fin tardi. Intànt, a sarà mèj ca vagain piàza, a védar sa póss truàr quàj o tórtùr, e ca i cómpra.

Continua

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Maurizio Bonora.I luoghi del femminile. 2003. Terracotta.

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Atto IIScena I

Fazio, Lena

FAZIOChi non si l ieva per tempo, e non operala matina le cose che gl’importanoperde i l giorno, e i suoi fatti non succedonopoi troppo ben. Menghìn, vo’ che a Dugentolatu vadi, e ch’al castaldo facci intendereche questa sera le carra si carchino,e che diman le legna si conduchino;e non sia fallo, ch’io non ho più ch’ardere.Né ti partir, che vi vegghi buon ordine;e dir mi sappi come stan le pecore,e quanti agnell i maschi e quante femineson nati; e fa che l i fossi ti mostrinoc’hanno cavati, e che conto ti rendanodei legni verdi c’hanno messo in opera;e quel che sopravanza fa’ ch’annoveri.Or va’, non perder tempo. Odi: s’avessinoun agnel buono …Eh non, fia meglio venderloVa’, va’ … Purtroppo …LENASì, era un miracoloche diventato voi foste sì prodigo!FAZIOBuon dì, Lena.LENABuon dì e buon anno, Fazio.FAZIOTi l ievi sì per tempo? Che disordineè questo tuo?LENASarìa ben convenevoleche, poi che voi mi vestite sì nobile-mente e da voi le spese ho sì magnifiche,che fin a nona io dormissi a mio comodo,e i l dì senza far nulla io stessi in ozio!FAZIOFo quel ch’io posso, Lena: maggior renditede le mie a farti cotesto sarebbonobisogno; pur, secondo che si stendonole mie forze, mi studio di farti utile.LENAChe utile mi fate voi?FAZIOQuest’è i l tuo solito,di sempremai scordarti i benefizi i .Sol mentre ch’io ti do, me ne ringrazii;tosto c' ho dato, i l contrario fai subito.LENAChe mi deste voi mai? Forse ripeterevolete ch’io sto qui senza pagarvenepigione?FAZIOTi par poco? Son pur dodicil ire ogn’anno coteste, senza i l commodoc’hai d’essermi vicina; ma tacermene

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voglio, per non parer di rinfacciartelo.LENAChe rinfacciar? Che se talor v’avanzanominestre o broda, solete mandarmene?FAZIOanch’altro, Lena.LENAForse una o due coppiedi pane al mese, o un poco di vin putrido?O di lasciarmi tôrre un legno picciolo,quando costì le carra se ne scarcano?FAZIOHai ben altro.LENACh’altro ho io? deh, ditelo;cotte di raso o di velluto?FAZIOLecitonon sarìa a te portarle, né possibilea me di darle.LENAUna saia mostratemiche voi mi deste mai.FAZIONon vo’ risponderti.LENAQualche par di scarpacce o di pantofole,poi che l’avete ben spellate e logore,mi date alcuna volta per Pacifico.FAZIOE nuove anco per te.LENANon credo sianoin quattr’anni tre paia. Or nulla vaglionole virtuti che insegno e che continua-mente ho insegnate a vostra figlia?FAZIOVaglionoassai, non voglio negar.LENACh’a principioch’io venni a abitar qui, non sapea leggerene la tavola i l pater pur a compito,né tener l’ago.FAZIOE’ vero.LENANé pur volgerun fuso: et or sì ben dice l’offizio,sì ben cuce e riccama quanto giovaneche sia in Ferrara: non è sì diffici lepunto ch’ella non tolga da l’essempio.FAZIOTi confesso ch’è ‘l vero; non voglio esseresimile a te, ch’io nieghi d’averti obligodov’io l ’ho; pur non starò di risponderti.Se tu insegnato non le avessi, avrebbealcun altra insegnato, contentandosidi dieci giuli i l ’anno: differenziami par pur grande da tre l ire a dodici!LENANon ho mai fatto altro per voi, ch’io meritinove l ire di più? In nome del diavolo,

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che se dodici volte l’anno dodicivoi me ne dessi, non sarebbe premiosufficïente a compensar l ’infamiache voi mi date; che i vicini diconopublicamente ch’io son vostra femina.Che venir possa i l morbo a mastro Lazzaroche m’arrecò alle man questa casipula!Ma non vi voglio più star dentro: datelaad altri.FAZIOGuarda quel che tu dì.LENADatela.Non vo’ che sempremai mi si rimproverich’io non vi paghi le pigioni, et abitiin casa vostra: s’io dovessi tôrmenedi drieto al Paradiso una, o nel Gambaro,non vo’ star qui.FAZIOPensaci ben, e parlami.LENAIo ci ho pensato quel ch’io voglio: datelaa chi vi pare.FAZIOIo la truovo da vendere,e venderolla.LENAQuel che vi par fatene:vendetela, donatela, et ardetela;anch’io procaccerò trovar recapito.FAZIO(Quante più carezze e più mi umilioa costei, tanto più superba e rigidami si fa, e posso dir di tutto perdereciò ch’io le dono; così poca graziame n’ha: vorrìa potermi succhiar l ’anima.)LENA(Quasi che senza di lui non potrei vivere!)FAZIO(E veramente, oltre che non mi paganola pigion de la casa, più di dodicialtre l ire ella e i l marito mi costanol'anno.)LENA( Dio grazia, io sono anco sì giovane,ch'io mi posso aiutar.)FAZIO(Spero d’abbatteretanta superbia: io non voglio già venderla casa, ma sì ben farglielo credere.)LENA(Non son né guercia né sciancata.)FAZIO(Vogliocicondurre o Biagïolo o quel da l’Abbacoa misurarla, e terrò in sua presenziaparlamento del prezzo, e saprò fingermiun comprator. No han denar, né creditoper trovarne alcun altra: si morrebbonodi fame altrove. Vo’ con tanti stimolida tanti canti punger questa bestia,che porle i l freno e ‘l basto mi delibero.)

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Scena II

Lena sola

LENAVorrebbe il dolce senza amaritudine,ammorbarmi col fiato suo spiacevolee strassinarmi come una bell’asinae poi pagar d’un “gran mercé”. Oh che giovene,oh che galante, a cui dar senza premiodebbia piacere! Io fui ben una feminada poco, ch’a sue ciance lasciai volgermie a sue promesse; ma fu i l lungo stimolodi questo uom da nïente di Pacifico,che non cessava mai: -Moglie, compiacelo;sarà la nostra aventura: sapendotigovernar seco, tutti i nostri debitici pagherà.– Chi non l’avrìa a principiocreduto? Maria in monte (come diconoquesti scolari) promettea; poi datociha un laccio, che lo impicchi come merita.Poi ch’attener non ha voluto Fazioquel che per tante sue promesse è debito,farò come i famigli che ‘l salarionon ponno aver, che coi padroni avanzano,che l i ingannano, rubano, assassinano.Anch’io d’esser pagata mi deliberoper ogni via, sia lecita o non lecita:né Dio né ‘l mondo me ne può riprendere.S’egli avesse moglier, tutto i l mio studiosarìa di farlo far quel che Pacificoè da lui fatto; ma ciò non potendosi,perché non l’ha, con la figliuola vogliolofar essere quel ch’io non so come io nomini.

Scena III

Corbolo, Lena

CORBOLO(Un uom val cento, e cento un uom non vagliono.Questo è un proverbio che in esperïenziaquesta matina ho avuto.)LENAParmi Corboloche di là viene: è desso.CORBOLO(Che partendomidi qui per far quanto m’impose Flavio,vo in Piazza, e tutta la squadro, e poi volgomilungo la loggia, e cerco per le treccole,indi inanzi al Castello, e i pizzicagnolivo dimandando s’hanno quaglie o tortore.)LENAVien molto adagio: par che i passi annoveri.CORBOLO(Nulla ne truovo: alcuni piccion veggovisì magri, sì leggieri che parevanoche la quartana un anno avuto avessino.)LENA

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Pur ch’egli abbia i denar!CORBOLO(Un altro toltoliaverìa, e detto fra sé: non ce n’eranode’ migliori; c’ho a far che magri sienoo grassi, poiché non s’han per me a cuocere?)LENAVien col braccio sinistro molto carico.CORBOLO(Ma non ho fatto io così; che gli uffici i ,non le discrezïoni, dar si dicono.Anzi a la porta del Cortil fermandomi,guardo se contadini o altri appaiono,che de’ migliori n’abbian. Quivi in circuloalcuni uccellator del Duca stavano,credo, aspettando questi gentiluomini,che di sparvieri e cani si dilettano,che a bere in Gorgadello l i chiamassero.Mi dice un d’essi, ch’è mio amico: -Corbolo,che guardi?- Io gli lo dico, e insieme dolgomiche mai per alcun tempo non si vendonosalvadigine qui, come si vendonoin tutte l’altre cittadi; e penuriaci sia d’ogni buon cibo, né si mangianose non carnacce, che mai non si cuocono;e perché non son care! Si concordanotutti al mio detto.)LENAIo vo’ aspettarlo, e intenderequel ch’egli ha fatto.CORBOLO(Io mi parto: mi seguitaun d’essi, e al canto ove comincian gli Orafi,mi s’accosta, e pian pian dice:- Piacendotiun paio di fagian grassi, per quindecibolognini gli avrai. – Sì, sì, di grazia,-rispondo; et egli:- In Vescovato aspettami;ma non cantar, et io:- Non è la statuadel duca Borso là di me più tacita.-In questo mezzo un cappon grasso comperoch’avea adocchiato, e tolgo sei melangole,et entro in Vescovato; et ecco giungerel’amico coi fagian sotto, che pesanoquanto un par d’oche. Io metto mano, e quindicibolognin su l’altar quivi gli annovero.Mi soggiunge egli:- Se te ne bisognanoquattro, sei, sette, diece paia, accennami,pur che tra noi stia la cosa. –Ringraziolo.)LENAPar che molto fra sé parli e fantastichi.CORBOLO( … e gli prometto la mia fede d’essersecreto: ma mi vien voglia di ridere;che ‘l Signor fa con tanta dil igenziae con gride e con pene sì terribil iguardar la sua campagna; e l i medesimiche n’hanno cura, son quei che la rubano.)LENASpiccati, che spiccata ti sia l ’anima!CORBOLO(Non ponno a nozze et a conviti publicil i fagian apparir sopra le tavole,per le gride che sono; e ne le camere

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con puttane i bertoni se l i mangiano.Questi arrosto, e ‘l cappone ho fatto cuocerelesso; e qui nel canestro caldi arrecoli.Ecco la Lena.)LENAHai tu i denari, Corbolo?CORBOLOLi avrò.LENANon mi piace udir risponderein futuro.CORBOLOContraria all ’altre feminesei tu, che tutte l’altre i l futuro amano.LENAPiaceno a me i presenti.CORBOLOEcco, presentoticappon, fagiani, pan, vin, cacio: portaliin casa. Parmi che sarìa superfluoaver portati piccioni, vedendotiaverne in seno dui grossi bell issimi.LENADeh, ti venga i l malanno.CORBOLOLascia pormivila man, ch’io tocchi come sono morbidi.LENAIo ti darò d’un pugno. I denar, dicoti.CORBOLOFinalmente ogni salmo torna in gloria.Tu non tel scordi: fra mezz’ora arrecoli.Io ritrovai ch’in letto anch’era Giulio:gli feci l ’imbasciata, et egli metteremi fe’ l i panni su una cassa, e dissemich’io ritornassi a nona. Intanto cuocereil desinar ho fatto, e posto in ordine.Ma le fatiche mie, Lena, che premiohanno d’aver? ch’io son cagion potissimache i venticinque fiorini ti si diano.LENAChe vòi tu?CORBOLOCh’io tel dica? Quel che dandomi,e se ne dessi a cento, non pòi perdere.LENAIo non intendo.CORBOLOIo ‘l dirò chiaro.LENAPortamii denar, ch’io non son senz’essi intendere.CORBOLOSon dunque i denar buoni a far intendere?LENAMe sì, e credo anco non men tutti gli uomini.CORBOLOSarìa, Lena, cotesto buon rimedioa far ch’udisse un sordo?LENADifferenziamolta è, babbion, tra l ’udir e l ’intendere.CORBOLO

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Fa’ che anch’io sappia questa differenzia.LENAGli asini ragghiar s’odono alla macina,né s’intendon però.CORBOLOA me par facile,sempre ch’io gli odo intenderli: vorrebbonoa punto quel ch’io da te desidero.LENATu sei malizioso più che ‘l fistolo.Or che l’arrosto è in stagion, vieni, andiamonea mangiar.CORBOLOVengo. Dimmi: ov’è la giovane?LENADove sono i denari?CORBOLOCredo farteliaver fra un’ora.LENAEt io credo la giovanefar venir qui come i denar ci siano.Andiàn, che le vivande si raffreddano.CORBOLOVa’ là, ch’io vengo. (Possino esser l ’ultimeche tu mangi mai più; ch’elle t’affoghino!Io mi debbo esser dunque con tal studioaffaticato a comprarle, a cuocere,perché una scrofa e un becco se le mangino?Ma non avran la parte che si pensano:ch’anch’io me ne vo’ i l grifo e le man ungere.)

Continua

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Atto IIScena I

Fazio, Lena

FAZIOChi ans 'l iéva par témp, e an fa brìsa la matìna i quèij ag gh'intarèssa, al pèrd al dì e i sò fat in va brisa tròp bén.Minghìn, a vój c'at vag a Dugentola e c'at dig al castàld che stasìra al càrga i carr, e che dman am pòrta la légna.E cal m'la pòrta dabón, parché an gò più gnént da brusàr.E 'n sta gnir vié sè ta n'à vist tut bén in órdan; e sàpim dir cum a sta i l piégur, e quant agnié mascc e quant féman ènat; e ch'it m óstra i fòss ch'ja scavà, e ch i rénda cónt di légn vérd ch'ja miss in òpra; e cónta quél ag ghè vanzà.Adèss va, e an pèrdar témp. Scólta, si ghéss 'n agnèl bón ... eh no, a sarà mèij véndral ... purtròp...LENASì, l 'era 'n miràcul ca fussi dvantà 'xì slanzént!FAZIOBón dì, Lena.LENABón dì e bón anno, FazioFAZIOT'at aliév 'xì prèst? Ac nuvità èla quésta?LENAA sarìa giust, dàto che vù am vastì 'xì nobilmént e am paghè dil spés 'xì màgnifichi ca durmìss fin a tré ór daldòpmezdì e ca stéss tut al dì senza far gnént, in òzi!FAZIOQuést l 'è al tò sòlit: 'd zcurdàrat sémpar i benefizi.Sól intànt c'at in dag, t'am ringràzi.Apéna ca tò dà, at fa sùbit al cuntràri.LENACus m'iv dà vù? Fórsi am vlì ripètar ca stag chi senza pagàrav l 'afìt?FAZIOAt par póc? Jè pur dóds l ir al 'an quéstchi, senza cuntàr al còmad cat gà d'èssram davsìn.Mò a vój star zit, pr'an parér 'd rinfazàrtal.LENAQual rinfazàr? Chè sè dil vòlt av vànza dla mnèstra o dal bròd a mi mandè?FAZIOAnc quèl àltar, Lena.LENAFórsi una o dó ciòp 'd pan al més, o un póc 'd vin marz? Ó lassàram tór un zucadlìn quant ch'arìva i carr e i scàrga?FAZIOAt gà bén anc quél àltar.LENAChè àltar gòja mì? Fòrza, gìl , vastì 'd ras o 'd vlud?FAZIOA tì, 'n sarìa brisa lèzit purtàri, nè a mì sarìa pussìbil dàrtli .LENAMustrèm un grumbialìn ca mi dà vù.FAZIOAn voj gnanc rispóndrat.LENAQualc para 'd scarpàzi o 'd pantòful, dòp ca jì bén splà e cunsumà, par Pacifico.FAZIOE nóvi anc par tì.LENAAn créd chi sia sta in quatr' ann trì para.Adèss an val gnént tut quél ch'inségn e ca jò insgnà a vòstra fiòla?FAZIOAl val purassà, an vój brisa negàral.LENACh'in prinzìpi ca són gnù chi, l 'an savèa gnanc lèzar sul fój al Pàter, gnanc silabàr, e gnanc tgnir in man la gùcia.FAZIO

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L'è vera.LENAE l 'an savéa gnanc far su un fus, e adèss la dis 'xi bén l 'ufìzzi, 'xì bén la cus e la ricàma cmè nissùna zóvna déntr'aFràra: an ghè punt 'xì difìzi l cl 'an sàva tór zó dal mudèl.FAZIOAl cunfèss cl 'è véra, an vój brisa èssar cumpàgn a tì, ca néga d'avér òblig indù ca glò: in ogni mòd an starò senzarispóndrat.Sè tì t'an gavéss brisa insgnà, a gavrìa ingnà qualcdùn'àltra, cuntantàndass 'd diés giùli l 'an; l 'am par na béladifarénza da tré l ir a dóds.LENAA n'òja mai fat àltar par vù ca mèrita nóv l ir ad più? In nóm dal diavùl, che sè vù am déssi dóds l ir dóds vòlt a l 'an,an bastarìa brisa a cumpansàr al disunór c'am dè vù, chè tut i vsìn i dis ca són la vostra fémna.Ca viéna 'n cólp a mìstar Làzar c'al ma miss in man sta catapécia! Mò ang vój più star déntar, dèla a dj'àltar.FAZIOSta ténti a quél c'at dì.LENAAn vój brisa ca s'am rinfàza sémpar c'an av pag brisa l 'afìt, e a stàga in ca da vù; an vój più star chi, anc sa duvéssandàr a star 'd dré dal Paràdis o in tàl Gàmbar.FAZIOPénsag bén e pò t'am al savrà dir.LENAA gò béla pansà a quél ca vój; dèla a chiv par a vù.FAZIOMì a zérc ad véndarla e a la vandrò.LENAFè quél c'av par: vandìla, dunèla, brusèla; anca mì am darò da far par truàr ca.FAZIO(Quant più a la trat bén e più am umìli con l ié, tant più l 'as fa supèrba e dura e a póss dir ad pèrdar tut quél cag dag,cla n'è mai cunténta; s'la putéss l 'am ciuciarìa anc l 'anima).LENA(Quasi che senza ad lù an putéss brisa vìvar).FAZIO(Pròpia dabón, oltre ch'in am paga brisa l 'afìt a la ca, l ié e sò marì im cósta àltar dóds l ir a l 'an).LENA(Grazie a Dio, mì a són 'ncóra 'xì zóvna c'am póss jutàr).FAZIO(A spèr 'd smurzàr tuta cla supèrbia, mì la ca' an vój brisa véndarla, mò sól fàrgal crédar)LENA(An són nè sguèrza nè zzòpa).FAZIO(A vój far gnìr chi Biazòl o quél d'Abàc a misuràrla, e a cuntratarò al prèzi in sò presénza, a savrò far finta c'ag sia uncumpradór.In gà sòldi nè crèdit par truvàran n'altra; da n'àltra part i murrìa 'd fam.A vój con tant mòd e da tant band pùnzar sta bestia, am impégn a métrag al frèno e al bast).

Scena II

Lena sola

LENAAl vrìa al dólz senza l 'l 'amàr.L'am fa gnir d'ingóssa col sò fiat spuzlént, e al vrìa sbàtram cmè 'na bel'àsna e pò pagàr con un gran mercè.Oh che zuvnòt, oh che zantìl , cag déva dar piasér senza prèmi! Mì a són bén sta na fémna da póc, cam són lassàcinvìnzar dal sò pruméss, Mò l'è sta l 'insìstar 'd cl 'òmm da gnént 'd Pacifico, cl 'andàva sèmpr a dré:- Mujér, falcuntént, la sarà la nostra furtùna: s'at savrà far con lù, als pagarà tut i nòstar dèbit-.Chi 'n l 'avrìa in prinzìpi cardù? Mària in montes, cum i dis i studént, mar e mónt al prumitéa, pò dòp al sa dà un laz,c'al l 'impìca cum al mèrita.Mò sicóm Fazio al n'à brisa vlèst pagàr quél c'am dév sgónd il sò pruméss, a farò cmè i sèrv ch'in pòl brisa avér la sòpaga ch'i vànza dai padrùn, ch'i j 'ngàna, i ròba, i ruìna.Anca mì a vóoj èssar pagà in ògni mòd, sia lèzit che no.Nè Dio nè 'l mónd am pòl rimprovèràr.

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Sè lù al ghéss muijér, tut al mié inpégn al sarìa par fàrg a lù quél che lù al fa a Pacifico.Mò an puténd brisa, parché al na gl'à brisa, a voj fàral con la fiòla, parché cal dvénta anca lù ... an sò cum ciamàral.

Scena III

Corbolo, Lena

CORBOLO('n, òm al val zzént, e zzént in val brisa 'n òm. Quést l 'è 'n pruvèrbi ca jò spèrimentà stamatina).LENAL'am par Corbolo c'al vién da là, l 'è pròpia lù.CORBOLO(Via da chi, a vag in piaza a far quél ca m'à dit Flavio, e a guard dapartùt, e pò a vag vèrs la lògia e a zérc i l trécul, pòa vag davanti al castél, e admànd ai pizcàgnul s'i gà dil quàij o dil tórtur).LENAAl vién purassà adàsi; a par c'al cónta i pass.CORBOLO(An in tróv gnanc una ; a véd zèrt pizùn 'xì màgar , 'xì 'lziér ca paréa chiéss vu la fiévra quarantàna).LENASpérén pur c'al gàva i sòldi.CORBOLO('N'àltar al l 'i j avrìa tolt e l 'avrìa dit tra 'd lù: an ag n'era bìsa di mèij; còssa m'na fréga chi sia màgar o grass, datoch'in sa brisa da cuósar par mì?)LENAAl rìva col braz sinìstar purassà pés.CORBOLO(Mò mì an ò brisa fat axì, cas dà l 'jncumbénz mò brisa i quèij par fàri bén; am féram davanti a la porta dal curtìl , e aguàrd s'as véd di cuntadìn o d'j àltar chig n'ava di mèj. Chi a ghiéra féram a dzcórar tra 'd lor j usladùr dal Duca,sptand che ch'i sgnóri cag pias i sparviér e i can, i ciamàss a béar in Gurgadél. Am dis un d'lór, cl 'è un mié 'mig:Corbolo, cus guàrdat? E mì ag dig c'am spiàs che chi 'ns vénda mai dla sèlvagìna cóm as vénd in tut ch j àltar zità; eche ag sia pènuria d'ògni bòn zib, ans màgna che dil carnàzi, cl 'incuós mai, cmè s'in fuss gnanc cari! Tuti is disd'acòrd con mì).LENAA vag a sptàral e a santìr quél c'al fa.CORBOLO(Mì a vag via: am tién a dré un 'd lór, e al' àngul indù ch'incumìnzia j urévas, am sa vsina, e pian pian l 'am dis: -S'atpias un par 'd fasàn grass, ta ghiavrà par quinds bulugnìn-. -Sì, sì, grazie- ag rispónd-; e lù: -spètam in vèscòvado, mòsta dir gnént a nissùn-; e mì a lù: -la stàtua dal duca Borso la n'è brisa più muta ad mì-. Intànt a cómpar un capóngrass ch'eva za ducià e sié pòrtògaij, e a vag déntar in véscòvado; èco rivar l 'amig coi fasàn lugà sot al vastì, chi pésacmè 'n par d'òc. Mì a tir fóra al bursìn e ag cónt quinds bulugnìn. Lù l 'am dis:- sè at in bisógna quàtar, sié, sèt, diéspara, fam ségn, purchè al quèl al resta tra d nù. Mì al ringràzi...)LENAA par c'al dzcóra e al fantàstica purassà tra d lù.CORBOLO(... e ag dag la mié parola d'èssar segrèt; mò am vién vója 'd rìdar, che 'l Duca al fa con tanta dil igénzia e con dil lèz edil pén tèrìbil bàdar a la sò campagna, e quéij c'la bada jè quéij ch'i la róba).LENASpìciat, ché spicà l 'at sia l 'anima.CORBOLO(I fasàn, pr'i l léz ag ghè, in pòl brisa èssar purtà in tàula in ti nòzz e in ti l fèst pùblic; e i bèrtùn i si magna in ti l càmarcol putàn. Quésti chi aròst, e 'l capón a l 'ò fat cuósar a léss; e i pòrt chi cald in tal zést. Èco la Lena).LENAG'àt i soldi, Corbolo?CORBOLOAgh j avrò.LENAAn am piàs brisa ad santìr rispòst al futùr.CORBOLOTi tié 'l cuntràri 'd chij àltar dòn, parché a tut chij àltri ag pias al fùtar.LENAA mì 'm piàs i prèsént.

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CORBOLOÈco, at prèsént capùn, fàsan, pan, vin, furmàij: pòrti in ca. Am par ca sarìa superfluo avér purtà di pizùn, vdénd cat agn'à dù bèlissim in ségn.LENACat viéna n'azidént.CORBOLOLàssa cag méta na man, ca tóca cum jè mòrbid.LENAMì at darò 'n pugn. I sòldi, at dig.CORBOLOFinalmént i salm i tórna in glòria. Tì t'ant' al zcòrd; tra mèz'óra t'agh j'avrà. A jò truvà Giulio 'ncóra a lèt; a gò fatl 'inbassàda e lù al m'à dit ad métar i pagn su na cassa, e al m'à dit ad turnàr a tré ór. Intànt ò fat da magnàr e ò missin órdan. Mò il miè fadìgh, Lena, chè prèmi g'ài d'avér? A són mì la causa prinzipalissima parché it dàga i vintzincfiorini.LENACus a vót tì?CORBOLOVót cat al diga? Quél che sat'am al dà, e sat al dass anc a zént, t'an al pòl brisa pèrdar.LENAAn capìss brisa.CORBOLOAl dirò ciar.LENAPòrtam i sòldi parché mì senza quéij an capìss gnént.CORBOLODóncan, i sòldi jè bón ad far capìr?LENAMì sì; e a créd anc che tùti in sia 'd mén da mì.CORBOLOAl sarìa, Lena, quést un bón rimèdi par far santìr un sórd.LENAA ghè purassà difarénza, babión, tra santìr e capìr.CORBOLOFa chè anca mì a sàva sta difarénza.LENAAs sént ragnàr a la màsna i sumàr, però ins capìss brisa.CORBOLOA mì 'm par fazìl , quant ca i sént: i vrìa quél c'anca mì a vój da tì.LENATì tjé più maliziós dal diàul. Adèss che l 'aròst l 'è còtt al punt giust, vién, andén a magnàr.CORBOLOA vién. Dimm: indù èla la zóvna?LENAIn dù èj i sòldi?CORBOLOA créd 'd fàrti avér tra 'n'óra.LENAE mì a créd che la zóvna a la fàga gnir chi quand a ghè i sòldi. Andén, chè la ròba l 'as fréda.CORBOLOVa là, ca vién. ( c'la póssa èssar l 'ultima c'at magn e cl 'at fóga! Mì, dóncan, am dév èssar tant da' da far a cumpràr, acuósar parché 'na scròfa e 'n béc i sal magna? Mò in gavrà brisa la part ch'is pénsa, parché anca mì am vój ùnzar bénal barbùz e 'l man).

Continua

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Maurizio Bonora.Combattimento, 1990. Tecnica mista su carta riportata su legno.

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Atto IIIScena I

Corbolo solo

CORBOLOOr ho di due faccende fatto prospera-mente una, e con satisfazione d’animo,che ‘l cappon e i fagian grassi e tenerison riusciti, e ‘l pan buono, e ‘l vin ottimo;non cessa tuttavia lodarmi Flavioper uom che ‘l suo danaro sappia spendere.Farò ancora l’altra, ma non con quel gaudioc’ho fatto questa: m’è troppo diffici lech’io vegga a costui spendere, anzi perdereventicinque fiorini, e ch’io lo toleri.Facile è ‘l tôr, sta la fatica al rendere.Come farà non so, se non fa venditadei panni al fin; ma se i panni si vendono(che so ch’a lungo andar nol potrà ascondereal padre), l i rumori, i gridi, i strepitisi sentiran per tutto, e sta a pericolod’esser cacciato di casa. Or l ’astuziabisognarìa d’un servo, quale fingerevedut’ho qualche volta in le comedie,che questa somma con fraude e fallaciasapesse del borsel del vecchio mungere.Deh, se ben io non son Davo né Sosia,se ben non nacqui tra i Geti né in Siria,non ho in questa testaccia anch’io malizia?Non saprò ordir un giunto anch’io, ch’a tessereabbia Fortuna poi, la qual propizia(come si dice) agli audaci suol essere?Ma che farò, che con un vecchio credulonon ho a far, qual a suo modo Terenzioo Plauto suol Cremete o Simon fingere?Ma quanto egli è più cauto, maggior glorianon è la mia, s’io lo piglio alla trappola?Ieri andò in nave a Sabioncello, e aspettasiquesta matina: convien ch’io mi preparidi quel c’ho a dir come lo vegga. Or eccoloa punto! questo è un tratto di comedia,che nominarlo et egli in capo giungerede la contrada è in un tempo medesimo.Ma non vo’ che mi vegga prima ch’abbi larete tesa, dove oggi spero involgerlo.

Scena II

Ilario, Egano, Corbolo

ILARIONon si dovrebbe alcuna cosa in graziaaver mai, sì che, potendo ben venderla,non si vendesse, solo eccettuandonele mogli.EGANO E quelle ancor, se fosse lecitoper legge o per usanza.

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ILARIONon in venditama a baratto, ma in don dar si dovrebbono.EGANODi quelle che non fan per te, intell igitur.ILARIOIta: non è già usanza che si vendano,ma darle ad uso par che pur si toleri.D’un par di buoi, per tornar a proposito,parlo, che trenta ducati, e tutti ungari …CORBOLO( Questi al bisogno nostro supplirebbono.)ILARIO… ier io vendei a un contadin da Sandalo.EGANOEsser bell i dovean.ILARIOPotete credere …CORBOLO(Io l i voglio, io l i avrò.)ILARIO… che son bell issimi.CORBOLO(Son nostri.)ILARIOBelli a posta lor: mi piacenomolto più questi denar.CORBOLO( E’ impossibileche non stia forte.)ILARIOAlmen non avrò dubbioche ‘l giudice alle fosse me li scortichi.EGANOFêste bene. Quest’è la via. Potendovifar piacer, commandatemi.ILARIOa Dio, Egano.CORBOLO( La quaglia è sotto la rete: io vo’ correreinanzi, e far ch’ella s’appanni, e prendasi.)Io non so che mi far, dove mi volgere,poi che ‘l padron non è in la terra.ILARIO( O ch’esserepuò questo?)CORBOLOE che accadea partirsi a Flavio?ILARIO(Questa fia qualche cosa dispiacevole.)CORBOLOMolto era meglio aver scritto una letteraal padre, e aver mandato un messo subito …ILARIO(Ohimè, occorsa sarà qualche disgrazia!)CORBOLO… ch’andarvi egli in persona.ILARIO(Che può essere ?)CORBOLOMeglio era ch’egli istesso i l fêsse intendereal Duca.ILARIO

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( Dio m’aiuti!)CORBOLOCome Ilariolo sa, verrà volando a casa.ILARIOCorbolo!CORBOLONon lo vorrà patir e farà i l diavolo.ILARIOCorbolo!CORBOLOMa che farà anch’egli?ILARIOCorbolo!CORBOLOChi mi chiama? O padron!ILARIOChe c’è?CORBOLOV’ha Flavioscontrato?ILARIOCh’è di lui?CORBOLONon eran dodiciore, ch’uscì de la cittade, e dissemiche veniva a trovarvi.ILARIOChe importanziac’era?CORBOLOVoi non sapete a che pericoloegli sia stato!ILARIOPericolo? Narrami che gli è accaduto.CORBOLOPuò dir, padron, d’essereun’altra volta nato: quasi morto lohanno alcuni giottoni; pur, Dio grazia,i l male …ILARIOHa dunque mal?CORBOLONon di pericolo.ILARIOChe pazzia è stata la sua di venirsenein vil la s’egli ha male, o grande o piccolo?CORBOLOL’andar a questo mal non può nuocere.ILARIOCome non?CORBOLONon vi dico; anzi più agilene fia.ILARIODimmi: è ferito?CORBOLOSì, e diffici le-mente potrà guarir; non già che sanguinila piaga.ILARIOOhimè, io son morto!CORBOLO

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Ma intendetemidove.ILARIODi’.CORBOLONon nel capo, non negli omeri,non nel petto o ne’ fianchi.ILARIODove? Spacciala.Pur ha mal?CORBOLON’ha purtroppo, e rincrescevole.ILARIOEsser non può ch’egli non sia gravissimo.CORBOLOAnzi troppo leggiero.ILARIOOh, tu mi strazii!Ha male o non ha mal? Chi ti può intendere?CORBOLOVel dirò.ILARIODi’ in mal punto.CORBOLOUdite.ILARIOSeguita.CORBOLONon è ferito nel corpo.ILARIONe l’animadunque?CORBOLOE’ ferito in una cosa simile.Flavio con una brigata di giovinisi trovò iersera a cena; e a me, andandovi,disse che, come cinque ore suonavano,andassi a tôrlo con lume; ma (renderenon ne so la cagion) prima che fusserole quattro si partì, e solo venendone,e senza lume, come fu a quei porticiche sono a dirimpetto di Santo Stefano,fu circondato da quattro, et avevanoarme d’asta, ch’assai colpi gli trassero.ILARIOE non l’hanno ferito? Oh che pericolo!CORBOLOCom’è piaciuto a Dio, mai non lo colserone la persona.ILARIOO Dio, te ne ringrazio.CORBOLOEgli voltò loro le spalle, e messesi,quanto più andar poteano i piedi, a correre.Un gli trasse alla testa.ILARIOOhimè!CORBOLOMa colserone la medaglia d’or ch’aveva, e caddeglila berretta.ILARIOE perdella?

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CORBOLONon: la tolseroquelli rubaldi.ILARIOE non gli la renderono?CORBOLORenderon, eh?ILARIOMi costò più di dodiciducati coi pontal d’oro che v’erano.Lodato Dio, che peggio non gli fecero.CORBOLOLa roba fra le gambe aviluppandosi,che gli cadea da un lato, fu per metterlotre volte o quattro in terra; al fin, gittandolacon ambedue le mani, sviluppossene.ILARIOInsomma l’ha perduta?CORBOLOPur la tolseroquei ladroncell i ancora.ILARIOE se la tolsero queiladroncell i non ti par che Flaviol’abbia perduta?CORBOLONon credea che perderesi dicesse alle cose ch’altri trovano.ILARIOOh, tu sei grosso! Mi vien, con la foderaottanta scudi. Insomma, non è Flavioferito?CORBOLONon, ne la persona.ILARIOU’ diavoloin altra parte ferir lo poteano?CORBOLONe la mente: che si pon gran fastidio ,pensando, oltr’al suo danno, alla molestiache voi ne sentirete risapendolo.ILARIOVide chi fussero quei che l’assalissero?CORBOLONon che la gran paura, e l ’oscurissimanotte, non gli ne lasciò alcun conoscere.ILARIOPor si può al l ibro de l’uscita.CORBOLOTemone.ILARIOFrasca! perché non t’aspettar, dovendolotu gir a tôr ?CORBOLOVedete pur ...ILARIOMa un asinosei tu però, che non fosti sollecitoad ir per lui.CORBOLOCotesto è i l vostro solito:me degli errori suoi sempre riprendere.Aspettar mi dovea , o non volendomi

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aspettar, tôr compagnia, che sarebbonotutti con lui venuti, dimandandoli.Ma non si perda tempo: ora prendeteci,padron, che ‘l mal è fresco, alcun rimedio.ILARIORimedio? E che rimedio poss’io prenderci?CORBOLOParlate al podestade, ai segretarii ,e se sarà bisogno, al Duca proprio.ILARIOE che diavolo vuoi che me ne faccino?CORBOLOFaccian far gride.ILARIOAcciò ch’oltre alla perdita,sia i l biasimo ancora. Non direbbe il populoche colto solo e senza l’armi l ’avessero,ma che assalito a paro a paro, e toltoglidi patto l’armi e l i panni gli fosserostati. Or sia ancor ch’io vada al Duca, e contiglii l caso: che farà, se non rimettermial podestade? E i l podestade subitom’avrà gli occhi a le mani; e non vedendocil’offerta, mostrerà che da far abbiamaggior faccende: e se non avrò indiziio testimoni, mi terrà una bestia.Appresso, chi vuoi tu pensar che sianoli malfattori, se non li medesimiche per pigliar i l malfattor si pagano?Col cavall ier dei quali o contestabileil podestà fa parte; e tutti rubano.CORBOLOChe s’ha dunque da far?ILARIOD’aver pazienza.CORBOLOFlavio non l’avrà mai.ILARIOConverrà aversela,o voglia o non: poi ch’è campato, reputiche gli abbia Dio fatto una bella grazia.Egli è fuor del timore e del pericolosenz’altro mal; ma son io gravissima-mente ferito ne la borsa sentomi.Mio è i l danno, et io, non egli ha da dolersene.Una berretta gli farò far subito,com’era l’altra, e una roba onorevole;ma non sarà già alcuno ch’a rimetteremi venga ne la borsa la pecuniach’avrò spesa perch’egli non stia in perdita.CORBOLONon sarà buon che i rigattieri fusseroavisati, e gli Ebrei, che se ne venisseroquesti assassini ad impegnare o venderele robe, tanto a bada l i tenessino,che voi fosse avisato, sì che, andandovi,le riavessi, e lor facessi prendere?ILARIOCotesto più giovar potrìa che nuocere;pur non ci spero: che questi che prestanoa usura, esser ribaldi non è dubbio;e questi altri che comprano per rivendereson fraudolenti, e ‘l ver mai non dicono;

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né altre cose più volentier piglianode le rubate, perché comperandolecostan lor poco; e se denar vi prestanosopra, sanno che mai non si riscuoteno.CORBOLOAvisiamoli pur: facciamo il debitonostro noi.ILARIOSe ‘l ti par, va’ dunque, avisali.

Scena III

Corbolo,Pacifico

CORBOLOLa cosa ben procede, e posso metterlaper fatta: non mi resta altro che conchiuderla,che farmi i pegni rendere da Giulio;e poi mandarli per persona incognitaad impegnar quel più che possa aversene.Il vecchio, so, l i riscuoterà subitoche saprà dove sian; ma vo’ che Flaviol’intenda, acciò governar con Ilariosi sappia e i nostri detti si conformino.Ecco Pacifico esce.PACIFICOTi vuol Flavio.CORBOLOA lui ne vengo, e buone nuove apportogli.PACIFICOLe sa, che ciò c’hai detto, dal principioal fine abbiano inteso; ch’ambi stati tesiamo a udir dietro all ’uscio, né perdutaneabbiàn parola.CORBOLOChe ve ne par?PACIFICODemmotila gloria e 'l vanto di saper me' fingered’ogni poeta una bugia. Ma fermati,che non ti vegga entrar qua dentro Fazio;come sia in casa e volga le spalle, entraci.

Scena IV

Fazio, Pacifico.

FAZIOPerché non vi vorrei giunger, Pacifico,improvviso, fra un mese provedetevidi casa, che codesta son per vendere.PACIFICOGli è vostra: a vostro arbitrio disponetene.FAZIOIl comprator et io ci siàn nel Torbidocompromessi, che è andato a tôr la perticaper misurarla tutta: non mi dubitoche si spicchi da me senza conchiudere.PACIFICOL’avessi ieri saputo, che assettatala

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un po’ l ’avrei; mi cogliete in disordine.FAZIOOr va’, e al me’ che puoi, tosto rassettala,che non può far indugio che non venghino.PACIFICONon oggi, ma diman fate che tornino.FAZIONon ci potrebbe costui che la comperaesser domane, che vuol ire a Modena.

Scena V

Pacifico, Corbolo

PACIFICOCome faremo, Corbolo, di ascondereil tuo padron che costoro non lo veggano?Che senza dubbio, se lo vede Fazio,s’avisarà la cosa, e sarà i l scandalotroppo grande.CORBOLOEcci luogo dove nasconderlo?PACIFICOChe luogo in simil casa (misurandolatutta) esser può sicur che non lo trovino?CORBOLOOr non c’è alcuna cassa, alcun armario?PACIFICONon ci son altre che due casse picciole,che Santino in giubbon non capirebbono.CORBOLODunque facciànlo uscir prima che venghino.PACIFICOCosì spogliato?CORBOLOIo vo’ a casa, et arrecogliun’altra veste.PACIFICOOr va e ritorna subito,che qui t’aspetto.CORBOLOIo veggo uscir Ilario.

Scena VI

Ilario, Corbolo, Cremonino

ILARIONon sarà se non buono, oltre che Corbolov’abbia mandato, s’anch’io vo; che credereio non debbo ch’alcun più dil igenziausi ne le mie cose, di me proprio.Ma eccol qui. C’hai fatto?CORBOLOIsac e Beniamidai Sabbioni ho avisato: ora vo’ volgermiai Carri, quei da Riva saran gli ultimi.ILARIOChe dimanda colui che va per batterela nostra porta?

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CORBOLOE’ i l Cremonino. (Oh diavolo,siamo scoperti!)ILARIOChe dimandi, giovine?CREMONINODimando Flavio.ILARIOOh, quella mi par esserev la sua veste.CORBOLOA me ancor: vedete simile-mente la sua berretta. (Or aiutatemi,bugie; se non, siamo spacciati.)ILARIOCorbolo,come va questa cosa?CORBOLOLi suoi propriicompagni avran fatto la beffa, e toltosi,credo, piacer d’averlo fatto correre.ILARIOBel scherzo in verità!CREMONINOMio padron Giuliogli rimanda i suoi pegni, e gli fa intendereche quel suo amico …CORBOLOChe amico? Odi favola!CREMONINO… quel che prestar su questi pegni …CORBOLOChiacchiere!CREMONINO… gli dovea l i danari, che tu Corbolo …CORBOLOO che finzion!CREMONINO… venisti oggi a richiedergli.CORBOLOIo?CREMONINOTu, sì.CORBOLOGuata viso! come fingeresa bene una bugia!ILARIOCorbolo, piglialie riponil i; va’, va’ tu, va’, di’ a Giulioche questi scherzi usar non si dovrebbonocon gli amici …CREMONINOChe scherzi?ILARIO… e convenevolinon sono all i par suoi. CREMONINONon credo ch’abbiamio padron fatto … Che m’accenni, bestia?Vo’ dir la verità …CORBOLOAccenno io?CREMONINO… e difender

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el mio padron, ch’a torto tu calunnii.S’avesse avuto egli i denar, prestatoglil i avrebbe, e volentier.CORBOLODanari? Pigliatipiacer! Ti sogni forse? O noi pur scorgerecredi per ubriachi o per farnetichi?CREMONINOOr non portasti questa veste a Giulio,tu, questa mane?CORBOLOA piè o a cavallo? Abbiamotiinteso.CREMONINOPur anco m’accenni?CORBOLOAccennoti?ILARIOOh, che ti venga i l mal di Sant’Antonio!Non t’ho veduto io che gli accenni?CORBOLOAccennoliper certo, a dimostrar che le maliziesue conosciamo, e che a noi non può venderle.CREMONINOMalizie son le tue.ILARIOLa voglio intendere.Onde hai avute queste robe?CORBOLOGiulioieri stette alla posta.ILARIODa lui vogliolo,non da te, saper.CORBOLOTi darà a intenderequalche baia, che sa troppo ben fingere.CREMONINOFingi pur tu.CORBOLOOr guatami, e non ridere.CREMONINOChe rider, che guatar?CORBOLOVa’, va’, di’ a Giulioche Flavio sarà un dì buono per renderlimerito di questo.ILARIONon andar, non: l ievatipur tu di qui, ch’io vo’ da lui informarmene,e non da te.CORBOLONon fia ver che io tolerimai che costui vi dileggi.ILARIOChe temi tu,che le parole sue però m’incantino?Ma dimmi: queste robe … Va’ via, l ievatitu di qui.CORBOLOPur volete dargli udienza?Quanti torcoli son per la vendemia

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non gli potrebbon fare un vero esprimere.CREMONINODirò la verità.CORBOLOCosì è possibilecome che dica i lPaternostro un asino.IlarioLascialo dir.CREMONINOIo vi dirò i l Vangelio.CORBOLOScopriànci i l capo, perché non è lecitoudir a capo coperto i l Vangelio.ILARIOPer ogni via tu cerchi d’interrompere;ma se tu parli più … Deh vien, lasciamolodi fuora: entra là in casa. Mi deliberodi saper questa giunteria, ch’altro esserenon può; ma serriàn fuor questa seccagine.

Scena VII

Corbolo, Pacifico

CORBOLONoi siàn forniti: a quattro a quattro correnoli venticinque fiorini, ma e’ correnotanto, che più non c’è speme di giungerli.Come n’ha fatto un bel servigio Giulio!Per Dio! sempre gli abbiamo d’aver obligo.Mi dice: -Tornerai fra un’ora a intenderequanto sia fatto-; e poi m’ha, contra all ’ordine,mandato questo pecorone a romperele fi la ordite, e ch’io stavo per tessere.PACIFICOChe sei stato costì tanto a contendere?Dov’è la veste che tu arrechi a Flavio?Non indugiàn, cancar ti venga, a metterlofuor di casa! che aspetti, che entri Fazio,e che lo vegga?CORBOLOS’io non posso in cameraentrar! se m’ha di fuor serrato Ilario!PACIFICOCome faremo?CORBOLOVedi di nasconderloin casa.PACIFICONon c’è luogo.CORBOLODunque mettilofuor in giubbon.Di due partiti prendenel’uno: o l’ascondi in casa o in giubbon mandalodi fuor.PACIFICONé l’un né l’altro vogl’io prendere.CORBOLOChe farai dunque?

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PACIFICOCredo che questi sianoa punto quei ch’entrar qua dentro vogliono:son dessi certo, ch’io conosco i l Torbido.Forniàn noi quel ch’abbiamo a far.CORBOLOForniamolo.PACIFICODunque vien dentro.CORBOLOVa’ là, ch’io ti seguito.

Scena VIII

Torbido, Gemignano, Fazio

TORBIDOPoi che l’avrò misurata, la perticami darà quant’ella val, fino a un picciolo.GEMIGNANODunque talvolta le pertiche parlano?TORBIDOSì ben, e spesso fan parlare, stendendolein su le spalle altrui.Ma ecco Fazio.Ch’abbiam a far?FAZIOQuel ch’è detto: mettetevia misurar quando vi par: comincianoqui le confine, e quel segno non passano.TORBIDOCominciarem qui dunque.FAZIOCominciateci.TORBIDOUna; méttevi in capo il coltello.GEMIGNANOEccoloTORBIDOE dua, e questo appresso, a punto mancanodue sesti, che tre piedi non ponno essere.FAZIOLa matita prenderepotete, e notar questo.TORBIDOIo l i noto, eccolo.

Scena IX

Giuliano solo

GIULIANOOr ora su in palazzo ritrovandomi,ho veduto segnar una l icenziadal Sindico, di tôr pegni a Pacificoper quarantatrè l ire, ch’egli è a BartoloBindello debitore; e son certissimoche non si trovi tanto ch’abbia ascenderealla metà né al terzo di tal debito.Per questo sto in timor che non gli tolghino

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una mia botte, che alla vendemiaper boll ir i l suo vin gli feci comodo.Meglio è, prima che i sbirri gli la levino,e ch’io l ’abbia a l itar poi e contendere,e provar che sia mia, s’io vo a pigliarmela.E poi che l’uscio è aperto, alla dimesticaentrarò. Vien, facchìn, vien dentro, seguime.

Continua

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ATTO IIISCENA I

Corbolo solo

CORBOLOAd dù quèij da far an ò fat bènissim un e, con gran sudisfazión, a són riussì bén col capón e i fasàn grass, al pan bóne al vin strabón; Flavio an fa che ludàram pr'òm cal sa spéndar bén i sò sòldi.Adèss a farò anc cl'àltar, mò brisa con cla giòia c'ò fat quést chi: am dà tròp fastìdi védar stucachì spéndar, anzipèrdar vintzìnc fiorini, e chè mì al supòrta.L'è fàzil tór, la fadìga l 'è dàrghi indré. Cum al farà an al sò, se a la fin an vénd brisa i sò pagn; mò sè i pagn is vénd ( alsò bén c'ans putrà brisa tgnìrla lugà a sò pàdar par purassà témp) as santirà dapartùt i l bravà , i vèrss, e al cór ancal parìcul d'èssar cazzà fóra ad ca.Adèss ag vrìa l 'astuzia d'un sèrv, cmè qualc vòlta a l 'ò vist far in t'i l cmèdi, c'al savéss mùnzar sta sóma dal burssìndal vècc con l 'ingàn e i l busiè.Insóma! Anc san són brisa Davo o gnanc Sosia, e s'an són brisa nat tra i Gèti e gnanc in Siria, an gòja brisa in statastàza un póc 'd malizia ànca mì?An savrò tramàr 'n'inbròj anca mì, ché la Furtùna, ché 'd sòlit l 'ajùta pròpia quéij ag gà curàgg, la póssa tiéssar?Mò còssa faròja? Parché mì an gò brisa a che far con un vècc imbambì, cmè Cremete o Simón, inventà apòsta daTerenzio o da Plauto.Mò sicóm che lù l 'è più furb, la mié gloria l 'an sarìa più grànda se mì a riéss a inbrujàral?Iér l 'è andà in barca a Sabiunzèll, e al s'aspèta par stamatina: bisógna c'am prapàra quél ca jò da dir apéna c'al véd.Ėcal là, apùnt! Quèst l 'è 'n pèzz ad cmèdia: numinàral e, in tal stéss témp, lù al spùnta in prinzìpi dla cuntràda.Mò an vój brisa c'am véda prima c'àva tés la réd, indù ca spèr d'avòlzral incuó.

SCENA II

Ilario, Egano, Corbolo

ILARIOAns duvrìa avér in grazia nissùn quèl,che, pùténd véndral bén, al n'ass vandéss brisa, al'infóra sól d'i l mujér.EGANOMò anc quéli s'à fuss lèzit par lèz o sa custumàss.ILARIOBrisa sól in véndita o a baràt, mò is duvrìa dar in dón.EGANOAd quéli cl 'in fa brisa par tì, 'ss capìss.ILARIOAxì! Ans custùma brisa a véndarli, mò a par c'as tòlèra a dàrli in us.A dzcór d'un par 'd bó, par turnàr a pròpòsit, che trénta ducati, e tùti d'or …CORBOLO( Quésti i bastarìa al nòstar bisógn).ILARIO… jér a j ò vandù a un cuntadìn 'd Cunsàndul.EGANOI duvéa èssar bèij.ILARIOAl putì crédar...CORBOLO( Mì ai vój, e agh j avrò).ILARIO… ch'jè bèlìssim.CORBOLO(Jè nòstar).ILARIOBèij quant i vòll, mì am pias purassà 'd più chi sti sòldi.CORBOLO(L'è inpussìbil cal l i dàga con fazil ità).

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ILARIOAlmén ang avrò brisa paura che al zùdiz al mì dscòrga a scàvar i fòss intórna a la zità.EGANOA ji fat bén. Quèsta l 'è la via. Puténdav far piasér, cmandèm.ILARIOA Dio, Egano.CORBOLO( La quàja l 'è sóta la réd: mì a vój córar inanz e far sì clag vànza intrigà, e l 'as ciàpa).Mì an sò cum far, indù c'am ò da rivòlzar, parché al mié padrón al n'è brisa in zità.ILARIO(Oh, cus pòlal èssar quést).CORBOLOE che bisógn ghéval Flavio d'andàr via?ILARIO( Quést l 'è 'n quèl spiasévul).CORBOLOL'éra mèij s l 'àvéss scrit 'na létra al pàdar, o l 'avéss mandà sùbit qualchidùn...ILARIO(Oj, a sarà capità qualc sgràzia!)CORBOLO...c'andàrag lù, in pèrsona.ILARIO( Cus pòlal èssar?)CORBOLOL'era mèj se lù al l 'avéss fat savér al Duca...ILARIO(Dio, 'jùtam!)CORBOLOCóm Ilario al la sa, al gnirà a ca vulànd.ILARIOCorbolo!CORBOLOAn vrà brisa supurtàral e al farà al diaùl.ILARIOCorbolo!CORBOLOMò còssa faràl ànca lù?ILARIOCorbolo!CORBOLOChij'è c'am ciàma? Ó, padrón!ILARIOCus a ghè?CORBOLOFlavio, v'al incuntrà?ILARIOAndù el andà?CORBOLOA n'è brisa dóds ór, cl 'è 'ndà fóra 'd zità, e al m'à dit c'al gnéva a truvàrav.ILARIOChè urgénza ag jéra?CORBOLOVù an savì brisa ac parìcul cl 'à córs!ILARIOParìcul? Dìmm cus è suzést.CORBOLOAl pòl dir, padrón, d'èssar nat n'àltra vòlta: di furfànt i l 'à quasi cupà; mò, par 'd grazia ad Dio, al mal...ILARIOGàl, dóncan, dal mal?CORBOLOMò senza parìcul!ILARIOCus a ghè saltà 'n mént ad gnir in campagna s'al gà dal mal, o grand o pìcul.

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CORBOLOAl camìnar an pòl fàrag gnént al sò mal.ILARIOCóm an pòl?CORBOLONo, av dig; anzi, l 'al farà più svèlt.ILARIODìmm, el frì?CORBOLOSì, e sól con tant cur al putrà guarìr; No c'àg sànguina la piàga.ILARIOÓj, a són mort.CORBOLOMò capìm indóa.ILARIODì' su.CORBOLONò in sla testa, nò in si l spall, nò in sal pèt o in si fiànc.ILARIOIndóa? Dìmal ciar: insóma, gàl dal mal?CORBOLOAlg n'à, purtròp, e fastidiós.ILARIOAn pòl èssar che lù an sia gravìssim.CORBOLOAnzi, tròp 'lziér.ILARIOTì t'am stràzi. Gàl mal o an gàl brisa mal? Ch'it pòl capìr?CORBOLOA val dirò.ILARIODìmal, par la malóra.CORBOLOScultè.ILARIOCuntìnua.CORBOLOAl n'è brisa frì in tal còrp.ILARIOIns l 'anima, dóncan.CORBOLOL'è frì in tun quèl sìmil. Flavio, jér sira, al s'è truà a zéna con na cumpagné 'd zùan. E, in tl 'andàr via, al m'à dit checóm a sunàva diés ór, a fuss andà a tóral col lum; mò, an sò réndram rasón, l 'è gnù via prima, e gnénd da par lù,quant l 'è rivà ai pòrtag, dnanz a San Stèfan, l 'è sta zircundà da quàtar, armà con dil fiónd, ch'i gà tirà purassà cólp.ILARIOAn l'aj brisa frì? Oh c' parìcul!CORBOLOCóm è piasèst a Dio, in la mai ciapà in sal còrp.ILARIOO Dio, at ringràzi.CORBOLOLù al gà vultà i l spàll e 'l s'è mis a córar più fort c'al putéa.Mò un al gà ciapà in sla testa.ILARIOOhimè!CORBOLOMò i gà ciapà ins la 'mdàja d'or e a ghè cascà la bréta.ILARIOL'al pèrsa?CORBOLONò, a la tòlta su chi làdar.ILARIOEn glàj brisa da' 'ndré?

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CORBOLODàrgla 'ndré, eh?ILARIOLa mè custà più 'd dóds ducati, còj puntàj d'òr c'ag jéra.Ludà Dio ch'in gà brisa fat pèz.CORBOLOInturzéndass la vésta tra 'l gamb, cla pandéva da na bànda, l 'è sta tre o quàtar vòlt l ì l ì par métarla in tèra; a la fin alsn'è l iberà butàndla via con tut dó 'l man.ILARIOInsóma l'al pèrsa?CORBOLOAnc quéla i la tòlta 'ncóra i furfànt.ILARIOE se i la tòlta chi làdar, ant par che Flavio an l 'àva pèrsa?CORBOLOAn cardéa brisa c'ass géss pèrdar ai quèj ca tróva d'i jàltar.ILARIOOh! Tì tié ignurànt. L'am vién a custàr, con la fódra, utànta scùd.Insóma, Flavio al n'è brisa frì?CORBOLONò in sla pèrsóna.ILARIOIndóa, diàul, int n'altra part i l putéa frìr?CORBOLOIns la mént; parché al gà 'n gran spiàser pènsand che, oltr'al sò dan,vù a pruvarì, savéndal, un gran fastìdi.ILARIOAl vist ch'i jéra quéij cl 'à assalì?CORBOLONò, parché la paùra e 'l scur dla nòt in gà lassà tgnóssar nissùn.ILARIOAl spòl métar in sal l ìbar di quèij pèrss.CORBOLOA gò paura 'd sì.ILARIOSsiòcc! parché 'n sptàrat, s'at duvév andàrl a tór?CORBOLOVdì pur...ILARIOMò tì tiè 'n'àsan però, c'at an n'i jé brisa sta svèlt d'andàral a tór.CORBOLOQuést l 'è al vòstar sòlit: bravàram sémpar pri sò èror. L'am duvéa sptar, e an vléndam sptar, tór cumpagnia, che s'alglavéss dmandà, i sarìa gnu tuti con lù. Mò ans pèrda dal témp: adèss, padrón,che 'l mal l 'è frésc, tulì qualc rimèdi.ILARIORimèdi. Che rimèdi póssia tór mì?CORBOLODzcurì col podèstà, còi segretàri e, s'ac sarà bisógn, pròpia col Duca.ILARIOE che diàul vót ch'im fàga?CORBOLOChi fàga far di band.ILARIOAxì, oltr'a la pèrdita, ac sarìa anc al biàsim. La zént l 'an dirìa brisa ch'i l 'éss surprés da par lù e senz'àram, mò ch'il 'éss assalì con pari fòrza, e c'ag fuss sta tòlt i pagn e i j àram, col pat d'an fàrag brisa dal mal.Adèss fa cónt che mì a vàga dal Duca, e c'ag cónta al cas: cus faràl se non mandàram dal podestà?E 'l podestà am gurdarà sùbit i l man, e 'n vdéndag brisa l 'òférta, al mustrarà d'avér da far di quèij più impurtànt: es'ang avrò nè indizi nè tèstimòni, al pansarà ca sòn 'na bèstia.E pò, chi vót chi sia i malfatór se non i stéss chi vién pagà par ciapàr i malfatór?E al podestà al spartìss col sò cmandànt: e tuti i ròba.CORBOLODóncan, còssa sa da far?ILARIO

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D'avér pasiénza.CORBOLOFlavio al na glavrà mai.ILARIOCunvgnirà avérla, vója o no. E dato cal s'è salvà, al pénsa che Dio al gà fat na bèla gràzia.Lù l 'è fóra dla paùra e dal parìcul senz'àltar mal. Mò a són mì c'am sént gravissimamént frì in sla bórsa.Al dann l 'è mié e lù an gà brisa da sufrìr: ag farò far sùbit na bréta cumpàgna a cl 'àltra e na vèsta dignitósa; mò angsarà nissùn cam viéna a rimétar in tla bórsa i sòld c'avrò spés parché lù an stàga brisa in pèrdita.CORBOLOAn saria bén che i rigatiér i fuss avisà, e anc j ebrei: che sa gnéss chist' i j assassìn a inpgnàr o véndar i l ròb, i tgnésstant a bàda finchè vù a fùssi avisà, sichè, andàndag, ag i j avréssi da nóv;e i féssi ciapàr lór?ILARIOQuést al putrìja far ben più che far mal. Mò ang spèr brisa parchè quéij ch'inprésta a usura, an ghè dubi chi jé diribàld; e chijàltar chi cómpra par rivéndar i jè farabùt, e in dis mai la vrità; e i quèij chi cómpra più luntiéra i j è iquèij rubà, parché cumprànd ig cósta póc; mò s' ig mét su di sòldi, i sa ch'ins ciàpa mai più.CORBOLOAvisèmi l istéss: nù a fén al nòstar duvér.ILARIOSat par, va pur, avìsi.

Scena III

Corbolo, Pacifico

CORBOLOAl quèl al va vànti bén, e al póss dar par fat: par cunclùdar an am rèsta àltar che fàram dar indré i pégn da Giulio; epò mandàri inpgnàr da na pèrsona tgnussùda, pr'al più c'as póssa aver. Al vécc, al sò, l 'andrà a tóri sùbit, apéna alsavrà in du ch'jè; mò mì a vój dìral a Flavio, ad mòd c'als sàva règolar con Ilario e i nòstar racónt i sia cumpàgn.Éco Pacifico cal vién fóra.PACIFICOAt vòl Flavio.CORBOLOA vién pròpia da lù eg pòrt dil bóni nóv.PACIFICOAl l i sa za, parché en santì tut quél ca t'à dit, dal prinzìpi a la fin; a sén sta tut dù ad dré da l 'uss ea n'én pèrs gnanc na paròla.CORBOLOCus v'in par?PACIFICOAt dén la gloria e al vant ad savér fìnzar na busjé mèij d'ogni poeta. Mò férmat, c'an t véda gnir chi déntar Fazio;apéna c'al va 'n ca e al vòlta i l spal, va déntar.

Scena IV

Fazio, Pacifico

FAZIOPr'an surpréndarv brisa inpruvisàmént, Pacifico, tra 'n més truèv na ca, parché mì a són in paròla par véndar questachi.PACIFICOL'è vòstra, fè quél ca vlì vù.FAZIOAl cumpradór e mì as sén rivòlt al Torbido, cl 'è 'ndà a tór la pèrdga par misuràrla tuta: a péns c'an vàga brisa vié damì senza avér cunclùs.PACIFICOS'al avéss savù ijér, a l 'avrìa mìssa a pòst, am truvarì dsurdnà.FAZIOAdèss va a métarla a pòst meij c'at pó, parché tra póc i riva.PACIFICO

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Nò 'ncuó, fèij turnàr 'dman.FAZIOQuél ca la cómpra, ad man an pòl brisa, cl 'à d'andàr a Módna.

Scena V

Pacifico, Corbolo

PACIFICOCum farégna, Corbolo, a lugàr al tò padrón parché stiórcachì in al véda brisa? Senza dubi, s'al véd Fazio, al capirà tute al scàndal al sarìa tròp grand.CORBOLOGhè 'n pòst indù lugàral?PACIFICOChe pòst sicùr in sta ca chi, (misuràndla tuta) pòl èssar ch'in al tróva brisa?CORBOLOAn ghè gnanc na càssa, 'n armàri?PACIFICOA ghè sól dó cass pìculi, c'ang starìa gnanc Santino in camìsa.CORBOLODóncan, fémal andàr fóra prima ch'i viéna.PACIFICOAxì spujà?CORBOLOMì a vag a ca e ag pòrt 'n'altra vèsta.PACIFICOVa là e tórna sùbit, c'at spèt chi.CORBOLOA véd a gnìr fóra Ilario.

Scena VI

Ilario, Corbolo, Cremonino

ILARIOAl sarà bén che, óltr avérag mandà Corbolo, ag vag anca mì; ca créd che nissùn l 'ùsa più dil igénza ad mì in ti miéquèij.Mò ècàl chi. Cus at fat?CORBOLOÒ vist Isàc e Bègnamìn di Sabiùn, adèss a vóij rivòlzràm ai Carri, ùltim i sarà quéij da Riva.ILARIOCus zèrcal quél là, c'al va a bàtar a la nòstra pòrta?CORBOLOL'è Cremònino. (Oh diàùl, a sén squacià).ILARIOCus a dmàndat zóan?CREMONINOAdmànd ad Flavio.ILARIOOh, quéla l 'am par la sò vèsta.CORBOLOAnc a mì: l istéss, vdì, la sò bréta. (Adèss jùtam busié, sinò a sén spacià).ILARIOCorbolo, cum el stal quèl?CORBOLOA créd che pròpia i sò cumpàgn i gàva fat un schèrz, e che is sia gudù a fàral córar.ILARIOBèl schérz, in vrità.CREMONINO

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Al mié padrón, Giulio, alg mànda indré i sò pégn, e alg fa capìr che col sò 'mig...CORBOLOChe amìg? Scólta sta fròtula!CREMONINO...quél ch'inpràstar su chisti pégn...CORBOLOCiàcar!CREMONINO...alg duvéa i sòldi che tì, Corbolo...CORBOLOOh c' bàla!CREMONINO… che tì, incuó, tié gnu a dmandàrag.CORBOLOMì?CREMONINOTì, sì.CORBOLOGuàrda ac fàza tòsta, cóm al sa bén fìnzar na busié.ILARIOCorbolo, tój e méti al sò pòst; tì va, dì a Giulio che sti schèrz chi ins duvrìa brisa far con ij amìgh.CREMONINOChe schèrz?ILARIO… e sti quèij chi i nè brisa ròba da par sò.CREMONINOAn créd brisa ch'el mié padrón l 'àva fat... Che ségn am fat bèstia?A vój dir la vrità.CORBOLOMì at fàg di ségn?CREMONINO… e diféndar al mié padrón che tì at calùni a tòrt. S'al gavéss avù i sòldi,algh'j avrìa inprastà, e luntiéra.CORBOLOSoldi? Gòdat pur!T' insógnat fórsi? O sat tòlt pr'inbariàg o par mat?CREMONINON'at brisa purtà tì chi sta vèsta a Giulio, stamatìna?CORBOLOA pié o a cavàl?A t'én capì.CREMONINO'Ncóra t'am fa di ségn?CORBOLODi ségn?ILARIOOh, c'at viéna al mal 'd Sant'Antòni! An tò vist mì, c'at ag fa di ségn?CORBOLOZèrt ag ghi fagh, par dimustràr ca tgnussén i l sò malìzi, e che a nù an pòl brisa véndarli.CREMONINOMalìzi l jè i l tò.ILARIOA la vóij capìr. Tì, indù at avù chist i l ròb?CORBOLOGiulio, jér l 'è sta in guàrdia.ILARIOAl vój savér da lù e no da tì.CORBOLOAl t darà d'inténdrat qualc bàla, c'al sà fìnzar tròp bén.CREMONINOTì t fìnz.CORBOLOAdèss guàrdam bén e brisa rìdar.CREMONINO

Page 60: In memoria - Ferrara

Che rìdar, che guàrdar?CORBOLOVa, va; dì a Giulio che Flavio, un dì, al sarà bón ad réndrag mèrit ad quést.ILARIOBrisa 'ndar, nò: l iévat anca tì da chi, che mì am vóij infurmàr da lù e no da tì.CORBOLOAn sarà mai véra che mì a supòrta che stucachì alv tóga in zir.ILARIOTì, che paùra gàt, che i l sò paròl i m'incànta? Mò dim: chist'i l ròb... Va vié, l iévat da chi.CORBOLOInsóma, al vl ìv pròpia scùltar? Tut i tòrcc ag ghè par la vèndémia in ag putrìa brisa sprèmar 'na vrità.CREMONINOA dirò la vrità.CORBOLOL'è 'xì pussìbil cmè un sumàr c'al diga al Paternòstar.ILARIOLàssal dir.CREMONINOMì av dirò al Vangèlo.CORBOLOCavémass la bréta, parché an spòl brisa scultàr al Vangèlo a capo coperto.ILARIOTì t zérc d'interómpar in tut i mòd; mò se dzcóri 'ncóra... Dài, vién, lassèmal l ì fóra: va déntar in ca. Am prumétt adsavér chist' imbròij, c'an pòl èssar gnént àltar; mò sarén fóra sta sècadùra.

Scena VII

Corbolo, Pacifico

CORBOLOA sén spacià: i córr a quàtar a quàtar i vintzìnc fiorini, mò i córr tant c'an ghé più spèrànza ad razùnzri.Ac bèl sarvìzi cal sà fat Giulio! Par Dio, ag duvén sémpar éssar ubligà.Am dis: - At turnarà tra n'óra par savér quant a sòn riussì a trùvar in prèst-; e pò al m'à mandà un contrórdan parchist pigurón cl'à rót i fi l urdì, ca i jéra dré téssar.PACIFICOCus ijét sta là tant a discùtar? Indù è la vèsta ca pòrt a Flavio? An pardén témp, c'at viéna'n càncar, a métral fóra 'd ca!Cus aspètat ca viéna déntar Fazio e c'al la véda?CORBOLOSè an póss brisa andàr déntar! Sè Ilario al m'à sarà fóra.!PACIFICOCum farégnia?CORBOLOVéd ad lugàral in ca.PACIFICOAn ghé gnanc un pòst.CORBOLODóncan, métal fóra in camìsa. Ad dù partì, tón un: o tal lóg in ca o tal mand fóra in camìsa.PACIFICOMì an vój tór nè l 'un nè cl'àltar.CORBOLOCòssa faràt, dóncan?PACIFICOAdèss am vién in mént che in ca a gò na bót granda, cam l'à inprastà, st'an chi, al témp dla véndemia, un mié parént,parché druàndla cmè tino, ag féss pèrdar l 'udór da sécc; e pò al m'la lassà fin adéss.Mì ag al vój lugàr déntar finchè questi, chi gnirà con Fazio, i j avrà misurà tut con sò còmad.CORBOLOMò ag staràl déntar?PACIFICOSì, a sò còmad; e za da più gióran, mì a l 'ò pulì bènissim e, a mié piasér, ag póss métrag un fónd o tóral via.CORBOLO

Page 61: In memoria - Ferrara

Andén, dóncan, a cunsil iàras con lù.PACIFICOA créd che stiórcachì i sia, apùnt, quéij ac vòl gnìr chi déntar: jè lór, zèrt, mì a tgnóss al Torbid.Finén quél ag gavén da far.CORBOLOFinémal.PACIFICODóncan, vién déntar.CORBOLOVa là, che mì at tién a dré

Scena VIII

Torbido, Gemignano, Fazio

TORBIDODòp ca l 'avrò misurà, la pèrdga l 'am dirà quant la val, fin a l 'ùltim zantèsam.GEMIGNANODóncan, dil vòlt i l pèrtag dzcórli?TORBIDOSì bén, e i fa dzcórar spéss, sl i sa sténd sul spall ad qualchidùn. Mò ècò Fazio.Cus a ghégnia da far?FAZIOQuél ch'én dit: mitìv a misùrar quand av par: i cumìnzia chi i cunfìn e in pàssa brisa cal ségn.TORBIDOA cuminziarén chi, dóncan.FAZIOIncuminziè.TORBIDOUna; métag un ségn in prinzìpi.GEMIGNANOÈcal.TORBIDOE dù, e quést dòp, a punt, a manca dù sèst, ch'in pòl brisa èssar tri pié.FAZIOA putì tór al làpis e nutàr quést.TORBIDOAl nòt, ècal.

Scena IX

Giuliano solo

GIULIANOPropia póc fa, truvàndam in palàzz, ò vist firmàr un pèrméss dal Sìndic, par tór di pégn a Pacifico pari a qurantatrélir, parché al gà di dèbit con Bàrtul Bindèl; mò mì a són sicurìssim c'ans tróva brisa tanta ròba cla rìva a la mità, mògnanc a un tèrz dal dèbit.Par quést a gò paura ch'ig tóga na miè bót ag gò inprastà par bùijar al sò vin.L'è mèj ca vàga a tórmla prima ch'i sbirr i gla pórta via, e che mì, dòp, a gàva da l idgàr e dimustràr clè pròpia mié.E dato che l 'uss l 'è vèrt, a vag déntar a la bóna.Vién fachìn, vién déntar, tiénmn a dré.

Continua

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Maurizio Bonora.La spirale, 1990. Terracotta.

Page 63: In memoria - Ferrara

Atto IVScena I

Cremonino solo

CREMONINOOr vedo ben ch’io son stato mal pratico;e me n’ha gravemente da riprendereil mio padron, come lo sa, ch’a Ilarioabbia scoperti gli aguati che Corboloposti gli avea, per far ch’avesse Flavioda lui danari; e per inavvertenziasolo ho fall ito, e non già per malizia.Ma che potevo io saper, non essendomistato detto altro? Da doler s’avrebbenodi mio patron, che dovea avertirmene.Pur è stata la mia grande ignoranzia,che dell’error non mi sapesse accorgere,se non poi quando non c’era rimedio.Ma dove vanno questi sbirri? Ir debbonoa dar mala ventura a qualche poverocittadin. Mala razza! feccia d’uomini!

Scena II

Bartolo solo

BARTOLOIo gli ho mandato dieci volte o dodicil i messi, acciò che l i pegni gli tolgano,ma questi manigoldi, pur che sianopagati del vïaggio, poco curanodi far essecuzion alcuna. Il creditomio primo era quaranta l ire e quindicisoldi; e di questo tenuto in l itigiom’ha quattr’anni, e ci son ben tre sentenziedate conformi; et ho speso in salariid’avvocati, procuratori e giudici,duo tanti, e poco men le citatorie,le copie de scritture e de’ capitulimi costan. Metti appresso intollerabilefatica e gravi spese degli essamini,del levar de’ processi e de sentenzie,le berrette che a questo e a quel traendomi,le scarpe c’ho su pel palazzo logoredrieto ai procurator, che sempre correno:più di quaranta l ire credo vagliano.Poi, dopo le fatiche e spese, i giudicisolo in quaranta l ire lo condannano;e chi ha speso si può grattar le natiche.Ve’ le ragioni che in Ferrara si rendono!Ma quando sopra a certe masseriziepoi rivaler mi penso, che non vaglionoquaranta l ire quanto son tutte, eccotila moglie comparir con l’inventariode la sua dote, che tutte me l’occupa.Non voglio, né per certo posso credereche sian in la povertà che riferiscono.

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Scena III

Bartolo, Magagnino

BARTOLOMagagnìn, vieni inanzi e fa’ i l tuo officio:batti quell’uscio.MAGAGNINOPerché debbo batterlo,se non m’ha offeso?BARTOLOOffende me, vietandomiper l i statuti che costui che ci abitanon posso far pigliar.MAGAGNINOTu te ne vendica;e poi ch’averne altro non puoi, disfogatisopra di lui: con mani e con pié battilo.BARTOLOSpero pur averne altro ancora: entramoci.ma sento ch’egli s’apre.MAGAGNINOHa fatto savia-mente a ubbidirti, e non lasciarsi battere.BARTOLOMolta gente mi par: qua su tiramocida parte un poco; credo che fuor portinole masserizie, et ogni cosa sgombrino.

Scena IV

Giuliano, Pacifico, Bartolo

GIULIANOE se la botte è mia, perché vietarmelavòi tu ch’io non la pigli?PACIFICOPerché, avendolalasciata qui sei mesi, ora di tôrmelati nasce questa voglia così subita?GIULIANOPerché, lasciandola oggi, sto a pericolo,per la cagion ch’io t’ho detto, di perderla.BARTOLO(Esser dovean avisati, né giungereci potevàn più a tempo.)GIULIANONé comprenderposso, se non mel narri, i l danno o l’utileche far ti possa i l tôrtela o i l lasciartela.PACIFICOTollendola ora, tu mi fai grandissimodanno.GIULIANOTu pure a me.PACIFICOMezz’ora piacciatidi lasciarmela ancora.GIULIANOE s’or vengono

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per vuotarti la casa i birri? Et eccoli,eccoli certo. Non senza contendereora l’avrò: ve’ s’io dovea lasciartela!

Scena V

Bartolo, Magagnino, Spagnolo, Giuliano

BARTOLOCotesta vo’ per parte del mio credito.Falcione, e tu Magagnino, pigliatelain spalla, e tu Spagnolo.MAGAGNINOIo non soglio esserefacchino.SPAGNOLOEt io tampoco.BARTOLOUn bel servizioc’ho da voi!GIULIANONon sia alcun che di toccarmelaardisca, se non vuol ….BARTOLODunque vietarmi tuvuoi che non si eseguisca la l icenziac’ho di levargli i pegni?GIULIANOLi suoi toglierlinon vi divieto, ma sta botte dicoviche gli è mia.BARTOLOCome tua?GIULIANOGli è mia verissima-mente, che uguanno fu da me prestatali.BARTOLODeh, che ciance son queste? Ritrovandola,uscir di casa sua, come sua tolgola.GIULIANOLa toll i? Sì, s’io tel comporto: lasciala,se non ch’io te …BARTOLOSiatemi testimoniiche costui vieta …GIULIANOChe vieta? Lasciatela.

Scena VI

Fazio, Giuliano, Pacifico, Bartolo, Corbolo

FAZIOOh, che rumor fate voi qui? Che strepitoè questo?GIULIANOE' mia la bottte, e riportamelavoglio a casa; e costui crede vietarmelo.PACIFICODice i l ver: sua è per certo.

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BARTOLOAnzi non diconoil ver.GIULIANOTu pur menti.FAZIOSenza ingiuriadirvi, parlate.BARTOLOTu mi menti.GIULIANOMenti tu,che tu di’ ch’io non dico i l ver.BARTOLOFazio,vi par, se di casa esce di Pacifico,ch’io mi debbia lasciar dar ad intendereche la sia se non sua?GIULIANOSe di Pacificofusse, fuor de la strada non trarrebbesi.BARTOLOAnzi, la traevate per nasconderla.PACIFICONon già, per Dio! La traevo per renderea lui, che uguanno me ne fe' servizio.FAZIOCh’io dica i l mio parer?BARTOLOSì ben, rimetteremi voglio in voi.GIULIANOIo ancora.FAZIOLascia, Bartolo,che questa botte io mi chiami in deposito,e se Giulian tra due dì mi certificache sia sua, l ’averà; ma non facendomibuona prova, vorrò ch’abbia pazienzia.GIULIANOSon ben contento.BARTOLOEt io contento.GIULIANOPossoviche gli è mia facilmente far conoscere.BARTOLOSe prova gliene fai vera e legittima,sia tua: tu, dove e quando vuoi, via portala.PACIFICOTu mi par poco savio a compromettere,e lasciar turbidar la chiara e l iquidaragion che v’hai.CORBOLODice i l vero: lasciatelapiù tosto ov’era, in casa di Pacifico.BARTOLOQuesto consiglio non mi sarebbe utile.FAZIOChe tocca a te? Che ci hai tu da intrometterti,o tu, se non è tua?CORBOLOPer me rispondere

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voglio, che forse ci ho parte.GIULIANOConcedertinon voglio già cotesto.CORBOLOEt appertiemmisivie più che non ti pare.FAZIOEt appartengasi.GIULIANOCome appertien? non è vero.FAZIOAppertengagli.E non ti par che in casa mia debbia esseresicura dunque? come sol con Bartolo,e non con Giuliano anco, abbi amicizia!GIULIANOCi siamo un tratto compromessi in Fazio:sia i l depositario egli, egli sia i l giudice.BARTOLOE così dico anch’io.FAZIODunque spingetelaqua dentro in casa; e non abbiate dubbioche, in fin ch’io non son ben chiaro e certissimodi chi sia la ragion, la lasci muovere.PACIFICO(Flavio c’è dentro: or ve’ s’ogni disgrazia,or ve’ s’ogni sciagura mi perseguita!)FAZIOPacifico, faresti meglio attenderea casa, che gli sbirri non ti tolganoaltro, e ti faccian peggio.PACIFICOE che mi possonotôrre? Il poco che ci è, sanno tutto esseredi mògliema; ben altre volte stati cisono. Pur vo’ …; ma ecco che fuor escono.

Scena VII

Sbirri, Torbido, Gemignano, Giuliano, Fazio

SBIRRIAltro insomma non ci è, che quel che solitisiamo trovar e ch’è su l’inventario.TORBIDOAh ladri, ribaldoni, che involatomiavete i l mio mantello!SBIRRIFai grandissimomale accusarci a torto e darci ingiuria.TORBIDOBrutto impiccato, che ti venghi i l cancaro!Che è questo che tu hai sotto?SBIRRITolto avevoloper le mie spese, e non per involartelo.TORBIDOIo ti darò ben spese, se la perticanon mi vien meno.

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GEMIGNANOIo vo’ prestarti un’opera.GIULIANONon mi vo’ anch’io tener le mani a cintola.TORBIDOVe’ l ì quel sasso, Gemignano? piglialo,spezzali i l capo: tu sei pur da Modena.SBIRRIGli ufficial del Signor così si trattano?TORBIDOIl Signor non tien ladri al suo servizio.Via ladri; via, poltroni; via col diavolo!Poco più ch’io indugiavo ad avedermene,ero fornito: bisognava andarmenein bel farsetto; e mi venìa a propositol’aver meco portata questa pertica,che in spalla, ad uso d’una picca, avendola,sarei paruto un Lanzchenech o Svizzaro.FAZIOResta a misurar altro?TORBIDOFin all ’ultimomattone ho misurato, e fin all ’ultimolegno che c’è, l ’ho scritto, e meco portolo;poi ne leverò i l conto, e farò intenderead ambi a quanto prezzo, possa ascendere,GEMIGNANOQuando?TORBIDOOggi ancora. Commandi altro, Fazio?FAZIONon, ora.TORBIDOA Dio.FAZIOSon vostro. – Olà, Licinia,s’alcun mi viene a dimandar, rimettiloalla bottega qui di mastro Onofrio:fin a ora di cena potrà avermici.

Scena VIII

Lena sola

LENANel male è grande aventura che Faziouscito sia di casa, che diffici le-mente, se non si partiva, potevasioggi più trar di quella botte Flavio.Com’io lo vidi in quella casa spingere,m’assalse al cuor una paura, un tremito,che non so come io non mi morii subito.Potuto non s’avrìa sì poco muovere,che di sé non avesse fatto accorgere:un sospirar, un starnutir, un tosserene ruiniva. Or, poi che senza nuocerequesta sciagura è passata, proveggasich’altra non venga; ora non s’ha da attenderead altra cosa che di tosto metterlodi fuor, ch’alcun non vegga. Vada Corboloa proveder di veste, ma fuor mandasi

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però prima la fante, che pericolosarìa, stand’ella qui, che fosse i l giovaneda lei veduto o sentito. _ Odi, Menica:a chi dich’io? Licinia, di’ alla Menicache tolga i l velo, et a me venga. Or eccola.

Scena IX

Menica, Lena, Corbolo, Pacifico

MENICALena, che vuoi?LENAPiacciati, cara Menica,di farmi un gran servigio, da doverteneesser sempre tenuta.MENICAChe vuoi?LENAVuo’ mi tufarlo?MENICAIo ‘l farò, pur che far sia possibile.LENAVa’, madre mia, se m’ami, fin agli Angeli.MENICAOra?LENAOra, sì.MENICALasciami prima metterela cena al fuoco.LENANon, va’ pur, che mettereio saprò senza te al fuoco una pentola.Va’: come sei dritto la chiesa, piegatitra l ’orto de l i Mosti e ‘l monasterio,e va’ su al dritto, fin che giungi, al volgertia man sinistra, alla contrada diconoMirasol, credo. Or va’.MENICAChe vi vuoi, domine,ch’io vada a far?LENAVedi cervello! Informatiquivi (credo sia i l terzo uscio) dove abitala moglie di Pasquin, ch’insegna a leggerealle fanciulle: Dorotea si nomina.Va’ quivi, e digli:- A te, Dorotea, mandamila Lena a tôr l i ferri suoi da volgerela seta sopra l i rocchetti-; e pregalache me li mandi, perché mi bisognano.Or va’, Menica cara: donar vogliotipoi tanta tela, che facci una cuffia.MENICALa carne è nel catin lavata e in ordine,non resta se non porla ne la pentola.LENATroppo cred’io che la sia ben in ordine:dico quella di Flavio, ma in la pentolanon la porrà prim’egli di Licinia

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ch’i venticinque fiorini non s’abbino.Conosco io ben l’amor di questi giovini,che dura solamente fin che bramanoaver la cosa amata, e spenderebbono,mentre che stanno in questo desiderio,non che l’aver, ma il cuor. Fa’ che possegghino:va l’amor come il fuoco, che spargendovide l’acqua sopra, suol subito estinguersi;e mancato l’ardor, non ti darebbonodi mille l ’un che già ti promettessino.Per questo voglio ir dentro, et interromperes’alcuna cosa senza me disegnano.Corbolo, or su, spacciati tosto, arrecalialcuna veste, che lo possiàn metterefuor, mentre l’agio ci abbiamo.CORBOLOAnzi, pregoti,mentre abbiamo agio, fa’ che possa metteredentro, e dategli luogo tu e Pacifico.LENAIn fe’di Dio, non farà: né ti crederech’io gli lassi aver cosa che desideri,se prima li denari non mi annovera;et esser guardïana io stessa voglione.CORBOLOGuardala sì che gli occhi vi rimanghino.(Debbio patir che Flavio da Liciniacosì si debbia partir senza prendernepiacer; et abbia avuto questo incommododi levarsi, che dieci ore non erano;di star qui dentro chiuso come in carcere;d’esser portato in tanto pericoloserrato in una botte, come propriofansi l ’anguil le di Comacchio e i mugini?Ma che farò, vedendomi contrariacol bécco suo questa puttana femina,con l i quali l i preghi nulla vagliono,né luogo han le minacce; né potrebbesiusar forza, che purtroppo è i l pericolostando così, senza levar più strepito?Venticinque fiorini, in fin, bisognano,ne l i quali siamo condennati; e grazianon se n’ha aver, né voglion darci credito.Dove trovar l i potrò? Far prestarmelisu la fede è provato, et è stata operavana: sui pegni non si può, che Ilarione gli ha intercetti. A lui di nuovo tendereun’altra rete sarìa temerariaimpresa: non si lasciarìa più cogliere.E pur talor degli augell i si colgono,che caduti in la rete altre volte erano,e n’erano altre volte usciti l iberi.Forse sarà l’ingannarlo più facileor che gli par che, mal successe essendomile prime, rinfrancar sì tosto l’animonon debba a porli le seconde insidie.Ma che farò? Che farò in fìn? Deliberapresto, che di pensar ci è poco termine.Io farò … che? … sì bene; e crederemi potrà? Crederammi. Ma Pacificovien fuora.)PACIFICOOv’è la veste?

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CORBOLOChe veste?, hammi tuscorto per sarto? Oh, par che ‘l mio essercizionon sappi: io tengo la zecca, e vo’ battereventicinque fiorini ora per darteli.PACIFICOFoss’egli i l vero!CORBOLOA mio senno governati.Hai tu alcun arma in casa?PACIFICOSu in la cameradipinta è nel camin l’arma di Fazio.CORBOLODico da offesa.PACIFICOAssai n’ho che m’offendono:la povertà, l i pensieri, la rabbiadi mia moglie, e ‘l suo sempre dirmi ingiuria.CORBOLODico s’hai spiedo o ronca o spada o similecosa.PACIFICOC’è uno spiedo antico e tutto ruggine.Ve’ se gli è tristo, se gli è male in ordine,che i birri mai non curano di levarmelo.CORBOLOBasta, viemmelo mostra. Or bella archimianon ti parrà s’io fo di questa ruggineventicinque fiorini d’oro fonderti?

Continua

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Atto IV

Scena I

Cremonino solo

CREMONINOAdèss a véd ca són sta maldèstar; e 'l mié padrón l 'am bravarà purassà apéna al sà chè Ilario l 'à squacià i j aguàt cheCorbolo al ghéva fat, par far in mòd che Flavio al ghéss i sòld da lù; ò sbaglià sól pr'inavèrténza, brisa par malìzia.Mò cus putévia savér mì se an am jéra sta dit gnént àltar?Is la duvrìa tór col mié padrón, cal duvéa avèrtìram.Però l 'è sta anc la mié grand ingnurànza, ca n'am són brisa savù acòrzar dl'èrór se non quand angh ijéra più rimèdi.Mò indù vai, chisti sbirr?I va a dar quàlc bruta nóva a un pòvar zitadìn.Bruta raza.Féza d'òman!

Scena II

Bartolo solo

BARTOLOMì a gò mandà i mèss diés o dóds vòlt parché chi'gh tóga i pégn, mò sti manigòld, pur chi sia pagà dal viaz, is dà pócda far par èsèguìr.Al mié crèdit l 'éra ad quaranta l ir e quìnds sòld;e par quést al m'à tgnèst in causa par quatr'an, e a ghè bén tré sènténz, tuti cumpàgni;e a i jò spés in aucàt, in procuràdur e in zùdiz dó vòlt tant, e, póc mén, am cósta i l citazión, i l còpi di documént, e i lclàusil dal cuntràt dal nudàr.Zùntag la fadìga e i l pèsànti spés d'i pròcèss, dal trascrìvar i j att e i l sènténzz;al cavàram la bréta davanti a quést e a quél, i l scarp ca i jò cunsumà su e zó pr'al Palàz, a dré i procuràdur chi córrsémpar: a créd chi vàla più 'd quarànta l ir.Dòp il fadìg e i l spés, i l cundàna sól par quarànta l ir.E chi l 'à spés als pòl gratàr i l culàt.Quèsta chi l 'è la rasón cas rénd a Fràra!Mò quant a péns 'd rivaléram su zèrt masserìzi, che tra tuti in val brisa quaranta l ir, èco cumparìr la muijér conl'invèntari dla sò dòta, e la mi tòl tuti.An vóij, nè póss crédar par zèrt, chi sia in tla misèria chi dis.

Scena III

Bartolo, Magagnino

BARTOLOMagagnìn, vién avanti e fa 'l tò ufìzi: bàti cl 'uss.MAGAGNINOParchè l 'òja da bàtar s'am m'à brisa ufés?BARTOLOAl m'ufénd mì, impèdèndam, par lèz, ad far ciapàr stucachì c'alg sta déntar.MAGAGNINOTì véndicat; e sicóm t'an pó aver àltar, sfógat su 'd lù: dàgan còl man e còi pié.BARTOLOA spèr incóra d'avér anc àltar: 'ndén déntar. Mò a sént c'al vèrz.MAGAGNINOL'à fat bén a ubidìrat e an fàras brisa piciàr.Am par c'ag sia purassà zént: tirémass un póc da part, a créd chi pòrta fóra i l massèrizi, e i sgómbra ògni quèl.

Page 73: In memoria - Ferrara

Scena IV

Giuliano, Pacifico, Bartolo

GIULIANOE se la bót l 'è mié, parché vót pruibìram ad tòrmla?PACIFICOParché, st'am la lassà chi sié mis, adèss at nass axì vója 'd tórmla?GIULIANOParché lassàndla chi incuó, a rìscc ad pèrdàrla, par la rasón ca t'ò dit.BARTOLO( I duvèa èssar avisà, nè a putéan rivàr più a témp).GIULIANONè a póss capìr, st'am al dì, al dan o l 'ùti l c'at póssa far a tórtla o lassàrtla.PACIFICOTuléndla incuó, tì t'am fa un dan gravìssim.GIULIANOAnca tì a mì.PACIFICOPar piasér, lassàmla 'ncóra mezz'óra.GIULIANOE sè i sbìrr i vién a vudàrat la ca?Èchi là; èchi dabón.Adèss ag l 'avrò l idgànd: védat se mì a duvéa lassàrtla!

Scena V

Bartolo, Magagnino, Spagnolo, Giuliano

BARTOLOQuésta chi a la vój pr'al mè crèdit. Falzón e tì Magagnìn, tulìla in spàla, e tì Spagnòl.MAGAGNINOMì an són brisa 'n fachìn.SPAGNOLOGnànca mì.BARTOLOUn bèl sarvìzi a gò da vuàltar.GIULIANOC'ang sia nissùn c'al s'azàrda ad tucàrmla, sè an vòl...BARTOLODóncan, tì t'am vó pruibìr chè mì èsèguìssa l 'auturizazión ag gò ad tórg i pégn?GIULIANOAn v' in impèdìss brisa 'd tórgh i sò, mò sta bót chi av dig cl 'è miè.BARTOLOCóm tò?GIULIANOL'è mié dabón; a glò inprastà st'an chi.BARTOLOMò che ciàcar èli quésti? Ritruvàndla andàr fóra ad ca sò, a la tóg cm'è sò.GIULIANOTla tó? Sì, sè mì at al pèrmétt: làssla sinò mì 't... BartoloAm sìvi tèstimóni che stucachì al pruìbiss...GIULIANOCus pruibìssal? Lassèla.

Scena VI

Fazio, Giuliano, Pacifico,Bartolo,Corbolo

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FAZIOOh, ac camòra fèv chi? Che strèpit èl quést chi?GIULIANOLa bót l 'è mié, e am la vój ripurtàr a ca; e stucachì al créd ad pruibìrmal.PACIFICOAl dis la vrità: l 'è sò dabón.BARTOLONò, in dis brisa la vrità.GIULIANOÁnca tì t mèntìss.FAZIOSenza uféndrarv, dzcurì.BARTOLOTì t'am mèntìss.GIULIANOAt mèntìss tì, c'at dì chè mì an dig brisa la vrità.BARTOLOFazio, av par chè sè la va fóra 'd ca 'd Pacifico, mì am déva lassàr dar d'inténdar che la sia sò?GIULIANOSla fuss ad Pacifico, an la purtarìa mina fóra in sla strada.BARTOLOAnzi, a la purtàvi fóra par lugàrla.PACIFICONo, par Dio! A la purtàva fóra par dàrgla 'ndré a lù, c'al ml'éva inprastà.FAZIOPóssia dir al mié parér?BARTOLOSì, va bén, am vój rimétram a vù.GIULIANOAnca mì.FAZIOBartolo, làssa ca tiéna mì in dèpòsit chista bót, e sè Giuliàn tra du dì am farà védar cl 'è pròpia sò, alg l 'avrà. Mò s'aln'am purtarà brisa 'na bòna próva, a vrò c'al s rasségna.GIULIANOA sòn bén cuntént.GIULIANOE cuntént ànca mì.GIULIANOAv póss fazilmént far tgnóssar chè l 'è mié.BARTOLOSè at pòrt na próva véra e lègìtima, la sarà tò: tì pòrtla vié quand e indù c'at vó.PACIFICOTì t'am par póc savi a fidàrat e lassàr inturbìdar la rasón ciàra e l impida c'at gà.CORBOLOAl dis la vrità: lassèla piutòst indù cl'éra, in ca da Pacifico.BARTOLOAst cunsìl i chi al n'am sarìa brisa ùtil .FAZIOCus ghéntrat tì? Cus a gat tì d'intrumétrat, sl 'an è brisa tò?CORBOLOMì a vój rispóndar par mì, chè fórsi a ghéntar.GIULIANOAn vój brisa cunzèdrat quést chi.CORBOLOAm riguarda più c'at pàr.FAZIOE cl'ag riguarda.GIULIANOCóm l'ag riguàrda? An è brisa véra.FAZIOCl'ag riguàrda. En t par, dóncan, cl 'an déva brisa èssar sicùra in ca da mì? Cóm ag avéss amicizia sól con Bartolo e noanc con Giuliano!GIULIANO

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Insóma, as sén cumpruméss in Fazio: c'al sia lù al dèpòsitàri, c'al sia lù al zùdiz.BARTOLOE 'xì a dig anca mì.FAZIODóncan, spinzìla chi déntar in ca; e stè sicùr che mì an la lassarò móvar, finchè an sarò pròpia zèrtissim ad chi la siala rasón.PACIFICO( A ghè déntar Flavio: adèss véd s'ògni sgràzia, s'ògni ssiagùra l 'am pèrsèguita).FAZIOPacifico, at faréss mèij a star in ca, a guardàr che i sbìrr in at tóga àltar, e it fàga pèz.PACIFICOE cus am póssi tór? Cal póc ag ghè, i sà tuti cl 'è 'd mié muijér. Bén d'i j àltar vòlt i ghè sta. Però a vag... ; mò èco chivién fóra.

Scena VII

Sbirri, Torbido, Gemignano, Giuliano, Fazio

SBIRRIInsóma, an ghè àltar ad quél ca s'én sòlit truvàr e cl 'è su l 'invèntàri.TORBIDOOh làdar, gran ribàld, ca mi fregà al mié mantèl.SBIRRIAt fa purassà mal acusàras a tòrt e dìras su.TORBIDOBrut inpicà, c'at viéna 'n càncar! Cus el quést chi c'at gà sóta la vèsta?SBIRRIA l'éva tòlt pr'al cumpéns dal mié lavór, e brisa par rubàrtal.TORBIDOAt al darò mì al cumpéns, sè la pèrdga la n'am vién mén.GEMIGNANOE mì at i jùt.GIULIANOAnca mì an vój brisa tgnìrm il man in si fianc.TORBIDOVèdat l ì cal sass, Gemignano, tóll su, rómpag la tèsta: ti jé pur un 'd Mòdna.SBIRRIAs tràti axì i j ufiziàij dal Duca?TORBIDOAl Duca an tién brisa di làdar al sò sèrvizi. Via làdar, via pultrùn, via col diaùl! Sól ca m'in fuss acòrt più tardi, asarìa bèla fregà: am tucàva d'andàr vié in farsét; e 'm gnéva a pròpòsit l 'avér con mì 'na pèrdga, c'avéndla in spàlacmè cla fuss na pìca, a sarìa parèst un lanzichénéc o un svìzar.FAZIORèsta quèl àltar da misuràr?TORBIDOA ij ò misurà fin a l 'ultima préda, e fin al ùltim légn ag ghé, a l 'ò scrit e a glò con mì; e pò a faròi cónt e a farò savér a tut dù a che prèzi la pòl rivàr.GEMIGNANOQuand?TORBIDOAnc in cuó. An vót àltar, Fazio?FAZIOAdèss no.TORBIDOA Dio.FAZIOA són vòstar. Olà Licinia, sè qualchidùn am vién a zarcàr, màndal chi a la butéga 'd mìstar Onofrio: l 'am putrà truàr l ìfin a l 'óra 'd zéna.

Scena VIII

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Lena sola

LENAIn tal mal, l 'è na gran furtùna che Fazio al sia andà fóra 'd ca, parché, difizi lmént, s'al n'andàva vié, as putéa tiràrfóra incuó Flavio da la bót.Cum a l 'ò vist a spìnzar déntar in cla ca, a m'à ciapà na paura al cuór, un trèmit, che an sò cum an són morta sùbit.Al n'avrìa pudèst móvras un póc senza c'al n'éss fat acòrzarsan 'd lù: un suspiràr, un stranudìr, un tussìr als ruìnava.Adèss chè sta ssiagùra l 'è passà senza far mal, a fén in mòd ca n'ìn viéna brisa n'àltra; adèss an sà da far àltar chèmétral fóra prést, ca n'al véda nissùn.Che Corbolo al procùra la vésta, mò prima bisogna c'as mànda fóra la serva, che parìcul al sarìa stand l ié chi, c'lavdéss al zóan o l 'al santìss.Scólta, Menica, con chi dzcória?Licinia, dì a la Menica cla tóga al vél e la viéna da mì.Ècla chi.

Scena IX

Menica, Lena, Corbolo, Pacifico

MENICALena, cus vót?LENAPar piasér, cara Menica, famm un gran sarvìzi, da duértan èssar sémpar ricònòssénta.MENICACus vót?LENAVót fàrmal?MENICAAl farò, purchè 'm sia pussìbil.LENAVa, màdar mié, sè t'am vó bén, fin a la césa 'd Santa Maria d'i j Ànzul.MENICAAdèss?LENASì, adéss.MENICALàssam prima métar la zéna sul fóg.LENANo, va pur, che mì a savrò métar su na pgnàta senza 'd tì. Va: cum t'jié davanti a la césa, vòlta tra i zardìn di Mosti e 'lmunastèr; e va a destra finchè t riv, vultànd a sinistra, a la cuntràda dal Miràsol, a créd. Adèss va.MENICACus vót, diamine, ca vàga a far?LENAAc testa ag gò! Infórmat, a créd cal sia al tèrz uss, andù ca sta la muijér 'd Pasquìn, cl 'inségna a lèzar al putìnn:Dototea l 'as ciàma.Va là e dig: - A tì, Dorotea, am manda la Lena a tór i sò fèr da far su la séda in ti ruchét- e prègla, cla mi mànda, parchéijam bisógna. Adéss va, Menica cara: dòp at vóij dunàr tanta téla da fàrat na cùfia.MENICALa càran l 'è in tal cadìn, lavà e in órdan, l 'è sól da métar in tla pgnàta.LENAMì a créd tròp c'la sia bén in órdan: a dig quéla 'd Flavio; mò in tla pgnàta dla Licinia an gla mitrà brisa prima c'asvéda i vintzìnc fiorini.Mì a tgnóss bén l 'amór ad chi sti zuàn, c'al dura finchè i desidera d'avér la còsa amata e, fin chi gà ast dèsidèri, ispandrìa non sól i j avér, mò anc al cuór.Fa chi sudìsfa i sò dèsidèri: l 'amór al va cmé 'l fóg, che butàndag su l 'acqua al sa smòrza sùbit; e, mancà l 'ardór, inn'at darìa gnac un su mill chi t'éva inpruméss.Par quést a vóij andàr déntar e interómpar qualc pian chi fàga senza 'd mì.Corbolo, dài, strìgat prèst, pòrta na vèsta, c'al putégnia métar fóra intànt ag ghén agio.CORBOLOAnzi, at prég, intànt ag gavén témp, tì e Pacifico fè in mòd c'al póssa métargàl déntar.LENA

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In féd ad Dio, an la farà brisa: stàn crédar che mì ag làssa avér quél c'al dèsidèra e an stàga brisa in guardia seprima al n'am cónta i sòldi, un su cl'àltar.CORBOLOGuàrda axì tant da lassàrag j occ.( A dév supurtàr che Flavio al déva ztacàrass da Licinia senza avér avù al sò piasér, e, invézz, l 'àva vu chist incòmadda 'lvàrass can ijéra gnanc sié ór.E 'd star chi déntar sarà cmè in càrzar, d'èssar purtà, con tant parìcul, sarà int na bót, cum as fa còn ij anguil 'dCmàcc e coi zéul?Mò còssa farò, vdéndam cuntràri sta fémna putàna e al sò béc, dato che a prègàri an cónta gnént, e 'n cónta gnanc i lminàcc; e ans pòl gnanc usàr la fòrza senza c'ag sia di strèpit, ag ghè za fin tròp parìcul axì.A la fin, ac bisógna vintzìnc fiòrini, c'ag sén cundanà; an ghè nè gràzia nè qualdùn c'as fàga crèdit. Indù putròijatruvàri?A ijò pruvà a fàrmi inprastàr su la parola, mò l'è sta inùtil , e sui pégn ans pòl brisa parché a jà tòlt Ilario.Téndrag a lù 'naltra réd, la sarìa 'n'inprésa tèmeraria: ans lassarìa più imbrujàr.E pur, dil vòlt, as ciàpa d'i j usié ch'i j éra za cascà in tla réd e is sarìa l iberà.Fórsi a sarìa più fàzil inganàral adèss, parché èsséndam andà mal la prima vòlta, ac par c'an sia brisa za prónt aténdrag da nóv la réd.Mò còssa faròija? Còssa faròija a la fin?Invénta quèl inprèssia, ag ghè póc témp par pansàrag su.Mì a farò... còssa? Mì a dirò... axì bén; èm putrìa crédar? Am cardrà.Mò a vién fóra Pacifico.PACIFICOInduè la vèsta?CORBOLOChe vésta?M'at tòlt par sart? A par che t'an tgnóssi gnanc al mié mastiér: mì a gò la Zèca e adéss a vag a bàtar ivintzìnc fiorini par dàrti.PACIFICOFùssla véra!CORBOLOFa quél c'at dig: gat qualch arma in ca?PACIFICOSu, in càmara, a ghé dipint in tal camìn l 'arma 'd Fazio.CORBOLOA dig da ufésa.PACIFICOAg n'ò purassà ch'im ufénd: la misèria, i pénsiér, la rabia 'd mié muijér, e 'l sò dìram sémpar su.CORBOLOAt dig s'at gà un spiéd o 'na rónca o 'na spàda o un quèl dal zènar.PACIFICOA ghè 'n spiéd vecc, tut rùzan. L'è 'xì mal in órdan c'an al tòll gnanc i sbìrr, chi m'al làssa sémpar.CORBOLOBasta. Vién a mustràrmal. Adèss, l 'an at par 'na bèla alchimìa sè mì a fag fóndar vintzìnc fiorini da sta rùzna?

Continua

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Maurizio Bonora.Maschile femminile, 1999. Terracotta.

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Atto VScena I

Corbolo, Pacifico, Staffieri

CORBOLOVien fuora, vien più in qua, più ancora: pàrtitidi casa un poco. Tu mi par più timidocon l’arme in mano, che non dovresti esserese l’avessi nel petto: di che dubiti?PACIFICODel capitan de la Piazza, che coglieremi potrìa qui con questo spiedo, e mettermiin prigion.CORBOLONo, ch’io gli darìa ad intendereche fussi un sbirro o i l boia; e crederebbelo,che de l’uno o de l’altro hai certo l’aria.Rizza la testa. E' par che vogli piangere.Sta’ ritto, sta’ gagliardo, fa’ i l terribile, fa’ i l bravo.PACIFICOE come fassi i l bravo?CORBOLOAttaccalaspesso a Dio e santi: tienilo così: volgetiin qua: fa’ un viso scuro e minaccevole.Ben son pazzo, che far voglio una pecorasomigliare un leon. Ma veggo giungerea tempo dui staffieri di don Ercole,che, dove costui, manca, puon soccorrermi;voglio ir a lor: Buon dì, fratell i .STAFFIERIO Corbolo,buon dì e buon anno. Come la fai? Vuonne tudar bere?CORBOLOSì, volentieri, ma pensovidi dar meglio che bere.STAFFIERIChe?CORBOLOFermateviqui meco una mezz’ora, voglio metterviun contrabbando in man, da guadagnarvenealmeno un paio di scudi per uno.STAFFIERIEccocidel ben che ne farai per averti obligo.CORBOLOIo vi dirò. Questi Giudei che prestanoa Riva, ier comprâro una grandissimaquantità di formaggio, e caricatolohan su dua carra, et in modo copertolosotto la paglia, che non potrìa accorgersialcun che cosa fusse, non sapendolocome io, che ‘l so da quel da chi lo comprano:e senza aver tolto bolletta, o daziopagato alcun, per queste vie l i conducono.Or non volendo io discoprirmi, avevoneparlato a questo mio vicino, e postogli

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quel spiedo in mano, acciò che, come passinole carra, frughi ne la paglia, e trovivii l contrabbando. Io sarìa qui a intromettermid’accordo, perché l i Giudei non fussinoaccusati da lui: ma pusil lanimoè costui, sì che non voglio impacciarmeneper suo mezzo. Or s’a parte volete essercivoi, volentier v’accetto.STAFFIERIAnzi pregartenevogliamo, et i l guadagno promettemotipartir da buon compagni.CORBOLOOra fermatevi.Tu qui, e tien l’occhio, che se là passassinole carra, in un momento possi corrervi;e tu a quest’altra via farai la guardia.(Post’ho l’artiglieria all i canti. Faccianoqui testa ormai le bugie che fuggivanocacciate e rotte e, tornando con impeto,Ilario, che le aveva cacciate, caccino.Ma eccolo uscir fuor; purch’elle possanoa questo duro principio resistere,non temo non averne poi vittoria.)

Scena II

Ilario solo

ILARIOOh, come netta me la facea nascerequel ladroncel, se non m’avesse Domene-dio così a tempo mandato quel giovene,il quale a caso, e non già volontaria-mente, m’ha fatto por gli occhi alla trappola,ne la qual per cader ero sì prossimo.Volea, credo, egli Flavio indurre a venderele robe di nascoso, et in lasciviefargli i l prezzo malmettere, e sottrarglieneper sé la maggior parte; et io credendoli,avea di fargli un’altra veste in animoet un’altra berretta, per rivolgerlil ’affanno in gaudio, ch’io credea che mettersidovesse pur, come di vera perdita.Ma non mi so pensar perché tai terminiusi meco i l mio Flavio, che ‘l più facilepadre gli sono, e quel che più lo studiodi compiacer in ogni desiderioonesto, ch’altri che sia al mondo. Voglionesolo incolpar questo giotton di Corbolo,ch’io non intendo che mi stia, più un atimoin casa. Io vo’ cacciarlo come merita.

Scena III

Ilario, Corbolo

ILARIOAncora hai, brutto manigoldo, audaciadi venir ov’io sia?

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CORBOLODeh, questa còleraponete giù; e per Dio, non vi contaminila pietade.ILARIOOh, che tu piangi?CORBOLOE voi pur piangeredovreste, che vostro figliuol …ILARIODio, aiutami!CORBOLO… è in pericol.ILARIOPericolo?CORBOLOSì, d’esseremorto, se non ci si ripara subito.ILARIOCome, come? di', di'; dove è?CORBOLOPacificol’ha colto con la moglie in adulterio.Vedetelo colà, che vorrìa ucciderlocon quel spiedo, e chiamato ha quei duo giovenisuoi parenti, et aspetta anco che venghinotre suoi cognati.ILARIOEgli dov’è?CORBOLOChi? Flavio?Là dentro questi ribaldi lo assediano.ILARIODove là dentro?CORBOLOIn casa di Fazio.ILARIOEvvi Fazio?CORBOLOSe vi fusse i l pericolonon mi parrebbe tanto. Ecci una giovanesua figlia, senza più: consideratelaor voi, ch’aiuto può aver da una femina!ILARIOSe con la moglie in casa sua Pacificol’ha colto, come è in casa ora di Fazio?CORBOLOIo vi dirò la cosa da principio.ILARIODilla, ma non ci scemare, né ci aggiungere.CORBOLOLa dirò a punto come sta; ma voglioviprima certificar che quella favola,la qual dianzi contai, che stato Flavioera assalito, e che tolto gli avevanoli panni, non la finsi già per nuocervi,ma perché voi con minor displicenziami dessi l i denar che potean subitoliberar vostro figliuol dal pericoloin che ora egli si trova; ove mancatamiquella via essendo, è in molto peggior terminela vita sua, che non fu dianzi.ILARIO

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Narramicome sta i l fatto.CORBOLOFlavio oggi, credendosiche fusse fuor Pacifico, e credendoloanco la donna, in casa ne la cameras’era con lei ridotto; e mentre stavanoin piacer, quel beccaccio, che nascostosinon so dov’era, saltò per ucciderlofuor con quel spiedo.ILARIOIl cuor mi trema.CORBOLOFlaviopregando fe’ pur tanto e supplicandolo,e di donar denari promettendoli,che gli lasciò la vita.ILARIOOr me resusciti,se con denar la cosa si pacifica.CORBOLONon, udite anco i l tutto.ILARIOChe ci è? Seguita.CORBOLOIn venticinque fiorini si convennonoche, prima che d’insieme si partissero,fosser sborsati. Mandò per me Flavio,e la berretta e la roba traendosi,mi commise ch’io andassi a pregar Giulio,che gli facesse pagar questo numerodi denar sopra, et egli per istaticoquivi gli rimarrebbe: poi quel giovineci turbò, come voi sapete; e Flavioper lui, se non ci riparate, è a termine.Che Dio aiuti!ILARIOPerché debbe nuocerli,se son d’accordo?CORBOLOUdite pur. Pacificotenendosi uccellato, con più furiache prima corse al spiedo, e senza intenderealcuna scusa, volea ucciderlo.ILARIOFacesti error, che non venisti subitoad avisarmi. Al fin ch’avenne? Sèguita.CORBOLONon so perché non l’uccise; e credetemiche ben Dio e santi Flavio ebbe propizii .ILARIOUn manigoldo poltrone ha avuto animodi minacciar un mio figliuol d’ucciderlo?CORBOLOSe non che vostro figliuol, riparandosicon un scanno che prese, e ritraendosiper sempre all’uscio, saltò fuor, avrebbelomorto.ILARIOSi salvò insomma?CORBOLONol vo’ mettereper salvo ancor.

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ILARIOTu m’occidi.CORBOLOIncalzandolotuttavia quel ribaldo, e non lasciandoloslungar molto da sé, fu forza a Flavioche si fuggisse in casa là di Fazio;e così v’è assediato.ILARIOVedi audaciad’un mendico, furfante, temerario!CORBOLOE più, c’ha fatto e cerca far d’altri uominiragunanza, e d’intrar là dentro ha in animo.ILARIOEntrar là dentro? Io non son così poverodi facultà e d’amici, che difendereio non lo possa, e far parer Pacificoun sciagurato.CORBOLONon vogliate mettervia cotal prova, avendo altro rimedio:che far le ragunanze è contra gli ordinidel Signor, e ci son pene arbitrarie,et accader potrebbonvi omicidii.E quando ancor provediate ( i l che facilecredo vi fia) che non noccia Pacificoa Flavio in la persona (anzi vo’ credereche voi e Flavio più siate atti a nuocerea lui), pur non farete, riducendosial podestà costui, com’è da credereche sia per far, che ‘l podestà a procederenon abbia contra a Flavio; e quali sianonei statuti le pene degli adulteri,et oltre l i statuti, quanto arbitrioil podestà abbia di poter accrescere,secondo che de l’inquisiti vaglionole facultà, non secondo che meritale pene i l fallo, pur vi dovrebbe essernoto. Padron, guardate che con lacrimee dolor vostro non facciate riderequesti di corte, che tuttavia tengonoaperti gli occhi a tal casi per correrea dimandar le multe in dono al principe.Venticinque fiorini è meglio spenderesenza guerra e d’accordo, che in pericoloporvi di cinquecento o mille perderne.ILARIOMeglio è ch’io stesso parli con Pacificoe vegga un poco i l suo pensier.CORBOLONon, diavolo!Non andate, che tratto da la còleranon trascorresse a dirvi alcuna ingiuriada dovervene poi sempre rincrescere.Lasciate pur ir me, che spero volgerloin due parole, e farlo cheto et umile.E fia pur vostro onor se qui condurvelopotrò.ILARIOVa’ dunque.CORBOLOAspettatemi qui.

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ILARIOOdimi.Fagli profferte, ma non ti risolverein quantitade alcuna, che ‘l conchiuderdel pregio voglio che stia a me: prometteligeneralmente: tu intendi.CORBOLOIntendovi.Tuttavia non guardate di più spendereun paio o due di fiorini.ILARIOA me lascianecura, ch’in questo son di te più pratico.

Scena IV

Ilario solo.

ILARIOPenso che sarà cosa salutiferache prima ch’io m’abbocchi con Pacificoritrovi Fazio. Io voglio pur intendereda lui se dêe patir che costor faccianoa mio figliuolo in casa sua violenza;et anco sarà buono a por concordiatra noi, ch’io so che molto è suo Pacifico.Io l ’avrò alla barberia, ove è solitodi giuocar, quant’è lungo i l giorno, a tavole.

Scena V

Corbolo, Staffieri, Pacifico

CORBOLOFratell i , andate pur; non state a perderetempo, che ‘l padron mio, dal quale compranoil formaggio i Giudei, mi dice ch’eglinohan mutato proposito, e che tolgonopur la bolletta, et han pagato i l dazio.STAFFIERIEra però un miracolo che fossimosì aventurosi.CORBOLOAccettate i l buon animo:non è per me restato di farvi utile.STAFFIERILo conosciamo, e te ne avren sempre obligo.CORBOLOSon vostro sempre, fratell i .STAFFIERIA Dio, Corbolo.PACIFICOCome hai fatto?CORBOLOBenissimo: ti fienoventicinque fiorin dati da Ilario,pregandoti e di grazia domandandotiche tu l i accetti; se però procederevorrai com’io dirò, e se servi i termininel parlar tuo, che poi ti farò intendere,

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riposto ch’abbi i l spiedo. Or va’, non perderetempo, riponlo, et a me torna subito.Odi.PACIFICOChe vuoi?CORBOLOPoi che non hai più dubbioche l i denar promessi non ne vengano,fa’ che tua moglie eschi di là, e dia commodoche questi amanti insieme si solazzinoprima che torni la fante o che Fazio.PACIFICOCi sarà tempo: ancora che la Menicatornasse, avrò ben luogo dove spingerladi nuovo. Da temer non hai di Fazio,che mai tornare a casa non è solitofin che le ventiquattro ore non suonino.CORBOLOOr su, ripon quel spiedo, e vien, che Ilarioli venticinque fiorini ti annoveri.

Scena VI

Corbolo solo

CORBOLOBen succede l’impresa: avrà l’essercitode le bugie, dopo tanti pericoli,dopo tanti travagli, al fin vittoria,malgrado di Fortuna, che a difenderecontra me tolto avea i l borsel d’Ilario.Ma dove entra colui? Vien, vien, Pacifico,vien, esci fuor, corri presto, soccorrici.

Scena VII

Pacifico, Corbolo

PACIFICOEccomi, eccomi qui.CORBOLOCorri, Pacifico;provedi che colui non vegga Flavio.PACIFICOChi colui?CORBOLOCome ha nome questo giovene vostro?Che tardi? Va’ dentro, e conoscilo:Menghino, i l dirò pur.PACIFICOMenghino? diavolo!CORBOLOMenghino sì, Menghin. Ve’ dil igenziadi bestia! ma più bestia io, che rimettermivoglio a costui, che è lento più che un trespolo.Et ecco che ritorna anco la Menica.Da tante parti sì le forze crescereveggio ai nemici, che mi casca l’animodi potere a tanto impeto resistere.

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Scena VIII

Menica sola

MENICAAlla croce di Dio! mai più servizionon fo alla Lena. M’ha di là dagli Angelimandata più di mezzo miglio, e andataneson quasi sempre correndo, per esseretornata tosto; et or sì stanca e debolemi sento, che mi posso a pena muovere.L’andata non m’avrìa avuta a rincrescerequando avessi trovata quella feminach’io cercavo. Son ita come il poveroche va accattando per Dio l’elemosina,d’uscio in uscio per tutto dimandandone;né mai saputo ho ritrovar indiziod’alcuna Dorotea che insegni a leggere;né in tutto i l Mirasol, né l ì presso abita,per quanto ho inteso, chi Pasquin si nomini.Peggio mi sa che mio padron trovatamiha, che qui vien con Ilario, et è in còlera,non so perché; e di poi che, dimandatane,gli ho detto donde io vengo, e che mandatamiavea la Lena, m’ha fatto un grandissimorumor, e minacciata d’un buon caricodi busse, se mai più le fo servizio.Io l ’ubidirò ben; s’io posso mettermia seder, già non credo che mi faccino,se non sento altro che parole, muovere.

Scena IX

Ilario, Fazio

ILARIO(Io son ito a trovar Fazio, pensandomifusse buon mezzo a por d’accordo Flavioet a pacificarlo con Pacifico;non sapendo io che tanto in questa feminasia inamorato, che n’è guasto fradicio.O, tosto ch’io gli ho detto che Pacificol’ha trovata in segreto col mio Flavio,è salito in tanta ira, in tanta rabbiaper gelosia, ch’assai m’è più diffici lea placar lui che ‘l marito. Ma eccolo.)Studiate un poco i l passo, sì che giungerepossiamo prima che segua altro scandolo.Fatel, se mai da voi spero aver grazia.FAZIONon posso, né possendo mai vo’, Ilario,patir che dopo tanti benefizi ic’ha ricevuti et era per ricevereda me questa gaglioffa, così m’abbiatradito. Son disposto vendicarmene.ILARIOS’ella va fatto ingiuria, vendicatevi:non vi prego per lei, ma sol che Flaviomio non lasciate offender da Pacificoin casa vostra.

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FAZIOD’un fanciul volubileha fatto elezïon, che potrebbe esseresuo figliuolo, e sperar non ne può merito,se non che se ne vanti e le dia infamia.ILARIONon credea mio figliuolo già d’offendervi;che se creduto egli avesse esser praticavostra costei, so che v’avrìa grandissimorispetto avuto, come ha riverenzia.FAZIOQuesta è la causa che m’era da quindicigiorni in qua ritornata sì salvatica.ILARIORispondetemi un poco senza còlera.

Scena X

Menghino, Ilario, Pacifico, Fazio, Lena

MENGHINOIo l ’ho veduto, non varrà nasconderlo.ILARIOAh, che noi siàn troppo tardati! gridanolà in casa vostra. Deh, Fazio, aiutatemi.MENGHINOLo voglio ire a trovare, e fargli intenderele belle opere vostre.PACIFICOMenghino, odimi.MENGHINOPur troppo ho udito e veduto.PACIFICONon essere ...FAZIOChe cosa è questa?PACIFICO… tu cagion d’accenderetanto fuoco.MENGHINOVo’ dirlo, se ben perderene dovessi la testa.FAZIODeh, fermatevi:stiamo un poco qui a udir che contendono.PACIFICOFermati qui, Menghin: fermati, ascoltami.MENGHINOLasciami andar, Pacifico, non credereche per te resti di nol dir.LENAChe diavolopuoi tu dir in cent’anni? Che la fistolati venga! e c’hai veduto tu, brutto asino?MENGHINOHo veduto Licinia e questo giovinefigliuol d’Ilario …ILARIOLena, e non Licinia,vòls’egli dire.MENGHINO

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… che abbracciati stavano...LENATu menti per la gola.MENGHINOOr ecco Fazio.Padron, vi dirò i l ver; non vi voglio essere traditor: vostra figliuola … FAZIOOh, la bestia!T’ho ben udito. Che, vòi farlo intenderea tutto questo vicinato? Ilario,non sarà mai, per Dio, vero ch’io toleriche ‘l figl iuol vostro un scorno sì notabilemi faccia, e a mio poter non me ne vendichi.Che favole, che ciance fate crederem’avete de la Lena e di Pacifico?ILARIOCosì l ’avevo udito anch’io da Corbolo...FAZIOMa questa non è ingiuria da passarsenesì leggermente: è di troppa importanzia.ILARIOPer vostra fede Fazio …FAZIODeh, Ilario,mi maraviglio ben di voi: l ’ingiuriavi par di sorte ch’io debbia sì facile-mente patir? Se voi sète più nobilee più ricco di me, non però d’animovi sono inferïor. Prima che Flaviom’esca di casa, per lui darò esempioche non si denno li miei pari offendere.ILARIOPel fi l ïale amor, del qual notiziaavete voi com’io, vi prego e supplicoche di me abbiate pietade e di Flavio.FAZIOE l’amor fi l ïale a punto m’eccitaa vendicar.ILARIOPer l’antiqua amicizianostra!FAZIOSarebbe ancora a voi diffici leil perdonar, essendo ne’ miei termini.Fo del mio onor più conto (perdonatemi,i l vo’ dir), che la vostra amicizia;e quanto ho al mondo vo’ più tosto perdereche quello, e senza quello non vò vivere.ILARIOSe modo ci sarà di non lo perdere?FAZIOCon voi a un tratto mi voglio risolvere.Quando vostro figliuol sposi Liciniamia, e che l’onor perduto le recuperi,saremo amici; altrimenti …ILARIOFermatevi.Credo che cinquant’anni oggimai passinoche voi mi conoscete, e che del viveremio abbiate quanto alcun altro notizia;e se sempre le cose oneste e lecite mi sian piaciute, sapete benissimo;

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e se stato vi son sempre benevolo,e sempre pronto a farvi onore et utilesapete ancor, che qualche esperïenziave n’ha chiarito: or non pensate ch’esserepossa o voglia diverso dal mio solito.Lasciatemi parlar con Flavio e intenderela cosa a punto; e state di buon animo,ch’io farò tutto quel che convenevolemi sia per emendarvi questa ingiuria.FAZIOEntriamo in casa.ILARIOEntrate, ch’io vi seguito.

Scena XI

Pacifico, Lena

PACIFICOOr vedi, Lena, a quel che le tristiziee le puttanerie tue ti conducono!LENAChi m’ha fatto puttana?PACIFICOCosì chiederepotresti a quei che tuttodì s’impiccanochi l i fa ladri. Imputane la propriatua volontà.LENAAnzi la tua insaziabilegolaccia, che ridotti ci ha in miseria;che, se non fossi stata io che, per pascerti,mi son di cento gaglioffi fatta asina,saresti morto di fame. Or pel meritodel bene ch’io t’ho fatto, mi rimproveri,poltron, ch’io sia puttana?PACIFICOTi rimprovero,che lo dovresti far con più modestia.LENAAh, beccaccio, tu parli di modestia?S’io avessi a tutti quell i che propostomiogn’ora hai tu voluto dar ricapito,io non so meretrice in mezzo al Gambaro,che fusse a questo dì di me più publica.Né questo uscio dinanzi per riceverlitutti bastar pareati, e consigliatimiche quel di dietro anco ponessi in opera.PACIFICOPer viver teco in pace proponevotiquel ch’io sapevo che t’era grandissima-mente in piacere, e che vietar volendoti,sarìa stato i l durar teco impossibile.LENADoh, che ti venga i l morbo!PACIFICOIo l ’ho continua-mente teco. Bastar, Lena, dovrebbetiche de la tua persona a beneplacitotuo faccia sempre, e ch’io lo vegga e toleri;senza volerci ancor porre in infamia

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di ruffianar le figliuole degli uominida ben.LENAS’io avessi a star tuttavia giovane,il mantener amendue col medesimomodo usato fin qui, mi sarìa agevole;ma come le formiche si provveggonopel verno, così è giusto che le poverepar mie per la vecchiezza si proveggano;e che, mentre v’hanno agio, un’arte imparino,che, quando sia i l bisogno, poi non abbianoad imparar, ma vi sian dotte e pratiche.E ch’arte poss’io far, che più proficuaci sia di questa, e che mi sia più facilead imparar? Che vuoi ch’io indugi all ’ultimo,quand’io sarò nel bisogno, ad apprenderla?PACIFICOSe contra ogni altro avessi questi terminiusati, mi sarìa più tolerabileche contra Fazio, al quale abbiàn troppo obligo.LENADeh, manigoldo, che ti venga la fistola!Come tu non sia stato consapevoledel tutto! Or che ‘l disegno ha cattivo esito,me sola del commun peccato biasimi;ma se i contanti compariti fussero,la parte, e più che la parte, volutaneavresti ben.PACIFICONon più, ch’esce la Menica.

Scena XII

Menica, Lena

MENICALena, si fa così? Ti par che meritiFazio da te che gli facci un’ingiuriadi questa sorte?LENAE che ingiuria? Che diavologli ho fatt’io?MENICANulla!LENANulla a punto. Ai straziiche fa di me, non è così notabileingiuria al mondo che da me non meriti.MENICATu gli hai scoperto, Lena, i l tuo animo,né però fatto nocumento, anzi utile,che sei stata cagion che maritata lafigliuola ha in così ricco e nobil giovine,quanto egli stesso avrìa saputo eleggersi.LENAGlila darà pur per moglier?MENICAGià dataglil ’ha: si sono accordati egli et Ilario in due parole.LENAAnco che questo misero

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vecchio mi sia più che le serpi in odio,pur ho piacer d’ogni ben di Licinia.MENICASe tu perseverassi in questa còlera,saresti, Lena, la più ingrata feminadel mondo. Egli, con tutto che giustissimacagione avrìa di far tutto i l contrario,non può star che non t’ami, e nasconderenon può la passïon che dentro i l crucia,né non pentirsi de l i dispiacevoliparole ch’oggi ebbe teco, che giudicache t’abbin spinta a fargli questa ingiuria.E m’ha detto che quando udì da Ilarioche tuo marito t’avea con quel giovenetrovata, fu per affanno a pericolodi cader morto; e che poi ritrovandosi,come era a punto i l ver, che caricatalaavea costui no a te, ma a Licinia,tutto restò riconsolato, e parveliresuscitar. Or vedi se ci è dubbioche teco presto non si riconcil i i ,massimamente che gli torna in utilequesto error tuo.LENAFaccia egli pur, e pigli lacome gli pare. Se sarà i l medesimoverso me, ch’egli suol, me la medesimaverso sé trovarà, che suole.MENICAOr vogliotidir Lena, i l ver. A te mi manda Fazio,i l qual è tuo come fu sempre, e pregatiche tu ancor sua similmente vogli essere;e questa sera invita te e Pacificoa nozze; e intende che non sol Liciniae Flavio questa notte i sposi siano.LENAIo son per far quanto gli piace. – Or diteci,voi spettatori, se grata e piacevoleo se noiosa è stata questa fabula.

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Atto VScena I

Corbolo, Pacifico, Staffieri

CORBOLOVién fóra, vién più in za, 'ncóra, 'd più: aluntànat da chi un póc. T'am par più tìmid con l 'arma in man chè sta gléss intal pétt: at chi gat paura?PACIFICODal capitàn dla piàza , c'am putrìa védar con l 'àrma in man e métram in parsón .CORBOLONò, mì ac darìa d'inténdar ca tié 'n sbirr o 'l bòia: e lù al la cardrìa, parché t'am par pròpia l 'un o l 'àltar. Drìza latèsta. A par c'at vóij piànzar. Sta drit, fa 'l gaijàrd, fa 'l tèrìbil, al gradàss.PACIFICOE cum as fa al gradàss?CORBOLOBiastéma spéss Dio e tut i sant: tiénal axì: zìrat in za: fa na fàza scura e 'n rabìda. A són pròpia mat, ca vóij farsumiliàr na piégra a 'n lèón. Mò a véd dré rivàr dù stafiér ad don Ercole, ch'im pòl dar na man indù che stucachì almànca; a vój andàr da lor.-Bón fradié-.STAFFIERIÓ Corbolo, bón dì e bón anno. Cum stat? As vót pagàr da béar?CORBOLOSì, luntiéra, mò a péns ad dàrav quèl 'd méj che da béar.STAFFIERICòssa?CORBOLOA va 'l dirò. Chi giudèi ch'i jnprèsta a Riva, a i jér, i jà cumprà na gran quantità 'd furmàij, e i la cargà sui carr, e bénquacià sóta la pàija che nissùn, an savéndal brisa, ans putrìa acòrzar còssa ag fuss; mò mì al sò da quél ch'i jàlcómpra: e sénza buléta o senza avér pagà al dàzi i l pòrta par chist i l stad.Adèss, an vlénd brisa squaciàram, a n'éva dzcórs a chi st mié vsìn, e a ghéva miss in man li cal spiéd, axì quant apàssa i carr, al frugàva in tla pàija e al truàva al cóntràband. Mì a sarìa sta chi prónt a métram ad mèz e acusàr i jebrej al sò pòst: mò stucachì l 'è 'n fifón, axì an vóij brisa intrigàram con lù. Sè adèss ag vlì stàrag vuàltar, mì azétluntiéra.STAFFIERIAnzi, a vlén prègàrtan, e 'd prumitén 'd zpartìr al guadàgn da bón cumpàgn.CORBOLOAdèss farmév. Ti chi, e sta 'ténti che sè là a pàssa i carr, t'ag póss córar in t'un mumént; e tì at farà la guardia ast'àltra via.(A gò miss l 'arti l ièrìa ai cantùn. Chi a fàga tèsta i l busié che, divìsi, l i scapàva ad za ed là, e turnànd unìdi a l 'àssalt, l icàza via Ilario c'al i jéva za cazà via. Mè ècal c'al vién fóra; mò purchè l i póssa rèsistar a chist dur prinzìpi, a sónsicùr ag gavrò la vitòria.

Scena II

Ilario solo.

ILARIOMò pénsa cumr am la dàva da béar bén cal ladrunzél sè Dominedio am m'avéss brisa mandà cal zóan, che, par cas eno a pòsta, al m'à fat vérzar i j òcc a la tràpula indù ca i j éra dré cascàr déntar.Lù, a créd, al vléva cunvìnzar Flavio a véndar i sò pagn 'd nascòst, e pò fàrag butàr vié i sòldi in gudùri, e tgnìr par lùla magiór part; e mì, cardéndag, a pansàva ad fàrag n'àltra vèsta e n'àltra bréta, par vultàr al spiasér in giòia, cum acardéa cal duvéss èssar, s'ag fuss sta na véra pèrdita.Mò an sò capìr parché al mié Flavio al dróva chi mòd lì pròpia con mì, ca són al pàdar più bón dal mónd, e quél c'alzérca ad più ad cuntantàral in ògni dèsidèri unèst.

Scena III

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Ilario, Corbolo

ILARIOBrut manigòld, at gà 'ncóra curàgg ad gnir indù ca són mì?CORBOLOMitì da na part sta ràbia; e par Dio, an av tùrba la piétà.ILARIOAdèss piànzat?CORBOLOE ànca vù a duvréssi piànzar che vòstar fiòl …ILARIODio, i jùtam!CORBOLO… l'è'n parìcul.ILARIOParìcul?CORBOLOSì, ad murìr s'an curén sùbit al ripàr.ILARIOCóm, cóm ? Dì, dì, indóa?CORBOLOPacifico al l 'à truà in adultèri con sò muijér. Guardél là, cal vrìa mazàral con cal spiéd, el'à ciamà chi du zùan, sò parént, e 'l spèta ca viéna trì sò cugnà.ILARIOLù, 'ndùèl?CORBOLOChi, Flavio?Là déntar i l 'assédia, chist i birbànt.ILARIOIndóa là déntar?CORBOLOLà, in ca da Fazio.ILARIOGhèl Fazio?CORBOLOS'alg fuss, al parìcul al n'am parìa brisa tant grand. Aghè na zóvna, sò fiòla, e più nissùn: cunsidèrè vù che aijùt al pòlavér da na fémna.ILARIOSe Pacifico al l 'à truà con sò muijér in ca sò, cum èla che adèss l 'è in ca da Fazio?CORBOLOAv cuntarò al quèl d'inprinzìpi.ILARIODìll, mò sénza tiràrgan via nè zuntàrgan.CORBOLOAl dirò pròpia cóm l'è; mò prima av vój dir chè cla fòla ca v'ò cuntà prima, che Flavio l 'éra sta assalì e chi ghéva tòlt ipagn, an l 'ò brisa fat par fàrav dal mal, mò parché vù, con mén spiasér, am dàssi i sòldi chi putéa l iberàr sùbit vòstarfiòl dal parìcul indù cl'è adéss.Esséndam, invèz, mancà cla stràda, la sò vita l 'è in cundizión péz da prima.ILARIOCóntam cum a sta i quèij.CORBOLOIncuò, Flavio, cardénd che Pacifico al fuss fóra e cardéndal anc la dòna, l 'éra 'ndà in càmara con l ié; e intant chistàva in piasér, cal gran béc, c'an sò indù cl'éra lugà, l 'è saltà fóra col spiéd par cupàral.ILARIOAm tréma 'l cuór.CORBOLOFlavio l 'à fat tant, prègàndal e suplicàndal e prumiténdag di sòld, c'al gà lassà la vita.ILARIOAdèss t'am rissùssit sè 'l quèl als giùsta coi sòldi.CORBOLONo, scultè 'ncóra al rèst.ILARIO

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Cus a ghè? Cuntìnua.CORBOLOI s'è mis d'acòrd par vintzìnc fiorini, chi fuss sbursà prima ad gnir fóra. Flavio al m'à mandà a ciamàr e, cavàndas lavèsta e la bréta, al m'à cmandà c'andàss a prègar Giulio parché l 'am dass la sóma tgnéndass la ròba in pègn; e pò calzóan l 'à fat saltàr tut, cóm vù a savì; e Flavio, sè vù an curì ai ripàr, l 'è spacià. Che Dio al l 'aijùta.ILARIOParché ac déval far dal mal s'è i jè d'acòrd?CORBOLOScultè bén. Pacifico, cardéndass inganà, con più furia 'd prima l 'è córs al spiéd, e senza inténdar rasón, al vlévacupàral.ILARIOT''à sbalià an gnir brisa sùbit a 'visàram. A la fin cus è suzèst? Cintìnua.CORBOLOAn sò brisa parché an l 'à brisa cupà; mò cardìm, che Dio e i Sant, Flavio, al i j à vu prupìzi.ILARIOUn manigòld pultrón al gà vù curàgg ad minaciàr 'd cupàr un mié fiòl?CORBOLOSè non chè, vòstar fiòl, riparàndass col sgabèl, e tiràndass sémpar vérs l 'uss, l 'è saltà fóra, sinò al sarìa mort.ILARIOS'èl salvà, insóma?CORBOLOAn al vój incóra métral par salv.ILARIOTì t'am cóp.CORBOLOIn ògni mòd, pur incalzàndal cal ribàld, e an lassàndal brisa luntanàr purassà da lù, Flavio l 'è riussì a scapàr in cada Fazio; e 'xì adèss al ghè assèdià déntar..ILARIOGuàrda l 'audàcia d'un mèndicant, furfànt, tèmèrari!CORBOLOE l 'à fat ad più; al zérca ad radunàr dij'àltr òman e d'andàr déntar.ILARIOAndàr là déntar? Mì an són brisa axì puvrét ad ròba e d'amìg c'an al póssa diféndar e far parér Pacifico un ssiagurà.CORBOLOL'è mèj lassàr star, parché a ghé n'àltar rimèdi: radunàr dla zént l 'è contra i j órdan dal Sgnór, e a ghè dil pén adarbìtri dal zùdiz; eg putrìa scapàr di mòrt.E anch sa farì in mòd ( e a créd ca sia fàzil) che Pacifico an fàga brisa dal mal a Flavio in tla persona (anzi, a vóijcrédar che vù e Flavio a sìdi bón ad far dal mal a lù) in ògni mòd, an putì inpèdir chè al podestà al n'àva da procèdarcóntra Flavio, parché stucachì, cóm a ghè da crédar c'al sia dré far, l 'andrà dal podestà; e quali l i j'è i l pén in ti Statùt,e quànta pussibil ità al gàva al podestà ad créssarli , sgónd l 'i j inquisì, e no sgónd la péna ac mèrita al rèàt, alv duvrìapur èssar ciàr.Padrón, stè ténti chè col làgarm e 'l vòstar dulór an fédi rìdar stiorcachì dla córt, ch'i tién i j òcc avèrt pròpia in chi sticas, par córar dal Prìnzip a dmandàr i l mult in dón.L'è mèij spéndar vintzìnc fiorini senza guèra e d'acòrd, chè métrav in parìcul ad pèrdran zinczént o mil.ILARIOL'è méj chè mì a dzcóra con Pacifico e ca véda un póc al sò pènsiér.CORBOLONo, diàul!N'andég brisa, parché spint da la ràbia an passàss a dàrav qualc ufésa da duvérav dóp sémpar rincréssar. Lassè c'agvàga mì, ca spèr ad cunvìnzral in dó paròl e fàral dvàntar chijét e ùmil. E al sarà unór vòstar sè a putrò purtàrval chi.ILARIOVa là, dóncan.CORBOLOSptèm chi.ILARIOScóltam: prumétag, mò brisa inpgnàrat in nissùna cìfra, parché a vóij chè la cunclusión dal prèzi la tóca a mì:prumétag stand sul gènèrali: tì t'am capìss.CORBOLOAv capìss. In ògni mòd, an stè brisa guardàr sa spandì dù o trì fiorini in più.ILARIOLàssa far a mì, che in quést a són più pràtic ad tì.

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Scena IV

Ilario solo

ILARIOA péns c'al sarà un quèl salutìfar chè, prima ca dzcóra con Pacifico, a tróva Fazio. A vój capìr da lù s'al dév cunsantìrche stiorcachì i fàga violénza a mié fiòl in ca da lù; parché mì a sò che Pacifoco l 'è purassà sò.Al truarò in tla butéga dal barbiér, indù cal sta tut al dì a zugàr a tàul.

Scena V

Corbolo, Staffieri, Pacifico

CORBOLOFradié, andè pur; an stè più chi a pèrdar témp, chè 'l mié padrón, chè pròpia da lù i giudèij i cómpra al furmàij, al m'àdit chè ij à cambià idèa, e chè ij à tòlt la buléta e i j à pagà al dazi'STAFFIERIL'éra 'n mìracul ca fùssan 'xì furtunà.CORBOLOAzètè 'd bòn ànim: mì ò zarcà 'd fàrav dal bén.STAFFIERIAl savén; e at sarén sémpar ubligà.CORBOLOA són sémpar vòstar, fradié.STAFFIERIA Dio, Corbolo.PACIFICOCum at fat?CORBOLOBènìssim: i vintzìnc fiorini it sarà dà da Ilario, c'alt prèga parché t'i jazèti; sè però t'at cumpurtarà cóm ad dig mì, e s'atsta 'tenti in tal dzcórar, che pò at farò càpìr, dòp ca t'à miss zó al spiéd.Adèss va via, brisa pèrdar témp, pòrtal zó, e vién sùbit chi da mì. Scólta....PACIFICOCus a vót?CORBOLODato chè t'an gà più dùbi c'an rìva brisa i fiorini inpruméss, fa gnìr fóra tò muijér da là, e la làssa còmad i dù'namurà ad gòdrass un póc, prima ca rìva la serva o Fazio.PACIFICOAg sarà témp: anc sè la Menica la turnàss, a gavrò bén un pòst indù spìnzarla da nóv. Ad Fazio, ta n'à d'avér paurachè, 'd sòlit, an tórna mai a ca prima 'd sìra.CORBOLODài, mét via cal spiéd, e vién chi chè Ilario alt cónta i vintzìnc fiorini, un su cl'àltar.

Scena VI

Corbolo solo

CORBOLOL'inprésa la va bén: l 'èsèrcit dil busié, dòp tant parìcul, tant lavór, a la fin ag sarà la vitòria, anc sè la furtùna l 'évaincuminzià a diféndar al bursìn d'Ilario cóntra 'd mì.Mò 'nduvàl déntar cucalà? Vién, vién Pacifico, vién vién fóra, córr prèst, sucórass.

Scena VII

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Pacifico, Corbolo

PACIFICOÉco, a són chi.CORBOLOCóri, Pacifico; fa 'n mòd chè cucalà an véda brisa Flavio.PACIFICOCucalà chi?CORBOLOCóm scciàmal chist vòstar zóan? Còssa spètat? Va déntar, e tgnóssal: Minghìn, al dirò pur.PACIFICOMinghìn, diàul!CORBOLOMinghìn, sì Minghìn.Sta védar ac dil igénzia ad bèstia! Mò più bestia mì, c'am vóij rimétar a stucachì, chè l 'è lént più d'un tréspul.Éco ca tórna la Menica.A véd axì créssar da purassà part i l fòrz ai nèmìg, c'am càsca 'l cuór ad putér rèsistar a 'n urt 'xì fòrt.

Scena VIII

Menica sola

MENICAA la crós 'd Dio! An farò mai più un sarvìzi a la Lena.La m'à mandà più 'd mèz mìlio dlà da i j Ánzul, e a són quasi sémpar andà 'd córsa, par turnàr prèst; e am sént 'xì stùfae dèbula c'am póss apéna móvar.L'andàda l 'an am sarìa gnanc spiasù, s'éss truà cla fémna ca zarcàva. A són andà cóm al puvrét cal va, par Dio, admandàr l imòsna d'uss in uss, da par tut; mò an ò truvà gnanc 'n indìzi 'd nissùna Dòròtèa cl'inségna a lèzar. Nè intut al Mirasól, nè l ì vsìn, par quant a i j ò capì, ag sta un c'al s ciàma Pasquìn.Am spias ad più c'am àva truà al mié padrón, clé dré gnìr con Ilario, e l 'è 'nrabì e an sò brisa al parché; e dòp c'al m'àdmandà, a gò dit da 'ndù ca vién, e c'am ghéva mandà la Lena; al m'à dà na gran bravà, e 'npruméss na càrga 'd bòtt,sè ag farò 'ncóra un sarvìzi.Mì ubidirò bén; mò s'an póss métar santà, an créd za ch'im fàga móar, s'an sént àltar che dil paròl.

Scena IX

Ilario, Fazio

ILARIO(Mì a són andà a truàr Fazio pènsand c'al fuss un bón méz par métar d' acòrd Flavio e a pacificàral con Pacifico; ansavénd brisa però c'al fuss tant inamurà in chi sta fémna, cl 'è còt marz.Apéna a gò dit che Pacifico al l 'à truà in sègrèt col mié Flavio, l 'è muntà in tanta ràbia par gelosìa, chè a m'è sta piùdifìzi l métar chiét lù che 'l marì. Mò ècal).Gnì avanti un póc più svèlt, ca putégnia rivàr prima c'ag sia n'àltar scàndal.Fèl, sè mai a spér d'avér grazia da vù.FAZIOAn póss brisa, nè puténd a vóij mai, Ilario, supurtàr chè, dòp tant bènèfizi cla rizévù e cla stàva par rizévar da mì, stafurfànta la m'ava 'xì tradì. A són dispòst a vèndicàram .ILARIOSè l ié la va ufés, vèndichèv pur: an av prèg brisa par l ié, mò chè an lassèdi brisa uféndar al mié Flavio da Pacifico, inca da vù.FAZIOL'à ssèlt un ragazét volùbil, c'al putrìa èssar sò fiòl, e l 'an pòl brisa spèrar cumpéns sè non c'als vànta e alg dàgainfàmia.ILARIOMié fiòl an cardéa brisa d'uféndrav; sè l 'avréss cardù chè stiecachì l 'è fémna vòstra, a sò c'al v'avréss avù grandìssimrispèt, cum al gà rivèrénza.

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FAZIOQuést l 'è 'l mutìv chè, da quìnds dì in za, l 'a m'éra turnà 'xì salvàdga.ILARIORispundìm un póc senza còlera.

Scena X

Menghino, Ilario, Pacifico, Fazio, Lena

MENGHINOMì a l 'ò pròpia vist, an cuntarà gnént a tgnìral lugà.ILARIOAh, as sén intardà tròp! I fa di vèrs in ca da vù. Fazio, i jutèm.MENGHINOA vóij andàr a truvàral, e fàrag savér i l vòstar bèli òpar.PACIFICOMinghìn, scóltam.MENGHINOPurtròp ò santì e vist.PACIFICOBrisa èssar...FAZIOCus èla quésta chi?PACIFICO… tì causa d'inpizàr un fóg 'xì grand.MENGHINOA vój dìral, anc sa duvéss pèrdar la testa.FAZIOOh, farmèv: stén un pòc chi a santìr ad cus i l ìdga.PACIFICOFèrmat chi, Minghìn, férmat e scóltam.MENGHINOLàss'm andàr, Pacifico, stàn crédar che par tì an stàga d'an dìral brisa.LENAChè diàul póssat dir tì in zzént ann? C'at viéna 'n càncar! E cus at vist tì, brut sumàr?MENGHINOÒ vist Licinia e chist zóan, fiòl d'Ilario...ILARIOLena, e no Licinia, al vòl dir.MENGHINO… ch'i stàva 'brazà.LENATì ad dì dil busié da sfazà.MENGHINOOh, adèss èco Fazio. Padrón, av dirò la vrità; an vóij brisa èssar traditór: vòstra fiòla...FAZIOOh, la bèstia! A t'ò santì. Cus vót fàral santìr a tuti i vsìn? Ilario, an sarà mai véra, par Dio, che mì a tòlera che vòstarfiòl l 'am fàga un scòran 'xì gròss, e puténd, mì an am véndica brisa.Chè fòl, chè ciàcar m'iv fat crédar dla Lena e 'd Pacifico?ILARIOAxì a l 'èva santì anca mì da Corbolo.FAZIOMò quésta la n'è brisa n'ufésa da passàr 'xì lziéra: l 'è tròp gròssa.ILARIOPar vòstra féd, Fazio...FAZIOIlario, am maravìj pròpia ad vù; av pàrla n'ufésa ad quéli chè mì a déva fazilmént patìr?Sè vù a si più sgnór e più nòbil ad mì, però an són brisa da mén in tl 'anima.Prima chè Flavio al vàga fóra 'd ca, al punirò, parché al sia d'èsèmpi, chè i par mié ins dév brisa uféndar.ILARIO

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Pr'amór 'd fiòl, chè anca vù a tgnussì cmè mì, av prég e sùplich ag ghìdi pietà ad mì e ad Flavio.FAZIOPròpia l 'amór 'd fiòl l 'am spróna a vèndicàr l 'ufésa.ILARIOPar la nostra vècia amicizia!FAZIOAnc par vù al sarìa difìzi l pardunàr sa fùssi in ti mié pagn. A tién più al mié unór (pardunèm, mò al vóij dir) chè a lavòstra amicizia; a prèfèrìss pèrdar tut quél ag gò al mónd piutòst chè vìvar senza unór.ILARIOE s'ag sarà un mòd d'an pèrdral brisa?FAZIOAv dig sùbit cum a la péns. Sè vòstar fiòl al spusarà la mié Licinia, cla recùpera l 'unór pèrs, a sarén amìg, sinò...ILARIOFarmèv. A créd ca sia zinquànt'an c'am tgnussì, e ca savìdi, cmè tuti, cum l'è al mié vìvar; e a savì bènìssim chè sèmparà m'è piasù i quèij unèst e lèzit; e sè av són sémpar sta bènévul, e sémpar prónt a fàrav unór e ùtil , ag n'avì la próva:adéss an stè pansàr ca sia difarént dal mié sòlit. Lassèm dzcórar con Flavio e capìr bén al quèl; e stè tranquìl ca faròtut quél c'am sia cunvèniént par purtàrav rimèdi a chist ingiuria.FAZIOAndén in ca.ILARIOAndè déntar, c'av tién a dré.

Scena XI

Pacifico, Lena

PACIFICOAdèss, védat, Lena, a quél cl 'is porta i l tò putanàd!LENAChi i j'è sta ca m'à fat putàna?PACIFICOAxì at duvréss dmandàr a queij c'ògni dì, i j impìca. Chi i j è ca fa i làdar?Dà la cólpa a la tò volontà.LENAAnz, a la tò gulàza insaziàbil, c'la sa ridót in miseria; ca s'an fuss sta mì chè, par mantgnìrat, am són fàta putàna adzént umàzz, at saréss mòrt ad fam. Adèss, par mèrit dal bén ca t'ò fat, t'am rimpròvar, pultrón, ca sia 'na putàna?PACIFICOAt rimpròvar ca t'al duvéss far con più critèri.LENAAh, brut béc, tì dzcóri 'd critèri? Sè mì avéss azètà tut quéij ca t'am à pròpòst, mì an sò 'd nissùna mèritriz in mèz alGàmbar c'la fuss, al dì d'in cuó, più pùblica 'd mì.At parèva che l 'uss davanti ant bastàss brisa par rizévar tùti, e t'am cunsil iàv ca mitéss in òpra anc quél da dré.PACIFICOPar vìvar in pas con tì, at prupunéa quél ca savéa c'alt piàs purassà, e ca sarìa sta inpussìbil duràr con tì, s'at l 'avésspruibì.LENAMò c'at viéna 'n cólpp!PACIFICOMì a glò sémpar con tì. Lena?Ad duvrìa bastàr ad far quél cat vó tì dla tò pèrsóna, e chè mì al véda e al tòlèra, senza vlér anc métras in tl 'infàmiaad far da rufiàna anc al fióli d'i j ómann da bén.LENASè mì à duvéss star sémpar zóvna, mantgnìr tut dù col stèss mòd druà fin chi, l 'am sarìa fàzil .Mò cum il furmìg is pruvéd par l 'invèran, axì l 'è giust ch'i l pòvri par mié l 'is pruvéda par la vcciàja; e, intànt chi gàtémp, i j'inpàra 'n'art chè, quand ag sarà 'l bisógn, i n'avrà brisa d'inparàr, mò li csìa za instruì e pràtic.E mì, chè art póssia far, c'la sia più proficua ad quésta e c'am sia più fàzil d'inparàr?Vót c'aspèta fin a l 'ùltim a inparàrla, quant a sarò in tal bisógn?PACIFICOSè t'ess fat quést cóntra ògni àltar, l 'am sarìa più tòlèràbil che cóntra Fazio, c'ag sén tròp ubligà.LENA

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Oh, manigòld, c'at viéna la fistùla!Cum sè tì t'an avéss gnént ad tut quést chi! Adèss chè 'l quèl al gà n'èsit catìv, t'am biàsam mì dal pcà ad tut dù. Mò safuss rivà i contànti,t'avréss vlést ad più dla tò part.PACIFICOBasta axì, ca vién fóra la Menica.

Scena XII

Menica, Lena

MENICALena, as fa 'xì, at par chè Fazio al mèrita c'at ag fàg 'n'ufésa cmè quésta?LENAE chè ufésa? Chè diàul gòija fat mì?MENICAGnént!LENAGnént, apùnt. Pr'al stràzi c'al fa 'd mì, an èsìst ufésa al mónd c'an mèrita da mì.MENICATì, Lena, ta gà squacià al tò anìm, però t'an gà brisa fat dal mal: tié sta la causa c'la fat maridàr sò fiòla con un zóanaxì sgnór e nòbil, chè Fazio stéss al n'avrìa savù ssèliar mèij.LENAGl'à daràl par muijér?MENICAAl gl'à béla dà: lù e Ilario i s'è mis d'acòrd in dó paròl.LENASibén chè st mìsar vècc am sia più in òdi dil sèrp, a gò piasér d'ògni bén par la Licinia.MENICASè tì t rastàss in chi sta colèra, Lena, at sàréss la fémna più 'ngrata dal mónd. Lù, con tut la rasón c'al gavrìa ad far tutal cuntràri, an pòl brisa star senza amàrat, e an pòl brisa nascóndar la passión chè déntar l 'al turménta; nè al pòl far'd mén 'd pèntìrass dil brùti paròl chè incuó l 'avù con tì; al pénsa cli t'àva spint a fàrag chist' ingiuria.E al m'à dit chè quand l 'à santì da Ilario chè tò marì al t'éva truà con cal zóan, a muménti al mór par l 'afàn c'ag i j éragnù.Mò chè dòp, tgnussénd la vrità, chè cal zóan al n'éra brisa sta con tì, mò con la Licinia, al s'è cunsulà, c'ag paréa 'drissussitàr.Adéss, véd sa ghè dùbi chè prèst ans ricòncìl ia con tì, spècialmént c'al tò èror alg tórna ùtil .LENAAl fàga pur, e al la tóga cum ag par. Sè vèrs ad mì al sarà sémpar al stéss, ànca mì am truarà senpàr la stessa.MENICAAdèss, Lena, at vóij dir la vrità. A tì am mànda Fazio, clè tò cum l'è sémpar sta, e alt prèga chè tì at vóij èssar incórasò; e stasìra l 'invìta tì e Pacifico a nòzz; e l 'inténd chè stanòt ans sia brisa spós sól la Licinia e Flavio.LENAMì a són par far quél c'ag pias.Adèss, gì, vuàltar spètadùr, sè chi sta fòla la v'è piasù o sè, invéz, la va stufà.

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Questo eBook è frutto di una collaborazione tra Comune di Ferrarae Liceo Scientifico “A. Roiti” di Ferrara.

ISBN 97888987861382016 Comune di Ferrara

In copertina: Comedie di M. Lodovico Ariosto, da un’antica edizione.

In quarta di copertina: ritratto presunto di Ludovico Ariosto, Tiziano, 1510, National Gallery, Londra.

Progetto grafico e realizzazione eBook: Liceo Scientifico “A. Roiti” di Ferrara

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S’un medesimo ardor, s’un disir pareinchina e sforza l’un e l’altro sessoa quel suave fi n d’amor, che pareall’ignorante vulgo un grave eccesso;perché si de’ punir donna o biasimare,che con uno o più d’uno abbia commessoquel che l’uom fa con quante n’ha appetito,e lodato ne va, non che impunito?Son fatte in questa legge disegualeveramente alle donne espressi torti;e spero in Dio mostrar che gli è gran maleche tanto lungamente si comporti.-Rinaldo ebbe il consenso universale,che fur gli antiqui ingiusti e mal accorti,che consentiro a così iniqua legge,e mal fa i l re, che può, né la corregge.

Orlando Furioso, c/to IV, 66-67