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http://ec.europa.eu/agricolture/rurdev/index.it.htm

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Economia e politica agraria

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Vendita diretta dei prodotti agricoli

Aspetti amministrativi e igienico-sanitari

a cura di Francesco Mazzeo

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Progetto d’Integrazione e Modernizzazione dell’Agricolturaper la Valorizzazione Equilibrata delle Risorse Agroambientali

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AutoriFrancesco MazzeoAlfredo LongoniServizio Agricoltura e Foreste della Provincia di Lecco

RingraziamentiSi ringraziano per la preziosa collaborazione:- il Dott. Paolo Manzoni e il Dott. Marco Marchetti del Dipartimento di

Prevenzione Veterinario dell'ASL della Provincia di Lecco;- Dario Gerosa - Servizio Agricoltura e Foreste della Provincia di Lecco - le aziende agricole che hanno consentito le riprese fotografiche

(Cascina Costa antica; Consorzio Terrealte; Dell’Adda; Due Soli; Ghezzi ss.; Uberti Pieragelo; Valsecchi Celeste; Vigorelli Dario).

Fotografie: Archivio Provincia di Lecco

PresidenteVirginio BrivioAssessore Attività ProduttiveItalo BruseghiniDirigente Settore Attività EconomicheGiuseppe Scaccabarozzi

Direttore GeneraleMauro Borelli Direttore Dipartimento di Prevenzione Veterinario Paolo Manzoni Servizio Igiene degli Alimenti di Origine AnimaleMarco Marchetti

La presente pubblicazione è stata realizzata con la collaborazione del Dipartimentodi Prevenzione Veterinario dell'ASL della Provincia di Lecco

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SommarioPresentazione

Introduzione

Parte primaAspetti amministrativi della vendita diretta

1 Il contesto socio economico e territoriale provinciale 1 21.1 Cenni sul contesto socio economico 1 21.2 Cenni sull’agricoltura e i caratteri insediativi del territorio 1 21.3 Cenni sulle caratteristiche strutturali delle imprese agricole lecchesi 1 31.4 Cenni sulle strutture aziendali di trasformazione dei prodotti 1 5

2 Il paniere dei prodotti agroalimentari lecchesi 1 72.1 I prodotti di origine vegetale 1 72.2 I prodotti di origine animale 2 0

3 Aspetti normativi e modalità di vendita diretta 2 43.1 Aspetti generali 2 43.2 Disciplina delle modalità di vendita 2 53.3 Aspetti operativi e considerazioni sulle diverse modalità di vendita diretta 2 7

Parte secondaLa sicurezza alimentare dei prodotti venduti direttamente

1. Le regole. 3 61.1 Dove si trovano i testi delle normative? 3 61.2 Cos’è il “pacchetto igiene”? 3 61.3 Quali sono i contenuti del “pacchetto igiene” che riguardano più direttamente il produttore? 3 71.4 Quali sono le esclusioni dalla applicazione del pacchetto igiene? 3 8

2. I concetti e le procedure. 3 82.1 Cosa si intende con “autocontrollo”? 3 82.2 Quali sono le caratteristiche principali di un buon piano di autocontrollo? 3 92.3 Cos’è la produzione primaria? 3 92.4 Cos’è la rintracciabilità? 4 02.5 Cos’è la rintracciabilità interna? 4 02.6 Cos’è il lotto di produzione? 412.7 Come va attuata la rintracciabilità? 412.8 Il prodotto deve essere contrassegnato? 4 22.9 Quando è prevista la “bollatura sanitaria”? 4 22.10 Quando è previsto il “marchio di identificazione”? 4 22.11 Cosa significano riconoscimento/registrazione? 4 2

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2.12 Quali stabilimenti sono soggetti a registrazione e quali a riconoscimento? 4 32.13 Cos’è il sistema HACCP e chi è deve adottarlo? 4 42.14 Cosa si intende con “pericolo” e “rischio”? 4 52.15 Cosa si intende per “punto critico di controllo”? 4 52.16 Quali analisi deve prevedere il piano di autocontrollo e qual è la loro funzione? 4 62.17 Cosa sono le “analisi microbiologiche”? 4 62.18 Quante e quali analisi microbiologiche deve contenere il piano di autocontrollo? 4 62.19 Ci sono limiti di legge per la presenza di microrganismi negli alimenti? 4 72.20 Da dove possono venire le contaminazioni dell’alimento? 4 72.21 Sono previste delle sanzioni per chi non rispetta le disposizioni del pacchetto igiene? 4 9

3. I comportamenti 4 93.1 Alcuni comportamenti per prevenire le contaminazioni degli alimenti durante la produzione 4 93.2 Alcuni consigli per produrre alimenti sicuri. 5 03.3 Alcuni consigli da dare al consumatore? 5 0

4. Dalla trasformazione in poi 5 34.1 Il laboratorio di trasformazione 5 34.2 Le attrezzature per la trasformazione 5 44.3 La stagionatura dei prodotti; 5 44.4 Il confezionamento e l’etichettatura dei prodotti 5 64.5 Il trasporto dei prodotti alimentari 5 94.6 La vendita dei prodotti 61

5. Aspetti particolari dei diversi settori produttivi 5.1 Principi di autocontrollo nella produzione e vendita diretta di latte e prodotti trasformati 62

5.1.1 Quali sono i pericoli specifici da tenere sotto controllo? 625.1.2 Cosa fare se il latte contiene più germi o più cellule del dovuto? 635.1.3 Quali sono i germi da cui stare maggiormente attenti? 645.1.4 Quali sono le misure da adottare per ridurre tali rischi? 645.1.5 Le regole per mungere in modo pulito 655.1.6 Alcune indicazioni per ridurre il rischio della presenza dei microrganismi patogeni

nelle fasi successive alla mungitura 655.2 Produzione e vendita diretta di carne e prodotti trasformati 66

5.2.1 Posso macellare in azienda i miei animali per poi vendere le carne ottenuta? 665.2.2 Quali sono i pericoli specifici da tenere sotto controllo nella vendita diretta

di carne e di prodotti trasformati? 675.2.3 Come tenere sotto controllo i pericoli nella vendita diretta della carne e dei

prodotti trasformati? 685.2.4 Come si effettua una buona frollatura della carne 705.2.5 Alcuni vincoli specifici per la trasformazione della carne in azienda. 71

5.3 La carne di pollame e conigli. 715.3.1 Si possono macellare in azienda i propri animali? 715.3.2 A chi si può vendere la carne ? 71

5.4 La vendita diretta delle uova 7 25.5 Produzione e vendita di vegetali freschi e prodotti trasformati 7 2

Note 7 5

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Presentazione

Questa pubblicazione sulla vendita diretta dei prodotti agricoli, che sono lietodi presentare come un nuovo passo avanti nella direzione già intrapresa da qual-che anno, mi permette di trarre un primo bilancio dei risultati ottenuti sullafiliera corta. Essa giunge, infatti, dopo l’avvio di un percorso che diverse im-prese agricole hanno iniziato con l’aiuto della Provincia di Lecco.Questo tema è stato affrontato con pragmatismo, privilegiando “il fare”, nel-la convinzione che per le nostre piccole imprese agricole esso rappresenti un’in-teressante opportunità, economica e di nuova relazione con il territorio. Ho laconvinzione, infatti, che la filiera corta si intrecci fortemente con il tema del-la modernizzazione della nostra agricoltura, non solo come processo evoluti-vo interno al settore, ma anche per i nuovi rapporti che l’agricoltura può co-struire con il territorio e i diversi attori presenti.Il rapporto diretto con i consumatori da parte dei produttori determina, sia nel-l’immediato, sia in prospettiva, una serie di conseguenze positive che credo uti-le ricordare. In primo luogo semplifica le relazioni commerciali, aumentando il reddito deiproduttori e fornendo ai consumatori prodotti freschi con rapporto qualità prez-zo conveniente; i prodotti sono territorialmente caratterizzati e contribuisco-no a ridurre l’impatto ambientale, per la coincidenza del luogo di produzionecon quello di consumo. Fra questi due attori, inoltre, la frequentazione diret-ta induce un maggiore senso di responsabilità nei produttori e quindi lo stimoloa migliorare la qualità dei prodotti, ma anche una maggiore conoscenza del-l’agricoltura da parte dei consumatori, con beneficio per il sistema delle rela-zioni e per la rinnovata considerazione sociale del settore agricolo.I risultati di questa evoluzione si possono cogliere già dalle iniziative che ab-biamo realizzato, con il concorso di alcuni enti, associazioni e produttori.Il Mercato agricolo di Osnago, aperto nel 2005 con la collaborazione del Co-mune, della Fiera e dei produttori agricoli, dimostra che l’evoluzione nel sen-so prima indicato non è teoria ma fatto compiuto. Produttori e consumatori han-no espresso un elevato grado di apprezzamento dell’iniziativa, così come è sta-to riscontrato per la più recente Carovana dei produttori agricoli, che ha ri-

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scosso un successo in parte inaspettato. Obiettivo di questa iniziativa, piena-mente raggiunto, era quello di costruire un ponte fra produttori agricoli e Co-muni, per contribuire a sviluppare progetti condivisi in grado di promuoverelo sviluppo dell’agricoltura fornendo servizi utili alla popolazione lecchese.L’avvio di un nuovo mercato ad Oggiono, organizzato mensilmente dal Con-sorzio dei produttori Terrealte con il consenso del Comune a seguito della no-stra iniziativa, è un importante risultato che si aggiunge alle altre iniziative av-viate a seguito dell’esperienza positiva di Osnago. Mi riferisco al mercato di Gal-biate, organizzato ormai da oltre un anno dal Comune con i produttori locali,al prossimo mercato che la Comunità Montana Lario Orientale è in procinto dicostruire a Ballabio e, per finire, al mercato che la Provincia ha promosso a Val-madrera, con la collaborazione del Comune e della Comunità Montana LarioOrientale, che aprirà alla fine del 2009.L’insieme di queste iniziative, nelle quali la Provincia ha espresso un forte ruo-lo di indirizzo e di coordinamento, oltre che di sostegno, è il risultato della con-divisione di un percorso che si è reso possibile grazie al processo di aggrega-zione che abbiamo stimolato nei produttori. I produttori agricoli, infatti, han-no aumentato la capacità di gestire nuove relazioni e programmi e hanno ac-cettato una sfida che a molti sembrava azzardata, ma la fiducia che hannoriposto in se stessi, nel loro consorzio e nelle istituzioni locali, credo sia stataampiamente ripagata dai risultati finora ottenuti.Penso che tutti, enti, associazioni e produttori, possano essere orgogliosi di que-sti risultati, che contribuiscono non solo a produrre importanti servizi per lapopolazione, ma anche a costruire opportunità economiche e a stimolare pro-cessi di modernizzazione dell’agricoltura, a salvaguardare l’ambiente e a pro-muovere nuovo sviluppo per il territorio. I progetti sulla filiera corta collocano la nostra provincia all’avanguardia na-zionale e perciò auspico che le imprese, le associazioni e le istituzioni per quan-to resta ancora da fare trovino nello spirito di cooperazione e di fiducia l’ispi-razione per continuare ad operare. I prodotti agricoli del territorio rappresentano un importante terreno di coo-perazione fra imprenditori agricoli, del commercio, della ristorazione e del tu-rismo, che insieme possono promuovere meglio le risorse locali e fare cresce-re un’economia che le valorizzi. Questo è un tema che non credo debba esse-re trascurato, se si vuole dare un carattere strutturale alle azioni di sviluppo del-l’agricoltura. Avere un’agricoltura vitale, produttiva e bene insediata nel ter-ritorio non è interesse solo degli agricoltori, ma di tutta la comunità locale: la

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popolazione può disporre di prodotti freschi ottenuti nel proprio terri-torio e godere di un ambiente migliore e di nuovi servizi; i prodotti tra-dizionali e tipici locali mantengono viva la cultura locale e la perma-nenza dell’agricoltura rende il territorio maggiormente attrattivo pergli insediamenti produttivi innovativi e per il turismo. L’economia delterritorio, quindi, può avere nuove opportunità e può migliorare il be-nessere della popolazione.Su questi temi la Provincia di Lecco continuerà a rappresentare un pun-to di riferimento e con lo stesso impegno fornirà stimoli, strumenti diorientamento, supporto alle imprese e alle istituzioni locali, per progredirenella cooperazione e nei risultati, a beneficio della nostra comunità edel territorio. Sono convinto che il bilancio di quanto è stato fatto sia positivo e chenei prossimi anni questi risultati dovranno essere consolidati, soprattut-to allargando la platea dei produttori agricoli che potranno vendere di-rettamente nei mercati degli agricoltori, sostenendoli nella realizzazionedi processi di innovazione e di miglioramento della qualità dei prodottilocali. E’ necessario, anche, mantenere viva l’attenzione delle istituzionilocali verso l’agricoltura e favorire la sua integrazione nel sistema eco-nomico locale, attraverso la cooperazione delle imprese agricole soprat-tutto con quelle del turismo, dell’artigianato e del commercio. Con il convincimento che con la condivisione degli obiettivi e la coo-perazione si potranno costruire nuove opportunità per l’agricoltura, in-vito gli agricoltori a cogliere e valutare i nuovi stimoli che riceveran-no da questa pubblicazione.

Gennaio 2009

Italo BruseghiniVice Presidente e Assessore alle Attività Produttive

della Provincia di Lecco

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Introduzione

L’esperienza maturata localmente in oltre un triennio di attività di venditadiretta in forma organizzata (Mercato degli agricoltori di Osnago) da partedi circa 15 imprese agricole, realizzata a seguito di un’azione diretta provincialedi assistenza tecnica nell’ambito della Misura N (1.14) del Psr 2000-2006, hadimostrato che la scelta di sviluppare la filiera corta può rappresentare unarisposta efficace alle aspettative economiche delle piccole imprese agricole,oltre che un apprezzato servizio per i consumatori, se collocata all’internodi una strategia di sviluppo durevole e organizzata. Nello stesso tempo taleesperienza ha reso evidente la necessità di fornire alle imprese supporti e stru-menti di orientamento, che hanno contribuito a produrre importanti risul-tati nell’organizzazione delle imprese e nei servizi attivati (costituzione delConsorzio Terrealte, apertura del mercato degli agricoltori di Osnago, orga-nizzazione delle fattorie didattiche, ecc).Nel corso degli ultimi anni, inoltre, le norme in materia di sicurezza ed igie-ne alimentare hanno subito sostanziali modifiche (Regolamenti CE 178/2002,852, 853, 854, 882/2004 e successive modifiche) e le imprese agricole av-vertono la necessità di aggiornamenti e supporti orientativi. Gli imprendi-tori agricoli, inoltre, per adeguarsi ai cambiamenti e sostenere il confrontosul mercato devono effettuare scelte produttive e gestionali che devono pro-durre redditi adeguati al mantenimento dell’attività. In questo contesto si inserisce questa pubblicazione, indirizzata agli agricoltorie finalizzata a promuovere lo sviluppo della vendita diretta dei prodotti, at-traverso informazioni di base ritenute utili a favorire un orientamento da par-te dei produttori agricoli.La prima parte delinea il quadro territoriale e produttivo locale e soprattut-to le modalità di vendita diretta dei prodotti agricoli, con riferimento all’at-tuale quadro normativo, escluso quello fiscale per il quale si rimanda al vo-lume “Multifunzionalità in agricoltura dai concetti alle opportunità” nella stes-sa collana.

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La seconda parte tratta il complesso tema igienico sanitario, con taglio rite-nuto utile a fornire risposte ai quesiti che normalmente emergono dai pro-duttori.Il volume, concepito come strumento informativo di base, non esaurisce lacomplessa tematica affrontata, così come non darà risposte ad ogni quesi-to, tuttavia si auspica che il lettore possa trarre elementi di riflessione utiliper effettuare scelte che, ovviamente, dovranno essere ulteriormente supportateda puntuali e approfondite verifiche.

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Parte prima

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1. Il contesto socio economico e territoriale provinciale

1.1 Cenni sul contesto socio economico lecchese

Il territorio provinciale è per il 68,3% montano e per il 31,7% collinare ed è ammini-strato da 90 comuni, perlopiù di piccole dimensioni.Il 33% della popolazione provinciale (331.607 abitanti1) vive in 6 comuni di oltre 10.000abitanti, il 17% in 8 comuni con popolazione compresa fra i 5.000 e i 10.000 abitan-ti e per il 50% nei restanti 76 comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti. Ladensità di popolazione è maggiore nelle zone collinari (circa 590 ab/Kmq) rispetto aquelle montane (circa 315 ab/Kmq).L’economia locale è caratterizzata dalla presenza di un tessuto produttivo di piccole emedie imprese diffuso sul territorio, che genera un valore aggiunto di oltre 8 miliardidi euro, al quale l’agricoltura concorre marginalmente, con lo 0,4%, e assicura un ele-vato livello occupazionale (tasso di disoccupazione di circa il 2,6%).

1.2 Agricoltura e caratteri insediativi del territorio

Il 55% del territorio provinciale è occupato da superfici forestali e naturaliformi (44.856ettari), mentre quelle agricole interessano il 20 % della superficie territoriale (16.500ettari).La superficie agraria utile si estende per circa 12.000 ettari ed è destinata per il 73%a colture foraggere, dominate da prati permanenti e pascoli; per il 23% a seminativi eper il 4% a colture arboree e vivai.Dal punto di vista territoriale l’agricoltura lecchese è caratterizzata dalla presenza deidue grandi scenari, quello montano e quello collinare.

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Il territorio montano è dominato dai “fattori originari” che lo caratterizzano, cioè laquota, la pendenza e l’accidentalità della superficie, il clima, l’orientamento dei ver-santi, la predominanza delle superfici forestali e di quelle destinate ad attività pasto-rale2 quali gli alpeggi, che impongono all’attività agricola limiti naturali e una mag-giore rigidità nelle produzioni realizzabili. L’agricoltura della montagna è infatti lega-ta alla produzione zootecnica, connessa alla predominanza di foraggere, dal fondo-valle agli alpeggi3. La produzione da colture arboree è confinata lungo le sponde la-custri, con olivo e vite. Tali colture rivestono una significativa funzione per il lega-me con gli ambiti terrazzati del territorio, che costituiscono elementi di stabilità dei ver-santi e di difesa idrogeologica, oltre che di caratterizzazione paesaggistica.Il territorio collinare, al contrario di quello montano, è caratterizzato dall’esteso svi-luppo urbanistico che ormai delinea una città diffusa, costituita da un fitto reticolo dicostruzioni e infrastrutture che fagocita il territorio a scapito dello spazio destinato allaproduzione agricola4.Questo modello insediativo origina un nuovo spazio “di contorno” a quello urbaniz-zato, lo spazio periurbano, all’interno del quale l’agricoltura subisce la pressione deipiù forti interessi della città, che si manifestano sotto forma di andamento del merca-to fondiario e conseguente difficile accessibilità alla terra da parte dei coltivatori, divincoli edilizi e igienico sanitari, di condizionamento dell’impresa nelle scelte produt-tive. All’interno di questo spazio si origina il rischio di una forte spinta verso la mar-ginalizzazione delle aree e delle attività agricole, che tende a relegare l’agricoltura amero aspetto folcloristico5.A fronte di questi rischi concreti, tuttavia, esistono opportunità per l’agricoltura do-vute alla vicinanza dei mercati di consumo per la vendita dei prodotti, alla crescentesensibilità dei consumatori per la qualità e la sicurezza alimentare, alla domanda so-ciale di attività legate al tempo libero, alla formazione ambientale, ai servizi connes-si all’area del disagio sociale e della salute, al turismo e a numerose altre necessità.

1.3 Cenni sulle caratteristiche strut-turali delle imprese agricole lecchesiLe imprese agricole lecchesi sono circa1.230, per lo più di piccole e piccolissimedimensioni e sono dislocate per il 42% inmontagna e per il 58% in collina.Una quota significativa di imprese svolgel’attività agricola in modo integrativo ecomplementare, mentre solo una minoreparte di esse la svolge in forma esclusivae professionale. Un quadro più completodella situazione emerge dalle analisi con-

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dotte nell’ambito della predisposizione del Programma di sviluppo rurale 2007-2013 del-la Regione Lombardia, al quale si rinvia per gli approfondimenti (www.agricoltu-ra.regione.lombardia.it).Circa 800 aziende, che rappresentano il 64% del totale, maconducono il 33% della Sau (circa 4.000 ettari, prevalentemente in montagna) sonodefinibili come aziende di sussistenza. Le aziende professionali, caratterizzate dauna quantità di lavoro superiore all’unità lavorativa e con reddito agricolo quale fon-te reddituale principale, sono invece il 22% (cioè 270 unità), ma conducono il 60%della Sau (7.240 ettari, più o meno equamente distribuiti fra montagna e collina).Marginali risultano, infine, altre due categorie di aziende: quelle per autoconsumo equelle definite come destrutturate che comprendono i gruppi caratterizzati da lavoroinferiore ad una unità lavorativa.Le aziende che verosimilmente sono in condizioni di attivare più agevolmente azioniimprenditoriali volte a sviluppare nuovi servizi, quali la vendita diretta dei prodotti,sono quelle professionali. Tuttavia, i maggiori benefici da politiche aziendali volte aderogare servizi si potrebbero ottenere da parte del più numeroso gruppo di aziendeclassificate di “sussistenza”, nelle quali potrebbe essere ottimizzato l’impiego del fat-tore lavoro. Il maggiore reddito che potrebbero ottenere gli operatori agricoli, infatti,potrebbe costituire valido motivo di permanenza nell’attività agricola, con conseguentebeneficio per il territorio. Per tali imprese le azioni di orientamento, di informazione,di assistenza e di coordinamento operativo (ad esempio per la trasformazione dei pro-dotti presso altre aziende agricole locali, con possibilità di integrare la materia primaaziendale nei limiti consentiti, si veda paragrafo n. 3.1), possono rappresentare un uti-le sostegno all’attuazione di politiche aziendali di sviluppo.

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1.4 Cenni sulle strutture aziendali di trasformazione dei prodottiNell’ambito di un’indagine svolta dalla Provincia di Lecco, con l’intento di ac-quisire conoscenze dei prodotti ottenuti nelle aziende agricole lecchesi6, sonostati rilevati, fra gli altri, dati relativi alle strutture aziendali destinate alla tra-sformazione e alla gestione dei prodotti (caseifici, macelli, laboratori di tra-sformazione, locali di stagionatura, celle frigorifere, magazzini e locali di ven-dita). Per ciascuna struttura è stata rilevata la consistenza, l’età, il livello di uti-lizzazione, l’adeguatezza e le esigenze di ammodernamento. L’indagine è statacondotta su 67 aziende agricole che, sulla base di elementi di conoscenza da par-te del Servizio Agricoltura provinciale, praticavano la trasformazione di pro-dotti e, con varie modalità e intensità, anche la vendita diretta. Sebbene il grup-po di aziende indagate non rappresenti la totalità delle aziende che attuano pro-cessi di trasformazione dei prodotti si ha ragione di ritenere che le informazio-ni disponibili derivanti dalla predetta indagine possano fornire un utile quadroinformativo (fatta eccezione per le imprese apistiche specializzate, che non sonostate comprese nell’indagine).

Tabella 1: dati di sintesi delle strutture utilizzate per la trasformazione e la ven-dita dei prodotti aziendali.

Numero 32 5 25 25 21 26Totale superficie/volume (mq;mc) 1.266 340 1.988 843 816 618Media superficie/volume (mq;mc) 40 68 80 34 39 24Utilizzazione con prodotti aziendali (%) 52 56 41 45 78 100Strutture costruite e/o ristrutturate dopo il 1995 (%) 63 60 68 56 71 62Aziende con esigenze di ammodernamento strutture (%) 9,4 33 16 12 5 15Aziende con esigenze di ammodernamento impianti (%) 3,1 33 12 12 0 23

Fonte: Ns. elaborazione dati “Indagine conoscitiva per la costruzione del quadro delle co-noscenze per la definizione di disciplinari di produzione dei prodotti agricoli lecchesi”.

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Dai dati dell’indagine, riportati sinteticamentenella Tab. 1 emerge che nell’ambito delle im-prese agricole provinciali si dispone di unadotazione strutturale e impiantistica abba-stanza recente, con realizzazioni o migliora-menti avvenuti perlopiù nell’ultimo decennio.I locali e gli impianti generalmente sono dipiccole dimensioni e utilizzati pressochéesclusivamente per le esigenze aziendali in-terne. La sola utilizzazione aziendale degli im-pianti, tuttavia, non sembra sfruttare inmodo ottimale la loro potenzialità, che con-sentirebbe di aumentare la capacità produt-tiva locale e di sfruttare maggiormente im-pianti e strutture senza o con minimi ulte-riori investimenti, come sembra rilevarsidalle limitate esigenze di ammodernamentodichiarate dalle imprese.Il maggiore sfruttamento degli impianti puòavvenire attraverso l’aumento dell’attività

aziendale, oppure favorendo l’accesso agli impianti ad altre aziende. Tale accesso puòrealizzarsi attraverso accordi che prevedano l’uso degli impianti da parte di altre im-prese, lavorazioni per conto terzi, lavorazioni congiunte, ecc.Attualmente questa modalità di collaborazione fra le imprese non trova una partico-lare diffusione, tuttavia essa potrebbe consentire, in condizioni adeguate, di conte-nere gli investimenti, ridurre i costi di produzione e di gestione dell’attività e favori-re relazioni di cooperazione fra le imprese. Inoltre, occorre considerare le disponibilità di strutture di trasformazione extragrico-le (macelli, caseifici, ecc) che costituiscono validi e utili alternative alla trasformazio-ne interna all’azienda.

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2 Il paniere dei prodotti agroalimentari lecchesiIn questo capitolo sono prese in esame le produzioni agroalimentari locali, con l’in-tento di evidenziare qual è il “paniere dei prodotti agricoli locali”. I dati di produzio-ne derivano da stime effettuate dal Servizio Agricoltura e Foreste della Provincia di Lec-co, mentre quelli relativi ai consumi medi sono stati tratti da numerose fonti e, prin-cipalmente, da documenti pubblicati sui siti internet da associazioni di categoria (es.Assocarni, Federalimentari, ecc).Come è agevole rilevare, il confronto fra produzione e consumi pro capite ha il soloscopo di mettere in evidenza la potenzialità del mercato locale di assorbire i prodottidell’agricoltura lecchese. E’ tuttavia evidente che il dato di consumo ha un significatomeramente statistico e, di per sé, non costituisce garanzia di successo delle politiche com-merciali da parte dei produttori agricoli, che evidentemente devono rispondere ad uncomplesso di esigenze e requisiti richiesti dal mercato e da categorie di consumatori.

2.1 I prodotti di origine vegetale

2.1.1 CerealiLa coltivazione dei cereali è praticata prevalentemente nell’area delpianalto e della bassa collina brianzola, mentre risulta marginalenelle zone montane del territorio. Prevalgono i cereali destinati al-l’alimentazione zootecnica (nell’ordine mais, orzo, triticale e l’ave-na). Il frumento tenero, invece, interessa una superficie di circa 450ettari, con considerevoli fluttuazioni di superficie in relazione allecongiunture di mercato.

2.1.2 Coltivazioni orticoleLe specie orticole sono variamente presenti sul territorio provinciale(otre 60 ettari) e vengono coltivate su superfici medie aziendali piut-tosto modeste, fatta eccezione per l’area collinare di Montevecchiae il pianalto meratese e casatese, dove si collocano le principali azien-de produttrici. Queste, benché pratichino la coltivazione orticola informa specializzata, restano tuttavia di piccole dimensioni. Fra iprodotti primeggiano quelle da foglia e le aromatiche, per le qua-li l’area di Montevecchia presenta una riconosciuta vocazione. Al-cune coltivazioni sono praticate in pieno campo, soprattutto le pian-te aromatiche (salvia e rosmarino), altre sia in pieno campo che inambiente protetto (coltivate prevalentemente in tunnel, come in-salate, pomodori, spinaci, erbette, zucchine, melanzane, peperoni,

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fagiolino fresco, cavolo, ecc.). In coltura protetta vengonoeseguiti diversi cicli colturali annui. Rispetto alle potenzialità territoriali, sia in termini di superficicoltivabili, sia in termini di espansione del mercato, soprattuttoattraverso forme di vendita diretta, queste colture localmentepresentano ancora un ampio margine di sviluppo.

2.1.3 Coltivazioni legnose agrarie All’interno di questo raggruppamento colturale sono com-presi gli oliveti, i vigneti e i frutteti, comprensivi anchedei piccoli frutti o frutti di bosco.Questo raggruppamento colturale tradizionalmente presentenel territorio provinciale (soprattutto per quanto riguardavite e olivo, andate soggette per varie cause ad un deca-dimento, ma attualmente in significativa ripresa), è acco-munato dalla limitata presenza di imprese che praticano lacoltivazione in modo professionale e specializzato. Fannoeccezione poche realtà imprenditoriali consolidate che siannoverano nel comparto vitivinicolo e in minore misura

nel comparto olivicolo. In quest’ultimo sono per lo più in fase di avvio alcune espe-rienze imprenditoriali, così come nella coltivazione dei piccoli frutti mentre, per quan-to riguarda i frutteti specializzati in senso stretto, sono pressoché inesistenti, trattan-dosi perlopiù di coltivazione di alberi da frutta di diverse specie in maniera promi-scua (fichi, ciliegi, prugne, albicocche, mele, pere, actinidia, ...).La vite è presente in un’ampia area del territorio provinciale ma è concentrata preva-lentemente nella zona collinare del Parco di Montevecchia e della Valle del Curone e lun-

go la riviera orientale del Lario. Da luglio 2008 il territoriodi 42 comuni della Brianza e di 27 della montagna lecche-se rientra nella zona di produzione dell’Indicazione geogra-fica tipica “IGT Terre lariane” a testimonianza del percorsodi miglioramento della qualità dei prodotti che le imprese vi-tivinicole hanno compiuto.La superficie a vigneto, comprensiva delle vigne di super-ficie inferiore a 1000 mq e perciò esonerate dall’obbligo diregistrazione al catasto vitivinicolo (60,53 ettari), è stima-ta in circa 90 ettari.La produzione stimata di uva è di circa 480 t, dalla quale siottengono circa 3.100 ettolitri di vino (di cui circa il 75% ros-so), fra cui uno spumante molto apprezzato. La produzione

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destinata al mercato è concentrata prevalentemente in po-chissime aziende, che dispongono di prodotti di qualitàe che a partire dalla vendemmia 2008 possono fregiar-si dell“IGT Terre lariane”.Per quanto riguarda la coltivazione dell’olivo, nel 2007la superficie interessata da questa coltura è stata stimatain circa 65 ettari. La produzione di olive nello stessoanno è stata di circa 56,6 t, ma vi è da considerare chequesta coltura è soggetta ad alternanza di produzione(annate di carica e annate di scarica). Nelle annate dicarica il dato si posiziona su circa 100 t di olive, chedanno un rendimento in olio variabile in funzione dinumerosi fattori, ma che mediamente si posiziona intorno al 15%. La disponibilità diprodotto trasformato varia, quindi, tra 8.000 e 11.000 kg di olio. L’area dove è maggiormente coltivato l’olivo rientra nella zona di produzione dell’olioextra vergine a denominazione d’origine protetta (Dop) “Laghi lombardi”, con la sot-to denominazione “Lario”.La superficie investita a frutti di bosco (lampone, mirtillo, ribes comune e ribes nero,more) nel 2007 ha raggiunto circa 9 ettari ed è in crescita. La coltivazione è praticatasoprattutto dalle aziende che svolgono, o che intendono svolgere in futuro attività agri-turistiche, poiché consente di ottenere prodotti facilmente utilizzabili nella ristorazio-ne, mediante la preparazione di dolci e confetture.La superficie interessata da colture frutticole nel 2007 è stata stimata in circa 24 et-tari, con prevalenza del castagneto da frutto che da solo occupa un quarto dell’interasuperficie (6 ettari). Seguono coltivazioni di mele da tavola (3 ettari), noci (1,9 ettari)e altre specie coltivate all’interno di frutteti misti (pero, pesco, susino, ciliegio, albi-cocco, ecc). Questo particolare comparto non ha ancora assunto unavera e propria dimensione imprenditoriale e la produ-zione è destinata per lo più all’autoconsumo, ad ecce-zione dei limitati casi di trasformazione per la produ-zione di succhi e confetture destinate alla vendita di-retta da parte del produttore.

2.1.4 Conserve dolci e salateLa produzione locale di conserve dolci è stimata in cir-ca 8 t e si tratta in buona parte di prodotti collegati allacoltivazione di piccoli frutti, oltre che allo sfruttamen-

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to di piante da frutta isolate o di frutti selvatici. Innumerosi casi la produzione di conserve dolci è col-legata all’attività di agriturismo, all’interno della qua-le questi prodotti trovano impiego per circa il 30%nella preparazione di dolci utilizzati nell’attività diristorazione. Dall’indagine condotta dalla Provin-cia nel 2004, che per questi prodotti ha interessa-to 17 aziende, è emerso che essi sono costituiti dasucchi e da confetture, caratterizzate da un eleva-to contenuto in frutta.Meno importante, dal punto di vista quantitativoe per il numero di operatori coinvolti, è la produ-zione di conserve salate, consistenti prevalentemente

in sottoli e sottaceti la cui produzione, stimata in circa 4 t, è ancor più direttamentecollegata all’attività agrituristica e in particolare a quella di ristorazione.

2.2 I prodotti di origine animale

Per le caratteristiche ambientali e di destinazione colturale dei terreni, che vedono lapresenza di un’estesa presenza di colture foraggere, le produzioni animali rivestono unaparticolare importanza per l’agricoltura lecchese. Infatti si può rilevare una diffusa pre-senza di allevamenti zootecnici, per lo più di piccole e piccolissime dimensioni. Dai dati2007 risultano particolarmente diffusi gli allevamenti ovicaprini (1,050) e quelli bo-vini (974), con una significativa presenza di allevamenti equini (650) e suini (260). Non

trascurabile è il comparto apistico, dove operano cir-ca 300 allevatori (di cui circa 25-30 professionali)con oltre 430 postazioni, tra stanziali e nomadi.Alla particolare diffusione territoriale degli alleva-menti si contrappone una più modesta consisten-za complessiva del patrimonio zootecnico provin-ciale, che vede la presenza di 15.000 capi ovica-prini (di cui 8.600 caprini e 6.480 ovini), 11.343 capibovini (di cui 4.103 vacche da latte), 2.620 suini(di cui 400 scrofe), 2.110 equini. Naturalmente nonmancano le specie avicole presenti in 6 allevamentiprofessionali, (40.000 ovaiole, 190.000 polletti, 1.000tacchini, ecc), oltre ai numerosissimi allevamenti fa-miliari perlopiù destinati all’autoconsumo, i coni-gli (con circa 6.500 fattrici e 40.000 capi di ingrasso)

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e circa 10.000 arnie. Da questi dati derivano consistenze medie aziendali piuttosto mo-deste, che delineano un quadro imprenditoriale fatto soprattutto di piccole imprese, pre-valentemente a carattere familiare. Tuttavia, i dati evidenziati non impediscono a di-verse realtà imprenditoriali agricole di avere una dimensione produttiva ed economi-ca di tutto rispetto.All’interno di questo quadro strutturale dell’aggregato zootecnico, la provincia di Lec-co dispone di un’ampia gamma di prodotti di origine animale, che tuttavia in alcunicasi presentano una limitata disponibilità.

2.2.1 CarniLa capacità produttiva di carne dell’agricoltura lecchese, secondo le stime riferite al 2007,ammonta complessivamente a circa 4.234 t. La disponibilità teorica pro-capite rife-rita alla popolazione residente è di circa 13 Kg/anno. Il dato riferito copre circa il 25%del consumo medio procapite e evidenzia l’ampio divario esistente tra domanda po-tenziale e offerta reale che, nei limiti delle risorse territoriali locali, lascia intravede-re non solo le potenzialità di crescita dell’offerta, ma anche quella di miglioramentodel prodotto per una sua maggiore valorizzazione.

Tabella 2: confronto fra produzione e consumo di varie tipologie di carneProdotto Produzione locale ’07 (t) Disponibilità pro capite (Kg) Consumo pro capite (Kg)*Carni bovine 1.392 4,3 25Carni suine 635 2 32Carni avicole 1.571 5 27Carni cunicole 315 1 4Carni ovi-caprine 217 0,7 1,5Altre carni 104 0,3 n.d.Totale 4.234

* Fonte: i dati sono stati rilevati da diverse fonti, perlopiù associazioni di categoria, e fanno riferi-mento alla media nazionale.

2.2.2 SalumiLa produzione di salumi viene praticata in alcunedecine di aziende, parte delle quali vendono anchecarne suina fresca. Una quantità limitata della pro-duzione è impiegata direttamente dall’aziendanella ristorazione agrituristica, mentre la maggiorparte è venduta prevalentemente in azienda e in mi-nore misura nei mercati locali. In numerosi casila trasformazione viene effettuata esternamente al-l’azienda, all’interno di laboratori artigianali aven-

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ti i requisiti igienico sanitari previsti e presso i quali si possono utilizzarele competenze professionali di artigiani che tradizionalmente praticano l’ar-te della norcineria.La quantità di salumi prodotta risulta di difficile stima; tuttavia, si ritieneche essa sia di circa 50-60 t/anno ed è abbastanza omogeneamente distri-buita nelle diverse aziende che praticano la trasformazione, fatta eccezio-ne per una di esse che produce circa il 20% del totale. Le potenzialità di incremento di questi prodotti sono rilevanti, consideratoche la trasformazione all’interno di aziende agricole riguarda meno del 10%della produzione provinciale di carne suina.

2.2.3 LatteIl latte è uno dei principali alimenti prodotti dall’agricoltura lecchese e quel-lo vaccino è ottenuto in 134 aziende titolari di quota di produzione, con unquantitativo di riferimento di 25.295,1 t e una produzione dichiarata nellacampagna 2006/07 di 26.457,8 t. Le aziende titolari di “quota vendita” sono 73, con un quantitativo di rife-rimento di circa 2.685 t. La maggior parte del latte prodotto in quota vendi-

te è avviato alla trasformazione, anche se negli ultimissimi anni è in progressiva cre-scita il quantitativo di latte alimentare venduto attraverso i distributori automatici, (cir-ca 30 impianti collocati in oltre 20 comuni.)Localmente è presente anche una discreta quantità di latte caprino, stimata in circa 900t/anno, che viene avviata interamente alla trasformazione di formaggi, perlopiù fre-schi, particolarmente apprezzati dal mercato. Il trend della produzione di latte capri-no è in crescita e vede impegnate molte giovani imprese.

2.2.4 FormaggiDal latte prodotto in quota vendita si stima derivino circa 300 t di formaggi di varianatura. I produttori agricoli che trasformano direttamente il latte, infatti, ottengono

una notevolissima varietà di formaggi, i quali, anche sea volte denominati nello stesso modo, sono in realtà il ri-sultato di modalità di produzione che si diversificano sen-sibilmente da un’azienda all’altra. Normalmente, nelleaziende montane che trasformano latte vaccino si riscontrauna minore varietà di prodotti e più uniformi sistemi dilavorazione del latte (si produce quartirolo, taleggio, lat-teria magro e grasso, pasta per formaggini) mentre nel-le aziende di collina si riscontra una produzione casea-ria più diversificata. Classificando i tipi di formaggio in base al tipo di latte

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impiegato (caprino, vaccino o misto), al tipo di pa-sta (dura, semidura e molle), alla cottura della cagliata(cotta, semicotta e cruda), si trovano 15 tipologie diformaggi (che diventano 28 se si distingue anche inbase al tempo di stagionatura). Tutto ciò può essereindicativo di come le aziende cerchino di incontra-re i gusti dei consumatori, cercando di attrarne il maggior numero offrendo una va-sta gamma di prodotti, Dal confronto fra disponibilità locale pro capite (circa 1 kg) e consumo medio nazio-nale pro capite (circa 24 Kg) emerge che per i formaggi prodotti direttamente dall’im-presa agricola esista una potenzialità di mercato considerevole e che la crescita del-l’offerta può essere sostenuta sia dall’incremento della quo-ta vendite del latte (con contestuale riduzione della “quotaconsegne”), sia dalla disponibilità di capacità produttiva deicaseifici aziendali esistenti.Oltre ai tradizionali formaggi diverse aziende agricole pro-ducono anche yogurt, di latte vaccino e caprino, naturale ealla frutta. Per questo prodotto la domanda degli ultimi anniè stata in crescita.

2.2.5 UovaLa produzione lecchese di uova è stimata in oltre 12 milio-ni di pezzi, pari a oltre 740 t.La disponibilità teorica pro capite riferita alla popolazione residente è di circa 37uova/anno, a fronte di un consumo nazionale medio pro capite di 225.

2.2.6 MieleLa produzione di miele da parte degli apicoltori lecchesi nel 2007 è stata stimata in 72t, ma la campagna produttiva ha risentito di avverse condizioni meteorologiche chehanno pregiudicato in modo rilevante i risultati produttivi. La quantità di prodotto lo-cale che può assumersi ordinariamente disponibile è di circa 100 t/anno, a cui corri-sponde una disponibilità pro capite riferita alla popolazione residente di circa 0,3 Kg,in linea con i consumi medi nazionali.Agli apicoltori lecchesi sono riconosciute elevate capacità tecniche e professionali e gra-zie alla diffusione del nomadismo, che interessa oltre un terzo delle arnie presenti (3.717,collocate in 106 postazioni), si ottengono prodotti di elevata qualità, riconosciuta so-prattutto nei mieli uniflorali (acacia, castagno, tarassaco, ciliegio, ecc).Anche in questo comparto, caratterizzato dalla presenza di circa 300 apicoltori, nu-merosissimi sono gli hobbisti, mentre i professionisti rappresentano circa il 10% deiproduttori.

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3 Aspetti normativi e modalità di vendita diretta

3.1 Aspetti generali

Nell’ambito dei rapporti dell’impresa agricola con il mercato, al pari delle altre impre-se, la commercializzazione riveste una fondamentale importanza.L’attività di commercializzazione dei prodotti agricoli si può qualificare come “agricolaper connessione”, a norma dell’articolo 2153 del codice civile, se riguarda i prodottiottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamentodi animali (elemento oggettivo) ed è esercitata dalla stessa impresa produttrice (elementosoggettivo).Per effetto del richiamo alla “prevalenza” da parte della norma, pertanto, non residuanodubbi sulla possibilità per l’imprenditore agricolo di potere vendere i propri prodottiaffiancando alla sua produzione aziendale anche prodotti agricoli acquistati sul mer-cato, in misura non prevalente.La principale norma di riferimento per la vendita diretta dei prodotti da parte degli im-prenditori agricoli è contenuta nel D.Lgs. 18 maggio 2001 n. 228 “Orientamento e mo-dernizzazione del settore agricolo, a norma dell’articolo 7 della legge 5 marzo 2001,n. 57” e precisamente nell’articolo 4 “Esercizio dell’attività di vendita”.Tale articolo al primo comma prevede che gli imprenditori agricoli, singoli o associati,iscritti nel registro delle imprese di cui all’art. 8 della legge 29 dicembre 1993, n. 580,possono vendere direttamente al dettaglio, in tutto il territorio della Repubblica, i pro-dotti provenienti in misura prevalente dalle rispettive aziende, osservate le disposizio-ni vigenti in materia di igiene e sanità. Il comma 5 precisa che la disciplina si appli-ca anche nel caso di vendita di prodotti derivati, ottenuti a seguito di attività di ma-

nipolazione o trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici,finalizzate al completo sfruttamento del ciclo produttivo del-l’impresa.L’articolo 4, comma 1 del D.Lgs 29 marzo 2004 n. 99 ha este-so la disciplina amministrativa in tema di vendita direttaprevista dall’art. 4 del D.Lgs 228/2001 anche agli Enti e alleAssociazioni che vendono direttamente prodotti agricoli.Il comma 6 dell’art. 4 del D.Lgs 228/2001 chiarisce che nonpossono esercitare l’attività di vendita diretta gli impren-ditori agricoli, singoli o soci di società di persone e le per-sone giuridiche i cui amministratori abbiano riportato, nel-l’espletamento delle funzioni connesse alla carica ricoper-ta nella società, condanne con sentenza passata in giudi-cato, per delitti in materia di igiene e sanità o di frode nel-

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la preparazione degli alimenti nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio del-l’attività. Il divieto ha efficacia per un periodo di cinque anni dal passaggio in giudi-cato della sentenza di condanna.E’ da sottolineare che rispetto alla precedente Legge 9 febbraio 1963 n. 59 “Norme perla vendita al pubblico in sede stabile dei prodotti agricoli da parte degli agricoltori pro-duttori diretti”, tuttora vigente, il D.Lgs. n. 228/2001 amplia l’ambito di applicazionedella vendita diretta dei prodotti agricoli, in quanto esenta chiaramente dalla materiadel commercio anche la vendita dei prodotti agricoli non provenienti dall’azienda, pur-ché entro il limite seguente: i ricavi dell’anno solare precedente ottenuti dalla ven-dita di prodotti agricoli non provenienti dalla propria azienda deve essere inferiore a160.000 euro per gli imprenditori individuali e a 4.000.000 di euro per le società, comedisposto dalla legge finanziaria 2007 (art. 1, comma 1064, L. 296/2006).Relativamente all’esenzione dalla materia del commercio è tuttavia opportuno sotto-lineare che essa non è da intendersi in senso assoluto, ma correlata:

• al concetto di “prevalenza” della provenienza dei prodotti contenuto nel comma1 dell’art. 4. Come chiarito dalla circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 44 del15.11.2004, la prevalenza può essere misurata o in termini di quantità, se i benida porre a confronto risultano omogenei (ad esempio le mele acquistate da terzida trasformare insieme a mele proprie per ottenere marmellata), o in termini di va-lore, se i beni non sono omogenei (ad esempio le pere acquistate da terzi da tra-sformare insieme a mele proprie per ottenere marmellata).

• alla natura agricola dei prodotti, intendendosi per tali solo quelli derivanti dall’attivitàdi “coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connes-se”, come indicato dall’articolo 2135 del codice civile.

Rispetto al rapporto intercorrente fra la vendita diretta dei prodotti agricoli e l’attivi-tà commerciale, il comma 7 dell’articolo 4 del D.Lgs 228/2001, stabilisce che alla ven-dita diretta da parte degli imprenditori agricoli non si applicano le disposizioni in ma-teria di commercio, come ad esempio i requisiti di accesso all’attività, la programma-zione della rete distributiva, l’obbligo di chiusura settimanale e in generale l’osservanzadegli orari di apertura e di chiusura degli esercizi di vendita. In merito a quest’ultimoaspetto, pertanto, l’attività di vendita diretta di prodotti agricoli non è sottoposta al-l’obbligo di chiusura domenicale e festiva (prescritto dall’articolo 11, comma 4, del D.lgs.n. 114/1998) per gli esercizi di vendita al dettaglio. L’unico rinvio alla disciplina ge-nerale sul commercio riguarda l’assegnazione dei posteggi agli imprenditori agricolinelle aree mercatali pubbliche.

3.2 Disciplina delle modalità di vendita

Sempre all’articolo 4 del D. Lgs. n. 228/2001 si trovano menzionate le diverse modalitàcon cui i produttori agricoli possono effettuare la vendita diretta dei prodotti agricoli.

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3.2.1 Vendita diretta in forma itinerante.Questa modalità di vendita si effettua con un mezzo mobile opportu-namente attrezzato o mediante commercio elettronico (via internet). Chiintende adottare questa modalità di vendita deve comunicarlo preven-tivamente al comune dove ha sede l’azienda di produzione. La venditapuò essere effettuata in tutto il territorio nazionale decorsi trenta gior-ni dal ricevimento della predetta comunicazione da parte del comune. La comunicazione deve contenere le generalità del richiedente, le in-dicazioni dell’iscrizione nel registro delle imprese, gli estremi di ubica-zione dell’azienda, la specificazione dei prodotti di cui s’intende prati-care la vendita e le modalità con cui si intende effettuarla.

3.2.2 Vendita diretta in sede stabileQuesta modalità di vendita prevede che la comunicazione debba essere indirizzata alcomune nel cui territorio si intende esercitare la vendita, che può essere effettuata:1. in locali aperti al pubblico, quali un negozio o lo spaccio aziendale; 2. su aree pubbliche, anche con l’utilizzo di un posteggio. In questo caso la comu-

nicazione al comune deve contenere anche la richiesta di assegnazione del po-steggio, secondo la disciplina regionale, in base alla quale i comuni fissano i cri-teri di assegnazione delle aree riservate agli agricoltori che esercitano la venditadei loro prodotti.Per la Lombardia la L.R. 21 marzo 2000 n. 15 “Norme in materia di commercioal dettaglio su aree pubbliche” e successive modifiche prevede che nei mercatipuò essere riservato ai produttori agricoli fino ad un massimo del tre per centodei posteggi complessivamente disponibili per il settore alimentare e prodotti or-toflorofrutticoli. Essa prevede, inoltre, che qualora i posteggi disponibili siano in-feriori al numero di domande, la loro assegnazione da parte del comune avven-ga mediante una graduatoria redatta secondo i criteri di priorità indicati all’arti-colo 5 della stessa legge, cioè:a) maggior numero di presenze maturate nell’ambito del singolo mercato; b) attestato di frequenza ai corsi di formazione di cui all’articolo 1-bis, comma 9; c) anzianità di registro delle imprese; d) anzianità dell’attività di commercio su aree pubbliche attestata dal Registro del-le Imprese.

3.2.3 Vendita diretta su superfici private all’aperto, anche esterne all’azienda agricolaAtteso che l’attività di vendita dei prodotti agricoli costituisce una “normale” attivi-tà agricola (attività connessa ex art. 2135 c.c.). la legge n. 81 del 2006 ha esentatotale modalità di vendita dalle incombenze amministrative previste per le altre mo-dalità, disponendo che “per la vendita al dettaglio esercitata su superfici all’aperto

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nell’ambito dell’azienda agricola o di altre aree private dicui gli imprenditori agricoli abbiano la disponibilità nonè richiesta la comunicazione di inizio attività”.

3.2.4 Aspetti amministrativi: la comunicazione al comunePer la comunicazione da indirizzare al comune per l’eser-cizio della vendita diretta in forma itinerante o in sede fis-sa occorre utilizzare la modulistica predisposta dalla Re-gione Lombardia (Decreto del Direttore centrale16 luglio2008 n.7813), pubblicata sul 2° supplemento straordina-rio al Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia n. 31 del 29 luglio 2008.Tale comunicazione prende il nome di Dichiarazione di inizio attività produttiva (DIAP)e si compone di 2 modelli (A e B) e 5 schede. Per l’avvio dell’attività di vendita diret-ta da parte dei produttori agricoli occorre trasmettere al comune il Modello A e la sche-da n. 4.La modulistica può essere reperita presso il proprio comune o sul sito internet www.re-gione.lombardia.it (scrivere “diap” nel campo ricerca).

3.3 Aspetti operativi e considerazioni sulle diverse modalità di vendita diretta

In questa parte del volume si esaminano i diversi canali di commercializzazione deiprodotti agricoli, con riferimento diretto ai cosiddetti “circuiti brevi”, all’interno dei qua-li si colloca la vendita diretta, cioè quella modalità di vendita che porta a diretto con-tatto il produttore e il consumatore. Tuttavia, in questa sede si ritiene opportuno fareanche un cenno ad altre modalità di vendita e segnatamente attraverso i negozi e laristorazione, che sebbene non costituiscano una forma diretta di vendita dal produt-tore al consumatore finale, in quanto prevedono un passaggio intermedio, rivestonouna notevole importanza nelle strategie di commercializzazione dei prodotti locali.Le diverse modalità di commercializzazione nell’ambito dei cosiddetti “circuiti brevi”sono riconducibili a: vendita in azienda, vendita in negozio del produttore, venditanei mercati riservati agli agricoltori, vendita nei mercati locali, vendita nell’ambito difiere e mostre, vendita itinerante, vendita a gruppi di acquisto (GAS).Inoltre si segnalano ulteriori modalità di vendita diretta che potrebbero essere prese inconsiderazione da parte dei produttori: vendita per corrispondenza, e-commerce (ven-dita via internet).

3.3.1 Vendita in azienda con spaccio individuale o collettivoRientra nella forma di vendita in sede stabile su area privata in locale aperto al pub-blico ed è la modalità di vendita più diffusa. Essa, tuttavia, presenta in generale diversilimiti ovvero:

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a. generalmente il numero di prodotti posti in vendita da una singola azienda è li-mitato e non permette al consumatore di effettuare l’acquisto dei diversi prodot-ti di cui necessita;

b. il consumatore subisce il disagio di doversi recare in diverse aziende per comple-tare la “borsa della spesa”;

c. le aziende agricole sono generalmente ubicate all’esterno dei centri abitati e conpossibili problematiche di viabilità.

Per il produttore, invece, il vantaggio della vendita in azienda è connesso ad una mag-giore facilità di gestione dell’attività:a. per la presenza dei prodotti posti in vendita sul luogo di produzione;b. per la disponibilità in azienda di locali da adibire alla vendita in modo perma-

nente o temporaneo;c. per il risparmio di tempo connesso agli spostamenti al di fuori dell’azienda;d. per l’eliminazione dei costi di trasporto (automezzo e carburanti) e di eventuale

personale.A fronte di questi vantaggi generali occorre tuttavia considerare che per effettuare lavendita in azienda spesso sono necessari investimenti che possono variare da pochemigliaia ad alcune decine di migliaia di euro, in funzione delle condizioni di parten-za, con riferimento:a. all’idoneità dei locali di vendita;b. alla disponibilità di attrezzature di vendita (scaffali, banco frigo, cassette, ecc);c. allo stato della viabilità per raggiungere l’azienda;d. alla cartellonistica per informare e guidare in azienda i clienti;e. alla pubblicità del singolo punto vendita.In linea generale questa modalità di vendita può essere tanto più interessante quantopiù l’azienda agricola:a. è facilmente raggiungibile dalle principali arterie viabilistiche;b. dispone di una gamma di prodotti diversificata;c. dispone di locali idonei;d. offre al cliente servizi efficienti e apprezzati, quali ad esempio i servizi agrituristi-

ci, locali di vendita accoglienti, aree all’aperto per la so-sta dei veicoli e per l’accoglienza, possibilità di degusta-re i prodotti, di vistare l’azienda e di conoscere meglio isistemi di produzione, ecc. In altre parole, per effettuare con successo la vendita di-retta in azienda, il produttore deve cercare di “compen-sare” il disagio del cliente a cui viene richiesto di recarsiin azienda, offrendogli un “controvalore” allettante in ser-vizi di qualità.I possibili “correttivi” per aumentare la convenienza adeffettuare questa modalità di vendita possono essere:

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a. l’ampliamento della gamma dei prodotti posti in ven-dita, mediante l’acquisto di prodotti diversi da quel-li di cui dispone l’azienda, nei limiti della prevalen-za previsti dal D.Lgs. 228/2001 (si ricorda al riguardoche i prodotti acquistati da terzi devono essere prodottiagricoli).Le decisioni su tipologia e caratteristiche dei prodot-ti da acquistare da altri produttori, ad integrazione del-la propria produzione, derivano dall’esperienza diret-ta di ciascuna azienda, in relazione alle richieste e alleesigenze della propria clientela e alle politiche com-merciali che ciascuna azienda intende adottare. Diverse aziende che praticano giàla vendita diretta fanno ricorso a queste forme di integrazione, sebbene non sia-no ancora molto diffuse. I prodotti già confezionati (ad esempio il miele, le con-fetture, le conserve salate, il vino, i formaggi stagionati, ecc) sono quelli più fa-cilmente gestibili, così come il latte venduto attraverso distributori automatici;

b. l’ampliamento della gamma dei prodotti posti in vendita, mediante l’organiz-zazione di uno spaccio aziendale collettivo, realizzabile con il coinvolgimentodi più aziende aventi prodotti complementari e che partecipano paritariamente al-l’attività di vendita. Questa modalità consentirebbe di offrire alla clientela una gam-ma molto ampia di prodotti, che può essere realizzata anche con la collaborazionedi poche aziende agricole, opportunamente scelte per la diversità delle produzio-ni. Queste, inoltre, possono essere ulteriormente integrate con acquisti di prodottida terzi (sempre entro i limiti della prevalenza). La realizzazione di questa modalità di vendita: • richiede l’esistenza di un sistema di relazioni interpersonali fra gli imprendi-

tori fondato sulla fiducia reciproca, sulla propensione alla cooperazione, su obiet-tivi comuni e condivisi;

• presuppone la disponibilità all’interno di un’azienda agricola, favorevolmen-te ubicata rispetto alle vie di comunicazione, di strutture adeguate a ospitarele altre aziende partecipanti. Tali strutture possono essere anche di tipo legge-ro (casette in legno, tensostrutture, tettoie, ecc), rispondenti ai requisiti igieni-co sanitari, e collocate in un’area adeguata dell’azienda;

• permette di ridurre i costi di investimento e di gestione (energia, acqua, servi-zi di accoglienza per la clientela, attrezzature di vendita, pubblicità, cartello-nistica, ecc), che sarebbero ripartiti fra più produttori;

• permette di ridurre l’impegno richiesto dall’attività di vendita (possibilità di farei turni) garantendo anche l’apertura dello spaccio per un maggior numero di ore;

• permette di ottimizzare l’uso di edifici e altre risorse strutturali esistenti all’in-terno delle aziende agricole;

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• aumenta l’attrattività del punto vendita verso i clienti per effetto della diver-sificazione dei prodotti acquistabili e, conseguentemente, permette di incrementareil volume degli scambi delle aziende, rispetto a quello che ciascuna di esse po-trebbe realizzare autonomamente;

• favorisce la coesione sociale e fra le imprese agricole.

3.3.2 Vendita in locali aperti al pubblico fuori dall’azienda, in forma individuale ocollettivaQuesta forma di vendita si effettua su area privata in sede stabile esternamente all’azienda,quale ad esempio un negozio posto all’interno di un centro abitato. Rispetto all’ana-loga formula in azienda presenta il vantaggio di essere collocata dove risiedono i con-sumatori, i quali sono facilitati nell’accesso ai prodotti locali, non dovendosi recare inazienda per l’acquisto. In questo modo, perciò, è il produttore che porta nel luogo diconsumo i prodotti. L’attivazione di questa modalità di vendita comporta costi rilevanti per il produttore,connessi all’uso dei locali (affitto o acquisto, arredamento, attrezzature di vendita, spe-se di gestione, ecc), la cui entità può rivelarsi difficilmente sostenibile. Anche in que-sto caso una possibile “azione correttiva” può essere costituita dalla condivisione dellocale con altre aziende agricole, realizzando in tal modo un punto vendita collettivo. In ogni caso occorre considerare che:a. la localizzazione e la cura del negozio riveste una particolare importanza ai fini

del successo dell’iniziativa;b. la vendita all’esterno dell’azienda agricola di produzione, con la quale la clien-

tela non avrebbe occasione di relazione diretta, potrebbe indurre il consumatoread assimilare l’attività ad una normale attività commerciale;

c. per mantenere viva nella clientela la percezione del legame dei prodotti con ilterritorio è quindi importante curare la comunicazione e le relazioni, con strumentiquali audiovisivi, depliant, organizzazione di visite aziendali, ecc;

d. i costi per l’attivazione di questa modalità di vendita possono essere di entità taleda richiedere un’elevata frequenza di vendita giornaliera, eventualmente non com-patibile con la disponibilità di personale esistente all’interno dell’azienda. In talcaso potrebbe essere necessario assumere personale che determinerebbe un au-mento dei costi per l’impresa.

3.3.3 I mercati agricoli di vendita direttaUna nuova e particolare forma di vendita in sede stabile, su area pubblica o in localiaperti al pubblico, sono i mercati riservati alla vendita diretta da parte degli impren-ditori agricoli, previsti dall’art. 1, comma 1065 della Legge 27 dicembre 2006, n. 296(legge finanziaria 2007).In attuazione di tale norma il 20 Novembre 2007 è stato emanato il Decreto del Mi-

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nistero delle Politiche Agricole e Forestali (GU n. 301 del29.12.2007), con il quale vengono definite le linee di indi-rizzo per la realizzazione dei mercati riservati alla venditadiretta da parte degli imprenditori agricoli.Il decreto prevede che i comuni, anche consorziati o asso-ciati, di propria iniziativa o su richiesta degli imprenditorisingoli, associati o attraverso le associazioni di produttori edi categoria, istituiscono o autorizzano i mercati agricoli divendita diretta che soddisfano gli standard previsti dallo stes-so decreto e dispone che le richieste di autorizzazione si in-tendono accolte trascorsi sessanta giorni dalla richiesta sen-za comunicazioni contrarie.I comuni istituiscono o autorizzano i mercati agricoli di vendita diretta sulla base diun disciplinare di mercato che deve regolare le modalità di vendita, finalizzato alla va-lorizzazione della tipicità e della provenienza dei prodotti medesimi.Nei mercati agricoli di vendita diretta, conformi alle norme igienico-sanitarie di cuial Reg. n. 852/2004 e soggetti ai relativi controlli da parte delle autorità competenti,possono essere posti in vendita esclusivamente prodotti agricoli conformi alla disci-plina in materia di igiene degli alimenti, etichettati nel rispetto della disciplina in vi-gore per i singoli prodotti e con l’indicazione del luogo di origine territoriale e del-l’impresa produttrice.All’interno di tali mercati, oltre alla vendita diretta dei prodotti agricoli, è ammesso l’eser-cizio dell’attività di trasformazione dei prodotti da parte degli imprenditori agricoli nelrispetto delle norme igienico-sanitarie; inoltre, possono essere realizzate azioni di in-formazione per i consumatori sulle caratteristiche qualitative dei prodotti agricoli po-sti in vendita, attività culturali, didattiche e dimostrative legate ai prodotti alimenta-ri, tradizionali ed artigianali del territorio rurale di riferimento, anche attraverso sinergiee scambi con altri mercati autorizzati.I comuni favoriscono la fruibilità dei mercati agricoli di vendita diretta anche mediantela possibilità, per altri operatori commerciali, di fornire servizi destinati ai clienti deimercati.I soggetti ammessi alla vendita nei mercati agricoli di vendita diretta sono gli imprenditoriagricoli, iscritti nel registro delle imprese (art. 8 L. n. 580/1993), che rispettino le se-guenti condizioni:a. conducano un’azienda agricola ubicata nell’ambito territoriale amministrativo del-

la regione o negli ambiti definiti dalle singole amministrazioni competenti;b. vendano prodotti agricoli provenienti dalla propria azienda o dall’azienda dei soci

imprenditori agricoli, anche ottenuti a seguito di attività di manipolazione o tra-sformazione, ovvero anche prodotti agricoli ottenuti nell’ambito territoriale di cuialla lettera a), nel rispetto del limite della prevalenza di cui all’art. 2135 del co-dice civile;

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c. non siano incorsi in condanne per delitti in materia di igiene e sanità o di frodenella preparazione degli alimenti nel quinquennio precedente all’inizio dell’eser-cizio dell’attività.

L’attività di vendita all’interno dei mercati agricoli di vendita diretta è esercitata daititolari dell’impresa, ovvero dai soci in caso di società agricola e di quelle di cui all’art.1, comma 1094, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, dai relativi familiari coadiuvanti,nonchè dal personale dipendente di ciascuna impresa.L’esercizio dell’attività di vendita all’interno dei mercati agricoli di vendita diretta none’ assoggettato alla disciplina sul commercio e i produttori possono accedervi nel ri-spetto delle comunicazioni previste dall’art. 4 del D. Lgs n. 228/2001.

3.3.4 Vendita in sede stabile su aree pubbliche con l’utilizzo di un posteggio (mer-cati rionali o cittadini)Questa modalità di vendita si riferisce a quella comunemente utilizzata dai produtto-ri agricoli che ottengono l’assegnazione di un posteggio nei mercati rionali o cittadi-ni. Per l’assegnazione di un posteggio il produttore agricolo deve presentare la domandaal comune in cui intende effettuare la vendita e poiché generalmente i posti disponi-bili per i produttori agricoli sono in numero limitato, il comune redige una graduato-ria. Pur considerando che le possibilità di avere in assegnazione un posteggio sono rea-listicamente limitate, data la loro scarsa disponibilità, occorre considerare il ricambioche naturalmente si determina fra le aziende nei mercati, a seguito del quale si ren-dono disponibili posteggi per i produttori agricoli in graduatoria.Per la vendita nei mercati cittadini il produttore deve disporre di un automezzo per iltrasporto dei prodotti e di adeguate attrezzature per la vendita, fra cui banchi su cuiesporre i prodotti, eventuale frigorifero se richiesto, ombrellone o gazebo, cassette, bi-lancia, ecc.Questa modalità di vendita è abbastanza impegnativa in termini di lavoro, per il tra-sporto, l’esposizione dei prodotti e il ritiro a fine mercato; inoltre, il contesto è gene-ralmente fortemente concorrenziale e richiede una presenza costante per fidelizzare iclienti. Infine, prima di scegliere se partecipare o meno, occorre considerare il bacinodi utenza di ciascun mercato, da cui dipende fortemente il volume complessivo degliscambi e quindi la convenienza economia a parteciparvi. Alcuni produttori agricoli lecchesi sono presenti in alcuni dei 67 mercati che si svol-gono nelle diverse città e paesi della provincia di Lecco. Per visualizzare i comuni, illuogo, il giorno di mercato e il numero di posteggi complessivi per ciascun mercato siconsulti l’elenco sul sito www.italiaambulante.com.

3.3.5 Vendita in occasione di fiere e mostreSi tratta della vendita effettuata in occasione di manifestazioni organizzate da diver-si soggetti (Associazioni, Pro loco, Comitati, ecc), nelle quali sempre più frequentemente

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si registra la richiesta di partecipazione dei produttori agricoli locali. Alcune di questemanifestazioni, organizzate con frequenza mensile o con maggiore occasionalità, sonodei veri e propri mercati degli agricoltori.

3.3.6 Vendita diretta in forma itineranteIl produttore agricolo che intende esercitare la vendita con questa modalità deve inol-trare comunicazione al comune dove è ubicata l’azienda e decorsi trenta giorni puòiniziare la vendita su tutto il territorio nazionale. Questa modalità di vendita richiedel’uso di un automezzo opportunamente attrezzato per il trasporto e l’esposizione deiprodotti. Il produttore agricolo può pertanto sostare per il tempo da egli ritenuto ne-cessario al fine di avvicinare i clienti. E’ una forma di vendita che non riscuote parti-colare interesse presso i produttori agricoli lecchesi e pertanto è poco praticata. Tut-tavia, in alcuni luoghi particolarmente frequentati con continuità o in determinati pe-riodi (prossimità di impianti sportivi, impianti sciistici, spettacoli, ecc) potrebbe costi-tuire un’interessante opportunità.

3.3.7 Vendita a Gruppi di Acquisto Solidali (GAS)Un ulteriore canale di vendita diretta da parte dei produttori agricoli è rappresenta-to dai GAS, i quali privilegiano il rapporto con piccoli produttori locali per l’acqui-sto dei prodotti, per avere la possibilità di conoscerli direttamente, per ridurre l’in-quinamento e il consumo di energia per il trasporto. I GAS generalmente sono orien-tati all’acquisto di prodotti biologici o ecologici, realizzati rispettando sia l’ambienteche le condizioni di lavoro.Un gruppo d’acquisto è formato da persone che decidono di acquistare collettivamenteprodotti alimentari o altri prodotti di uso comune, da ridistribuire tra loro secondo gliordini di acquisto di ciascun membro. Gli ordini e la consegna dei prodotti acquistativiene fatta periodicamente, secondo calendari predisposti da ciascun gruppoI partecipanti ai GAS condividono criteri di solidarietà come valori guida nella sceltadei prodotti e dei produttori. Ogni GAS nasce per motivazioni proprie, spesso però allabase vi è una critica al modello di consumo e di economia globale dominante, oltrealla ricerca di alternative concretamente praticabili. Molti GAS costruiscono importanti reti di relazioni locali, con associazioni ambien-taliste, del commercio equo e solidale, dei consumatori, culturali, ecc, che danno vitaa iniziative quali ad esempio, campagne di informazione e di sensibilizzazione, even-ti culturali, mostre, dibattiti, ecc.I gruppi di acquisto sono collegati fra di loro in una rete che serve ad aiutarli e a dif-fondere questa esperienza attraverso lo scambio di informazioni.Anche in provincia di Lecco operano numerosi GAS, per i quali le informazioni e irelativi contatti sono reperibili su internet, ai seguenti indirizzi: www.retegas.org;www.economia-solidale.org.

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3.3.8 Vendita dei prodotti agricoli locali attraverso negozi e ristorantiQuesta modalità di vendita, sebbene non costituisca in senso stretto una forma diret-ta di vendita dal produttore al consumatore finale, in quanto prevede un passaggio in-termedio, riveste una particolare importanza nelle strategie di commercializzazione deiprodotti locali.I vantaggi di questa modalità di vendita risiedono principalmente:a. per i produttori, nella possibilità di allargare la platea dei consumatori, facendo

loro conoscere i prodotti locali in contesti qualificati e con clientela fidelizzata,ai quali altrimenti avrebbero difficile accesso;

b. per i commercianti e i ristoratori, nella possibilità di valorizzare i propri negozi eristoranti e incrementare il volume delle vendite, attraverso la vendita di prodot-ti di qualità e fortemente legati al territorio;

c. per i consumatori, nella possibilità di accesso ai prodotti locali “sotto casa”, nel-lo stesso luogo di acquisto di altri prodotti;

d. per il territorio, nella possibilità di costruire reti di relazioni economiche fra di-versi operatori, che agiscono con strategie comuni per dare corpo ad un “siste-ma locale” orientato allo sviluppo dell’economia locale, attraverso la costruzio-ne di sinergie fra agricoltura, commercio, turismo e artigianato, la promozione diun sistema distributivo equilibrato che non veda penalizzati i piccoli produttorilocali, la valorizzazione delle tipicità e dell’attrattività del territorio, la valoriz-zazione di centri storici e negozi di vicinato, la fornitura di servizi alla comuni-tà locale e ai turisti.

Questa modalità di vendita richiede l’attivazione di relazioni fra i diversi operatori cheprevedano:a. momenti di incontro fra produttori agricoli e operatori del commercio (dettaglianti,

ristoratori, baristi, pasticcieri, panificatori, ecc), supportati dalle rispettive orga-nizzazioni di categoria e dalle istituzioni pubbliche, al fine di accrescere la conoscenzadei prodotti locali, consolidare le relazioni interpersonali fra gli operatori, ricer-care soluzioni di problematiche organizzative e logistiche, favorire accordi e re-lazioni economiche, ecc;

b. la preparazione e la promozione, da parte della ristorazione locale, di piatti e menùa base di prodotti del territorio;

c. la promozione nei negozi alimentari dei prodotti locali, sia in collaborazione coni produttori, sia in abbinamento con altri prodotti maggiormente conosciuti;

d. la realizzazione di negozi dedicati ai prodotti locali e a basso impatto, soprattut-to di materia di imballaggi (prodotti sfusi in appositi erogatori, venduti a peso se-condo le specifiche esigenze di ciascun consumatore);

e. l’installazione di distributori automatici di latte all’interno dei negozi commerciali;f. l’organizzazione congiunta di iniziative ed eventi pubblici di promozione e di di-

vulgazione della conoscenza delle risorse enogastronomiche locali.

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Parte seconda

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La sicurezza alimentare dei prodotti venduti di-rettamente. In questa parte del volume sono trattati: 1. le regole, ovvero le principali normative che disciplinano la materia della sicurezza

alimentare dei prodotti venduti direttamente, l’ambito di applicazione, i principi ge-nerali;

2. i concetti e le procedure, le definizioni e gli aspetti procedurali e tecnici che de-rivano dall’applicazione delle norme;

3. i comportamenti generali da adottare al fine di perseguire l’obiettivo della sicu-rezza alimentare.

Per facilitare la lettura e semplificare la complessità dell’argomento trattato, il testo èorganizzato sotto forma di domande e risposte a specifici quesiti.

1 Le regole

La normativa sulla sicurezza alimentare trae origine da fonti comunitarie (regolamentidella Comunità Europea), nazionali e regionali.La normativa nazionale e regionale non può essere in contrasto con i regolamenti co-munitari e può trattare aspetti non disciplinati dalle norme comunitarie o ad essa espres-samente demandati.

1.1 Dove si trovano i testi delle normative?È possibile recuperare su internet le varie norme collegandosi ai seguenti siti:- per la normativa comunitaria: http://eur-lex.europa.eu/it;- per la normativa nazionale: http://www.gazzettaufficiale.it (servizio a pagamen-

to se pubblicata da più di 60 gg.) oppure http://gazzette.comune.jesi.an.it (servi-zio gratuito, dal 1998 in poi);

- per la normativa della Regione Lombardia: http://www.infopoint.it, oppurehttp://www.sanita.regione.lombardia.it

Al termine del capitolo sono elencate le principali normative europee, nazionali e re-gionali sull’argomento.

1.2 Cos’è il “pacchetto igiene”?Le regole che riguardano la sicurezza alimentare sono state ridefinite dalla ComunitàEuropea attraverso l’emanazione di vari regolamenti tra loro collegati, conosciuti come“pacchetto igiene”. Il “pacchetto igiene” è composto da una norma di carattere generale (Reg. (CE) n. 178/2002)che fissa i principi e i requisiti generali (tra cui l’analisi del rischio, il principio di pre-

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cauzione, il principio di trasparenza, l’obbligo della rintracciabilità ecc...) cui hanno fat-to seguito due regolamenti che riguardano i diversi soggetti che operano nel settorealimentare. Il primo (Reg. (CE) n. 852/2004) fissa gli obiettivi di igiene e gli obblighiche devono rispettare tutti gli operatori, indipendentemente dal tipo di alimento chetrattano. Il secondo (Reg. (CE) n. 853/2004) riguarda in modo specifico chi si occupadei prodotti di origine animale. Altri due regolamenti (Reg. (CE) n. 854/2004 e Reg.(CE) n. 882/2004) riguardano invece le modalità di conduzione dei controlli ufficiali(eseguiti per lo più dai Dipartimenti di Prevenzione Veterinaria o Medica dell’ASL). In-fine vi sono diversi regolamenti che si occupano di aspetti tecnici particolari (tra i qua-li ricordiamo il Reg. (CE) n. 2073/2005 sui microrganismi che devono essere control-lati negli alimenti e il Reg. (CE) n. 2075/2005 che si occupa dei controlli ufficiali rela-tivi alla presenza di Trichine nelle carni). Il ricorso al Regolamento comunitario, direttamente applicabile in ciascuno degli Statimembri, permette di avere regole uniformi in tutta l’Unione Europea e di garantire sia ilconsumatore, che può acquistare prodotti fabbricati nell’UE avendo le stesse garanzie disicurezza alimentare, sia i produttori, che sottostanno alle stesse regole di concorrenza.

1.3 Quali sono i contenuti del “pacchetto igiene” che riguardano più direttamenteil produttore? I regolamenti del “pacchetto igiene” hanno ribaltato l’approccio che si applicava per ga-rantire la sicurezza alimentare. Infatti, la normativa precedente stabiliva in modo pre-ciso le condizioni e i requisiti che i produttori dovevano rispettare e si assumeva che,una volta rispettati tutti i requisiti previsti, l’alimento sarebbe risultato sicuro. Il “pac-chetto igiene”, invece, focalizza l’attenzione sugli obiettivi, lasciando al produttore lafacoltà di decidere come raggiungerli e come dimostrare all’Autorità competente l’effi-cacia dei metodi che adotta. Al produttore, quindi, è riconosciuta una maggiore liber-tà, ma su di esso incombe la totale responsabilità della sicurezza del proprio prodotto. In sintesi, dal “pacchetto igiene” si rileva che: 1. sono norme orizzontali, cioè riguardano tutti i prodotti alimentari (di origine ani-male, vegetale, ecc.), a differenza delle precedenti disposizioni “verticali” e specificheper le singole filiere produttive;2. l’obiettivo principale è la garanzia:• del diritto dei cittadini ad avere accesso ad alimenti salubri e sicuri;• del diritto dei cittadini ad essere informati (sulle caratteristiche degli alimenti e sui

possibili rischi per la salute);• della libera circolazione degli alimenti sul mercato comunitario;3. la responsabilità primaria della sicurezza dell’alimento è dell’operatore del settore ali-mentare (OSA), cioè “la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispettodelle disposizioni della legislazione alimentare nell’impresa alimentare posta sotto il suocontrollo”, intendendo come “impresa alimentare” “ogni soggetto pubblico o privato, con

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o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasidi produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti” (art. 3 Reg. (CE) n. 178/2002);4. l’approccio è complessivo e pertanto l’ambito di applicazione riguarda tutta la fi-liera, dalla produzione primaria alla vendita al consumatore finale;5. prevede diversi strumenti da utilizzare per garantire la sicurezza alimentare dei pro-dotti, tra i quali: la rintracciabilità, l’autocontrollo, l’applicazione di procedure di corretteprassi di lavorazione e igieniche, l’applicazione di procedure basate sui principi dell’HACCP(tutti compiti in capo al produttore), la registrazione/riconoscimento dei luoghi dove ven-gono prodotti, trasformati o distribuiti gli alimenti (attività che coinvolge invece l’Au-torità sanitaria). Si veda più avanti per gli approfondimenti su tali tematiche.

1.4 Quali sono le esclusioni dall’applicazione del “pacchetto igiene”? Sono esclusi dall’applicazione del “pacchetto igiene”: 1. la produzione, preparazione, manipolazione e conservazione domestica di alimen-ti destinati al consumo domestico privato; è cioè escluso chi produce solo per il pro-prio consumo, senza cedere, neppure gratuitamente, prodotti alimentari (ad eccezio-ne del suino macellato a domicilio ad uso familiare che è assoggettato all’ispezione del-le carni e alla ricerca delle trichine);2. la fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al con-sumatore finale, o a dettaglianti locali che forniscono direttamente il consumatore fi-nale. In questo caso, quindi, per essere esclusi dall’applicazione del “pacchetto igiene”deve trattarsi di:• un prodotto primario (si veda il punto 2.3); • un piccolo quantitativo;• consegna del prodotto ad un consumatore finale, definito dal Reg. (CE) n.178/2002,

art. 3 punto 18, come colui “che non utilizzi tale prodotto nell’ambito di un’ope-razione o attività di un’impresa del settore alimentare” oppure ad un dettagliantelocale, definito dal Decreto della Regione Lombardia nr. 1265 del 7.02.2006 come“l’operatore economico del settore del commercio al dettaglio”, cioè la vendita o lasomministrazione degli alimenti al consumatore finale, che comprende “le attivi-tà condotte a livello dei terminali di distribuzione, gli esercizi di ristorazione, le men-se di aziende e istituzioni, i ristoranti e altre strutture di ristorazione analoghe e inegozi.” Il “livello locale” è definito come “il territorio della provincia nella qualeè situata l’azienda di produzione primaria e quello delle province contermini.”

2 I concetti e le procedure2.1 Cosa si intende con “autocontrollo”? Chi produce alimenti deve sapere cosa vuole ottenere (caratteristiche del prodotto) e comeintende ottenerlo, considerando che deve garantire i requisiti di sicurezza e salubrità.Per “autocontrollo” si intende tutte le iniziative che il produttore di un alimento met-te in atto per garantire e dimostrare che il prodotto finale risponde alle caratteristiche

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volute e che rispetta le norme in materia di igiene e salubrità. Le procedure di autocontrollo, cioè applicate dallo stesso produttore, hanno una dop-pia funzione: aiutano a produrre bene e a dimostrare ad altri di avere prodotto bene.Mettere in atto un piano di autocontrollo significa applicare un insieme di misure checomprendono, ad esempio, corrette prassi di lavorazione e igieniche e procedure di ge-stione dei pericoli basate sul modello HACCP (si veda il punto 2.13).Il Piano di autocontrollo è un documento scritto che comprende le procedure di con-trollo messe in atto, i risultati dei controlli e i provvedimenti adottati conseguentemente.In pratica consiste nello scrivere quello che si fa e nel fare quello che si è scritto.

2.2 Quali sono le caratteristiche principali di un buon piano di autocontrollo?Il Piano di autocontrollo deve essere:• “personalizzato”, cioè riferito alle caratteristiche peculiari del processo produtti-

vo (impianti, materia prima, procedimenti di fabbricazione, strutture). È un cat-tivo piano (soprattutto inutile a raggiungere gli scopi prefissati) quello che vienecopiato da altri;

• verificato nella sua efficacia e modificato di conseguenza; • aggiornato, in funzione, ad esempio, di cambiamenti del ciclo produttivo, dei ri-

sultati positivi o negativi dei controlli, di cambi di fornitori di materie prime, di nuo-ve disposizioni normative. Deve essere, cioè, un piano dinamico, mentre è un cat-tivo piano quello statico;

• costituito da un insieme di attività semplici, logiche, diversificate, corrette, perti-nenti ed efficaci.

2.3 Cos’è la produzione primaria?Con il termine “produzione primaria” si intendono “tutte le fasi della produzione, del-l’allevamento o della coltivazione dei prodotti primari, compresi il raccolto, la mungi-tura e la produzione zootecnica precedente la macellazione e comprese la caccia e lapesca e la raccolta di prodotti selvatici “ (Reg. (CE) n. 178/2002). In pratica vengono compresi nella produzione primaria: • per coloro che producono vegetali: tutte le operazioni di coltivazione, ma anche il

trasporto, il magazzinaggio e la manipolazione in azienda dei prodotti coltivati (acondizione di non alterarne in modo sostanziale la natura), nonché le operazionidi trasporto per la consegna dei prodotti dal luogo di produzione ad uno stabilimento;

• per coloro che producono alimenti di origine animale: tutte le fasi di allevamen-to, compresi la mungitura, la refrigerazione e lo stoccaggio del latte crudo e il tra-sporto degli animali vivi.

Non sono considerate “produzione primaria”:• l’attività di macellazione, con la deroga per macellazione e cessione occasionale,

fino a 500 capi/anno, di pollame e conigli (si veda il punto 5.3.1);• le attività di trasformazione e vendita dei prodotti.

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Chi opera nella produzione primaria non è soggetto ad adottare un piano HACCP, madeve ugualmente adottare procedure di autocontrollo per assicurare l’igiene dei pro-dotti, applicando dei manuali di corretta prassi operativa, cioè procedure documenta-te che dimostrino di poter raggiungere gli obiettivi previsti dai regolamenti. Gli obblighidegli operatori che effettuano solo la produzione primaria sono elencati nel Reg. (CE)n. 852/2004 e si possono dividere in obiettivi generali in materia di igiene, che devo-no essere raggiunti da tutti gli operatori della produzione primaria, e misure specifi-che da adottare in dipendenza del settore produttivo in cui si opera (prodotti primaridi origine animale o di origine vegetale).

2.4 Cos’è la rintracciabilità?È la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimentoattraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazionee della distribuzione. La rintracciabilità di un alimento comprendeanche il mangime somministrato agli animali, gli animali stes-si, gli ingredienti, gli additivi e tutto quello che può entrare afar parte di quell’alimento. In pratica bisogna essere in gradodi individuare chi ha fornito un alimento (materia prima, in-grediente, semilavorato o alimento finito), cioè da dove arriva,e a chi è stato consegnato (dove è andato). La filosofia è quin-di quella di conoscere quello che succede “un passo indietro -un passo avanti”.

Lo scopo della rintracciabilità è di tipo sanitario, collegato alle eventuali situazioni dinon conformità (il prodotto non è ritenuto rispondente ai requisiti previsti) e quindialla necessità di provvedere al suo ritiro (il prodotto è ancora presente nel circuito com-merciale e non è stato venduto al consumatore finale) o richiamo (il prodotto potreb-be essere già stato venduto al consumatore finale).Il criterio della rintracciabilità obbliga ad individuare anche il singolo coltivatore, cac-ciatore o allevatore che ha fornito la materia prima (es. il raccoglitore di funghi, il pe-scatore, ecc.)Si precisa che l’obbligo d’individuare il destinatario dei prodotti sussiste solo se il pro-dotto è ceduto ad un’impresa alimentare, mentre non è prescritto in caso di cessione alconsumatore finale. Per cui, chi cede direttamente l’alimento al consumatore finale devemantenere la rintracciabilità a monte della produzione, ma non a valle.

2.5 Cos’è la rintracciabilità interna?Per chi elabora il prodotto aggregando materie o ingredienti di diversa provenienza,oltre alla rintracciabilità esterna (a monte e a valle della propria azienda) è molto im-portante attivare anche una rintracciabilità interna, cioè conoscere ogni lotto del sin-golo ingrediente in quale lotto del prodotto finale è finito (collegare, cioè, le materie

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prime con i prodotti). Questo è importante perché in casodi obbligo di ritiro/richiamo dal mercato di un prodot-to, ci si può limitare a ritirare/richiamare solo il lottoche contiene l’ingrediente pericoloso.

2.6 Cos’è il lotto di produzione?Per lotto si intende una quantità di prodotto omogeneo,cioè ottenuto nelle medesime condizioni. La definizione del lotto spetta al produttore. Può essere, ad esempio, il prodotto otte-nuto in una giornata, o durante un ciclo di lavorazione. Più i lotti sono frazionati eminore sarà il prodotto da ritirare/richiamare in caso di non conformità, tuttavia, poi-ché la separazione in lotti (e la conseguente gestione) rappresenta un costo, si può sce-gliere se affrontarlo preventivamente o in conseguenza dell’eventuale ritiro/richia-mo del prodotto in caso di non conformità.

2.7 Come va attuata la rintracciabilità?Il singolo imprenditore ha ampia libertà nella scelta di quali strumenti dotarsi per ga-rantire la rintracciabilità, uniformandosi però a quanto contenuto in diversi provvedi-menti regionali che forniscono indicazioni/prescrizioni sulle procedure da applicare.Essenziale è che i sistemi utilizzati garantiscano:• l’identificazione di tutti i fornitori di materie prime;• l’identificazione dei destinatari dei prodotti finiti se non sono consumatori finali;• la predisposizione di procedure che consentano il ritiro/richiamo dal mercato dei

prodotti non conformi;In pratica è necessario:• identificare e tenere traccia documentale di tutti coloro che hanno fornito anima-

li, mangimi o alimenti che sono entrati a far parte della filiera (tenere schede ag-giornate sui fornitori, complete di numeri di telefono, fax, indirizzi e-mail);

• identificare e tenere traccia documentale di tutte le imprese (non i singoli consu-matori) cui sono stati ceduti alimenti (tenere schede aggiornate sui clienti, com-pleti di numeri di telefono, fax, indirizzi e-mail per consentire di attivare veloci pro-cedure di ritiro del prodotto);

• mettere la documentazione raccolta a disposizione delle autorità che ne faccianorichiesta ai fini della sicurezza alimentare;

• identificare la produzione, attribuendo i lotti e rispettando le disposizioni relativeall’etichettatura (si veda il punto 4.4);

• attivare procedure per il ritiro/richiamo del prodotto dal mercato e informare le au-torità competenti qualora si venga a conoscenza che il prodotto non è conformealla norme di sicurezza alimentare.

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2.8 Il prodotto deve essere contrassegnato?Il “pacchetto igiene” dispone che i prodotti di origine animale mani-polati in uno stabilimento riconosciuto (si veda il punto 2.12) devonoessere contrassegnati con l’apposizione di un “bollo sanitario”, o conl’applicazione di un “marchio di identificazione”. Tale obbligo non sus-siste per i prodotti ottenuti in stabilimenti soggetti alla registrazione (siveda il punto 2.12). Questo significa, per esempio, che non è richiestoil marchio di identificazione per i prodotti a base di carne (ad es. salu-mi) o per i prodotti a base di latte (ad. es. formaggi) se il laboratorio ditrasformazione in cui sono ottenuti non è soggetto a riconoscimento.

2.9 Quando è prevista la “bollatura sanitaria”? Il bollo sanitario è applicato dal Veterinario Ufficiale ed è previsto peri seguenti prodotti (articolo 5 comma 2 Reg. (CE) n. 854/2004):• carcasse di ungulati domestici (bovini, ovini, caprini, suini, equini);

• carcasse di mammiferi di selvaggina di allevamento diverse dai lagomorfi;• carcasse di selvaggina in libertà di grosse dimensioni (cervi, cinghiali, camosci ecc);• mezze carcasse (mezzene), quarti o mezzene sezionate al massimo in tre pezzi.

2.10 Quando è previsto il “marchio di identificazione”?Il marchio di identificazione è applicato dal produttore secondo le modalità indicatenel Reg. (CE) n. 853/2004 (art. 5 c. 1 e allegato II sez. I) ed è previsto per tutti i pro-dotti di origine animale, manipolati in uno stabilimento riconosciuto, per i quali nonè prevista la bollatura sanitaria (fanno eccezione le uova, per le quali è prevista unamarchiatura particolare).Il marchio va apposto prima che il prodotto lasci lo stabilimento. Non occorre appor-re un nuovo marchio se ci si limita a ricevere e poi distribuire un prodotto già mar-chiato senza rimuovere l’imballaggio o il confezionamento.Il marchio di identificazione deve essere apposto direttamente sul prodotto, sull’im-ballaggio, sull’involucro, su un’etichetta o una targhetta inamovibile (dipende dal tipodi prodotto) e deve avere le seguenti caratteristiche: caratteri leggibili, indelebile, chia-ramente esposto, contenente nome o codice del paese (es. IT per l’Italia) e numero diriconoscimento dello stabilimento, forma ovale, sigla “CE”.

2.11 Cosa significa riconoscimento/registrazione?Ogni luogo in cui si producono manipolano e preparano alimenti (fatte salve le esclu-sioni, si veda il punto 1.4) deve essere riconosciuto o registrato da parte dell’Autori-tà competente (Dipartimento di Prevenzione Veterinaria per gli alimenti di origine ani-male, Dipartimento di Prevenzione Medica per gli altri alimenti). Il produttore che gestisce uno stabilimento soggetto a riconoscimento deve ottenerloprima di poter iniziare ad operare, mentre chi gestisce uno stabilimento soggetto a re-

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gistrazione può iniziare ad operare senza pareri o autorizzazioni preventive, deve perònotificare l’inizio dell’attività produttiva e conseguentemente l’Asl provvederà alla re-gistrazione e attiverà i controlli relativi

2.12 Quali stabilimenti sono soggetti a registrazione e quali a riconoscimento?Ogni struttura nella quale si svolge una qualunque attività nel settore alimentare è sog-getta a registrazione: “ogni operatore del settore alimentare notifica all’opportuna au-torità competente, secondo le modalità prescritte dalla stessa, ciascuno stabilimento po-sto sotto il suo controllo che esegua una qualsiasi delle fasi di produzione, trasforma-zione e distribuzione di alimenti ai fini della registrazione del suddetto stabilimento.”(Reg. (CE) n. 852/2004, art. 6).Sono soggetti a registrazione gli stabilimenti nei quali si svolga una delle seguenti at-tività (elenco non esaustivo):• allevamento o coltivazione;• vendita al consumatore finale, sia in spaccio vendita aziendale che in sede fissa o

su aree pubbliche;• macellazione in azienda sino a 500 capi anno di pollame e lagomorfi (conigli) se-

guita da vendita diretta della carne al consumatore finale o ai laboratori annessiagli esercizi di commercio al dettaglio;

• sezionamento delle carni, trasformazione (di carne, latte, vegetali) seguite da ven-dita dei prodotti al dettaglio (in annesso spaccio vendita o in altri punti venditafunzionalmente collegati) o in piccoli quantitativi presso dettaglianti situati nelproprio comune o in comuni limitrofi;

• fornitura di piccoli quantitativi di selvaggina selvatica o di carne di selvaggina sel-vatica direttamente al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di com-mercio al dettaglio o di somministrazione a livello locale che riforniscono il con-sumatore finale;

• ristorazione (agriturismo);• magazzinaggio o stagionatura dei prodotti a temperatura ambiente o anche in cel-

la frigorifera se seguita da vendita dei prodotti al dettaglio;• trasporto dei prodotti alimentari.Gli stabilimenti soggetti a riconoscimento sono invece quelli per i quali l’allegato IIIdel Reg. (CE) n. 853/2004 prevede dei particolari (e specifici) requisiti (elenco non esau-stivo): macelli, impianti di sezionamento carni e laboratori di trasformazione delle car-ni o del latte diversi da quelli sopra citati, impianti frigorifero per la conservazione del-le carni o dei prodotti a base di carne o latte diversi da quelli sopra citati, centri di im-ballaggio uova (sono tutti stabilimenti che trattano prodotti di origine animale).Per quanto riguarda le procedure per il riconoscimento o la registrazione e i diversi mo-delli da utilizzare occorre: • per l’istanza di riconoscimento o per aggiornarla: rivolgersi al Servizio Igiene de-

gli Alimenti di Origine Animale dell’Asl;

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• per la notifica di inizio attività produttiva e la conseguente registrazione: rivolgersiagli Sportelli Unici per le Attività Produttive o ai Comuni (si veda Parte I, punto 3.2.4).

2.13 Cos’è il sistema HACCP e chi deve adottarlo?La sigla HACCP è l’acronimo di “Hazard Analysis and Critical Control Points”, tradu-cibile con “Analisi dei Pericoli e Punti Critici di Controllo”.L’art. 5 del Reg. (CE) n. 852/2004 stabilisce che il sistema HACCP deve essere adotta-to da tutti gli operatori del settore alimentare, ad esclusione di chi opera solo a livel-lo di produzione primaria (si veda il punto 2.3).Il sistema HACCP è stato messo a punto per fornire uno strumento utile a prevenire iproblemi di natura sanitaria che si possono verificare nel corso dei processi di produ-zione degli alimenti, studiato per gestire i rischi e per ottenere alimenti sicuri. In pra-tica risponde a queste domande fondamentali:• quali sono i pericoli presenti nel processo produttivo?• quali punti del processo si possono controllare e gestire per annullare o ridurre

ad un livello accettabile i pericoli identificati?• come si deve intervenire se in tali punti si riscontrano anomalie?• come si fa ad essere sicuri che il sistema di controllo è efficace?Il sistema, quindi, è di grande aiuto per il produttore perché gli consente di lavorare benee di verificare la qualità del proprio operato; inoltre applicandolo egli dà evidenza cheil processo produttivo è assolutamente sotto controllo e offre sufficienti garanzie di rag-giungere gli obiettivi posti dai regolamenti in materia di sicurezza alimentare.Il sistema HACCP è basato sulla applicazione di sette principi:• identificare ogni pericolo che deve essere prevenuto, eliminato o ridotto a livelli

accettabili;• identificare i punti critici di controllo nella fase o nelle fasi in cui il controllo stes-

so si rivela essenziale per prevenire o eliminare un rischio o per ridurlo a livelli ac-cettabili;

• stabilire, nei punti critici di controllo, i limiti critici che differenziano l’accettabi-lità e l’inaccettabilità ai fini della prevenzione, eliminazione o riduzione dei rischiidentificati;

• stabilire ed applicare procedure di sorveglianza efficaci nei punti critici di con-trollo;

• stabilire le azioni correttive da intraprendere nel caso in cui dalla sorveglianza ri-sulti che un determinato punto critico non è sotto controllo;

• stabilire le procedure, da applicare regolarmente, per verificare l’effettivo fun-zionamento delle misure suddette;

• predisporre documenti e registrazioni adeguati alla natura e alle dimensioni dell’impresaalimentare, al fine di dimostrare l’effettiva applicazione delle misure suddette.

Alcuni concetti importanti:• il sistema HACCP deve essere preceduto dall’applicazione di una serie di procedu-

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re che sono definite “procedure prerequisito”. Esse comprendono, per esempio, leprocedure di pulizia e sanificazione, la lotta agli infestanti, la formazione del per-sonale, la selezione dei fornitori e delle materie prime, l’applicazione di corrette pras-si igieniche e di lavorazione;

• i pericoli non sempre si possono eliminare, bisogna però sempre ridurli a livelli ac-cettabili: nel caso in cui non si possa ottenere questo risultato, cioè produrre in si-curezza, non è consentito produrre alimenti;

• i punti critici di controllo sono punti del processo dove effettivamente è possibileintervenire con azioni concrete per risolvere un eventuale problema;

• il piano deve tener conto delle peculiarità dell’azienda, evitando l’applicazione diprocedure non pertinenti alla realtà produttiva;

• occorre evitare procedure troppo complicate che risultano poi difficilmente appli-cabili nella realtà.

2.14 Cosa si intende per “pericolo” e “rischio”?• «pericolo»: ciò che, presente nell’alimento, potrebbe arrecare danno alla salute, come

agenti biologici (batteri, virus, parassiti, miceti), chimici (tossine, residui di pesti-cidi, farmaci, sostanze tossiche quali diossine, metalli pesanti) o fisici (pezzi di ve-tro, schegge di legno o di osso, frammenti di plastica o di metallo, ecc), o condi-zione in cui un alimento si trova (es. temperatura), in grado di provocare un ef-fetto nocivo sulla salute (Reg. (CE) n. 178/2002).

• «rischio»: funzione della probabilità e della gravità di un effetto nocivo per la salute,conseguente alla presenza di un pericolo (Reg. (CE) n. 178/2002). Il rischio si consi-dera più o meno elevato tenendo conto sia della probabilità che l’effetto nocivo si ve-rifichi, sia della sua gravità, nel caso dovesse verificarsi (art. 3 c.9 Reg. (CE) n.178/2002).

L’identificazione dei pericoli si ottiene con un’analisi che considera, in modo sistema-tico, tutti i pericoli che possono essere presenti in un alimento, le condizioni che por-tano alla loro presenza e il rischio effettivo che essi si realizzino. Lo scopo è valutarese i pericoli sono significativi e devono essere gestiti nell’ambito delle procedure HACCP.

2.15 Cosa si intende per “punto critico di controllo”? Un punto critico di controllo (CCP) è una fase del processo nella quale è possibile eser-citare un controllo per prevenire, eliminare o ridurre ad un livello accettabile un pe-ricolo identificato, cioè è un punto nel quale si può agire per contrastare il pericolo. Ipunti critici di controllo si identificano con un’analisi basata su conoscenze tecni-che, professionali e scientifiche relative al ciclo produttivo. Ogni punto critico rap-presenta un impegno per l’attività di monitoraggio e registrazione; se l’impegno ne-cessario per gestire correttamente e compiutamente i punti critici identificati è ecces-sivo, difficilmente si riuscirà a gestirli e l’intero HACCP sarà pregiudicato. Non ser-ve, ad esempio, prevedere una successione di punti critici con i quali gestire lo stesso

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pericolo; sarebbe opportuno individuare e gestire il punto critico di controllo posto piùa valle del processo produttivo e gestirlo correttamente.

2.16 Quali analisi deve prevedere il piano di autocontrollo e qual è la loro funzione? Il piano di autocontrollo può contenere diversi tipi di analisi: ricerche microbiologi-che, di tossine, contaminanti, residui di farmaci, ecc. Le analisi perseguono due obiettivi: 1. garantire il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza alimentare disposti dalla nor-

mativa;2. validare le procedure e il piano di autocontrollo in atto, cioè valutare se esso, nel

suo complesso, è in grado di gestire adeguatamente i pericoli.

2.17 Cosa sono le “analisi microbiologiche”?Le analisi microbiologiche permettono di individuare i microrganismi presenti in uncampione (una certa quantità di un prodotto: carne, salume, formaggio, latte; un tam-pone eseguito su una superficie: carcassa, piano di lavoro, attrezzatura). L’analisi microbiologica richiesta può essere di due tipi:• quantitativa: permette di conoscere il numero di determinati batteri presenti nel cam-

pione per unità di misura (ad esempio coliformi per grammo di prodotto) e fornisceinformazioni sull’igiene del processo produttivo e sulla qualità igienica del prodotto;

• qualitativa: permette di conoscere quali batteri sono presenti nel campione ed è so-litamente riservata alla ricerca di batteri dannosi per la salute (ad esempio la salmonella).

2.18 Quante e quali analisi microbiologiche deve contenere il piano di autocontrollo?Il Reg. (CE) n. 2073/2005 stabilisce che gli operatori del settore alimentare effettuanonei modi appropriati le analisi per verificare il rispetto dei criteri microbiologici con-tenuti nell’allegato I del Regolamento, per convalidare e controllare il corretto fun-zionamento delle loro procedure.

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La frequenza delle analisi è definita dalle norme solo in determinati casi (ad es. ma-celli, latte crudo venduto direttamente), mentre negli altri il produttore ha il doveredi stabilirla nel contesto del piano di autocontrollo, adattandola alle dimensioni e allanatura dell’impresa senza compromettere la sicurezza dei prodotti (“Gli operatori delsettore alimentare stabiliscono la frequenza con la quale effettuare i campionamenti[...] Essi prendono questa decisione nel contesto delle loro procedure basate sui prin-cipi HACCP e sulla corretta prassi igienica, tenendo conto delle istruzioni per l’uso delprodotto alimentare in questione. La frequenza del campionamento può essere adat-tata alla natura e alle dimensioni dell’impresa purché ciò non comprometta la sicu-rezza dei prodotti. (Art. 4 c.2 Reg. (CE) n. 2073/2005).Il Reg. (CE) n. 2073 /2005 stabilisce alcune ricerche analitiche precise da eseguire, inbase alla tipologia di prodotto, cioè quali microrganismi ricercare, in che modo, comevalutare i risultati. Oltre a queste, obbligatorie per legge, il produttore decide quali al-tre analisi eseguire, basandosi sul proprio piano di autocontrollo.

2.19 Ci sono limiti di legge per la presenza di microrganismi negli alimenti?Per alcuni microbi sono fissati limiti di legge, che dipendono anche dal prodotto con-siderato. La normativa di riferimento è il Reg. (CE) n. 2073/2005, che fissa limiti mi-crobiologici:• sul prodotto finito, cosiddetto “criterio di sicurezza alimentare”, che per un dato

microrganismo è il limite di accettabilità del prodotto, superato il quale ne è pre-visto il ritiro/richiamo dal mercato in quanto considerato non sicuro;

• sul processo produttivo, cosiddetto “criterio di igiene di processo”, finalizzato a di-mostrare che il processo produttivo garantisce gli standard microbiologici prefis-sati. Si valuta, cioè, la quantità di particolari “germi indicatori” in diverse fasi delprocesso e, in caso di mancato rispetto dei limiti prefissati, l’operatore deve com-piere le azioni correttive necessarie a riportare il processo sotto controllo.

Per entrambi i criteri, ferme restando le competenze dell’autorità di controllo, l’opera-tore economico è tenuto ad eseguire le opportune verifiche e controlli.

2.20 Da dove possono venire le contaminazioni dell’alimento?I microrganismi possono provenire:- dall’animale il quale è malato o portatore, ad esempio di Salmonelle, Campylobac-ter, Brucella ecc.;- dalla persona che manipola l’alimento, cioè malata o portatrice di agenti patogeni:Staphylococcus aureus (pelle, gola), Salmonella, Shigella, Clostridium perfrigens, Vi-brio cholerae, Escherichia coli (intestino);- dall’ambiente (acqua, terreno, superfici di lavoro, utensili, aria, contenitori, roditori,mosche, blatte, uccelli, cani, gatti, ecc).Tra i numerosi microrganismi patogeni alcuni, per diffusione o per il pericolo che rap-

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presentano, hanno una importanza maggiore: Staphylococcus aureus, Salmonella, Li-steria monocytogenes, Escherichia coli.

Staphylococcus aureus (coagulasi positivo)Fonti di contaminazione: persone infette ( starnuti, colpi di tosse, mani), latte.Principali alimenti a rischio: latte e formaggi freschi o a breve periodo di ma-turazione, carni (alimenti molto manipolati e trasformati, quali arrosti freddi,pasticci, carni macinate), salumi, prodotti a base di uova (creme, gelati). Danni: alcuni ceppi di stafilococco sono in grado di produrre una tossina, re-sistente alla cottura, la cui azione tossica sull’intestino causa nausea, mal ditesta, dolori addominali, diarrea.

Salmonella spp.Fonti di contaminazione: mani sporche di feci, contaminazione crociata (ad es.per contatto tra cibi cotti e crudi), carenze igieniche durante le operazioni dimacellazione, insetti.Principali alimenti a rischio: uova crude e cibi a base di uova crude, frutti dimare, carne poco cotta (specialmente pollame e maiale), latte e latticini, or-taggi inquinati da liquami di fogna.Danni: può causare una tossinfezione, con sintomi gastroenterici (vomito, diar-rea, dolori addominali) malessere generale, febbre alta, cefalea.

Listeria monocytogenesFonti di contaminazione: suolo e acque, animali infetti.Principali alimenti a rischio: formaggi molli a crosta fiorita, carne cruda, ver-dure crude contaminate.Danni: nelle persone che si trovano in uno stato di abbassamento delle pro-prie difese immunitarie, quali donne in stato di gravidanza, neonati, anzianie soggetti già debilitati per altre patologie, può causare meningiti, aborti, set-ticemia , sintomi simil influenzali. La malattia è mortale nel 30% dei casi.

Escherichia coliSolo alcuni sierotipi sono in grado di causare malattia. Fonti di contaminazione: materiale fecale (contaminazione con liquami, carenzeigieniche durante le diverse fasi della filiera: mungitura, macellazione, tra-sformazione).Principali alimenti a rischio: tutti gli alimenti crudi (ortaggi, latte, carne).Danni: dalle comuni forme di dissenteria a problematiche più gravi quali in-fezioni dell’apparato urinario, meningiti, infezioni generalizzate (setticemia).

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2.21 Sono previste sanzioni per chi non rispetta le disposizioni del pacchetto igiene?Il mancato rispetto delle norme contenute nel “pacchetto igiene” è soggetto a sanzio-ne, prevalentemente di natura amministrativa (ad es. D.Lgs. n.190/2006 per quanto ri-guarda le violazioni del Reg. (CE) n.178/2002, D. Lgs 6 novembre 2007 n. 193 per quan-to riguarda le violazioni dei Regg.(CE) 852 e 853/2004).È inoltre prevista la possibilità che l’autorità competente (Asl), nei casi di mancato ri-spetto dei requisiti di igiene e di predisposizione del sistema di autocontrollo, prima disanzionare fissi un congruo tempo entro il quale tali inadeguatezze devono essere eli-minate (“Nel caso in cui l’autorità’ competente riscontri inadeguatezze nei requisiti onelle procedure fissa un congruo termine di tempo entro il quale tali inadeguatezze de-vono essere eliminate.” Art 6 c.7 D. Lgs n. 193/2007).

3 I comportamenti

3.1 Alcuni comportamenti per prevenire le contaminazioni degli alimenti durantela produzione:1. utilizzare materia prima sana (carne, latte, uova, pesce);2. indossare vestiti adeguati e puliti, (l’utilizzo di vestiti chiari permette di visualiz-

zare più facilmente lo sporco); evitare maniche “penzolanti”; cambiare le scarpeogni volta che si entra in laboratorio;

3. lavare spesso le mani utilizzando prodotti detergenti e disinfettanti: tenere le un-ghie corte e curare la pulizia anche sotto ed intorno ad esse; eventualmente ricorrereall’uso di guanti;

4. lavare accuratamente le mani dopo l’uso dei servizi igienici; 5. non manipolare gli alimenti se non si è in perfetta salute (astenersi se si ha raf-

freddore, tosse, mal di gola, diarrea, ferite);6. mantenere puliti i locali, evitando le pulizie prima di iniziare a lavorare o in pre-

senza di alimenti;7. mantenere pulite le superfici e le attrezzature; almeno alla fine di ogni turno di la-

voro pulire a fondo con apposite soluzioni detergenti, effettuando disinfezioneperiodiche. Utilizzare prodotti studiati appositamente per la tipologia di superfi-cie; sostituire i piani di lavoro e gli utensili rovinati;

8. usane taglieri separati per i diversi alimenti e mantenere separate le aree dove ven-gono lavorati, al fine di evitare le contaminazioni crociate;

9. conservare gli alimenti in condizioni ambientali di temperatura e umidità idonee;munirsi di strumentazione adeguata per la misurazione dei parametri di conser-vazione (termometri, igrometri);

10. proteggere gli alimenti da contaminazioni utilizzando appositi contenitori, invo-lucri ecc.; ridurre quanto possibile il contatto diretto dell’alimento con superfici epersone;

11. attuare efficaci azioni di lotta a insetti e altri animali.

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3.2 Alcuni consigli per produrre alimenti sicuri.- Usa la testa oltre alle mani;- rispetta il giusto ritmo del lavoro che stai facendo: la-vora senza fretta;- chiediti se l’azione che stai compiendo potrebbe avereconseguenze negative;- non dire mai: chi se ne frega, tanto si sistema tutto allafine;- chiediti se saresti contento di mangiare quello che staiproducendo;

- non fare cose solo perché “si è sempre fatto così”, ma perché hai dei buoni motivi;- non fare cose solo perché “altri fanno lo stesso”, ma perché hai dei buoni motivi;- ogni passaggio è importante;- è meglio evitare che qualcosa entri nell’alimento piuttosto che tentare poi, a fatica,di toglierla;- meno incontri fa l’alimento meglio è;- essere dei giudici severi rispetto al proprio operato;- pensare al peggio aiuta a fare il meglio;- favorire i microrganismi utili (ad esempio lattobacilli) e sfavorire quelli dannosi o pa-togeni;- la tua azienda è unica, il tuo prodotto è unico: quello che va bene per altri non è det-to che vada bene per te e viceversa;- ogni cosa va applicata con buon senso ma anche con rigore;- le dita raramente stanno ferme in un posto: è impressionante quanti posti vanno avisitare e quante cose trasportano con loro.

3.3 Alcuni consigli da dare al consumatoreIndicazioni utili da fornire al consumatore su come comportarsi nell’utilizzo dei pro-dotti acquistati, al fine di mantenerli in condizioni ottimali e poterli consumare in si-curezza, possono essere: • Conservare i cibi a temperatura idonea, che dipende dalle loro caratteristiche. Al-

cuni cibi (ad es. carne fresca, formaggi freschi), per evitare che si alterino, devo-no essere mantenuti costantemente a temperatura di frigorifero (4° C). Il cliente èbene che sappia che deve evitare di lasciare in automobile troppo a lungo il pro-dotto. D’estate sarebbe utile che si doti di una borsa termica;

• Cuocere: alcuni cibi richiedono la cottura, che deve essere eseguita correttamen-te. Per esempio occorre porre attenzione alla cottura della carne macinata che deveperdere il caratteristico colore rosa;

• Separare: è importante mantenere separati gli alimenti diversi, per esempio le car-ni crude dalle verdure e dai cibi cotti o comunque pronti al consumo. La carne ac-

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quistata dovrebbe essere mantenuta nella confezione e riposta con attenzione nelfrigorifero in modo tale da non metterla in contatto con altri alimenti che non ri-chiedono cottura;

• Lavare: coltelli, taglieri e tutte le superfici e gli utensili che sono stati a contatto congli alimenti, soprattutto con la carne cruda, vanno sempre lavati accuratamente. Pos-sibilmente usare taglieri separati per la carne. Lavarsi accuratamente le mani pri-ma di manipolare alimenti e dopo aver toccato carne cruda. Lavare accuratamen-te frutta e verdura, soprattutto se sono del tipo che non viene sbucciato o cotto.

• Consumare: i cibi deperibili vanno consumati in tempi brevi; • Congelare: evitare di scongelare un cibo e poi ricongerlarlo; scongelare gli alimenti

in frigorifero (dopo averli posti in un contenitore che raccolga l’acqua). È possibi-le scongelare l’alimento nel microonde, ma in tal caso occorre cucinarlo imme-diatamente. Evitare di scongelare un alimento in acqua calda o a temperatura am-biente, perché potrebbero svilupparsi microrganismi.

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Normativa comunitaria (“pacchetto igiene”).N.B. molte delle normative elencate sono state oggetto di modifiche e integrazioni con atti successivi, chenon vengono qui richiamati per semplicità e ai quali si rimanda.

Atto normativo

Regolamento (CE) 178/2002

Regolamento (CE) 852/2004Regolamento (CE) 853/2004

Regolamento (CE) 854/2004

Regolamento (CE) 882/2004

Regolamento (CE) 2073/2005

Regolamento (CE) n. 1441/2007

Regolamento (CE) 2075/2005

Regolamento (CE) n. 2076/2005

Direttiva 2004/41/CE

Oggetto

Stabilisce i principi e i requisiti generali del-la legislazione alimentare, istituisce, l’EFSA efissa procedure nel campo della sicurezza ali-mentareIgiene dei prodotti alimentariNorme specifiche in materia di igiene per glialimenti di origine animaleNorme specifiche per l’organizzazione deicontrolli ufficiali sui prodotti di origine ani-male destinati al consumo umanoControlli ufficiali intesi a certificare la con-formità alla normativa in materia di mangi-mi e di alimenti e alle norme sulla salute e sulbenessere degli animaliCriteri microbiologici applicabili ai prodotti ali-mentarimodifica il regolamento (CE) n. 2073/2005 suicriteri microbiologici applicabili ai prodotti ali-mentariNorme specifiche applicabili ai controlli uf-ficiali relativi alla presenza di Trichine nellecarniDisposizioni transitorie per l’attuazione dei re-golamenti (CE) n. 853, 854, 882/2004Direttiva che abroga alcune direttive recantinorme sull'igiene dei prodotti alimentari

Riferimento pubblicazione

GUCE L 31 del 1 febbraio 2002

GUCE L 226 del 25 giugno 2004GUCEL 226 del 25 giugno 2004

GUCE L 226 del 25 giugno 2004

GUCE L 191 del 28 maggio 2004

GUCE L 338 del 22 dicembre 2005

GU Unione europea L 322 del 7.12.2007

GUCE L 338 del 22 dicembre 2005

GUCE L 338 del 22 dicembre 2005

GUCE. L 195 del 02/06/2004

Tabella 3:principalinormativerelative alla sicurezzaalimentare deiprodottivendutidirettamente

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Normativa nazionale.N.B. molte delle normative elencate sono state oggetto di modifiche e integrazioni con atti successivi chenon vengono qui richiamati per semplicità e ai quali si rimanda.Atto normativo

Legge 30 aprile 1962, n. 283

Decreto del Presidente della Re-pubblica 26 marzo 1980, n. 327

D. lgs 27 gennaio 1992, n. 109

D.lgs 6.11.2007 n. 193

Oggetto

Disciplina igienica della produzione e della ven-dita delle sostanze alimentari e delle bevande

Regolamento di esecuzione della Legge 283/62

Attuazione delle direttive 89/395/CEE e89/396/CEE concernenti l’etichettatura, la pre-sentazione e la pubblicità dei prodotti ali-mentari.

Attuazione della direttiva 2004/41/CE relativaai controlli in materia di sicurezza alimentaree applicazione dei regolamenti comunitarinel medesimo settore

Riferimento pubblicazione

G. U. 4 giugno 1962, n. 139

G.U. 16 luglio 1980, n. 193.

G. U. 17 febbraio 1992, n. 39, S.O.

G.U. 9 novembre 2007, n. 261, S.O.

Alcune delle disposizioni regionali Atto normativo

Decreto del Dirigente di Unità Or-ganizzativa –Direzione Generalesanità della Regione Lombardia del31 luglio 2002 n. 14572

Circolari della D.G Sanità nr. 39del 2004, 20/SAN/05, 19/SAN/07del 28.06.07

circolare n. 52/SAN/2005

Decreto Direzione Generale Sanitàn. 1265 del 7.05.2006

Decreto Direzione Generale Sanitàn. 6397 del 08/06/2006

l.r. 2 aprile 2007 n. 8

Circolare n. 11/SAN/2007 del 6 apri-le 2007

Decreto Dir. Struttura n. 6 del02/01/2008

Decreto Dir. U.O. n. 187 del16/01/2008

Oggetto

“Approvazione delle Linee Guida per la tra-sformazione degli alimenti di origine anima-le nelle aziende agricole

vendita di latte crudo nelle aziende e requisi-ti del latte crudo

introduzione dell’obbligo di registrazione e ri-conoscimento per le imprese del settore ali-mentare.”

“definizione dell’ambito di applicazione dei Re-golamenti (CE) n. 852/2004 e 853/2004

Adattamento di alcuni requisiti di cui all'alle-gato III al regolamento (ce) n. 853/2004 e (lat-te prodotto in alpeggio)“Disposizioni in materia di attività sanitarie esocio-sanitarie”

Applicazione della lr 8/2007

Approvazione del documento contenente de-roghe per la produzione tradizionale di pollamee lagomorfi parzialmente eviscerati.

Disposizioni sul trasporto della carne appenamacellata

Riferimento pubblicazione

BURL n. 35 SEO del 26.08.2002

BURL n. 49 SEO del 29.04.2004;BURL n. 24 SEO del 13.06.2005;BURL n. 28 SEO del 09.07.2007;

BURL n. 3 SEO del 16.01.2006

BURL n. 10 SEO del 6.03.2006

BURL n. 25 SEO del 19.06.2006

BURL n.14 SO 1 del 6.04.2007

BURL n. 17 SEO del 23.04.2007;

BURL n. 4 SEO del 21.01.2008

BURL n. 5 SEO del 28.01.2008

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Vendita diretta dei prodotti agricoliaspetti amministrativi e igienico-sanitari

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4 Dalla trasformazione in poi

Aspetti generali concernenti strutture, attrezzature e attività della trasformazione e ven-dita dei prodotti alimentari

4.1 Il laboratorio di trasformazioneLo stabilimento di trasformazione è soggetto a registrazione se i prodotti trasformatisono venduti o somministrati direttamente al consumatore finale o ceduti in piccoliquantitativi a dettaglianti situati nel proprio comune o in comuni limitrofi. Negli al-tri casi il laboratorio è soggetto a riconoscimento.Nella realizzazione di un laboratorio di trasformazione occorre conformarsi alle nor-me urbanistiche, di igiene pubblica, tutela ambientale, tutela della salute nei luoghidi lavoro e igienico sanitarie, pertanto è necessario rivolgersi preventivamente al Co-mune (o Sportello Unico delle attività produttive se attivato), ASL e ARPA. Per i requisiti strutturali dei locali si applica il Reg. (CE) n. 852/2004, allegato II, ca-pitolo II (al quale si rimanda per i dettagli), precisando che si tratta di indicazioni chelasciano la possibilità all’operatore di adottare proprie soluzioni costruttive dei loca-li, purché idonee.I locali dove gli alimenti sono preparati, lavorati o trasformati devono poter consen-tire un’adeguata manutenzione e pulizia, in modo da evitare le contaminazioni deglialimenti.Alcuni requisiti particolari: • pavimenti: devono essere di materiale resistente, non assorbente, lavabile e non sci-

voloso; la superficie deve assicurare lo scolo dell’acqua e impedire che si forminoristagni;

• pareti: devono essere facili da pulire, di materiale resistente, non assorbente, la-vabile, con superficie liscia fino ad un’altezza adeguata a renderne facile la puli-zia;

• soffitti ed eventuali attrezzature sopraelevate: devono essere costruite in modo daevitare l’accumulo di sporcizia e ridurre la condensa, la formazione di muffa e lacaduta di particelle;

• finestre e altre aperture: devono essere costruite in modo da impedire l’accumulodi sporcizia ed essere munite di barriere anti insetti facilmente rimovibili per la pu-lizia;

• porte: devono avere superfici facili da pulire, lisce e non assorbenti e quelle chedanno verso l’esterno è utile siano dotate di barriere anti insetti;

• superfici nelle zone di manipolazione degli alimenti e, in particolare, quelle a con-tatto con questi ultimi, devono essere facili da pulire, di materiali lisci, lavabili, re-sistenti alla corrosione e non tossici.

In definitiva, occorre progettare locali con geometria semplice, che non favoriscano l’ac-

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cumulo di sporcizia, evitando angoli difficilmente raggiungibili, fessure, superfici scon-nesse. Occorre porsi la domanda: ci sono punti dove sarà faticoso pulire? Le superfi-ci lisce con angoli smussati faranno risparmiare molto tempo e fatica per la pulizia. I locali devono avere adeguati sistemi di aerazione e di illuminazione. Questo è importantenon solo dal punto di vista igienico ma anche per poter lavorare in un ambiente con-fortevole: ciò che fa bene al prodotto, in fondo fa bene anche all’operatore.Oltre ai locali destinati alla lavorazione occorre prevedere altri locali, ed in particola-re: un numero adeguato di gabinetti, che non immettano direttamente nei locali di la-vorazione; uno spogliatoio; un ripostiglio per gli attrezzi e i prodotti per la pulizia. Lo-

cali separati possono sembrare un aggravio, ma sono garan-zia di igiene e di comodità di lavoro: avere uno spazio appo-sito, anche piccolo, dove potersi cambiare scarpe e vestiti al-l’inizio e alla fine del lavoro risulta comodo, oltre che utile.

4.2 Le attrezzature I requisiti generali per le attrezzature sono stabiliti dal Reg. (CE)n. 852/2004, allegato II, capitolo V.Esse devono essere costruite ed installate in modo da consentireun’adeguata e facile pulizia ed essere fabbricate con materia-li che rendono minimo il rischio di contaminazione se ven-gono sottoposti a regolare manutenzione, pulizia e sanifica-zione. In pratica, anche in questo caso si devono evitare il più

possibile punti delle attrezzature che non siano raggiungibili, preferendo apparecchisemplici da smontare e rimontare, nei quali sia osservabile facilmente lo stato dellesuperfici che entrano in contatto con alimenti. Quindi, oltre al materiale, è importan-te come sono fatte. Le tubazioni devono essere facili da sostituire periodicamente. Unacosa semplice ma importante è evitare di poggiare per terra cose che devono succes-sivamente essere prese in mano, (per esempio un secchio, di cui si prende in mano laparte inferiore per rovesciarlo). Per ogni attrezzo è opportuno chiedersi qual è il po-sto ideale per appoggiarlo quando non si usa: è utile studiare ganci, appendini, rialzi,che tengano gli attrezzi sollevati da terra e dalle superfici di lavoro, e comodi da pren-dere.Per gli scarti di lavorazione occorre dotarsi di contenitori possibilmente coperti e fun-zionanti a pedale.

4.3 La stagionatura dei prodotti.La stagionatura è una fase importantissima nella produzione degli alimenti (formag-gi, salumi), perché in questa fase nel prodotto si verificano le modificazioni (micro-biologiche, fisiche, chimiche) che gli conferiscono le caratteristiche organolettiche pe-culiari. La maturazione è un processo enzimatico dovuto in gran parte ai microrgani-

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smi presenti, che derivano dalla materia prima (latte, carne), dal processo di lavora-zione. dagli ambienti di stagionatura. I microbi presenti sono fortemente condiziona-ti, nel loro sviluppo, sia dalla composizione del prodotto (percentuale di sale, grassi,proteine, acqua), sia dalle condizioni ambientali dei locali, in particolare dalla tempe-ratura e dall’umidità. È quindi fondamentale controllare tali parametri, senza per for-za costruire delle celle di stagionatura ad atmosfera controllata, ma dotandosi di stru-menti di misurazione (termometro e igrometro) che permettono di tenere periodicamenteregistrati i valori e di intervenire quando si discostano significativamente da quelli ri-tenuti ottimali. Può non essere sufficiente affidarsi alle proprie sensazioni e alla pro-pria memoria: è invece molto utile costruirsi una serie di dati storici rispetto al pro-prio prodotto, per saper associare ad un risultato finale (un salame, un formaggio) ealle sue caratteristiche organolettiche, la sua storia produttiva, cioè tutto ciò che ha in-fluenzato le sue proprietà. Sono importanti i dati, per esempio, relativi alle diverse per-centuali degli ingredienti utilizzati, i tempi e le temperature di lavorazione, la tempe-ratura, l’umidità e la durata della stagionatura, i trattamenti a cui è stato sottoposto(rivoltamenti, spazzolature, salature, oliature...). L’investimento nella raccolta e nellavalutazione dei dati permette di crescere nella consapevolezza di quello che si sta fa-cendo, affidandosi sempre meno al caso o a fattori noncontrollati e sempre più alle proprie capacità.I requisiti strutturali generali dei locali per la stagio-natura dei prodotti sono contenuti nell’allegato II, ca-pitolo II del Reg. (CE) n. 852/2004. Si rimanda, a taleproposito, a quanto detto per i locali di trasformazione,essendo i requisiti previsti gli stessi, per quanto ap-plicabili.Per i prodotti considerati tradizionali è possibile ap-plicare deroghe per alcuni requisiti delle strutture edelle attrezzature, come previsto dal Reg. (CE) n.852/2004 e dall’ articolo 7, comma 2 del Reg. (CE) n.2074/2005, al fine di permettere l’applicazione di me-todi di produzione tradizionali. La Regione Lombar-dia, con il Decreto D. G. Sanità n. 2337 del 6.3.2006, ha individuato i prodotti tradi-zionali, per i quali, quindi, sono applicabili le deroghe.I prodotti tradizionali sono quelli riconosciuti DOP/IGP (ai sensi del Reg. (CE) n.510/2006)o iscritti negli elenchi dei prodotti riconosciuti tradizionali. In Lombardia tale elencocomprende 228 prodotti tra i quali, per esempio, 65 prodotti di carne e derivati (salu-mi vari) e 64 derivati del latte, tra i quali il formaggio d’alpe, (grasso, semigrasso, mi-sto), il formaggio nostrano, lo stracchino, la semuda, la ricotta artigianale, ecc. L’elen-co è reperibile sul sito http://www.agricoltura.regione.lombardia.it. Gli stabilimenti che trattano prodotti tradizionali possono derogare alle caratteristiche

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dei locali di stagionatura e, in particolare, dei pavimenti, delle pareti (comprese le por-te) e dei soffitti. Le deroghe possono riguardare l’impiego di materiali di rivestimentoche non siano lisci, impermeabili, non assorbenti e di facile pulizia. Si possono quin-di anche utilizzare pareti, soffitti e pavimenti geologicamente naturali.Inoltre si può derogare alle caratteristiche delle superfici, comprese quelle delle attrezzaturee delle confezioni, destinate a venire a contatto con i prodotti tradizionali. Le deroghe

possono riguardare l’impiego di materiali che non sianolisci, non assorbenti e resistenti alla corrosione, compre-so l’utilizzo del legno, della pietra e di altri materiali tra-dizionalmente impiegati nella fabbricazione, manipolazione,conservazione e confezionamento dei prodotti.In pratica per questi prodotti è consentito utilizzare i lo-cali di stagionatura tradizionali, con le pareti in pietra ele scalere in legno, nonché attrezzi e ripiani per la lavo-razione tradizionali, anche in legno. Questo, però, non si-gnifica che non bisogna curarne l’igiene e la pulizia; anzi,bisogna essere ancora più attenti.

Normativa di riferimento: • Decreto D. G. Sanità della Regione Lombardia n. 2337 del 6.03.2006, “Concessionedi deroghe al regolamento (ce) n. 852/2004”;• D.d.u.o. n. 3392 del 7.4. 2008 D. G. Agricoltura della Regione Lombardia “Quar-ta revisione dei prodotti agroalimentari tradizionali della Regione Lombardia”

4.4 Il confezionamento e l’etichettatura dei prodotti Il confezionamento dei prodottiCon il termine “confezionamento” si intende “il collocamento di un prodotto alimen-tare in un involucro o contenitore posti a diretto contatto con il prodotto alimentarein questione.” (Reg. (CE) n. 852/2004 art. 2 lettera j)In base alla legge un prodotto alimentare può essere presentato alla vendita in tre modidiversi:

• preconfezionato: è un prodotto alimentare messo in vendita dentro un contenitore co-struito in modo tale che non sia possibile accedere al prodotto senza che la confezionevenga aperta o alterata (art. 1 comma 2 lett. b del D.Lgs 27 gennaio 1992 n. 109), comead es. un barattolo di marmellata o una bottiglia di salsa di pomodoro (viceversa lemele in una cassetta non sono un prodotto preconfezionato). I prodotti preconfezio-nati devono riportare sulla confezione le indicazioni previste dalla legge;

• preincartato: è un prodotto venduto avvolto in un incarto (carta per uso alimen-tare) nel punto vendita (art. 1 comma 2 lett. d D.Lgs 27 gennaio 1992 n. 109), comead esempio un pezzo di formaggio, salame, bistecche, ecc;

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• sfuso: sono considerati sfusi i prodotti non preconfezionati o che lo erano ma chevengono venduti frazionandoli. Sono considerati sfusi anche i prodotti che ven-gono confezionati solo al momento della vendita (esempio il prosciutto affettatoe confezionato al momento della vendita).Per i prodotti preincartati e sfusi la legge prevede che sia presente nel punto ven-dita un cartello con una serie di indicazioni (si veda più avanti).

I materiali devono essere idonei, cioè autorizzati per il contatto con alimenti. In parti-colare essi non devono trasferire all’alimento componenti tali da costituire un perico-lo per la salute umana, o da comportare una modifica inaccettabile della composizio-ne del prodotto o un deterioramento delle sue caratteristiche organolettiche. Occorre verificare che il materiale che si acquista e che si intende utilizzare per incar-tare il proprio prodotto sia accompagnato dalla dicitura “per contatto con i prodottialimentari” oppure dal simbolo a lato: Quindi, in base al prodotto si sceglie il tipo di confezionamento più adatto ad evitarecontaminazioni: una fetta di formaggio, un salame, un pezzo di carne vanno prein-cartati (per frutta o verdura si utilizzano sacchetti di carta o di plastica autorizzati peril contatto con alimenti), per i prodotti confezionati, come ad esempio miele e confet-ture, occorre anche porre attenzione al rispetto delle norme sull’etichettatura della con-fezione.

Alcuni riferimenti legislativi• Reg. (CE) n. 852/2004, allegato II capitolo 10: elenca i “Requisiti applicabili al con-fezionamento e all’imballaggio di prodotti alimentari:

1. I materiali di cui sono composti il confezionamento e l’imballaggio non devono co-stituire una fonte di contaminazione.

2. I materiali di confezionamento devono essere immagazzinati in modo tale da nonessere esposti a un rischio di contaminazione.

3. Le operazioni di confezionamento e di imballaggio devono essere effettuate in mododa evitare la contaminazione dei prodotti. Ove opportuno, in particolare in casodi utilizzo di scatole metalliche e di vasi in vetro, è necessario garantire l’integri-tà del recipiente e la sua pulizia.

4. I confezionamenti e gli imballaggi riutilizzati per i prodotti alimentari devono es-sere facili da pulire e, se necessario, da disinfettare.”

• Reg. (CE) n.1935/2004: “riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a con-tatto con i prodotti alimentari”;• Decreto Ministeriale 21 marzo 1973, modificato dal D.M. 25 settembre 2007 n. 217“disciplina igienica degli imballaggi, recipienti, utensili, destinati a venire in contattocon le sostanze alimentari”.

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L’etichettatura dei prodottiPer etichettatura si intende l’insieme delle indicazioni riportate sull’etichetta o sul-l’imballaggio dei prodotti posti in vendita. L’etichetta informa il consumatore sul pro-dotto che acquista e gli consente di scegliere quello che maggiormente risponde alleproprie esigenze, quindi ha lo scopo di fornire informazioni e di istituire un rapportodi trasparenza tra produttore e consumatore. Non è obbligatorio etichettare tutti i prodotti alimentari. Per esempio, è obbligatorial’etichettatura per le carni bovine e per i formaggi a pasta filata (tipo mozzarella) eper tutti i prodotti alimentari venduti preconfezionati. Non è invece obbligatoria l’eti-chettatura per i prodotti venduti “sfusi”, per i quali è prevista l’apposizione nel puntovendita di un cartello che riporti alcune diciture.

Contenuti dell’etichettaL’etichetta dei prodotti alimentari preconfezionati deve obbligatoriamente contenere leseguenti informazioni relative al prodotto:• cos’è e come si chiama (denominazione di vendita);• di cosa è fatto, cioè l’elenco ingredienti, riportati in ordine di quantità decrescente;• la quantità netta;• fino a quando si può consumare apponendo la dicitura “da consumarsi preferi-

bilmente entro il...” (rappresenta il cosiddetto “termine minimo di conservazione”)che indica fino a quando il prodotto conserva le sue caratteristiche (di sapore, con-sistenza ecc.). Oltre quel termine non significa che il prodotto diventa dannoso, mache non ha più le stesse qualità. Se invece è un prodotto altamente deperibile sideve apporre la dicitura “da consumarsi entro il...” ed è il termine oltre il qualenon deve essere consumato (rappresenta la “data di scadenza”). Oltre tale data, in-fatti, il prodotto potrebbe non solo essere alterato, ma risultare anche dannoso. Ladata di scadenza non è obbligatoria per i prodotti ortofrutticoli freschi e interi;

• chi lo ha prodotto: nome e sede del produttore;• il lotto di produzione (si veda punto 2.6);• le modalità di conservazione o di utilizzo;• l’indicazione del luogo di origine del prodotto (es. prodotto in Italia) o della ma-

teria prima se è un prodotto trasformato (L. 3 agosto 2004 n. 204 art. 1bis).Per alcuni prodotti la normativa specifica in modo più particolareggiato i contenuti ob-bligatori dell’etichetta. Ad esempio, per la carne bovina venduta al dettaglio deve es-sere indicato, con etichetta sul prodotto o con cartellino esposto: • il codice identificativo del capo (marca auricolare); • il paese di nascita dell’animale; • il paese in cui ha avuto luogo l’ingrasso; • il paese di macellazione e il numero di riconoscimento dello stabilimento di ma-

cellazione;

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• il paese di sezionamento delle carni e il numero di riconoscimento del laboratorio; • la specie; • lo stato fisico (se fresca, congelata o scongelata).

Per i prodotti sfusi o preincartati non è richiesta l’etichettatura, ma deve essere pre-sente un cartello che riporti le seguenti informazioni: - cos’è e come si chiama (denominazione di vendita);- di cosa è fatto, cioè l’elenco ingredienti, riportati in ordine di quantità decrescente; - le modalità di conservazione, per i prodotti rapidamente deperibili.Vi è poi la possibilità di aggiungere informazioni facoltative, quali esempio la moda-lità di lavorazione o la presenza di marchi di qualità o d’origine.

Normativa di riferimentoNormativa generale riguardante tutti i prodotti: L.283/1962, D.lvo 27 gennaio 1992n. 109, D.lvo 23 giungo 2003 n.181, L 3 agosto 2004 n.204, Reg. (CE) n. 853/2004(con riferimento alla marchiatura, si veda apposita scheda);Normative particolari, ad es. uova (Reg. (CE) n. 2295/2003), Carne (Reg. (CE)n. 1760/2000, Reg. (CE) n. 1825/2000 DM 30 agosto 2000), Miele (D.L.vo 21maggio 2004 n. 179);

ApprofondimentiMinistero Politiche Agricole e Forestali: www.politicheagricole,it;Movimento consumatori: www.movimentoconsumatori.it;Unione nazionale consumatori: www.sicurezzalimentare.it

4.5 Il trasporto dei prodotti alimentari.L’attività di trasporto dei prodotti alimentari è soggetta a registrazione ai sensi del Reg.(CE) n. 852/2004 (si veda punto 2.12). I criteri generali ai quali uniformarsi per le operazioni di trasporto sono esplicitati nel-l’allegato II, capitolo IV del Reg. (CE) n. 852/2004 e perseguono l’obiettivo di “rende-re minimo il rischio di contaminazione” dei prodotti trasportati; trattandosi di crite-ri generali, sono spesso indicati con la dicitura “se necessario”. Di seguito si segnala-no i punti principali:1. i vani di carico dei veicoli e/o i contenitori utilizzati per il trasporto di prodotti ali-

mentari devono essere mantenuti puliti, sottoposti a regolare manutenzione al finedi proteggere i prodotti da fonti di contaminazione e devono essere, se necessa-rio, progettati e costruiti in modo tale da consentire un’adeguata pulizia e disin-fezione;

2. i vani di carico dei veicoli e/o i contenitori non devono essere utilizzati per tra-

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sportare qualsiasi materiale diverso dai prodotti alimentari, se questi ultimi pos-sono risultarne contaminati;

3. se i veicoli e/o i contenitori sono adibiti contemporaneamente al trasporto di al-tra merce in aggiunta ai prodotti alimentari, o di differenti tipi di prodotti alimentari,si deve provvedere, ove necessario, a separare in maniera efficace i vari prodotti;

4. se i veicoli e/o i contenitori sono adibiti al trasporto di merci che non siano pro-dotti alimentari o di differenti tipi di prodotti alimentari, si deve provvedere a pu-lirli accuratamente tra un carico e l’altro, per evitare il rischio di contaminazione;

5. i prodotti alimentari nei veicoli e/o contenitori devono essere collocati e protettiin modo da rendere minimo il rischio di contaminazione;

6. i vani di carico dei veicoli e/o i contenitori utilizzati per trasportare i prodotti alimentari,ove necessario, devono essere atti a mantenere questi ultimi in condizioni adegua-te di temperatura e consentire che la temperatura possa essere controllata.

Relativamente alla temperatura da mantenere durante il trasporto, l’allegato II, capi-tolo 9, comma 5 del Reg. (CE) n.852/2004 dispone che “le materie prime, gli ingredienti,i prodotti intermedi e quelli finiti, in grado di consentire la crescita di microrganismipatogeni o la formazione di tossine non devono essere conservati a temperature che po-trebbero comportare rischi per la salute. La catena del freddo non deve essere interrotta.È tuttavia permesso derogare al controllo della temperatura per periodi limitati, qua-lora ciò sia necessario per motivi di praticità durante la preparazione, il trasporto, l’im-magazzinamento, l’esposizione e la fornitura, purché ciò non comporti un rischio perla salute.” Per quanto riguarda le condizioni e i requisiti specifici da rispettare nelle operazionidi trasporto della carne, il Reg. (CE) n. 853/2004, allegato III, Sezione I capitolo VII,dispone che il trasporto debba avvenire a temperatura di refrigerazione, cioè non su-periore ai 7 °C. Tuttavia, il trasporto può ugualmente essere autorizzato dall’autoritàcompetente, ma solo ai fini della produzione di prodotti specifici, se le carni lascianoil macello immediatamente e il trasporto non dura più di due ore. Con il Decreto del-la D. G. Sanità della Regione Lombardia n. 187 del 16/01/2008 è stato disposto che: • l’operatore del settore alimentare che effettua il trasporto delle carni appena macel-

late, che non abbiano ancora raggiunto la temperatura di 7 ° C, deve essere preven-tivamente autorizzato dal Servizio Veterinario competente, previo accertamento del-la sussistenza di tutti i requisiti previsti con particolare riguardo alle misure predi-sposte e attuate dall’operatore per garantire la sicurezza e l’integrità dei prodotti;

• il trasporto deve avere inizio immediatamente dopo il termine delle operazioni dimacellazione e, se del caso, di sezionamento. Nel caso in cui, per motivi organiz-zativi, il trasporto incominciasse al termine delle operazioni di macellazione del-la giornata, l’operatore responsabile del macello o del laboratorio di sezionamen-to valuterà, nell’ambito delle proprie procedure di controllo, l’opportunità che le

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carni macellate in attesa di essere spedite siano ricoverate in cella in modo da ga-rantirne comunque l’inizio del processo di raffreddamento prima del trasporto;

• gli automezzi impiegati per il trasporto delle carni che non abbiano ancora rag-giunto la temperatura di refrigerazione devono essere muniti di gruppo refrigerantedimensionato per assicurare adeguate condizioni di conservazioni delle carni du-rante il trasporto;

• la durata massima del trasporto (due ore) deve essere calcolata dal momento in cuiha termine il carico dell’automezzo.

4.6 La vendita dei prodottiL’attività di vendita è soggetta a registrazione ai sensi del Reg. (CE) n. 852/2004. Per l’attività di vendita la Regione Lombardia con la l.r. 2 aprile 2007 n. 8 “Disposi-zioni in materia di attività sanitarie e socio-sanitarie” ha abolito l’autorizzazione sa-nitaria di cui all’art. 2 della Legge 30 aprile 1962 n. 283 e del suo regolamento di ese-cuzione (DPR 26 marzo 1980 n. 327) e con la Circolare n. 11/SAN/2007 del 6 aprile2007, ha disposto che il titolare presenti Dichiarazione di Inizio Attività Produttiva (DIAP)presso il Comune, o lo Sportello Unico per le Attività Produttive se attivato, il qualeprovvederà ad inoltrare tale dichiarazione all’ASL. La DIAP costituisce in questo casonotifica dell’attività ai sensi dei Regolamenti comunitari. L’Asl provvederà a registra-re l’attività nel proprio database anagrafico e ad effettuare l’attività di controllo uffi-ciale sulla base del livello di rischio assegnato all’impianto stesso.I requisiti dei locali di vendita, stabiliti da diverse norme, rappresentano un aiuto perlavorare meglio: locali facili da pulire, luminosi e areati danno meno problemi per losvolgimento dell’attività e per la gestione dei prodotti. Il concetto non è quindi fare qual-cosa solo perché lo impone la legge, bensì fare qualcosa da cui deriverà un concretobeneficio.Generalmente si fa riferimento al Reg. (CE) n. 852/2004; si rinvia ai requisiti dei loca-li di trasformazione trattati in precedenza, per quanto applicabili ai locali vendita. Inparticolare è necessario considerare che spesso nel locale vendita sono presenti diver-se tipologie di prodotti (carni di diverse specie animali, prodotti a base di carne, uova,formaggi, frutta e verdura...), che devono essere mantenuti separati, per evitare una even-tuale contaminazione crociata.

Normativa di riferimento.• Regolamento edilizio comunale: si veda nel singolo comune;• Regolamento Locale d’Igiene: si veda nel singolo comune/ASL, altrimenti si applica

il Regolamento Locale d’Igiene Tipo approvato con D.G.R. n. 3/49784 del 28 mar-zo 1985 e successive modifiche;

• Reg.(CE)n. 852/2004: allegato II capitolo I “Requisiti generali applicabili alle strut-ture destinate agli alimenti”.

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Le attrezzature per la vendita: • vetrine o banchi frigoriferi: devono essere provvisti di mezzi idonei all’adeguata con-

servazione degli alimenti, in relazione alle loro caratteristiche. In particolare:- la vendita e la conservazione delle carni di volatili deve effettuarsi in settori se-

parati rispetto alle altre carni, per cui occorre dotarsi di più banchi frigoriferi sesi vendono carni bovine, suine, ovine e caprine fresche e carni avicole;

- i banchi devono garantire una temperatura di +2°/+4° (devono essere dotati ditermometro di controllo) e devono essere costruiti con ma-teriale inalterabile, impermeabile, lavabile e disinfettabile;inoltre, devono essere dotati di apposite vetrine per evita-re contaminazioni esterne. • piani di lavoro e ceppaie: devono essere lisci, in mate-riale atossico, lavabile, disinfettabile ed inossidabile e di-versificati per il pollame; • attrezzatura varia: coltelleria, affettatrici, deve essere la-vabile, disinfettabile e inossidabile;• per i prodotti ortofrutticoli occorre prevedere scaffala-ture che consentano di collocare le cassette ad un’altezzaadeguata, possibilmente sollevate da terra.

5 Aspetti particolari dei diversi settori produttivi

5.1 principi di autocontrollo nella produzione e vendita diretta di latte e prodottitrasformati

5.1.1 Quali sono i pericoli specifici da tenere sotto controllo?I pericoli da controllare possono derivare dalla presenza di: contaminanti, cioè qualcosa che nel latte o nel formaggio normalmente non dovreb-be esserci.• Può trattarsi di:- contaminanti biologici: insetti o loro larve e uova, frammenti di materiale organicodi provenienza animale o umana, ecc;- contaminanti fisici: paglia, frammenti di legno, ecc.;- contaminanti chimici: residui di antiparassitari, aflatossina M1 (dovuta a consumodi alimenti contaminati e/o ammuffiti), sostanze antibiotiche (per mungitura di ani-mali prima del tempo di sospensione), residui di sostanze sanificanti (per scorrette ope-razioni di risciacquo durante i cicli di sanificazione delle attrezzature), ecc.La presenza di contaminanti dipende dall’applicazione di scorrette operazioni igieni-che di mungitura, trasporto, filtrazione, stoccaggio e per scarsa igiene di ambienti, at-trezzature, personale;

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• microrganismi patogeni o loro tossine (Escherichia coli, Salmonella spp., Listeria,stafilococchi, ecc.).La loro eventuale presenza rappresenta il rischio da tenere maggiormente in consi-derazione nella produzione di latte e derivati, distinguendo fra prodotti freschi (for-maggi freschi, burro) e stagionati. Infatti i germi patogeni, eventualmente presenti nelformaggio fresco, nel corso del processo di stagionatura vengono comunemente so-praffatti dai germi non patogeni (ad esempio lattobacilli) che si moltiplicano. Si ritie-ne che un periodo di 60 giorni di stagionatura sia in grado di ridurre molti dei possi-bili rischi ad un livello accettabile. Questo non significa cheil produttore di formaggio stagionato può lavorare in modomeno igienico, perché spesso il formaggio con problemi mi-crobiologici durante la stagionatura subisce delle alterazioniche lo rendono invendibile (gonfiore, occhiature anomale, spac-cature, sapore amaro...). Per contrastare i germi patogeni nel formaggio i batteri nonpatogeni sono preziosi alleati, il cui sviluppo è quindi da fa-vorire.I due fattori principali da prendere in considerazione per ga-rantire la produzione di formaggi sicuri sono: 1. la qualità igienico-sanitaria del latte utilizzato (che dipende

dallo stato sanitario degli animali, dall’igiene della mun-gitura e della conservazione del latte). A tale proposito i requisiti del latte crudosono definiti dal Reg. (CE)n. 853/2004, allegato III, sezione IX;

2. l’igiene durante il processo di trasformazione e commercializzazione.

5.1.2 Cosa fare se il latte contiene più germi o più cellule del dovuto?Il latte non conforme ai requisiti di tenore in cellule somatiche e germi a 30°C, stabi-liti dal suddetto Regolamento, può essere impiegato esclusivamente per la produzio-ne di formaggi con almeno 60 giorni di stagionatura (Decreto D. G. Sanità della Re-gione Lombardia n. 6397 del 08.06.2006 “adattamento di alcuni requisiti di cui all’allegatoIII al regolamento (CE) 853/2004 e relative definizioni”).La crema, o gli zangolati di preburrificazione ottenuti dal latte suddetto devono esse-re sottoposti ad un trattamento termico avente un effetto almeno equivalente alla pa-storizzazione.Il siero e gli altri prodotti ottenuti dalla lavorazione del latte non conforme devono es-sere sottoposti, prima o nel corso del processo di trasformazione, a un trattamento ter-mico avente un effetto almeno equivalente alla pastorizzazione (per es. nel processoproduttivo della ricotta si utilizzano temperature tali da essere considerate equivalen-ti ad una pastorizzazione, in questo caso quindi il siero non va preventivamente pa-storizzato. In altri casi la pastorizzazione è invece da prevedere).

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5.1.3 Quali sono i germi da cui stare maggiormente attenti?I principali germi patogeni che si possono ritrovare nei prodotti lattiero caseari sono:Staphylococcus aureus (coagulasi positivo), Salmonella, Listeria monocytogenes,Escherichia coli.Nel latte crudo e nei prodotti freschi possono poi trovarsi, con minore frequenza, mol-ti altri germi patogeni (Yersinia enterocolitica, Bacillus cereus, Campylobacter jejuni,Brucella abortus e melitensis, Coxiella burnetii, Mycobacterium tuberculosis, Myco-bacterium bovis).

5.1.4 Quali sono le misure da adottare per ridurre i rischi? La cosa più importante è chiedersi sempre: c’è qualcosa qui che può finire nel latte onel formaggio? La miglior prevenzione è infatti la testa del produttore, la sua capaci-tà di immaginare cosa potrebbe succedere e quindi di trovare un modo per evitarlo.Inoltre è necessario:• mungere in modo igienico (si veda il punto 5.1.5); evitare prima della mungitura

di eseguire lavori che sollevano sporcizia (scopare per terra, muovere il fieno) e uti-lizzare per mungere attrezzature pulite;

• filtrare il latte prima di lavorarlo, cambiando ogni volta il filtro, altrimenti è peg-gio. Uno dei nemici peggiori del casaro sono i peli: nel formaggio fanno fare brut-ta figura;

• conservare e manipolare il latte in locali pu-liti e con attrezzature pulitissime, ponendo atten-zione alle cose che possono cadere dall’alto, o chepossono venire sollevate per aria (tutto ciò che c’èsul pavimento o su una mensola può darsi che nonrimanga lì per sempre);• applicare reti antimosche alle finestre e siste-mi per evitare che dalla porta possano entrare in-setti;• stagionare il formaggio in locali e su menso-le puliti, poiché non è vero che il formaggio acquistaun sapore più caratteristico se il locale di stagio-natura non viene mai pulito. La semplice pulizia

previene la contaminazione del formaggio con cose indesiderate e non elimina laflora microbica utile per il sapore del formaggio;

• le scalere vanno periodicamente lavate e spazzolate con acqua calda, lasciando-le asciugare prima di rimetterle a posto. In presenza di muffa eccessiva, le assi dilegno possono essere lavate con candeggina diluita, risciacquandole bene;

• un particolare contaminante del latte può essere il residuo di farmaci somministratiagli animali; per evitarlo occorre rispettare il “tempo di sospensione”.

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5.1.5 Le regole per mungere in modo pulito • pulire le mani lavandole accuratamente, oppure usare guanti, da risciacquare pe-

riodicamente (ad es. ogni 5 vacche) con una soluzione disinfettante;• la mammella deve essere pulita e pertanto nella stalla le vacche devono disporre

di un’area di riposo dove possano coricarsi senza imbrattarsi con le feci;• gli animali mastitici vanno munti per ultimi e il loro latte non deve essere utiliz-

zato;• osservare e toccare la mammella per rendersi conto di eventuali anomalie quali gon-

fiori, arrossamenti, indurimenti ed eseguire un rapido massaggio; • per la pulizia del capezzolo usare un fazzoletto di carta mo-

nouso, o salvietta con soluzione disinfettante, evitando as-solutamente stracci e simili da usare su più animali;

• i capezzoli molto sporchi vanno lavati usando poca ac-qua, senza bagnare tutta la mammella, e vanno poi asciu-gati bene, altrimenti lo sporco si concentra nelle gocce chescendono proprio sulla punta del capezzolo;

• spremere i primi getti di latte su una superficie scura e os-servare se si vedono coaguli di sangue o altre cose ano-male;

• iniziare la mungitura trascorso circa un minuto dal pri-mo contatto con la mammella;

• evitare di mungere a vuoto (usare mungitrici con stacco automatico);• terminata la mungitura applicare un apposito disinfettante sul capezzolo.

5.1.6 Indicazioni per ridurre il rischio della presenza dei microrganismi patogeninelle fasi successive alla mungituraConservazione del latte prima della lavorazioneDurante questa fase i microrganismi presenti nel latte, sia quelli utili alla produzionedel formaggio sia quelli patogeni, si moltiplicano. La velocità di moltiplicazione dei mi-crobi dipende dalla temperatura del latte. Il Reg. (CE) n. 853/2004 allegato III sezioneIX, prevede che il latte, immediatamente dopo la mungitu-ra, sia posto in un luogo pulito, progettato e attrezzato perevitare le contaminazioni e sia raffreddato a temperatura nonsuperiore a 8 °C. In linea generale:• sotto i 4°C i batteri patogeni non si sviluppano, quindi

è importante tenere il latte sempre a temperatura di re-frigerazione (controllare con un semplice termometro!);

• vi sono però alcuni batteri particolari, detti “psicrofili”,che possono moltiplicarsi anche alle basse temperature

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e causare problemi alla caseificazione; per questo è importante evitare di conser-vare il latte per più di 12 ore, cioè caseificare il latte di più di due mungiture;

• se la tecnologia di lavorazione prevede di mantenere il latte a “maturare” per uncerto tempo a temperature superiori (tale prassi deve comunque essere consenti-ta dall’autorità competente), occorre tenere presente che al di sopra dei 16 °C i bat-teri iniziano a moltiplicarsi molto rapidamente e quindi evitare di conservare il lat-te a più di 12 °C. Il latte così conservato arriverà alla caseificazione con un con-tenuto di germi (sia quelli utili che quelli patogeni eventualmente presenti) più ele-vato rispetto al latte di partenza. Per aumentare la sicurezza del proprio prodottoè allora utile utilizzare innesti, cioè dei batteri selezionati che possano contrasta-re gli eventuali germi patogeni presenti;

• se si produce formaggio con un periodo di stagionatura inferiore ai 60 giorni e siusa latte crudo (cioè senza pastorizzarlo) e senza usare innesti è rischioso conser-vare il latte prima della lavorazione.

Caseificazione del lattePer la caseificazione: • utilizzare secchi, attrezzi e superfici puliti e disinfettati con prodotti specifici, ri-

sciacquandoli bene;• utilizzare eventualmente innesti;• utilizzare in modo corretto caglio prodotto da ditte autorizzate;• indossare un abbigliamento adeguato e pulito;• pulire frequentemente le mani;• utilizzare acqua potabile.

5.2 Principi di autocontrollo nella produzione e vendita diretta di carne e pro-dotti trasformati

5.2.1 Si possono macellare in azienda i propri animali per venderne le carne?La macellazione di animali a scopo di vendita deve avvenire in macelli riconosciuti aisensi del Reg. (CE) n. 853/2004. L’imprenditore agricolo che intende commercializza-

re la carne di animali allevati nella propria azienda, indipen-dentemente dalla sua capacità di lavoro, deve dotarsi di un ma-cello riconosciuto, oppure deve utilizzare impianti riconosciuti.Per gli avicunicoli, fino alla macellazione di 500 capi/anno, siapplicano regole diverse (si veda il punto 5.3). Anche il sezionamento, cioè la suddivisione delle mezzene inpiù di tre pezzi, deve essere eseguito presso laboratori di se-zionamento riconosciuti, salvo che questa operazione venga ese-guita in appositi locali annessi al proprio spaccio per la ven-dita diretta al consumatore.In pratica, l’allevatore può vendere direttamente la carne fre-

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sca dei propri animali che devono essere macellati in un macello riconosciuto, inter-no o esterno all’azienda. Nel secondo caso deve provvedere a trasportare l’animale almacello, dove verrà eventualmente anche sezionato. In seguito preleverà la carne ot-tenuta e la trasporterà in azienda (si veda il punto 4.5).I requisiti strutturali degli impianti di macellazione e degli impianti di sezionamento,valutati dal Servizio veterinario dell’ASL, sono indicati nell’allegato III, Sezione I, ca-pitoli II e III del Reg. (CE) n. 853/2004.

5.2.2 Quali sono i pericoli specifici da tenere sotto controllo nella vendita direttadi carne e di prodotti trasformati?Per il consumatore i principali pericoli che possono essere presenti nella carne fresca enei prodotti trasformati da essa derivati sono distinguibili in biologici, chimici e fisici. A titolo di esempio, la tabella riporta alcuni pericoli riscontrabili nella carne fre-sca. Si ricorda che i pericoli dipendono dalla specifica situazione di ogni produt-tore e sono identificabili solo a seguito di un accurato processo di analisi.

Pericoli biologici: Batteri Salmonella spp. (spt. carni avicole)

Escherichia coli EPEC, ETEC, EIEC, EHEC (Escherichia coli O157:H7)Aeromonas spp.Campylobacter jejuni (spt. carni avicole)Shigella spp. (spt. carni avicole)Yersinia enterocolitica (suino)Clostridium botulinumClostridium perfringensStaphylococcus aureus (tossina)Brucella suisListeria monocytogenes

Virus RotavirusEpatite A

Miceti Muffe micotossinogeneparassiti Taenia spp.(spt. bovino e suino)

Trichinella spiralis (suino e equino) Toxoplasma condii (spt. suino)

Pericoli chimiciResidui di antibiotici, ormoni di crescitaResidui di fungicidi, insetticidi, pesticidiMetalli pesantiResidui di Detergenti, disinfettanti, lubrificantiPericoli fisiciFrammenti di metalloFrammenti d’osso

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5.2.3 Come tenere sotto controllo i pericoli nella vendita diretta della carne e deiprodotti trasformati?Occorre agire lungo tutto il percorso che il prodotto compie prima di essere venduto,ponendo quindi attenzione non solo a quello che succede dopo la macellazione, maanche in tutte le fasi precedenti.La prima condizione è allevare animali sani e questo significa: • curare l’alimentazione, gestire correttamente i mangimi e i foraggi; • applicare in azienda valide misure di biosicurezza, cioè tutti gli accorgimenti che

si possono mettere in atto per ridurre il rischio che nell’allevamento possano ve-rificarsi problemi sanitari. Tutto ciò che entra in contatto con l’allevamento è po-tenzialmente in grado di portare con sé dei problemi e va “sorvegliato”. Si posso-no certamente dare indicazioni sulle misure da adottare, ma è l’intelligenza e la pre-parazione dell’allevatore che lo porterà a decidere quali misure applicare nella pro-pria azienda.

Nell’allevamento entrano:• animali da allevare (se non è un allevamento a ciclo chiuso);• altri animali: uccelli, insetti, roditori, e a volte anche gatti, cani, ecc. ;• alimenti (fieno, mangimi) e acqua;• persone (visitatori, personale tecnico quali mangimisti, veterinari, commercianti,

raccoglitore del latte);• materiali e macchinari vari.Lo stesso allevatore si reca all’esterno dell’allevamento, per poi tornarvi, magari aven-do visitato altri allevamenti o fiere del bestiame. In alcuni casi sono i propri animaliad uscire dall’allevamento (pascolo, alpeggio, fiere), per poi ritornarvi. Tutto questo an-dirivieni deve essere conosciuto e gestito, curando anche l’applicazione delle norma-tive relative (anagrafe degli animali, movimentazioni animali, tracciabilità dei man-gimi, ecc).

Inoltre occorre:• gestire correttamente le sostanze chimiche utiliz-zate (concimi, fitofarmaci, farmaci veterinari, deter-genti, ecc.);• garantire agli animali elevati standard di benessere,curando le condizioni in cui sono stabulati (spazi elettiera adeguati, illuminazione, aerazione, umiditàe temperatura, ecc);• mantenere pulite e in ordine le strutture, gli im-pianti, le attrezzature;• utilizzare acqua potabile;• gestire correttamente le deiezioni (letami e liquami).

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Dal punto di vista normativo l’allegato I del Reg. (CE) n. 852/2004 riporta i requi-siti generali in materia di igiene previsti per gli allevamenti.Il secondo aspetto riguarda il trasporto dell’animale al macello, regolato nell’Alle-gato III sezione I, capitolo I del Reg. (CE) n. 853/2004. In particolare:• durante la raccolta e il trasporto, gli animali devono essere manipolati con cura,

evitando inutili sofferenze;• gli animali che presentano sintomi di malattia, o provenienti da allevamenti che

risultano contaminati da agenti nocivi per la salute pubblica, possono essere tra-sportati al macello solo con l’autorizzazione dell’autorità competente.

È importante che l’animale arrivi alla macellazione in condizioni di benessere, per-ché la qualità della carne è influenzata dallo stato dell’animale: animali maltratta-ti, spaventati o stressati prima della macellazione daranno una carne che non saràin grado di frollare correttamente, cioè non andrà incontro a quei processi chimiciche le consentiranno di dare un buon prodotto (si veda il punto 5.2.4). Gli animali,inoltre, possono essere macellati solo se sono puliti, perché è impossibile ottenere car-ne con pochi microbi partendo da animali sporchi. Prima della macellazione gli ani-mali devono essere sottoposti ad una visita del veterinario ufficiale dell’Asl (visita antemortem), il quale giudica se l’animale è in condizioni idonee per essere macellato. Il terzo aspetto riguarda la macellazione, da eseguire nel pieno rispetto delle vigen-ti norme igienico sanitarie. Fermo restando che il macello sia riconosciuto dall’Asl,la normativa di riferimento sull’igiene della macellazione è contenuta nell’AllegatoIII sezione I, capitolo IV del Reg. (CE) n. 853/2004. L’igiene della macellazione è im-portantissima per evitare contaminazioni microbiche eccessive della carne: il muscolodell’animale in buona salute prima della macellazione è privo di microrganismi; conla macellazione, di fatto, si possono solo peggiorare le cose. Le contaminazioni del-la carcassa possono provenire dalle superfici di lavoro, dalle attrezzature (coltelli ecc),dal personale (cute, vie respiratorie ecc), dall’aria ecc. ed è ovviamente impossibileevitare che la carne, alla fine della macellazione, almeno in superficie sia contami-nata. Tuttavia è importante evitare una presenza eccessiva di microrganismi, soprattuttopatogeni.Al termine della macellazione la carcassa e i visceri devono essere ispezionati dal Ve-terinario ufficiale dell’Asl (visita post-mortem), il quale giudica se la carne e le frat-taglie ottenute sono idonee al consumo. Il quarto aspetto riguarda la successiva manipolazione della carne che può prevede-re: il trasporto, nel caso in cui ci si appoggia ad un macello esterno all’azienda; il ma-gazzinaggio (refrigerazione e frollatura); il sezionamento; la lavorazione, se si rea-lizzano prodotti trasformati.

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5.2.4 Come si effettua una buona frollatura della carne?La frollatura della carne è essenziale per ottenere un buon prodotto. Durante la frol-latura nella carne avvengono diverse reazioni chimiche, non del tutto note. È un fe-nomeno enzimatico, cioè si liberano dalle cellule muscolari alcune sostanze, dette ap-punto enzimi, che hanno la capacità di demolire le proteine, liberando dei compostipiù piccoli (peptidi e aminoacidi). Per effetto della frollatura le carni diventano più te-nere e aromatiche. Le condizioni per una buona frollatura sono:• la qualità della carne di partenza: carne di buona qualità igienica, ottenuta da ani-

mali in buono stato di salute e di nutrizione, macellati in modo ottimale (anima-li non stressati prima della macellazione e dissanguati in modo ottimale);

• acidificazione della carcassa: carne che dopo la macellazione è andata incontro aduna corretta acidificazione. Infatti, in animali macellati in buone condizioni di sa-lute il glicogeno dei muscoli viene demolito ad acido lattico, portando il pH dellamassa muscolare intorno al valore di 5,5, che risulta particolarmente utile dal pun-to di vista della sua conservazione, poiché ritarda lo sviluppo dei batteri putrido-geni. È inoltre utile dal punto di vista tecnologico, perché si ottiene una carne chemantiene meglio il colore, cala meno di peso con la cottura (trattiene meglio l’ac-qua) e reagisce meglio con il sale e i nitriti se lavorata;

• raffreddamento della carcassa: perché si verifichi una buona acidificazione è ne-cessario che la temperatura della carcassa, poco dopo la macellazione, scenda inmodo costante e uniforme, evitando un raffreddamento troppo spinto o troppo len-to. Se la carcassa non viene raffreddata, infatti, acidifica troppo rapidamente e ri-

sulterà fibrosa, mentre se viene raffreddata rapidamente (0-1° C) il pro-cesso di acidificazione si blocca e la carne non raggiungerà il pH volu-to. Le carni raffreddate troppo rapidamente vanno incontro alla cosiddetta“contrattura da freddo”, e risulteranno dure e con tendenza a perdereacqua. Per avere una buona carne bisogna quindi prestare particolareattenzione alla curva di raffreddamento della carcassa. La normativa (Reg.(CE) n. 853/2004 allegato III Capitolo VII), prevede che la carcassa deb-ba essere immediatamente raffreddata, secondo una curva continua didiminuzione della temperatura sino a 7° C, che non deve in seguito es-sere superata durante il magazzinaggio.• durata della frollatura: la durata ottimale deve essere stabilita infunzione di numerosi parametri, fra i quali il più importante è la tem-peratura di conservazione; più è bassa e più la frollatura procede len-tamente. Vi sono però molti altri fattori importanti da considerare, tracui l’età dell’animale, lo sviluppo delle masse muscolari, lo stato di in-grassamento e le caratteristiche di razza. La durata ottimale dovrebbequindi essere decisa dal produttore, tenendo conto della particolaritàdella carne che produce e della propria esperienza, valutando l’andamento

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del processo in carcasse campione mantenute in condizioni ben definite fino al rag-giungimento delle caratteristiche di tenerezza, succulenza e sapore desiderate. Indefinitiva il periodo di frollatura, considerando quanto sopra, può oscillare da 3 a15 giorni.

5.2.5 Alcuni vincoli specifici per la trasformazione della carne in aziendaRelativamente alla materia prima utilizzata per i prodotti trasformati, il Reg. (CE) n.853/2004 dispone, in particolare, cosa non può venire utilizzato per la preparazione deiprodotti a base di carne (gli organi dell’apparato genitale maschile e femminile, ad esclu-sione dei testicoli, gli organi dell’apparato urinario, ad esclusione dei reni e della ve-scica, la cartilagine della laringe, della trachea e dei bronchi extralobulari, gli occhi ele palpebre, il condotto auditivo esterno, i tessuti cornei, ad es gli unghielli) e che tut-te le carni utilizzate per la produzione di prodotti a base di carne devono soddisfare irequisiti prescritti per le carni fresche (allegato III sez. VI del Regolamento).

5.3 Carne di pollame e conigli

5.3.1 Si possono macellare in azienda i propri animali? La macellazione degli avicunicoli presso l’azienda agricola viene trattata in modo par-ticolare dalla normativa vigente. Infatti il legislatore ha considerato che la macellazionedi tali animali, e la successiva cessione delle loro carni direttamente al consumatorefinale, è una pratica comune presso molte popolazioni rurali e ha scelto di non appe-santire con vincoli eccessivamente rigidi tali attività. Per questo motivo la macellazionein azienda di piccoli quantitativi di pollame e lagomorfi (conigli), è stata esclusa dal-l’ambito di applicazione dei regolamenti del “pacchetto igiene”. In base al Decreto della D. G. Sanità della Regione Lombardia n. 1265 del 7.02.2006,sino al limite di 500 capi annui è consentito macellare pollame e conigli in azienda inassenza di strutture e attrezzature dedicate. La macellazione deve però avvenire in pre-senza del consumatore finale o del dettagliante a livello locale; questo significa che nonè consentito procedere alla macellazione di capi avicunicoli da immagazzinare in azien-da in attesa della vendita.

5.3.2 A chi si può vendere la carne?I capi macellati, oltre all’autoconsumo, possono essere destinati:• al consumatore finale, definito dal Reg. (CE) n.178/2002, art. 3 punto 18, come co-lui “ che non utilizzi tale prodotto nell’ambito di un’operazione o attività di un’impresadel settore alimentare”;• al dettagliante a livello localeL’allevatore può quindi rifornire oltre che il singolo acquirente che si presenta in azien-da, anche negozi, ristoranti e agriturismi della zona.

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Oltre il suddetto limite di 500 capi annui la macellazione degli avicunicoli rientra nelcampo di applicazione del “pacchetto igiene”, in particolare del Reg. (CE) n. 853/2004per i requisiti relativi ai macelli e all’igiene della macellazione (allegato III, sezione II,capitoli II e IV).

5.4 La vendita diretta delle uovaÈ possibile la vendita diretta delle uova nel luogo di produzione. La normativa attuale sulla commercializzazione delle uova è abbastanza rigida e di-spone diversi adempimenti rispetto all’imballaggio e all’etichettatura. Tuttavia i pro-duttori che vendono direttamente le proprie uova e i piccoli allevatori sono stati eso-nerati da gran parte degli adempimenti.In particolare è stato disposto che:• le uova vendute direttamente dal produttore al consumatore finale nel luogo di pro-

duzione, o nel raggio di 10 km (presso un mercato o porta a porta), devono esse-re marchiate con il solo codice del produttore;

• ai produttori che hanno meno di 50 galline ovaiole non si applicano né le normesulla commercializzazione, né quelle sulla stampigliatura delle uova. Nel punto ven-dita deve però essere indicato il nome e l’indirizzo del produttore (in pratica le uovasi possono vendere così come sono, in azienda ma anche porta a porta, informandol’acquirente sulla loro provenienza);

Normativa di riferimento:Decreto Ministeriale 13 novembre 2007 (G.U. 22.12.2007 n. 297) “Modalità di appli-cazione di disposizioni comunitarie in materia di commercializzazione delle uova [...];Regolamenti (CE) n. 1028/2006 e n. 557/2007; D.lgs. 29 luglio 2003 n. 267;

5.5 Produzione e vendita di vegetali freschi e prodotti trasformatiCenni sui principali aspetti igienico-sanitari. Anche per i prodotti vegetali valgono le raccomandazioni generali di igiene e pulizia,nonché le nozioni di rischio e pericolo, indicate per i prodotti animali, al fine di assi-curare adeguate condizioni di igiene e sicurezza alimentare.Di seguito sono indicati i principali pericoli connessi agli alimenti di origine ve-getale:• chimici: residui di fitofarmaci, insetticidi, concimi, contaminanti e inquinanti am-

bientali, micotossine;• biologici: batteri, virus, protozoi, insetti adulti e loro larve; • fisici: presenza di corpi estranei (sassolini, schegge, frammenti metallici, ecc).

Al fine di limitare la presenza di residui chimici è necessario seguire le buone prati-

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che di coltivazione (le cosiddette BPA: buone pratiche agricole). Il rischio dell’eventualepresenza di residui di fitofarmaci è da tenere in massima considerazione, gestendo taliprodotti in modo corretto (stoccaggio, dosaggi, modalità di esecuzione dei trattamen-ti, tenuta delle registrazioni, rispetto dei tempi di carenza). I prodotti fitosanitari mol-to tossici, tossici e nocivi (cosiddetti “in classe”) possono essere acquistati e impiega-ti solo dall’operatore in possesso dell’autorizzazione (cosiddetto “patentino”), rilascia-ta dalla Provincia. I fitofarmaci devono essere conservati in un apposito locale, arieg-giato e asciutto, chiudibile a chiave o chiusi a chiave in un armadio in metallo dota-to di idonee feritoie. Vige l’obbligo della tenuta del registro dei trattamenti dei fito-farmaci (cosiddetto “quaderno di campagna”) dove devono essere annotati tutti gli in-terventi effettuati (data, nome commerciale del prodotto, quantità impiegata, superfi-cie trattata, avversità che rende necessario il trattamento, persona che effettua il trat-tamento, coltura trattata e fase fenologica in cui si trova). Il registro dei trattamenti deveessere compilato anche quando gli interventi fitosanitari vengono eseguiti per la di-fesa delle derrate alimentari immagazzinate.I pericoli biologi sono diversi in dipendenza della tipologia di prodotto.Negli ortaggi freschi tra i microrganismi patogeni sono riscontrabili: E.Coli, Salmo-nella, Listeria (si rimanda al punto 2.20), Shigella,e Vibrio cholerae. Oltre ai germi patogeni sui vegetali possono ritrovarsi microrganismi alteranti, cioèche non sono fonte di pericolo diretto per il consumatore ma che, alterando l’alimento,possono comunque essere all’origine di problematiche alimentari. Tra questi vi sonoi batteri che causano marciumi (Erwinia e Pseudomonas) e diverse muffe (Botrytis, Bre-mia, Sclerotinia spp).Tra i diversi ortaggi quelli in foglia (ad es. insalate) sono più soggetti alle contami-nazioni, sia perché sono più vicini al terreno, sia perché sono più delicati. Inoltre nonsono acidi (al contrario, ad esempio, dei pomodori) e quindi non contrastano la mol-tiplicazione batterica. Tali alimenti devono essere perciòmanipolati con attenzione sia infase di raccolta che durante le ope-razioni di conservazione, lavorazio-ne e confezionamento.I tuberi, come le patate, pur deri-vando dal terreno, difficilmente ri-sultano contaminati perché hannouna buccia resistente, inoltre il fat-to che vengano consumati cotti lirende meno pericolosi. Tuttavia sedanneggiati possono essere invasi dagermi e muffe alteranti (causano an-

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nerimenti, rammollimenti, putrefazioni). Un altro potenziale pericolo è rap-presentato dalle oocisti del protozoo Toxoplasma gondii, che si possono ri-scontrare a seguito di contaminazione dei vegetali con le feci di gatti (è quin-di importante impedire l’accesso alle coltivazioni a tali animali).Per la gestione dei predetti pericoli biologici è importante l’applicazione di cor-rette pratiche agronomiche, in particolare concimazioni organiche e irrigazioni,e l’esecuzione di adeguate modalità di raccolta, mondatura, pulizia e lavag-gio dei vegetali. Nella frutta fresca i pericoli biologici sono in genere limitati ai germi alte-ranti e in particolare alle muffe (Botrytis, Phytophthora). Tuttavia, alcune spe-cie frutticole (fragola o altri piccoli frutti), crescendo vicine al terreno, pos-sono venire contaminate, attraverso la terra o l‘acqua, con microrganismi pa-togeni (E.Coli, Salmonella, Listeria ). I microrganismi presenti sulla superfi-cie possono penetrare nel frutto attraverso eventuali lesioni della buccia epertanto occorre evitare la raccolta di frutti danneggiati o molto maturi e por-re molta cura in tutte le manipolazioni (raccolta, movimentazione, conserva-zione, confezionamento). Un pericolo particolare è rappresentato da muffe pro-duttrici di micotossine (patulina, ocratossina).Nei cereali (mais, frumento, orzo) il pericolo maggiore è rappresentato dal-l’eventuale presenza di micotossine, in seguito allo sviluppo di muffe tossi-nogene (Claviceps purpurea, Fusarium, Aspergillus, Penicillium, Stachybotrys).Esse si sviluppano in seguito a errate modalità di conservazione (umidità e tem-peratura).Nelle conserve vegetali il rischio microbiologico più grave è rappresentato dal-l’eventuale presenza della tossina prodotta dal Clostridium botulinum. Questobatterio vive normalmente nel terreno e quindi può ritrovarsi facilmente suivegetali, soprattutto quelli coltivati a terra. Quando si trova in condizioni sfa-vorevoli (per es. a contatto con l’aria) forma una spora molto resistente. Essa può successivamente germinare se le condizioni tornano ad essere favorevoli(per esempio nel barattolo sottovuoto) producendo la tossina. Il piano di au-tocontrollo deve tenere in considerazione il pericolo rappresentato dall’even-tuale formazione di tossina botulinica.

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Note

1 Popolazione residente al 31 gennaio 2007 (ISTAT)

2 Dalle analisi condotte per l’adeguamento del Piano territoriale di coordinamentoprovinciale (Ptcp), le aree candidate a divenire agricole, ai sensi della L.R. 12/2005riguardante il governo del territorio, nell’ambito montano interno e periclacualericoprono poco più di 1.600 ettari, cioè circa il 3% della superficie territoriale mon-tana.

3 Dall’inventario delle malghe e degli alpeggi della Regione Lombardia si ricava chela superficie complessiva degli alpeggi lecchesi ammonta a 10.592 ettari, di cui 2.849pascolabile

4 Le aree candidate dal Ptcp a divenire agricole, ai sensi della L.R. 12/2005 nel ter-ritorio collinare della provincia lecchese ricoprono circa il 25 % della superficie ter-ritoriale collinare.

5 Il CESE (Comitato Economico e Sociale Europeo), in un suo parere per un’inizia-tiva sull Agricoltura periurbana scrive, tra l’altro: “Ai problemi tradizionali dellezone agricole periurbane va aggiunto un problema le cui prime manifestazioni sonopiù recenti e che consiste nella difesa degli spazi liberi intorno alle città, non pre-vedendo però il loro sfruttamento agricolo. Si tratta di un’idea del territorio come“parco tematico” in cui tutto risulterà artificiale, fuori contesto e impersonale, un’ideamotivata con determinati criteri estetici falsamente supportati da norme impron-tate alla preservazione della biodiversità o ad una concezione del paesaggio checerca di emarginare l’attività agricola o relegarla a mero aspetto folcloristico.”

6 Provincia di Lecco - Servizio Agricoltura e Foreste, 2004 Indagine conoscitiva perla costruzione del quadro delle conoscenze per la definizione di disciplinari di pro-duzione dei prodotti agricoli lecchesi

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Volumi pubblicati nella collana Pr.I.M.V.A.V.E.R.A.(Progetto d’Integrazione e Modernizzazione dell’Agricoltura

per la Valorizzazione Equilibrata delle Risorse Agroambientali)

SEZIONE GESTIONE INNOVAZIONE E SVILUPPO AGRICOLO1. Agriturismo in provincia di Lecco – Idee per lo sviluppo e la valorizzazione

2. Sicurezza e salute in agricoltura – Informare, prevenire, proteggere

SEZIONE VALORIZZAZIONE RISORSE AGRICOLE1. La gestione dei reflui d’allevamento per la valorizzazione delle risorse aziendali

2. Il florovivaismo lecchese – Prodotti e servizi del comparto6. I funghi in provincia di Lecco – Conoscenza e valorizzazione delle risorse

9. Antiche varietà frutticole lecchesi - conoscere e valorizzare l’agro-biodiversità

SEZIONE AGRICOLTURA, TERRITORIO AMBIENTE5. I suoli della Brianza lecchese – Caratteri agronomici *

7. Gli alberi monumentali della provincia di Lecco10 . L’Agricoltura, i segni e le forme - Idee per valorizzare il paesaggio agrario

SEZIONE ECONOMIA E POLITICA AGRARIA8. Multifunzionalità in agricoltura: dai concetti alle opportunità

11.Vendita diretta dei prodotti agricoli. Aspetti amministrativi e igienico-sanitari

* A partire da 5° volume la numerazione della collana prosegue in ordine progressivo e non per singola sezione.

I volumi sono reperibili su http://www.provincia.lecco.it/Pagine/US22/new_volumi.htm

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