in questo numero - familiaris consortio / ami · capricci se vuoi tornare a casa»? e quante volta...

12
Foglio di formazione e informazione per i volontari dell’Associazione Maria Immacolata Anno VI - n.18 DICEMBRE 2006 Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005 in questo numero EDITORIALE I l numero scorso di AscoltAmi ha chiuso il nostro impegno sul tema “La Com- passione”. Chiuso per il lavoro redazio- nale, naturalmente, ma non certo per noi e per i volontari che vivono questo sentimen- to quotidianamente come relazione diretta di aiuto. Con il n. 18 apriamo una riflessione sulla “Guarigione” intesa come evento relaziona- le e come percorso di vita. Chi non ha biso- gno di guarigione fisica, psichica, spirituale, morale, caratteriale? È con questo ampio significato della parola “guarigione” che vogliamo misurarci! Se il corpo si ammala si pensa subito al come guarirlo. È una reazione naturale. Quindi la guarigione fa parte della nostra esistenza. È la domanda che, in proporzione al male, si fa più forte, quasi prepotente per- ché si vuole ritornare a gestire il proprio corpo in piena autonomia. È bello essere attivi, avere la possibilità di mettersi in rela- zione con gli altri, adempiere ai propri com- piti nella pienezza delle nostre possibilità. Ma se sopraggiunge un male incurabile o cronico, che significa cercare la guarigione? Dove sta la guarigione? È solo la guarigione fisica che cerchiamo in quella sensazione di impotenza che ci dà la malattia o dobbiamo riflettere come andare oltre? Quante volte abbiamo visto una figlia dire al padre anziano, malandato, ricoverato in ospedale: «Devi curarti, mangiare, non fare capricci se vuoi tornare a casa»? E quante volta abbiamo sentito lui rispondere: «Lasciami andare. Non ce la faccio più.»? Dalla malattia inguaribile, dalle sofferenze senza uscita, dalla spossatezza degli anni si desidera uscire. La guarigione per un vec- chio vuol dire chiudere gli occhi, consape- vole d’aver vissuto a lungo, forse troppo. Ormai la vita dovrebbe dargli solo un con- gedo sereno, rappacificato. La guarigione del padre, per una figlia, vuol dire non rimanere sola, non perdere la figura di rife- rimento. Ecco due modi di interpretare la guarigione. Guarire è un verbo dalle molte sfaccettatu- re, dai contorni non immediatamente defi- nibili. Noi ne vogliamo parlare per approfondirlo, per viverlo nella poliedrica frequentazione del vivere quotidiano. Ma se è un verbo che coinvolge tutti, occorre riscoprirlo nella sua complessa valenza cercando parole ricche di coraggio, speranza, conforto. Il volontario è una presenza significativa. La fede ci colloca dentro le problematiche vitali con intenso sapere. Dio ci ha rivelato in Cristo la sua potenza di guarigione, intra- visto da Giobbe nel suo Koel (cfr. cap 19): nonostante la sua pietosa condizione è pro- fondamente persuaso che esista, che è il suo vivo e vigoroso difensore, avvocato, ag- giungiamo noi, medico guaritore. La parola “guarigione” è impegnativa come la parola “compassione” in quanto può rivolgersi all’uomo nella sua comples- sità. La venuta di Gesù vuol dire la “guari- gione” dell’uomo. Di “tutto” l’uomo. Con parole e gesti. L’espressione “La tua fede ti salverà” lo raggiunge nella sua realtà più profonda. È in questo solco che dobbiamo collocarci noi volontari AMI, consapevoli che “il guarire” accompagna tutti gli eventi della vita, fino alla morte, per affidarsi alla pienezza della vita in Cristo. don Carlo Stucchi Nel prossimo numero La Guarigione: la Parola “SE IO POTRÒ IMPEDIRE A UN CUORE DI SPEZZARSI NON AVRÒ VISSUTO INVANO... ...Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena o aiuterò un pettirosso caduto a rientrare nel nido, non avrò vissuto invano” (Emily Dickinson cit. in “Matt.Avv.” 17/9/06) “Troppo spesso - commenta mons. Ravasi - noi passiamo in mezzo al prossimo senza accorgerci delle domande mute, delle persone deboli che spintoniamo, dei sentimenti delicati che ignoria- mo e persino disprezziamo. Ritrovare la finezza dell’anima, senza smancerie ma con dolcezza, permetterà agli altri e a noi di confessare di non essere vissuti invano”.

Upload: vudien

Post on 15-Feb-2019

212 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Foglio di formazione e informazione per i volontari dell’Associazione Maria Immacolata

Anno VI - n.18 DICEMBRE 2006

Sped. Abb. Post. D.L. 353/2003, conv. L. 46/2004, art.1, c.1 DCB Milano Reg. Tribunale Milano N.941 del 16 dicembre 2005

in questo numero

EDITORIALE

Il numero scorso di AscoltAmi ha chiusoil nostro impegno sul tema “La Com-passione”. Chiuso per il lavoro redazio-

nale, naturalmente, ma non certo per noi eper i volontari che vivono questo sentimen-to quotidianamente come relazione direttadi aiuto.Con il n. 18 apriamo una riflessione sulla“Guarigione” intesa come evento relaziona-le e come percorso di vita. Chi non ha biso-gno di guarigione fisica, psichica, spirituale,morale, caratteriale? È con questo ampio significato della parola“guarigione” che vogliamo misurarci!Se il corpo si ammala si pensa subito alcome guarirlo. È una reazione naturale.Quindi la guarigione fa parte della nostraesistenza. È la domanda che, in proporzioneal male, si fa più forte, quasi prepotente per-ché si vuole ritornare a gestire il propriocorpo in piena autonomia. È bello essereattivi, avere la possibilità di mettersi in rela-zione con gli altri, adempiere ai propri com-piti nella pienezza delle nostre possibilità.Ma se sopraggiunge un male incurabile ocronico, che significa cercare la guarigione?Dove sta la guarigione? È solo la guarigionefisica che cerchiamo in quella sensazione diimpotenza che ci dà la malattia o dobbiamoriflettere come andare oltre?

Quante volte abbiamo visto una figlia direal padre anziano, malandato, ricoverato inospedale: «Devi curarti, mangiare, non farecapricci se vuoi tornare a casa»? E quantevolta abbiamo sentito lui rispondere:«Lasciami andare. Non ce la faccio più.»?Dalla malattia inguaribile, dalle sofferenze

senza uscita, dalla spossatezza degli anni sidesidera uscire. La guarigione per un vec-chio vuol dire chiudere gli occhi, consape-vole d’aver vissuto a lungo, forse troppo.Ormai la vita dovrebbe dargli solo un con-gedo sereno, rappacificato. La guarigionedel padre, per una figlia, vuol dire nonrimanere sola, non perdere la figura di rife-rimento. Ecco due modi di interpretare laguarigione.Guarire è un verbo dalle molte sfaccettatu-re, dai contorni non immediatamente defi-nibili.Noi ne vogliamo parlare per approfondirlo,per viverlo nella poliedrica frequentazionedel vivere quotidiano. Ma se è un verbo checoinvolge tutti, occorre riscoprirlo nella suacomplessa valenza cercando parole ricchedi coraggio, speranza, conforto.Il volontario è una presenza significativa.La fede ci colloca dentro le problematiche

vitali con intenso sapere. Dio ci ha rivelatoin Cristo la sua potenza di guarigione, intra-visto da Giobbe nel suo Koel (cfr. cap 19):nonostante la sua pietosa condizione è pro-fondamente persuaso che esista, che è il suovivo e vigoroso difensore, avvocato, ag-giungiamo noi, medico guaritore.La parola “guarigione” è impegnativacome la parola “compassione” in quantopuò rivolgersi all’uomo nella sua comples-sità. La venuta di Gesù vuol dire la “guari-gione” dell’uomo. Di “tutto” l’uomo. Conparole e gesti. L’espressione “La tua fede tisalverà” lo raggiunge nella sua realtà piùprofonda. È in questo solco che dobbiamocollocarci noi volontari AMI, consapevoliche “il guarire” accompagna tutti gli eventidella vita, fino alla morte, per affidarsi allapienezza della vita in Cristo.

don Carlo Stucchi

Nel prossimo numeroLa Guarigione:

la Parola

“SE IO POTRÒ IMPEDIRE A UN CUORE DISPEZZARSI NON AVRÒ VISSUTO INVANO...

...Se allevierò il dolore di una vita o guarirò unapena o aiuterò un pettirosso caduto a rientrarenel nido, non avrò vissuto invano” (EmilyDickinson cit. in “Matt. Avv.” 17/9/06)“Troppo spesso - commenta mons. Ravasi - noipassiamo in mezzo al prossimo senza accorgercidelle domande mute, delle persone deboli chespintoniamo, dei sentimenti delicati che ignoria-mo e persino disprezziamo. Ritrovare la finezzadell’anima, senza smancerie ma con dolcezza,permetterà agli altri e a noi di confessare di nonessere vissuti invano”.

ASCOLTami n.18 - dicembre 2006 - pag. 2

parliamo di...

L’ISOLAMENTOL'isolamento è una delle esperienze umanepiù universali, ma la nostra civiltà occidenta-le contemporanea ha portato la coscienzadell'isolamento ad un livello insolito.Recentemente, durante una visita a NewYork City, ho scritto questo appunto per mestesso:“Seduto nella metropolitana, sono circonda-to da individui silenziosi, nascosti dietro igiornali o assorti nel mondo delle loro fanta-sie personali. Nessuno parla a un estraneo, eil poliziotto di pattuglia continua a farmiricordare che le persone non vanno fuori casaper aiutarsi reciprocamente. Eppure, selascio errare lo sguardo sulle pareti del vago-ne, tappezzate di inviti ad acquistare di più oa comprare nuovi prodotti, vedo personegiovani, belle, che gioiscono in un teneroabbraccio, uomini e donne che si sorridonogaiamente su veloci barche a vela; fieri esplo-ratori a cavallo che si incitano a vicenda adaffrontare audaci imprese, bimbi impavidiche danzano su una spiaggia assolata eragazze affascinanti, sempre pronte a servir-mi su aerei e piroscafi. Mentre la metropolita-na corre da una galleria buia all'altra ed iosono nervosamente cosciente del posto in cuicustodisco i soldi, le parole e le immagini chedecorano il mio mondo terribile parlanod'amore, di gentilezza, di tenerezza e di gio-iosa fraternità tra persone spontanee.”La società contemporanea in cui ci troviamoci rende acutamente coscienti del nostro iso-

DALL’ISOLAMENTOALLA SOLITUDINE FECONDA

lamento. Sempre più noi ci rendiamo contodi vivere in un mondo in cui anche i rapportipiù stretti partecipano alla competizione ealla rivalità. […]

FONTE DI SOFFERENZAOggi l'isolamento è una delle fonti più uni-versali di sofferenza umana. Gli psichiatri egli psicologi ne parlano come di uno deimalanni espressi più di frequente e comeradice non solo di un numero crescente disuicidi ma anche di alcoolismo, di droga, disvariati disturbi psicosomatici (come il maldi testa, i dolori di stomaco e di schiena) e diun gran numero di incidenti stradali. Bambi-ni, adolescenti, adulti e vecchi, tutti sonosempre più esposti alla malattia contagiosadell'isolamento, in un mondo in cui l'indivi-dualismo competitivo tenta di riconciliarsicon una cultura che parla di familiarità, diunità e di comunità come ideali cui tendere.Come mai tanti trattenimenti, tante riunioniamichevoli ci lasciano così vuoti e tristi? […] Le radici dell'isolamento sono profondissimee non si possono raggiungere per mezzo diuna pubblicità ottimista, di immagini sosti-tutive dell'amore o della cordialità da salotto.Esse trovano alimento nel sospetto che a nes-suno importi niente di niente, che nessunooffra amore senza condizioni e che non esistaun luogo dove ci sia permesso di essere vul-nerabili senza essere usati. Gli svariati e pic-coli rifiuti di ogni giorno - un sorriso sarcasti-co, un'osservazione irrispettosa, un secco

diniego o un silenzio pungente - potrebberoessere del tutto innocenti ed indegni dellanostra attenzione se non suscitassero costan-temente il nostro timore umano fondamenta-le di essere abbandonati soli con «le tenebre...(come nostre)... compagne» (Sal. 88).

FALSI RIEMPIMENTILa nostra cultura si è fatta raffinatissima nel-l'evitare il dolore, non solo quello fisico maanche quello emotivo e mentale. Non seppel-liamo soltanto i nostri morti come se fosseroancora vivi, ma seppelliamo anche le nostrepene come se in realtà non ci fossero. Ci sia-mo tanto abituati a questo stato di anestesiada cadere in preda al panico quando non c'ènulla o non c'è nessuno a distrarci. Se nonabbiamo un progetto da portare a termine,un amico cui far visita, un libro da leggere, latelevisione da guardare o un disco da ascol-tare, o se ci troviamo tutti soli con noi stessi,arriviamo tanto vicini alla rivelazione della«solitarietà» che è alla base della condizioneumana e temiamo tanto di sperimentare quelsenso di isolamento che tutto pervade, dafare qualsiasi cosa per riavere un'occupazio-ne, continuando il giuoco che ci fa credereche, dopotutto, ogni cosa va bene. John Len-non dice: «Tastate il vostro proprio dolore»,ma quanto è difficile farlo! […]L'attendere momenti o luoghi dove non esi-sta dolore, non si senta la separazione ed incui l'irrequietudine umana si sia trasformatain pace interiore è un attendere un mondoirreale. Nessun amico, nessun amante, nes-sun marito, nessuna moglie, nessuna comu-nità potranno mai acquietare la nostra bramapiù profonda di unità e completezza. Eopprimendo gli altri con queste aspettativedivine, di cui noi stessi siamo sovente consa-pevoli solo in parte, noi rischiamo di inibirel'espressione di libera amicizia e di amore,evocando invece dei sentimenti di inadegua-tezza e di debolezza. Amicizia ed amore nonpossono svilupparsi in forma di ansiosoattaccamento reciproco. Essi vogliono undolce spazio privo di trepidazioni dove l'uno

La vera guida spirituale è colui che invece di dirciche cosa dobbiamo fare o dove dobbiamo anda-re ci offre l'occasione di stare da soli e di affron-tare il rischio di penetrare nella nostra esperien-za. Egli ci fa constatare come non serva versareun po' d'acqua sul nostro terreno arido macome, scavando a fondo sotto la superficie deinostri malanni, troveremo invece un pozzo vivo.

FOTO

TIBE

RIO

MAV

RIC

I

ASCOLTami n.18 - dicembre 2006 - pag. 3

e l'altro possano muoversi in entrambe ledirezioni. Fino a quando il senso di isola-mento ci unirà nella speranza che insiemenon saremo più soli, noi ci puniremo avicenda per mezzo dei nostri desideriinappagati e non realistici di unità, di tran-quillità interiore e con l'esperienza ininter-rotta della comunione.È triste constatare come a volte le personesofferenti di isolamento, spesso acutizzato damancanza di affetto nell'immediata cerchiafamiliare, scorgano una soluzione definitivaper il loro dolore in un nuovo amico, un nuo-vo amante o una nuova comunità, con unsenso di aspettativa messianica. Benché laloro mente sappia bene che si tratta di uninganno, il loro cuore seguita a dire: «Forsequesta volta ho trovato ciò che consciamenteo inconsciamente cercavo». E sorprendeveramente vedere come uomini e donne,dopo avere avuto rapporti difficili con i geni-tori, con fratelli e sorelle, possano gettarsi cie-camente in preda a relazioni di grande porta-ta, sperando che da quel momento in poi lecose cambieranno completamente.[…]In un periodo in cui si dà tanta importanzaalla sensitività interpersonale, in cui siamospronati ad esplorare le nostre capacità dicomunicazione, a sperimentare molte formedi contatto fisico, mentale ed emotivo, talvol-ta siamo tentati a credere che il nostro sensodi isolamento e di tristezza sia solamente unsegno di mancanza di mutua franchezza. Avolte ciò è vero, e molti centri di sensitivitàcontribuiscono in maniera incalcolabile adun allargamento della gamma delle intera-zioni umane. Tuttavia, la vera franchezzareciproca implica anche una chiusura concre-ta, perché soltanto colui che sa tenere unsegreto potrà sicuramente spartire la propriaconoscenza. Se non proteggeremo con moltacura il nostro intimo mistero non saremo maicapaci di formare una comunità. È questomistero intimo che ci attrae l'un l'altro e cipermette di fondare amicizie e di svilupparerapporti d'amore duraturo. Un rapporto inti-mo fra persone esige non solo franchezzareciproca ma anche una mutua protezione,rispettosa dell'unicità di ognuno.

DUE VALORI: IL SEGRETO E L’INTIMITÀC'è una forma ingannevole di onestà chesuggerisce che nulla dovrebbe rimaneresegreto e che tutto dovrebbe essere detto,espresso e comunicato. Tale onestà può esse-re assai dannosa e, se non nuoce, può rendereun rapporto piatto, superficiale, vuoto esovente molto noioso. Se cerchiamo di scuo-terci dall'isolamento creando un ambientesenza recinti limitativi, possiamo essere som-mersi da un'afosità stagnante. La nostravocazione è quella di impedire l'esposizionedannosa del nostro santuario intimo, nonsolo per proteggere noi stessi ma anche perservire i fratelli con cui vogliamo entrare incomunicazione creativa. Come le parole per-dono forza se non sono generate dal silenzio,l'apertura perde significato se manca la capa-cità di essere chiusi. Il nostro mondo è pienodi chiacchiere, di facili confessioni, di discor-si vuoti, di complimenti senza senso, di elogigretti e di confidenze noiose. Non poche rivi-ste fanno soldi affermando di essere in gradodi fornirci i particolari più segreti ed intimi dipersone di cui abbiamo sempre desiderato disapere di più. In realtà quelle riviste ci offro-no in dono le più tediose banalità e le piùarroganti, idiosincrasie di gente la cui vita èstata già schiacciata da un esibizionismomorboso.[…]Le porte chiuse non piacciono ed occorre unosforzo speciale per stabilire dei confini cheproteggano il mistero della nostra vita. Cer-tamente, in un periodo storico in cui siamodiventati così acutamente consapevoli dellanostra alienazione nelle sue diverse manife-stazioni, è divenuto diffici1e smascherare l'il-lusione che la soluzione definitiva per lanostra esperienza d'isolamento si trovi nellasocievolezza umana. È facile constatare comemolti legami coniugali soffrano di questaillusione. Sovente si comincia con la speran-za di un'unione capace di disperdere il sensopenoso di «non appartenere» e si continualottando disperatamente per raggiungereuna perfetta armonia fisica e psicologica.Molte persone trovano difficile, apprezzareuna certa chiusura nel matrimonio e non san-no come creare quei confini che permettano

all'intimità di diventare una scoperta semprenuova e sorprendente dell'altra persona.Eppure, il desiderio di confini protettivi, percui l'uomo e la donna non debbano aggrap-parsi l'uno all'altro ma possano muoversidolcemente, entrando ed uscendo dal circolodella vita del compagno, risulta chiaro dalnumero delle volte in cui le parole di KahlilGibran sono recitate alle feste di nozze:«Cantate e danzate insieme e siate felici,/ malasciate che ciascuno di voi sia solo./ Anchele corde del liuto sono sole/ pur se vibranocon la stessa musica./ State insieme ma nontroppo vicini/ perché i pilastri del tempiosono separati,/ e la quercia e il cipresso/ noncrescono l'uno all'ombra dell’altro»

DALL’ISOLAMENTO ALLA SOLITUDINE FECONDACome sopporteremo però la «solitarietà»essenziale che così spesso irrompe nellanostra coscienza come esperienza di undisperato senso di isolamento? Cosa signifi-ca dire che né amicizia, né amore, né matri-monio, né comunità possono disperderequesto isolamento? A volte le illusioni lascia-no vivere meglio della realtà, e perché nondovremmo soddisfare il desiderio di urlareche siamo soli, cercando qualcuno da abbrac-ciare e nelle cui braccia il nostro corpo e lanostra mente tesi possano trovare un attimodi pace profonda, gustando l'esperienzamomentanea dell’essere capiti e accettati?Sono domande difficili, perché provengonodal nostro cuore ferito, eppure devono essereascoltate anche quando portano ad un asprocammino. Questo cammino aspro è quellodella conversione, la conversione dall'isola-mento alla solitudine. Invece di fuggire ilsenso di isolamento cercando di dimenticar-lo o di ignorarlo, dobbiamo proteggerlo econvertirlo in solitudine feconda. Per vivereuna vita spirituale noi dobbiamo anzituttotrovare il coraggio di entrare nel deserto delnostro isolamento, trasformandolo con sforzigentili e persistenti in un giardino di solitudi-ne. Questo non solo richiede coraggio maanche fede profonda. Se è difficile credereche l'arido deserto desolato possa produrreinfinite varietà di fiori, è altrettanto difficileimmaginare che il nostro isolamento nascon-da una bellezza sconosciuta. Il moto dall'iso-lamento alla solitudine, tuttavia, è il princi-pio di ogni vita spirituale perché è il motodall’irrequietezza dei sensi alla pace dellospirito, dalle brame volte all'esterno allaricerca volta all'interno, dall'aggrapparsipavido all'agire impavido.

da Henry J. M. Nouwen, Viaggio spirituale per l’uomo contemporaneo

ed. Queriniana, Brescia, 1991

Le poche volte che obbediremo ai nostri seve-ri maestri, ascoltando attentamente il nostrocuore inquieto, potremo accorgerci che al cen-tro della tristezza c'è gioia, al centro dei timoric'è pace, al centro dell'avidità è possibile lacompassione e che invero, al centro del nostrospiacevole isolamento, si può scoprire l'inizio diuna quieta solitudine.

FOTO TIBERIO MAVRICI

ASCOLTami n.18 - dicembre 2006 - pag. 4

il volontariato racconta

L uciana, sono ormai diversi anni chepresti il tuo servizio, come volon-taria, al Pio Albergo Trivulzio.

Puoi raccontarci i tuoi inizi?Certo. Intorno al 1995 il mio parroco -Padre Umberto Liberti - mi propose, par-tendo diciamo dal nulla, di dar vita a unCentro d’Ascolto nell’ambito della miaparrocchia. Era la mia prima esperienza enon nascondo che in proposito sapevoben poco. Mi sentivo anche un po’ smar-rita. Il patto con lui era che stesse nell’uf-ficio accanto e venisse in mio soccorso incaso di difficoltà. In quel periodo sentiil’esigenza di documentarmi, informarmi,dotarmi di “strumenti appropriati” persvolgere al meglio il mio servizio. Fu cosìche frequentai l’Università del Volonta-riato, sviluppando la tesi finale propriosui Centri d’Ascolto. Terminata quel-l’esperienza venni a sapere che al Trivul-zio erano attivi due centri di questo tipo.Qui incontrai don Carlo Stucchi che,dopo 4-5 mesi nel reparto Sant’Andrea,allora dedicato ai malati oncologici, miindirizzò all’Accettazione Medica. Quan-do arrivai erano già presenti alcunevolontarie AMI. Ricordo - tra tutte -Maria Zara che per svariati anni dedicòimpegno ed energie in questo senso; apoco a poco mi inserii, diventando una diloro, formandomi le ossa sul campo.

Come è strutturato il gruppo che si occu-pa di questo servizio?I locali dell’accettazione medica sonosituati sul lato sinistro dell’ingresso prin-cipale del PAT, a piano terra. Attualmen-te responsabile dell’accettazione è il dott.Riccardo Bosia (succeduto al dott. AndreaGalanti), col quale collaborano 4 infer-mieri: due destinati alle pratiche di uffi-cio, due che si occupano di condurre ipazienti nei reparti di destinazione. Lapresenza dei volontari AMI in accettazio-ne risale al periodo di costituzione dellanostra Associazione (luglio 1995), mentredal 2001 hanno incominciato a collabora-re anche le altre 4 associazioni della Con-sulta del Volontariato (AVO, Lega Tumo-ri, S. Angelo, Linea Anni Più). Il serviziosi svolge prevalentemente dal lunedì alvenerdì durante la mattinata.

Potresti dirci che cosa vuol dire stare inaccettazione e che cosa accade al momen-to dell’accettazione di un nuovo ospite alPio Albergo Trivulzio ?

ACCETTAZIONEE ACCOGLIENZA

Il momento in cui il futuro ospite arrivain Istituto, trasferito da un ospedale o daldomicilio, è un momento assai critico. Siritrova improvvisamente in una nuovarealtà. Alcune volte -diciamolo pure- è unmomento caotico per l’arrivo di piùpazienti contemporaneamente. Annual-mente vengono accolti circa tremilapazienti! Il volontario, figura per conce-zione diversa dagli operatori ospedalieri,è lì per rassicurare i pazienti, o i loro fami-liari, e per offrire un primo sorriso. Tra-smettere per quanto possibile ai nuovivenuti un po’ di serenità, un senso di fra-terna accoglienza è importante, perché ilprimo incontro è sempre molto significa-tivo e viene ricordato come positivo onegativo.

Quali sono le principali paure, perplessi-

tà, stati d’animo che percepisci in chi vie-ne portato al Trivulzio?L’atteggiamento di coloro che arrivano alPAT è il timore per ciò che non conosconoe per l’incertezza sulla durata della loropermanenza. Spesso nei loro occhi leggosofferenza e una mesta consapevolezzache non faranno più ritorno a casa.Il trasferimento in Istituto di queste per-sone, sofferenti per gli interventi subiti oper disturbi cronici, è percepito senzadubbio come un disagio. I parenti nonsono sempre presenti al momento delricovero. Talvolta - data l’età avanzata delpaziente - non sono più in vita. Quandoinvece sono presenti non di rado capitache, per vari motivi, siano più confusi deimalati stessi! Anche loro hanno bisognodi una presenza amica, di supporto…

Come volontaria AMI, quali sono i valo-ri a cui tieni di più mentre ricopri il tuoruolo?Nello svolgere il mio servizio cerco ditenere sempre presente gli scopi dichiara-ti della nostra Associazione “Offrire soli-darietà a chi soffre la lontananza dal pro-prio ambiente familiare (per malattia e/oanzianità), in special modo a chi vive per-manentemente in una struttura; inoltreaiutare chi ha fede a dare senso evangeli-co al proprio stato”. Nell’ambito dell’ac-cettazione i tempi entro i quali vengono

segue a pag. 5

Un sentimento di gioia apre gli auguri. Non può che essere così.Gioia di rincontrarvi, di incrociare i vostri volti, di rivedere levostre persone, di raggiungere amici e conoscenti, semplicemen-te di rappresentarvi in un ideale abbraccio d’augurio. Per dire lagioia di vivere, di essere al mondo ad affrontare l’avventura quo-tidiana, anche nei momenti più duri e incomprensibili. Il Natale,quando non è allineato al consumismo, è per tutti gioioso sensodi vita, speranza che valica i nostri umili confini o poveri limiti.Dice che l’evento-nascita è apertura al mistero della vita, attra-versata dalla presenza divina in forza della sua compassione, chela rende esprimibile, accettabile e anche amabile.Noi abbiamo parlato e ancora parleremo di compassione, nonper esprimere un sentimento di apertura verso il bisognoso maper riconoscere che l’unica compassione possibile è quella checi è rivelata nel Natale in cui Dio si è fatto “Dio con noi”. Lapreposizione “con” racchiude un insolito dono, che osa tradur-re il mistero di una presenza divina nella nostra vita. È la conse-gna di Dio all’uomo, in umili, fragili e povere spoglie. Il che non ècosa da poco. Perché non è uno “stare con” intimistico maaperto:“Chi non è contro di noi è con noi” (Mc 9, 40).Ecco, nel formulare questi auguri vorrei strapparmi e strapparvidal natale che arriva e passa. Ed è semplicemente festa. Ma unNatale che rimane nel fondo del cuore e si fa attenzione al Diocon me, perché Lui è con me, sorprendentemente con me.Prima ancora dei miei bisogni materiali, morali, spirituali, psico-logici, sociali… Lui è con me. Ricchezza inestimabile che vivedentro il cuore del povero e del ricco, del sano e del malato, del-l’ignorante e dell’intellettuale, del religioso e dell’ateo, del cristia-no e di chi appartiene ad altro credo, di chi vive costumi del miopaese o di altro paese. Il Natale appartiene ad ogni uomo chevoglia percepire quanto il suo cuore possa essere ricco e felice.Perché Dio è con Lui. È l’ “Amore ch’ei ditta dentro”, che “move

il sole e le altre stelle”, che si fa Natale per tutti noi.Questo ci è rivelato attraverso il linguaggio del silenzio conte-nuto in quella misteriosa nascita in una grotta e proseguitolungo tutta una vita, la sua, fino al suo silenzio davanti alle accu-se che gli provocheranno la condanna a morte.Tutto questo silenzio si farà poi musica, coro di angeli, annunciodi pace globale, rivoluzione cruenta del sangue dei martiri, daquello di Cristo a quello di suor Leonella e dei tre cristiani indo-nesiani. A me viene voglia invece di gridare che è violenza gra-tuita, ingiusta e invece vengo tacitato dal Natale che mi invita alasciare parlare il linguaggio più eloquente della sua presenza diDio con noi, con il suo amore smisurato per l’uomo.Rifuggiamo dagli auguri che camuffano l’isolamento in stereotipecondivisioni o false solidarietà, ma siano un profondo desideriodi comunicare, quasi un ascolto del vissuto altrui.

GLI AUGURI “CON”

Buon Natale e Buon AnnoDon Carlo

Abbiamo “alcune cose” nei cassetti della nostra mente e del nostro cuore, nei nostri box personali odi gruppi di volontariato, operanti in realtà diverse, da esporre, come in una vetrina, a chi ci vuole leg-gere e ascoltare. Lo scopo quindi è creare un dialogo con i lettori, un dialogo che possa anche trova-re posto in “Vetrina”.Pubblichiamo per la prima volta questo inserto che contiene:

g gli auguri natalizi,g appunti sulla giornata residenziale,g come e perché del mandato annuale al volontario AMI,g le lettere a don Carlo o alla redazione.

LA VETRINA

16 luglio 2006

a volte ho occasione di leggere il Foglio “Ascoltami”. Mi piace tutto quel che vi trovo scritto.

Questa volta mi son sentita presa, non posso non rispondere. Mi sento chiamata in causa, specie alla fine del Suo Editoriale - giugno 2006- dove, parlando di una bambina morta 27 anni or sono, dice che i genitori ancora non si rassegnano. Lei, Padre, vorrebbe rincontrarli, fareloro delle domande...

Chi le scrive ha avuto un dolore simile, sotto certi aspetti più crudo. Veda… mio figlio Giorgio aveva 29 anni. Dodici anni fa si è tolto lavita soffocandosi con un sacchetto di plastica. Quando lo trovai nella cantina della nostra casa … le lascio immaginare quel che ho pro-vato. Un dolore al petto… credevo di morire. UUnn ddoolloorree ccoossìì ffoorrttee,, ccoommee ffoossssii ttrraaffiittttaa ddaa uunnaa ssppaaddaa..

Istintivamente alzai gli occhi verso l’alto, come per cercare Qualcuno; non vidi che i tubi di scarico che passano sul soffitto della cantina.MMaa aavvvveerrttiiii aanncchhee llaa pprreesseennzzaa ffiissiiccaa ddeellllaa MMaaddoonnnnaa,, ccoossìì rreeaallee.. Dissi : ”Madonna, la spada che ha trafitto il tuo cuore ha trafitto anche ilmio. Come mi sento tua parente, mi sento tua sorella! Con le debite distanze, come il cielo dalla terra. Tu, la Madonna; io, povera donnapeccatrice.Tu, la Madre di Dio; io, la madre di un povero peccatore.

Quel dolore acuto, un male proprio fisico, è durato pochi istanti. Un istante ancora e sarei rimasta secca ai piedi di mio figlio. MMii èè rriimmaassttoonneell ccuuoorree iill ffrreeddddoo ddeellllaa llaanncciiaa ppeerr qquuaallcchhee ggiioorrnnoo.. Prendevo bevande bollenti nel tentativo di sciogliere quel freddo che sentivo dentro …

Pensando al funerale oltre che ai miei due figli, ai loro famigliari, colleghi di lavoro, amici ecc. – persone tutte o quasi miscredenti, atee, qui(mi son detta) ci vuole uno scossone; che escano dalla chiesa con pensieri e animo differenti da come sono entrati. L’occasione è quellabuona, non lasciamola sfuggire... Ce l’ha data il Signore su un piatto d’argento, anzi d’oro. Perdoni l’ardire, Padre, ma l’ho sentita così.

I canti belli, significativi. La musica. L’organo, la viola, il violino. Pareva dovesse scendere la volta della chiesa. I miscredenti, gli atei piangere.Due lettere che i colleghi avevano preparato, non sono stati capaci di leggerle.Il sacerdote - Don Dante Basilico - ora in cielo, disse: “Le avete scritte a più mani, leggetele voi!”. Invece dopo l’omelia, il nostro Don Dante,ha dovuto leggerle lui... Credo proprio che questi poveretti, così sicuri e pieni di sé, siano usciti ridimensionati, con qualcosa dentro che primanon avevano.

Il giorno prima del funerale, raccolta, unita spiritualmente a mio figlio, mi son sentita dentro questa preghiera: “Signore, che io sia Te e Tu siame. Chi vede me, veda Te”. Qualche tempo dopo, a Radio Maria, ho sentito le stesse parole dette da Suor Teresita Gonzales, Carmelitana,sul letto del dolore.

Ho guardato immediatamente una bella immagine di Gesù Misericordioso, e, sorridendole, ho pensato: “Gesù, quelle parole me le hai pro-prio ispirate Tu”. TTuuttttoo ssiiaa aa GGlloorriiaa SSuuaa..

Lettera Firmata

Per me, e credo per molti altri volontari chel’hanno conosciuta nel reparto Vassalli alTrivulzio, Linda Cancedda era e sarà sempre dueocchioni neri, profondi, sardi, che facevano capo-lino dalla risvolta di un candido lenzuolo; era unsorriso che accoglieva chi arrivava al suo capez-zale per trascorrere un po’ di tempo con lei; erail pollice in su per dire “tutto ok”! Una ragazzaunica che, poco più che trentenne, ha saputoandare incontro alla sclerosi multipla con unaforza e una dignità immense.Ok Linda, mi senti ?

Michela

�� CARO REVERENDO DON CARLO,

FORMARSI PER SERVIRE

È lo slogan che sostiene il volontariato AMI e ogni altrotipo di volontariato che voglia esprimersi in maniera utilee intelligente nella relazione di aiuto o di collaborazione.L’Associazione Maria Immacolata è nata all’interno del PioAlbergo Trivulzio - noto istituto milanese riabilitativo eassistenziale per malati cronici e anziani - per risponderealle loro domande esistenziali e spirituali. Pertanto ilvolontario AMI, consapevole che i diritti del malato riguar-dano tutti i bisogni della persona, focalizza la sua attenzio-ne sulla dimensione spirituale, aiutando a dare un sensoevangelico alla condizione di salute.L’AMI si rivolge a tutte le persone che si sentono chiama-te a svolgere un tale servizio, offrendo la formazionenecessaria spirituale e tecnica della relazione d’aiuto.L’AMI opera al Pio Albergo Trivulzio di Milano, al Redaellidi Vimodrone, al Biraghi di Cernusco S/N, all’Ospedale SanRaffaele e, speriamo con il mandato di quest’anno, ancheal Frisia di Merate. Collabora con l’Associazione Aurlindinper la formazione dei suoi volontari operanti all’Hospice“Redaelli” di Milano e al PAT.Ogni sezione AMI programma incontri per i propriVolontari, guidati dagli Assistenti Spirituali delle singoleStrutture. Il cammino unitario è espresso dal Mandato edalle due Giornate Resi0denziali.

Abbiamo proposto, con l’istituzione del giornale“ASCOLTami”, uno strumento per la formazione dei volon-

tari e per offrire una lettura utile a quanti cercano di avvi-cinarsi alle tematiche esistenziali che inevitabilmente sisono già presentate o si presenteranno sul proprio cam-mino.Nelle due giornate residenziali di quest’anno, una dellequali trascorsa a Lozio – un paesino della Val Camonica, inun contesto stupendo, poco noto, privo di attrazioni, tran-quillo e sicuramente indicato allo scopo – si è approfondi-to il tema già apparso sugli ultimi quattro numeri del gior-nale: LA COMPASSIONE, convinti di aver incontrato untema fondamentale per il volontariato AMI.Ci siamo chiesti che senso e che significato abbia la com-passione nel ministero dell’ascolto, indagando il senso e ilsignificato contenuti in quella espressione del Deute-ronomio “Shemà, Israel (Ascolta, Israele)”. In ebraico“ascoltare” non significa soltanto prestare attenzione, maaprire il proprio cuore perché la Parola di Dio vi abiti real-mente. Suor Margaret, dopo aver offerto questo richiamobiblico, suggerisce al nostro ministero di compassionel’icona della Veronica (VI Stazione della Via Crucis): lei amaa tal punto Gesù che, quando lo vede, si toglie il velo –metafora della sua anima - e lo dona con tenerezza al suovolto sanguinante.Al di là di ogni retorica possiamo coglie-re l’obiettivo del nostro volontariato.

La giornata residenziale di SABATO 11 NOVEM-BRE u. s., si è tenuta presso il Pio Albergo Trivulzioper la generosa ospitalità offerta di cui ringrazia-mo la Direzione e la Presidenza. È segno che si apprezza il lavoro specifico deinostri volontari.

CELEBRAZIONE DEL MANDATO8 dicembre, Festa dell’Immacolata

Confidiamo che, per questa data, i volontari possano avere ricevuto questo numero.Perché vogliamo dire loro che questo è l’appuntamento più importante dell’anno, in cui affermare, per i nuovi e i vec-chi volontari, il riconoscimento di una disponibilità all’ AMI che contiene una chiamata al volontariato per l’ascolto eun mandato ecclesiale come partecipazione alla missione della Chiesa.Nell’omelia dello scorso anno don Carlo, a un certo punto, sottolineava il rapporto tra Maria e il volontario AMI:“Mariaviene preparata, con il dono dell’immacolato concepimento, a ricevere il mandato di Dio, attraverso l’annunciazione del-l’angelo, di diventare madre del suo Figlio. La vita cristiana, nella ricca articolazione di formazione e di esperienza (cate-chesi e preghiera), dovrebbe offrire quelle risorse che permettono di creare una relazione d’aiuto capace di sostenerela persona nella sua globalità. L’AMI è la parte organizzativa e di supporto a questa condizione del volontario. Forniscepoi attraverso gli incontri e i corsi le competenze necessarie ad affrontare i molteplici e complessi aspetti della esisten-za sofferente”.“E ogni volta che indossate il camice con il cartellino dell’AMI - ci diceva - sentitevi sempre dei man-dati da Cristo stesso in nome della Chiesa e in comunione con i sacerdoti che il vescovo ha costituiti lì come respon-sabili della pastorale sanitaria.Il volontariato non può essere solo espressione del vostro buon cuore e offerta del vostro tempo. È, secondo noi, trop-po poco per l’ammalato o per la persona di cui vi fate prossimi - termine che indica che siete voi ad avvicinarvi a loro.A noi, volontari AMI, è insegnato il metodo dell’ascolto come mezzo coinvolgente per avvicinarsi alla sofferenza,al vuoto, alla solitudine, alla mancanza di speranza, alla disperazione, al cupo silenzio, alla passività ma anche alla ras-segnazione, alla fede, alla gratitudine, al mistero di offerta con Cristo di una esistenza in grave prova. Ebbene, per scen-dere in questi cuori è necessario essere mandati dalla Chiesa con una parola evangelizzante che apre all’incontro conla persona del Cristo”.

Vi vogliamo tutti presenti anche con i vostri familiari, amici e conoscenti!La celebrazione si articolerà nei seguenti momenti:Ore 15.00 Ritrovo al Pio Albergo Trivulzio. Ore 16.00 Vespri con S. Messa. Dopo l’omelia: chiamata dei nuovi volontari,rivestizione del camice e consegna del cartellino. Segue la solenne promessa. Poi tutti insieme si rinnova l’adesioneall’AMI. Dopo le offerte la messa prosegue normalmente.Alla fine un buffet di gioiosa fraternità.

La quota d’iscrizione all’AMI come volontari o soci e le eventuali offerte per l’Associazione o per il giornale trimestra-le “ASCOLTami” possono essere effettuate direttamente presso la segreteria di Via Trivulzio oppure tramite bollettinopostale n° 69454767 oppure con bonifico indirizzato alla Banca Regionale Europea sul c/c n° 33295 ABI 06906 eCAB 01793.

Vi preghiamo di segnalarci persone o gruppi che gradirebbero ricevere il nostro periodico gratuitamente, compilandoil tagliando e spedendolo all’indirizzo della sede redazionale. Qualora non vi venisse recapitato per disservizio postale,segnalatecelo.Vi spediremo i numeri rimasti fino all’esaurimento delle copie.Aiutateci a diffonderlo e a farlo leggere.È questo il ringraziamento alle nostre fatiche.

1) Cognome Nome

Via n° cap città

2) Cognome Nome

Via n° cap città

3) Cognome Nome

Via n° cap città

&

ASCOLTami n.18 - dicembre 2006 - pag. 5

la voce dei familiari

«Non è stata violentata. Questaè stata la sua fortuna.» Contono calmo, semplice, Peter

dice questa frase che, per noi donne, con-tiene spavento e angoscia. È il tono, però,di chi ha ormai oggettivato una storiadrammatica, e l’ha metabolizzata tantoda raccontarla a un altro come se raccon-tasse la trama di un romanzo. L’“altro”, in questo caso, sono io, sedutaaccanto a questo bianco americano diquarant’anni, in un aereo che da Franco-forte ci trasporta a Portland in Oregon.Peter è un ingegnere agronomo. Torna acasa, dopo due settimane, da sua moglie,Beatrice, e dalla loro bambina, Alicia. Come succede spesso in un lungo viag-gio, abbiamo cominciato a chiacchierareper banalità. Lui, forse incoraggiato daimiei capelli bianchi, si è raccontato, dap-prima in modo superficiale, poi su cosepersonali, e alla fine si è abbandonato aquella confidenza che interviene tra sco-nosciuti perché pensare di non rivedersimai più rassicura e si può dare sfogo, adalta voce, ai propri pensieri. «Forse avrà seguito le vicende del Ruan-da» mi dice Peter dopo un lungo silenzio. «Sì, certo» gli rispondo sicura «ho vistoun bello spettacolo teatrale.» «Saprà del genocidio del 1994, della fero-cia con cui le comunità etniche si sonoaffrontate. Mia moglie è ruandese. Havissuto in quell’inferno e si è salvata permiracolo.»Avevamo già detto tutto su Portland, lapiacevolezza di viverci, la serenità dellasua famiglia, la gioia di aver una bambinaquando non ci contava più.Di fronte a quella confidenza realizzo la

GUARIGIONE DELL’ANIMA,ACCOGLIENZA DEL CUORE

mia grossolana ignoranza e guardo quel-l’uomo piacevole, dal viso aperto, quasifamiliare tanto è tipicamente americano,sentendomi in colpa.Lascio perdere la sonnolenza che mi dà laxamamina, lascio andare le considerazio-ni superficiali che si fanno in situazionidel genere, e capisco di trovarmi di frontea un uomo di qualità. Devo dargli moltaattenzione se non voglio offenderlo.«Mi dispiace. Una esperienza dolorosa.»Dico con molta partecipazione. «Come visiete conosciuti?»«Io lavoravo da un anno in Ruanda e leilavorava per una società olandese con cuiavevo contatti di lavoro. Un incontro soloamichevole. Quando sono partito le hoscritto fino a quando ho saputo che lavo-rava in Olanda. Mi ha stupito che avesseabbandonato Paese e famiglia, ma hopensato a una opportunità di lavoro.Non sapevo, invece, che fosse statacostretta a scappare e che la sua societàl’avesse aiutata a mettersi in salvo. Non

sapevo che fosse stata picchiata, tortura-ta, braccata. Non sapevo che l’avesseroportata via alla famiglia per ucciderla.Non sapevo nulla, pur conoscendo benele tensioni del Paese. Beatrice allora ave-va venticinque anni ed era molto bella.Desiderando fortemente di rivederla, l’horaggiunta in Olanda: una donna trasfor-mata dalla paura, dall’angoscia, dallo sra-dicamento. Ho capito, guardandola, cosapossa essere la sofferenza portataall’estremo limite. Le atrocità vissute, det-te con pudore e abbandono insieme, mihanno rivelato il suo animo, la sua sensi-bilità. Sapevo già di essermi innamoratodi lei, fin dal Ruanda, ma in quel momen-to l’ho amata con un trasporto che nonavrei immaginato. Le ho chiesto di spo-sarmi e di venire in America con me.Quattro anni fa è nata Alicia.»Ero così commossa da questa storia dadesiderare di conoscere Beatrice. Forsenon faceva parte del rituale delle cono-scenze occasionali e forse, di fronte a que-sta richiesta, Peter poteva sentirsi a disa-gio. Ma lui, leggendomi nel cuore, mi hadetto: «Beatrice e Alicia mi aspettano inaeroporto. Le fa piacere conoscerle?»Ho annuito mormorando: «Grazie». Una volta atterrati e sbrigate le pratichedi controllo ci siamo avviati insiemeall’uscita.Quando ho visto una donna di colore,alta, dai lineamenti delicati, elegante nelvestito etnico, con in braccio una piccoli-na dai capelli neri e ricci, ho riconosciutoBeatrice e Alicia. Erano al sicuro, erano sane, erano serene.

Maria Grazia Mezzadri

svolte le pratiche amministrative e l’in-contro col medico responsabile (dunqueprima dell’ingresso in reparto) possonoessere variabili, ma in tutti i casi noivolontari AMI - che puntiamo soprattuttosull’ascolto - cerchiamo di cogliere ogniattimo per stare vicini alla persona e stabi-lire un contatto e una comunicazione. Come dicevo prima, per me il sorriso èuno strumento di relazione che non puòmancare nell’approccio con l’altro. Pensoche portare il sorriso (con la nostra pre-senza, con il nostro interessamento, con lanostra apertura di cuore) potrebbe esserel’ottava opera di misericordia spirituale.Un sorriso pieno di carica umana e inten-sità può avere effetti inimmaginabili.

C’è qualche aspetto riguardo al qualenoi volontari potremmo fare di più?Il volontario non dovrebbe fare cose cheappartengono tipicamente alla struttura(come svolgere pratiche burocratiche)ma dovrebbe concentrare il più possibilei sui sforzi sull’ospite: per capire qualeansia lo colpisce, quale disorientamentoha dentro, cercando soprattutto di rassi-curarlo e di partecipare al suo vissuto.Seguire il nuovo venuto dall’Accettazio-ne al reparto di destinazione, stando conlui una mezz’ora o più, spesso non ci rie-sce a causa dei numeri (non cito statisti-che precise, ma ogni giorno possonoarrivare dalle 8 alle 15 persone). Unasoluzione potrebbe essere quella di non

abbandonare a sé stesso il nuovo venu-to, ma - se proprio non ci è possibile far-lo di persona - affidarlo alle cure di unaltro volontario della nostra associazio-ne che opera in quel reparto specifico,favorendo la sua ambientazione per untempo che - va da sé - varia da personaa persona.Aggiungo che noi volontari nondovremmo mai abbassare la guardia; alcontrario, tramite la preghiera, la forma-zione e l’impegno personale dovremmodarci da fare per imparare a mettere sem-pre di più al centro del nostro operato ilmalato.

Michela Alborno

ASCOLTami n.18 - dicembre 2006 - pag. 6

l’ascolto della sofferenza

il punto di vista

Passato un mese dall’intervento decise-ro per la cobaltoterapia. Allora si usa-va così. A quarantatre anni, tre figli,

una mamma, un gatto, un saltuario compa-gno, il lavoro incombente, il bisogno assolutodi continuare a essere il punto di riferimentocollettivo, Alice decise di sì.Forse poteva percorrere altre strade, magarialternative e meno invasive. Ma Alice nonaveva tempo di cercare e nessuno poteva cer-care per lei.Dunque, la cobaltoterapia. Andava nell’oradi pausa, sudata e trafelata nonostante fosseinverno. Tornava a casa dallo studio, prepa-rava il pasto veloce per i tre ragazzini chetornavano tutti in orari diversi e poi correvaall’Istituto. C’erano donne in attesa, donnecon facce meste, occhi spenti, donne impau-rite, nessuna giovane come lei… Alice pas-sava rapida con un permesso speciale, Leilavorava, non aveva i tre mesi di convale-scenza dei dipendenti, lei era un’autonoma.Niente pause.Si svestiva, spalmava il seno operato con unapomata allo zinco (un rimedio omeopaticoche guai a farlo sapere lì dentro) ed entravanel tunnel. Era davvero un tunnel di cemento

RADIOTERAPIA: ISTRUZIONI PER L’USO

e in fondo si apriva uno slargo bianco di cal-ce, un letto alto con tre scalini di ferro perraggiungerlo e, sopra, il mostro.Supina, una silenziosissima assistente lelegava le braccia lungo i fianchi. Le fermavale caviglie.Stia immobile, le diceva. Usciva. Dopo l’er-metica chiusura della porta in fondo al tun-nel, un campanello trillava: il mostro scende-va verso il suo petto e Alice immaginava ilraggio sottile come una lama che le si infilavanel seno operato. Era paralizzata e infilzata…In quei venti minuti chiudeva gli occhi e pen-sava ai suoi figli. Li aveva allattati tutti e tre. Fiumi di latte ave-

vano percorso i suoi seni come ruscelli tiepidie dolci. Bocchine avide avevano succhiato lalinfa della vita, e in quel tenero succhiare siera liquefatto il suo amore di madre.Come poteva adesso il suo seno ribellarsi atanta tenerezza? Possibile che stress, paure,un amore diviso avessero prodotto tantosconquasso? Alice si rilassava nel silenzio immoto. Dove-va guarire. Sentiva ancora quel latte fluire neicondotti dei suoi seni e scorrere senza piùostacoli verso quelle piccole bocche in attesa.A ogni seduta, la visione si riproduceva. Icondotti erano sempre più liberi, il latte piùfluente. Ora le piccole bocche sazie non succhiavanopiù. Nella visione salvifica Alice teneva letestoline nell’incavo del braccio, due a destra,una a sinistra, e sentiva il loro lieve respiroterapeutico contro il suo petto.La lama non la infilzava più. Passarono igiorni, il tunnel divenne un luogo quasi fami-liare. L’appuntamento una pausa quasi rilas-sante e la visione sempre più nitida e dolce.Alice ormai guariva.

Adriana Giussani K.

Don Giuseppe de Candia è stato segretario di mons. Antonio Bello dal 1983 al 1990.

Negli anni vissuti, con la massima discrezione,accanto a questo straordinario vescovo

(vedi box) don Giuseppe ha scritto un diario, da cui è stato tratto il libro “Don Tonino Bello.

Salvatemi l’uomo” (ed. San Paolo, 2006). Le note, gli schizzi, le riflessioni di don

Giuseppe, tra cui abbiamo scelto il racconto che segue, permettono al lettore di entrare

nella vita quotidiana di don Tonino, di toccarne con mano la grandezza,

la magnanimità e la profonda interiorità,

TI RICORDI L’ARCOBALENO?ma anche la solitudine e la sofferenza per le incomprensioni dei suoi davanti

a scelte difficili e rigorose.

Si torna in macchina da Roma. Sul visodi don Tonino è stampata la faticadelle scale della Congregazione dei

vescovi. Il rombo del motore si fa monoto-no e opportuno: copre un silenzio faticoso.Dopo la recita del Rosario, “spalanco tuttoe ospito quelli che voglio”, dice don Toni-no quasi parlando a se stesso. “In diocesi

non abbiamo una struttura per interventidi emergenza ... Ho predicato tanto, vi hodato esempi, ma non si muove nulla”.Rimango sorpreso dell’intensità emotivadelle espressioni, intuisco il motivo dellachiamata in Congregazione, conosco l’ane-lito profondo di don Tonino e la situazionediocesana.I minuti passano lenti. Il silenzio diventaquasi molesto.Sorpasso un pullman carico di ragazzi e miviene spontaneo un sorriso sulle labbra,mentre don Tonino saluta.

ASCOLTami n.18 - dicembre 2006 - pag. 7

Prendo il coraggio a quattro mani, so chedon Tonino si trasforma quando ascolta unracconto.Ti ricordi dell’arcobaleno?“Racconta”, aggiunge subito don Tonino, esi stira sul sedile.<<Una volta c’era un ragazzo che non riu-sciva in nulla. Tutto gli andava storto: ami-cizie, giochi, studi, famiglia. Un giornorientrava col capo ciondoloni. Era tristeper l’ennesimo insuccesso.Una voce a un tratto chiamò: “Abel”, cosìsi chiamava quel ragazzo.Trasognato, Abel diede uno sguardo ingiro, ma non vide anima viva.La voce chiamò ancora: “Abel”.Il ragazzo questa volta domandò: “Chisei?”.

“Non mi puoi vedere - rispose la voce -,io sono il vento”.“Ma lasciami stare - riprese il ragazzo -,non vedi che tutto mi va storto?”“Ti voglio fare un regalo - aggiunse ilvento -, prendi un secchio, mettici dentrotutto il bello che trovi, tutti i tuoi sogni etorna da me”.Il secchio azzurro di casa fu subito riem-pito d’acqua e di un bacio della mamma,di un pallone, di una bicicletta, di libri, diamici, di amiche, di tutto, di tutto quelloche i sogni a occhi aperti avevano fattointravedere.Poi Abel prese il secchio pesante e andòall’appuntamento con il vento.Il vento, che è una persona seria, lo atten-deva.

“Ecco - disse il ragazzo -, ho messo tuttonel secchio”. Il vento diede uno sguardoattento, esaminò pezzo per pezzo la colle-zione e disse con solennità: “Manca la cosapiù importante”.“Cosa?”, disse meravigliato il ragazzo.“Il tuo sorriso”, rispose serio il vento.Abel, quasi rimproverando se stesso, posecon dolcezza il suo sorriso nel secchio.Un arcobaleno splendido con sette colorispuntò per incanto nel secchio.Abel, con fare sicuro e delicato, arrotolòquella fascia colorata dietro indicazionedel vento, la pose in tasca, ringraziò, salutòe riprese con gioia il cammino. Questa vol-ta con il naso all’insù.Una bambina piangeva sul ciglio dellastrada con il ginocchio insanguinato. Subi-to Abel lo fasciò con un pezzo di arcobale-no. Incanto: la bambina non pianse più ...Passò molto tempo.A ogni intervento la fascia di arcobaleno,però, diventava più corta fin quando siridusse a un pezzettino.Il vento allora richiamò Abel: “Fammi unsorriso - gli disse -, poggia il pezzettino sulpalmo della tua mano, soffia forte, fà chevoli e riprenderà ad essere lungo quantobasta per farti felice”.Intravedo sorridere il mio Abel (AntonioBello) che mi dà una pacca sulla spalla sini-stra. Devo guardare la strada, sto guidan-do su per gli Appennini.

Don Giuseppe de Candia

DON TONINO BELLO

Antonio Bello è nato il 18 marzo 1935 ad Alessano, in provincia di Lecce, unpaese agricolo impoverito dall’emigrazione. Ordinato sacerdote l’8 dicembre1957, è stato per diciotto anni maestro dei piccoli seminaristi. Ha lavorato inol-tre come redattore della rivista diocesana “Vita Nostra”. Alla fine degli anni ‘70è nominato parroco di Tricase, dove tocca con mano i problemi dei poveri, deidisadattati, degli ultimi.Nel 1982 è nominato Vescovo di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi.L’azione pastorale di don Tonino Bello trae ipirazione da una spiritualità che eglidefinisce “contemplattiva”: comunione, evangelizzazione e scelta degli ultimisono i perni su cui si fonda la sua idea di “chiesa del grembiule”, una comunitàcristiana che sa chinarsi ai piedi degli uomini e al tempo stesso analizza in pro-fondità le cause della povertà e dell’emarginazione, operando per rimuoverle.Nel 1985 è nominato presidente di Pax Christi, movimento cattolico interna-zionale per la pace. Il suo coraggio profetico nel proporre una pace mai disin-carnata, ma sempre coniugata con la giustizia, con la verità, la salvaguardia delcreato, la nonviolenza gli valgono, da un lato, ascolto anche presso persone diculture e ambienti diversi da quelli cattolici e, dall’altro, non poche incompren-sioni, sia nel mondo laico che in ambito ecclesiale. Don Tonino è accanto aglioperai delle acciaierie di Giovinazzo in lotta per il lavoro, accanto ai pacifisti con-tro l’installazione dei missili a Comiso, degli F16 a Crotone, degli Jupiter a Gioiadel Colle, accanto agli sfrattati e agli immigrati africani, che ospita nella sua casa,accanto a chi sostiene l’obiezione fiscale alle spese militari. Rinuncia ai “segni delpotere” per il “potere dei segni”, dando vita alla Casa della Pace, alla comunitàper i tossicodipendenti Apulia, a un centro di accoglienza per immigrati, dovevuole anche una piccola moschea per i musulmani.Il 7 dicembre 1992, già malato di cancro, partecipa alla marcia pacifica di

Sarajevo, di cui è ispiratore, che vede credenti e non credenti di diversenazionalità uniti dal desiderio di sperimentare “un’altra ONU”, quella deipopoli, della base.Pochi mesi dopo, il 20 aprile 1993, don Tonino Bello muore a Molfetta.

ASCOLTami n.17 - dicembre 2006 - pag. 8

Ora ci aspetta un altro impegnativocompito: la Guarigione. “Compas-sione” “Guarigione” parole impor-

tanti, dense di contenuto e non così sconta-te, come potrebbe sembrare. Lo abbiamogià dimostrato parlando di Compassione.Mi sono resa conto, riflettendo su alcunipassi del testo di Nouwen, in cui parla del-le guarigioni operate da Gesù - “… è dallaSua compassione che è emersa la guarigio-ne…; il grande mistero non sono le guari-gioni, ma l’infinita compassione che ne è lafonte…” - che non si tratta tanto di... lascia-re... il tema della compassione quanto dicontinuarlo con la... guarigione.Non sembra anche a voi che insieme a meavete letto quel prezioso testo ?Anzi, le guarigioni che avvengono senzacompassione lasciano il cuore tetro e ama-ro… Quelle che non nascono da una verasollecitudine sono false guarigioni, nonportano alla luce ma all’oscurità... Invece letante guarigioni operate da Gesù non sonomai separate dal suo essere con noi... “essetestimoniano l’infinita fecondità della suaCompassione, del suo commuoversi ainostri dolori, del suo partecipare allenostre lotte umane.” (testo citato). Gesù con la sua vicinanza si fa modello,per noi volontari, di una Presenza forte,vicina al fratello che soffre, capace di paro-le di coraggio, di speranza, … di guarigio-ne … e soprattutto di compassionevolepartecipazione al dolore altrui.Nelle nostre relazioni, come volontari, nonraramente incontriamo persone che accu-sano di essere lasciate sole… Ma, comedimostra il “Parliamo di”, è piuttosto laloro povertà interiore a farli (rischio anchenostro) sentire soli per quel loro vuoto chenon potrà mai essere colmato.In un mondo dominato dall’isolamento,dall’egoismo, dalla solitudine disperata,diventa essenziale rivalutare e valorizzarel’Accoglienza come possibile offerta di unaguarigione.Mi chiederete: che nesso ci può essere traAccoglienza e Guarigione ? Quale legame?Voi stessi potreste trovare una risposta nel-la vostra esperienza.Non è l’esperienza che il volontario AMI

memorandun

vive attraverso l’ascolto, l’accompagna-mento, la costruzione di una relazionecoinvolgente che si fa Accoglienza lascian-do un senso di benessere? Quel grazie cheti rivolge il malato e il familiare non è unframmento di guarigione?Dobbiamo cercare di imitare Gesù, quandodi fronte ai malati che si rivolgevano a lui“… era mosso a compassione, una compas-sione che non era un semplice sentimentodi simpatia ma che nasceva dalle visceredel suo corpo come qualcosa di profondo emisterioso”. La sua compassione trasfor-ma la nostra condizione umana disperatain fonte di speranza e la sua guarigionerende possibile l’accoglienza del fratellonon come rivale, non come concorrente,non come uno che mi vuole scavalcare macome dono. Pensiero ricorrente negli inter-venti di Don Tonino Bello.

Marina Di Marco

visti e letti per voi

fototeca

“Accompagnare il malato” significa nontanto compiere una “buona azione”, quan-to costruire una “buona relazione” o alme-no cercare di costruire, con fatica, ogni gior-no, una relazione buona. Una relazione cheè molto esigente, coinvolgente, richiedeaccoglienza e ascolto del malato, conoscen-za di sé, competenza umana. Ma soprattut-to disponibilità a “condividere la verità delmalato”. Vi segnalo su questo tema alcunilibri di piccolo formato, ma di grande con-tenuto.

Don Tonino Bello, Carità. Con viscere dimisericordia, Messaggero di Sant’AntonioEd., Padova, 2006.

Carità è... presenza, accoglienza, condivisio-ne. Attualizzando il contenuto dei verbiproposti dalla parabola del buon samarita-no, don Tonino rilancia con forza l’esorta-zione a vivere la carità “con viscere di mise-ricordia”.

La solidarietà, raccontata da don GinoRigoldi, Fabbri ed., 2004.

Solidarietà è... ascolto per capire, guardarenegli occhi le persone, prendere sul serionon tanto e non solo il bisogno, stabilire unrapporto. E poi “cercare il cuore”, cioè laparte bella e buona che c’è in ognuno, per-ché il primo bisogno che i poveri hanno èquello di essere accettati, rispettati, valoriz-zati come persone.

Bruno Chenu, Dio e l’uomo sofferente, ed.Qiqajon, 2005

Sentirsi “accompagnati”: nel viaggio attra-verso la prova è importante vedersi attor-niati, sostenuti da molti. Accompa-gnamento concreto, di presenza fisica;accompagnamento spirituale, di preghierapromessa e realizzata; accompagamentomedico; accompagnamento amicale, daparte della famiglia, della comunità, degliamici, per riannodare le fila della propriastoria, vincere lo scoraggiamento e daresenso alla sofferenza.

Sara Esposito

LE NOSTRE SEDISEDE CENTRALE: Milano, Pio Albergo Trivulzio, via Trivulzio 15, tel. 02 4033756,tel. e fax 02 4071683, cell. 338 1314390, e-mail: [email protected] http://spazioinwind.iol.it/amiwebVIMODRONE: Istituto Redaelli, via Leopardi, 3, tel. 02 25032361, cell. 347 8107498MILANO: Ospedale San Raffaele, Via Olgettina 60,tel. 02 26432460, fax 02 26432576,cell. 338 1704429CERNUSCO S/N: Casa Mons. Biraghi,Via Videmari 2, tel. 02 929036, fax 02 9249647

Direttore responsabile don Carlo StucchiDirettore di redazione Michela AlbornoGruppo redazionale Marina Di Marco, Sara Esposito, Adriana Giussani K., Maria Grazia MezzadriFoto Archivio AMI, pagg. 2-3 Tiberio MavriciImpaginazione Bruno KleinefeldStampa NAVA SpA, Via Breda 98, 20136 Milano

TERAPIA DEL SORRISO

...un modo per guarire