inasherah magazine n1 anno ii

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In questo numero: Eleonora Manca, un corpo assente; Salvatore Fazia: Il territorio magico; Quel mondo di misteri e leggende: i monti Sibillini; Le ultime parole in musica di David Bowie; Gestures - Women in action; Senilità e solitudine, una iniziativa dell'Emilia Romagna; Senza ritratto. Storie dall'arte contemporanea. Intervista a Marco Florio; Valentino, il cane fantasma; Il Simbolismo. Dalla Belle Epoque alla Grande Guerra; Cinesegnalazioni

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1 InAsherah - Il Magazine

2 InAsherah - Il Magazine

3 InAsherah - Il Magazine

Indice pg. 4 Eleonora Manca, un corpo assente pg.8 Salvatore Fazia: Il territorio magico pg.12 Quel mondo di misteri e leggende: i monti Sibillini pg. 18 Le ultime parole in musica di David Bowie pg. 22 Gestures - Women in action pg.26 Senilità e solitudine, una iniziativa dell'Emilia Romagna pg. 29 Senza ritratto. Storie dall'arte contemporanea. Intervista a Marco Florio pg. 34 Valentino, il cane fantasma pg. 36 Il Simbolismo. Dalla Belle Epoque alla Grande Guerra pg. 38 Cinesegnalazioni

In copertina: Contemplating the act of finding through the loss_II_Ph_© Eleonora_Manca_2013

Scrivono per InAsherah - Il Magazine:

Giulia Ambrosini

Sara Donfrancesco Lucia Lo Cascio

Cassandra Rotelli Chiara Sabatini Stefano Valente

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InAsherah Vivimus: Eleonoira Manca, un corpo assente InAsherah Vivimus vuole essere uno spazio in questa rivista dedicato a quell'arte vicina alle tematiche del femminino, della sacralità del donna e del suo corpo per rispondere ad un appello di Lei, la Nostra Madre, che risale a 4300 anni fa: "ovunque voi siate in qualunque tempo non ignoratemi"!!!

Anamorphosis_XXVI © Eleonora Manca 2015

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Contemplando l’atto del ritrovamento attraverso la perdita # 7 _© Eleonora Manca 2014

Mani, pancia, fianchi.. parrebbe ad un primo sguardo un'esultanza del corpo, ma hai osservato bene?, mi sono detta, già perché qui il corpo è assente! Prepotente la presenza del dolore, di un dolore, forse alla greca onnipresente e da sopportare o forse personale o ancora quel dolore che parla di una ferita originaria. Ma il corpo, quello no, non c'è. Eleonora Manca sembra riprendere il discorso di Carmelo Bene e Francis Bacon. Anche in loro la carne presentissima è assente.

changes of questions_XXX_Eleonora_Manca_2016

Se la materia è incontro (Deleuze insegna), tale materia deve essere aperta, attiva, vivente quasi una non materia. Quando dico che il corpo assente è questo che intendo, il corpo inteso come apertura, un divenire, un accogliere continuo. E' un cuore che si contrae e si dilata, prendere per dare. Io sono il mio dolore dice questa assenza, ma il mio dolore non è me.

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Dolore e movimento. Il cuore prende il dolore e il corpo lo rilascia trasformato in qualcosa di buono, di bello, di quella bellezza che ci salverà perché è l'unica che resta, l'unica

che ricorderemo.

Movimento dunque, ma non quello delle pose che pur

sembrano danzare. Il movimento, la danza che ci abbaglia è l'apertura del

continuo cambiamento

che caratterizza la non materialità, la

relazione col tutto ed il suo trasformarsi continuo. E' schizofrenia dell'immagine. Come essa infatti c'è una scissione dal corpo, il corpo viene fatto a pezzi per meglio sentirlo. La schizofrenia sente tutto. L'esperienza del corpo è esperienza dell'informe, degli organi senza il corpo. E il corpo si fa dissolvenza. Decostruendo il soggetto do potere all'immagine. Io mi mostro dunque io esisto ma esisto in uno, due, cento frammenti di me che si disperdono. C'è dunque in Eleonora un costante rinvio allo sgretolamento, all'inconsistenza del soggetto di contro al suo credersi intero. Perdere il significato di sè, della completezza è la strada per giungere veramente al corpo. Abbandonarlo, perdere i pezzi per poi costruirsi consapevoli. Liberarsi dell'anatomia è liberarsi dal dolore originario di cui quel Dio creato/creatore è colpevole (ed è forse questo il vero peccato originale, quel senso di impotenza rispetto al dolore il cui potere abbiamo delegato a un Dio). Distruggere dunque. Distruggere il corpo, il dolore, l'idea di Dio. Distruggere per concimare, distruggere per fecondare quel caos che è l'unica certezza e raggiungere un ordine, se pure inconsapevole. E nella sottrazione di sé il vuoto comincia a suonare il suo canto e a far vibrare la carne, la pelle, le ossa..

memory of a metamorphosis_ex voto © Eleonora Manca 2015

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Anamorphosis_VII © Eleonora Manca 2015

E con questo canto che mi sottraggo anche io sperando di aver lasciato in chi legge la curiosità di approfondire la conoscenza di questa artista.

Shell_XIV © Eleonora Manca 2012

Info: http://eleonoramanca.wix.com/eleonoramanca https://www.facebook.com/profile.php?id=100006876528274&fref=ts

Lucia Lo Cascio

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Approfondimento: Il territorio magico

L’artista opera ad una distanza zero dalla propria fantasia Achille Bonito Oliva

In una discussione con Maurizio Ferraris a un certo punto, e ormai alla fine, Gianni Vattimo chiude il discorso con questa battuta: ma chi ti ha detto che la realtà esiste? Carlo Marx aveva già scritto: ai giorni nostri, ogni cosa appare pregna del suo contrario.

In principio c’è Hegel, e il lavoro del soggetto. Che il mondo dell’arte apra le sue porte alle rammemorazioni della magia, a questo punto, non

fa meraviglia, da sempre l’arte - da Hegel in qua - è a disposizione di chiunque tenti la via d’uscita, l’oltranza dal reale, l’uscita dai sensi ordinari, l’ingresso in altri sensi… sta in questo e si realizza così: l’artista prende un campione di realtà e lo sottopone all’operazione dell’arte, isolando l’oggetto, artisticamente operato, riformato, trasfigurato, che perde la sua qualità di cosa per assumere la nuova qualità di posa, tutta un’altra aria, l’aura in che l’oggetto d’arte sale e sogna, e sognando traveste, sposta e condensa la vista in una scena dell’altrove e al limite dei sensi, dove uno si perde e comincia a fantasticare. È la virtù dell’arte, la sua stessa illusione di virtualità, che consiste nel produrre due noti benefici sullo stato dell’anima: a) portare fuori dal reale, Foucault pone addirittura il fuori alle soglie delle sue stesse origini. È qualche tempo ormai che realtà virtuali e campi della quantistica interferiscono con ogni movimento osservabile e non osservabile b) portare tutto in un’altra condizione. E, siccome la sola anestesia dei sensi (l’estetica) non basta, l’arte ha dovuto e deve inventarsi anche un ruolo di diretto intervento sul corpo reale o immaginario delle cose, per darne una denuncia allarmata e per via chirurgica produrne la

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riparabilità simbolica. Ecco allora la chirurgia (mano d’opera) dell’intervento a mano dell’artista, per un input di quell’estetizzazione emotiva e visionaria, che non solo neutralizza il realismo negativo del contenuto, ma lo replica in una trasfigurata estasi di altre e più volatili, effusive-diffusive, sensazioni, percezioni immaginarie, ricche e ardenti, avvertite e misteriose… anche se, recentemente, avendo a che fare con un’emergenza di situazioni statisticamente incontrollabili, l’arte ha forse dovuto inventarsi anche un ruolo di pronto intervento mediatico molto più complesso sul corpo reale delle cose, per darne una denuncia allarmata e per mostrarne la riparabilità fisica e simbolica… è il modo più recente dell’arte di darsi al rischio di tutte le prove, e, forse, lentamente, di esaurirsi in tutta la sua leggendaria portata ricreativa e metaforica; un rischio che consuma quello che è stato nel passato il suo stesso mistero, la sua impressione di aura divina… e chi avesse visto finora l’intero campo delle sue applicazioni e il gioco delle sue più recenti invenzioni, comincia ormai a temerne il pericolo dell’imponderabile… è a questo punto che l’arte potrebbe non incantare più, non più stupire, ripiegando piuttosto tra invenzione e spettacolo, limitandosi, come fa, a dare emergenza a circostanze di un’estetica più piccola… → ha forse già perduto però la sua virtù nascosta, la sua vaga teologia d’al di là… (Gadamer) → mai snobbare il gioco dell’illusione, farsene più grandi…

In tempi e in modi incontrollabili episodi di una natura indefinibile facevano scena in incontri giocati aldilà di ogni possibilità di definizione, la parola che li conteneva tutti era per tutti quelli che ci credevano la parola MAGIA.

Già la santità è stata un tempo la virtù magica dell’arte quando l’arte, come la santità, faceva miracoli e guarigioni: a) i miracoli delle opere d’arte che secondo il popolo dei devoti non erano scientificamente spiegabili; b) le guarigioni di quelle malattie dell’anima che la vita del soggetto contraeva sotto la pressione deformante della quotidianità ottusa e ossessiva.

Ma è nel 1971 (ABO, Il territorio magico, Stiav, Firenze) che avviene finalmente il colpo di stato in virtù del quale l’anima dell’artista si libera da ogni pressione esterna e introduce la propria espressione come tutto ciò che ha il proprio sapere e con esso il sapore stesso di un’altra vitalità. È Achille Bonito Oliva che se ne fa interprete e garante in termini culturali, grazie ad un’azione critica che apre il gioco stesso al nuovo umanesimo secondo l’unica circostanza dell’esistenza e nell’ambito integrale del giro arte-vita: è ormai solo l’immaginario il gioco del proprio mondo, che non è un luogo separato, ma al contrario è l’unico luogo nel quale si va incontro alla stessa e all’unica verità della storia, per cui è l’artista a incontrarsi.

Che c’entra il richiamo della mostra alla magia. Perché invocare il magico, il territorio magico, e di soppiatto insinuare l’idea che l’arte sfugga

ai doveri del sapere sovrannaturale e che come un cavallo di Troia introduca nella trasmissione dei sensi lo stesso realismo multimediale, in concorrenza con la trasfigurazione tecnica che sempre più investe il reale e con il reale l’azione sociale della comunicazione?

Bonito Oliva ricorre alla consulenza di un filosofo della storia e della comunità culturale come Michel Foucault e ne riporta il pensiero più attivo quando osserva che l’immaginario non è un modo della irrealtà, bensì un modo dell’attualità, di cui esporre la dimensione più primitiva. Quel che più colpisce è che in problemi del genere, nel movimento in sequenza di reale-immaginario-simbolico, Bonito Oliva ignori e comunque non convochi in citazione, e non richiami in proposito quello che viene detto il modello lacaniano, dato che questo, nella nota sequenza, viene posto in posizione di linguaggio e in vista della rivelazione dell’inconscio, in termini di fondazione strutturante dell’ego. È, forse, per la sola intemperanza che si risolve a nascondere la serie delle tre domande, sulle quali inevitabilmente si scatenerebbe tutto il movimento dell’identificazione soggettiva, dato che Bonito Oliva - narciso a oltranza - probabilmente non riuscirebbe a sopportare la deludente stratificazione che Lacan fa dell’Io, scomponendolo, differenziandolo, fratturandone ogni sua sublimata consistenza identitaria?

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È lo statuto strutturalmente paranoico dell’Io, che Lacan ha il coraggio di svelare, e che Bonito Oliva ha l’interesse a occultare, determinato dalla necessità di preservare la credenza immaginaria che ‘Io’ sia il luogo di una identità (M. Recalcati, Jacques Lacan, Vol. I, Desiderio, godimento e soggettivazione, Raffaello Cortina, Milano, 2012, p. 37). Gli basta la letteratura filosofica che fa dell’Io il centro della identità soggettiva, la leggendaria definizione dell’Io penso, tra Renè Descartes e Immanuel Kant, che costituirebbe la funzione trascendentale dedita alla ardente unità e alla identificazione epica della vita del soggetto. Niente di più lontano dal modo con il quale Lacan coglie la struttura di finzione, primamente immaginaria, dell’Io. L’Io non è affatto il fondamento ultimo del soggetto, ma è esso stesso un ‘oggetto’. È il cuore dell’ispirazione sartriana della critica lacaniana. Con un’aggiunta; l’Io è un oggetto composto di più strati, altro a se stesso, instabile, un oggetto privo di unità e di centro. L’Io è un altro, je est un autre, ed è Rimbaud. E, ancora: se è vero che lo stadio dello specchio offre al soggetto la possibilità di individuarsi

come un Io, di costituire la propria identità (è la sua dimensione narcisistico-giubilatoria), è anche vero che questo riconoscimento, proprio in quanto si rende possibile solo sulla base di uno sdoppiamento - di una disgiunzione tra l’Io e l’Altro, tra il soggetto Je e l’Io moi - diventa la fonte primaria dello statuto alienato del soggetto umano (è la sua dimensione tragica).

Infine: la tesi di Lacan è senza sfumature: la follia più grande, la malattia mentale dell’uomo, il sintomo umano per eccellenza è quello di credersi un Io. In che cosa consiste questa credenza? La follia dell’Io risiede nel suo essere una ‘organizzazione passionale’, dalla quale fatalmente deriva la dimensione originale dell’aggressività che trasfigura Narciso nella smorfia di Caino alle prese con una concorrenza aggressiva dall’esito mortale. L’Io non è affatto il luogo della ragione, non è una istanza deliberativa, non è espressione della volontà del soggetto, ma è il luogo di una infatuazione esaltata.

È la distanza zero tra reale, immaginario e simbolico. Nessuna magia.

Salvatore Fazia

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Matisse e il suo tempo. La collezione del Centre Pompidou

Dal 12 Dicembre 2015 al 15 Maggio 2016

TORINO

LUOGO: Palazzo Chiablese

CURATORI: Cécile Debray

ENTI PROMOTORI: Comune di Torino – Assessorato alla Cultura, Direzione Regionale per i Beni Culturali e

Paesaggistici del Piemonte, Polo Reale di Torino

COSTO DEL BIGLIETTO: intero € 13, ridotto € 11 / € 6.50, gruppi € 11, scuole € 6, gratuito fino a 6 anni e

altre categorie

TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 011 0240113

SITO UFFICIALE: http://www.mostramatisse.it

Curata da Cécile Debray conservatore presso il Musée national d’art moderne-Centre Pompidou, la mostra Matisse e il suo tempo – dal 12 dicembre al 15 maggio 2016 a Palazzo Chiablese – per mezzo di confronti visivi rende possibile cogliere non solo le sottili influenze reciproche o le fonti comuni di ispirazione tra le opere di Matisse e quelle di artisti suoi contemporanei, ma anche una sorta di “spirito del tempo”, che unisce Matisse e gli altri artisti e che coinvolge momenti finora poco studiati, come il modernismo degli anni Quaranta e Cinquanta. Tra i dipinti Grande interno rosso (del 1948), Icaro (appartenente alla serie Jazz del 1947) e Ragazza vestita di bianco, su fondo rosso (1946) dialogano con i protagonisti de Il tempo libero (1948-1949) di Léger, Nudo con berretto turco (1955) di Picasso e Toletta davanti alla finestra (1942) firmata da Braque.

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Antropologia culturale: Quel mondo di misteri e leggende: i Monti Sibillini

In un piccolo viaggio estivo, munita di tenda mi sono imbarcata in un luogo unico nel suo spettacolo naturale e nel suo misticismo: i monti Sibillini, cosi maestosi e selvaggi offrono tra i paesaggi più mozzafiato del centro Italia. Pensare che Leopardi li chiamava “ i monti azzurri”proprio perché guardandoli da lontano le loro cime aguzze, i pendii ripidissimi che hanno una sfumatura color turchino,li fanno sembrare di vetro. I Sibillini sono il cosidetto regno della magia, dell’ esoterismo, dove regnano le fate e molte leggende che li hanno fatti divenire luogo di antichissime tradizioni. La toponomastica sibillina è ricca di luoghi magici e se vogliamo anche un po’ spaventosi: la Grotta del Diavolo, Val dell’ Inferno, Valle scura, Pizzo delDiavolo,Monte Sibilla, Passo del Lupo, Monte cattivo ,il passo delle streghe, Monte di morte, l’ Infernaccio. Sono luoghi molto particolari e non a caso gli vengo attribuiti questi nomi, ad esempio Infernaccio è un susseguirei gole buie e molto profonde che sono scavate dal fiume Tenna che scorre in velocità fra i sassi e crea magicamente una colonna sonora molto suggestiva. Le leggende piu’ famose dei Sibillini sono legate alla Grotta della Sibilla e al Lago di Pilato. La Grotta della Sibilla si trova sui pendii del Monte ed è raggiungibile solo a piedi, è chiamata anche la grotta delle fate e la leggenda vuole che questa sia l’ ingresso al regno di delizie e perdizione della Regina Sibilla. Il lago di Pilato, si trova sulla cresta occidentale del Monte Vettore considerato anch esso un posto esoterico. La leggenda vuole che il corpo di Pilato giaccia ancora nei fondali del lago e che chiunque ci scaraventi un oggetto sia poi maledetto dalla furia di Pilato stesso.

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Alcuni giovani turisti, quest’ estate ci raccontarono che avevano soggiornato alle sponde del lago per tutta la mattinata. Uno di loro scherzando lanciò un sasso nel lago iniziando cosi un gioco di sfida con gli amici. Non ci volle molto tempo, l’ aria cambiò, il vento si alzò e cominciò a diluviare talmente forte che i giovani turistici rimasero spiazzati per il brusco cambiamento atmosferico. Non conoscevano assolutamente nulla della leggenda del lago di Pilato e rimasero impietriti quando seppero. Il lago di Pilato è stato meta di stregoni, maghi, alchimisti da tutta Europa, e ancora oggi questi luoghi sono considerati i più fertili per riti di ogni sorta; nonché nei paesi alle pendici del monte, gli abitanti giurano di notare nelle notti più limpide minuscoli cortei di fiaccole sui boschi. Negromanti di ogni tipo, se non proprio maghi e demoni, hanno abitato sicuramente il monte e la grotta stando a testimoni più o meno diretti come Enea Silvio Piccolomini, Benvenuto Cellini, Luigi Pulci, l’Ariosto, Flavio Biondi. Sembra che i santi abati di Sant’Eutizio già nel secolo VIII per ordine di papa Giovanni abbiano fatto crollare la grotta, operazione ripetuta poi dal repressore Albornoz nel 1354, e purtroppo anche in tempi molto recenti, grazie ad un maldestro tentativo di scavo con la dinamite. Tra i contadini si pensava ancora, fino agli anni Sessanta, che venti e tempeste erano scatenati dal passaggio di maghi e streghe. Leggende analoghe circondano anche il cupo specchio del lago di Pilato, i cui diabolici abitatori avrebbero addirittura richiesto il sacrificio di un uomo all’anno e che in epoca Rinascimentale fu anch’esso luogo di culti particolari. Il lago è in una depressione del monte Vettore sotto il pizzo del Diavolo.

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Precauzioni per una eventuale scalata al monte della Sibilla, le tempeste improvvise, le vendette della maga. Secondo l'antropologo Mario Polia , le fate appenniniche erano avvezze alle asperità della montagna] e non sono da considerarsi come figure assimilabili alle creature leggiadre delle tradizioni celtiche alle donne-elfo della tradizione germanica fatte di luce solare, alle fate delle fiabe che ballano nelle radure dei boschi o alle figure minori delle ninfe greche.

Le fate sibilline amavano danzare nelle notti di plenilunio e, appropriandosi segretamente dei

cavalli[ dei residenti, raggiungevano le piazze dei paesi vicini alla loro grotta per ballare con i

giovani pastori. Sempre secondo questi ricordi si attribuisce alle fate l'aver introdotto il ballo del

"saltarello".Secondo la leggenda, dopo essere uscite dalla loro grotta, le fate si fermavano presso

una stalla per impadronirsi degli equini ed utilizzarli per rapidi spostamenti. Il proprietario dei

cavalli insospettito dal ritrovare

al mattino le bestie sudate ed

affaticate, nonostante la fresca

temperatura del ricovero, si

appostò per capire cosa

succedesse durante la sua

assenza e scoprì che erano

proprio le fate a servirsi dei suoi

animali.

Anche in alcuni detti popolari

sopravvive il ricordo di queste

misteriose creature quando si

dice: “Quanto sono belle queste

fate, però jè scrocchieno li piedi

come le capre.

Polia riporta questa frase nella

narrazione del racconto in cui descrive l'avvenenza di queste donne ed il desiderio degli uomini di

riaccompagnarle presso la loro dimora. Da questa abitudine delle fate di avere contatti con il

mondo che le circondava nasce anche il tema del mito dell'amore che le legava agli uomini. Questi

ultimi, una volta entrati in contatto con loro, sarebbero stati sottratti al loro mondo,

abbandonando così la sorte di semplici mortali, ed investiti di una sorta di immortalità

virtuale[6] che li avrebbe lasciati in vita fino alla fine del mondo, così come succedeva alle fate, ma

costretti a vivere nel sotterraneo regno di Alcina.

Giuseppe Matteucci porta a conoscenza del termine "Alcina", mai utilizzato da Andrea da

Barberino nel testo originale, proviene dalla falsificazione del romanzo "Il Guerrin Meschino". Nel

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1595 il romanzo fu stravolto e la figura della Sibilla, donna sapientissima, fu trasformata, non si

capisce per quale ragione, in donna di malaffare.

Cesare Catà traccia un parallelismo tra le leggende della Sibilla appenninica, del Tannhäuser

germanico e del mito celtico di Oisìn, individuando quello che Claude Lévi-Strauss definisce

"mitema".

Sono infatti numerose le similarità tra le "fairies" celtiche e le fate sibilline (così come tra i folletti

irlandesi, chiamati "Leprechauns" e i folletti dei Monti Sibillini, detti nella lingua locale

"Mazzamurelli"). Come nella cultura celtica, anche in ambiente sibillino le figure delle fate e dei

folletti presero forma nell'incontro sincretico tra culti pagani e tradizione cristiana.

Alcuni sostengono che le fate ci siano ancora adesso sui monti Sibillini e a riscontro di questa

convinzione adducono fantasiose prove:

le treccioline delle criniere delle cavalle. A volte gli animali condotti liberi al pascolo sui monti,

tornano con la criniera pettinata a treccioline ed i valligiani sostengono che le artefici sarebbero le

fate;

le luci random, fenomeno osservato in prevalenza nella zona di Santa Maria in Pantano, a Colle di

Montegallo quando, dopo il tramonto, sulle montagne si vedono delle luci che si muovono come

se fossero delle persone, individuate come le fate che risalgono i pendii.

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Le fate sibilline furono demonizzate per lunghi secoli dalle prediche di santi e di frati e costrette a

rifugiarsi nelle viscere della montagna e costrette ad entrare a far parte del mondo invisibile.

Sempre secondo la ricerca di Polia, gli abitanti delle zone imputano la scomparsa delle fate ad una

sorta di “scomunica” inflitta loro da Alcina che volle punirle per aver incautamente mostrato le

loro parti caprine.

Le emozioni vissute su questi monti cosi magici nel loro spettacolo naturale, mi ha purificata, c’è una pace eterna, vivi delle emozioni inspiegabili attraverso la natura e tutte le sue sfaccettature; dall’alba al tramonto c’è uno spettacolo di luci, profumi che ti accarezzano il volto e ti lasciano in perfetta armonia con te stessa. Sarà la magia della Sibilla?, non lo so, so solamente che questi monti hanno del MAGICO inspiegabile.

Dr.ssa Chiara Sabatini

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Un cammino di studio e di ricerca di noi stessi e di tutto ciò che ci circonda.

Kaname è quella porta che si apre verso una strada lunga e piena di serenità e soddisfazioni.

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Musica: Le ultime parole in musica di David Bowie di s

esso acclamato: Trent'anni di sesso acclamato

Poco prima di lasciare un enorme vuoto nel mondo dell'arte, il “Duca Bianco” ci ha regalato una “stella nera”. L'8 gennaio, il giorno del suo sessantanovesimo compleanno, e due prima della sua morte, è stato appunto pubblicato Blackstar, un album che già dai primi ascolti ha stupito i fan per la sua distanza dalle opere precedenti: esso si presenta infatti molto sperimentale e a tratti inquietante nel sound e in alcuni dei temi trattati. In questo articolo verranno percorsi i testi delle ultime sette canzoni di David Bowie per mettere in evidenza i versi che meglio esprimono gli estremi sentimenti dell'artista.

Blackstar Le emozioni che suscita in modo più preponderante la title track dell'album, primo singolo pubblicato già lo scorso novembre, sono la paura e il disagio. Il testo cita numerose volte la “villa di Ormen” in cui c'è una “candela solitaria”, in riferimento al romanzo dello scrittore suicida Stig Dagerman.

Accadde qualcosa nel giorno in cui morì Lo spirito salì di un metro e si fece da parte

Qualcun altro prese il suo posto, e coraggiosamente urlò «sono una stella nera»

[…] Quante volte cade un angelo?

'Tis A Pity She Was a Whore Il secondo brano è uno dei due con il parental advisory, a causa del linguaggio a tratti volgare. Risale al 2014, ma è stato riarrangiato in maniera leggermente più elettronica per questo album.

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Uomo, lei mi prese a pugni come un ragazzo. «Tieni ferme le tue mani folli», urlai

È un peccato che lei fosse una puttana È la mia maledizione, suppongo

Lazarus È sicuramente questo il singolo più discusso dopo la morte di David Bowie, anche a causa dello struggente video che lo accompagna. Il testo sembra infatti essere il suo testamento musicale:

Guarda quassù, sono in paradiso Ho cicatrici che non possono essere viste

Ho il dramma, non può essere rubato Ora tutti mi conoscono

Guarda quassù, amico, sono in pericolo Non ho più niente da perdere

Sono così in alto che il mio cervello è un turbine […]

Lo sai, sarò libero Come quell'uccello

Non è forse come me adesso? Oh, sarò libero

Da citare, vista l'impressionante coincidenza, le parole del testo di Lazarus del gruppo progressive rock inglese Porcupine Tree: “Mio David, non preoccuparti/questo freddo mondo non fa per te/quindi appoggia la tua testa su di me/ho la forza per trasportarti. […] È tempo per te di andare”. Sue (Or In A Season Of Crime)

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Questo brano, come 'Tis Pity She Was a Whore, risale in realtà a due anni fa e venne estratto come singolo dalla raccolta Nothing has changed . Le sue sonorità originariamente nello stile del jazz si sono modificate, ma resta comunque molto ritmato.

Sue, la clinica ha chiamato La radiografia va bene

Ti ho portato a casa Ho appena detto “casa”

[...] A bordo del treno sono lontano da casa

In una stagione di crimine nessuno ha bisogno di scontare una colpa Ho baciato il tuo viso

Girl loves me Questa canzone è la seconda con il parental advisory; ha un ritmo lento e un testo ripetitivo in cui sono presenti molti slang. Eccone un chiaro esempio, non tradotto in italiano per non rovinarne la particolarità:

Party up moodge, ninety vellocet round on Tuesday Real bad dizzy snatch making all the homies mad, Thursday

Popo bling to the polly in the hole by Friday Dollar Days Nel testo del sesto brano, Bowie pronuncia più volte “I'm dying to”, in contesti differenti. Quando la frase si trova da sola, fa un certo effetto sentirla ripetere.

Non credere neanche per un secondo che io ti stia dimenticando Sto cercando di

Sto morendo per

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[…] Sto cadendo giù

Non c'è niente per me Non c'è niente da vedere

Se non vedrò mai più i sempreverdi inglesi Correrò

I Can't Give Everything Away

I cuori in blackout, le notizie sbocciate

Con disegni di un teschio sulle mie scarpe Non posso dare tutto

Non posso dare via tutto Vedendo di più e sentendo di meno Dicendo di no ma intendendo “sì” Questo è ciò che ho sempre inteso

Quello è il messaggio che ho mandato

Ma qual è il messaggio che David Bowie ci ha effettivamente lasciato? Non è univoco, ce ne sono molteplici: in Blackstar troviamo segni della riservatezza che ha caratterizzato i suoi ultimi anni di vita, ma anche nostalgia per il passato; quel passato in cui si ritrovano tante diverse emozioni trasmesse, tanti personaggi interpretati, tanti generi percorsi (dal rock psichedelico di Space Oddity, al glam rock di “Ziggy Stardust”, al soul di Young Americans, al pop di Let's Dance fino ad arrivare ad uno stile essenzialmente sperimentale). Quello che infine ci ha lasciato con il suo ultimo album è la sua anima in una forma che, probabilmente, non era mai stata così spoglia e, quindi, pura.

Giulia Ambrosini

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Arte: Gestures - Women in action.

Yoko Ono & John Lennon, Bed-ins for Peace, 1969

La mostra "GESTURES - Women in action", in programma dal 6 febbraio al 10 Aprile 2016 a Merano Arte, presenta 40 opere - fotografie, video, oggetti e collage - che ripercorrono le espressioni più significative della Body Art femminile dagli anni Sessanta ad oggi. Sono lavori che esplorano il tema del corpo femminile impiegato come mezzo espressivo primario per veicolare un pensiero di protesta e sovvertimento dei valori costituiti, realizzati dalle più importanti esponenti della Body e Performance Art attive già dagli anni Sessanta e Settanta, quali Yoko Ono, Marina Abramovic, Valie Export, Yayoi Kusama, Ana Mendieta, Gina Pane, Carolee Schneemann, Charlotte Moorman, Orlan, alle esperienze più recenti di artiste quali Sophie Calle, Jeanne Dunning, Regina José Galindo, Shirin Neshat, Silvia Camporesi e Odinea Pamici. Di natura volutamente effimera e legate al qui ed ora dell'accadimento, oltre che svolte in epoche e contesti socio-culturali specifici, molte delle creazioni di queste artiste hanno natura essenzialmente concettuale e sono arrivate a noi attraverso riproduzioni in forma fotografica o filmica oppure attraverso la conservazione di oggetti impiegati in occasione delle azioni. La mostra testimonia un percorso artistico tortuoso, attraverso il quale le donne protagoniste del movimento della Body Art, hanno mutato profondamente il corso dell'arte contemporanea. L'abolizione dei confini tra teatro, spettacolo, comunicazione e arte, è stata importante per palesare vari aspetti che riguardavano la condizione della donna nel mondo. Con la Body Art le donne si sono affermate come grandi protagoniste di questa rivoluzione culturale e la loro presenza nell'arte è diventata fondamentale, manifestandosi in molti paesi come scelta politica per la parità di genere proprio negli anni cruciali del movimento femminista. Le loro opere hanno sviluppato un approccio che intendeva abolire la distanza tra artista e pubblico, facendo dell'arte un fondamento della comunicazione sociale, uno specchio e un laboratorio dei cambiamenti in atto. Il pubblico non era più considerato uno spettatore passivo, ma parte integrante dell'opera stessa.

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L'esposizione si sviluppa in senso cronologico, fatta eccezione per l'androne del museo e la piattaforma dalla quale si ha accesso alle sale, dove è esposto il violoncello dell'artista e musicista americana Charlotte Moorman e il video che mostra la performance in cui l'artista ha impiegato tale strumento. Sulla grande parete che dal piano terra accompagna i tre piani espositivi, campeggia una grande fotografia di Marina Abramovic. La prima sala interna propone una serie di immagini e video di Yoko Ono, pioniera di questa corrente, già attiva negli anni Cinquanta nel movimento Fluxus, gruppo che ha posto le premesse per lo sviluppo di questo tipo di sensibilità espressiva. In mostra, il celebre video e alcune fotografie della performance "Cut piece" (1965). Seguono alcune immagini della performance eseguita dall'artista con il marito John Lennon: "Bed In" (1969). Si prosegue con una serie di foto e video di Marina Abramovic nota per le sue performance estreme, attraverso le quali ha

esplorato i limiti della sopportazione corporea, le potenzialità della mente e della concentrazione. Inoltre, un video e alcune

foto di Mario Carbone della performance "Imponderabilia" (1977) realizzata con il compagno e artista Ulay. La seconda sala presenta la performance "Blood sign" (1972) dell'artista cubana Ana Mendieta, i cui lavori esprimono una ritualità legata alle antiche culture indigene e una forte radice trans-culturale, ma mettono in campo anche un'espressione vissuta costantemente in solitudine, in cui il corpo si confronta con l'ambiente e gli elementi naturali. In dialogo con quest'opera, una fotografia de "Azione sentimentale" (1973) di Gina Pane, una delle grandi esponenti della Body Art in Italia. Il lavoro della Pane è vario e complesso, si esprime attraverso tecniche diverse ed è costantemente alla ricerca di un equilibrio dialettico con il pubblico, di un suo coinvolgimento fisico ma soprattutto mentale. L'artista Giapponese Yayoi Kusama, nota oggi per i suoi dipinti e installazioni dai motivi ossessivi, negli Stati Uniti di fine anni Sessanta è stata attiva come performer e artista dagli atteggiamenti osè legata al movimento hippie. In mostra è la fotografia di una performance svolta proprio in questo periodo. Il percorso espositivo continua con un'opera che ha al centro della sua poetica la protesta femminista contro la sofferenza psichica e fisica subita dalle donne, quella dell'artista austriaca Valie Export, pseudonimo attraverso il quale ha voluto negare il cognome paterno e del marito per sostituirlo a una scritta a caratteri cubitali che rimanda alla marca di sigarette austriache "Export Smart ". Un'altra importante artista conosciuta per il suo lavoro sul corpo, sulla sessualità e sui generi, è l'americana Carolee Schneemann. L'esposizione presenta una serie fotografica che documenta la performance "Ice naked skating" (1972), oltre che un'opera parte della straordinaria serie "Eye Body" (1963). Al centro della sala, due grandi fotografie della francese Orlan, famosa per le operazioni di plastica facciale e di chirurgia estetica attraverso le quali ha

Odinea Pamici, Ballo con Ivonne, 2005

Gina Pane, Azione sentimentale, 1973

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modificato il proprio corpo rendendolo materiale artistico primario e riflettendo sul tema dell’ibridazione tra natura e tecnologia. La rassegna prosegue al secondo reclamando l'attenzione del visitatore con la piccola, preziosa fotografia di Sophie Calle: "Mon ami" (1984). Le opere dell'artista francese, dal sapore voyeuristico, esplorano il tema dell'identità e intimità femminile, interrogandosi sul confine tra esperienza pubblica e privata. La grande

sala al secondo piano, ospita un'immagine di "Balkan Baroque" performance con cui Marina Abramovic ha ottenuto il Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1997 e in occasione della quale ha trascorso parecchie ore al giorno seduta in mezzo a una montagna di femori di manzo, raschiando i rimasugli di carne e canticchiando motivi serbi. Un'altra piccola opera, a fare da contrappunto all'immagine traboccante della Abramovic, è quella di Jeanne Dunning, dalla serie "Long Hole" (1994-96). Il lavoro dell'artista statunitense riflette sulla relazione che ognuno di noi intrattiene con la propria singolare fisicità, identità e sessualità, esplorando gli aspetti stranianti che emergono da questo confronto. L'opera dell'iraniana Shirin Neshat rivolge invece particolare attenzione al ruolo sociale della donna nelle società islamiche contemporanee. In mostra è una visione oscura e intima, uno still del cortometraggio realizzato dall'artista nel 2001 intitolato "Pulse". Il percorso espositivo continua con l'opera "Il sale della terra" (2006) della giovane fotografa italiana Silvia Camporesi, che ha saputo creare un universo molto delicato e poetico, abitato da lei stessa in una chiave intimista e quasi teatrale. Più corporea e provocante la triestina Odinea Pamici che con "Ballo per Yvonne" (2005) gioca con gli stereotipi

femminili, con i simboli del matrimonio e della cucina come spazio consacrato alla donna dalla tradizione. Quest'ultima sala ospita anche alcune opere della performer guatemalteca Regina José Galindo. Nelle sue performance, che definisce

"atti di psicomagia", a sottolinearne la carica emotiva e la sofferenza di cui si fanno portatrici, l’artista opera con una gestualità aggressiva sui propri limiti fisici e psicologici, trasformando il proprio corpo nel teatro di un conflitto permanente.

Dal 06 Febbraio 2016 al 10 Aprile 2016 Inaugurazione: Venerdì 5 Febbraio 2016 MERANO | BOLZANO LUOGO: Merano Arte - Edificio Cassa di Risparmio CURATORI: Valerio Dehò TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 0473 212643 E-MAIL INFO: [email protected] SITO UFFICIALE: http://www.kunstmeranoarte.org

Un progetto in collaborazione con The Cultural Broker e 123 Art.

Marina Abramovic & Ulay, Impoderabilia,

1977. Courtesy Mario Carbone ©Marina

Abramovic by Siae 2016

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Sociologia:Senilità e solitudine, un'iniziativa dell'Emilia Romagna

Divenire anziani, si sa, significa purtroppo in molti casi, forse nella maggior parte, dover fare i conti con la solitudine. Secondo una ricerca americana, combattere la solitudine potrebbe diminuire il rischio di depressione negli anziani, con notevoli benefici anche per la salute degli stessi. Essere soli non è solo un problema dal punto di vista emotivo-emozionale per l'anziano, ma anche sotto un aspetto più pratico: bisogno di assistenza e cure. La solitudine sarebbe anche causa di disturbi del sonno, sintomi depressivi. Molte sono state le iniziative, intraprese nei vari Paesi, per cercare di contrastare questo fenomeno. Oggi voglio condividere con voi l'iniziativa promossa dall' Er-go, l'Azienda Regionale per il Diritto agli Studi Superiori dell'Emilia Romagna. Emilia Romagna e l'iniziativa Er-go. Il progetto, chiamato"More for students" rende possibile la coabitazione tra anziani e studenti. A parteciparvi sono i Comuni di Modena e Reggio, insieme

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all'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, ad Er.Go e ad Acer, ed in partnership con le diverse Associazioni presenti sul territorio. Grazie a questa iniziativa, dunque, gli universitari fuorisede che necessitino di un alloggio, potranno trovare ospitalità, con un contributo spese di soli 180 euro, presso le abitazioni di persone anziane che rendono disponibile una stanza del loro appartamento, e l'utilizzo dei servizi. La finalità , se da una parte è quella di contribuire a risolvere il problema della carenza di alloggi per gli studenti, dall'altra, offre alle persone che vivono sole un'opportunità di una relazione. L'Associazione Er.Go e l'Università si impegnano a raccogliere la disponibilità di studenti fuori sede interessati all'esperienza, valutando, d'altra parte, caso per caso, l'interesse e la motivazione degli anziani in riferimento ad età, salute, situazione familiare.

La durata ed il rapporto della coabitazione tra anziano e studente, sono regolamentati dal "Contratto di comodato d'uso gratuito" ed il "Codice di buone relazioni". Per rendere quanto più possibile piacevole e duratura la convivenza, è prevista una vera e propria preparazione: incontri, colloqui volti ad indagare affinità ed eventuali incompatibilità dei futuri coinquilini. Passati i primi tre mesi di coabitazione, sarà effettuata una prima verifica della convivenza intrapresa e , in caso di bisogno, con l'attivazione di servizi di mediazione dei conflitti. Ma cosa succede se i coinquilini non vanno

d'accordo? Niente paura: n qualsiasi momento, attraverso una semplice comunicazione, il contratto può essere annullato. Ritengo questa iniziativa davvero positiva; se gli studenti da una parte possono con una minima spesa, permettersi un tetto sopra la testa, gli anziani, dall'altra, possono combattere la solitudine, ritrovando la serenità di una presenza amica.

Valentina Bellezza

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DURK. Mikayel Ohanjanyan

In principio era Dal 28 Gennaio 2016 al 19 Marzo 2016 MILANO LUOGO: Università degli Studi di Milano ENTI PROMOTORI: Con il patrocinio di Comune di Milano Regione Lombardia MiBACT TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 02 503111 SITO UFFICIALE: http://www.lastatalearte.it

Leone d'Oro con il Padiglione Armeno alla 56. Biennale di Venezia, Ohanjanyan inaugura "La Statale

arte", progetto che propone la scena degli spazi seicenteschi realizzati dal Richini come luogo di scultura a

cielo aperto.

Sarà la conferenza stampa ufficiale di lancio - in programma per il 28 gennaio – a raccontare in dettaglio il

progetto "La Statale arte", che prevede l'allestimento di mostre personali di scultori sia italiani che

internazionali, e la realizzazione di opere site specific.

Inaugurazione Giovedì 28 gennaio 2016 Ore 18

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Arte: Senza ritratto. Storie dall'arte contemporanea. Intervista a Marco Florio

.the sun's in my heart.. /..i'm ready for love../ ..thank you Sir.. (A CLOCKWORK ORANGE..SERIES..) 2014

Marco Florio è la sorpresa che non ti aspetti, è stato, posso proprio dirlo, un regalo di facebook. Autodidatta ( è laureato in economia ), pur avendo sempre nutrito una profonda passione per l’arte, si abbandona ad essa solo nel 1996 con un primo ciclo che lo accompagna fino al 2000, poi un lungo periodo di pausa, riprende a dipingere, infatti, solo nel 2011 ed è una vera esplosione! E’ quello che si può definire un artista puro, non ricerca la notorietà, non insegue il mercato, vive l’arte per l’arte, alla continua ricerca del sé lungo un percorso che ( speriamo per noi ) seguirà il più a lungo possibile.

- Marco, come al solito comincio questa intervista col chiederti di darmi una definizione di arte e di spiegarmi come con lei ti rapporti. Questa domanda gira da molti anni nel mio piccolo cervello senza trovare una risposta

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Ti premetto che per me il tempo è una variabile fondamentale, tutto quello che sto per dire non potrà essere usato contro di me perché ad ogni giorno che passa aggiungo una nuova incertezza, insomma aumenta la consapevolezza del non sapere niente di niente. Dunque, wikipedia mi dice che “è una attività umana che porta a forme creative di espressione estetica ed è strettamente connessa alla capacità di trasmettere emozioni”…. Credo che ormai ci sia un uso eccessivo di questo concetto nel tentativo di attribuire un valore in primis economico ma anche in parte sociale, intellettuale, spirituale al frutto di una attività umana

che quasi sempre non ha niente del termine arte, credo ci sia tantissima “non arte” in giro. Per me l’arte è un concetto astratto, è come un fascio di neutrini che attraversa i nostri corpi. C’è chi la percepisce e la riconosce e chi si lascia attraversare indifferente o quasi. Non si può definire ma c’è, è come la nostra conoscenza attuale della materia oscura, la possiamo solo riconoscere dagli effetti. L’arte è un’energia dissipata che si trasmette nel tempo e nello spazio senza esaurirsi mai, in continua trasformazione. Il mio rapporto con l’arte è quello di un paziente con la sua terapia, ho scelto liberamente questa cura per sopravvivere e anche per darmi un’aspettativa di vita migliore.

- Citando lo storico dell’arte Hanri Focillon “L’opera d’arte è misura dello spazio, è forma”, ne approfitto per domandarti qual è il tuo rapporto con lo spazio pittorico e con la forma. Domanda interessante e difficile per un autodidatta che non ha studiato arte ma economia. la forma è il mio punto di partenza, forma intesa non in senso bidimensionale, il mio tentativo è quello di darle una certa tridimensionalità, poi lo spazio pittorico è una conseguenza che si dovrebbe adattare alla forma, o forse no, per poter raggiungere un qualcosa che dovrebbe essere un tutt’uno, o forse no.

- Nelle tue opere aggredisci, strappi, copri la materia, le immagini per ricreare, forse, un mondo nuovo che comunque ingloba in sé quello contro cui sembri accanirti. Una lotta costante con un malessere che è in te ma rigetti ad una realtà altra per accettarlo e trasformarlo in qualcosa di positivo/creativo. Sono senza parole soprattutto per quelle specifiche parole che hai usato, ti ringrazio davvero, mi hai dato una forma e uno spazio in cui mi vedo senza ombre, mi specchio e non posso non

...BLADE RUNNER BLUES... 2014

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riconoscermi e poi le tue conclusioni sono positive, accidenti c’è il lieto fine, meno male. Credo che la tua diagnosi sia perfetta per i miei ultimissimi lavori, c’è una luce sul sentiero, è quella della luna che mi aiuta a proseguire in questo viaggio solitario, mentre nella maggior parte dei lavori del 2012 c’era quasi solo rabbia e rassegnazione. Questa lotta costante non è un invenzione o una messa in scena, sono semplicemente io con tutti i miei difetti, con le mie contraddizioni e convinzioni. Certe volte vorrei che fosse tutto più semplice perché la stanchezza aumenta giorno dopo giorno, ma so che se non fosse così adesso non starei qui a parlare con te, non lo so ma le cose mi sembrano migliori quando nascono da un travaglio e non da una passeggiata . La vita è un continuo contrasto in continua trasformazione, per questo mi affascina ed è questo che vorrei creare, mettere sulle mie tele.

...there ain't gonna be any middle any more / And the cross I'm bearing home / Ain't indicative of my place... -selfportrait- 2013

- Rispetto alla tendenza artistica e non solo, basta accendere la tv per rendersene conto, della rappresentazione ostentata della sofferenza, come ti poni, qual è il tuo pensiero? L’ostentazione non mi è mai piaciuta, la rappresentazione della sofferenza è forse il tentativo di

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dare maggiore credibilità a quello che si fa, ma se questa sofferenza non è reale, è solo un trucco, allora si ottiene l’effetto opposto. La percezione della sofferenza altrui è per me un ingrediente fondamentale, è una delle mie maggiori fonti di ispirazione, forse adesso ho capito perché mi hai fatto questa domanda. Se invece ti riferisce a certi artisti che per es. appendono delle sagome di bambini agli alberi, cavalli e asini al soffitto o fanno teschi di diamanti e squartano mucche e altri animali, allora non so che dire. La provocazione è sempre stato un elemento fondamentale nel mondo dell’arte, solo che ci sono diversi tipi di provocazione. C’è principalmente quella che vuole smuovere le coscienze, che nasce in modo genuino dentro l’artista come imperativo morale, e poi invece c’è la provocazione che nasce dal marketing, che io ho studiato, che serve solo a farti diventare ricco o almeno a farti campare. Spesso questa differenza è sottile e io non vorrei dare giudizi su Maurizio Cattelan e Damien Hirst o altri nomi importanti che non conosco bene, penso che ognuno di noi debba fare quella che è la sua parte, poi sarà il tempo a dirci dove andrà collocata.

...You are my angel / Come from way above / To bring me love... 2013

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- Credi che nella società di oggi, l’arte, gli artisti abbiano ancora una funzione sociale? Come credi che un’artista possa influire sulla creazione di un futuro migliore? Volendo essere ottimisti credo di si, ma poterlo quantificare è sempre complicato e complesso, io sono stato fortemente influenzato fin da piccolo dall’arte in tutte le sue forme, ma soprattutto da alcuni musicisti, scrittori e registi che continuano con la loro arte a segnare la mia vita molto più di tutto ciò che mi circonda. Forse un artista non potrà influenzare in modo diretto la creazione di un futuro migliore, ma può attraverso la sua ricerca, la sua missione, accrescere quel grado di consapevolezza necessario per poter remare nella stessa direzione. La globalizzazione ha di positivo proprio questo dato di fatto, questa consapevolezza : per ora siamo tutti legati su questo pianeta che diventa sempre più piccolo, poi si vedrà in futuro se qualcuno riuscirà a trovare un posto altrove, lontano da tutta questa umanità

- Come è fare arte in provincia? Quali sono le difficoltà e/o le agevolazioni che hai incontrato. Vivo in una città di provincia del profondo sud di un paese che si chiama Italia che mal si adatta ai cambiamenti del pianeta terra forse

perché abbiamo una storia e una tradizione di un peso consistente. Il mio tentativo di fare un qualcosa che si avvicini al concetto di arte in una città di provincia è alienante, nel senso che vivo come un alieno e farei lo stesso in una metropoli al centro del mondo, ma a Foggia il concetto di arte è più astratto che altrove quindi qui non ho nessuna distrazione e posso concentrarmi meglio, in più mi è più facile trovare un parcheggio quando devo comprare le tele e i colori. Di negativo c’è che quando questa alienazione finirà dovrò prendere un treno o un aereo per ritrovarmi in un luogo dove potrò di nuovo godere appieno della forza dell’arte.

- Riguardo a ciò che ti attende domani, che progetti hai? Qualche anno fa ho deciso di dividere la mia vita in lustri per sentire meno il peso dei miei fallimenti, alla fine di questo lustro vorrei portare a termine il mio progetto, il mio tentativo, questa mia terapia dovrebbe finire. Non so cosa succederà dopo, credo che il dopo sarà una conseguenza di quello che ho fatto o di quello che non sono riuscito a fare, comunque ti farò sapere riguardo a cosa mi ha riservato il mio fato… il mio Doom.

Info: https://www.facebook.com/marco.florio.125?fref=ts

Lucia Lo Cascio

..and I feel that any second, / something terrible is going to happen to me.. - (A CLOCKWORK ORANGE..SERIES..)

2014

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Mistero: Valentino, il cane fantasma

foto di William Crisafi

Passeggiavo tranquilla nel parco dietro l'azienda per cui lavoro in cerca di un posto soleggiato in cui godermi il mio panino in pausa pranzo. Camminando la mia attenzione viene rapita da una anziana signora che piegandosi su se stessa parlava da sola. Lei nota il mio sguardo tra il perplesso ed il preoccupato e mi dice "Signora, stia tranquilla, sto bene. Questo è Valentino!" mi indica qualcosa davanti a lei che non vedo ma che lei sembra non solo vedere benissimo ma anche accarezzare. Mi siedo accanto a lei che mi racconta che Valentino è ( o era, a seconda dei punti di vista) il suo cane. Uno splendido pastore tedesco di cui mi mostra orgogliosa la foto, che le ha fatto compagnia per 14 anni. Mi parla di questo cane con un amore immenso che trasmette attraverso i suoi occhietti piccini e brillanti, inumiditi dalla commozione del ricordo.

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Mi spiega che è morto da tre mesi, che li si è spento tranquillamente tra le braccia e che nonostante lo abbia seppellito, lui è ancora con lei. Lo vede, lo sente, mi dice. "Mi sta aspettando" mi dice. "io ho 87 anni, so che non mi resta tanto da vivere. Valentino mi sta aspettando per andare via insieme". Abbiamo continuato a parlare e siamo diventate amiche io Gabriella (si chiama così la vecchietta del parco) e l'occasione mi ha dato modo di riflettere "possono gli animali diventare fantasmi?" Se è possibile per gli esseri umani non capisco perchè non possa esserlo anche per gli altri esseri del creato. Alcuni sostengono che gli animali non possiedono un'anima, perchè poi non lo so. Se siamo energia, se proveniamo da un respiro primordiale, da un battito ancestrale, questo vale per noi come per loro.

Siamo animati in egual misura. La stessa fisica ci viene in aiuto con il suo "nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma". Dunque assodato che quel "tutto" comprende anche gli animali, possono essi rimanere sulla terra sotto forma di fantasmi? Come per noi, anche loro hanno dei motivi per rimanere bloccati in questa dimensione. La ragione più potente credo sia l'attaccamento emotivo, nulla smuove di più dell'amore. In questo caso sono presenze positive che vengono ancora per coccolarci, proteggerci, farci sentire che

sono ancora qui per noi come nel caso di Gabriella ed il suo Valentino. Ci sono poi quei casi in cui una morte traumatica o improvvisa non ha dato loro modo di rendersi conto del passaggio, dunque continuano ad aggirarsi per i luoghi a loro familiari come nulla fosse. Alcuni ricercatori poi parlano non di fantasmi ma di presenze residue ovvero di un frammento di tempo che come un film viene riprodotto più e più volte in un loop spazio - temporale, un po' come accadeva nel film "The Others" di Alejandro Amènabar con Nicole Kidman. Potrebbe essere questo il caso delle innumerevoli segnalazioni di "presenze" avvertite al Colosseo, per esempio, dove più volte i visitatori hanno riferito di sentire versi di animali o addirittura di vedere animali esotici quali leoni o elefanti. Ci sono poi quei casi in cui la presenza animale non è poi così amichevole, un caso su cui mi sono documentata parla di ripetuti avvistamenti di un gatto nel Maryland in una casa in Fells Point. Questo micino si dimostra poco amichevole nei confronti dei visitatori e a ragione, direi, visto che il suo vecchio proprietario, un uomo dal carattere estremamente violento, lo aveva murato (si dice) vivo nella cantina dell'abitazione in questione. Insomma di casi se ne raccontano tanti basta fare un giro in rete, qualche libro è anche stato scritto, vi segnalo quello di Dusty Rainbolt, "Ghost cats: human encounters with feline spirit", si trova solo in inglese ma è di facile lettura. Quanto al crederci o meno, non mi riguarda. Mi piace indagare, informarmi ma come il celebre San Tommaso, credo solo a quel che vedo e in quasi 39 anni di vita non mi è mai capitato nulla di soprannaturale per quanto lo abbia spesso desiderato

Cassandra Rotelli

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La mostra: Il Simbolismo. Dalla Belle Epoque alla Grande Guerra

Giulio Aristide Sartorio - La sirena, 1893

Dal 03 Febbraio 2016 al 05 Giugno 2016 MILANO LUOGO: Palazzo Reale CURATORI: Michel Draguet, Fernando Mazzocca, Claudia Zevi ENTI PROMOTORI: Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale, 24 ORE Cultura – Gruppo 24 Ore COSTO DEL BIGLIETTO: intero 12 €, ridotto 10 €, ridotto speciale 6 €, famiglia € 10 adulto (1 o 2 adulti) € 6 per bambino da 6 a 14 anni TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 02 54914 E-MAIL INFO: [email protected] SITO UFFICIALE: http://www.mostrasimbolismo.it

Fernand Khnopff- Carezze (L’Arte), 1896

“Il Simbolismo. Dalla Belle Époque alla Grande Guerra” è una grande mostra che si inserisce in un preciso programma che Palazzo Reale dedica all’arte tra fine Ottocento e inizio Novecento e che ha già visto l’inaugurazione di Alfons Mucha e le atmosfere art

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nouveau (fino al 20 marzo 2016). Promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e Arthemisia Group, la mostra è curata da Fernando Mazzocca e Caludia Zevi con la consulenza alla curatela di Michel Draguet. Dal 3 febbraio al 5 giugno 2016, le sale di Palazzo Reale proporranno il confronto di oltre 150 opere tra dipinti, sculture e una eccezionale selezione di grafica, che rappresenta uno dei versanti più interessanti della produzione artistica del Simbolismo, provenienti da importanti istituzioni museali italiane ed europee oltre che da collezioni private, rievocando l’ideale aspirazione del Simbolismo a raggiungere un effetto unitario per creare un’arte totale. Nelle varie accezioni in cui si è manifestato in Europa – dall’Inghilterra alla Francia, dal Belgio all’area nordica, dall’Austria all’Italia – il Simbolismo ha sempre dato un grande rilievo ai miti e ai temi che coincidevano con i grandi valori universali della vita e della morte, dell’amore e del peccato, alla costante ricerca dei misteri della natura e dell’umana esistenza. Attraverso 18 sezioni tematiche il percorso espositivo evocherà le atmosfere e la dimensione onirica che i diversi artisti desideravano raggiungere per superare le apparenze: il visitatore attraverserà questo periodo passando dalla dimensione onirica di Fernand Khnopff alle ardite invenzioni

iconografiche di Klinger, dalle rappresentazioni demoniache di Odillon Redon e Alfred Kubin alle rappresentazioni dei miti di Gustave Moreau, dal sentimento di decadenza di Musil al vitalismo di Hodler, ma anche le suggestioni dei Nabis, le interpretazioni dell’amore di Giovanni Segantini e la magia della decorazione di Galileo Chini. In mostra sono presenti diverse opere presentate alle Biennali di Venezia che sono state una straordinaria vetrina di confronto internazionale, dove i protagonisti del Simbolismo europeo, come von Stuck, Hodler, Klimt, hanno dialogato con gli italiani. Tra questi vanno segnalati soprattutto Sartorio presente con l’imponente ciclo pittorico “Il poema della vita umana”, realizzato per la Biennale del 1907, quella dove venne allestita la famosa “Sala dell’Arte del Sogno” che ha rappresentato la consacrazione ufficiale del Simbolismo. La mostra si chiude immergendo lo spettatore nell’atmosfera fantastica delle “Mille e una notte”, il ciclo decorativo realizzato da Zecchin alla vigilia della Grande Guerra.

Leo Putz - Vanitas, 1896

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Cinesegnalazione

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