inarte agosto 2009

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Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CNS PZ idee arte eventi € 1,50 Rivista mensile a diffusione nazionale - anno V - num. 8 - Agosto 2009 Associazione di Ricerca Culturale e Artistica La fortezza di Rocchetta Baustelle C romie Special

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Rivista mensile a diffusione nazionale

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Poste italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70% CNS PZ

idee arte eventi€ 1,50 Rivista mensile a diffusione nazionale - anno V - num. 8 - Agosto 2009

Associazione di Ricerca Culturale

e Artistica

La fortezza di Rocchetta

Baustelle

CromieSpecial

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Miglionico

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EditorialeCocktail d’artidi Angelo Telesca ........................................................ pag. 4

Special CromieAsterdi Chiara Lostaglio ........................................................ pag. 12-13Davide Laviano tra pittura e sculturadi Angela Delle Donne .................................................. pag. 14-15L’espressività pittorica di Daniela Di Pededi Amelia Monaco ......................................................... pag. 16-17Il linguaggio cifrato di Barbara Paoletti di Fiorella Fiore ............................................................. pag. 18-19Gli intensi cromatismi di Lina Moscaritolo di Giovanna Russillo ..................................................... pag. 20-21

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Redazione SommarioAssociazione di Ricerca Cultura-le e ArtisticaC.da Montocchino 10/b85100 - PotenzaTel e Fax 0971 449629

RedazioneC/da Montocchino 10/b85100 - PotenzaMobile 330 798058 - 392 4263201 - 389 1729735web site: www.in-arte.orge-mail: [email protected]

Direttore editorialeAngelo [email protected]

Direttore responsabileMario Latronico

ImpaginazioneBasileus soc. coop. – www.basileus.it

StampaArti Grafiche Lapelosa - tel. 0975 526800

Concessionaria per la pubblicitàAssociazione A.R.C.A.C/da Montocchino, 10/b 85100 PotenzaTel e fax 0971-449629e-mail: [email protected] [email protected]

Autorizzazione Tribunale di PotenzaN° 337 del 5 ottobre 2005

Chiuso per la stampa: 29 luglio 2009

In copertina:Foto di Gerardo Caputi, Phare de Pointe du Grouin

La redazione non è responsabile delle opinioniliberamente espresse dagli autori, né di quantoriportato negli inserti pubblicitari.

PersistenzeLa fortezza di Rocchetta Sant’Antoniodi Davide Pirrera ........................................................... pag. 5-6La linea rossa della culturadi Sonia Gammone ....................................................... pag. 10-11

EventiTempus Normannorumdi Giuseppe Nolé .......................................................... pag. 28-29

FormeNuovi restauri a Ripacandidadi Gerardo Pecci ........................................................... pag. 24-25

Abbònati alla rivista “In Arte”. Solo 12 Euro per avere ogni mese a casa tua una finestra privilegiata su un mondo di arte e cultura. Abbonarsi è sem-plicissimo: basta compilare un semplice bollettino postale così come nel fac-simile a lato ed effettuare il versamento in qualsiasi Ufficio Postale.

RiCalchiFari bretoniFoto Gerardo Caputi, Archivio Basileus ....................... pag. 22-23

RisonanzeBaustelle, tra male di vivere e dolce vitadi Francesco Mastrorizzi............................................... pag. 26

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Cocktail d’arti

di Angelo Telesca

Cari Lettori,mentre il sole brilla nel cielo d’agosto e i finanziamenti per la cultura veleggiano anch’essi verso altri lidi, consolatevi insieme a noi sotto l’ombrellone con la lettura di questo numero di In Arte!

Un cocktail fresco e profumato di pittura, scultura, musica e uno schizzo d’architettura medioevale per palati fini... senza dimenticare qualche suggerimento sulle più interessanti iniziative per il vostro tempo libero estivo.

Si comincia con la fortezza medioevale di Rocchetta Sant’Antonio, descritta da Davide Pirrera, per arrivare alla rievocazione storica degli antichi fasti di un “G8” ante litteram all’Abbazia benedettina di Banzi.

Ma anche questa volta, il cuore della rivista è dedicato ai pittori contemporanei, emergenti o già affermati, che abbiamo selezionato per lo Special Cromie, uno spazio privilegiato per dare risalto alla pittura dei nostri giorni.

Infine, per chiudere in bellezza, vogliamo condividere con tutti voi la gioia del nostro esimio direttore Mario Latronico che pochi giorni fa è convolato a giuste nozze con Michela. A loro va il nostro alato augurio di una vita lunga, felice e densa d’amore.

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Persistenze

La fortezza di RocchettaSant’Antonio

di Davide Pirrera

Rocchetta Sant’Antonio è un paese di sicura fonda-zione medievale. Il paese confina con la Basilicata e la Campania ed è situato nell’alto bacino del fiume Ofanto (il più lungo fiume pugliese) nel preappenni-no foggiano. Interessantissime sono le vestigia del castello denominato “Sant’Antimo” (dal famoso mar-tire cristiano di Nicodemia vissuto nel III sec.) che arricchisce la città di storia e bellezza.L’origine della fortezza è incerta infatti, se da un lato lo studioso Cuozzo attribuisce la costruzione del forte ai Normanni nell’anno 1050, dall’altro secon-do Giovanni Gentile, autore della cronistoria di Roc-chetta, la fondazione del paese è opera dei Bizantini nell’anno 984. Si è sicuri del nome del primo feuda-tario, Roberto del Torpo, il quale regnò dal 1081 al 1120. La struttura è di forma quadrata con quattro torri, una delle quali è ancora in parte sopravvissuta. Ancora

visibile la cinta muraria con una porta di ingresso sul lato orientale. Ad un esame attento si notano le diverse fasi costruttive degli alzati murari che defini-scono la presenza di svariati rifacimenti e aggiunte nel corso dei secoli fino al momento in cui la Rocca fu distrutta intorno al 1456 a causa di un terribile ter-remoto.La città nel corso della sua lunga storia ha cambiato spesso nome: inizialmente fu conosciuta come Op-pidum Rocca, sottolineando così i suoi tratti strategi-ci, difensivi e militari durante il Medioevo, per poi as-sumere in seguito il nome di Rocchetta di Puglia, poi Sant’Antimo in Rocca e Rocce Sant’Antimo. La città fu contesa strenuamente nel VI secolo dai Bizantini e dai Longobardi a causa della sua posizione stra-tegica tra Lucania, Irpinia e Tavoliere delle Puglie. I Bizantini infatti per difendere i loro possedimenti dai nemici costruirono una serie di strutture difensive

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che dalle alture daune scendevano alla pianura pu-gliese fino a Termoli, nel Molise. Analoga strategia di difesa è stata applicata in Sicilia, specialmente nella Provincia di Enna, dove i Bizantini lasciarono testi-monianze militari del tutto simili.Dopo alterne vicende feudali sorse fuori dalle mura il nuovo castello per volere di Ladislao II d’Aquino, Marchese di Corato, che acquistò il feudo diretta-mente da Re Ferdinando di Aragona. Questo nuo-vo affascinante maniero fu edificato intorno al 1507, probabilmente su progetto del grande Francesco di Giorgio Martini che fu attivissimo nelle Marche. Più che per difesa e fini strategico-militari questa se-conda fortezza fu edificata per fasto della famiglia d’Aquino. Lo stemma della famiglia campeggia in-fatti all’ingresso sul portone su una lapide marmo-rea. Il materiale di cui è costituito il castello è pietra calcarea giallo ocra. Di rilevante interesse oltre che di grande fascino è la torre merlata ogivale che rap-presenta la prua di una nave.

La proprietà del castello, dopo essere passata alla famiglia Doria, è stata acquistata dalla famiglia Pic-colo che ancora oggi ne detiene il possesso.La zona di Rocchetta Sant’Antonio non è importante solo per quanto riguarda il periodo medievale, ma sono presenti molte tracce altrettanto interessanti di epoca romana, come il Ponte di “Santa Venere” vi-cino ad un importante santuario di Venere di epoca imperiale e la “Fontana di Pirro”.Non mancano tracce di presenza umana fin dal pe-riodo neolitico come testimoniano evidenze archeo-logiche e utensili di epoca Duana.Le fortezze medievali della città sembrano ammonire il passante sottolineando che esse sono destinate a sopravvivere fiere ai secoli a venire e contempora-neamente pronte ad accoglierlo come un ospite che si avventura nel passato. Rocchetta Sant’Antonio è dunque un altro cammeo di questa Italia medievale piena di storia da scoprire, un’altra meta per gli aman-ti dell’armonia delle architetture e dei paesaggi.

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Persistenze

tante ricchezze conservate all’interno della chiesa vogliamo ricordare solo, sulla parete sinistra, un affresco raffigurante il Martirio di San Sebastiano, opera del celebre pittore lucano Giovanni Todisco.Altrettanto affascinante è stata la visita alla Chiesa di San Michele, una delle chiese più antiche della città. L’edificio, di stile chiaramente romanico, presenta un impianto basilicale con tre navate terminanti in tre absidi e ben visibili dall’esterno; la navata principale ha una copertura lignea ed è illuminata da tre monofore. Al suo interno alcuni dipinti risalenti al XVI e XVII secolo.La parte più coinvolgente del nostro itinerario è stata senz’altro la piacevole riscoperta di numerosi palazzi: non solo il Palazzo di Città e il Palazzo del Governo, con annessa villa, ma anche Palazzo Giuliani, dell’antica famiglia dei Centomani, Palazzo Pignatari con il suo antichissimo portale, e il Palazzo del Fascio, in origine antica cappella dedicata a San Nicola. Particolarmente interessante Palazzo Marsico, edificio costruito intorno alla metà dell’Ottocento per un’antica famiglia potentina: esso domina lo slargo su cui si affaccia con la sua massiccia struttura di pietra e laterizi. Sulla facciata si apre il portale con un bellissimo arco a tutto sesto.Un percorso coinvolgente che continua con la Cattedrale di San Gerardo, Palazzo Loffredo, il Teatro Stabile, le piazze, la Chiesa della Trinità e la cappella del Beato Bonaventura, le antiche porte di accesso alla città; un viaggio tra arte, architettura, religiosità e storia civile che aiuta a formare in ognuno di noi la consapevolezza che ogni angolo delle nostre città è una testimonianza preziosa della nostra identità e della nostra storia.

Potenza è il capoluogo di regione più alto d’Italia, con i suoi 819 m. sul livello del mare: tradizione e modernità convivono in una città che nasconde in sé luoghi ricchi di fascino e suggestione artistica. Ci siamo lasciati incuriosire dall’iniziativa della Sezione di Basilicata della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali, che ha realizzato un percorso culturale ed artistico all’interno della città, denominato Ruga Rubens, la linea rossa della cultura. Una singolare e curiosa linea rossa tracciata a terra e una agevole guida tascabile, a cura della presidente della sezione lucana della S.I.P.B.C. Anna Maria Scalise, accompagnano turisti e amanti dell’arte in un lungo e interessante itinerario attraverso le principali emergenze storiche, artistiche e architettoniche del capoluogo lucano.Abbiamo provato anche noi a ripercorre le 31 tappe consigliate e ne siamo rimasti piacevolmente sorpresi e affascinati. Poco conosciute ai più sono le ricchezze dell’antica Chiesa di San Francesco e l’annesso Convento. L’austero edificio duecentesco, sorse, secondo la tradizione, “sul cammino” del Poverello di Assisi. Sul bellissimo portale principale si leggono due date: 1265, anno di fondazione del convento, e 1274, anno di costruzione della Chiesa. L’attuale Chiesa sorge sui resti di un preesistente oratorio protoromanico, di cui si conservano alcuni elementi decorativi. Dell’antico convento, che tra il XVI e il XIX secolo ospitò una prestigiosa Scuola Teologica, non rimane quasi nulla; l’edificio, che in passato occupava pressappoco un’area corrispondente all’attuale ex Palazzo di Giustizia e parte del Palazzo del Governo, oggi si riduce a poco più di una quarantina di ambienti. Delle

La linea rossa della cultura

di Sonia Gammone

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in bilico tra la dimensione terrestre e quella celeste, come a voler evocare il mondo fatato che dipinge. Le sue opere impressionano per la genuinità ed una freschezza quasi puerile. Raccontano vite di gnomi, mondi incantati di fate e folletti, creature fantastiche della tradizioni celtica e della Bretagna. È lì che la sua fantasia attinge, fra boschi e lande ammaliate. Aster vi scorge figure e paesaggi surreali, è la magia che li pervade. Per conferire gaiezza ed armonia alle sue tele, utilizza colori brillanti e geometrie precise, per quel senso fiabesco che mai l’abbandona. Ma vige latente in lei anche uno spirito girovago. Sono diversi i viaggi compiuti in questi anni. Quello in India l’ha avvicinata a nuove religioni: le filosofie orientali hanno influenzato non poco la sua cifra pittorica. Nuovi soggetti appaiono sulla sua scena: ecco Tara, la dea del pantheon induista, che in san-scrito significa stella; e ci racconta, nei suoi appunti di viaggio, che durante il suo soggiorno in India, si reca nel Mandir del suo maestro Sai Baba.

«L’arte è un linguaggio dello spirito, è una dimensio-ne dove ciascuno può inalveare le sue certezze, le sue passioni, ma anche le illusioni, le infinite contrad-dizioni; i suoi ideali! Potrebbe, altresì, rappresenta-re, un luogo dove cristallizzare emozioni, sentimenti, paure, sogni. Io vivo l’arte in un modo personalissi-mo, in cui certezze, dubbi, emozioni e desideri bilan-ciano il caos della mia anima. L’arte è una manife-stazione di quello che molti nascondono e di cui han-no paura; un mondo racchiuso in un angolo segreto del proprio cuore». È questo l’individuale rapporto con l’arte che Teresa Cerone vive in una costante imprescindibile simbiosi. Ha una personalità vivace attratta dalle cose del mondo. «La mia fonte d’ispi-razione cambia come cambia il cielo in primavera. Il mio entusiasmo per i colori non ha mai subito fles-sioni». Si firma Aster che, oltre ad essere l’anagram-ma di Teresa, richiama figure di antiche leggende,

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la sua forza emotiva esplodere in Van Gogh, “nelle sue disperate e forti pennellate”. Abitano in quei tur-binii dell’anima i segni di Aster, nei paesaggi onirici, nella magia, in uno stile naif tutto suo. Che lo si ri-trova nel suo sito, www.asterfollia.it, con una veste grafica scintillante fra piogge di stelline e di fate: lì restano aperti e custoditi i suoi lavori, i suoi scritti, la parte concreta ed immaginifica del suo mondo.

Un viaggio dentro e fuori di se: dai piedi del Vulture dove vive, a Rapolla, fino ai confini di orizzonti reali ancorché fantastici. Eppure non ama l’arte astratta (ci confida), e nemmeno i disegni a matita: «Saranno belli ma l’assenza di colore mi intristisce». Ed ecco

Aster

di Chiara Lostaglio

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dito di farsi conosce e coltivare collaborazioni extra-regionali, per cui nel 2008 e nel 2009 Laviano espo-ne a Roma e a Firenze.In Albero 2001 si condensa tutta l’espressività del giovane artista, su un foglio di carta da pacco La-viano lascia che il tratto penna ed i colori ad olio giochino con le sue emozioni. Linee stilizzate, colori decisi, forme definite, ed ecco che la figura centrale è accerchiata da parole scritte che si rincorrono sul fragile supporto materico. L’esile traccia del tronco si perde fra il colore intenso della carta, le gocce di colore, i segni grafici, eppure allo stesso tempo risa-le lo spazio dell’opera per sorreggere una testa me-dusea. Occhi vuoti tagliati da strisce di colore, che sanno bucare i pensieri.In Io, sul cartoncino è stata cucita della stoffa, e poi un bagno di smalto e china anima l’opera. Nero, banco, rosso, nero e poi ancora bianco. L’immagine è forte e netta. I colori non si confondono l’uno nell’altro e le forme tagliano l’immagine. L’artista esplora paesag-gi interiori, ripercorre le spigolosità della sua terra e le riporta nelle sue opere, ripercorre i colori della sua

Davide Laviano è un giovane artista che dopo alcuni anni trascorsi a Bologna nella ricerca di un percorso legato al teatro e alla scenografia, passioni coltivate negli anni del liceo, torna nella sua terra, la Basili-cata, per approfondire altre forme d’arte: la scrittura e la pittura. Compreso questo nuovo percorso da solcare, Laviano si dedica proficuamente alla pittura prendendo spunti dai maestri del Novecento. Attinge dalla carta, dalle chine, dal pennino, per realizzare le suo opere, ma non solo, poiché si tratta di pro-duzioni materiche composite, stratificate, ricche di suggestioni infantili. La passione per la scrittura si intreccia con la produzione pittorica, così nelle sue opere visive non mancano mai frasi, parole, tasselli di pensiero, pensiero che assume duplice forma, di-pinta e scritta, che sfugge dalle dita dell’artista per fermarsi in un segno o in una pennellata. Le opere sono pervase da un bisogno di comunica-zione più o meno sottesa, affinché nulla rimanga ine-splorato, affinché lo spettatore si senta pienamente partecipe del pensiero dell’artista. Il ritorno nella sua regione di origine non gli ha impe-

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Davide Lavianotra pittura e scultura

di Angela Delle Donne

terra vestendoli delle proprie emozioni. L’intensità si concentra in due lettere: I O.In Maternità, Laviano riprende l’ancestralità della donna con vezzi fanciulleschi, pezzi di collage, car-toncino, acrilico, ghirigori di colore per tracciare la forza espressiva del grembo materno, una scia di bianco si insinua tra le forme materiche dell’opera per far risaltare una figura stilizzata, ma accogliente. C’è spazio solo per i simboli della maternità: i seni

ed il ventre. Il viso della donna è perso, quasi sfu-mato, mentre nel giro delle linee del ventre sembra muoversi un soffio-respiro. Ancora una volta parole scritte incorniciano il tutto.Davide Laviano è un giovane artista che cerca nella forma materica un mezzo di espressione della pro-pria identità e delle proprie emozioni, che traduce in parole i suoi pensieri e condensa il tutto nella trappo-la dorata dell’espressione artistica.

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CromieSpecialL’espressività pittorica di

Daniela Di Pededi Amelia Monaco

composizione, ottenuta dall’uso di diversi colori dal-le tonalità accese ma che si sposano perfettamente tra loro. Osservando il dipinto è quasi come se ci si immergesse in un’ambientazione a tratti surreale nella quale il confine tra immaginario e reale sembra qui ben marcato ma capace di creare una singolare commistione di genere.Altrettanto incisivo è il dipinto Amore nel quale il sen-timento che lega i due amanti, collocati nella parte inferiore del dipinto, è contrassegnato dalla loro po-sizione, dal continuo riproporsi della forma del cuore che invade tutta la composizione e dall’uso di colori vivi, come il rosso, che diventa il principale protago-nista della scena, spiccando in maniera netta in tut-ta l’opera. Anche in questo caso è sempre presente quella vena incline all’arabesco; essa pare segnata dal sinuoso fluire della linea che traccia un confine netto tra gli oggetti rappresentati permettendo al lettore di osservarli in ogni particolare e di definirne perfettamente la loro forma.Delineando, quindi, un quadro generale della pro-duzione pittorica di Daniela Di Pede, non si può non ribadire e porre l’accento sulla sua grande abilità, sulla capacità di comunicare emozioni e sensazioni mediante un linguaggio che è fortemente inusuale ma proprio per questo capace di far presa sull’os-servatore che è chiamato a confrontarsi necessaria-mente con una dimensione fresca ed avvolgente.

Le opere realizzate da Daniela Di Pede, giovane ar-tista materana, mettono in luce tutta la sua bravura ed il suo talento per la capacità di rapportarsi ad un concetto di arte che esula dal realismo spregiudica-to, tuttavia non tralasciando mai di recuperare, alme-no nelle tematiche, il rapporto con il quotidiano.I suoi dipinti, realizzati mediante l’impiego della tec-nica ad olio o dell’acrilico, quest’ultima capace di do-nare grande luminosità alle composizioni, sono frutto dell’uso di un linguaggio che si inerisce a pieno titolo nel nuovo contesto creativo inaugurato dalla nascita dell’arte contemporanea.Lontana da tutto ciò che sembra scontato o ripetitivo, l’artista crea delle opere a metà tra il reale e l’irreale, pur rendendo oggetto delle sue composizioni spes-so il soggetto umano, sottoposto, però, ad un pro-cesso di astrazione. È il caso di dipinti come Mater-nità nera, o ancora Amore nei quali i temi affrontati, pur essendo legati a scene di vita vissuta, vengono reinterpretati mediante un’idea libera e personale.Nel primo dipinto, la scena della maternità assume un accento di grande affettuosità e di particolare te-nerezza pur essendo protagonista una donna dalle sembianze irreali, quasi un essere mitologico intriso di un’atmosfera arabesca comprovata dall’elegante fluire del velo della donna o dai panni che avvolgono i due bambini avvinghiati alla madre. Ad accentua-re quest’aria quasi fiabesca è nell’insieme tutta la

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renza: non vi sono rassicuranti elementi figurativi ma simboli che, però, diventano familiari, man mano che le opere scorrono innanzi ai nostri occhi. Frammenti di vetro trasportati sulla tela evocano antichi dolo-ri, sprazzi di colore gioie intense: tutto galleggia in un’atmosfera sospesa, “metafisica”, come lo è Fer-rara, la città tanto amata, e uno dei suoi più illustri cittadini, Giorgio De Chirico. Ogni piccolo quadrato, ogni linea, ogni ghirigoro (i segni che si ripetono con più frequenza) raccontano un ricordo, una sensazio-ne, diventano una lettera di un alfabeto da codificare e fare proprio. È un linguaggio volutamente criptico e geometrico (una “spia” dell’universo architettonico cui l’artista appartiene) dove domina un forte rigore, determinato anche da una cromia severa di neri, gri-gi e bianchi (unici colori ammessi, i blu e i rossi) da cui sfuggono solo quelle tracce fugaci di cui si parla-va prima, che fuoriescono dalla tela e da quel com-plicato groviglio. Ed è proprio questo “venir fuori” che nelle ultime opere diventa sempre più pregnante e necessario: la materia pittorica si fa solida, concre-ta, e si libera all’interno di uno spazio tridimensiona-le costretto dalla cornice del vetro, all’interno della quale i colori, divenuti oggetti, si muovono in una dimensione onirica. Fili di ferro intrecciano cerchi,

Le opere di Barbara Paoletti, a prima vista, possono riportare alla mente alcuni lavori della pittura astrat-ta italiana degli anni cinquanta e sessanta, dove tracce di sensazioni ed emozioni si materializzano entro uno spazio liquido. E, sicuramente, l’arte di quest’artista ha mosso i suoi fondamentali passi pro-prio nell’universo del realismo astratto; ma subito ha cercato di svincolarsi da codifiche stilistiche, realiz-zando un proprio personale linguaggio. Ferrarese di nascita, ma udinese di adozione, dove lavora come architetto, Barbara Paoletti esprime nelle sue opere una poetica che abbandona il puro astrattismo per diventare altro: le tele traducono, come dice l’arti-sta, “le emozioni e i ricordi” di una vita, che vengono sussurrati allo spettatore, invitato a leggere le opere come le pagine di un diario, dove alle parole si sosti-tuiscono forme evocative che raccontano un’esisten-za. Questo avviene attraverso le tracce che nelle opere l’artista lascia di sé: una piccola piuma, segno di un ricordo fuggito via; una targhetta con il proprio nome, Barbara, quasi a testimoniare un complesso autoritratto da individuare in un labirintico groviglio di linee, dove il ricordo gioca un ruolo fondamentale. L’artista parla con un linguaggio non facile in appa-

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rende visibile, e quasi tangibile, allo spettatore che guarda, quei colori usati nelle tele, ora trasformati in scultoree realtà.Queste opere sono “scatole magiche” che invitano lo spettatore ad interagire con quel mondo che rivela, a chi lo vuol leggere, la bellezza di un universo ricco di emozioni e sentimento.

frantumi di vetro tracciano linee, frammenti di carta creano turbinii intorno ad oggetti plastici, solidi nel-la loro geometrica struttura, ricordo di linee antiche e rigorose disegnate su tela. Ciò che prima viveva nella dimensione bidimensionale della tela ora flut-tua all’interno dello spazio intrappolato dal vetro, che delimita la superficie dell’opera e nello stesso tempo

Il linguaggio cifratodi Barbara Paoletti

di Fiorella Fiore

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C’è un qualcosa di vagamente onirico nella pittura di Lina Moscaritolo, e qualcosa di prepotentemente razionale al tempo stesso. I suoi dipinti sembrano evocare atmosfere fiabesche in cui sensuali figure femminili si abbandonano estatiche ad una natura misteriosa e incantata. In questo paesaggio irreale i vari elementi si mescolano creando composizioni dalla struttura curiosamente geometrica in cui sono ricorrenti i temi floreali, stilizzati quanto basta per so-migliare ai più raffinati motivi araldici.Tutte le figure sembrano essere accomunate da una certa rigidità, i contorni ci appaiono definiti, dal tratto deciso. Il dinamismo e l’energia dei colori concorro-no a bilanciare questo apparente immobilismo, i toni vivaci si stemperano gradatamente in più delicate sfumature che conferiscono plasticità e volume alle figure. L’uso sapiente della tavolozza appare ancora più evidente nelle nature morte. Qui è l’esplosione vi-tale dei toni caldi del giallo e dell’arancio a liberare il tratto e ad immergere l’occhio in un paesaggio in cui tutti gli elementi sono disposti in un perfetto equi-librio, secondo un ordine quasi innaturale. Insieme vanno a comporre una singolare cornice che lascia intravedere un panorama dalle linee appena accen-nate che si perdono in lontananza.

Dalla raffinata tecnica compositiva della Moscaritolo si evince il suo accurato percorso formativo, conclu-sosi con la maturità artistica conseguita nel 1976 e la successiva abilitazione all’insegnamento del dise-gno e della storia dell’arte. Ama cimentarsi con tec-niche diverse per la realizzazione delle sue opere, come i pastelli e gli acquerelli, ma predilige gli olii su tela. Di recente si è dedicata allo studio e alla realiz-zazione delle icone.Con le sue opere ha partecipato a diverse mostre concentrate soprattutto nell’area del Vulture-Melfe-se, dove attualmente vive e lavora come guida turi-stica. Quasi tutti gli eventi sono stati ospitati in stra-ordinari siti di interesse storico e artistico, quasi a voler sottolineare la continuità tra passato e presen-te. Tra questi meritano un cenno la Porta Venosina e il castello normanno di Melfi.Tra le collettive di pittura più importanti ricordiamo Passeggiando nel centro storico (Melfi, 1989); Tre giorni in vico S. Benedetto (Melfi, 1997); Omaggio a Federico II (Melfi, 1998); La Pentecoste (Melfi, Pa-lazzo vescovile, 1998). Dal 2005 a oggi ha partecipato alla collettiva di pittura Arte Sacra di Melfi e a quella intitola-ta La Madonna dell’Assunta in occasione della notte bianca a Melfi.

Gli intensi cromatismidi Lina Moscaritolo

di Giovanna Russillo

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RiCalchi

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Fari bretoniLe Phare de Ploumanac’h

foto G. Caputi, Archivio Basileus

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Le Phare de la Vieillefoto G. Caputi, Archivio Basileus

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Il restauro di un’opera d’arte è sempre un’operazio-ne delicata, e dev’essere attenta e rispettosa della natura peculiare dell’opera medesima e della sua esistenza storica.Recentemente, la dottoressa Maria Francione della Soprintendenza ai Beni Artistici, Storici ed Etnoan-tropologici di Matera ha diretto i lavori di restauro de-gli affreschi della chiesa di Santa Maria del Carmine a Ripacandida e della statua in legno policromo raf-figurante San Donato Vescovo con Bambino. Il re-stauro dei due beni culturali, attento e scrupoloso, è

stato affidato alla mano di Domenico Saracino, con la collaborazione di Nicola Del Vecchio.Gli affreschi della chiesa di Santa Maria del Carmine risalgono alla fine del XVII secolo e/o ai primissimi anni del secolo seguente in quanto la chiesa fu di-strutta dal terremoto del 1694 e ricostruita negli anni seguenti. Nel 1725 l’arciprete G.B. Rossi descrisse gli affreschi che furono realizzati dopo il precitato ter-remoto. Sono gli stessi che sono stati oggetto del recente restauro. Il restauro attuale ha ridato piena leggibilità agli affreschi, dopo i “restauri” del 1942 e il necessario intervento d’urgenza in seguito al tragico terremoto del 1980, poiché presentavano seri pro-blemi di conservazione. In particolare è stata ripri-stinata la piena leggibilità delle figure di Santi e ben si comprende, ora, la loro importanza nel contesto generale della figurazione artistica di chiara impron-ta religiosa controriformista, nel più generale clima dell’epoca e nella “serialità devota” che improntò

Nuovi restauri a Ripacandida

di Gerardo Pecci

l’arte di quel periodo. Infatti, nel lunettone della pa-rete absidale vi è una raffigurazione della SS. Trinità con i Santi Giovanni Battista e Antonio e sulla vol-ta anteriore ci sono gli Evangelisti e i Dottori della Chiesa, chiaro esempio dell’ideologia cattolica con-troriformata e del culto dei santi considerati come intermediari privilegiati, insieme ai vescovi e ai papi, tra l’uomo e Dio. Altro interessante restauro è quello della statua in le-gno policromo raffigurante San Donato Vescovo con Bambino, di autore ignoto, risalente circa alla prima

metà del XIX secolo, collocato nell’altare centrale del Santuario di San Donato. L’opera si colloca nel fortunato filone delle opere devozionali e processio-

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nali in legno dipinto che improntarono la produzione artistica dell’età moderna, soprattutto dell’Italia meri-dionale viceregnale e della Spagna, in special modo dal sec. XV e fin oltre la metà del secolo XIX e che vide la sua massima fioritura nei secoli XVII e XVIII, ad opera di grandi artisti come i Patalano, Giacomo Colombo, Nicola Fumo e altri che operarono a Na-poli e nelle province meridionali.Anche nel caso, come tantissimi altri, del San Do-nato Vescovo di Ripacandida l’opera presentava una pittura polistratificata, frutto di più interventi che ne avevano occultato la cromia originaria e che è stato possibile riportare alla luce, grazie all’accurato intervento di restauro e conservazione eseguito da Domenico Saracino.Anche qui il Santo presenta tutti gli antichi caratteri devozionali di matrice tridentina: è in atteggiamento benedicente e nel pieno delle proprie funzioni mini-steriali vescovili. L’opera tuttavia risente, rispetto a quelle dei due secoli precedenti, di una certa “du-rezza” esecutiva, e una generale stanchezza forma-le che ben mette in rilievo la ripetitività di formule iconografiche ormai prive di forza, pur nella genera-le accuratezza con cui è stata eseguita.L’opera, come si nota nell’incavo centrale del pivia-le, sul petto, è sicuramente da considerare anche come statua-reliquiario.In conclusione, possiamo affermare che i restauri delle due opere di Ripacandida sono parte inte-grante di una nuova e interessante pagina di storia dell’arte nell’Italia meridionale che è stata restituita all’attenzione degli studiosi e del pubblico. Non è cosa da poco, visto il generale clima di crisi che re-spiriamo oggi nel campo dei beni culturali.

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dizione. Ecco perché cercano rifugio nelle pastiglie e negli stupefacenti, nella dipendenza da farmaci e droghe, citati in lungo e in largo nelle canzoni della band toscana. Ma l’aspirazione ultima, in alcuni casi raggiunta, è rappresentata dal suicidio, comoda so-luzione alla vita malata.Nell’accostamento di situazioni tragiche e lirismo, all’interno dei tanti ritratti di adolescenza torbida, sta la potenza comunicativa dei Baustelle, i quali riesco-no a raggiungere il pubblico anche grazie a melodie accattivanti e sature di suoni e al particolare modo di cantare, monocorde, da chansonnier malinconico, di Bianconi, spesso accompagnato dall’altra voce del gruppo Rachele Bastreghi.Oltre a quella cupa, esiste, però un’altra faccia dei Baustelle, non meno evidente e distintiva. In molte canzoni viene fuori un “dandismo autocompiaciuto” (per usare una loro definizione) che si riflette in sto-rie di giovinezze glamour sullo sfondo di scenari ci-nematografici, con personaggi che trascorrono il loro tempo tra locali alla moda, conversazioni raffinate, incontri e viaggi di piacere. Questi brani, in particola-re, sono puntellati da Bianconi di riferimenti e citazio-ni da intellettuale tormentato e di gusto sofisticato, non a tutti facili da cogliere. Ciononostante, queste canzoni come le precedenti, riescono a catturare la sensibilità di un vasto numero di persone, per cui risulta perfetta un’altra definizione degli stessi Bau-stelle, che dichiarano di produrre “avanguardia di massa”, sperimentazione, ma alla portata di tutti.

I Baustelle, assurti a gruppo di culto dell’indie-rock nazionale dopo la pubblicazione nel 2000 del loro primo disco “Sussidiario illustrato della giovinezza”, con gli anni sono riusciti ad ottenere consensi pres-so un pubblico sempre più vasto, per poi arrivare a vincere nel 2008 la Targa Tenco − riconoscimento annuale alla migliore musica italiana d’autore − per il loro lavoro “Amen”.Da sempre il compositore dei testi della band – che prende il nome da una parola tedesca, scelta per la musicalità della pronuncia – è il frontman Francesco Bianconi, il quale possiede un eccezionale talento poetico, che si esprime attraverso un immaginario capace di colpire per l’intensità destabilizzante. I suoi versi sono sfrontati e audaci, taglienti e spiaz-zanti; hanno una forza che induce alla riflessione, per la loro densità di significato e per la ricchezza di parole da cogliere.Oltre ad essere un raffinato paroliere, Bianconi è anche un puntuale cronista del contemporaneo, in particolare della realtà giovanile dei nostri giorni. Dalle canzoni dei Baustelle emergono, infatti, storie e vicende umane di adolescenti disadattati alla vita, i quali spesso narrano in prima persona le proprie esi-stenze angosciose. Molto simili tra loro nel modo di porsi di fronte al mondo, sono ragazzi emotivamen-te fragili, che hanno rinunciato ai sogni nonostante la giovane età. Di fronte alla percezione dell’inutili-tà dell’universo, sono ossessionati dalla fine che li attende e dalla paura della propria immutabile con-

Baustelle, tra male di vivere e dolce vita

di Francesco Mastrorizzi

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Eventi

La “spada della Chiesa”. È così che venne consi-derata la feudalità normanna. Siamo nella prima metà dell’XI secolo quando, dopo alterne vicende, i Normanni raggiunsero la supremazia sconfiggendo definitivamente Bizantini e Longobardi. Ma sarà solo dopo la morte di Roberto il Guiscardo che l’alleanza tra papato e Normanni diventerà più stretta. Papa Urbano II (1088-1099), al secolo Ottone di Lagery, proveniva dal monastero benedettino di Cluny ed è ricordato come il Papa della Prima Crociata. Nella sua lunga e dinamica attività in giro per l’Italia, ed in particolare nel Meridione, egli si batterà sempre per fronteggiare l’influenza della Chiesa greca, e lo farà con la precisa strategia di intessere, salde intese con vescovi, benedettini e con quella che era allora la feudalità predominante, e cioè quella normanna. In questo contesto si svolge il viaggio di Papa Urbano

II, che il 18 agosto 1089, anno successivo alla sua salita al soglio pontificio, si reca a Banzi. Invitato for-malmente dall’abate Ursone di Bandusia per la con-sacrazione della Chiesa dell’Abbazia Benedettina di Santa Maria, il Papa si occupò prevalentemente di questione di ordine politico. Al suo seguito 32 vesco-vi di altre diocesi e numerosi principi normanni, che si incontreranno e discuteranno circa le linee comuni da seguire in previsione del Concilio che si terrà a distanza di poche settimane, nel mese di settembre, a Melfi. Sarà in questa occasione che, oltre a nuove regole ecclesiastiche e all’ennesimo richiamo all’ob-bligo di celibato per il clero, Papa Urbano II paleserà la sua intenzione, spiegandone le motivazioni, di ri-conquistare la Terra Santa, annunciando così di fatto la Prima Crociata. In tal modo Banzi sarà il centro della politica papale in un momento cruciale per la

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Eventi

cristianità e per la storia a seguire. Inoltre, la venuta di Urbano II fu anche l’occasione per la Santa Sede di porre sotto la propria protezione l’abbazia, pur la-sciandola formalmente proprietà di Montecassino, e di fatto sottraendola alla potestà ecclesiastica della diocesi di Acerenza.Oggi si ricorda quell’evento con un corteo storico particolarmente suggestivo che si tiene il 18 agosto e che quest’anno celebra la sua decima edizione. Il corteo attraversa le vie di Banzi rievocando quella venuta con tutti i personaggi protagonisti dell’incon-tro: oltre al Papa Urbano II, si distinguono le figure dell’abate Ursone di Bandusia e dei principi Ruggero Borsa e Boemondo, eredi di Roberto il Guiscardo. E poi a seguire monaci, templari, vescovi, ricchi feuda-tari con le loro dame, armigeri a cavallo, sbandiera-tori e giullari di corte, tutto il popolo di Banzia e dei

villaggi vicini, tutti prima in preghiera e poi in festa per la venuta di Urbano II. Momento solenne della manifestazione è la vestizione del Papa da parte dei benedettini e la successiva lettura della Bolla papa-le, in un contesto scenografico completamente im-merso nell’atmosfera medievale.Alla fine del corteo viene allestito un mercato me-dievale, dove oltre a degustazioni di prodotti tipici si può partecipare ad una cena in una locanda tipica del tempo, allestita per l’occasione in tutti i dettagli, dal menù alle vettovaglie, per vivere un’esperienza del tutto calata in un’epoca ormai passata ma che tanto ha lasciato alla Lucania; un’epoca di fasti e splendore grazie alle gesta della gens normanno-rum e la storia di Urbano II, francese anche lui, che si intreccia con gli antichi uomini medievali scesi dal nord.

Tempus Normannorum

di Giuseppe Nolé

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L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI COLOBRARO

PresentaLA III EDIZIONE DI

MAGICHE SERATE D’ESTATE

P R O G R A M M A

LUGLIO/AGOSTO ORE 16/22 MOSTRA FOTOGRAFICA “le immagini ritrovate”

Palazzo delle Esposizioni, (Mostra permanente della Comunità di Colobraro, a cura della Biblioteca Comunale)

in viale Vittorio Veneto

ORE 18/20 MOSTRA MUSEO “LA CIVILTA’ CONTADINA”

(a cura di Pasquale Troccoli e dell’ins. Rocco Modarelli, coadiuvato dagli alunni della Scuola di Colobraro)

SABATO 25 LUGLIO ORE 21 C I N E F O R U M “LA MATASSA” (con Ficarra e Picone)

Arena ex Scuole Medie

DOMENICA 26 LUGLIO ORE 21 C A B A R E T “EMANUELE TARTANONE E GIUSEPPE GUIDA”

Arena ex Scuole Medie (Duo che ha calcato le scene del MUDU’ su Telenorba e della STAMBATA su Teleregione)

LUNEDI 27 LUGLIO ORE 18 PRESENTAZIONE PUNTO LUDICO

Auditorium ex Scuole Medie

SABATO 1 AGOSTO ORE 21 FILM-DOCUMENTARIO “150ANNI DI STORIA DELL’AZIONE CATTOLICA ITALIANA”

Arena ex Scuole Medie (a cura dell’ACR di Colobraro)

ORE 22 C I N EF O R U M “EX” (CON CLAUDIO BISIO)

DOMENICA 2 AGOSTO ORE 21 T E A T R O - ULDERICO PESCE

Arena ex Scuole Medie Direttore del Centro Mediterraneo delle Arti, rappresenta “NOVECENTO”

di Alessandro Baricco (monologo molto popolare e divertente)

MARTEDI 4 AGOSTO 0RE 17/22 COMPERE SOTTO LE STELLE

Piazza Elena (il Mercato settimanale si tiene di sera)

GIOVEDI 6 AGOSTO ORE 21 BLUES IN TOWN FESTIVAL 2009 Piazza Elena (concerto di musica Blues, Funk, Rock, anche con sound originali)

VENERDI 7 AGOSTO ORE 18 I FESTA PROTEZIONE CIVILE COLOBRARO - GRUPPO LUCANO

Zona 120 (giochi per bambini, degustazioni culinarie, musica e balli sino a notte inoltrata)

DOMENICA 9 AGOSTO ORE 21 IL CORPO DI BALLO BALLERINA DEI SOGNI presenta il M U S I C A L “MAMMA MIA!”,

Arena ex Scuole Medie (adattamento del famoso Musical tratto dall’omonimo album musicale degli ABBA; con Danilo MUSCI,

partecipante alla trasmissione di AMICI nel 2003, e Giusy PALERMO, direttrice del Corpo di Ballo)

LUNEDI 10 AGOSTO ORE 21 PIANO BAR e DISCO PUB con il Trio “FRANCOISE LIVE”

Piazza Duchessa D’Aosta (in collaborazione con la Protezione Civile di Colobraro)

nel meraviglioso Centro Storico

MARTEDI 11 AGOSTO 0RE 17/22 COMPERE SOTTO LE STELLE

Piazza Elena (il Mercato settimanale si tiene di sera)

GIOVEDI 13 AGOSTO ORE 21 RECITAL “PAOLO DI TARSO”

Arena ex Scuole Medie (a cura dell’ACR di Colobraro, insegnanti Maria BELLITTO e Maria LAROCCA)

DOMENICA 16 AGOSTO ORE 21 MANIFESTAZIONI CIVILI IN ONORE DI SAN ROCCO

Viale Vittorio Veneto Gran Concerto Bandistico della Banda Musicale Carafa di Colobraro

(a cura della Parrocchia San Nicola e del Comitato Feste)

LUNEDI 17 AGOSTO ORE 21 S A G R A (gnomaréll e Karn a tip da fér)

c.da Pardo realizzata dal Ristorante alla “CORTE DEL MANGIA” di Colobraro

MARTEDI 18 AGOSTO ORE 21 SOIRE’E CARAFA Largo Convento (Le Notti di Chira e Carafa, tra musiche, balli,….

Tratto liberamente dal testo di Maria Cassavia, regia di Gaetano e Michele RUSSO

GIOVEDI 20 AGOSTO ORE 21 70° CONCORSO NAZIONALE “MISS ITALIA” Largo Convento Selezioni Regionali – Iscrizioni sul sito www.missitalia.rai.it

OGNI SERA DALLE 18 ALLE 20 PARTIRANNO DALLA BIBLIOTECA COMUNALE, IN V.LE VITTORIO VENETO, VISITE GUIDATE

PER CONOSCERE STORIA ED ANEDDOTI DEL PAESE (a cura della Biblioteca e di Maria e Concetta Sarlo)

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Acerenza

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18 agosto 2009 - Banzi (PZ)