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“Viaggio nelle terre di dentro” Il disagio scolastico
Modena 17-06-2006
Anno accademico 2005-2006
Istituto MEME s.r.l. Modena associato a
Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
Scuola di Specializzazione: Musicoterapia
Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: Scuola dell’infanzia e Scuola primaria
Tesista specializzando: Anna Maria Russo
Anno di corso: Primo
ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES
ANNA MARIA RUSSO – MUSICOTERAPIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06
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INDICE Premessa………………………………………………………………… pag. 3 Capitolo 1 Il disagio……………………………………………………… pag. 6 Aspetti generali del disagio………………………………………………. pag. 8 Capitolo 2 Fattori del disagio riconducibili alla famiglia……………… pag. 12 2.1 Le carenze familiari………………………………………… pag. 12 2.2 Crisi della coppia, figli di famiglie separate e ricostruite….. pag. 12 2.3 Il Bullismo………………………………………………….. pag. 13
2.4 La famiglia maltrattante……………………………………. pag. 14 Capitolo 3 Manifestazioni del disagio a scuola………………………… pag. 16 Capitolo 4 Famiglia e Scuola: unite contro il disagio scolastico……… pag. 17 Capitolo 5 Il Progetto: Viaggio nelle terre di dentro………………….. pag. 18 5.1 Poesie e filastrocche: sulle tracce di Pedro………………… pag. 18 5.2 Il suono magico del flauto di Pedro………………………… pag. 20 5.3 Attività svolte durante l’esperienza………………………… pag. 22 5.4 Come inventare sonorità……………………………………. pag. 22 5.5 Come vedere e sentire le vibrazioni………………………… pag. 23 5.6 Progettare e costruire con le cose strumenti fantastici……… pag. 23 5.7 Morale della favola………………………………………….. pag. 23 5.8 Morale nella storia…………………………………………… pag. 24 Capitolo 6 Griska e l’orso……………………………………………….. pag. 26 6.1 Il Contesto…………………………………………………… pag. 26 6.2 L’Attività…………………………………………………….. pag. 26 Capitolo 7 Laboratorio di teatro: Attori in moto……………………… pag. 30 7.1 Attore di se stesso…………………………………………… pag. 30 Capitolo 8 Il teatro dietro le quinte: Il tecnico delle luci……………… pag. 32 8.1 Il direttore delle luci………………………………………… pag. 33 Capitolo 9 Il metodo e gli strumenti……………………………………. pag. 35 9.1 Apprendimento cooperativo (Cooperative learning)……….. pag. 36 9.2 L’insegnamento reciproco tra compagni (Forme di tutoring). pag. 37 9.3 Il tutoring e gli allievi con bisogni educativi speciali……….. pag. 37 9.4 Giochi teatrali……………………………………………….. pag. 38 9.5 La Comicoterapia…………………………………………… pag. 41 Capitolo 10 Osservazioni………………………………………………… pag. 42 Tabella per una possibile strategia d’aiuto agli alunni………. pag. 44 Ringraziamenti…………………………………………………. pag. 46
Bibliografia………………………………………………………………… pag. 51
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PREMESSA Sono un'insegnante di musica e opero nella scuola Primaria con bambini la cui fascia di età è quella
dai 6 ai 10 anni. Nel corso della mia esperienza lavorativa mi sono spesso trovata a confronto con
bambini "difficili" che manifestavano, in maniera diversa, problemi all'interno della vita scolastica
sul piano relazionale, comportamentale e dell'apprendimento. Spesso i comportamenti "negativi"
degli alunni possono essere manifestazione di semplice maleducazione, ma a volte essi nascondono
delle vere e proprie situazioni di disagio, che, per essere affrontate, vanno preliminarmente
riconosciute nel comportamento dei ragazzi. Il disagio scolastico è un fenomeno complesso legato
sì alla scuola, come luogo di insorgenza e mantenimento, ma anche a variabili personali e sociali,
come le caratteristiche psicologiche e caratteriali da una parte e il contesto familiare-culturale
dall'altra. Nel momento in cui il bambino o il ragazzo fa il suo ingresso a scuola, presenta spesso
comportamenti problematici che, in numerosi casi, trovano le loro radici in situazioni di grave
disagio: disagio individuale, familiare, socioculturale, tra di loro spesso fortemente intrecciati ed
interdipendenti. Le conseguenze di questi comportamenti sono evidenti nel corso
dell'apprendimento che in questi casi è caratterizzato da mancata o scarsa socializzazione:
l'insufficiente padronanza di conoscenze, di abilità, di comportamenti e di sentimenti, impedisce di
avere adeguate relazioni sociali. Da qui il passo verso l'insuccesso scolastico, l'antisocialità, il
bullismo o la violenza è spesso breve. Sono in aumento i bambini che hanno bisogno di conoscersi,
anzi di riconoscersi, "guardandosi"allo specchio. Hanno bisogno di comprendere per esempio
perché alcune volte si sentono forti come leoni e altre volte fragili come cuccioli.
1[1]A differenza dell'animale che, di regola, è autonomo poco tempo dopo la nascita, il cucciolo
dell'uomo necessita a lungo, molto a lungo, di aiuto. Viene al mondo in condizioni tali da dover
essere assistito in tutto e per tutto, ha assolutamente bisogno del calore delle braccia umane, di
occhi vigili, di essere toccato e accarezzato con affetto. Incubatrici e calore elettrico sono surrogati
molto insufficienti, e il contatto prodotto da strumenti freddi può essere una tortura. Il neonato deve
sentirsi sicuro di essere protetto in ogni situazione, di essere desiderato, deve essere certo che
quando piange gli si dia retta, che si risponda ai suoi sguardi e che si plachi la sua paura. Deve
essere sicuro che gli si dia da bere e da mangiare quando ha fame e sete, che lo si assista con
amore nelle sue esigenze fisiche e che non si sottovalutino mai le difficoltà in cui potrebbe trovarsi.
E’ chiedere troppo? In alcune circostanze è effettivamente troppo, è un peso grave; in altre invece è
una responsabilità che dà solo gioia e arricchimento. Tutto dipende dall’esperienza che gli stessi
genitori hanno avuto da bambini e da quello che sono capaci di dare. Ma anche a prescindere 1[1] Tratto da “L’Infanzia Rimossa” di Alice Miller, 1990.
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dalla situazione particolare, resta il fatto che ogni bambino dipende dagli altri per il
soddisfacimento dei propri bisogni perché non può provvedere a se stesso. Può piangere e gridare,
è vero, chiedere aiuto, ma poi occorre vedere se coloro che gli stanno attorno danno retta alle sue
invocazioni, se lo prendono sul serio, se affrontano e soddisfano i bisogni impliciti nelle
invocazioni, o se invece lo puniscono con odio perché grida o cercano di impedirgli di piangere
ricorrendo ai calmanti. L’unica possibilità che al neonato rimane di aiutare se stesso quando non
si ascolta la sua invocazione consiste nella rimozione del dolore che, a sua volta, comporta una
mutilazione del suo animo, poiché la rimozione provoca un turbamento delle facoltà di sentire,
percepire, ricordare. Cecità, indifferenza, disattenzione rispetto alle esigenze affettive dei bambini
sono comportamenti molto diffusi i cui effetti di lunga durata sono spesso ignorati dai genitori.
Con questo lavoro cercherò di approfondire, da un lato gli aspetti del disagio scolastico e come
esso si manifesta a scuola; dall’altro farò delle considerazioni sulla prevenzione riferendomi con
questo termine all’insieme di azioni riguardanti sia l’individuo che il suo ambiente, volte a impedire
la comparsa di uno stato di disagio o di uno stato patologico successivo o di ridurne le conseguenze.
Inoltre citerò i casi di bambini “difficili” presenti nelle classi della scuola dove opero, già da alcuni
anni, inserendo le ipotesi di soluzioni prospettate e la loro valutazione analitica. Presenterò il mio
Project Work Viaggio nelle terre di dentro, un lavoro rivolto ai due ordini di scuola: Infanzia e
Primaria. Esso si articola su quattro laboratori:1) Sulle tracce di Pedro rivolto ai bambini della
scuola materna G. Rodari di Fiorenzuola d’Arda, che, attraverso la danza, l’ascolto, il gioco, la
manipolazione riesce a sviluppare nei bambini capacità sempre nuove; 2) Ascolto della storia di
“Griska e l’orso, un modello di gestione di conflitto rivolto ad una classe 3^ della scuola Primaria S.
Giovanni Bosco di Fiorenzuola d’Arda, con un’estrazione socioculturale e etnica composita. Si
tratta di una proposta di avvio alla collaborazione con strategie informali: alterna la conduzione
collettiva dell’attività da parte dell’insegnante a momenti di lavoro in gruppo. La proposta
operativa, volta alla comprensione di alcuni capitoli del libro “Griska e l’orso”, si pone come
obiettivo di portare gli alunni ad assumere un comportamento attivo di interazione con le pagine
scritte. Per i bambini che provengono da ambienti culturalmente più carenti o che hanno difficoltà
di apprendimento o altre disabilità, il lavoro diretto ed esplicito sul racconto, con un approccio
collaborativo è opportuno ed efficace per migliorare le abilità di comprensione del testo e crea
interessanti opportunità di educazione per tutti; 3) il laboratorio di teatro Attori in moto rivolto ai
ragazzi delle classi quinte delle sezioni C/D della scuola Primaria che attraverso il gioco del
palcoscenico, la gestualità, “mettono in moto” loro stessi. Il teatro ha sempre affascinato i ragazzi
che lo ritengono il luogo ideale per compiere prima l‘introspezione e poi la drammatizzazione di sé;
è recitando che alcuni ragazzi “difficili” hanno imparato a conoscersi, a gestirsi e a interagire con i
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compagni; 4) Il teatro dietro le quinte: il tecnico di scena. Questo percorso nasce dal desiderio di un
ragazzo disabile, inserito in una delle classi coinvolte nel laboratorio di teatro Attori in moto, di
svolgere una mansione impegnativa per essere considerato “degno di considerazione”. Michele vive
con i compagni un rapporto piuttosto conflittuale; è costretto a vivere sulla carrozzella e ha sempre
il “dito indice” puntato contro i compagni, con i quali, in ben cinque anni di scuola primaria, ha
avuto diversi “scontri”. Durante le attività teatrali si evidenzia l’importanza delle luci sulla scena. Il
termine teatro ha la sua radice nella parola greca “teaomai” che ha il significato di vedere. Per
vedere, se non si può usufruire della luce del giorno, ecco che qualcuno dovrà illuminare il luogo
teatrale con mezzi artificiali, così che il pubblico possa vedere quello che si sta rappresentando sulla
scena. Michele sussulta di gioia perché è giunto il suo momento: grazie a lui lo spettacolo avrà le
luci che servono, ma, soprattutto la sua luce! Via via che le scene si susseguono, gli attori in moto si
lasciano guidare da Michele che è sempre presente quando gli adulti, coinvolti nell’allestimento
dello spettacolo, si riuniscono per prendere decisioni. Egli si fa tutor dei compagni: si diffonde tra
gli attori una collaborazione in forma di tutoring. Le esperienze di insegnamento reciproco tra i
compagni, coetanei o di età diverse, rappresenta una prassi che trova frequenti riscontri sia nei
contesti educativi della quotidianità, sia fra i classici della storia della pedagogia. In ambito
familiare, i fratelli e le sorelle svolgono sempre il ruolo di tutor dei bambini più piccoli; a scuola i
compagni di classe usano aiutarsi reciprocamente.
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CAPITOLO 1
IL DISAGIO
Il disagio è un fenomeno complesso e multifattoriale. In esso i bisogni sono di origine endogena ed
il legame con l’ambiente umano non viene enfatizzato. Da una concezione di uomo come
“organismo biologico” si è passati ad una concezione di essere umano come “relazione”
continuamente impegnato a riposizionarsi in relazione ad altri esseri umani. 2Se si studia il
comportamento umano, in particolare quello disturbato, fino ad includere le reazioni degli altri a
tale comportamento e il contesto in cui tutto ciò accade, il centro dell’attenzione si sposta
dall’individuo, monade isolata artificialmente, alla relazione tra le parti di un sistema più vasto
(famiglia, gruppo di amici, scuola, ambiente di lavoro). 3”Un fenomeno resta inspiegabile finché il
campo di osservazione non è abbastanza ampio da includere il contesto in cui il fenomeno si
verifica”. La conseguenza di questo ampliamento dell’oggetto di studio è stato il passaggio
dall’analisi delle manifestazioni osservabili nella relazione: il veicolo di tali manifestazioni è la
comunicazione.
Il livello di gravità del disagio può essere:
1. non grave, che consiste in stati di malessere per esperienze di insuccesso (scolastico, sportivo,
relazionale). Esso si manifesta con comportamenti di chiusura, di aggressività, autosvalutazione.
2. intermedio, che si manifesta con comportamenti trasgressivi.
3. grave, che si manifesta con comportamenti autolesivi.
2Dispensa Istituto Meme PSICOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE a cura di Roberta Frison. 3 “La pragmatica della comunicazione umana” di P. Watzlawick, J. Beavin, D. D. Jackson - Ed. Astrolabio 1971 pag. 14.
Imbarazzo Disagio Vergogna Confusione Spavento
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Disperazione Frustrazione Sconforto Rabbia Collera Aggressione Tristezza Incomprensione
Grida impotenti Rabbia Impotenza Protesta Aggressione Rassegnazione
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Aspetti generali del disagio scolastico
Nel disagio scolastico, sono coinvolte variabili personali (ad esempio l’autostima, l’autoefficacia,
componenti cognitive) e variabili contestuali e relazionali (ad esempio l’ambiente di vita, l’ambito
scolastico, il rapporto tra l’alunno e l’insegnante, tra la famiglia e l’insegnante). A seconda del
grado di coinvolgimento possiamo parlare di disagio ad origine esterna al soggetto e disagio ad
origine interna.
ASPETTI SOGGETTIVI
CARATTERISTICHE PSICOLOGICHE DEL SOGGETTO
SCARSO LIVELLO DI CONOSCENZA
• Povertà di contenuti • Carenti strutture cognitive• Inadeguati processi
cognitivi
Bassa autostima Scarsa motivazione Immaturità dell’IO
Disagio scolastico con origine interna al soggetto
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FAMIGLIA
SCUOLA
CONTESTO SOCIALE
• Basso livello di istruzione
• Condizione economica disagiata
• Condizione abitativa non favorevole
Svantaggio socioculturale
Atteggiamento educativo
inadeguato
Carente contesto relazionale
• Autoritario • Iperprotettivo • Permissivo
• Povertà di relazioni • Scarsa mediazione
Disagio scolastico con origine esternaal soggetto
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FAMIGLIA
SCUOLA
CONTESTO SOCIALE
• Poche aule • Classi rigide • Tempi concentrati
Strutture
Metodologie
Relazioni
• Stile d’insegnamento autoritario
• Scarsa competenza relazionale
• Scarso rispetto del bambino
Disagio scolastico con origine esternaal soggetto
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FAMIGLIA SCUOLA
CONTESTO SOCIALE
• Aree economicamente povere
• Devianza
Ambiente
Cultura
• Della produttività • Del consumismo • Dell’indifferenza • Della violenza
Disagio scolastico con origine esterna al soggetto
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CAPITOLO 2
FATTORI DEL DISAGIO RICONDUCIBILI ALLA FAMIGLIA
2.1 Le carenze familiari
Le carenze familiari sono molto spesso alla base di quelle difficoltà nel processo di crescita del
ragazzo, che determinano situazioni di disagio e rendono difficile la costruzione di una reale
identità personale e sociale. La maggior parte delle persone non mostra il benché minimo interesse
riguardo le cause per le quali un bambino diventa quello che è. 4A nessuno interessa che la causa
della diversa evoluzione dipende dal grado di simpatia che gli si è saputa conservare. Un bambino
amato riceve il dono dell’amore e con esso anche quello della consapevolezza. E’ un dono che gli
servirà d’orientamento per tutta la vita. Viceversa a un bambino che sia stato trascurato, tutto
questo viene a mancare appunto perché non ha avuto amore. Non sa cos’è l’amore, scambia
continuamente il male col bene e la menzogna con la verità. La famiglia costituisce la comunità
personalizzante per eccellenza in quanto, nell’affetto, dà al ragazzo il senso di essere un soggetto
amabile ed amato e di costituire perciò un “valore”. La famiglia gli dona quella sicurezza che è
indispensabile per un adeguato sviluppo psicofisico, gli consente di superare le frustrazioni, le
delusioni, le angosce, i sensi di colpa e di impotenza. E’ la famiglia che attraverso l’esperienza
quotidiana insegna al ragazzo a vivere in relazione con gli altri; è la famiglia che può educare il
minore a sentire che diritti e doveri sono intrecciati profondamente, aiutandolo a comprendere che
l’esigenza di affermazione della propria personalità è connessa con la necessità di rispettare gli altri
membri della comunità. Non sempre però la famiglia sa essere realmente costruttiva. Molti sono i
bambini che approdano a scuola con un forte bisogno di essere amati. Effetti evidenti che
s’individuano nei bambini “difficili” sono scarsa fiducia soprattutto nei confronti di adulti, bassa
autostima, scarso controllo degli impulsi aggressivi, cattive relazioni con i coetanei, disturbi
dell’alimentazione.
2.2 CRISI DELLA COPPIA. FIGLI DI FAMIGLIE SEPARATE E RICOSTRUITE
La crisi di coppia dei genitori causa profondi disagi per il ragazzo coinvolto. In Italia, purtroppo, il
numero dei figli di coppie separate è in continuo aumento. Le difficoltà di questi ragazzi sono legate
sia alla perdita di una unità tra i genitori, che è essenziale in quanto consente loro di trovare nella
relazione di coppia un modello di interrelazione, sia alla difficoltà di accettare una situazione che,
spesso, percepisce come l’abbandono da parte di un genitore. In molti casi, addirittura, il ragazzo
finisce per sentirsi personalmente colpevole o quanto meno responsabile per non essere stato capace
di impedire l’allontanamento. Ma più gravi disagi coinvolgono questi ragazzi quando diventano
4 Tratto da “L’infanzia Rimossa” di Alice Miller, 1990.
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oggetto conteso dai genitori, nel conflitto processuale, per ferire l’altro e per dimostrare,
principalmente a se stessi, la propria valenza come genitore. Da questa guerra il ragazzo esce
sempre distrutto. Difficile è anche la situazione dei figli che vivono in una famiglia ricostruita che
presenta una complessità di nuove relazioni parentali che genera disorientamento e angoscia. Non è
facile gestire contemporaneamente un autentico e significativo rapporto con due padri e due madri,
non meno difficili i rapporti che si vengono ad instaurare tra fratellastri e figli che non hanno alcun
legame tra loro.
2.3 IL BULLISMO
Il bullismo, dal termine inglese “bulling”, cioè prevaricare è un fenomeno che va emergendo
nell’ambito della scuola elementare e media. Le prepotenze di un ragazzo su un altro compagno/a
denotano una difficoltà nelle relazioni tra pari, sia del prevaricatore che della vittima. Il primo,
comportandosi con aggressività, dimostra il suo bisogno di dominare e l’assoluta incapacità di
riconoscere le emozioni altrui. La vittima, dal canto suo, che presenta aspetti di ansia e di
insicurezza e poca fiducia in sé, può subire effetti devastanti: ulteriore perdita di autostima e
incapacità di aprirsi a significative relazioni sociali. Spesso alla radice dei comportamenti prepotenti
dei ragazzi vi è un clima familiare carente o perché troppo permissivo e tollerante o perché troppo
coercitivo. A questo proposito potrebbe essere sviluppata una efficace opera di prevenzione
attraverso una corresponsabilizzazione corretta dei genitori. La scuola non può far finta di ignorare
questo problema; certo non può farcela da sola ed ha bisogno di rilevanti aiuti dalla comunità in cui
è inserita per poter attuare quelle strategie di recupero, sia nei confronti dei ragazzi aggressivi, sia
Dilaniamento Conflitto interno Senso di colpa Separazione Addio Perdita Tristezza
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nei confronti dei ragazzi vittime. La scuola può intervenire sui ragazzi coinvolti, attraverso colloqui
con loro e con i genitori; attraverso incontri in classe, utilizzo di opere letterarie e rappresentazioni
teatrali coinvolgenti sul piano emotivo.Tra i fenomeni di devianza che in questi anni sono cresciuti
gli osservatori indicano il bullismo scolastico dilagato nelle scuole di ogni ordine e grado. Il
fenomeno, però, è sostenuto dal silenzio delle stesse vittime: i bambini che subiscono aggressioni
fisiche, offese e soprusi, piccole e grandi prepotenze hanno difficoltà a raccontare l’abuso ed
insegnanti e genitori rimangono spesso ignari della realtà.
2.4 LA FAMIGLIA MALTRATTANTE
Il maltrattamento in famiglia è un fenomeno che non va inteso solo come violenza sul piano fisico,
ma anche come violenza psicologica o come trascuratezza ed abbandono. La famiglia maltrattante
non è soltanto quella dispotica e autoritaria, né quella che sfrutta in senso economico quella
particolare “merce” che può essere un bambino: è famiglia abusante anche la famiglia totalmente
assente nella vita reale del bambino, quella che abdica ad ogni funzione educativa, quella che radica
i suoi rapporti col figlio su una serie di pregiudizi a di stereotipi (che l’infanzia è un’età felice e
senza problemi; che al bambino basta un amore generico e che non è necessaria alcuna
stimolazione).Può essere abusante anche la famiglia che lascia il bambino solo ad esplorare una vita
che per lui è indecifrabile; quella che è particolarmente esigente e perfezionista; quella che
attraverso il ricatto della riconoscenza, per l’amore dato e i sacrifici compiuti, avviluppa il ragazzo
in una soffocante rete di relazioni in cui non è presente l’amore liberante, bensì solo un amore
possessivo e distruggente. E’ difficile identificare nel bambino i casi di maltrattamento psicologico
o di incuria: solo un’attenta osservazione del bambino e delle sue difficoltà relazionali può essere
rivelatrice di gravi insufficienze familiari. E’ raro che il bambino maltrattato “parli” in quanto,
malgrado tutto, il genitore maltrattante rappresenta un punto di sicurezza che non può essere
Violenza La legge del più forte Superiorità fisica Impotenza Dolore Avvilimento Violenza/aggressione Rabbia e disperazione
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abbandonato; spesso il bambino è portato a giustificare chi lo maltratta anche addossandosi colpe
che non ha. 5Il bisogno di amore dei bambini è tale, e tale è la loro incondizionata capacità di
amare, che per quanto brutale e disumana una famiglia possa dimostrarsi, il distacco da essa è
sempre un’esperienza lacerante, una ferita profonda che solo nuovi affetti altrettanto
incondizionati possono rimarginare.
5 “Una bambina bellissima” di Torej L. Haiden nata negli Stati Uniti. La sua esperienza di insegnante nelle scuole speciali per bambini emotivamente labili ha fatto di lei una specialista nell’ambito della psicopatologia infantile.
Dolore Paura Pianto Tristezza Shock Aiuto Protezione Sicurezza
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CAPITOLO 3
MANIFESTAZIONI DEL DISAGIO A SCUOLA
Tra le possibili manifestazioni del disagio a scuola troviamo:
. Difficoltà di apprendimento.
I soggetti in questione manifesterebbero capacità e potenzialità normali: le difficoltà di
apprendimento dipenderebbero da uno scarso utilizzo delle proprie risorse cognitive.
. Difficoltà relazionali emozionali.
In particolare aggressività di tipo fisico o verbale rivolta a compagni, insegnanti, aggetti;
iperattività; basso livello di attenzione e di tolleranza alle frustrazioni, reazioni emotive eccessive
(sia in positivo che in negativo); ansia.
. Apatia
Immobilità o riduzione dell’attività, mancanza di curiosità e di interessi, tendenza ad isolarsi,
stanchezza generalizzata.
BAMBINI DEL SILENZIO
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CAPITOLO 4
FAMIGLIA E SCUOLA: UNITE CONTRO IL DISAGIO SCOLASTICO
In qualità di docente della scuola primaria, nell’ultimo periodo, ho potuto constatare che è in atto
una radicale trasformazione della famiglia, che tende a delegare sempre più all’istituzione formativa
(scolastica e extrascolastica) la “copertura temporale e spaziale” dei figli, deresponsabilizzandosi.
La famiglia “moderna” rinuncia ad essere una base affettivamente sicura ed educativamente
affidabile perché offre scarsa presenza e vicinanza. Conoscendo quanto la famiglia sia importante
per il successo scolastico e l’integrazione educativa del bambino, diventa imprescindibile giungere
a definire quelle che, fra le molte, sono le problematiche più urgenti che investono le famiglie,
corresponsabili di questo disagio. Per una crescita armonica ed equilibrata dei componenti del
nucleo familiare, fra essi deve maturare una capacità di ascolto reciproco e di scambio
comunicativo per una realizzazione piena e consapevole dell’identità. 6 A tale proposito la
psicologia umanistica rogersiana sostiene l’importanza del riscontro positivo in ogni transazione
fra i soggetti che interagiscono, al fine di valorizzare le qualità, le competenze sociali, le capacità
di relazione. Essere consapevoli di ciò potrebbe rappresentare un primo valido strumento di
autoanalisi per la famiglia, al fine di fronteggiare una parte del disagio emotivo vissuto dai figli, ma
anche dai genitori. La realtà familiare è legata al contesto scolastico: è dimostrato che il modo in cui
la famiglia percepisce e considera la scuola, va ad influenzare direttamente il livello di integrazione
e di successo del figlio. Sull’altro versante, una “cattiva “ scuola può determinare processi negativi
di disistima e rifiuto che, se la famiglia non è in grado di gestire, si riversano completamente sui
componenti più deboli, ovvero i figli. Dunque le due istituzioni educative, scuola-famiglia, sono in
relazione fra loro: lavorare con le famiglie per la riduzione o la prevenzione del disagio scolastico è
un principio etico che deve diventare Metodologico. Negli ultimi tre anni ho progettato interessanti
percorsi per i bambini della Scuola dell’Infanzia e della Scuola Primaria finalizzati a prevenire, là
dove possibile, il disagio scolastico legato al disagio della famiglia. Sono sempre più convinta che
l’atteggiamento con cui la famiglia si pone rispetto a qualsiasi tipo di esperienza viene assunto e
fatto proprio dal bambino e si manifesta apertamente nel modo che egli ha di viverla e di
affrontarla.
6 Rogers C. La terapia centrata sul cliente. Ed. Martinelli, Firenze, 1970.
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CAPITOLO 5
IL PROGETTO “ VIAGGIO NELLE TERRE DI DENTRO “
Il lavoro è rivolto a tutti i bambini della scuola dell’Infanzia e della scuola Primaria e prevede per
ciascuno la sperimentazione e la messa a prova di se stesso (delle proprie abilità e delle proprie
capacità) attraverso attività di ascolto, di drammatizzazione, di canto, di manipolazione di strumenti
sonori, di vario genere e adeguate all’età. Durante lo svolgimento delle attività, ogni bambino avrà
la possibilità di mettere a fuoco i propri punti di forza e le proprie carenze nei vari ambiti di
esperienza corporea/cognitiva analizzata; sarà stimolato ad accettare i propri limiti, cercando di
compensare ad essi; ad apprezzare e mettere a frutto le proprie potenzialità; a migliorarsi negli
aspetti carenti, anche grazie a strategie d’intervento delle quali verrà a conoscenza; sarà chiamato a
realizzare un sano confronto con i compagni e una serena competitività con se stesso; il tutto
avverrà in un ambiente bisognoso di rispetto, di collaborazione e di aiuto reciproci, bisognoso di
spazio per la spontaneità e la creatività.
Obiettivi generali
Scuola dell’Infanzia POESIE E FILASTROCCHE: SULLE TRACCE DI PEDRO
Scuola primaria ASCOLTO DELLA STORIA DI “GRISKA E L’ORSO”(classi terze)
di Renè Guillot, ed. Giunti.
LABORATORIO DI TEATRO “ATTORI IN MOTO”(classi quinte)
IL TEATRO DIETRO LE QUINTE: IL TECNICO DELLE LUCI
5.1 Poesie e filastrocche: sulle tracce di Pedro
L’esperienza sulle tracce di Pedro è rivolta ai bambini della scuola dell’Infanzia. L’attività viene
svolta a scuola e impegna i bambini per tre ore settimanali. Oltre a procurare l’ascolto piacevole di
una vicenda fantasiosa nella quale il suono provoca effetti magici, può motivarli all’esplorazione e
alla scoperta a) degli effetti del suono sul comportamento delle persone e degli animali; b) degli
aspetti sonori dell’ambiente di campagna, di città, della strada; c) delle voci degli animali; d) dei
suoni degli strumenti a fiato. La scelta di Mozart, del suo Flauto magico e precisamente del suono
del glockenspiel che Papageno suona nella diciassettesima scena del primo atto, costringendo al
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ballo e al canto il perfido Monostato ed i suoi tre schiavi, è stata dettata dal desiderio di coinvolgere
nel percorso quei bambini che, durante le attività didattiche quotidiane, avevano espresso di non
essere all’altezza della situazione. La Maestra racconta … (la storia del flauto magico) …
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5.2 IL SUONO MAGICO DEL FLAUTO DI PEDRO
Il flauto che è stato donato a Pedro sembra normale. Magico invece è il suono che produce: al suo
canto danzano le uova nel paniere moltiplicandosi senza sosta, danzano gli animali e tutti coloro che
lo ascoltano. Moltissime sono le storie provenienti da tutte le parti del mondo nelle quali la musica,
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o semplicemente il suono di uno strumento, sortiscono poteri ed effetti magici. Il rumore, il suono
delle cose qui diventa magico, incanta le cose stesse e le persone. La musica non lascia quasi mai
indifferenti le persone che l’ascoltano, le “trasforma”, in modo positivo o negativo, impone loro,
comunque, una scelta. Nel comportamento di alcuni bambini coinvolti nell’esperienza di Pedro si
evidenziano sintomi depressivi quali: la mancanza di autonomia, l’inattività, l’apatia, la paura del
nuovo. Questi sintomi segnalano difficoltà emotive legate alla fatica di crescere che possono essere
agevolmente superate sulla base di una relazione adulto-bambino costruttiva, valorizzante, orientata
alla migliore realizzazione delle risorse del soggetto in crescita. Tali sintomi depressivi possono
invece radicalizzarsi nel caso in cui l’adulto non sia abbastanza attento al suo modo di porsi nei
confronti del bambino e assuma, magari anche inconsapevolmente, atteggiamenti di tipo
svalutativo. Affinché il bambino sviluppi una base di sufficiente consapevolezza e di autostima, la
padronanza che egli riesce a raggiungere intorno ai tre-quattro anni nella capacità di imitazione è
importantissima. È per imitazione che si acquisiscono i comportamenti e i modi di comunicare
propri dell’ambiente culturale. È sempre per mezzo dell’imitazione che il soggetto impara a
conoscere e ad entrare in rapporto sia con il proprio sé, sia con tutto ciò che è altro da sé: il mondo
delle cose e degli altri. Ciò che fa da filtro tra l’infinita varietà di cose da imparare e l’acquisizione
di essa è la situazione ludica, attraverso la quale il bambino mette alla prova le sue possibilità e
sviluppa capacità sempre nuove. Nella dimensione protetta del gioco effettua delle prove per
imperare a vivere imitando gli altri. Mentre finge di essere altro da sé, assume ruoli diversi, inventa
realtà fantastiche in cui entrare e da cui uscire a piacimento, non soltanto si impadronisce di
esperienze e conoscenze utili per la crescita, ma soprattutto si carica di fiducia in se stesso e di
autoconsapevolezza. La storia Il flauto magico, in cui tutti imparano a ballare, può offrire lo spunto
per proporre un gioco in cui il conduttore, all’inizio l’insegnante, poi, non appena siano in grado di
gestire la situazione autonomamente, i bambini a turno, esegue sequenze di movimenti o assume
posizioni che i bambini dovranno imitare il più fedelmente possibile. Più le sequenze motorie
trovate saranno simpatiche e buffe, più essi presteranno attenzione e cercheranno di imitare
perfettamente. Ancora con l’obiettivo di aiutare il bambino a rafforzare la fiducia in se stesso, a
conoscersi positivamente, a capire che, accanto ai limiti, vi sono sempre lati apprezzabili di sé e
capacità che vengono colte dagli altri, si propone un gioco in cui ad ogni soggetto vengono poste
queste domande: “Che cosa pensi piaccia di te alle altre persone?”, “Che cosa pensi non piaccia di
te, e perché?”, “Che cosa sai fare meglio?”, “Quali sono le più importanti caratteristiche del tuo
fisico e del tuo carattere?”, tese all’evidenziazione in senso positivo e alla valorizzazione delle
peculiari risorse, capacità, competenze di ciascuno. Nel gruppo dei “cuccioli” che sta lavorando sul
Flauto magico di Mozart qualche bambino, durante il laboratorio di drammatizzazione, si isola,
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manifestando apatia e paura di non riuscire ad intervenire nel momento opportuno. Sorridono poco
e piangono facilmente. Si consente ai bambini più grandi, al fine di coinvolgere quelli più piccoli e
timorosi, di raccontare barzellette o di esibirsi con giochi di mimo e di travestimenti. Questi giochi
consentono maggiormente a tutti di dare spazio alla gioia sana e serena, di esprimere il meglio di
ognuno. Inoltre essi possono essere occasioni di avvicinamento e di sensibilizzazione dei genitori,
anche di quelli che sono più restii a partecipare ad occasioni formative pedagogico-educativi. È
necessario far vivere al bambino e di vivere con lui l’esperienza del ridere.
5.3 ATTIVITÀ SVOLTE DURANTE L’ESPERIENZA
Attività esplorative: scoprire i “linguaggi sonori” dell’ambiente. Si effettuano passeggiate o visite
organizzate in ambienti simili a quelli descritti nella storia di Pedro (valle, prati, ruscelli, sentieri,
piazze, mercato), si motivano i bambini all’ascolto e alla scoperta delle varie “voci”. Si tratta di
registrare e di stabilire la direzione da cui provengono: a) le voci degli animali: il belare delle
pecore e delle capre, il nitrire dei cavalli ecc.; b) le voci della natura: la “voce” del vento che sibila
tra i rami degli alberi; il mormorìo di un ruscello; il crepitìo del fuoco che brucia i rami secchi ecc,;
le “voci “ della piazza: il parlottìo delle persone, i battiti dell’orologio, il rombo dei motori delle
auto, dei ciclomotori, ecc. I rumori vengono registrati e potranno essere utilizzati per riconoscere la
fonte sonora, per giochi di associazione (per esempio: “A che cosa assomiglia il rumore del
vento?”) e di relazione tra suono e immagine corrispondente.
Attività di progettazione e di organizzazione di un angolo-laboratorio dei suoni e dei rumori. Con
l’aiuto dei bambini si allestisce, all’interno della sezione, un angolo-laboratorio per “inventare”
creativamente sonorità, per “indagare” sull’origine dei suoni e dei rumori, per costruire strumenti
musicali fantasiosi. In tale spazio troveranno posto sia alcuni noti strumenti musicali sia e
soprattutto”cose” ed oggetti vari, elementi della natura recuperati con la collaborazione dei bambini
e dei genitori.
5.4 COME INVENTARE SONORITÀ
Il bambino sarà motivato ad “esplorare” gli oggetti e a “scoprire” in essi possibilità sonore che
potranno scaturire dalla sperimentazione di modalità diverse: soffiando, percotendo, pizzicando,
accartocciando, stropicciando e scotendo, rovesciando, grattando. Troverà analogie e somiglianze
tra rumori inventati e rumori dell’ambiente:
- rumore della pioggia, simile a quello provocato dal riso fatto cadere su un piatto di plastica;
- rumore del tuono, analogo a quello provocato dallo scuotimento di una lastra di alluminio;
- rumore dei passi di alcuni animali, simile a quello provocato grattando superfici di polistirolo .
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Questi rumori serviranno per sonorizzare la storia di Pedro.
5.5 COME “VEDERE” E “SENTIRE” LE VIBRAZIONI
Si organizzano semplici “esperimenti”. A) I bambini disporranno sulla pelle di un tamburello dei
fagioli e percuoteranno leggermente la pelle con la punta delle dita. Le vibrazioni faranno saltare i
fagioli. Vengono formulate ipotesi: “Se percuotiamo la pelle con più forza che cosa succederà ai
fagioli?” B) La maestra prepara un diapason e un bicchiere d’acqua. Batte il diapason sul palmo
della mano, poi lo immerge nell’acqua contenuta nel bicchiere. Che cosa succederà? I bambini
potranno osservare come le vibrazioni prodotte dal diapason possono mettere in movimento
l’acqua. C) I bambini costruiscono un telefono con una corda e due bicchierini dello yogurt alle
estremità. “Se attraverso il bicchierino parlo … che cosa succederà? Il compagno potrà sentire la
mia voce?” Si? No? Perché?
5.6 PROGETTARE E COSTRUIRE CON LE COSE STRUMENTI FANTASTICI
La scoperta di come si possono produrre sonorità con gli oggetti e cose diverse, può maturare nei
bambini il desiderio di costruire strumenti originali e fantastici. Fin da piccolissimi i bambini sono
attratti dai rumori, dai suoni, dalla musica percepita, bensì prima ancora di nascere, nel ventre della
madre. I primi stimoli che giungono attraverso l’udito, si trasformano in sensazioni, piacevoli,
spiacevoli, interessanti. Nel percorso Sulle tracce di Pedro il bambino va guidato e stimolato a
costruire oggetti rumorosi nel tentativo di riprodurre i suoni e i ritmi più semplici della natura:
l’acqua che scorre, le onde del mare, la pioggia, il vento, il temporale, il fruscìo delle foglie, il
battere d’ali di uno stormo di uccelli e così via … Costruiremo oggetti musicali con l’anima di chi li
produce per comunicare attraverso un linguaggio primordiale ed universale. I genitori dei bambini
vengono invitati a realizzare un laboratorio di costruttività, sostenuti dall’insegnante-esperto di
musica e dai bambini stessi. Saranno realizzati strumenti a percussione: la scelta è dettata
dall’immediatezza e dalla facilità nel produrre il suono. L’utilizzo di diversi contenitori in latta,
cartone, plastica e di diversi elementi posti all’interno, offre la possibilità di dar vita ad una grande
varietà di personaggi e di rumori, riconducibili, con un po’ di fantasia, ad altrettanti suoni presenti
nell’ambiente. Alla fine del percorso sarà allestita nella sezione dei bambini una mostra di tutti gli
strumentini realizzati.
5.7 MORALE DELLA FAVOLA
A prima vista sembra non esistere attinenza alcuna tra il suono del magico strumentino della storia
che fa da sfondo al percorso e tanti,incredibili, rumori che caratterizzano l’ambiente di vita del
bambino. Una morale esiste: talvolta gli aspetti più positivi del genere umano possono celarsi dietro
le persone più insignificanti, in quelle che la generale considerazione non giudica degne di
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attenzione. E’ accaduto così per il piccolo suonatore di flauto, come per tanti personaggi, reali che
hanno caratterizzato la storia dell’umanità, da don Bosco, a Gandhi, a Maria Teresa di Calcutta.
5.8 MORALE NELLA STORIA
Nella storia del pensiero occidentale i Sofisti sono i primi ad occuparsi esplicitamente di questo
delicato e fondamentale problema. Per Pitagora l’uomo “ è misura di tutte le cose”, ciascuno pensa
a modo suo e si comporta secondo scelte puramente individuali, in quanto non esistono verità e
norme etiche universali. Socrate si oppone vigorosamente a questo relativismo conoscitivo e
morale, asserendo che nell’uomo vi è una misura “superindividuale” , la ragione, mediante la quale
si può conoscere il “bene universale” e praticarlo, in una condotta virtuosa. Platone riprende e
sviluppa il pensiero del suo maestro, collocando la dottrina morale nel quadro di una coerente
concezione dell’uomo. In noi vi sono tre anime: la concupiscibile (l’insieme degli impulsi inferiori),
l’irascibile (il complesso delle passioni nobili), la razionale (a cui compete discriminare il bene dal
male, dirigere il comportamento). A ciascuna delle tre anime compete, nell’ordine, una specifica
virtù: la temperanza, la fortezza, la sapienza (o prudenza). L’esercizio delle tre distinte virtù
garantisce all’uomo l’armonia interiore, la “giustizia”. Come si vede, in Platone vi è
l’individuazione delle quattro virtù cardinali, fondamento della vita morale. Pure in Aristotele vi è
una chiara dottrina morale. L’uomo ha l’obbligo di sviluppare integralmente le proprie capacità,
passando dallo stato di “potenza” (possibilità) a quello di “atto” (realizzazione), secondo il criterio
del “giusto mezzo”. Così, ad esempio, il coraggio è una virtù, in quanto evita gli estremi opposti
della temerità e della paura; analogamente, la liberalità si colloca nel punto intermedio fra la
prodigalità e l’avarizia.
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CAPITOLO 6
GRISKA E L’ORSO (Modello di gestione del conflitto anno scolastico 2005/06).
6.1 IL CONTESTO
Il progetto “Ascolto della storia Griska e l’orso” coinvolge gli alunni di una classe 3° della scuola
primaria. Il gruppo è numeroso: 27 alunni con un’estrazione socioculturale e etnica composita Il
conflitto e la contrapposizione fisica e/o verbale è una modalità alla quale gli alunni ricorrono nei
momenti critici. Durante il precedente anno scolastico hanno avuto occasioni di riflessione guidata
sui loro comportamenti, ma la loro maturità ancora limitata, non ha consentito un’adeguata presa di
coscienza della possibilità di comportamenti alternativi al conflitto o all’impulsività.
6.2 L’ATTIVITÀ
1) ASCOLTO
Viene presentato il libro “Griska e l’orso” di Renè Guillot, ed. Giunti, esponendo i fatti più
significativi dell’intreccio. Dopo aver spiegato che Djidi è l’orsetto adottato da Griska dopo la
morte di mamma orsa per mano dei cacciatori, e che Griska sta andando a caccia di un alce, viene
esplicitato il lessico usato e si procede alla lettura del brano seguente:
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2) PROPOSTA OPERATIVA
All’ascolto segue la discussione volta innanzitutto ad accertare la comprensione del racconto; le
riflessioni dei bambini facilmente porteranno con sé emozioni e stati d’animo provati durante
l’ascolto. Si tratterà poi di condurre la discussione verso esperienze vissute in cui siano entrate in
gioco paura per incontri con animali o situazioni pericolose createsi durante giochi o escursioni
all’aperto. La rappresentazione grafica di un momento di pericolo completa la rievocazione
dell’esperienza e consente di ritornare ad essa in modo partecipato, per comunicarla
significativamente agli altri.
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3) ATTIVITÀ COOPERATIVA: DAL CONFLITTO ALLA RICONCILIAZIONE
Per introdurre il lavoro successivo potrebbe essere utile la lettura di un altro brano del libro citato, si
tratta di quello in cui Griska salva il cucciolo d’orso che diventerà il suo inseparabile compagno. Il
mondo di Griska, così intensamente naturale funge molto bene da tramite tra la realtà dei bambini
fittamente costellata di strumenti di alta tecnologia, dispiegati in un’ampia gamma dall’utile al
futile, e un mondo simile a quello in cui devono aver vissuto gli uomini primitivi, di cui gli alunni
hanno potuto farsi un’idea approssimativa attraverso una recente visita ad un parco della preistoria.
Hanno compiuto esperienze dirette di creazioni di utensili di uso quotidiano e, attraverso immagini
e simulazioni video hanno potuto rendersi conto delle condizioni di vita degli uomini primitivi,
costretti a lottare quotidianamente contro i pericoli di una natura forte e impietosa. Si richiede ai
bambini di porsi in questa situazione: siete uomini primitivi, riflettete su quali sono i pericoli e i
nemici ai quali dovete far fronte. Cercate nella realtà naturale intorno a voi degli alleati. Le
insegnanti costituiscono gruppi di 4, composti da alunni di diversa abilità rispetto alla competenza
“comprendere un testo” e si soffermano sui vantaggi della organizzazione in gruppi. La scelta di
approccio collaborativo è stata sorretta dalla convinzione che le competenze e le strategie dei
singoli possano essere più efficacemente sviluppate in un contesto di interazione con i compagni. I
bambini sono stati coinvolti, dalla struttura della proposta, in una continua elaborazione attiva,
attraverso la spiegazione ad altri di quanto scoperto nel testo, la riformulazione con parole proprie
delle informazioni, il confronto con punti di vista e ragionamenti diversi, la ricerca di nuovi dati per
sostenere le proprie scelte. Al termine dell’attività nei gruppi le insegnanti conducono una
discussione per confrontarsi.
4) GRIGLIA DI OSSERVAZIONE
Durante la discussione un’insegnante conduce la discussione e l’altro compila la griglia di
osservazione che comprenderà i seguenti punti:
1) Rispetta le regole della comunicazione
2) Tende a prevaricare sugli altri, togliendo loro la parola
3)Tiene conto di ciò che dicono gli altri
4) Manifesta tolleranza nei confronti degli altri
5) Apprezza le osservazioni degli altri
6) Interviene in modo pertinente
Per ogni voce sarà assegnato un punteggio da un minimo di 1 a un massimo di 5. I risultati
ottenuti potranno essere confrontati con quelli ottenuti durante una precedente discussione
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avvenuta spontaneamente, fuori dal contesto creato in questa occasione.
5) GIOCHI DI RUOLO
Nella simulazione finale si ritiene funzionale alle finalità perseguite, che comprendono anche
l’acquisizione dell’abilità di mediare conflitti tra pari, la proposta di un gioco di ruolo in cui due
alunni sono contrapposti e devono trovare una soluzione alternativa allo scontro fisico o verbale.
Prima di dare il via alle simulazioni si aiuteranno i bambini a rievocare tutto il percorso fatto a
partire dal riconoscimento, nei brani ascoltati di :
1) istinto di sopravvivenza che tende alla sopraffazione dell’avversario (episodio della tigre),
2) bisogno di dare aiuto e protezione a chi è riconosciuto come più debole (episodio del
salvataggio del cucciolo).
Nel gioco di ruolo uno sarà il bambino che scatena il conflitto e l’altro colui che deve far prevalere
la disponibilità e la capacità di mediazione, in modo da far riprodurre i due comportamenti:
aggressivo e protettivo. Sarà opportuno che tutti i bambini possano giocare entrambi i ruoli e, per
raggiungere più rapidamente lo scopo, la classe potrà essere divisa in due gruppi durante un
momento di contemporaneità.
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CAPITOLO 7
LABORATORIO DI TEATRO “ ATTORI IN MOTO”
Il laboratorio di teatro vede coinvolti gli alunni di due classi quinte della scuola Primaria.
L’obiettivo principale è leggere, comprendere e acquisire la capacità di trasporre quanto compreso
in gesti, espressioni e movimenti significativi e adeguati. Conseguentemente acquisire maggiore
consapevolezza del proprio corpo come mezzo espressivo e, “interpretando” ruoli diversi e non
legati al sé, arrivare a comprendere altri punti di vista e a sperimentare situazioni nuove. Nella
classe 5 sezione C è inserito un bambino disabile grave, che presenta grosse difficoltà a relazionare
e di conseguenza ad integrarsi. Nella classe 5 sezione D, nel mese di Gennaio, è arrivata una nuova
bambina che fin da subito ha mostrato problemi di inserimento, con i compagni e i docenti. I test di
ingresso hanno rivelato che la bambina è dotata di buone capacità e la scheda di accompagnamento
sottolinea “un buon grado di socializzazione sia con i pari che con gli adulti, una buona autonomia
di lavoro, ma un impegno un po’ discontinuo dovuto forse ad una situazione familiare incerta
(famiglia allargata)”. Le insegnanti concordano di attivare un laboratorio teatrale al fine di creare un
gruppo di amici che si divertono a recitare, imparando le tecniche della comunicazione teatrale. Per
i bambini il palcoscenico, si sa, è un luogo magico dove si ha la possibilità di confrontarsi con se
stesso e con gli altri. Non tutti, però, vivono il gioco teatrale allo stesso modo: c’è quello che lo
vive senza regole perché finalmente può esprimere tutto se stesso, c’è chi, invece, cerca di gestire al
meglio la sua timidezza! Le attività prevedono momenti corali, momenti personali di riflessione e
suddivisione in piccoli gruppi; per la parte pratica: esercizi di mimica, gestualità e giochi di ruolo,
alternati a momenti di ascolto . Molti bambini si esprimono più facilmente con la parola mentre altri
attraverso la mimica.
7.1 Attore di se stesso
A teatro l’attore recita una realtà immaginata dall’autore, ha una parte, assicura al personaggio una
verità; nel corso della rappresentazione l’attore compie il suo mestiere. Il bambino invece non è un
attore. Nel gioco drammatico progettato per gli attori in moto i ragazzi si sono espressi, hanno
esteriorizzato la loro persona, il loro essere profondo con le loro pulsioni, le loro inibizioni, i loro
desideri. Tale espressione del proprio essere, però, non si realizza senza un destinatario. Totalmente
impegnato in ciò che sta compiendo il bambino espone la sua persona e l’affida all’altro con la
speranza o forse la certezza di essere accolto da lui. Per essere riconosciuto dall’altro occorre che il
bambino si metta insieme a lui in una situazione comune: recitare cioè se stesso di fronte all’altro
avendo l’altro come fine, destinatario del dono di sé. In tal modo il bambino afferma se stesso, ma
necessita, della creazione di una situazione specifica in cui possa fare o dire qualcosa. Si crea così,
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nell’universo del gioco drammatico, la comunicazione. Lavorando insieme, senza accorgersene, il
gruppo ha intrecciato una relazione “autentica”; insieme si ricreano le scene della vita di tutti i
giorni; si gioca ad essere un altro e, di conseguenza, ci si rapporta con gli altri. Man mano che il
laboratorio va avanti cresce la voglia di stare insieme; l’esperienza diventa un momento di crescita
per tutti: i ragazzi si mettono in gioco,serenamente, con i compagni emotivamente difficili da
gestire, Michele il ragazzo disabile lamenta che i momenti d’incontro durano poco tempo e quando
la campanella suona, perché l’ora di laboratorio è terminata, blocca la carrozzella col freno. La
bambina della 5^D, definita “difficile”, è più disponibile con i compagni; comincia a parlare di se
stessa, della sua famiglia “allargata”, dei suoi “fratellastri”. Via via che il laboratorio”cresce” i
ragazzi chiedono di portare in scena uno dei capitoli dell’Odissea, il libro di narrativa che stanno
leggendo durante il laboratorio di lettura: Ulisse e i ciclopi. Sono proprio i ragazzi più difficili da
gestire a insistere affinché Polifemo venga portato in scena e loro stessi decidono che ad
interpretarlo sia Giovanni detto “Giogiò”. Mi lascio prendere dal loro entusiasmo contagioso: il
viaggio ha inizio. Il lavoro terminerà con lo spettacolo di fine anno che andrà in scena l’otto Giugno
presso il Ridotto del teatro Verdi di Fiorenzuola d’Arda. Siamo quasi arrivati alla fine di questa
esperienza, Mercoledì 6 Giugno la prova generale in teatro; i ragazzi sono emozionantissimi, ma,
soprattutto, uniti più che mai! Hanno coinvolto le rispettive famiglie nella preparazione dei costumi;
i genitori si sono stretti attorno ai loro figli aiutandoli nell’allestimento dei fondali. Le immagini
delle scene disegnate da tutti i ragazzi, compresi quelli che non si “sentivano all’altezza di questo
compito” saranno riprodotte a video mediante l’uso del computer (il lavoro è stato curato dalla
signora Giuseppina Periti e dalla figlia Sara Pagani che hanno viaggiato con noi “assaporando” il
piacere di condividere forti emozioni).
Creatività Impiego di tutte le forze
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CAPITOLO 8
IL TEATRO DIETRO LE QUINTE: IL TECNICO DELLE LUCI
Perché questo laboratorio? Durante le attività del laboratorio di teatro Michele manifesta a tutti il
desiderio di diventare Direttore delle luci dello spettacolo che si sta preparando. I compagni
sostengono la richiesta e chiedono di essere aiutati a realizzare il sogno del loro compagno. Colpita
dalle pressioni del gruppo, di quello stesso gruppo che, fino a qualche mese prima, aveva chiesto
alle insegnanti di classe di tenere fuori dal laboratorio quel compagno “permaloso e arrogante” mi
decido ad aiutarli. I ragazzi mi chiedono se le luci, i costumi degli attori, la costruzione della
scena…sono solamente accessori del teatro. Certamente no, poiché essi stessi diventano la sostanza
della rappresentazione teatrale. Spiego ai ragazzi che l’illuminazione teatrale diventa uno strumento
importante quando si vuole sottolineare la tensione emotiva che caratterizza ogni scena; è
sicuramente un elemento fondamentale per infondere nello spettatore il sentimento richiesto. Sono,
infatti, in primo luogo le luci a trasmettere un senso di inquietudine o di allegra solarità e di tutte le
sfumature o contrasti ad essi relativi. Come un bambino che davanti allo specchio si illumina il viso
dal basso in alto con una pila per creare una maschera a forti contrasti d’ombre e luci, così si può
illuminare una scena a fasci radenti e trasmettere la sensazione che in quel luogo stia per accadere
qualcosa di grave, di drammatico, contribuendo a dare un senso di sospensione e di attesa
angosciosa con l’impiego di un’opportuna colonna sonora. La scena può presentarsi in diversi modi
e possedere diversi elementi che ne definiscono l’atmosfera: può essere quasi senza colori, tendente
alle tonalità grigie, con le luci puntate su spazi geometrici e allusivi; può essere realistica, favorendo
da subito l’aumento e l’attenuazione di una certa impressione o la costruzione dell’ambientazione in
cui la vicenda sarà rappresentata collocandola in un’epoca precisa; può contare sull’effetto
determinato dai costumi degli interpreti che aiutano a comprendere il contesto. Questi, infatti,
possono operare una sintesi di tutti questi elementi di contorno per contrasto attraverso l’impiego di
colori sgargianti e particolari fantasiosi che fanno risaltare i personaggi in un ambiente in bianco e
nero o caratterizzare la scena proponendo figure magrittiane tutte in cappotto e bombetta. C’è il
teatro del realismo fino all’ossessione di marca viscontiana, in cui tutto è vero e assolutamente in tre
dimensioni, e c’è il teatro del sogno e del gioco fatto di disegni colorati e cartoni dipinti, a due
dimensioni, come quello allegro e suggestivo del quale l’esempio più alto è lo scenografo Lele
Luzzati. Non si può dire che uno sia meglio dell’altro. È certo però che hanno due valenze
spettacolari diverse e giocano su due piani di coscienza e percezione. In questo modo si è giunti ad
affermare che esistono scenografie costituite cioè solo di fasci luminosi, vere e proprie architetture
di luce che realizzano ambienti non fisici ma psicologici: ambientazione sceniche determinanti
proprio per la forza simbolica e metaforica che manifestano. Un tempo esistevano solo luci fisse, in
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genere allineate in proscenio, e gli attori, girovagando e usando come ribalta un carro con le sponde
abbassate portavano con sé solo la maschera. Oggi la scena supplisce per certi versi al segnale
preciso che ogni maschera era capace di mandare, a cominciare dall’immagine del tragico e del
comico. Oggi la maschera di uno spettacolo è tutto il suo contesto scenico, tanto che, da un lato, una
certa avanguardia ci ha abituato a una scelta di spazi extrateatrali, via via scelti secondo le istanze
espressive e pratiche dello spettacolo, dall’altro si è vista anche la costruzione di appositi spazi per
una data rappresentazione. Negli anni ’70 si è parlato di teatro- immagine, ovvero di lavori che,
abolita o quasi la parola, puntavano sul movimento e l’ambientazione. Come del resto affermava
molti anni prima Jean- Louis Barrault: “il teatro è l’arte dell’esistenza umana nello spazio”.
8.1 IL DIRETTORE DELLE LUCI
Durante le attività teatrali spiego a Michele che il lavoro del tecnico delle luci va eseguito con la
massima cura e richiede una gran pazienza. Mio marito, che annovera esperienza in questo settore,
affianca Michele, che, dalla gioia,corre nei corridoi della scuola con la sua carrozzella “sprint” da
lui così soprannominata. È felice di impostare e studiare gli effetti luminosi e si confronta,
continuamente, con tutte le esigenze che nascono durante la preparazione dello spettacolo; in
particolare con quelle di tipo registico, scenografico, coreografico e musicale. Risulta, quindi
necessaria la sua presenza alle varie riunioni di produzione, presiedute da me, esperto del
laboratorio e direttore musicale, dalle insegnanti di classe, dall’insegnante tutor, da mio marito, dai
genitori, rappresentanti delle due classi e dalle mamme costumiste. Michele diventa tutor dei suoi
compagni e chiede la loro collaborazione perché il lavoro comincia a diventare pesante. Nasce,
spontaneamente, la collaborazione tra bambini, attraverso forme di tutoring, che crea interessanti
opportunità di educazione per tutti, compresi gli alunni “difficili” e quelli disabili. Quando ai minori
in difficoltà si affida la funzione di tutor, si riconosce che sono in grado di svolgere una mansione
impegnativa e che sono pertanto degni di considerazione. Inoltre, se tutti gli allievi sono messi in
condizioni di diventare a turno “insegnanti”, è possibile dare vita ad un clima di classe cooperativo,
incrementando i livelli di apprendimento. 7Questi progetti di collaborazione escludono modelli di
educazione rivolti in negativo solo al deficit, che creano inevitabilmente segregazione, per seguirne
invece altri che hanno come obiettivo l’integrazione di tutti gli alunni e il successo di ciascuno”. I
ragazzi e Michele raccolgono tutte le esigenze e le considerazioni emerse durante gli incontri e le
prove nel cosiddetto “copione luce”, che è un normale copione dello spettacolo a cui si è aggiunto
un normale piano dettagliato di illuminazione, definito per ogni scena, per ogni azione fino al più
piccolo particolare. Michele si preoccupa che nulla venga lasciato al caso perché sa che la riuscita
7 W. Stainback, S. Stainback, La gestione avanzata dell’itegrazione scolastica, Erickson, Trento 1993, p.85.
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dello spettacolo dipende al 5O% dall’illuminazione utilizzata. L’efficacia di un determinato gesto
dell’attore, dipende gran parte dall’effetto luminoso studiato per esso. Mancano pochi giorni allo
spettacolo e gli attori sono emozionantissimi. Noi adulti siamo convinti che le sorprese non
mancheranno: gli attori in moto e Michele sapranno sbalordirci con il loro spettacolo, regalandoci
un’infinità di emozioni!!!
Aiutare gli amici Solidarietà Rinuncia Gratitudine Dare e prendere Allegria Completarsi Vivere un’amicizia
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CAPITOLO 9
IL METODO E GLI STRUMENTI
A livello metodologico si è optato per l’adozione di un approccio che valorizzasse i bambini senza
far prevalere gli strumenti scientifici. Di qui la scelta di fondarsi sulla creatività e sulla spontaneità,
tipiche di questa fascia di età. Nella scuola dell’infanzia le attività, prevalentemente ludiche, hanno
consentito ai bambini di recitare “giocando”. Il gioco drammatico è una creazione individuale, ma
nel contempo è anche un’attività di gruppo, scoperta attraverso l’adulto presente che assume un
ruolo specifico. Tale gioco è caratterizzato da regole precise, tra le quali assume maggiore rilevanza
quella di accettare la partecipazione degli altri e la cooperazione dei diversi elementi che
costituiscono il gruppo. Come nel gioco spontaneo, anche nel gioco drammatico ogni bambino ha
un motivo per agire, ma l’azione individuale si limita a un’azione che serve il progetto
comune:soltanto ciò che si include e si integra nel progetto può essere fatto. Non si è dunque liberi
come nel gioco. È stabilito che ognuno deve conservare la parte scelta, sia durante una sequenza, sia
durante l’intera durata del gioco scenico. È anche stabilito che non tutti gli allievi della classe
possono recitare nello stesso tempo e che occorre, in alcuni momenti, accettare di far parte dei non
partecipanti; questi guarderanno, sapendo tra l’altro che la volta seguente sarà il loro turno. Si sa
anche che i non partecipanti possono dare suggerimenti, intervenire e integrarsi al gruppo dei
partecipanti nel caso in cui si liberasse un posto, sia perché qualcuno non vuole più continuare, sia
perché viene creata dal gruppo una parte nuova, con l’accordo dell’adulto. La maestra non è esclusa
dal gioco; interviene infatti quando la sua presenza si ritiene necessaria facendo rispettare le regole
e le consegne, chiedendo le opportune spiegazioni relative a determinate azioni perché il gioco si
prolunghi con efficacia, fungendo da arbitro nei casi di conflitto ed anche permettendo e regolando
l’inserimento di nuovi elementi nel corso dell’azione. Nel gioco drammatico, il bambino non è
dunque libero come nel gioco spontaneo, ma in compenso stabilisce con i suoi pari delle relazioni
che scopre mentre le vive. È tuttavia cosciente che tale attività sia fittizia, assimilabile cioè al gioco
abituale. La recitazione è come ogni gioco un momento piacevole: il bambino infatti è contento di
agire, parlare, inventare, esteriorizzare un proprio stato, aver ricevuto ad esempio una parte che
permette di sentirsi “grande”; è soddisfatto inoltre di avere un pubblico costituito dai “non
partecipanti” e dalla maestra, che è sentita come un elemento fondamentale perché autorizza,
favorisce il gioco e soprattutto riconosce a ciascun bambino la possibilità di vedersi inserito in una
situazione nuova, con un ruolo diverso.
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9.1 APPRENDIMENTO COOPERATIVO (COOPERATIVE LEARNING)
In questi ultimi 15 anni, l’apprendimento cooperativo, noto come cooperative learning, è diventato
in molti paesi un importante approccio metodologico. Numerosi studi hanno dimostrato che con il
cooperative learning gli studenti ottengono risultati scolastici più elevati, più alti livelli di
autostima, maggiori competenze sociali, una più approfondita acquisizione di contenuti e abilità. In
Italia questa metodologia ha avuto una buona diffusione nella scuola dell’infanzia e nella scuola
primaria. Non bisogna confondere il cooperative learning con il normale lavoro di gruppo. La
specificità dell’apprendimento cooperativo sta:
a) nell’enfasi posta sul coinvolgimento attivo degli studenti in lavori di gruppo e sul successo
scolastico di tutti i membri del gruppo;
b) nella presenza nel lavoro di gruppo dei seguenti elementi: positiva interdipendenza;
responsabilità individuale; interazione faccia a faccia; uso appropriato delle abilità;
valutazione del lavoro.
La maggior preoccupazione didattica di molti docenti è il completamento del programma, minore
enfasi viene posta , invece, su quanto sia significativo e stabile nella memoria ciò che gli studenti
apprendono. Molte ricerche smentiscono che la lezione “ex cattedra” sia un modo efficiente di
trasmettere informazioni in modo accurato. Di circa 5000 parole ascoltate in 50 minuti di lezione,
gli studenti ne appuntano circa 500 e in media trascrivono circa il 90% delle informazioni scritte dal
docente sulla lavagna. La lezione tradizionale favorisce di più gli studenti maggiormente dotati.
Anche gli studenti più dotati, però, hanno difficoltà a sostenere l’attenzione e l’interessi vivi per una
intera ora o più. È vero quando Bodner afferma: “insegnare e apprendere non sono sinonimi:
possiamo insegnare- e insegnare bene- senza che gli studenti imparino”. Durante il percorso Griska
e l’orso l’apprendimento cooperativo ha facilitato lo sviluppo delle abilità cognitive e l’attitudine a
lavorare con gli altri. I cosiddetti alunni “difficili” sono stati aiutati ad avere fiducia nelle proprie
capacità. Tuttavia non sono mancate le resistenze di qualche alunno che ha mostrato riserve o
sfiducia verso questo approccio. Gli studenti hanno una varietà di stili di apprendimento e nessun
approccio didattico può essere ottimale per tutti. Non sempre i gruppi, però, funzionano. Durante
l’attività cooperativa di Griska, all’interno di un gruppo, un alunno si è rifiutato di cooperare ed è
sorto un conflitto interpersonale tra i membri, tale da rasentare la violenza. Il membro non
cooperativo è stato espulso dal gruppo: fortunatamente è stato accettato da un altro. Cooperative
learning è molto più che far lavorare studenti in gruppi e chiedere loro di scrivere una relazione. Il
vero CL richiede la positiva interdipendenza tra i membri del gruppo, il far sentire ogni membro
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responsabile dei risultati dell’intero gruppo. 8Apprendere un materiale con l’idea che dovrai
spiegarlo ai compagni produce un uso più frequente di strategie cognitive di ordine superiore. Più
frequente di quanto non faccia l’apprendimento per passare un test. Spiegare a voce il materiale da
studiare produce un profitto più elevato che ascoltarlo o leggerlo da soli.
9. 2 L’INSEGNAMENTO RECIPROCO TRA COMPAGNI (Forme di tutoring)
Studi e ricerche sperimentali dimostrano che questa strategia ha un impatto positivo sui risultati
scolastici degli alunni, sia che essi svolgano la funzione di insegnante (tutor), che di assistito (tute).
Già nel Seicento il maestro Moravo Comenio sosteneva: “Colui che insegna, insegna a se stesso”,
sottolineando l’efficacia cognitiva del metodo. Dopo di lui, a fine Settecento, lo svizzero Pestalozzi
ha sperimentato e teorizzato la produttività del mutuo insegnamento fra fanciulli di età diverse;
pochi anni prima, il francese Abbè de l’Epée lo ha adottato nell’ambito di istruzione e educazione di
minori sordi, ospitati nell’Istituto Imperiale per sordi di Parigi, con il ricorso al metodo mimico
gestuale. Sul piano sociale, il rapporto di tutoring è privo delle implicazioni autoritarie che
caratterizzano quello fra insegnanti e alunni; inoltre l’amicizia con un compagno più grande o più
esperto rafforza l’autostima del tute. Sul piano cognitivo, i bambini nel ruolo di tutor , sono
avvantaggiati dal fatto di essere costretti a imparare in modo approfondito l’argomento che devono
spiegare; inoltre rivedono e consolidano conoscenze già acquisite, colmano lacune, imparano a
riformulare le conoscenze pregresse in nuovi contesti concettuali. Sul piano emotivo, l’allievo-
insegnante acquista sicurezza,autostima, atteggiamenti positivi verso la scuola e le materie di
studio, migliora le interazioni con tutti i compagni di classe. Anche Michele, il bambino disabile,
impegnato nelle attività teatrali, avendo dimostrato grande creatività, ma, soprattutto, forte intuito
ha potuto svolgere una mansione impegnativa, degna di considerazione: quella del “direttore delle
luci”.
9.3 IL TUTORING E GLI ALLIEVI CON BISOGNI EDUCATIVI SPECIALI
Tenuto conto degli effetti positivi del metodo di mutuo insegnamento, sia per “ l’assistito” che per
“l’insegnante”, un’applicazione ideale dovrebbe prevedere l’assunzione alterna dei ruoli, da parte di
tutti gli alunni, compresi quelli in difficoltà. Oltre ai programmi che prevedono l’assistenza prestata
ai bambini in situazione di handicap, da parte dei compagni, vi sono esperienze in cui il tutoring
avviene tra alunni disabili, e altre in cui il tutoring è dato da alunni in difficoltà ai compagni.
8 D.W.Jonson R. T. Jonson, What to say to the parent of gifted students. Our Cooperative Link, April 1989, p. 2.
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Citiamo alcuni esempi, tratti dall’esperienza nordamericana:
- bambini handicappati (ritardo mentale, deficit neurologico) che insegnano ai compagni
normali il linguaggio dei segni o l’utilizzo del personal computer;
- bambini handicappati (ritardo mentale medio-lieve) che aiutano compagni normali più
giovani nella lettura; oppure (disturbi del comportamento) che svolgono il ruolo di monitori
o coordinatori di classe, o assolvono incarichi particolari (addetti al riordino, alla consegna
della posta, all’accoglienza dei nuovi allievi o degli ospiti) nei confronti dei compagni
- bambini handicappati che aiutano compagni handicappati più giovani a superare problemi di
lettura o di ortografia, o di matematica.
9.4 GIOCHI TEATRALI
- GIOCHI DI RISCALDAMENTO si basano all’interazione del gruppo, si usano i giochi
infantili tradizionali per unire gli alunni- giocatori, per renderli disponibili ad accettare le
regole dei giochi successivi ansiosi di raccogliere i vantaggi che il gioco può offrire. Non si
tratta di giochi competitivi e neppure giochi che premiano l’individualismo ma portano i
partecipanti a concentrarsi sul presente, sul “qui ed ora”. I giochi infantili tradizionali
sollecitano intense reazioni fisiologiche: il corpo è pronto a scattare, gli occhi brillano e le
guance si arrossano. Senza avere il tempo di pensare a cosa fare o come comportarsi, il
giocatore deve semplicemente agire: fare ciò che è necessario. UN, DUE, TRE, STELLA…
- GIOCHI CON RITMO scoperta e consapevolezza del corpo in movimento; permettono
agli alunni giocatori l’opportunità di esplorare e di acquisire una sempre maggiore
consapevolezza del proprio corpo in movimento. Contribuiscono a migliorare negli allievi la
consapevolezza dello spazio che li circonda. Movimenti ritmici: l’istruttore elenca a voce
alta degli oggetti (treno, lavatrice, nave spaziale, bicicletta o comunque un oggetto in
movimento). Ogni giocatore, all’istante, senza riflettere esegue dei movimenti che l’oggetto
suggerisce. Quando i movimenti sono diventati ritmici e fluidi, i giocatori dovrebbero
cominciare a muovesi a ritmo di musica. L’istruttore ora affida dei ruoli singolarmente a
tutti i giocatori: in un circo il presentatore, il clown, il domatore di leoni, quello di elefanti,
i leoni e gli elefanti, i trapezisti, i cavalli, i saltimbanchi, i maghi, i giocolieri, gli
addestratori di cani, le colombe, gli spettatori ecc..
- GIOCHI DI ESPLORAZIONE le esplorazioni nello spazio danno la possibilità agli
allievi di muoversi in libertà nella classe donando a quello spazio una nuova dimensione più
vicina ai bambini. Tenere sotto controllo l’intelligenza vivace e curiosa degli alunno può
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sembrare necessario per mantenere la disciplina, ma non fa che ostacolare chi ha un’indole
interessata, sognatrice e avventurosa. Percepisci te stesso con gli altri nello stesso spazio:
far sedere gli allievi, gli occhi aperti, --Sentite i piedi nelle calze! Sentite le calze sui piedi!
Sentite i piedi dentro le scarpe! Sentite le calze sulle gambe! Sentite le gambe nelle calze!
Sentite i pantaloni o la gonna sulle gambe! Sentite le gambe nei pantaloni o nella gonna!
Sentite la camicia o la maglietta contro la schiena e la schiena sotto la camicia o la
maglietta! Sentite la caramella che avete nella mano! Sentite la mano e la caramella! Sentite
i capelli sulla testa e le sopracciglia sulla fronte! Sentite la lingua dentro la bocca! Sentite le
orecchie! Provate a sentire l’interno della vostra testa! Sentite tutto lo spazio intorno!
Adesso lasciate che sia lo spazio a sentirvi! Di che colore è l’interno della vostra testa? E di
che colore è lo spazio che c’è intorno alla testa?
- I GIOCHI CHE PROMUOVONO LA TOTALITÀ servono a far diventare i giocatori
parte di una totalità. Creare una unica entità nella quale tutti sono coinvolti nell’esito del
gioco. Ogni singolo giocatore è indispensabile alla riuscita del gioco. Ogni giocatore ha il
corpo e la mente che si muove all’unisono con il resto del gruppo. Non si lavora sulla
competitività, ma sull’attiva partecipazione e collaborazione. Un successo significativo per
uno diventa un successo per tutti. Si svilupperanno disponibilità, interazione, attenzione,
osservazione, espressione fisica e vocale, abilità narrative, agilità sensoriali e
consapevolezza delle proprie emozioni. Un solo grande meccanismo (una parte del tutto di
un oggetto): un giocatore entra nell’area gioco e diventa una parte di un grande oggetto (una
vettura, un camion, una nave spaziale, una giostra, un animale, una pianta ecc..). Non
appena l’oggetto viene intuito da un altro giocatore, questi si unisce al gioco diventando una
parte di quell’oggetto. Il gioco continua sino a quando tutti non prendono parte alla
formazione dell’oggetto. Una situazione di relazione umana (una parte del tutto di una
relazione): un giocatore inizia un’attività (picchiare un chiodo, pulire con la scopa o
spolverare ecc ...). un altro giocatore sceglie una relazione con chi è in scena definendo il
suo ruolo ed anche quello di chi è in scena. Ad esempio, il primo spolvera, il secondo entra
nell’area gioco e gli dice “Battista, stasera avremo ospiti. Potrebbe dire alla cuoca che
prepari la lepre arrosto?”. In questo modo il primo diventa il maggiordomo del secondo
giocatore. Gli altri giocatori si inseriscono nella relazione non modificando i rapporti, ma
facendo il marito, il figlio, la cuoca, l’ospite ecc ... Questo gioco propone un abbozzo di
evento scenico.
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- I GIOCHI DELLO SPECCHIO condividere ciò che si osserva. Permettono ai giocatori
di stabilire un contatto solo con l’atto di guardare. Riflettere significa agire, imitare, reagire.
Si deve riflettere su ciò che si vede, non su ciò che si pensa di vedere. Nella riflessione
autentica non c’è alcuno scarto di tempo tra pensiero e azione, il giocatore agisce d’istinto.
Lo specchio aiuta i giocatori a vedere con tutto il corpo, a riflettere e a non imitare l’altro. I
giocatori si dividono a coppie. Uno fa lo specchio e l’altro vi si specchia. Lo specchio deve
riflettere esattamente l’immagine di chi gli sta dinanzi, i movimenti, anche quelli più piccoli
o improvvisi. Dopo un po’ di tempo la coppia si scambia i ruoli e chi prima si specchiava
diventa lo specchio dell’altro.
- I GIOCHI SENSORIALI servono a fornire le basi necessarie a sviluppare un nuovo tipo
di consapevolezza sensoriale. Questi giochi rappresentano soltanto il primo passo verso la
consapevolezza dell’esistenza di una memoria fisica che può essere richiamata
intuitivamente, senza pensarci, ogni qualvolta sia necessario. Un solo ordine: scegliere 5
giocatori che dovranno uscire dall’aula per poi tornare dentro correndo e mettendosi in fila
indiana. Gli altri giocatori osserveranno. I ragazzi in fila usciranno e rientreranno di corsa
una seconda volta, ma si posizioneranno il fila indiana con un ordine diverso. Sarà il
pubblico che scriverà sui foglietti l’ordine iniziale. Il gioco termina con la lettura della
corretta fila iniziale e con il confronto con quello che i singoli giocatori hanno ricordato. Tre
cambiamenti: serve per migliorare la capacità di osservazione degli allievi. Si mettono i
giocatori a coppie uno di fronte all’altro. Uno dei due deve osservare attentamente l’altro.
Dopo si girano entrambi e si danno le spalle. Devono fare velocemente tre cambiamenti: si
pettinano con la riga da parte, si sciolgono i lacci delle scarpe, spostano l’orologio, il
bracciale, l’anello sull’altra mano. Dopo di che si mettono ancora uno di fronte all’altro e
ciascuno deve scoprire i cambiamenti fatti dal compagno. Gioco di osservazione: migliora
la memoria ed è senza dubbio utile a sviluppare le capacità allo studio. Disporre su di un
vassoio 12 oggetti. Porre il vassoio coperto in mezzo al cerchio dei giocatori. Scoprire il
vassoio e ricoprirlo dopo 15 secondi. I giocatori dovranno segnare sull’apposito foglietto
quanti e quali oggetti si ricorda di aver visto sul vassoio.
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9.5 LA COMICOTERAPIA
La comicoterapia, elaborata e pensata, da Patch Adams, medico statunitense, sfrutta la carica
psicologica data dal ridere che non è solo contagioso ma che è anche la migliore medicina. E’ ormai
comprovato che, in situazioni dolorose e drammatiche sia a livello fisico che esistenziale, la
possibilità di liberare la gioia, ridendo e divertendosi, attiva da parte dell’organismo maggiori
reazioni del sistema immunitario e da parte del cervello la produzione di sostanze antidepressive e
ansiolitiche. Il mondo affettivo del bambino si riferisce essenzialmente alle relazioni personali con
gli adulti della cultura familiare e dell’ambiente scolastico, con i fratelli, con i compagni di gioco,
con i coetanei della scuola, con gli oggetti transizionali dell’universo psicologico. La letteratura
psicologica e psicoanalitica ha da tempo ampiamente illustrato l’ambivalenza affettiva dell’infanzia,
il conflitto edipico, il bisogno di conferma, di accettazione e di riconoscimento in relazione al
costituirsi di un’immagine positiva dell’IO, ha sottolineato che l’esperienza del proprio valore
personale e del proprio significato nel mondo, e la fiducia di fondo nelle proprie origini sono
decisive nella formazione di un’identità capace di accettare la necessità del limite e della
frustrazione, di distinguere tra desiderio e realtà, accorgersi del progresso acquisito. I sintomi di
disagio evolutivo espressi dai bambini a livello corporeo, comportamentale e sociale sono segni
evidenti del tentativo di richiamare l’attenzione sulla propria sofferenza. Il gioco, il disegno, le
drammatizzazioni, le feste e i travestimenti sono occasioni e vie per poter utilizzare in senso
trasformativo e simbolico l’esperienza originaria della perdita e per poter incanalare i vissuti
depressivi in modo da poterli esprimere, contenere e sublimare.
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CAPITOLO 10
OSSERVAZIONI.
È fondamentale che dopo ogni esperienza vissuta e partecipata i bambini possano ritornare con il
pensiero e con le emozioni a quanto è stato direttamente sperimentato. L’atto del ricordare è un
raggomitolare il filo di lana che sovente diventa una matassa intricata, scomposta, difficile da
sbrogliare perché coinvolge emozioni e vissuti interni. 9 “Si tratta di mettere in ordine nella propria
casa interiore, senza fretta né ossessione… Deve essere un gioco: non è concepibile un gioco che ci
toglie la libertà… Si gioca con i propri ricordi per felicità spontanea o perseguita, rimescolando il
bello e il brutto… In tal modo, la scoperta di questa minuscola felicità è anche la rivelazione che
occorre darle più tempo e spazio affinché possa emergere”. Il momento della rievocazione conserva
un’inspiegabile magia, quasi come quella evocata dalla narrazione stessa. Diviene importante creare
il contesto giusto, suggestivo per dare alle parole dei bambini il giusto rilievo e l’accoglienza che
meritano; il circle- time diventa l’ “oasi” per i momenti in cui si può ascoltare e farsi ascoltare. È un
rito che dà valore al creare insieme, alla reciprocità e all’ascolto emotivo. È un gesto simbolico di
contesto: il cerchio unisce e contiene come l’essere sotto un grande lenzuolo o dentro un enorme
scatolone. Occorre passare da una cornice didattica ad una cornice esperienziale; scopo della
marcatura delle condizioni e degli spazi per realizzare l’ascolto è quello di creare un particolare tipo
di contesto, all’interno del quale le esperienze concrete acquistano senso e significato. Ogni
bambino che parla e si esprime all’interno di un gruppo di coetanei ha diritto di essere ascoltato e
accolto da tutti, con la massima attenzione. Si è parlato di ascolto empatico, cioè di quella forma di
ascolto che coinvolge il bambino non solo a livello intellettuale, ma anche fisico, corporeo,
emozionale e spirituale. Ascoltare significa entrare nel mondo dell’altro, mettersi nei suoi panni,
condividere le sue emozioni. Ascoltare significa cogliere la comunicazione analogica, non verbale
dell’altro, in modo da potersi rispecchiare con quanto l’altro propone. I bambini coinvolti nel
progetto Viaggio nelle terre di dentro si sono rivisti nella palestra della scuola, lì ognuno di loro,
è riuscito ad attivare processi di rispecchiamento nei confronti dell’esperienza vissuta. L’empatia si
fonda su una forma di decentramento cognitivo, proprio perché l’attenzione viene spostata
sull’altro, pur in continua e progressiva oscillazione tra il mondo dell’altro ed il proprio mondo
emotivo e attentivo. Se lo spazio di ascolto è salvaguardato da un setting preciso e da modalità di
scambio reciproche, allora il gruppo diviene base sicura. 10 “Nel gruppo si genera una cultura che
consente ai singoli di entrare in contatto con le proprie emozioni e di appartenere, il tutto
9 D. Demetrio, Raccontarsi, Ed. Raffaello Cortina, Milano 1996. 10 M. Scardovelli, Musica e trasformazione, Ed. Borla, Roma 1999.
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all’interno di una posizione esistenziale IO SONO OK, GLI ALTRI SONO OK”. La guida della
discussione e del rispecchiamento in gruppo, degli attori in moto, nella forma del circle- time o
cerchio magico non è stata, però, cosa facile; alcuni bambini si sono limitati all’ascolto senza
intervenire, altri hanno dominato la scena riempiendo il gruppo delle loro parole; qualcuno si è
distratto o estraniato; altri ancora hanno disturbato la concentrazione del gruppo. Le insegnanti si
sono attivate per coinvolgere tutti i bambini, e “catturare” l’interesse di ognuno. 11“Per partire
occorre avere qualcuno/ qualcosa da lasciare… e il coraggio di farlo per tentare percorsi nuovi e
inesplorati. Questo coraggio è frutto, da una parte, della fiducia negli altri, nelle cose, nella vita,
che si traduce in una curiosità che è spinta ad andare avanti, a crescere; dall’altra, della fiducia in
sé, della sicurezza che permette di andare verso gli altri e il nuovo, piuttosto che difendersi da
persone e cose. Questi due livelli di fiducia si intersecano e si alimentano reciprocamente mentre il
bambino costruisce la propria identità; aiutarlo a scoprire e ad apprezzare le proprie qualità e
capacità è uno dei primi compiti educativi”. L’esperienza vissuta dai bambini cosiddetti “difficili”,
è stata affascinante sia per i risultati raggiunti sia per la mole di dati raccolti nelle osservazioni,
nelle revisioni e nei dialoghi in circle time, nonché per l’alta motivazione finale verbalizzata dagli
alunni anche ad altri insegnanti. Un altro importante beneficio della partecipazione degli alunni alle
attività laboratoriali è stato lo sviluppo delle attività di collaborazione e di amicizia. Le amicizie
che si formano nei gruppi cooperativi hanno spesso grande influenza per le variabili psicologiche e
scolastiche degli individui: sicurezza, equilibrio psicologico, autostima, atteggiamento positivo
verso l’area dei contenuti curricolari da studiare. Per non parlare delle abilità che si apprendono
come le capacità di essere leader, di prendere decisioni, di comunicare, di gestire conflitti; doti
sociali, queste di grande importanza negli ambienti di lavoro in cui presto si troveranno ad operare
e, più in generale, all’intero corso della vita.
11 M. Di Capita, L’interculturalità nella scuola materna, Ed. Missionaria Italiana, Bologna, 1999.
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IPOTESI DI UNA POSSIBILE STRATEGIA D’AIUTO AGLI ALUNNI
Punti di forza
Attento ed efficace intervento sia da parte della
scuola che della famiglia d’appartenenza.
Coinvolgimento delle risorse presenti nel
territorio. Realizzazione di laboratori opportu-
namente predisposti.
Soluzioni
Soluzione personale Il tutor propone il caso
all’interno dell’equipe-docente. Si cerca di
considerare le problematiche dell’alunno nella
loro interezza: aspetto emotivo, ambientale e
disciplinare. A tal fine i docenti attivano diversi
interventi mirati, coinvolgendo la scuola, la
famiglia e l’extrascuola, per fornire al bambino
il sostegno e gli strumenti che gli consentono di
risolvere almeno in parte i propri problemi
personali.
Punti di debolezza
Per il raggiungimento degli obiettivi elencati,
l’equipe docente si auspica l’effettiva e proficua
collaborazione dei diversi utenti coinvolti
(alunno, insegnanti, famiglia e agenzie esterne).
Diversamente la soluzione del problema
potrebbe risultare compromessa del tutto o in
parte.
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Soluzione 1) PUNTI DI FORZA
Recupero disciplinare attraverso un laboratorio
per potenziare l’utilizzo delle personali strategie
cognitive.
Soluzione 1) PUNTI DI DEBOLEZZA
Non si presta attenzione al recupero e al
potenzionamento delle personali capacità e/o
abilità dell’alunno.
Soluzione 2) PUNTI DI FORZA
Attenzione all’aspetto emotivo causa di forte
insicurezza e scarsa autostima. Individuazione di
un insegnante con cui l’alunno ha instaurato un
buon rapporto interpersonale che lo sappia
capire , aiutare e guidare. Coinvolgimento di
tutti gli insegnanti. Contatti con la famiglia e
richiesta di collaborazione.
Soluzione 2) PUNTI DI DEBOLEZZA
Non si presta attenzione al recupero e al
potenziamento delle personali capacità e/o
abilità dell’alunno.
Soluzione 3) PUNTI DI FORZA
Attenzione all’aspetto ambientale: mancanza di
un ambiente familiare con regole di convivenza
ben stabilite. Contatti con la famiglia e richiesta
di collaborazione: si propone di far partecipare il
ragazzo alle attività opzionali e facoltative
promosse dalla scuola. Valorizzazione delle
opportunità offerte dalle agenzie extrascolastiche
(attività sportiva).
Soluzione 3) PUNTI DI DEBOLEZZA
Non si presta attenzione al recupero e al
potenziamento delle personali capacità e/o
abilità dell’alunno.
Soluzione 4) PUNTI DI FORZA
Raccolta di maggiori informazioni riguardanti il
ragazzo: successi, conoscenze e capacità.
Coinvolgimento della famiglia: conoscenza di
abitudini, limiti, desideri…dell’alunno. Ulteriore
confronto da parte dell’equipe docente
finalizzato all’individuazione di possibili
soluzioni e alla conseguente stipulazione di un
contratto formativo.
Soluzione 4) PUNTI DI DEBOLEZZA
Non si presta attenzione al recupero e al
potenziamento delle personali capacità e/o
abilità dell’alunno.
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RINGRAZIAMENTI Dedico questo lavoro a “tutti i bambini ai quali è stato strappato il sorriso” Ringrazio con il cuore la mia amica Pinuccia valida e sincera compagna di viaggio che mi ha sostenuta con la sua forza di volontà in questa “Odissea”. Ringrazio ancora mia figlia Dolores e mio figlio Antonio che hanno saputo condividere con me le difficoltà incontrate durante questo percorso. Ringrazio Sara per la sua disponibilità e per il suo sorriso. Ringrazio tutti i bambini dell’Istituto Comprensivo di Fiorenzuola d’Arda che mi hanno dato l’opportu-nità di fare “un viaggio nelle terre di dentro” e la possibilità di entrare in empatia con loro. Infine ringrazio Roberta Frison per aver creduto in me.
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POLIFEMO INCONTRA ULISSE
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LE SIRENE
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LA CITTA’ DI TROIA
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