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Introduzione.
Potrebbe essere arduo trovare un raccordo fra San Paolo,
Apostolo dei Gentili, e Evliya Celebi, il viaggiatore
ottomano. San Paolo compì, insieme a Barnaba, il primo
viaggio missionario: Cipro, Perge, Antiochia, Derbe fino
all'Anatolia. Evliya, nel 1671, annotò il suo viaggio per
raggiunge la Mecca nel prezioso Seyahatname (libro di
viaggio).
Entrambi, per l'uomo contemporaneo, propongono
percorsi su antichi sentieri in un territorio complesso da
analizzare e comprendere come la Turchia, crocevia
geografico e di culture, ora impegnata in un difficile
cammino verso l'Europa. Terra in cui si sono insediate
molte delle prime comunità cristiane, l'Anatolia, ora
Turchia, vide dal 1299 al 1922 la nascita, lo sviluppo, il
consolidamento e la fine dell'impero Ottomano, il Sublime
Impero Ottomano. Due percorsi, quello di San Paolo e di
Evliya, che costituiscono l'ideale continuità con la via
Francigena dando vita a una nuova via che potrebbe
essere definita Eurasia. Una via che può avvicinare
mondi politicamente e culturalmente diversi, ma destinati
a rapporti sinergici. L'avvicinamento delle diverse realtà e
un'udienza derivante dall'attuale contesto internazionale
contrassegnato da un dinamismo epocale che impone un
approccio geopolitico. Come i due percorsi di San Paolo e
Evliya trovano un punto di congiunzione, così occorre
riscoprire l'entità culturale del continente eurasiatico in
opposizione alle teorie dello scontro. L'Eurasia che, per
convenzione definisce la zona comprendente fra l'Europa
e l'Asia unite (ancora oggi non esiste un confine fra
Europa e Asia universalmente riconosciuto), sarà la via
che collegherà la via Francigena e Gerusalemme.
Attraverso l'Anatolia, la terra dove sorge il sole, seguendo
San Paolo e Evliya, nuovi pellegrini praticheranno la
viandanza che collega le civiltà. Le speranze di nuove
strade sono affidate a piccole cose essenziali: il pane e
l'acqua condivise, la frugalità dello zaino, la predilezione
per il dialogo. "I pellegrini sono figli della frontiera.
Italiani di lingua, tedeschi di cultura, slavi di stomaco e
fegato, turchi di canto e di cuore, ebrei di
fascinazione...". Così come Paolo Rumiz in Trans Europe
Express.
Partenza.
L’arrivo all’aeroporto di Sabiha Gokcen di Istanbul era
decisamente calcolato: posizione del Sole, tempo di
percorrenza, angolo di coincidenza, traguardo. Conti
perfetti da parte di Hü. Nell’ampio atrio degli arrivals,
Guido da Lucca, Lisa da Catania, Giulia da
Acquapendente e noi, Luca, Silvia e Maria Pia dal cuore
della Via Francigena, Fidenza, già Borgo San Donnino. E
Hu che sta per Hussein, il nostro Virgilio turco, sguardo
sveglio e modi accoglienti.
Sul fronte dell’aeroporto si sale su un pulmino che ci
porta a Inegol, un grosso centro industriale nel quale il
sapore della ruralità appena si percepisce; eppure il
sentore dell’attività prevalente, quella agricola, è nell’aria,
appena smorzato dall’acuto odore di spezie che circonda
il Sezgin Izgara, ristorante in cui ci rifocilliamo dopo il
viaggio. L’approccio dubbioso ai cibi, così diversi e tanto
sconosciuti, crea coesione nel gruppo i cui componenti si
scrutano per cercare pretesti positivi e negativi. La
stanchezza ci inghiotte e ci stende nelle camere di un
albergo che vuole essere accogliente e che non sarà mai
ricordato.
Gün 1.
Caroline e Kate sono due principesse dalle forti membra
che, provenienti dall’Inghilterra, da molti anni vivono in
Turchia. Per le principesse è sempre una dura scelta di
vita: scoprire, mappare e percorrere nuove vie lungo i
sentieri che da nord portano a ovest e a sud. Noi siamo i
loro scudieri e le loro ancelle, pronti a celebrare i sassi, i
rovi, i segni che loro intravvedono e che recensiscono con
straordinaria puntualità. La visita alla città di Inegol
attira una apparente attenzione: il museo del centro
storico presenta una teoria di usi e di costumi che
risultano polverosi a vedersi e che non riescono a
sollecitare desideri di ulteriori approfondimenti.
Tutto è diverso a Cavuskoy: i trattori che trasportano
intere famiglie,il té profumato che viene offerto e,
finalmente, l’inizio della viandanza. Adesso le principesse
manifestano tutta la loro leggerezza e spianano per noi
un sentiero che si snoda tra i campi arati.
L’arrivo a Sehitler è agognato: i giovani componenti del
gruppo sono decisi a conoscere e a consumare le vivande
portate per il pic-nic. Un pic-nic nella campagna turca.
Le principesse anglosassoni si trasferiscono in luoghi
lontani con i loro emblemi e il pic-nic viene consumato in
un punto di ristorazione dove la tavola viene
apparecchiata con fogli di giornale. Non riusciamo - e
neppure vogliamo - conoscere gli argomenti degli articoli,
siamo affascinati dal pane tagliato a fette, dalle olive
nere, dal formaggio e dai dolci al cioccolato e al
caramello.
Quando ci alziamo, dedichiamo attenzione al santuario in
onore di un mitico fondatore. Attraversata un’autostrada,
il paesaggio cambia radicalmente e inizia una serie
ininterrotta di frutteti. In particolare, siamo nel pieno
delle mele. Verdi, rosse, mele cotogne, costituiscono un
giardino dei frutti proibiti e siamo indotti a non coglierne
neppure uno. Decisi a non essere scambiati per ladri,
manteniamo un comportamento rigoroso mentre in
silenzio affrontiamo le ascese ed infine arriviamo a
Babasultan.
Ci ricorderemo dei molti frutti sugli alberi e del guado che
siamo riusciti a superare con qualche difficoltà. È sul
fronte del fango che siamo fragili. Ed anche su quello del
ricovero notturno: l’assenza di bagni in camera ci ha
quasi destabilizzato.
Gün 2.
Il mattino si annuncia grigio, così come le nuvole che si
affollano in cielo e promettono una giornata di
intemperie. Piove. Quasi a consolarci ci viene offerta una
sontuosa colazione, come a prepararci alle difficoltà che
incontreremo e poi di nuovo a Babasultan, salutata ieri
con un sorriso.
La pioggia non accenna a fermarsi e così ci ritiriamo, alla
stregua di un quartier generale, nel primo, nonché unico,
giardino del tè, çay bahçesi. Mappe, segnali, nomi ed idee
vengono messi sul tavolo con la promessa di tenerli
assumerli come riferimenti per la giornata,
trasformandoli in pietre miliari di questa nuova rotta
dall’antica reminescenza. Oggi abbiamo nuove presenze
che ci seguono, una troupe cinematografica che, con
discrezione e saggezza, narra con immagini e riprese i
nostri passi.
Il percorso è impervio e così rimarrà fino a Karakiraz; i
piedi affondano nella terra e le nostre scarpe saranno
irriconoscibili una volta giunti a destinazione.
Per caso sostiamo in un piccolo borgo e subito ci
immergiamo in una realtà tanto affascinante quanto
semplice: donne locali preparano il pane non lievitato,
oggi, e solo oggi, per tutto l’inverno; e noi, quali primi
pellegrini, abbiamo avuto l’onore dell’invito alla loro
tavola, per gustare il frutto delle loro mani. Ripartiamo
rinfrancati da questo incontro e, dopo altre ore d’incedere
difficoltoso e stancante, giungiamo all’Hotel di Oylat:
un’oasi che saprà soddisfare i nostri palati e lenire le
nostre stanche membra. Anche se siamo abituati alle
terme, i bagni termali di Oylat, dispersi in alta quota,
molto ci sorprendono.
Gün 3.
Siamo partiti da Bahçekaya, pietra del giardino. In effetti
in breve tempo un largo sentiero si è inerpicato fra un
giardino di faggi. Come accade quando compaiono i faggi,
anche sull’Appennino parmense e in Garfagnana, l’aria
diventa più fresca e frizzante e si comincia a respirare
l’odore di montagna pura. La comodità del sentiero ha
fatto dimenticare il disagio delle calzature ancora umide
dal giorno precedente e la stanchezza in parte derivante
dalla sauna e dalle acque tiepide di Oylat. I tronchi dei
faggi sono lisci, le foglie di un verde tenero e lucido, il
legno forte e prezioso. Per questo una folla di taglialegna
percorre con trattori il nostro stesso sentiero. Questi
ultimi, raccolti in cerchio per consumare una robusta
colazione, ci hanno mostrato ospitalità offrendoci il loro
cibo. La troupe televisiva che da ieri ci affianca ci ha
accompagnato per un breve tratto e poi ci ha salutato. In
realtà anche Kate se n’è andata, lasciando nel gruppo un
vuoto e contemporaneamente suscitando il desiderio di
nuovi incontri.
Il percorso prosegue in salita senza porre in dubbio la
nostra propensione all’ascesa. Nonostante nei dialoghi
serpeggiasse qualche scetticismo, la speranza di toccare
insieme il cielo con un dito ha sostenuto i cuori. La fatica
unisce e il pic-nic consumato in una radura è
consolatorio. Anche i più accaniti mangiatori di salumi e
di pane iniziano ad apprezzare cibi mai sperimentati,
l’halva (una sorta di burro di sesamo e cacao), il beyaz
peynir (formaggio bianco). La radura è decisamente
ventilata, fa terminare il pranzo in breve tempo e induce
a riprendere il cammino.
Qualcuno pensa agli orsi che forse abitano in questi
luoghi, altri agli ungulati di cui si sono intraviste le orme,
altri ancora sono immersi in un dialogo interiore che solo
questo sentiero permette. Ed è qui che Theodoros rivela
un’improvvisa inclinazione per le strategie che rendono
coesi i componenti del gruppo e chiede che ognuno, con
una sola parola, descriva il proprio sentire dinanzi agli
alti fusti dei faggi. Lo stesso Theodoros ne compie la
sintesi: la sconosciuta nascita del tempo.
Alla fine del percorso ci troviamo in una superstrada ai
cui lati sostano gruppi di cani tanto randagi quanto
affettuosi. La tenerezza pervade la componente femminile
che, invece, si irrigidisce di fronte al disordine e all’odore
di stantio dell’unica taverna aperta.
Gün 4.
Ora tocca alla città di Egirdir ospitare noi pellegrini. Sulla
terrazza ce ne stiamo a guardare il lago e a prendere il
sole e non smetteremmo mai. Ma Guido, l'archeologo, ha
ritrovato il suo habitat ed è impaziente di attraversare
una parte di quegli altopiani in cui ha trascorso alcune
stagioni, anzi, una vita.
La pensione Fulya ci ospita per due notti, accogliente,
comoda e ben fornita; ci riserva tuttavia una sorpresa,
presentataci, nostro malgrado, la mattina seguente: il
richiamo alla preghiera del muezzim che ci desta ben
prima dell’alba e così, disorientati e assonnati, decidiamo
di esplorare le strade, a quell’ora, desolate.
Protagonista di questi due giorni sarà la Rotta di San
Paolo e finalmente il Sole riconquista il cielo. L’inizio è
incerto dal piccolo borgo di Bedre, la strada ci trae in
inganno più volte e adesso siamo circondati non più da
pini e faggi, ma da rocce e arbusti, incastonati nella terra
rossa scaldata dal sole.
L’ascesa del monte prosegue non senza fatica e,
raggiunta la vetta, ci si para innanzi un altopiano
popolato da bovini che ci osservano diffidenti rendendoci
titubanti nell’avvicinarli. Rimpinguiamo le energie
regalandoci una pausa all’ombra di uno dei rari alberi
che come sentinelle sono disposti intorno a noi. Durante
la discesa i nostri passi diventano più sicuri perché
l’antico tracciato romano, scosceso ma ben riconoscibile,
ci conduce fino a valle con il suo selciato. A Bagoren ci
aspetta un premio: un meritato riposo al riparo di una
veranda. Seduti sui cuscini, ci perdiamo, inebriati dal té,
nei riflessi rossi che le foglie di una vite americana,
sapientemente posizionata sul pergolato, proiettano
all’interno dell’ambiente.
La serata, trascorsa nella pensione Fulya, sarà unica: è
quella che ci si immagina quando persone diverse, ma
unite da un comune sentire, si ritrovano. Luca cerca
accordi su una chitarra, Guido canta una canzone turca
che parla di “occhi belli”, Honan, l'altra guida, vuole che
tutti insieme si canti “Margherita”. E' una versione senza
arrangiamenti che unisce e incanta.
Gün 5.
Questa mattina, l’ultima mattina, il muezzim non ci coglie
impreparati. Così, al suo richiamo, un’insistente litania
che riecheggia mentre la luna è ancora sovrana nel cielo,
ci leviamo dai nostri soffici giacigli e usciamo decisi ad
immortalare la nascita di questo nuovo sole, l’ultima che
vedremo in terra turca. Infreddoliti e seduti sulla pelle in
cemento del molo, ormai dagli anni screpolata,
assistiamo al caleidoscopico spettacolo che da secoli,
instancabile, si ripete ogni giorno.
Poi via veloci a colazione, oggi ci attende un incontro
molto importante: una riunione con il sindaco di Egirdir.
Fra domande, spiegazioni, strette di mano e sorrisi,
concludiamo lesti i proficui salamelecchi e ci dirigiamo
automuniti al punto di partenza dell’ultima tappa: Serpil.
In realtà le donne del gruppo sono molto attirate dal
mercato: preferirebbero andare fra i banchi, toccare gli
enormi cesti di melograni, provare foulard da avvolgersi
intorno al capo, tentare conversazioni improbabili.
Ma il percorso inizia. Scavalchiamo passi, superando
rocce e altipiani, e giungiamo euforici in un luogo
inaspettato: una vastissima distesa brulla e costellata di
minuti arbusti il cui unico viandante, che porta sul viso
ogni traccia della sua esperienza, incede pigramente con
il suo fedele equino compagno.
Il pasto viene consumato velocemente poiché ci attende
una visita interessante: l’antica città romana di Adada.
Qui, davanti a costruzioni di notevoli dimensioni e di
indiscutibile valore appartenute ad un impero pressoché
sconfinato, ora distrutte e le cui tracce si affievoliscono
sempre più, non si può che pensare al tempo, a come
esso regni sovrano, incurante di ridurre popoli e regni
simili a granelli di sabbia in una clessidra.
Ci allontaniamo a malincuore da questo luogo che
conserva ancora, a distanza di 1800 anni, la sua magia,
per dirigerci a Sargok dove una famiglia ci accoglierà al
proprio desco. Tutto ciò che è offerto come vivanda è
prodotto in loco e, gustando ogni boccone, assaporiamo
l’ospitalità di questa casa, ultima dimora che sarà
testimone del nostro cammino. Qui salutiamo Caroline, la
principessa del cammino di san Paolo.
Ritorno.
All’alba di oggi, venerdì 28 ottobre, non c’è più niente da
dire, c’è solo da salutare. Con il timore che i commiati
siano definitivi, si fanno timidi accenni a futuri percorsi,
non di trekking, ma di vita. Così abbiamo salutato
Hussein e Honan, le guide turche; Theodoros, l’ingegnere
di Salonicco; Guido, l’archeologo, Giulia, la più giovane
del gruppo. Abbiamo salutato anche Lisa, l’esperta in
lingue straniere, che ci ha consentito un dialogo fatto di
mediazione linguistica e di tanti aforismi siciliani. L’ha
inghiottita la folla della stazione ferroviaria di Bologna.
È rimasto compatto il gruppo storico della Via
Francigena: Luca, Silvia e Maria Pia. Per loro, forse, con
molta determinazione, altri percorsi ci saranno.
Note:
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Si ringraziano
EAVF – European Association of Vie Francigene
Culture Routes Society Turkey
Comune di Fidenza
Europe to Turkey on Foot Project
Partecipanti
Silvia Allegri
Giulia Barberini
Maria Pia Bariggi
Kate Clow
Huseyin Eryurt
Luca Faravelli
Caroline Finkel
Lisa Giammanco
Guido della Lena Guidiccioni
Berhat Onat
Theodoros Trachanidis
Testi
Silvia Allegri
Maria Pia Bariggi
Luca Faravelli
Foto e disegni
Luca Faravelli