istigazione al lavoro - il lavoro logora chi non ce l'ha

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Cliente Contento Imprenditore anche Più di un'idea, una filosofia! clientecontento.it Consulenza, formazione, marketing, gestione e organizzazione aziendale per strutture ricettive, aziende di ristorazione, aziende di produzione alimentare Istigazione al lavoro Il lavoro logora chi non ce l'ha di Stefano Azzini

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Page 1: Istigazione al lavoro - il lavoro logora chi non ce l'ha

Cliente Contento Imprenditore anche Più di un'idea, una filosofia!

clientecontento.itConsulenza, formazione, marketing, gestione e

organizzazione aziendale perstrutture ricettive, aziende di ristorazione,

aziende di produzione alimentare

Istigazione al lavoro

Il lavoro logora chi non ce l'ha

di Stefano Azzini

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In un momento difficile come quello che stiamo vivendo, ci si aspetterebbe sia dai

dipendenti sia dagli imprenditori un maggiore impegno per contribuire, tutti insieme, a

superare le difficoltà nell'interesse reciproco, ma purtroppo non è cosi.

Troppe persone non hanno ancora capito che

“il lavoro è un dovere, e non è un diritto”

Questo è il vero significato dell'articolo 1 della nostra Costituzione.

E' vero che molti imprenditori e moltissimi lavoratori sembrano aver perso la voglia, il

desiderio e le motivazioni per continuare a lavorare bene, e per conseguire risultati per la

“propria” azienda, e per la “propria” società; o forse non le hanno mai avute.

Nei miei incontri cito sempre

La massima di Schulze

(inventore delle fibre ottiche)

Tre persone erano al lavoro in un cantiere; avevano il medesimo compito, ma quando

venne domandato loro cosa stessero facendo, le risposte furono diverse.

–Spacco pietre–, rispose il primo.

–Mi guadagno da vivere–, rispose il secondo.

–Partecipo alla costruzione di una cattedrale–, disse il terzo.

Io sono convinto che, se facessimo la stessa domanda agli operai di una qualsiasi fabbrica

italiana, coloro che risponderebbero come il terzo si conterebbero sulle dita delle mani.

Sembra che tanti lavoratori siano affetti dalla sindrome dello stringibulloni, riluttanti a

qualsiasi cambiamento venga loro richiesto di mettere in pratica sul lavoro, tanto che

talvolta sono di ostacolo, mettendo in difficoltà le aziende, che invece sono costrette a

cambiare per restare competitive sul mercato.

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Sono gli “spaccatori di pietre” dannosi sia per essi stessi, sia per le aziende che li hanno

assunti; e i “poveri che si guadagnano da vivere”, dove troviamo persone incapaci di

“guardare oltre” e tantomeno di cercare motivazioni che li “spingano” almeno a far bene

quel poco che fanno.

Eppure ogni giorno a tutti noi accadono eventi che, anche se non vogliamo, ci costringono

a cambiare: idee, convinzioni, abitudini...... dovremmo essere “allenati” ormai......

Sottolineo il fatto che oggi nessuna azienda può permettersi di pagare spaccatori di pietre,

ma neanche persone demotivate che si trascinano avanti solo perché hanno bisogno di

lavorare per vivere.

C'è bisogno di persone che lavorano con passione,

perché sono le persone che fanno la differenza.

Ma quando penso a tutto ciò non posso non guardare indietro, ai favolosi “anni 80” del

secolo scorso, quando milioni di cinquantenni contavano i mesi, i giorni, le ore che li

separavano dalla tanto sospirata “pensione”. Che messaggio hanno dato a figli e nipoti

questi grandi lavoratori che in età ancora attiva, hanno “sfruttato” l'occasione per ritirarsi

dal lavoro, e mettersi a fare la “bella vita”?

Non possiamo più negare le conseguenze che questo modo di pensare ha rappresentato

per la società italiana.

Il pensionato entrato nel “libro paga dell'INPS”, con i 35 anni di anzianità nel vecchio

regime pensionistico dopo circa 15 anni (per alcuni 17, per altri 10 dipende dalle stime e

dalle rivalutazioni), ha già ripreso tutti i contributi da lui versati e diventa a tutti gli effetti

uno “statale” che percepisce lo stipendio senza lavorare.

Un mio vicino di casa diceva:

Lavorà fà sudà, sudà fà 'mmalà, 'mmalà fa mmorì.

E allora meglio starsene a casa senza far niente invece di continuare al lavorare. E se

proprio qualcuno decide di fare qualcosa lo fa in nero.

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Al di là dell'ipocrisia, e del buonismo che viene fuori quando si affronta l'argomento, è

sicuramente necessario “cambiare” l'idea preconcetta che la maggior parte degli italiani ha

nei confronti del lavoro.

Parliamo di etica del lavoro, che riguarda sia imprenditori sia dipendenti:

Io non lavoro per vivere

Io non vivo per lavorare

Io lavoro per migliorare la qualità della mia vita,

di quella delle persone che amo,

e della società nella quale vivo,

e sto attento che ciò non danneggi altre persone o altre società.

=

Etica

Conoscete qualcuno che lavora partendo da questo principio?

Sicuramente il costruttore della cattedrale!

Recentemente ho pubblicato in poche righe la storia di un negoziante, che riepilogo qui

sotto, e che secondo me è una lezione per tutti coloro che si lamentano della crisi, che

sventolano cifre e statistiche riguardo gli esercizi commerciali che chiudono, e quelli che si

riempiono la bocca di paroloni inglesi sul marketing.

Conosco un macellaio, che due anni fa ha rilevato una macelleria, nella periferia di una

città di provincia; il proprietario, un anziano artigiano stava per lasciare, e, se non avesse

trovato lui, probabilmente il negozio avrebbe chiuso definitivamente.

Dall'inizio a oggi ha visto aumentare i suoi ricavi in maniera considerevole, nonostante

abbia un supermercato a 800 metri, e tutti i negozianti della zona si lamentano del calo di

vendite.

Tiene sempre il banco pulito, ordinato e ben fornito, cosi che a qualsiasi ora arrivi un

cliente, trova sempre una discreta varietà di prodotti.

Ha messo anche il POS, marchingegno moderno ancora osteggiato da molti bottegai, e si

mette un guanto quando deve prendere in mano i soldi, rispettando le regole HACCP.

Giovedì, venerdì e sabato arriva in negozio alle 6,00 di mattina e, se togliamo un'ora per

mangiare, resta lì almeno fino alle 20,00.

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Dopo un anno ha imparato a conoscere i gusti e le preferenze dei suoi clienti, tanto che

quando entrano, è lui ad anticiparli e a suggerire cosa comprare.

Il suo lavoro è un servizio; Lui è a disposizione di chiunque voglia gustare della buona

carne.

Se suona il telefono e non può rispondere perché sta servendo un altro cliente, appena

può col tasto richiama si mette in contatto con chi lo ha cercato.

Non dice mai di no; e se qualcuno oggi gli chiede un pezzo o un taglio che non ha in

negozio, si adopera per averlo il giorno dopo.

Non fa nero, lo confermano le 4 visite della Finanza avute in 10 mesi.

A lui non pesano le giornate fatte di 13 ore, non si lamenta delle tasse, non si lamenterà se

non lo mandano in pensione a 60 anni, perché sicuramente manderà avanti il suo negozio

fino a quando non avrà raggiunto i 70.

Lui è contento perché ama il suo lavoro e lo fa bene;

è bravo, e i clienti lo premiano acquistando la sua carne.

Tutto ciò vale sia per gli imprenditori, sia per i dipendenti, ma è sempre più difficile trovare

persone motivate, perché, una persona motivata ama ciò che fa, e se l'amore non parte

da dentro di noi nessuno ci può motivare, come dice Arduino Mancini in una presentazione

che ho trovato su Slideshare:

…nessuno mi può motivare, nemmeno tu!

siamo tutti alla ricerca di un senso da dare alla nostra vita

tendiamo a identificare ciò che siamo con ciò che facciamo

la motivazione ad agire si manifesta quando riusciamo a fare cose che ci aiutano a dare

un senso alla nostra presenza e al nostro ruolo nell’ambiente in cui viviamo

possiamo aiutare le persone a dare un senso a ciò che fanno, favorendo la comparsa

della motivazione ad agire, ma in alcun caso possiamo generarla a comando.

Non esistono coach, o psicologi del lavoro capaci di far scattare “quella molla”. Se proprio

vogliamo fare un tentativo rivolgiamoci a uno psicologo tradizionale, perché il problema è

la persona e non il lavoro.

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Sottolineo questo aspetto, perché, se da una parte ho una certa fiducia verso il coaching,

specialmente quando si parla di team building, e dello psicologo per lavorare sull'individuo,

l'esperienza mi ha fatto nascere un'avversione nei confronti degli psicologi del lavoro,

tanto che per me rivolgermi ad essi sarebbe come andare da un ortopedico per farsi

curare un'influenza.

La differenza la fanno sempre le persone.

Sui luoghi di lavoro e fuori.

Già, vi è mai capitato sentire qualcuno che dice:

quando lavoro sono cosi, ma fuori sono un'altra persona.

Vi fidate di chi si esprime in questi termini?

Perché si deve lavorare con una maschera?

E poi quale delle due facce è quella vera?

Già il nostro dualismo!

Talvolta non sappiamo cosa fare proprio perché siamo vittima del nostro stesso

dualismo.

Eppure quando superiamo i nostri conflitti interni siamo capaci di fare grandi cose,

anche se, talvolta non basta, se dobbiamo confrontarci con persone che hanno

obiettivi e aspettative diversi dai nostri.

Confrontiamoci con le idee:

Un'azione parte da un'idea.

La condivisione migliora l'idea.

L'idea tenuta in un cassetto non serve a nessuno.

L'idea non appartiene a chi la pensa ma a chi la mette in pratica migliorandola.

Le persone che si scambiano idee all'interno di un'azienda

e aumentano il valore della stessa.

VI ricordate l'ultima volta che vi siete impegnati per sviluppare e realizzare un'idea

nuova nel vostro lavoro? Quanto tempo è passato? Non vi sembra sia arrivato il

momento di riprovarci?

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Faccio un passo indietro e torno ai nostri “nonni”, e pur essendo convinto che oggi ci siano

tantissimi bravi genitori e bravissimi giovani, non mi meraviglierei se i figli dei pensionati

degli anni 80, ovvero i genitori di oggi, grazie a quegli insegnamenti, abbiano figli, con

poca voglia di studiare e tanto meno di lavorare.

Un'esperienza che vissuta l'anno scorso, quando ho tenuto 3 lezioni in una scuola

professionale davanti a 90 ragazzi del 5° anno, ha rafforzato questa convinzione. Li mi

sono sentito come nel

III canto dell'inferno di Dante:

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E io: “Maestro, che è tanto greve

a lor, che lamentar li fa sì forte?”

. Rispuose: “Dicerolti molto breve”.

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Questi non hanno speranza di morte

e la lor cieca vita è tanto bassa,

che ‘nvidiosi son d’ogne altra sorte.

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Fama di loro il mondo esser non lassa;

misericordia e giustizia li sdegna:

non ragioniam di lor, ma guarda e passa”.

Vedevo la maggior parte di loro, che mi ascoltavano distrattamente, e li immaginavo tristi e

lamentosi nel limbo di Dante, che guardavano passare un po' invidiosi, quelli che

andavano oltre ....... che magari avevano studiato e, dopo la scuola si erano dati da fare

per costruire qualcosa...... riuscendoci, nonostante tutto...... Si, forse qualcuno dirà che è

stata colpa mia, perché non sono stato abbastanza bravo nella mia esposizione. E' una

domanda che mi sono fatto anch'io. Però ho pensato, forse qualcuno ha fatto tesoro di

quanto detto, e magari fra un po' di tempo si ricorderà di “aver sentito qualcosa riguardo

a.....” e se ciò accadrà, allora il mio impegno sarà servito a qualcuno. E poi, almeno uno,

dei 90 studenti, alla fine dell'ultima lezione, si è fermato per salutarmi e ringraziarmi......

ma non era italiano!

La storia è piena di esempi di persone che hanno raggiunto traguardi impensabili grazie

soltanto al proprio impegno e alla propria volontà, fra i tanti vi cito:

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Michael Faraday ( 1791-1867)

fisico e chimico britannico, studioso dell'elettromagnetismo

e dell'elettrochimica, inventore della dinamo.

Nato in una famiglia estremamente povera, iniziò a lavorare a 13 anni come fattorino nella

bottega di un libraio e divenuto apprendista rilegatore poté leggere molti libri, e studiare

chimica da autodidatta, fino a quando, grazie ad eventi fortuiti, dal 1810 poté iniziare a

frequentare lezioni regolari, negategli fino ad allora per il suo stato sociale.

Sue sono queste parole:

"La scienza ci insegna a non trascurare niente, a non disdegnare gli inizi modesti, in

quanto nel piccolo sono sempre presenti i principi del grande, come nel grande è

contenuto il piccolo."

Davanti a questo si può dire che “il lavoro logora chi non ce l'ha”, perché chi non ha di

che soddisfare le proprie necessità, e costretto a darsi da fare.

Quando siamo nel bisogno, per uscire dalla costrizione e dalla sofferenza,riusciamo a tirar

fuori energie che neppure pensavamo di avere.

Steve Jobs disse:

L'unico modo per fare bene il tuo lavoro è farlo con passione.

Se non hai ancora trovato il tuo, continua a cercare, non accontentarti.

Se l'individuo non riesce a trovare ciò che cerca, spesso è proprio perché non sta cosi

male, e penso ancora a quei ragazzi, che, mantenuti dai genitori, forse non si “sbattono

cosi tanto”. Ebbene questi giovanotti, se non si guardano dentro e si danno una mossa,

saranno tutti futuri spaccatori di pietre.

E dall'altra parte chi lavora e si è adagiato su qualcosa che non gli appartiene, deve

essere “istigato al lavoro”, essere stimolato a cambiare mentalità e approccio nei

confronti del lavoro, prendendo atto che non è qualcosa di negativo o di brutto, ma è parte

di noi, e rappresenta il contributo che ognuno deve alla società, nella quale non può vivere

come un parassita.

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In un video della HCL che ti invito a guardare https://www.youtube.com/watch?v=_Plr_9iwMqY si dice: “ We are all employees” (siamo tutti dipendenti), intendendo non solo la dipendenza di chi lavora in un'azienda, ma “dipendenti gli uni dagli altri”, perché le scelte di uno, spesso condizionano i risultati e il benessere di molti.

A titolari e dipendenti di aziende turistiche alberghiere dico:

Titolari: smettete di trattare i vostri dipendenti come subalterni, trattateli come

collaboratori. Essere imprenditore comporta una responsabilità sociale. Non può esistere

improvvisazione e impreparazione. Indipendentemente dalla grandezza, la vostra impresa

vende un servizio, è parte di un territorio e di un contesto socio-economico che merita la

vostra attenzione e il vostro rispetto. Se un vostro cliente va via insoddisfatto, non ne

risente soltanto la sua reputazione, ma anche quella del territorio.

Dipendenti: smettete di pensare che il lavoro sia solo una grande seccatura, o un periodo

di tempo che siete costretti a passare lontano dai vostri veri interessi. Anche voi avete una

responsabilità sociale. Avete la responsabilità di fare bene il vostro lavoro, essere

professionalmente preparati e aggiornati, affinché l'azienda dove lavorate tragga il

massimo beneficio dalla vostra attività; beneficio che ricade positivamente anche sul

territorio di cui fa parte. Se un dipendente tratta male un cliente, non fa male solo alla

reputazione dell'azienda ma si ripercuote negativamente anche sul territorio.

Il titolare deve fare tutto ciò che è possibile affinché l'azienda prosperi, e che eventuali

errori non ricadano sulle spalle dei dipendenti e della società di cui fa parte cosciente che

il profitto non è tutto.

Il dipendente deve fare tutto il possibile affinché l'azienda continui a prosperare e che

eventuali suoi errori non ne compromettano il buon andamento, cosciente che il suo

interesse è legato ad essa, un'azienda che chiude è un danno per tutti, non solo per i

dipendenti che restano senza lavoro.

Dipende da noi.

Perché alla fine tutti gli sforzi diventano inutili se non abbiamo le giuste motivazioni

che devono partire da noi stessi.

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Le persone fanno la differenza

Henry Ford nel 1908 ha detto

C'è una regola per l'industriale:

fai il miglior prodotto possibile al minor costo possibile,

pagando i massimi stipendi possibili.

E Vincent Van Gogh

Bisogna lavorare e osare se si vuole vivere veramente

Sul libro Strategia Oceano Blu si dice:

L'unico modo per battere la concorrenza è

smettere di cercare di battere la concorrenza.

Per conseguire l'obiettivo bisogna:

- partire dal prodotto, differenziandolo da quelli della concorrenza per renderlo unico;

- ridurre il costo di produzione attivando economie di scala e nuove tecniche atte a

migliorare la qualità del prodotto;

- tutto ciò per creare valore per i clienti a un prezzo decisamente inferiore rispetto alla

qualità percepita.

Differenziazione + contenimento dei costi = valore

Pensate che sia possibile mettere in pratica questi obiettivi

senza la collaborazione e lo sforzo di tutti?

Stephen R. Covey

“Molte persone non ascoltano perché vogliono capire,

ascoltano solo perché vogliono rispondere.”

Voi come ascoltate chi vi sta intorno?

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Vi lascio alla lettura dei 10 comandamenti del marketing 3.0 di Philip Kotler, il marketing

moderno che ha radici antiche; insegnamenti che valgono per tutti i settori, e non è un

caso che il primo inizi con la parola ama e l'ultimo termini con buonsenso; sperando che

siano di stimolo e ispirazione per tutti coloro che ancora non trovano motivazione

sufficiente nel lavoro che fanno, cosi come lo sono per me.

10 comandamenti del marketing 3.0 di Philip Kotler

1 – Ama i tuoi clienti e rispetta i tuoi concorrenti.

2 – Attenti al cambiamento, pronti a cambiare.

3 – Tutela il tuo nome, sii chiaro circa la tua identità.

4 – I clienti sono diversi: rivolgiti prima di tutto a quelli cui puoi offrire i

massimi vantaggi.

5 – offri sempre il massimo a un prezzo equo.

6 – Sii sempre disponibile e diffondi la buona novella.

7 – fatti una clientela, mantienila e accrescila.

8 – Qualunque sia, il tuo business è un servizio.

9 – Affina costantemente i tuoi processi di business a livello di qualità, costo e

risultati.

10 – Raccogli tutte le informazioni appropriate, ma poi decidi in base al tuo

buonsenso.

Se lavorate nel settore turistico ricettivo-alberghiero, nella ristorazione, o nella produzione

alimentari, vi invito a leggere i miei manuali professionali.

Grazie

Stefano Azzini

www.clientecontento.it