introduzione all epigrafia latina

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INTRODUZIONE ALLEPIGRAFIA LATINA Francesca Razzetti I. Che cos’è l’epigrafia II. Di che cosa si occupa III. Che cosa ci è stato tramandato IV. L’epigrafia romana come mezzo di comunicazione di massa V. L’epigrafia come fonte storica VI. Delimitazione cronologica e territoriale VII. Suddivisione tipologica VIII. Criteri di datazione IX. Cenni su abbreviazioni e nessi X. Tecnica di scrittura epigrafica (degli antichi) XI. Il latino epigrafico XII. Tecnica di edizione delle epigrafi (dei moderni) XIII. Raccolte di epigrafi XIV. Esempi di esegesi A. Le origini della lingua latina 1. Il vaso di Dueno 2. La cista Ficoroni 3. La fibula Praenestina 4. Il Lapis Satricanus B. Le iscrizioni funerarie 1. L’elogium di Scipione Barbato figlio 2. L’elogium di Scipione Barbato padre C. Le scritte sui muri: il caso di Pompei 1. I manifesti elettorali 2. Annunci di giochi gladiatori 3. Annunci di case o stanze in affitto 4. Messaggi d’amore 5. Altri messaggi D. Il messaggio epigrafico tardoantico: un esempio di iscrizione locale. Il “martire” Giovanni a Camogli (Ge) XV. Bibliografia minima Presentazione del lavoro Questo lavoro nasce da un interesse personale per l’epigrafia, cui l’Autrice si è appassionata durante gli studi universitari, ma che non ha potuto coltivare all’epoca a causa di diverse scelte, operate per motivi contingenti; successivamente, da insegnante, ha potuto porvi parzialmente rimedio studiando e approfondendo la materia per proprio conto, quasi da autodidatta: sono state così elaborate per gli alunni una serie di lezioni che, variamente rimaneggiate, ora confluiscono in questo contributo. Si tenga presente che, anche negli studi di letteratura latina, sta diventando preponderante una tendenza alla considerazione sempre più marcata e approfondita dei testi epigrafici, analizzati sia nella loro peculiarità sia in rapporto al messaggio che veicolano; si veda per esempio, a questo proposito, l’impianto della nuova letteratura curata da Mortarino, Reali, Turazza, Genius loci, Loescher, Torino

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INTRODUZIONE ALL’EPIGRAFIA LATINA

Francesca Razzetti

I. Che cos’è l’epigrafia II. Di che cosa si occupa III. Che cosa ci è stato tramandato IV. L’epigrafia romana come mezzo di comunicazione di massa V. L’epigrafia come fonte storica VI. Delimitazione cronologica e territoriale VII. Suddivisione tipologica VIII. Criteri di datazione IX. Cenni su abbreviazioni e nessi X. Tecnica di scrittura epigrafica (degli antichi) XI. Il latino epigrafico XII. Tecnica di edizione delle epigrafi (dei moderni) XIII. Raccolte di epigrafi XIV. Esempi di esegesi

A. Le origini della lingua latina1. Il vaso di Dueno2. La cista Ficoroni3. La fibula Praenestina4. Il Lapis Satricanus

B. Le iscrizioni funerarie1. L’elogium di Scipione Barbato figlio2. L’elogium di Scipione Barbato padre

C. Le scritte sui muri: il caso di Pompei1. I manifesti elettorali2. Annunci di giochi gladiatori3. Annunci di case o stanze in affitto4. Messaggi d’amore5. Altri messaggi

D. Il messaggio epigrafico tardoantico: un esempio di iscrizione locale. Il “martire” Giovanni aCamogli (Ge)

XV. Bibliografia minima

Presentazione del lavoroQuesto lavoro nasce da un interesse personale per l’epigrafia, cui l’Autrice si èappassionata durante gli studi universitari, ma che non ha potuto coltivare all’epoca acausa di diverse scelte, operate per motivi contingenti; successivamente, dainsegnante, ha potuto porvi parzialmente rimedio studiando e approfondendo lamateria per proprio conto, quasi da autodidatta: sono state così elaborate per glialunni una serie di lezioni che, variamente rimaneggiate, ora confluiscono in questocontributo. Si tenga presente che, anche negli studi di letteratura latina, stadiventando preponderante una tendenza alla considerazione sempre più marcata eapprofondita dei testi epigrafici, analizzati sia nella loro peculiarità sia in rapporto almessaggio che veicolano; si veda per esempio, a questo proposito, l’impianto dellanuova letteratura curata da Mortarino, Reali, Turazza, Genius loci, Loescher, Torino

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2007: tanto più utile potrebbe risultare, quindi, la lettura del presente contributo,anche solo come “finestra” aperta su un universo – quello epigrafico – che nonappare più, oggi, così settoriale, ma che a buon diritto rivendica la propria centralitànel panorama degli studi sull’antichità classica.

La possibile utilizzazione didattica è ovviamente diversa a seconda delle classi: triennio: nella sua interezza, il lavoro è pensato per essere proposto soltanto al

triennio; si adatterebbe in particolare all’inizio della I liceo classico o della IIIliceo scientifico: potrebbe essere un modo interessante e divertente per dareavvio allo studio della letteratura latina e anche per far entrare i ragazzi incontatto con le discipline antiche, affrontate forse per la prima volta in maniera“scientifica”; non si esclude comunque una possibile utilizzazione anche in unquarto o ultimo anno.

Biennio: sicuramente si possono effettuare, nel secondo quadrimestre della IVginnasio o della I liceo scientifico, la parte introduttiva, opportunamentesemplificata, e la traduzione delle scritte pompeiane, anche in parallelo con laprogrammazione di storia romana, per mostrare il latino “vivo”; solo in unsecondo anno, infine, è forse consigliabile accostarsi al latino arcaico leggendoper esempio le iscrizioni sepolcrali degli Scipioni.

I. Che cos’è l’epigrafiaNon è facile definire precisamente l’epigrafia. Il suo nome deriva dal greco gra/fw(scrivo) + e0pi/ (sopra): unisce quindi in sé il concetto di “scrittura” con quello di“supporto”, cioè dell’oggetto su cui è stato scritto il messaggio; dunque si tratta diuna scienza che si occupa delle “iscrizioni (in greco e0pigra/mmata, in latino tituli)su”, più in particolare su materiale duro, tendenzialmente non flessibile1 e durevolenel tempo; non costituiscono cioè oggetto di studio dell’epigrafia il papiro, lapergamena, la carta, pur se iscritti, ma le iscrizioni su pietre sepolcrali, are votive,basi di statue, lastre, stele, cippi, colonne, tavolette, pareti di edifici, monumentiarchitettonici di ogni specie, oggetti vari e di materiale vario: soprattutto pietra emarmo, ma anche metallo, legno, ceramica, osso, intonaco, pietre preziose. WernerEck ha scritto che “in linea di principio si possono trovare iscrizioni su ogni tipo disuperficie”; delle iscrizioni sulle monete, tuttavia, si occupa una diversa disciplina, lanumismatica.Inoltre, l’epigrafia interpreta documenti con scritture sistematiche, cioè prodotti daciviltà in epoca storica (greca, romana, egiziana ecc.): restano fuori, quindi, i graffitipreistorici.L’epigrafia insegna dunque a leggere e a interpretare le iscrizioni antiche, che si sonoconservate più o meno intatte e sono giunte attraverso vicende varie fino a noi. R.Cagnat, nel suo Cours d’épigraphie latine, scriveva: “Si definisce epigrafia la scienzadelle iscrizioni; per scienza noi intendiamo non solo il sapere pratico necessario per

1 Costituiscono eccezione le tabellae defixionis, le tavolette di maledizione, che sono incise sulastrine di piombo abbastanza malleabili.

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decifrare i monumenti, ma anche quello, più importante ancora e più difficile daacquisire, che è indispensabile per interpretare i documenti letti e ricavarne le notizie,le informazioni che essi contengono”. La decifrazione del testo iscritto, cioè, non è ilfine cui tendere, ma il mezzo necessario per chiarire il messaggio che l’interodocumento veicola e che deve essere compreso anche da chi non è specialista.

II. Di che cosa si occupaSpetta all’epigrafia trattare dei caratteri in cui sono scritte le iscrizioni; di come dallaloro forma si possa determinare l’età dell’iscrizione; insegnare a leggere le molteabbreviazioni, o sigle o nessi che per economia di spazio furono così frequentementeusati nelle epigrafi; spiegare il valore di certe formule speciali utilizzate nei diversisettori d’impiego delle iscrizioni (sepolcrali, votive, onorifiche ecc.). Si tratta dunquedi uno degli strumenti indispensabili per la comprensione storica del mondo antico,non soltanto nelle sue manifestazioni più eclatanti, ma in particolare anche per quegliaspetti concernenti la vita quotidiana delle persone comuni.

III. Che cosa ci è stato tramandatoNell’antichità, fin dallo storico Erodoto (V secolo a.C.) è documentata laconsuetudine di avvalersi di documenti epigrafici, anche se lo studio sistematico delleepigrafi ebbe inizio successivamente, in età alessandrina, con le prime raccolte diiscrizioni (Polemone d’Ilio).Rispetto ad altro materiale scrittorio, le epigrafi si sono perdute nel corso dei secolinon solo a causa di devastazioni, incendi, o per cause naturali – dalle alluvioni allesemplici trasformazioni dei luoghi nel tempo–, ma anche perché il supporto delleiscrizioni (marmo e bronzo soprattutto, oltre che materiali preziosi) poteva essereutile e fu sovente reimpiegato, sebbene il riutilizzo non comportasse necessariamentela distruzione dell’epigrafe.I testi su pietra rappresentano all’incirca il 95% delle iscrizioni a noi giunte: unapercentuale evidentemente altissima, che tuttavia ci fornisce indicazioni di caratteresettoriale sul mondo antico; infatti, si scriveva sulla pietra generalmente undocumento pubblico oppure qualcosa di privato ma estremamente standardizzato (sipensi al caso delle lapidi tombali), che si voleva conservare per sempre: certo la vitaquotidiana rientrava in maniera massiccia nella pratica epigrafica, ma per lo più sualtro materiale, in particolare il legno, utilizzato a questo scopo in tavole di variagrandezza ricoperte di cera o tinteggiate di bianco (tabulae dealbatae). Il legno fufondamentale per la cultura epigrafica romana, ma come è noto si deteriorafacilmente: ecco perché ci sono pervenuti resti quantitativamente minimi rispettoall’ampio e variegato utilizzo nell’antichità.È stato calcolato approssimativamente il numero delle iscrizioni latine conosciute:più di 300.000, provenienti dal territorio dell’Impero romano fino al VII secolo d.C.,cui vanno aggiunte almeno altre 50.000 iscrizioni se si tiene conto anche di testiredatti in altre lingue (soprattutto in greco) riferiti a un contesto romano. In ogni caso,questo numero è in continuo aumento grazie allo sviluppo delle ricerchearcheologiche: basandosi sull’incremento annuo documentato dall’Année

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Èpigraphique, si tratta di circa un migliaio di iscrizioni ogni anno, una quantità dinuove acquisizioni assolutamente incomparabile con altre discipline antiche – e,forse, anche con quelle moderne.

IV. L’epigrafia latina come mezzo di comunicazione di massaLe testimonianze epigrafiche latine a noi giunte, sia integre che mutile, sonodistribuite in maniera assolutamente disomogenea dal punto di vista cronologico: diesse, infatti, soltanto poco più dell’1% (circa 3.700) risale all’età monarchica erepubblicana; un’alta percentuale delle epigrafi databili scritte in latino è invece diepoca imperiale, a partire quindi dall’età augustea (I secolo a.C.): c’è chi ha parlato abuon diritto, proprio per questo periodo, di “civiltà dell’epigrafe” (Louis Robert), dalmomento che l’epigrafe era diventata il principale canale di comunicazione fra stato ecittadini e un importante mezzo di comunicazione privato. Si potrebbe azzardare unparagone tra le epigrafi antiche e i nostri mezzi di comunicazione di massa, mutatismutandis (per esempio tenendo conto del basso tasso di alfabetizzazione del mondoantico, in cui la parola scritta aveva già di per sé una straordinaria autorità, aprescindere dal messaggio veicolato): un modo relativamente pratico e veloce perdiffondere notizie ovunque o per conservare un ricordo nel tempo.All’iscrizione si affidavano i messaggi più vari: la carriera, un’occasione particolare,un dono, la morte, la preghiera, la legge, il calendario ecc.; anche le divinitàutilizzavano, attraverso la mediazione dei sacerdoti, la scrittura su ciottoli o lamineper comunicare i loro messaggi in forma oracolare; tutti gli aspetti della vita antica,pubblica e privata, sacra e profana, entravano in gioco nelle epigrafi e, oggi, possonoquindi stare direttamente davanti ai nostri occhi: ecco un modo interessante perentrare in contatto col mondo antico in maniera immediata, per comunicare con gliantichi e leggere i loro messaggi.A differenza di altre forme antiche di comunicazione, le iscrizioni non costituisconouna categoria esclusiva per pochi eletti, ma sono potenzialmente rivolte a tutti: idestinatari sono infatti non solo tutte le persone alfabetizzate, in grado di leggere edecodificare il messaggio scritto, ma anche i semianalfabeti, che potevano avvalersidi “esegeti” o “letterati” per la lettura, la spiegazione o il riassunto dei testi (si pensiad esempio al caso dei santuari o ai documenti esposti nei fòri); in effetti, se non tuttierano in grado di leggere, certamente tutti sapevano ascoltare. E, d’altro canto,bisogna considerare che i mutamenti storico-culturali che crearono le condizionifavorevoli per l’aumento – quantitativo in primis, ma poi anche qualitativo – delleiscrizioni (si veda infra) innescarono una reazione a catena per cui, con la maggioreesposizione della scrittura, crebbe anche l’alfabetizzazione: la scrittura fissata inmaniera sempre più massiccia su materiale duraturo, alla portata di tutti(recentemente impostasi nel dibattito critico con la definizione di “scrittura esposta”),andò di pari passo con l’incremento dell’alfabetizzazione, con la memoria storica econ la consapevolezza politica.A questo proposito, è utile tenere presente quali effetti produca nel lettore (antico) la“scrittura esposta”:

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«Assume una precisa connotazione ideologica e psicologica nei confrontidel pubblico quando essa viene letta sulla pietra (si può valutareindubbiamente il pregio e la provenienza della pietra come dati utili aconsiderazioni economiche e persino come coefficiente di misuradell’intenzione epigrafica, del proposito di tradurre in epigrafe unastoriografia), sul bronzo ovvero – più raramente – su altri metalli (per lopiù usati per oggetti iscritti) e su laterizi: in quest’ultimo caso si trattaquasi sempre di annotazioni umili, graffite o invece tracciate a fresco,dove più facile è l’impiego della scrittura corrente. La scrittura sumateriale durevole – pietre, e soprattutto marmi, e bronzo – quindi susuperfici concettualmente eterne, comporta alcuni effetti sul pubblico, chesi possono così elencare:1. la persuasione dell’importanza della scrittura, che impegna il suoestensore e tutti i protagonisti che vi sono evocati (una gens, unarespublica, una collettività) alla veridicità di quanto vi si legge ed allafedeltà ai valori espliciti od impliciti nel testo, anche in correlazione agliapparati figurativi e monumentali che eventualmente corredano ilsupporto;2. di conseguenza, il senso di sicurezza che promana dal monimentum edalla sua scrittura, proprio perché concettualmente imperituri: la gente sadi ritrovare in quell’orizzonte quella scrittura, che diviene con ciò unluogo comune dell’esperienza, cioè del quotidiano, e della memoria;3. infine, una scrittura su materiale durevole impegna il committente,l’estensore, lo scriba o scriptor, nonché il lapicida ad un prodotto “diriguardo”, consentaneo quindi ai sentimenti di garanzia che la scritturasuscita nel lettore: costui ne è anche il controllore ed il censore, e tuttodeve quindi compiersi perché la scrittura risulti gradevole, perspicua,corretta, quindi ammirabile.»2

A partire dalla fine del II secolo a.C. il numero delle iscrizioni aumentòsensibilmente, per varie ragioni: in primo luogo, sicuramente vi fu un forte desideriodi autorappresentazione sia nell’aristocrazia di Roma sia nelle classi dirigentimunicipali, nel momento in cui la res publica Romana rivelava evidenti segni didecadimento; inoltre, a fine I secolo Augusto fece dei monumenti epigrafici su pietrauno strumento di propaganda ad ampio raggio, manifesto di una nuova forma digoverno, della figura del princeps, della famiglia imperiale e della promozione dellasua politica. Si deve ammettere che Augusto di comunicazione s’intendeva moltobene: per questo diede un forte impulso al messaggio epigrafico, poiché ne avevacapito l’importanza; non solo Roma, ma anche le altre città, sia italiche cheprovinciali, furono letteralmente tappezzate da epigrafi di grandi dimensioni, posteall’interno dei templi, dei fòri, degli edifici pubblici, per ricordare a tutti il contributo

2 G.C. Susini, Le scritture esposte, in Lo spazio letterario di Roma antica, vol. II, La circolazionedel testo, dir. G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, Roma 1989, p. 284 s.

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della famiglia imperiale nelle attività più svariate. Non si dimentichi che Augustoaffidò alla lunga iscrizione nota come Index Rerum Gestarum o Res Gestae DiviAugusti (“Elenco delle imprese di Augusto”) il proprio testamento politico: un modoefficace non solo perché in tutto l’impero fossero conosciute le linee-guida della suapolitica e le sue imprese, ma anche per tramandarle ai posteri. È interessante a questoproposito ricordare che questa autobiografia ufficiale si è conservata quasiinteramente – al contrario di altre opere di Augusto, di cui possediamo pochiframmenti – proprio perché era stata riprodotta sotto forma di iscrizione in varie cittàdell’impero; più in particolare, l’esemplare meglio conservato è stato ritrovato incisosu marmo nel tempio di Augusto e della Dea Roma ad Ankara (MonumentumAncyranum), ovviamente bilingue, cioè scritto sia in latino che in greco a beneficiodelle due componenti fondamentali dell’impero, quella occidentale che parlava inlatino e quella orientale che si esprimeva in greco.In questo campo, come in altri settori, Augusto lanciò la “moda” delle iscrizioni: inséguito anche i senatori, i funzionari della classe equestre e dei municipi divenneroben presto committenti di iscrizioni pubbliche, ovviamente funzionali a esaltaremeriti e carriera di qualche personaggio (iscrizioni onorarie). Presso gli strati piùumili, invece, la consuetudine epigrafica restò sempre legata alla commemorazionefunebre: non bisogna dimenticare che le iscrizioni funerarie antiche sono in assolutola tipologia più numerosa che ci sia pervenuta.Dal I al III secolo d.C. l’incremento della produzione epigrafica fu in generalenotevole; in séguito, con la crisi economica e sociale dell’impero, le iscrizionipubbliche diminuirono progressivamente, mentre restarono ampiamente diffuse leiscrizioni sepolcrali – perfetto esempio di consuetudine pagana che il cristianesimoereditò.

V. L’epigrafia come fonte storicaTra le fonti che lo storico ha a disposizione per interpretare l’antichità nei suoimolteplici aspetti, l’epigrafia è una fonte primaria e garantisce una certa obiettività eattendibilità. Le epigrafi sono ovviamente fondamentali nei casi in cui costituiscanol’unico documento per ricostruire un fatto, in assenza di altre testimonianze (inparticolare archeologiche o letterarie); se invece ci sono pervenute altre fonti, peresempio letterarie, su uno stesso avvenimento, è possibile porle a confronto, tenendoconto che spesso l’iscrizione è più vicina nel tempo all’evento, è destinata a ungrande pubblico ed è soggetta in misura minore all’inevitabile parzialità di un autore;per queste ragioni un’epigrafe rappresenta anche un’utile modalità di revisione criticadi teorie storiografiche ormai consolidate.Ancora, le iscrizioni costituiscono una preziosa e fedele testimonianza della lingua, intutte le sue stratificazioni sociali (livello sincronico), nella sua evoluzionecronologica (livello diacronico) e territoriale, a seconda del luogo di provenienza; inparticolare, le epigrafi tombali costituiscono una fonte unica per la ricostruzione delsermo cotidianus, la lingua parlata, che in quanto tale si evolve più velocementerispetto alla lingua letteraria, conservativa per definizione.

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Inoltre, anche la più nota archeologia (almeno al grande pubblico) è debitriceall’epigrafia per molteplici aspetti: un’iscrizione può infatti fornire moltissimeinformazioni sui monumenti più vari, dalla datazione alla destinazione, daicommittenti a eventuali restauri, dalle scene rappresentate alla dedica ecc.;ovviamente, tutto ciò è tanto più utile in caso di monumenti mutili, mal conservati odel tutto perduti.Infine, possiamo considerare ingente anche l’apporto dell’epigrafia alla storiapolitica, economica e sociale del mondo antico, nonché alla storia del diritto e dellereligioni (spesso le iscrizioni costituiscono l’unica fonte per la ricostruzione di culti).Per esempio, un elemento in apparenza privo d’interesse scientifico come un marchioinciso su un mattone, se correttamente interpretato si rivela prezioso a livello storico:si è capito, appunto dallo studio dei marchi sui mattoni, che nel III secolo d.C.l’industria laterizia era posta sotto la diretta gestione imperiale. Oppure, i bolli suicocci di anfore rotte depositate in zone di discarica permettono di ricostruire ilcommercio di particolari prodotti, provenienti da determinati luoghi, in una precisazona (Testaccio) e in un certo periodo. Infine, anche lo studio delle pietre miliari,ritrovate numerose in tutte le province romane, può rivelarsi di grande utilità peravere informazioni varie sulla costruzione delle strade nell’impero.

VI. Delimitazione cronologica e territorialeA buon diritto gli antichisti rivendicano il ruolo centrale dell’epigrafia tra le scienzestorico-filologiche (dopo che la filologia ottocentesca, tedesca in particolare, l’avevarelegata tra le cosiddette “scienze ausiliarie”): le due più antiche testimonianze dellalingua latina sono, infatti, iscrizioni e risalgono probabilmente al VI secolo a.C.

Una è il regolamento sacrale – forse un monito posto a protezione di un recintosacro dove, secondo la leggenda, sarebbe stato sepolto Romolo-, didifficilissima lettura anche perché mutilo, iscritto sul cippus quadrangolareritrovato sotto il Lapis Niger (così chiamato dal colore del marmo dellapavimentazione), scoperto nel 1899 nel Foro romano, vicino all’Arco diSettimio Severo, e recante un’iscrizione bustrofedica verticale in alfabetolatino arcaico con influenze greco-etrusche;

l’altra è il testo inciso sul vaso di terracotta detto di Dueno (vedi in XIV. A1);la fibula Praenestina, invece, ritenuta a lungo la più antica attestazione dellatino, è da considerarsi un falso moderno (vedi in XIV. A3).

Dal primitivo nucleo laziale la civiltà romana in lingua latina, e dunque anche leepigrafi scritte in latino, si diffusero in tutti i territori a mano a mano conquistati:quindi entrano a far parte dell’epigrafia latina le iscrizioni ritrovate entro i confinidell’impero romano e nelle sue zone d’influenza, per esempio quelle giunteci daterritori mai inglobati nell’impero, come la Persia, ma che interessano comunque lastoria romana. In realtà, per quanto concerne la distribuzione territoriale, vi è unagrande disomogeneità nei ritrovamenti: quasi la metà dei testi iscritti proviene infattidall’Italia (170.000 circa), di cui 100.000 soltanto da Roma; altre zone, come adesempio la Britannia, la Germania o anche la Gallia (se si esclude la Narbonensis),sono invece relativamente povere di iscrizioni.

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Più problematico è stabilire quando si concluda l’epigrafia romana: in questadelimitazione si intersecano infatti questioni relative alla storia della civiltà, dellacultura, della lingua; inoltre, dal punto di vista pratico bisogna considerare anchel’involuzione della forma scrittoria e del messaggio epigrafico in sé.Convenzionalmente, in passato è stato considerato valido anche per l’epigrafiaromana il termine fissato per la storia romana, cioè il 476 d.C., anno della cadutadell’Impero Romano d’Occidente, ma oggi gli studiosi preferiscono attenersi altermine del VII secolo d.C. L’epigrafia latina, invece, che si occupa delle iscrizioniredatte in latino, in realtà si può considerare vitale ancora oggi.

VII. Suddivisione tipologicaNon è un’operazione semplice suddividere le iscrizioni in categorie e, nel tempo, glistudiosi hanno proposto varie forme di suddivisioni; il criterio oggi più diffuso èquello contenutistico – proposto dal Cagnat e seguìto dalla Calabi-Limentani – chericonduce le epigrafi a diverse tipologie:Tituli:

1. iscrizioni sacre: consentono di conoscere la cultura religiosa delle varie zonedell’impero nei diversi periodi della storia romana; sono qui comprese ledediche alle divinità, gli statuti dei templi, i documenti dei collegi sacerdotali, icalendari, iscritti su basi, are, cippi, stele, rilievi, targhe, pareti. Le primeiscrizioni latine pervenuteci appartengono a questa tipologia: epigrafi votiverivolte agli dèi, legate a oggetti o monumenti consacrati alle divinità;

2. funerarie: dedicate a defunti di tutte le classi sociali, costituiscono la tipologiapiù numerosa e sicuramente la più utile per la conoscenza della vita quotidiananelle varie epoche. Si tratta del gruppo di gran lunga più abbondante diiscrizioni latine ed è contraddistinto al contempo da notevole varietà di alcuniaspetti (differenze regionali, diversità di sepoltura per contesto sociale o mezzieconomici ecc.) e da straordinaria uniformità per altri (elementi ricorrentimenzionati nel testo);

3. onorarie: ricordano chi ha ricevuto un tributo d’onore (in genere imperatori emagistrati);

4. instrumentum domesticum: rientrano in questa categoria tutte le iscrizioni sutubi, vasi, mattoni, anfore, pietre (anche preziose), tavolette (per esempio conincise le maledizioni), oggetti vari di uso quotidiano. Si tratta di testigeneralmente brevi e spesso di difficile interpretazione; tuttavia, presentano ilvantaggio di offrire quasi sempre uno spaccato della vita quotidiana ecostituiscono un’utile testimonianza dell’evoluzione della lingua;

5. iscrizioni parietali.Acta:

6. iscrizioni giuridiche, cioè tutte quelle che contengono atti pubblici e le liste dimagistrati, i Fasti. I documenti statali, fin da epoca antichissima, furonoconservati a Roma sotto forma di iscrizione (cfr. per esempio Polibio III 26, 1:i patti con Cartagine furono incisi su tavole di bronzo). Queste epigrafi

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costituiscono una preziosa fonte non solo per la storia, ma anche per il dirittoromano.

VIII. Criteri di datazioneAnche se non sono datate ad annum, le epigrafi sono utili come documenti storici.Non è purtroppo molto frequente che un’iscrizione rechi il riferimento esplicito a unadata, per esempio la citazione del nome dei consoli o, se è nominato un imperatore, lasua tribunicia potestas (in epoca tardoantica, anche il nome stesso); per datareun’iscrizione si deve ricorrere allora ad altri criteri, che prendano in esame elementidiversi:

1) criteri di ordine esterno: definiscono cronologicamente l’epigrafe sulla basedell’esame archeologico (materiale, forma, ornamento, stile ecc.) epaleografico (scrittura: lettere, loro forma e disposizione, evoluzionedell’alfabeto ecc.);

2) criteri di ordine interno: se nel testo vi sono riferimenti a fatti e/o persone citatida altre fonti; oppure esame della lingua, della grammatica, delle formule fisseecc.

IX. Cenni su abbreviazioni e nessi3

Un problema di non poco conto, che rende talvolta molto ardua l’interpretazionedelle epigrafi, è costituito dalla presenza di abbreviazioni: i Romani, per motivazioniessenzialmente economiche, abbreviavano tutto e in qualunque modo, o pertroncamento (cadeva cioè la parte finale della parola) o per contrazione (cadevaqualche lettera interna della parola); per esempio, le abbreviazioni diffusissime cosper co(n)s(ul) o pq per p(opulus)q(ue) sono al contempo per troncamento e percontrazione. In latino le abbreviazioni erano dette notae, oppure sigla, e talvoltavenivano segnate con un trattino orizzontale posto sopra l’ultima lettera della parolaabbreviata.Per risparmiare spazio e tempo, inoltre, era consuetudine utilizzare i nessi (olegature), che consistevano nel sovrapporre le lettere utilizzando dei tratti comuni; ciòcomplica ulteriormente la lettura, perché è possibile sciogliere un medesimo nesso inpiù modi.

X. Tecnica di scrittura epigrafica (degli antichi)Il lapicida antico provvedeva innanzitutto alla preparazione del campo epigrafico,levigando la superficie irregolare del supporto prescelto (pietra, marmo ecc.) affinchédiventasse adatta all’incisione (petram excidere è definita l’operazione preliminare,titulum polire quella ultima di rifinitura, in CIL III 633); era poi realizzatal’ordinatio, cioè il disegno preventivo del testo da scrivere, che veniva preparato

3 Per un elenco completo di abbreviazioni e scioglimenti si può consultare H. Dessau (a c. di),Inscriptiones Latinae Selectae (ILS), Berlin 1892-1916, rist. 1962, vol. III 2, pp. 752-801. Si vedaanche il sito dell’American Society of Greek and Latin Epigraphy (ASGLE), con l’elenco delleabbreviazioni curato da T. Elliott nel 1998 (http://www.case.edu/artsci/clsc/asgle/abbrev/latin/).

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precedentemente: si trattava di una sorta di minuta che il lapicida, non di radoanalfabeta, avrebbe dovuto copiare in séguito. Sulla base di questo modello, venivapoi inciso il supporto (nomina inscribere, nomina scribere et sculpere è definital’incisione vera e propria in CIL III 633), tracciandovi con uno scalpello (scalprum) ocon un martello (malleus) un solco che, visto in sezione, appariva di solito a forma ditriangolo ed era ripassato col colore – spesso molto intenso, come ad esempio ilrosso, il verde, l’azzurro – oppure veniva riempito con pasta colorata. Era coloratoanche il campo epigrafico: il monumento epigrafico nel suo insieme, quindi, dovevaapparire molto diverso da come lo vediamo noi oggi.Talvolta, nel lavoro d’incisione, il lapicida si aiutava con linee-guida, appena graffitesopra e sotto le lettere, per migliorare la simmetria del testo; successivamente, questevenivano coperte con adeguata stuccatura, operazione di cui ci si serviva anche per lacorrezione di eventuali errori, spesso imputabili a diversi fattori:

in primo luogo al livello d’istruzione dell’incisore; secondariamente, al semplice passaggio dalla minuta, scritta in corsivo in

scriptio continua su materiale deperibile (papiro, stoffa, anche legno),all’epigrafe sulla pietra;

infine, più semplicemente, all’iter del testo attraverso più “mani” di operatori(di solito almeno tre: dapprima lo scriba, poi il preparatore, da ultimo illapicida).

Forse per una sorta di horror vacui, gli spazi tra le parole venivano riempiti con deisegni, con valore puramente separativo e solo in séguito anche decorativo:inizialmente uno, due o tre puntini posti in verticale, poi un triangolino, in etàimperiale anche foglioline di edera o palmette. Curiosa eccezione – questa – allaconsuetudine scrittoria romana: a partire dalla prima età imperiale, infatti, nellapratica della scrittura cadde progressivamente in disuso la separazione tra le parolemediante spazi intermedi o punti (interpuncta), in favore della scriptio continua giàin uso nel mondo greco4.

XI. Il latino epigraficoLo stile dei testi epigrafici è conciso, sintetico, paratattico, lapidario appunto: ilcampo dell’iscrizione è ristretto, dunque il testo iscritto è sempre piuttosto breve enon presenta grandi difficoltà esegetiche dal punto di vista grammaticale; semmai, laparte più complessa è rappresentata dallo scioglimento delle abbreviazioni.

XII. Tecnica di edizione delle epigrafi (dei moderni)

4 Si vedano a questo proposito G. Cavallo, Testo, libro, lettura, in Lo spazio letterario di Romaantica, vol. II, La circolazione del testo, dir. G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, Roma 1989, p. 334s. e M. Steinmann, La scrittura romana, in Introduzione alla filologia latina, dir. F. Graf, ediz.italiana a c. di M. Molin Pradel, traduz. di S. Palermo, Roma 2003, p. 113.

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L’epigrafista esamina e interpreta l’iscrizione nella sua totalità, in modo che essapossa costituire un documento e sia utilizzabile, grazie a questa esegesi, anche da chinon è specialista di epigrafia.

1. La prima operazione consiste nell’attento esame del supporto, cioè dell’oggettoo dell’edificio cui l’iscrizione appartiene: zona di origine, appartenenza, luogoattuale di conservazione, materiale, tipologia.

2. Esame dell’iscrizione in rapporto al suo supporto: il testo iscritto può infattiessere accessorio (per esempio se si trova inciso su un muro), oppure è ilmonumento a essere subordinato a quanto reca scritto sopra.

3. Lettura del testo iscritto, che com’è ovvio risulta fortemente condizionata dallostato di conservazione del monumento; in molti casi è necessario effettuarepreliminarmente alcune operazioni per rendere leggibile il testo (pulitura dellasuperficie; illuminazione con un fascio di luce posto lateralmente; utilizzo diun calco, che può essere fotografico, in gesso o anche in carta).

4. Esame della scrittura e delle sue caratteristiche.5. Contesto dell’epigrafe: luogo e ambiente in cui era stata collocata.

Una moderna edizione di un’epigrafe presenta normalmente le seguenti parti:a) Lemma: premessa in cui l’autore fornisce informazioni varie, come ad esempio

il luogo di ritrovamento, la storia dell’iscrizione, la sua tipologia, il numerodelle righe, la misura delle lettere, la grandezza del monumento e del campoepigrafico, l’esame archeologico.

b) Trascrizione del testo, corredata di fotografia. Non è fornita la traduzione: altesto in lingua originale seguono immediatamente le altre parti dell’analisi.

c) Apparato critico, scritto in carattere più piccolo, in cui vengono riportate tuttele osservazioni pertinenti all’iscrizione in quanto tale (nessi, forma dellelettere, abbreviazioni, eventuali varianti di lettura degli editori precedenti,interventi e correzioni dell’editore).

d) Commento: è la parte più importante, perché l’editore spiega l’epigrafe nellasua totalità, dalla destinazione al collegamento con eventi e personaggi, dalladatazione al contesto geografico, storico, sociale.

XIII. Raccolte di epigrafiLa raccolta più completa di materiale epigrafico in latino è sicuramente il CorpusInscriptionum Latinarum (CIL ), fondato da Mommsen nella seconda metàdell’Ottocento e oggi giunto a 17 tomi (più di 60 volumi, per un totale di circa200.000 testi di ogni genere), ma ancora lontano dall’essere concluso data la continuaaffluenza di nuove iscrizioni da varie parti dell’antico impero. La catalogazioneavviene secondo un duplice criterio, sistematico, come ad esempio nei voll. I, IV,XV-XVII, e geografico (per unità geografiche antiche): in questo modo, è possibile achiunque esaminare i testi epigrafici latini provenienti da un’unità politico-geografica.

CIL Vol. I iscrizioni latine fino alla morte di Cesare

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Vol. II Penisola IbericaVol. III province orientali: Egitto, Siria, Asia Minore, Balcani, fino alla ReziaVol. IV graffiti e dipinti pompeianiVol. V Italia settentrionale (regiones IX-XI)Vol. VI città di RomaVol. VII BritanniaVol. VIII Nordafrica dalla Libia al MaroccoVol. IX Italia orientale, centrale e meridionale (regiones III-IV)Vol. X Italia occidentale, centrale, meridionale (regiones I-II), insulareVol. XI Italia centrale a nord di Roma (reg. VI-VII), Pian. Padana merid. (reg. VIII)Vol. XII Francia meridionale (Gallia Narbonensis)Vol. XIII province galliche e germanicheVol. XIV Lazio a sud e a est di RomaVol. XV instrumentum domesticum proveniente da RomaVol. XVI diplomi militari (decreti pubblicati a Roma e inviati nelle province)Vol. XVII pietre miliari

La più importante selezione di epigrafi latine è quella curata da H. Dessau,Inscriptiones Latinae Selectae (ILS), Berlin 1892-1916, rist. 1962, in 5 volumi, conoltre 9.000 iscrizioni ordinate per temi (per esempio imperatori, senatori,consacrazioni agli dèi ecc.).Oltre al CIL vi sono anche diversi corpora e sillogi d’interesse nazionale e regionale,come ad esempio le Inscriptiones Italiae (I.I.), Roman Inscriptions of Britain (RIB),ecc. Si può dire, a questo riguardo, che ogni territorio su cui Roma ha esercitato il suodominio ha edito la raccolta completa del materiale epigrafico lì reperito.

XIV. Esempi di esegesi

A. Le origini della lingua latinaA1. Il vaso di DuenoSu un vasetto d’argilla a tre colli, ritrovato nel 1880 a Roma in via Nazionale, sulversante meridionale del Quirinale, e oggi conservato a Berlino, è stata incisaun’iscrizione con scrittura destrorsa (mentre nel cippo del Lapis Niger è bustrofedicain verticale, vedi V. Delimitazione cronologica e territoriale), disposta su tre righeche si snodano lungo i tre corpi del vaso. Il recipiente, databile probabilmente al VIsecolo a.C., è stato oggetto di svariate interpretazioni, oggi arrivate a una sessantinacirca, a seconda di come si suddividono le parole che compongono il testo, scritto inscriptio continua in latino arcaico.L’iscrizione è la seguente:

IOUESATDEIUOSQOIMEDMITATNEITEDENDOCOSMISUIRCOSIEDASTEDNOISIOPETOITESIAIPAKARIUOISDUENOSMEDFEKEDENMANOMEINOMDUENOINEMEDMALOSTATOD

In latino corrente si avrebbe, secondo la lettura di Pisani:Iurat (per) deos qui me mittat nisi in te (= endo ted con anastrofe) comis virgo sit,

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at cibis (= ednois dalla radice indoeuropea *edno) fututioni (= iopetoi) illi (= tesiai)pacari vis.Bonus me fecit in manum (=en manom) exitum (= einom da eo, ire), bono ne (e) memalum stato (= imperativo da sisto o sto).“Giura per gli dèi colui che mi scambia (cioè “mi vende”), se non è amabile nei tuoiconfronti la fanciulla, / ma vuoi renderti accetto a lei coi cibi a scopo sessuale. / Unbuono mi ha fatto per un buono scopo, che a un buono non derivi da me un male”.

Un’altra lettura possibile sarebbe:Iurat deos qui me mittat ne in te comis virgo sit,astet nisi ope Tuteriae pacari vis.Bonus/Duenus me fecit in manum enim bono/Dueno ne me malo stato.“Chi mi manda in dono scongiura gli dèi perché la fanciulla non sia amabile con te enon ti stia accanto se tu non vuoi essere appagato per opera di Tuteria. Un uomobuono (oppure Dueno) mi ha fatto per un fine buono e quindi a questa personaperbene (oppure a Dueno) non capiti un male per causa mia”.

In entrambe le letture qui proposte, il vaso apparterrebbe alla categoria degli “oggettiparlanti” e l’iscrizione recherebbe indicazioni sul contenuto del vaso stesso; il testo, aseconda delle varie interpretazioni, è stato considerato una formula magica per unincantesimo amatorio, una maledizione, oppure un responso oracolare (ipotesi chespiegherebbe tra l’altro le ambivalenze e le oscurità).Non vi è accordo tra gli studiosi neppure sulla funzione di questo vaso: potrebbeessere, infatti, un contenitore per cosmetici, per un filtro amoroso, per bevandesacrificali, oppure anche un ex voto di ringraziamento.Si noti infine il probabile gioco sul doppio senso di duenus: sarebbe da intendersicome nome proprio dell’artefice del vaso (cioè Dueno) e come forma arcaica perbonus, quindi come aggettivo indicante “una persona perbene”.

A2. La cista FicoroniL’antica città di Praeneste, oggi Palestrina, situata sulle pendici dei monti Prenestinia qualche decina di chilometri da Roma, fu fiorente già nell’età arcaica grazie alla suaposizione strategica; nel IV secolo a.C., in particolare, Praeneste ebbe parte attivaall’interno della Lega Latina, una sorta di federazione fra i centri del Lazio che siscontrò con Roma in varie riprese, a partire dall’inizio del V secolo a.C. fino allaguerra decisiva – detta appunto latina – nel 340-338 a.C., conclusasi con loscioglimento della lega e l’ingresso di gran parte del territorio di Praenestenell’orbita di Roma.Gli scavi avviati nella necropoli di Praeneste hanno portato alla luce una granquantità di iscrizioni, grazie alle quali è stato possibile ricostruire le vicende di alcuneimportanti famiglie prenestine; inoltre, i corredi delle tombe sono famosi per ipregevoli prodotti dell’artigianato locale, in particolare gli specchi e le ciste bronzee(cioè i beauty-cases delle giovani spose dell’antichità). La più importante tra questeultime è sicuramente la cosiddetta Cista Ficoroni (dal nome dello scopritore

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Francesco Ficoroni), rinvenuta nel 1738 e oggi conservata nel Museo Nazionale diVilla Giulia a Roma: si tratta di un cilindro di bronzo alto 77 cm e del diametro di 38cm, finemente decorato con scene mitologiche e ornamentali, dotato di un coperchiosu cui spiccano le tre statuette di Dioniso fra due satiri, poggianti su una lastrinaiscritta in lingua latina arcaica.L’iscrizione dedicatoria, che riporta il nome della committente e dell’artefice, è laseguente:

NOVIOS PLAUTIOS MED ROMAI FECIDDINDIA MACOLNIA FILEAI DEDIT

In latino classico si avrebbe la seguente trascrizione:

NOVIUS PLAUTIUS ME ROMAE FECITDINDIA MACOLNIA FILIAE DEDIT“Novio Plauzio mi fabbricò a Roma.

Dindia Macolnia (mi) donò alla figlia.”

Il testo mostra tratti linguistici evidentemente arcaici, anche se non quanto il vaso diDueno (vedi XIV. A1): si notino il nominativo singolare alla greca, in –os anziché–us (Novios Plautios); la –d finale nell’accusativo singolare del pronome personale diI persona (med per m e) e nel verbo fecit in luogo della –t (fecid per fecit); ladesinenza –ai usata per il locativo (Romai per Romae) e per il dativo singolare (fileaiper filiae).Un artista di nome Novio Plauzio, quindi, realizzò a Roma la cista che DindiaMacolnia diede poi a sua figlia; la cista è stata prodotta tra il 350 e il 325 a.C., cioèappartiene agli anni in cui Praeneste perse la propria autonomia: è significativo,dunque, che questo bell’oggetto di uso comune, commissionato da una matronaprenestina appartenente a una facoltosa famiglia, sia stato realizzato a Roma, poichéevidentemente l’ambiente artistico di Praeneste in quel momento si potevaconsiderare già subordinato rispetto al livello della più avanzata metropoli romana.

A3. La fibula PraenestinaAlla fine dell’Ottocento a Palestrina fu ritrovata una fibbia d’oro, lunga circa unadecina di centimetri, oggi conservata nel Museo Pigorini di Roma, iscritta conandamento sinistrorso in caratteri molto arcaici (la –f- è un digamma greco).

L’iscrizione è dedicatoria:

MANIOS MED FHEFHAKED NUMASIOIManius me fecit Numerio

“Manio mi fece per Numerio”

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Si tratta di un “oggetto parlante”: a parlare è dunque la fibula, che identificherebbe ilsuo artefice e il committente.Nel breve testo si notano arcaismi linguistici:

- la desinenza del nominativo maschile singolare del prenome in –os, allagreca (Manios);

- la –d finale nell’accusativo del pronome personale di I persona singolare(med per me);

- il raddoppiamento verbale del perfetto, anch’esso alla greca (fhe- infhefhaked);

- l’assenza di rotacismo (evoluzione di s in r): Numas- => Numer-;- il dittongo oi- per –o: Numasioi => Numerio.

Questa iscrizione fu ritenuta per molto tempo l’attestazione più antica della lingualatina e venne attribuita addirittura al VII-VI secolo a.C. Tuttavia, negli anni Ottantadel secolo scorso, due studi dell’epigrafista Margherita Guarducci5 hanno dimostratoche sia la fibbia che l’iscrizione sono un falso ottocentesco, ideato e realizzato dallostesso archeologo tedesco che presentò l’oggetto su una rivista specialistica romananel 1887, Wolfgang Helbig.

A4. Il Lapis SatricanusNel 1978, nel tempio dedicato alla Mater Matuta a Sàtrico, nel Lazio meridionale, furitrovato un blocco di tufo iscritto in latino arcaico, probabilmente pertinente ad undonario che fu reimpiegato nelle fondamenta dell’ultima fase del tempio. Oggil’iscrizione è conservata nel Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano.Il testo, che ha andamento orizzontale e destrorso, è in scriptio continua e mutilonella parte iniziale a causa della rottura dello spigolo superiore: per questa ragionenon è di facile comprensione e resta tuttora controverso, almeno nell’esegesi delleprime lettere; si può più agevolmente ipotizzare, invece, una lettura del nome in fineprima riga e della seconda riga, ritenuta integra dagli studiosi:

[…] IEISTETERAIPOPLIOSIOVALESIOSIOSUODALESMAMARTEI[…] Publi ValeriSodales Marti

“[…] i compagni di Publio Valerio dedicarono a Marte”.

Dal punto di vista linguistico, si può notare la presenza di fenomeni arcaici:

5 M. Guarducci, La cosiddetta Fibula Praenestina, in “Memorie dell’Accademia Nazionale deiLincei” 24 (1980), pp. 413-574 e La cosiddetta Fibula Praenestina: elementi nuovi, in “Memoriedell’Accademia Nazionale dei Lincei” serie VIII 28, 2 (1984), pp. 127-177.

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- la desinenza del genitivo singolare in –osio (Popliosio Valesiosio), unaforma arcaica derivata dall’indoeuropeo, (comparabile per esempio algenitivo omerico in -oio);

- la forma raddoppiata della prima sillaba del nome di Marte in dativo(Mamartei => Marti);

- l’assenza del rotacismo (Vales- => Valer-).La traduzione qui presentata si basa sull’interpretazione di De Simone, secondo laquale l’iscrizione sarebbe una dedica, incisa sulla base destinata a sostenere un donovotivo al tempio, da parte di un gruppo di persone, in qualità di amici di PublioValerio. Le prime lettere, -iei (-ii in latino classico), potrebbero essere interpretatecome la desinenza del nominativo plurale del gruppo di persone che fece erigere ilmonumento: potrebbe trattarsi di un appellativo, un nome proprio o gentilizio;steterai = steterunt , III persona plurale del perfetto di sisto ("innalzarono","offrirono"). Il termine suodales (da suesco) farebbe pensare ai membri diun’associazione o di una confraternita, probabilmente religiosa6, e sarebbe collegatoal genitivo Popliosio Valesiosio (prenome e nome della gens), cioè dovrebbeintendersi come “i sodali di Publio Valerio”. Mamartei, infine, è di probabile originesabina, provenienza testimoniata anche per la gens Valeria.L’importanza di questa iscrizione, il cui ritrovamento è relativamente recente, nonrisiede soltanto nella sua antichità (fine VI secolo a.C., una delle più antiche delLazio), ma anche nel fatto che il personaggio qui citato è stato identificato con ilprimo console della res publica Romana, fondata dopo la cacciata di Tarquinio ilSuperbo: il Publio Valerio del testo del Lapis Satricanus, secondo questa ipotesi, altrinon sarebbe che il semileggendario Publio Valerio Publicola, vincitore degli Etruschidi Porsenna e dei Volsci. La realtà storica di questa figura (che ci è nota attraverso ilracconto di Livio, Dionigi di Alicarnasso e Plutarco) è stata a lungo oggetto didiscussione fra gli studiosi, ma il rinvenimento del Lapis Satricanum ne proverebbeindubitabilmente la storicità.

B. Le iscrizioni funerarieLe epigrafi tombali si possono suddividere in due tipologie:1) alla prima appartiene l’iscrizione di fondazione del monumento sepolcrale (titulussepulcralis), che si trova in genere posizionata sopra l’entrata della tomba di famigliae serve a indicare chi per diritto può esservi sepolto;2) le iscrizioni sepolcrali individuali, incise su lastre a chiusura dei loculi, oppure suurne, sarcofagi, basamenti di statue: sono generalmente testi concisi (almeno inorigine, mentre si allungano dall’età augustea), nella maggior parte dei quali compareil nome del defunto in caso nominativo, da solo, oppure in caso dativo, precedutodalla formula introduttiva D(is) M(anibus). Gli epiteti conferiti ai defunti sono spesso

6 Secondo Cristofani, invece, si tratterebbe di un gruppo militare, una consorteria guerrieracomposta dai seguaci di Publio Valerio.

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stereotipi e, almeno fino al III secolo d.C., compaiono le funzioni rivestite nella vitapubblica, ovviamente per chi ebbe un ruolo pubblico.Dalle iscrizioni funerarie, tra l’altro, possiamo avere informazioni sui nomi dellepersone e delle famiglie, sui sistemi di parentela, sui mestieri, sulla durata mediadella vita, sulle condizioni economiche dei defunti: notizie tanto più utili e preziosese si pensa che spesso ci sono giunte unicamente grazie a questa tipologia di testi,poiché la gran parte degli archivi pubblici antichi è andata perduta nel corso deisecoli.

Premessa: gli elogiaGli elogia erano epigrafi sepolcrali celebrative, scritte non soltanto percommemorare, ma soprattutto per magnificare le gesta delle personalità più illustri,appartenenti ai ceti gentilizi; le parti costitutive di queste iscrizioni tombali eranogeneralmente la menzione del nome del defunto, l’indicazione delle cariche rivestite,e ovviamente le lodi delle sue virtù e delle sue gloriose imprese. Inoltre, tutti glielogia che possediamo hanno in comune anche l’uso del metro saturnio7: sono,quindi, non semplicemente scritti in poesia, ma adottano significativamente il versonazionale romano.Infine, bisogna tenere presente che la scelta della pietra come supporto perun’iscrizione celebrativa è funzionale ad accentuare il senso di sicurezza che semprescaturisce dalla percezione dell’eternità del messaggio, per definizione destinato adurare per sempre: di conseguenza, si comprendono meglio le caratteristichepeculiari di questa tipologia epigrafica, dalla scelta di espressioni e formulariestremamente conservativi all’uso di arcaismi verbali, nominali, sintattici, cheapparivano già desueti ai lettori contemporanei.

B1. L’elogium di Scipione Barbato figlioTra le famiglie nobili dell’età repubblicana, una tra le più famose è sicuramentequella dei Corneli Scipioni, che fecero erigere il proprio sepolcro a Roma, appenafuori dalla porta Capena, presso la via Appia; fu Scipione Barbato ad inaugurarlo,all’inizio del III secolo a.C., ed esso fu in séguito utilizzato per seppellirvi ipersonaggi di famiglia, generali o uomini politici, eccetto il grande Scipione Africano(che fu sepolto a Literno, in Campania, nella villa di famiglia).

7 Il saturnio è il metro più antico della letteratura latina – tradizionalmente considerato indigeno,data l’etimologia dal dio italico Saturno – che ha posto innumerevoli questioni, in gran parte tuttorairrisolte, agli studiosi moderni: sono incerti, infatti, l’origine, la natura, la metrica stessa (di naturaquantitativa secondo alcuni, accentuativa secondo altri); un’ipotesi suggestiva è quella formulata daPasquali nel 1936, secondo la quale il saturnio sarebbe in realtà non un verso latino indigeno, ma uninsieme di cola originari della poesia greca e poi associati, a Roma, per formare un verso nuovo. Insaturni furono composti i due primi testi epici latini, l’Odusia di Livio Andronico e il BellumPoenicum di Nevio, e i due elogi funebri degli Scipioni. Nell’ultimo caso, la scelta di adottarequesto verso per gli elogia del sepolcro familiare mostra che anche l’aristocrazia romana piùimbevuta di cultura greca intese marcare chiaramente a carattere nazionale questo tipo d’iscrizione,funzionale a mettere in evidenza e a tramandare la gloria conquistata dalle migliori gentes romane.

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Nella seconda metà del II secolo a.C., cioè all’epoca di Scipione Emiliano, furealizzata la facciata monumentale alla moda ellenistica e vi furono inserite le statuedi Scipione Africano, di Scipione Asiatico e del poeta Ennio: il sepolcro diventòquindi una sorta di museo celebrativo della gloria della famiglia. Nelle fonti antiche,vi sono diversi riferimenti a questo sepolcro: ne parlano tra gli altri Cicerone (Tusc.Disp. I 13, 7), Livio (XXXVIII 56, 4), Plinio (Nat. Hist. VII 114).Gli elogia degli Scipioni, in tutto 11, furono scoperti dapprima a inizio del ‘600 (solodue iscrizioni), poi definitivamente alla fine del ‘700. L’elogium più antico – comedimostra la lingua – è quello di Lucio Cornelio Scipione, che fu console nel 259 a.C.e censore nel 258: incisa sul fianco del sarcofago, questa iscrizione risaleprobabilmente al 240-230 a.C. ed è quindi più recente del titulus (non inciso, madipinto in rosso sull’orlo del coperchio), che riporta soltanto il nome e le cariche delpersonaggio.

Titulus:L(UCIO) CORNELIO L(UCII) F(ILIO) SCIPIO

AIDILES COSOL CESOR

Trascrizione in latino classico:

Lucius Cornelius Lucii filius Scipioaedilis, consul, censor

“Lucio Cornelio Scipione, figlio di Lucio,edile, console, censore”.

Le caratteristiche linguistiche del titulus sono arcaiche: si notino il nominativoarcaico alla greca in –os (Cornelio per Cornelios = Cornelius), la caduta della nasaledavanti a s (cosol, cesor), la desinenza –es per –is (aediles = aedilis), il dittongo –aiper –ae (aidilis = aedilis); l’onomastica alla prima riga è invece regolare: compaionoi tria nomina nell’ordine consueto, cioè prima il praenomen Lucius, poi il nomengentilicium Cornelius, infine il cognomen Scipio, unitamente alla paternità (Luciifilius). La seconda riga contiene la carriera del personaggio, con l’indicazione dellecariche del cursus honorum senatorio da lui rivestite, in successione cronologica:secondo i Fasti consulares, infatti, Lucio Cornelio Scipione fu console nel 259 a.C. ecensore nel 258, e l’edilità è sicuramente precedente.

Il testo dell’elogium vero e proprio è composto da sei saturni:HONC OINO PLOIRUME COSENTIONT ROMAI

DUONORO OPTUMO FUISE VIROLUCIOM SCIPIONE FILIOS BARBATI

CONSOL CENSOR AIDILIS HIC FUET APUD VOSHIC CEPIT CORSICA ALERIAQUE URBE

DEDET TEMPESTATEBUS AIDE MERETOD

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In latino classico:Hunc unum plurimi consentiunt Romae bonorum optimum fuisse virorum, LuciumScipionem. Filius Barbati, consul, censor, aedilis hic fuit apud vos. Hic cepitCorsicam Aleriamque urbem, dedit Tempestatibus aedem merito.

Traduzione:“Costui solo tutti a Roma riconoscono sia stato il migliore dei buoni cittadini, LucioScipione. Figlio di Barbato, fu tra voi console, censore, edile. Egli conquistò laCorsica e la città di Aleria, dedicò un tempio alle Tempeste, a giusto titolo”.

Anche questo testo mostra caratteri linguistici arcaici: si notino honc per hunc, oinoper unum, il genitivo in –ai per –ae (Romai per Romae) (r. 1); optumo per optimo (r.2); il nominativo alla greca in –os (filios, r. 3); la mancanza delle nasali (cosol perconsul, cosentiont per consentiunt), della geminazione delle sibilanti (fuise perfuisse), della desinenza –m finale dell’accusativo (Corsica, Aleriaque, urbe, aide).Alla riga 3 manca la menzione del gentilizio Cornelio: probabilmente la ragione diciò risiede non solo nelle esigenze metriche, ma anche nel fatto che questa tomba eraall’interno del sepolcro dei Corneli e dunque era scontato che vi fosse sepolto unCornelio. Convenzionalmente, seguono le cariche ricoperte: qui, a differenza deltitulus, sono tuttavia menzionate in ordine decrescente d’importanza, dal consolatoall’edilità; infine, compaiono le sue imprese, da collocare nella prima guerra punica(264-241 a.C.): come sappiamo dai Fasti triumphales, Lucio Cornelio Scipionecelebrò il trionfo sui Cartaginesi, sulla Sardegna e sulla Corsica, ma nell’iscrizionenon si fa stranamente cenno al trionfo né alla Sardegna. Come ultima notazione, vi èil riferimento a un tempio fatto costruire alle Tempeste (del mare: venti e tempesteerano collegati a Nettuno), come ex voto, forse per aver evitato un naufragio osemplicemente per esprimere la pietas della famiglia; ma di questo tempio nonsappiamo nulla di sicuro, poiché non è documentato da nessun’altra fontestoriografica.

B2. L’elogium di Scipione Barbato padreNell’iscrizione sul sarcofago di Scipione Barbato padre, al titulus, c ioèall’indicazione del nome e del patronimico, segue l’elogium vero e proprio, anch’essocomposto da 6 saturni, come il precedente (vedi XIV. B1), ma scritto posteriormente,come dimostrano i tratti linguistici relativamente recenti.

L. CORNELIO CN. F. SCIPIOCORNELIUS LUCIUS SCIPIO BARBATUS

GNAIVOD PATRE PROGNATUS, FORTIS VIR SAPIENSQUE,QUOIUS FORMA VIRTUTEI PARISUMA FUIT,

CONSOL CENSOR AIDILIS QUEI FUIT APUD VOS,TAURASIA CISAUNA SAMNIO CEPIT,

SUBIGIT OMNE LOUCANAM OPSIDESQUE ABDOUCIT.

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Trascrizione in latino classico:L(ucius) Cornelius Gn(aei) f(ilius) ScipioCornelius Lucius Scipio BarbatusGnaeo patre prognatus, fortis vir sapiensque,cuius forma virtuti parissima fuit,consul, censor, aedilis qui fuit apud vos,Taurasiam, Cisaunam in Samnio cepit,subigit omnem Lucaniam obsidesque abducit.“Lucio Cornelio Scipione, figlio di Gneo.Lucio Cornelio Scipione Barbato,nato dal padre Gneo, uomo forte e sapienteil cui bell’aspetto fu in tutto pari al valore,il quale fu tra voi console, censore, edile,conquistò Taurasia e Cisauna nel Sannio,assoggettò tutta la Lucania e ne trasse ostaggi”.

A differenza del titulus, nell’elogium il nomen gentilicium (Cornelius) compareanteposto al prenome Lucius, probabilmente per esigenze metriche.Il personaggio qui lodato aveva due cognomina, Scipio e Barbatus; le carichericordate vengono menzionate in ordine discendente, dal consolato – la piùimportante – all’edilità – sicuramente la meno importante fra le tre citate, ma anche lapiù riconosciuta dal popolo, poiché l’edile curava tra l’altro l’organizzazione deglispettacoli pubblici.Pur con qualche incongruenza, imputabile alla diversità di generi delle opere inquestione, il testo dell’elogium si integra con il resoconto dei Fasti consulares e diLivio (l. X): sappiamo infatti che Lucio Cornelio Scipione Barbato fu console nel 298a.C. e che si distinse durante la terza guerra sannitica, che avvenne appunto negli anniiniziali del IV secolo a.C.Nella lingua, si nota il permanere di tratti arcaici: incertezza tra le labiali (opsides perobsides , nell’ultima riga), uso incoerente della –m finale dell’accusativo(correttamente presente per esempio in Loucanam e assente in omne dell’ultima riga),dittonghi –ei per –i (virtutei anziché virtuti, IV riga), –ou- per –u- lunga (abdoucit perabducit, ultima riga).È significativo il nesso fortis vir sapiensque, che indica le virtù peculiari delRomanus civis, il valore militare e l’abilità politica; l’aggettivo sapiens ,probabilmente, va riferito non soltanto alla saggezza che si confà ad un magistrato,ma anche alla sapienza intellettuale, alla cultura del personaggio, come spiegato dallasuccessiva espressione cuius forma virtuti parissima fuit: in questo modo vienetradotto in latino l’ideale dell’uomo greco, notoriamente kalo\j kai\ a0gaqo/j, cioè“bello e buono”, dotato parimenti di qualità morali e di prestanza fisica. L’epitafioquindi elogia non solo e non tanto le virtù militari, ma piuttosto quelle intellettuali deldefunto, associando in modo caratteristico bellezza fisica e valore individuale: unafusione armoniosa di valore, bellezza e intelletto che ha fatto appunto pensareall’ideale greco di kaloka0gaqi/a.

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Sia questo elogium che il precedente sono testi scritti non semplicemente in versi,quindi già di per sé di un certo livello letterario, ma più in particolare in saturni, cioèin versi tipicamente romani, per alludere chiaramente alla “romanità” della gens;tuttavia, la menzione delle caratteristiche di vigoria fisica associate alla superioritàintellettuale rivelano altrettanto chiaramente il rapporto con la cultura greca e con letradizioni della poesia funeraria greca. Elementi, questi, che contraddistinguono leprime manifestazioni della letteratura latina: attenzione al modello greco, ma alcontempo fiera rivendicazione della romanità.

C. Le scritte sui muri: il caso di PompeiIl 24 agosto del 79 d.C. la fiorente città campana di Pompei viene dapprima oscuratada una nube di polvere grigia, poi bombardata da una fitta pioggia di pietre, pomici,lapilli, infine invasa da un autentico diluvio di cenere, vapore acqueo, gas solforosi ecloridrici, cui non v’è scampo alcuno: si salva solo chi è fuggito in fretta, mentre per16.000 abitanti (circa l’80%) è la fine. L’eruzione del Vesuvio, come in un film,ferma la vita della gente, di quella città, proprio in quel momento; e tutto resta lìsepolto, sigillato perfettamente, quasi in attesa di essere riscoperto: solo durante ilXVII secolo, con ritrovamenti casuali, e definitivamente nel Settecento si è portataalla luce la vita antica, ancora intatta perché cristallizzata nel tempo, della Pompei delI secolo d.C., morta bruscamente nel 79 ma proprio per questo, paradossalmente,destinata all’immortalità.Grazie alla tecnica del calco in gesso, che consente di ottenere l’impronta dei corpi,ormai totalmente decomposti, imprigionati nella cenere, è possibile vedere gli ultimi,fatali attimi di vita dei Pompeiani: il fumo irrespirabile li ha costretti a tamponarsinaso e bocca, qualcuno si stringe la gola con le mani, altri si sono attardati araccogliere gli oggetti più cari… Il tempo si è fermato anche per le cose: il pane nelforno, la pentola sul focolare, i soldi sul banco della bottega…Quella sventura di quasi duemila anni fa si è trasformata in un patrimoniostraordinario di conoscenza per i posteri, che a partire dalla metà del ‘700 hannopotuto studiare e ricostruire fin nei minimi dettagli la vita quotidiana di una cittàromana del I secolo.Anche le voci dei Pompeiani si sono conservate, intatte, fino a noi: ovviamente nonincise su un DVD, ma “registrate” sui muri della città, ovunque, su qualsiasisuperficie lo permettesse, dipinte in rosso o in nero oppure graffite, in ogni casopronte a raccontare non solo vari aspetti della quotidianità (una sorta di interessante“cronaca cittadina”), ma anche qualche pillola di storia della lingua e, soprattutto, ilcuore dei Pompeiani e i loro umori. Si può consultare, per averne un’idea, il volumeIV del CIL, dedicato interamente ai graffiti e ai dipinti pompeiani.

C1. Che i cittadini di Pompei fossero soliti scrivere sui muri non è un mistero oggi,come non lo era neppure allora: e qualcuno si prese la briga di personificare unaparete per ridicolizzare questa sorta di “mania” dei Pompeiani:

ADMIROR, PARIES, TE NON CECIDISSE RUINA

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QUI TOT SCRIPTORUM TAEDIA SUSTINEAS“Mi stupisce, o parete, che tu non sia ancora caduta in rovina,poiché rechi il peso delle fesserie di tanti scrittori”.

Le iscrizioni murali potevano essere realizzate da professionisti (scriptores) che dinotte, di solito in squadre composte da più persone (almeno tre: uno teneva la scala,uno la lanterna e uno dipingeva), scrivevano a caratteri cubitali, in rosso o in nero, suuno strato di calce, messaggi di propaganda elettorale, oppure avvisi dei giochi deigladiatori, annunci di case in affitto o di oggetti smarriti.Vediamo qualche esempio.

I manifesti elettorali: la propaganda politica (ambitio) veniva scritta (allora, comeoggi affissa) sui muri; sono numerosi infatti gli annunci elettorali che si sonoconservati dipinti sui muri di Pompei. I candidati alle elezioni, che ancora oggimantengono questo nome, si chiamavano così perché andavano alla ricerca diconsensi (cioè di voti) indossando la toga bianca (candida appunto). Tra le caricheche più interessavano al popolo vi era sicuramente quella dell’edìle (aedilis), ilmagistrato che si occupava di edifici pubblici, mercati, commercio, traffico e inoltrecurava l’allestimento dei giochi (ludi) e degli spettacoli pubblici (spectacula).

C2. Chiunque poteva proporre agli altri il proprio candidato favorito:A(ULUM) VETTIUM FIRMUMAED(ILEM) O(RO) V(OS) F(ACIATIS) DIGN(US) ESTCAPRASIA CUM NYMPHIO ROG(AT)“Aulo Vezio Firmovi prego di eleggere edile. Ne è degno.Lo chiede Caprasia con Ninfio.”

C3. A volte erano le corporazioni dei mestieri a “sponsorizzare” una candidatura.C(AIUM) CUSPIUM PANSAM AEDILEMAURIFICES UNIVERSIROGANT“Tutti quanti gli orefici propongono Gaio Cuspio Pansa come edile”.

C4. Accadeva anche di giudicare un candidato per le sue doti non propriamentepolitiche:C(AIUM) IULIUM POLYBIUMAED(ILEM) O(RO) V(OS) F(ACIATIS): PANEM BONUM FERT“Gaio Giulio Polibiovi prego di eleggere edile: fa il pane buono”.

Annunci di giochi gladiatori.C5. La carica dell’edilità era particolarmente cara ai cittadini, anche per la curadell’organizzazione dei ludi; in questo annuncio l’edile in carica fa presente la data

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dello spettacolo gladiatorio da lui finanziato e specifica non solo che vi sarà lavenatio, cioè il combattimento con le bestie (bestiae o beluae), ma anche che ilpubblico sarà riparato dal sole o dalla pioggia grazie alla presenza del velum, unenorme telo disteso sopra il circo.A. SUETTI CERTIAEDILIS FAMILIA GLADIATORIA PUGNABIT POMPEISPRIDIE KALENDAS IUNIAS; VENATIO ET VELA ERUNT“La squadra di gladiatori dell’edile Aulo Suettio Certo combatterà a Pompei il 31maggio; ci saranno la lotta con le belve e il telone”.

Annunci di case o stanze in affitto.C6. Gli alberghi (hospitia o cauponae) si servivano di messaggi murali per le loroofferte commerciali:HOSPITIUM: HIC LOCATURTRICLINIUM CUM TRIBUS LECTISET COMMODIS“Locanda: qui si affitta un triclinio a tre letti dotati di tutti i comfort”.

I graffiti sui muri, invece, erano sovente opera della gente comune, generalmentesemianalfabeta, che affidava alla parete i messaggi più diversi, dalle pene d’amorealle delusioni della vita, dai lieti eventi, come ad esempio una nascita in famiglia, allasperanza di essere invitati a cena, dai saluti a chi era partito alle annotazioni diservizio (come i nostri promemoria sui foglietti adesivi). L’intonaco veniva incisocon la punta di uno stilo o, più semplicemente, con qualsiasi oggetto appuntito siavesse a portata di mano. È evidente che questo tipo di iscrizioni rappresenta unafonte fondamentale per la conoscenza del sermo cotidianus o sermo vulgaris, cioè dellatino parlato, che in quanto tale non ci è testimoniato – se non eccezionalmente –nella letteratura.

Messaggi d’amore (corrisposto e non).C7. FELICEM SOMNUM QUI TECUM NOCTE QUIESCET:HOC EGO SI FACERE(M), MULTO FELICIOR ESSE(M).“Felice il sonno che con te riposa la notte:se potessi farlo io, sarei molto più felice”.

C8. SCRIBENTI MI DICTAT AMOR MONSTRATQUE CUPIDO.AH PEREAM! SINE TE SI DEUS ESSE VELIM.“È Amore che detta a me che scrivo, e Cupido mi suggerisce.Ah, possa io morire, se voglio essere un dio senza di te!”

C9. DIXI, SCRIPSI: AMAS IRIDEM QUAE TE NON CURAT.“L’ho detto e l’ho scritto: ami Iride che non si cura di te”.

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Altri messaggi.C10. Qualcuno aveva evidentemente lo stomaco vuoto, al pari delle tasche:QUISQUE ME AD COENAM VOCARIT VALEAT“Stia bene chi mi inviterà a cena”.

C11. Anche i saluti e gli auguri di un immediato ritorno si affidavano ai graffitiparietali:ACTI, AMOR POPULI, CITO REDI, VALE, VALE.“Azio, amore del popolo, torna presto, arrivederci”.

C12. In una taverna pompeiana l’oste ha annotato la data in cui ha preparato le oliveda mettere in vendita:OLIVA CONDITAXVII K(ALENDAS) NOVEMBRES“Le olive sono state messe in conserva il 17° giorno prima delle Calende di novembre[cioè il 16 ottobre]”.

D. Il messaggio epigrafico tardoantico: un esempio di iscrizione locale. Il“martire” Giovanni a Camogli (Ge)?

A Ruta alta, frazione di Camogli, in provincia di Genova, presso la chiesettaromanica di S. Michele, fu rinvenuta in data imprecisata una lastra di marmo iscritta,che si trova attualmente murata nella parete della seconda cappella nella navata destradella chiesa parrocchiale.Ecco il testo latino:

HIC REQUIESCITIN PACE B(ONAE) M(EMORIAE) IOHAN-NES, QUI VIXITPLUS MINUS AN-NOS XXXIIIII, ETTRANSIIT SUB DIEIIII KAL(ENDAS) OCTOBRESFAUSTO IUNIOREV(IRO) C(LARISSIMO) CONSULE

“Qui riposain pace la buonanima diGiovanni, che vissepiù o meno35 anni, etrapassò il28 settembresotto il consolato diFausto il Giovane,

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uomo illustre”.

Immagine tratta da Inscriptiones Christianae Italiae septimo saeculo antiquiores, vol. IX,Regio IX: Liguria reliqua trans et cis Appenninum, intr., ed. e comm. a c. di G. Mennella e G.Coccoluto, Bari 1995, p. 62.

Questa iscrizione funeraria, che tra l’altro è l’unica testimonianza paleocristianaiscritta rinvenuta nella Riviera di Levante, è databile al 490 d.C., anno in cui fuconsole in Occidente Flavius Probus Faustus detto iunior, nominato alle rr. 8-9.Sono presenti molti elementi caratteristici delle iscrizioni funerarie cristiane:

- l’indicazione locativa, mediante l’avverbio di luogo hic;- la menzione della fede del defunto, con l’espressione tecnica requiescit

in pace;- l’intestazione tipica B. M., cioè Bonae Memoriae, ovvero “di buona

memoria, alla buona memoria” (oggi diremmo “la buonanima”);- l’onomastica ridotta a un semplice nome identificativo, spesso indice di

fede cristiana (Iohannes);- l’indicazione del momento del decesso (il giorno);- l’anno della morte, precisato in ablativo assoluto nominale mediante il

nome del console eponimo.

Si è visto precedentemente (vedi IX. Cenni su abbreviazioni e nessi) che una delledifficoltà più grandi dell’epigrafista nell’interpretare le iscrizioni consiste nelloscioglimento di abbreviazioni e nessi: ebbene, se queste difficoltà costituiscono unaspina nel fianco per gli specialisti, a maggior ragione si giustifica quanto è accadutoin relazione a questa lapide. Dalla formula abbreviata B.M., che si deve sciogliereBonae Memoriae (in caso genitivo oppure dativo, quindi “di buona memoria” oppure“alla buona memoria”), è nato un equivoco che ha comportato curiose conseguenze: acausa dell’errata interpretazione di questa sigla, infatti, si è giunti a scambiare una

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semplice epigrafe funeraria, dedicata a un tale di nome Giovanni – presumibilmentesoltanto un pellegrino –, per un’iscrizione in memoria di un santo martire. Ciò è statopossibile perché gli eruditi locali (forse qualche sacerdote), nel XVIII secolo, inun’epoca in cui si conosceva ancora poco del messaggio epigrafico cristiano, lesseroerroneamente la sigla B.M. come Beatus Martir anziché come Bonae Memoriae:dunque il pellegrino divenne nella memoria popolare un santo, un martire. In quantotale, le sue ossa furono dapprima conservate nella piccola chiesa romanica (lacosiddetta chiesetta “millenaria”) – tuttora conservata – e in séguito trasferite nellachiesa parrocchiale. La lapide di un martire divenne comprensibilmente motivo divanto per la gente del luogo, tanto che a questo beatus Iohannes fu dedicata persinouna festa patronale con processione, che ancora oggi si svolge ogni anno alla fine diagosto ed è molto sentita dalla popolazione.La tradizione di questa festa è ormai inveterata, quindi anche gli storici checonoscono la verità dei fatti non intervengono a rivelare l’arbitraria santificazione,attuata ad opera della vox popoli – in questo specifico caso non esattamentecoincidente con la vox Dei; dunque Iohannes resta un semplice pellegrino per glispecialisti, ma un beato martire per la tradizione popolare.

XV. Bibliografia minimaAtti dell’XI Congresso internazionale di epigrafia greca e latina, Roma, 18-24settembre 1997, a c. di S. Panciera, Roma 1999.R. Cagnat, Cours d’épigraphie latine, Paris 19144, rist. Roma 1966.I. Calabi Limentani, Epigrafia latina, Milano 19914.F. Coarelli, Guida archeologica di Roma, Milano 1974.Id., Il sepolcro degli Scipioni, (“Guide di monumenti”, I), Roma 1972.M. Cristofani, Blocco iscritto da Satricum, in La grande Roma dei Tarquini, Roma1990, pp. 23-24.C. De Simone, A proposito della nuova iscrizione latina arcaica di Satricum, in“Quaderni del centro di Studi per l’Archeologia Etrusco-Italica” I (1978), pp. 95-98.Id., L’iscrizione latina arcaica di Satricum: problemi metodologici ed ermeneutici, in“Giornale Italiano di Filologia”, n.s. XII (XXXIII) (1981), pp. 25-56.I. Di Stefano Manzella, Mestiere di epigrafista. Guida alla schedatura del materialeepigrafico lapideo, Roma 1987.W. Eck, Epigrafia latina, in Introduzione alla filologia latina, dir. F. Graf, ediz.italiana a c. di M. Molin Pradel, traduz. di S. Palermo, Roma 2003, pp. 131-156.W. Eck, Tra epigrafia, prosopografia e archeologia, Roma 1996.J.-M. Lassère, Manuel d’épigraphie romaine, I-II, Paris 2005.S. Panciera, Epigrafi, epigrafia, epigrafisti. Scritti vari editi e inediti (1956-2005) connote complementari e indici, I-III, Roma 2003.G.C. Susini, Compitare per via. Antropologia del lettore antico: meglio, del lettoreromano, in “Alma Mater Studiorum” I 1 (1988), pp. 105-124.Id., Le scritture esposte, in Lo spazio letterario di Roma antica, vol. II, Lacircolazione del testo, dir. G. Cavallo, P. Fedeli, A. Giardina, Roma 1989, pp. 271-305.

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Id., Epigrafia romana, Roma 1982.Id., Epigraphica dilapidata. Scritti scelti di Giancarlo Susini, Faenza 1997.Id., Il lapicida romano, Bologna 1966, rist. Roma 1967.

Per i testi delle iscrizioni:Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), Berlin 19182-, voll. I e IV.Inscriptiones Christianae Italiae septimo saeculo antiquiores, vol. IX, Regio IX:Liguria reliqua trans et cis Appenninum, intr., ed. e comm. a c. di G. Mennella e G.Coccoluto, Bari 1995, pp. 61-63.Inscriptiones Latinae Selectae (ILS), Berlin 1892-1916, rist. 1962.