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Angels in America, bestseller del teatro americano scritto da Tony Kushner all’inizio degli anni 90, è uno straordinario ritratto dell’epo-ca reganiana, dove l’Aids diviene metafora dello sfaldamento so-ciale, religioso e politico di un’in-tera epoca. L’allestimento di Si avvicina il millennio, prima par-te dell’opera, segna una tappa fondamentale nella storia della Compagnia dell’Elfo. Già grande successo nella versione televisiva con Al Pacino, questa regia di Elio De Capitani e Ferdinado Bruni ha ottenuto i più prestigiosi riconosci-menti teatrali italiani a partire dal Premio dell’Associazione Critici di Teatro «per uno sviluppo sceni-co più vicino all’allegoria che alla semplice metafora: dilata l’ampia scena oltre se stessa con virtua-li proiezioni cinematografiche di grande effetto, con livelli sonori a volte alterati, che riescono a resti-tuirci tanti piani di realtà, da quelli più chiaramente onirici a quelli di un realismo più tragico e concreto, in un insieme di grande intensità emotiva».La seconda parte, Perestroika, sempre ambientata nella New York febbrile e onnivora degli anni Ottanta, è contenitore ideale delle inquietudini di un’epoca che arriva fino ai nostri giorni. Qui riprende vita l’intreccio che mischia le vite di uomini semplici con quelle di angeli barocchi, di allucinazioni psicotiche che diventano reali e di personaggi storici trasformati in fantasmi.Ritroviamo dunque i personaggi a cui molti spettatori si erano affezio-nati: Prior Walter, solo e malato di

Aids, e Louis, il suo ex fidanzato, adesso amante dell’avvocato mor-mone Joe Pitt; la giovane moglie di quest’ultimo, che in preda alla depressione si costruisce un’iden-tità immaginaria, e sua suocera Hannah, rigida mormone costret-ta ad allargare le proprie vedute. L’Aids ha colpito anche Roy Cohn, l’avvocato corrotto, colpevole real-mente di aver mandato a morte i coniugi Rosenberg durante il mac-cartismo.Il passato non gli fa sconti e gli infligge l’umiliazione di dipendere dalle cure di Belize, “l’infermie-ra negra del turno di notte, il mio negativo”. Con l’incalzare della morte, i suoi sogni si popolano di incubi e fantasmi: sarà proprio l’apparizione della sua vittima più famosa, Ethel Rosenberg, ad ac-compagnarlo verso la fine.

Intervista a Tony Kushner Per Tony Kushner vale l’antico motto di Denis Diderot: «Togliete-mi la politica e la morale, e non sa-prò più di cosa parlare». Da un’ora di conversazione con Kushner si esce, infatti, con alcune centinaia di opinioni su guerra in Iraq, giusti-zia sociale, buco nell’ozono, ego-anarchisti, fondamentalisti cristia-ni, intercettazioni dell’Fbi, legge mosaica, omofobia, dinastia Bush, antisemitismo. Il tutto offerto all’in-terlocutore con cortesia e implaca-bile gusto dell’affabulazione. Il suo teatro resta apparentemente sullo sfondo, schiacciato dall’urgenza della cronaca e da una visione della vita che chiede di essere co-

municata. «Penso il mondo politi-camente», riconosce lui, «Per me la politica è interessante, sexy, di-vertente». Il concetto non è poi molto diver-so da quello che Kushner mette in bocca a Louis, il suo alter ego te-atrale di Angels in America: «Non ci sono angeli in America, non c’è passato spirituale, non c’è passa-to razziale, c’è solo la politica». In realtà, mentre il torrente in piena procede, ci si rende conto che la «politica» di Kushner è qualcosa di vasto e mobile, è il gioco del-le relazioni sociali, il groviglio di amore, odio, sesso, desiderio, speranza, malattia che tesse la vita di ognuno e che lui porta a te-atro. «Scrivo per dire la verità sul modo in cui vedo e capisco il mon-do. Non mi interessa mascherare nulla. Se poi risulto spiacevole, meglio così. Un certo disagio è la prova che un’opera d’arte funzio-na. Non assistiamo a Medea per sentirci meglio». (...)L’impresa è titanica: complessiva-mente, sette ore di spettacolo, più di trenta personaggi, otto atti, 59 scene, un epilogo. E poi, in omag-gio al sottotitolo della commedia, Fantasia gay su temi nazionali, una struttura che ricorda appunto una «fantasia», un’opera musicale fatta di arie, duetti, terzetti, varia-zioni e interludi, con scene e bat-tute che si sovrappongono, angeli che volano e ben 71 cambiamenti d’ambiente: dalle camere da letto alla corsia d’ospedale a Central Park al Polo Sud.Successo travolgente. «Nemme-no io potevo immaginare cosa sarebbe diventata Angels in Ame-

Venerdì 16 sabato 17 aprile 2010, ore 20,30Teatro Ariosto

ANGELS IN AMERICAFantasia gay su temi nazionaliPrima parte: Si avvicina il millenniodi Tony Kushnertraduzione Mario Cervio Gualersi (edita da Ubulibri)regia Ferdinando Bruni e Elio De Capitaniscene di Carlo Salacostumi di Ferdinando Brunicon Elio De Capitani, Elena Russo Arman, Cristina Crippa, Ida Marinelli , Cristian Maria Giammarini, Edoardo Ribatto, Fabrizio Matteini, Umberto Petrancavideo Francesco Frongialuci di Nando Frigeriosuono di Giuseppe Marzoli

produzione Teatridithalia/ERT Emila Romagna Teatro Fondazione

Domenica 18 aprile 2010, ore 20,30Teatro Ariosto

ANGELS IN AMERICASeconda parte: Perestroikadi Tony Kushnertraduzione di Ferdinando Bruni (edita da Ubulibri)uno spettacolo di Ferdinando Bruni e Elio De Capitani scene di Carlo Salacostumi di Ferdinando Brunicon Elio De Capitani, Elena Russo Arman, Cristina Crippa, Ida Marinelli , Cristian Giammarini, Edoardo Ribatto, Fabrizio Matteini, Umberto Petranca, Sara Borsarellivideo di Francesco Frongialuci di Nando Frigeriosuono di Giuseppe Marzoli

produzione Teatridithalia/ERT Emila Romagna Teatro Fondazionecon il contributo di Next-Laboratorio delle idee per Oltre il palcoscenico

rica», racconta oggi Kushner. L’opera nasce infatti come lavoro su commissione nel 1987, quandolo scrittore viene avvicinato da Oscar Eustis, regista del Mark Ta-per Forum di Los Angeles. Eustis,rimasto impressionato dal primo lavoro di Tony Kushner, A Bright Room Called Day, gli chiede una commedia sull’impatto dell’Aids nella comunità gay di San Franci-sco.I due cercano finanziamenti, con-ducono workshops, sviluppano il lavoro. Millenium approaches va in scena per la prima volta a San Francisco nel 1991; Perestroika debutta l’anno successivo. Nel 1993-94 le due parti arrivano a Broadway. Il successo è immedia-to. Kushner vince il Pulitzer, due Tony, una miriade di altri premi. Nel 1994 Harold Bloom inserisce Angels in America nella lista dei capolavori del suo celebre We-stern Canon. Peter Eötvös ne trae un’opera musicale, Robert Altman comincia a pensare a una versio-ne televisiva (che vedrà la luce soltanto nel 2003, con Al Pacino, Meryl Streep, Emma Thompson e la regia di Mike Nichols; i pro-duttori erano rimasti spaventati dai preventivi di Altman). Angels trasforma un giovane e oscuro scrittore di teatro nel più celebre drammaturgo della sua genera-zione. Kushner scrive altre com-medie (Slavs, Homebody/Kabul, Caroline or Change), diverse sceneggiature per il cinema (la più recente, Munich, per Steven Spielberg). I suoi interventi pub-blici – che si tratti di Martha Ste-wart o di war on terror – ne fanno

l’uomo di spettacolo americano più éngagé, una sorta di nuovo Arthur Miller in un momento in cui il teatro – e la cultura – tendono a staccarsi dalla vita pubblica. Il suo matrimonio in Massachus-setts con il fidanzato di sempre, l’editor di ‘Entertainment Weekly’ Mark Harris, viene segnalato sulla pagina dei «matrimoniali» del New York Times. È la prima volta che il giornale dedica quello spazio a una coppia gay. «All’inizio Angels in America doveva essere proprio una riflessione sulla mia identità gay», ricorda lo scrittore, «Scri-vendolo, è diventato qualcos’al-tro». Forse sarebbe meglio dire che Angels in America è diverse cose in un’opera sola: una storia di tradimento e grazia nell’Ameri-ca reaganiana, un dramma sul vi-vere con – e morire di – Aids, sullo sforzo di fissare e di liberarsi dalla propria identità sessuale, etnica e religiosa. Ambientato a New York nel 1985, al culmine dell’epidemia di Aids, Angels segue le vite di un gruppo di uomini e donne legati da uno strano destino circolare. Prior Walter è un giovane Wasp cui è stato diagnosticato l’Aids.Il suo fidanzato Louis, ebreo radi-cal e intellettuale, non sopporta la malattia di Prior, che abbandona, legandosi al mormone repubbli-cano e omosessuale nascosto Joe Pitt, sposato alla Valium-di-pendente Harper. Joe è il protégé dell’avvocato omofobico e a sua volta omosessuale non dichiara-to Roy Cohn, uno dei personaggi realmente esistiti della commedia (mandò sulla sedia elettrica Ethel Rosemberg), che muore di Aids

assistito dalla drag queen e in-fermiere Belize, il migliore amico di Prior. La scena di questo giro-tondo è, come ci viene più volte suggerito, l’America di Ronald Re-agan, un universo folle che spro-fonda nel caos morale. «Siamo i bambini di Reagan», canticchia a un certo punto Louis. «Forse sia-mo liberi. Di fare qualsiasi cosa. Bambini del nuovo giorno, menti

criminali. Egoisti e ingordi e inca-paci d’amare e ciechi».Per Kushner questa così decisa caratterizzazione storica è ciò che rende Angels in America straor-dinariamente attuale. «Può sem-brare un paradosso, ma non lo è. L’America di George W. Bush realizza tutte le promesse di quel-la di Reagan». E quindi, in ordine sparso, un’amministrazione che si

identifica con il capitale e che fa diventare sempre più ricchi i ric-chi, una classe dirigente allergica al governo federale, che pensa che l’egoismo sia una virtù e che la società funzioni meglio senza tasse e controlli, un ceto politico di cowboys che ha in spregio la diplomazia e che bombarda e uc-cide e irrompe in società di cui non conosce nulla. «Insomma, l’Ame-rica di Katrina», spiega Kushner, «che è poi il paese che Reagan aveva promesso: un luogo senza rete sociale, dove se hai i soldi ti salvi e se non li hai muori sepolto dal fango».Contro quest’America Kushner continua a definirsi un «socialista e materialista storico», che credenella redistribuzione della ricchez-za, nella giustizia sociale, nella tradizione dell’«ebraismo etico e agnostico». «La mia sensibilità politica», racconta Kushner, «è modellata sulla tradizione ebraica. Sono cresciuto in un piccolo pae-se della Louisiana, dove gli ebrei erano quelli che non credevano in Cristo e che sarebbero andati all’Inferno. I miei genitori mi han-no sempre insegnato a ribellarmi al pregiudizio, a non aver paura di essere minoranza. La mia idea del pluralismo democratico america-no si è formata lì, sulla necessità di salvaguardare le minoranze e di vivere secondo una legge di giu-stizia morale».L’insistenza sui temi pubblici e po-litici di Kushner non deve comun-que trarre in inganno. Angels in America è il primo pezzo di teatro americano a guadagnare lo status di classico dai tempi di Un tram

A cura dell’Ufficio stampa, comunicazione e promozione L’editore si dichiara pienamente disponibile a regolare le eventuali spettanze relative a diritti di riproduzione per le immagini e i testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte.

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chiamato desiderio e Morte di un commesso viaggiatore. L’impresa non è stata raggiunta tanto grazie alla trasformazione del dramma-turgo in «intellettuale pubblico», che arringa, provoca, sfida, istru-isce il pubblico dal palco. Kushner è l’uomo che ha scritto: «Non c’è abbastanza rabbia per tutto ciò che mi fa arrabbiare», ma è anche colui che ha detto: «I miei lavori migliori nascono dalla tensione continua tra responsabilità e fri-volezza». Prima che manifesto di impegno politico, Angels è allora una sofisticata trama di citazioni, rimandi, allusioni, che spaziano da

Sofocle alla soap opera televisiva a Brecht al Vecchio Testamento fino allo Shakespeare di Riccardo III, Re Lear e Macbeth. Kushner lo chiama «teatro epico», debitore nei confronti di Shakespeare ma anche dell’opera barocca italiana: «Penso si debba chiedere al tea-tro di fare cose impossibili, come far volare un angelo, lanciare un libro infiammato, materializzare i sogni e girare il mondo. D’altra parte, che ragione c’è di restare tutto il tempo in cucina?». Una dichiarazione antinaturalistica se-condo Kushner in perfetto accordo col migliore teatro americano: «In

Europa sottovalutate il teatro ame-ricano. Lo limitate alla dimensione realistica. Non è così. In Morte di un commesso viaggiatore e in Un tram chiamato desiderio ci sono momenti di puro espressionismo. E la più grande commedia ameri-cana, Lungo viaggio verso la not-te, è tutto tranne che realistica».In queste settimane Kushner sta scrivendo la sceneggiatura per il nuovo film di Spielberg, dedicato ad Abraham Lincoln. Il salto può apparire enorme, dagli «angeli» di 20 anni fa. In realtà non è così. Ieri come oggi, Kushner continua a occuparsi del vero tema centrale che percorre la letteratura ameri-cana: e cioè la storia, le condizio-ni, il destino dell’America. L’appro-do a Lincoln è naturale per l’autore di Angels in America: dove Prior proclama il suo essere Wasp, dove Joe, Harper e Hannah sono mormoni, dove il Polo Sud di Har-per è una «frontiera» e un rabbino annuncia che gli ebrei hanno per-corso un «lungo viaggio» tra Euro-pa e Atlantico prima di raggiunge-re la «terra promessa» America. Non è un caso che oggi Kushner definisca Angels, oltre che una commedia «gay e ebraica», anche una «commedia di New York», nel senso di un’opera che si nutre del pluralismo, della diversità, delle identità frastagliate e incerte che compongono il crogiuolo della cit-tà.«È per questa sua natura così mobile e rivoluzionaria che i con-servatori e i fondamentalisti di tutto il mondo la odiano». Anche le parole con cui ci saluta, in fon-do, alludono a questa dimensione così intimamente americana della sua opera. Gli chiediamo perché, dopo tanta disperazione e dolo-re, Angels in America si conclude con Prior, Louis, Belize e Hannah – un Wasp, un ebreo, un nero e un mormone – a parlare del Gre-at Work, della battaglia per la vita, che deve continuare. Ci risponde ancora, Kushner, che «il rifiuto della disperazione è un obbligo».

Annalisa Pellini

22 aprile 2010 ore 20,30Teatro Municipale ValliSa Chen, Maxim Rysanov, Jörg Widmannmusiche di Schumann, Widmann, Kurtàg

21, 23 aprile 2010 ore 20,30 Teatro Municipale ValliLa Cenerentoladi Rossinidirettore Evelino Pidòregia Daniele Abbado

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GRUPPO BPER

Immagini: © Le Pera

Qualcuno ha scritto che la grande letteratura americana oscilla tra «il sogno e la caduta dal sogno».Tony Kushner mostra, in fondo, la tenace persistenza di quel sogno, anche dopo la caduta.(a cura di Roberto Festa, Diario n.16 del 2007)

Tra visioni e allucinazioni, tra nudi muri su cui vengono proiettati pa-norami, cieli tempestosi, fiamme, con pochi elementi a evocare i molti ambienti in cui si sviluppa il dramma, Ferdinando Bruni e Elio De Capitani hanno portato in sce-na in uno spettacolo emozionante fluido, aspro e crudo, commoven-te, significante e inventivo, i primi tre atti dell’epopea di Kushner, nel-la quale si incontrano e si scontra-no religioni, culture, etnie, uomini che faticano a trovare se stessi, affondati nello sgomento. Corriere della sera, Magda Poli 2007

Malgrado tutto ci conforta pensare che l’angelo che appare alla fine e che abbatte i muri dell’ostracismo non vola in un altrove ma vive nel

cuore, nella coscienza di noi tutti, cittadini di un millennio già comin-ciato.L’Unità, Maria Grazia Gregori, 2007

Tutto ciò di cui Angels in America ci parla appartiene a un passato recente ma non ancora storiciz-zato, un passato che ci rimane attaccato addosso, che impronta la nostra vita, il nostro inconscio collettivo. I temi trattati dal testo, l’incubo dell’Aids, in primo luogo, ma anche l’abuso di pasticche o il buco nell’ozono, hanno forse per-so una parte della loro urgenza, ma restano sospesi su di noi. Sca-vare in questa materia è dunque un po’ un interrogarsi su quello che siamo.Il Sole 24 Ore, Renato Palazzi 2007

Robert Schumann: i quartetti,la musica da camera, la pazziacon il Quartetto Kuss

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