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Istituto MEME s.r.l. Modena associato a
Université Européenne Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
“IL SUONO DELLA VITA”
Interventi di musicoterapia nelle diverse abilità:
epilessia parziale sintomatica con tetraparesi ipotonica-distonica
ipoacusia bilaterale profonda congenita
Modena 17- 06 -2006
Anno accademico 2005-2006
Scuola di Specializzazione: Musicoterapia
Relatore: Elena Gallazzi
Correlatore: Dott.ssa Roberta Frison
Contesto di Project Work: Scuola primaria
Tesista specializzando: Morena Rodolfi
Anno di corso: Primo
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ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA ASSOCIATO UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L BRUXELLES
MORENA RODOLFI – MUSICOTERAPIA - PRIMO ANNO A.A. 2005/06
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INDICE Pag.
1. Premessa…………………………………….………………………..... 5
2. Rolando Benenzon: definizioni di musicoterapia …………………….. 7
2.1 Il suono può essere musicale o non ………………………..... 8
2.2 Il concetto di “processo” nel contesto non verbale……….…. 8
3. Principi della musicoterapia…………………………………………....10
3.1 Il principio dell’ISO………………………………………....10
3.2 L’oggetto intermediario……………………………………...13
3.3 L’oggetto integratore………………………………………...14
4. Modello Benenzon: metodologia generale…………………………....15
5. La seduta di musicoterapia secondo Benenzon…………………….....16
5.1 Il ruolo della coppia terapeutica: musicoterapeuta e coterapeuta….….19
6. Il transfert e il controtranfert………………………………………....…21
7. Aspetti terapeutici del suono e della musica………………………...…22
8. Il percorso musicoterapeutico con Valeria e Linda………………....….28
9. Musicoterapia attiva e ricettiva: le tecniche d’intervento utilizzate…....29
10. Le varie fasi di una seduta di musicoterapia…………………….……..29
11. La stanza di musicoterapia………………………………………...…...31
12. La seduta di musicoterapia………………………………………….….33
PRIMO CASO
1. Come cambia il cervello: il punto di vista del neurologo…..…….…….34
1.1 Le tappe dello sviluppo e le tappe della patologia……....……37
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2. Epilessia: inquadramento della malattia………………………..……...40
3. Classificazione internazionale sindromi epilettiche……..…….……….41
3.1 Criterio eziologico…………………………………………...41
3.2 Criterio sintomatologico…………………………….…….....42
3.3 Altri gruppi…………………………………………………..42
4. Manifestazioni cliniche…………………………………………..……..43
5. L’epilessia e la musicoterapia nella storia…………………….……......44
6. Musica di Mozart contro l’epilessia………………………………..…...46
7. Obiettivi della terapia proposta a Valeria…………………………..…...47
8. La diagnosi e la situazione famigliare di Valeria…………….…………48
8.1 Diagnosi…………………………………………………....….48
8.2 Situazione famigliare…………………………………….……50
8.3 Scheda musicoterapia……………………………………........50
9. Come si svolge la seduta di Valeria…………………………….………53
10. Le risposte di Valeria……………………………………………….…54
10.1 Atteggiamento corporeo……………………………………...55
10.2 Comportamento………………………………………………55
SECONDO CASO
1. L’orecchio: struttura anatomica ………………………………..………56
2. Capacità e percezione uditiva…………………………………..………61
3. Patologia dell’apparato uditivo……………………………..……….…62
4. Classificazione audiometrica tonale……………………………………63
5. Sordità: definizione, generalità ed eziologia……………………..….…64
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5.1 Classificazione in base alla curva audiometrica……….………....65
5.2 Classificazione in base all’anatomofisiologia………………...…65
5.3 Classificazione in base all’eziologia……………………….…......66
6. L’impianto cocleare……………………………………………..….…67
6.1 Presupposti – base per una riabilitazione efficace……………...…71
7. Sordità da Citomegalovirus………………………………………..…. 72
8. Obiettivi della terapia proposta a Linda…………………………….....75
9. La diagnosi e la situazione famigliare di Linda………………….….....76
9.1 Diagnosi………………………………………………………..…76
9.2 Situazione famigliare……………………………………………..77
9.3 Scheda musicoterapia………………………………………….....77
10. Come si svolge la seduta di Linda……………………………….…..80
11. Le risposte di Linda……………………………………….………....83
11.1 Atteggiamento corporeo…………………………………….….83
11.2 Comportamento………………………………………….……..83
12. Riflessioni conclusive…………………………………………..…… 84
13. Bibliografia ……………………………………………………….…88
14. Sitografia ………………………………………………………….…88
Luoghi e persone sono stati modificati per la tutela della privacy.
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1. Premessa
Il project work è stato effettuato in un centro di musicoterapia di Parma. Il
mio ruolo è stato quello di coterapista alla musicoterapista tutor del tirocinio.
L’esperienza descrive il percorso di due interventi di musicoterapica in due
bambine con patologie molto differenti l’una dall’altra: l’epilessia e
l’ipoacusia.
La tesi si apre con la definizione e i principi della musicoterapia secondo
Rolando Benenzon, uno dei pioniere di questa disciplina.
Il metodo e il modello usati durante il percorso, sono appunto quelli di
Benenzon, adattati secondo i diversi casi.
Nella tesi si parla della metodologia generale e della seduta di musicoterapia
secondo Benenzon e del ruolo della coppia terapeutica.
Per seguire un inquadramento generale sul percorso terapeutico effettuato
con le due bambine, le varie fasi di una seduta e la stanza dove si è svolto
questo percorso.
Il primo caso trattato è quello di Valeria e della sua malattia: l’epilessia.
Vi è un inquadramento della malattia, le manifestazioni cliniche che si
possono avere e l’uso della musica, dall’antichità fino ai giorni nostri con
l’efficacia della musica di Mozart.
La mia entrata nel percorso di Valeria è avvenuta a percorso iniziato
(tredicesima seduta), abbiamo posto i diversi obiettivi da raggiungere.
E’ stato effettuato un lavoro di osservazione molto accurato, prestando molta
attenzione ad ogni piccolo gesto e movimento, ogni espressione e ogni suono
emesso, al suo comportamento e al suo atteggiamento corporeo.
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Il secondo caso trattato è quello di Linda, con ipoacusia bilaterale dalla
nascita.
Anche in questo caso è stato effettuato un inquadramento generale
sull’importanza dell’udito e della funzione dell’orecchio.
Si parla della sordità, la definizione, la generalità e l’eziologia e in
particolare della sordità da citomegalovirus, che la madre ha trasmesso alla
bambina durante la gravidanza.
Un capitolo è dedicato all’impianto cocleare e alla sua funzione. La mia
entrata nel percorso di musicoterapia con Linda è avvenuto alla tredicesima
seduta.
Anche con Linda è stata prestata molta attenzione al suo comportamento e ai
suoi atteggiamenti dopo avere posto degli obiettivi iniziali da raggiungere.
Le riflessioni conclusive parlano dei raggiungimenti dei vari obiettivi
proposti, vi è una parte personale sulla mia esperienza, sulle mie emozioni e
sull’importanza della musica per la vita delle persone.“Il suono della vita” mi
sembrava il titolo più adatto alla mia tesi, simboleggia il mio percorso, e
l’importanza della musica e dei suoni per la vita di ognuno di noi, iniziando
da prima della nascita fino alla fine dei nostri giorni, sia in salute che in
presenza di patologie.
Questa esperienza mi ha convinto ancora di più su una cosa: La musica è
Vita!
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2. Rolando Benenzon: Definizioni di musicoterapia
Benenzon afferma: “La musicoterapia può essere definita in due modi: l’uno
considera l’aspetto scientifico, ritengo la musicoterapia una disciplina
scientifica che si occupa dello studio e della ricerca del complesso suono-
essere umano (suono musicale o non) con l’obiettivo di ricercare elementi di
diagnosi e metodi terapeutici”.
Dal punto di vista terapeutico, invece la musicoterapia è “una disciplina
paramedica che utilizza il suono, la musica e il movimento per provocare
effetti regressivi e aprire canali di comunicazione, con l’obiettivo di attivare,
per loro tramite, il processo di socializzazione e di inserimento sociale.”
Oggi per Benenzon una definizione di musicoterapia secondo la propria
esperienza potrebbe essere: “La musicoterapia è una tecnica psicoterapica,
che utilizza il suono, la musica, il movimento e gli strumenti corporei, sonori
e musicali per determinare un processo storico di vincolo, tra il terapeuta e
il suo paziente o gruppi di pazienti, con l’obiettivo di migliorare la qualità
della vita e di riabilitare e recuperare i pazienti per la società.”
La musica si occupa dello studio e della ricerca del complesso suono-essere
umano, questo complesso è formato da:
- gli elementi capaci di produrre stimoli sonori quali: la natura, il corpo
umano, gli strumenti musicali, gli apparecchi elettronici, ecc.;
- gli stimolali quali il silenzio, i suoni interni del corpo (battito del
cuore, articolazioni, rumori intestinali, ecc.), i suoni musicali, ritmici,
melodici e armonici, i movimenti, i rumori, gli ultrasuoni, gli
infrasuoni, le parole;
- le vie di propagazione delle vibrazioni con le loro leggi fisiche;
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- gli organi ricettori di questi stimoli, quali il sistema uditivo, la
percezione interna, il tatto, la vista;
- l’impressione e la ricezione da parte del sistema nervoso e la sua
relazione col sistema endocrino, parasimpatico, ecc.;
- la reazione psicobiologica e l’elaborazione della risposta;
- la risposta che può essere comportamentale, motoria, sensoriale,
organica, di comunicazione attraverso il grido, le lacrime, il canto, la
danza, la musica.
2.1 Il suono può essere musicale o non
“Musicoterapia”, o terapia musicale, è un termine poco felice per definire
questa disciplina, poiché questa definizione ne limita la vera dimensione.
Non è solo la musica a essere utilizzata nel processo terapeutico, ma anche il
suono, nella sua più larga accezione, e il movimento. Il movimento, la
musica e il suono sono praticamente una stessa entità: si identificano l’uno
con l’altro, sino a diventare una stessa cosa.
2.2 Il concetto di “processo” e del contesto non verbale
Per quanto riguarda la definizione “…con l’obiettivo di attivare per loro
tramite il processo di apertura e di reinserimento”, è importante chiarire il
concetto di “processo” (dal latino processus) = progresso, atto
dell’avanzamento, scorrere del tempo. È quest’ultimo concetto a
caratterizzare la musicoterapia. Una sola seduta di musicoterapia non
costituisce di per sé un’azione terapeutica, né un legame terapeutico. La
musicoterapia richiede uno spazio temporale che racchiude una serie di cicli,
di incontri ripetuti, nei quali si possa individuare un inizio, una traiettoria e
una fine, in sostanza un percorso terapeutico.
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Questo processo, quindi, darà vita ad una relazione che ha a che fare con il
rapporto stabilito fra il terapeuta e il paziente.
Altro concetto importante è quello del contesto non-verbale. “Verbale”
proviene dal latino verbalis = che appartiene alla parola, che si riferisce ad
essa. Si potrebbe pensare che non-verbale significhi assenza di parole, ma
non è questo il concetto.
Nel non-verbale si trovano tutti i fenomeni che costituiscono il movimento, il
suono, il rumore e la musica, ma anche le parole che saranno che saranno
comprese non per il loro simbolismo, ma per il timbro, l’intensità, il volume,
il ritmo, la densità che le caratterizzano.
È quello che chiameremo linguaggio corporeo, sonoro, musicale con tutte le
sue associazioni espressive non verbali. Questo linguaggio è talmente
importante da costituire un elemento fondamentale anche nelle psicoterapie
verbali.
La stragrande maggioranza delle sensazioni controtransferali sperimentate
dal terapeuta sono prodotte dal linguaggio corporeo, sonoro e musicale nel
contesto non-verbale.
La comprensione del legame terapeutico nel contesto non-verbale da parte
del paziente e la liberazione del linguaggio corporeo, sonoro, musicale
rimosso accelerando l’obiettivo terapeutico1.
1 R. O. Benenzon, “Manuale di musicoterapia” pp. 13-22
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3. Principi della musicoterapia
La musicoterapia in quanto metodologia e tecnica d’applicazione clinica si
basa sui due seguenti principi:
- il principio dell’ISO
- l’oggetto intermediario.
Questi due principi non sono appannaggio esclusivo della musicoterapia,
poiché possono essere alla base di altre tecniche cliniche non-verbali.
Tuttavia essi assumono, in musicoterapia, caratteristiche particolari che li
distinguono.
3.1 Principio dell’ISO
Altshuler, nelle sue osservazioni cliniche sull’applicazione della
musicoterapia, ha osservato che i depressi rispondono meglio alla
stimolazione prodotta per mezzo di musica triste, piuttosto che di musica
allegra. I maniaci, il cui tempo mentale è più rapido, rispondono meglio a un
allegro che un andante.
Sulla base di queste osservazioni, il concetto di ISO fu elaborato poco a poco
come principio fondamentale della musicoterapia, sia sul piano teorico che
pratico. ISO vuol dire uguale e sintetizza la nozione di esistenza d’un suono
o di un insieme di suoni o di fenomeni sonori interni che ci caratterizzano e
ci individualizzano. Si tratta di un fenomeno sonoro e di movimento interno
che riassume i nostri archetipi sonori, il nostro vissuto sonoro intra-uterino e
il nostro vissuto sonoro della nascita, dell’infanzia fino alla nostra età attuale.
È un suono strutturato all’interno di un mosaico sonoro il quale a sua volta si
struttura col tempo e che fondamentalmente è in perpetuo movimento.
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Spieghiamo in termini molto semplici il principio dell’ISO: per generare un
canale di comunicazione tra terapeuta e paziente, il tempo mentale del
paziente deve coincidere col tempo sonoro musicale eseguito dal terapeuta:
ma ciò potrebbe suggerire un ISO troppo intellettuale e rigido, misurato coi
parametri di intensità, di timbro, di altezza, ecc.
Di fatto l’ISO è un elemento dinamico, che, potenzialmente, ha in sé tutta la
forza di percezione presente e passata. Per questo nel contesto terapeutico, il
canale di comunicazione è veramente aperto quando si riesce a scoprire l’ISO
del paziente attraverso la coincidenza di quello del terapeuta. Possiamo
distinguere un ISO gestaltico, un ISO complementare, un ISO gruppale e ISO
universale.
L’ISO gestaltico è il mosaico dinamico che ho descritto per primo e che
caratterizza l’individuo; è l’ISO che ci consente di scoprire quello che è il
canale di comunicazione per eccellenza del soggetto, col quale cerchiamo di
instaurare una relazione terapeutica. Il sussurro della voce della madre, il
fruscio delle pareti uterine, il flusso sanguigno, le variazioni delle pulsazioni,
che saranno vitali per la vita dell’embrione, fanno parte integrante dell’ISO
gestaltico. L’ISO gestaltico riceve, durante i mesi della gestazione, stimoli
provenienti da tre grandi fonti che ne favoriranno la strutturazione.
- Dall’esterno, attraverso il liquido amniotico: voce del padre e altre
voci, rumori dell’ambiente sociale, suoni musicali-culturali, fenomeni
acustici di vario tipo.
- Dall’interno della madre: voce della madre, ritmo di inspirazione ed
espirazione, battito cardiaco, scricchiolio delle pareti uterine…
- Dallo stesso corpo del feto: il flusso sanguigno con tutte le sue
caratteristiche di nutrizione, respirazione, termoregolazione, funzioni
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vitali, il battito cardiaco, i fenomeni sonori del funzionamento del suo
organismo.
Tutti i fenomeni che si producono durante il passaggio attraverso il canale
del parto e durante la nascita saranno anch’essi inscritti nell’ISO gestaltico.
L’ISO complementare è l’insieme di piccole modifiche che si attenuano ogni
giorno o in ogni seduta di musicoterapia sotto l’effetto di circostanze
ambientali e dinamiche. Cioè l’ISO complementare rappresenta la
fluttuazione momentanea dell’ISO gestaltico sotto l’effetto di circostanze
ambientali specifiche.
L’ISO gruppale è intimamente connesso allo schema sociale all’interno del
quale l’individuo evolve. Occorre un certo lasso di tempo perché l’ISO
gruppale si instauri e si strutturi: dipenderà spesso dalla buona composizione
del gruppo e della conoscenza dell’ISO individuale di ciascun paziente da
parte del musicoterapeuta. L’ISO di gruppo è fondamentale allo scopo di
raggiungere una unità di integrazione in un gruppo terapeutico in un contesto
non-verbale. L’ISO gruppale è una dinamica che pervade il gruppo come
sintesi stessa di tutte le identità sonore.
L’ISO universale è un’identità sonora che caratterizza o identifica tutti gli
esseri umani, indipendentemente dal particolare contesto sociale, culturale,
storico e psico-fisiologico. Farebbero parte dell’ISO universale le
caratteristiche particolari del battito del cuore, dei suoni di inspirazione ed
espirazione, nonché la voce della madre al momento della nascita e nei primi
giorni di vita.
L’ISO culturale si forma nel preconscio. Tutti i fenomeni sonori percepiti
dalla coscienza e che provengono dal mondo circostante, avranno una
prevalenza selettiva nel diventare parte dell’ISO culturale. Questi stimoli si
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incorporano nell’ISO, in forma più strutturata, stereotipata e complessa
insieme ad altri ripetuti in circostanze simili e in tempi definiti.
Le voci dei medici e delle infermiere in sala chirurgica, i pianti degli altri
bambini, le diverse tonalità delle voci rivolte al neonato, i fenomeni sonori
onomatopeici che si ripetono da un parente all’altro, i suoni strumentali, il
telefono, il campanello, il calpestio, il sonaglio, la radio, le risate, il tossire, il
nome proprio, struttureranno velocemente l’ISO culturale.
3.2 L’oggetto intermediario
Un oggetto intermediario è uno strumento di comunicazione in grado di agire
terapeuticamente sul paziente in seno alla relazione, senza dar vita a stati di
allarme intensi. Secondo me gli strumenti musicali e il suono, o i suoni che
essi emettono, possono essere considerati oggetti intermediari. Vi è una
differenza tra una marionetta, in quanto oggetto intermediario, e gli strumenti
musicali. Per quanto riguarda la marionetta, l’emissione sonora partirà
direttamente dallo psicodrammista: sarà dunque un rapporto molto stretto con
la sorgente umana. Lo strumento invece ha in sé la fonte di emissione sonora
che lo caratterizza, che gli è propria e particolare, indipendentemente dal
musicoterapeuta. La marionetta, considerata in sé e posta tra paziente e
terapeuta, è un oggetto senza vita, che può solo essere oggetto delle
proiezioni del paziente. Lo strumento, suonato da uno dei due, esprimerà
immediatamente la propria identità sonora, ma anche se non lo si tocca esso è
in vibrazione, o può facilmente entrare in vibrazione alla prima emissione
sonora. La distanza che esiste tra oggetto intermediario (strumento musicale)
e il musicoterapeuta consente di accostarsi molto intimamente all’ISO del
paziente e del musicoterapeuta.
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L’oggetto intermediario è legato soprattutto all’ISO gestaltico e in misura
minore all’ISO universale e complementare. L’oggetto intermediario è uno
strumento di relazione, in grado di creare canali di comunicazione
extrapsichici e/o fluidificare quelli rigidi e stereotipati.
La scelta dell’oggetto intermediario sarà in funzione degli ISO della madre.
Il primo oggetto intermediario che appare nella comunicazione fra madre e
neonato è il corpo stesso della madre, per questo lo chiamerò “oggetto
intermediario corporale”.
Nella seconda fase, il neonato diventa un lattante, l’oggetto intermediario si
svincola dal corpo materno e comincia a entrare in relazione con l’ISO
gestaltico, universale e culturale del lattante. È in questo momento che
l’oggetto intermediario assume le caratteristiche proprie di ciascun individuo.
In una terza fase, l’oggetto intermediario perde le caratteristiche individuali e
assume le caratteristiche del fenomeno culturale connesso con la crescita e
l’integrazione dell’individuo nell’ambiente sociale.
3.3 L’oggetto integratore
Nella mia esperienza clinica in musicoterapia, ho spesso osservato come i
pazienti, leader del gruppo, tendano a scegliere strumenti che divengono
facilmente strumenti leader. Essi sono di facile uso, di grande volume, di
grandi dimensioni, ritmici e potenti. Appartengono spesso alla classe dei
membranofoni, cioè degli strumenti a percussione. Tali strumenti, utilizzati
nei gruppi di musicoterapia diventano rapidamente guida degli altri strumenti
e per altro verso ci si concentra attorno ad essi. Per queste ragioni sono
chiamati oggetti integratori.
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L’oggetto integratore è dunque lo strumento musicale che in un gruppo di
musicoterapia prevale sugli altri strumenti e assorbe in sé la dinamica del
legame tra i pazienti del gruppo e il terapeuta.
L’oggetto integratore è connesso innanzitutto all’ISO gruppale e
secondariamente all’ISO culturale 2.
4. Modello Benenzon: metodologia generale
La metodologia si compone di due parti essenziali: la prima di carattere
diagnostico e la seconda di carattere terapeutico. Nella parte diagnostica
l’obiettivo è di scoprire il principio dell’ISO del paziente o del gruppo col
quale si lavorerà, l’oggetto intermediario e l’oggetto integratore che
faciliteranno la terapia. Per fare ciò, si compila la scheda di musicoterapia e
si pratica l’esame di inquadramento non verbale. La scheda di musicoterapia
viene redatta sulla base di domande fatte al paziente e/o ai genitori, sulla
storia sonora e musicale del paziente. Su questa scheda si riporteranno i
fenomeni folkloristici ereditati dai genitori e dai nonni, per scoprire gli
archetipi sonori, i fatti sociali sopraggiunti durante la gestazione, tutti i
ricordi dell’infanzia e i ricordi attuali.
L’esame di inquadramento non-verbale consiste nel mettere il paziente di
fronte a una serie di strumenti a percussione semplice e a qualche strumento
melodico, nell’osservare come raggiunge la comunicazione tramite essi. Per
mezzo di questo esame, ci si può fare un’idea dello strumento che servirà da
oggetto intermediario e formulare un’ipotesi circa l’ISO del paziente.
2 R. O. Benenzon, “Manuale di musicoterapia” pp. 46-62
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La seconda parte è costituita da sedute di musicoterapia in cui paziente e
musicoterapeuta lavorano attivamente. Si tratta di istituire canali di
comunicazione di livello regressivo, per mezzo dell’identità sonora del
paziente e di aprirne di nuovi, in vista di una sua futura integrazione in un
gruppo, o in funzione di altre terapie3.
5. La seduta di musicoterapia secondo Benenzon
Le sedute di musicoterapia costituiscono la parte attiva e terapeutica del
trattamento. A questo punto il musicoterapeuta dispiegherà tutta la propria
capacità d’elaborazione dei pensieri non-verbali, i suoi progetti d’apertura di
canali di comunicazione, la propria comprensione dei livelli del paziente,
l’esecuzione di molteplici forme d’espressione sonora, musicale e di
movimenti che servano da stimolo, di risposte, di echi, di risonanze, di
vibrazioni, la propria capacità di scoperta dell’ISO del paziente e la sua
abilità nell’impiego degli oggetti intermediari e integratori.
Una seduta di musicoterapia comporta implicitamente tre fasi, anche se non
sempre specificamente codificate.
• Prima fase: riscaldamento e catarsi; in musicoterapia, in questa fase
iniziale, si ottiene una scarica di tensione simultanea al riscaldamento:
per questo si parla di catarsi, che è molto agevolata dalla presenza
dello strumento, in quanto questo consente la canalizzazione di energie
fisiche e psichiche trattenute.
3 R. O. Benenzon, “Manuale di musicoterapia” p. 87
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In questa prima fase della seduta, il musicoterapeuta ha disposto
qualche strumento utile per la scarica, ha messo a punto qualche ritmo
in grado di rendere più facile il riscaldamento e, anche, ha potuto
offrire alcune consegne verbali.
• Seconda fase: percezione e osservazione dell’esame non-verbale.
Questa fase prende il via nel preciso momento in cui il
musicoterapeuta scopre ed elabora un’ipotesi sull’ISO complementare
del paziente. Nel corso di questa fase il musicoterapeuta percepisce
l’identità sonora circostanziale del paziente e tenta una sua
integrazione con l’ISO dello stesso. A partire da ciò, elaborerà
intuitivamente, aiutato dalla propria formazione ed esperienza, il
miglior progetto per aprire un canale di comunicazione in questo
senso. E’ a questo punto che rientra in gioco l’ISO del
musicoterapeuta, poiché non esiste dubbio alcuno sul fatto che
l’elaborazione sorgerà dall’impatto e dalla dissociazione dei messaggi
non-verbali del paziente verso il musicoterapeuta. In altri termini, il
musicoterapeuta riceverà e sarà toccato nel proprio ISO, come ogni
essere umano, ma la sua conoscenza del proprio ISO farà sì che una
risposta obiettiva venga diretta verso l’ISO del paziente e in modo da
avere come obiettivo tale ISO. Si comprende che questa risposta
porterà in sé anche caratteristiche proprie al musicoterapeuta, poiché in
ogni terapia, luogo in cui si svolge un processo temporale, non si può
cancellare la persona stessa del musicoterapeuta, che è parte integrante
e sine qua non della tecnica utilizzata.
Nella situazione terapeutica, ecco ciò che avviene: nel paziente le
energie si liberano nello stesso modo, ma quando giungono al
musicoterapeuta entrano direttamente toccando l’ISO complementare e
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l’ISO gestaltico; c’è emissione della risposta energetica, ma
pervenendo alla coscienza il messaggio si elabora in funzione della
discriminazione tra il principio ISO riconosciuto e quello del paziente.
Questa discriminazione può essere fatta poiché, unicamente nel
contesto non-verbale, il processo ripetitivo dei messaggi ne consente il
riconoscimento.
• Terza fase: dialogo sonoro; ora il canale di comunicazione è stabilito e
costituisce il punto centrale della seduta. Siamo nel pieno del processo
terapeutico nel corso del quale si restituisce al paziente la
rielaborazione di modelli dinamici del suo psichismo, della sua
interrelazione e, per altro verso, si offrono sensazioni gratificanti.
È il momento in cui si giunge a far rivivere situazioni inconsce che
porteranno ricchezza di informazioni sul paziente.
Nella parte seguente del trattamento, la fase del dialogo sonoro può
verificarsi quasi all’inizio della seduta, e ha luogo soprattutto quando il
musicoterapeuta ha una conoscenza chiara dell’ISO del paziente.
Altre volte può capitare che non ci sia affatto dialogo sonoro.
Un sentimento di insoddisfazione da parte del musicoterapeuta è una
chiara dimostrazione del fatto che la seduta è terminata senza dialogo
sonoro, in opposizione al sentimento gratificante e pieno della seduta
che ha comportato le fasi descritte. Una seduta nella quale si sia
ottenuto il dialogo sonoro è facile a terminarsi, quando, non vi si
giunge, invece, il musicoterapeuta trova difficoltà4.
4 R. O. Benenzon, “Manuale di musicoterapia” pp. 100-103
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5.1 Il ruolo della coppia terapeutica: musicoterapeuta e
coterapeuta
È consigliato il lavoro in coppia terapeutica ogni volta che si debba
affrontare un gruppo di pazienti o pazienti individuali con problemi molto
gravi, come le persone affette da psicosi, o da autismo, o i malati terminali e
quelli in coma.
In definitiva, il lavoro in coppia terapeutica:
- evita il verificarsi dell’acting-out (termine inglese che significa
“mettere fuori”, “portare sul piano dell’azione”. Si usa in psicoanalisi
per descrivere una condotta impulsiva, quando si riattivano nella
persona conflitti infantili, ripetendo esperienze passate nella realtà
presente o a interpretare erroneamente la realtà attuale come se fosse
una ripetizione del passato. Il musicoterapeuta deve stare attento a non
commettere un acting-out nella seduta perché il transfert nell’ambito
non verbale è quasi la ripetizione esatta dei conflitti infantili);
- permette un incontro di riflessione fra i due dopo le sedute;
- consente lo scambio d’informazione per compilare i protocolli;
- costituisce una cornice di contenimento forte e più sicura per il
paziente;
La coppia rappresenta uno schermo proiettivo per i diversi aspetti del
transfert del paziente, soprattutto se è composta da individui di sesso diverso.
Il musicoterapeuta è colui che sa gestire l’ascolto e l’espressione dei codici
della comunicazione non-verbale. E’ colui che ha sperimentato e sviluppato
al massimo le proprie possibilità nella comunicazione analogica.
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Il musicoterapeuta sviluppa, autorizza e delimita uno spazio che permetterà
al paziente di scaricare le sue energie di comunicazione e ricreare un sistema
di relazione.
Il musicoterapeuta ascolta, osserva e percepisce lo svilupparsi del transfert
del paziente. A partire da qui darà forma a un sistema espressivo di risposta
secondo il controtransfert che gli provoca il paziente. Per mettere in funzione
questo sistema espressivo utilizzerà in tutto il suo insieme il complesso
corporeo-sonoro-musicale.
Se il musicoterapeuta è un buon osservatore, se sa realizzare anamnesi
profonde e dettagliate della storia sonora del paziente, se sa riconoscere la
propria storia sonora e redige protocolli accurati e definitivi, il cammino gli
sarà più facile.
Il musicoterapeuta è colui che conduce la seduta, che da le consegne e che si
relaziona direttamente con il paziente.
Il coterapeuta può essere un altro musicoterapeuta o un altro terapeuta della
salute con capacità clinica terapeutica. Il suo ruolo è quello di appoggiare
ciascuna delle scelte del musicoterapeuta e favorirne il compito:
- può dare inizio all’esecuzione di una consegna data dal
musicoterapeuta, offrendo così al paziente un esempio da imitare;
- può aiutare ad aprire o rafforzare un canale di comunicazione in
pazienti che mostrano una certa difficoltà a farlo;
- può contenere l’acting-out di un paziente per consentire al
musicoterapeuta di mantenere il normale controllo della situazione. Se
un paziente fugge dal settino è il coterapeuta che lo accompagna;
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- può facilitare l’impiego di uno strumento a un paziente che abbia
difficoltà ad usarlo5.
6. Il transfert e il controtransfert
Il transfert è uno stato definito da Freud come il processo in cui il paziente,
nella situazione terapeutica, ripropone una versione contemporanea di ricordi
persi dell’infanzia o di fantasie regressive inconsce. Il terapeuta diventa
l’oggetto del transfert e può essere identificato dal paziente con gli stessi
tratti e reazioni come una persona significativa del proprio passato. Per
questa ragione il terapeuta si presenta spesso in modo neutrale per fare in
modo che la propria personalità resti nascosta o poco presente.
Il controtransfert è stato definito da Freud come il processo mediante il quale
i conflitti inconsci e i desideri del terapeuta sono attivati dal contatto
sperimentato con il paziente e sono, poi, trasferiti al paziente stesso. Egli
considera il controtransfert come un elemento di disturbo e negativo per la
terapia. Nella psicoanalisi più recente il controtransfert è definito su di una
base più ampia che comprende la sua accezione di strumento positivo
mediante il quale il terapeuta può avere delle intuizioni profonde sulla
personalità e i conflitti inconsci del paziente6.
5 R. O. Benenzon, “La nuova musicoterapia” pp. 95-99
6 T.Wingram “Guida generale alla musicoterapia” pp. 290-298
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7. Aspetti terapeutici del suono e della musica
Fisicamente il suono è da intendersi come vibrazione di un mezzo elastico a
questo trasmessa dalle vibrazioni di un corpo eccitato oppure,
equivalentemente, come piccola perturbazione del mezzo elastico in cui si
propaga, le cui molecole sono messe in vibrazione con frequenze dell’ordine
di poche migliaia di Hz. Nel linguaggio comune si intende invece la
sensazione uditiva acustica prodotta da tali vibrazioni.
L’orecchio umano è in grado di percepire vibrazioni che spaziano in un
campo di frequenze da circa 16 Hz fino a circa 16 KHz. Il concetto di suono
è quindi collegato all’organo di senso in grado di percepirlo.
Se consideriamo tutto lo spettro di frequenze possibili, compresi gli
infrasuoni e gli ultrasuoni, possiamo affermare che ogni corpo in vibrazione
emette un suono; questo fenomeno avviene con una facilità ed una frequenza
notevolissima nell’ambiente che ci circonda: basta infatti che i due corpi si
sfiorino o il corpo si muova in un fluido che subito ne scaturisce un suono.
Ogni oggetto possiede una propria peculiare caratteristica sonora derivante
dalla unicità della sua struttura fisica. In base a questo principio l’intero
nostro pianeta e tutto il cosmo, ove vi sia un mezzo che ne consenta la
propagazione, è suono.
Facciamo ora un passo avanti nella comprensione di come agisca la
musicoterapica. Fin dalla nostra infanzia abbiamo vissuto, sperimentato e
immagazzinato diversi modelli sonori, associando a ciascuno di essi una
particolare entità definita (una sensazione, un significato, una reazione
biochimica, una circostanza o, più in generale, un concetto): tutti questi suoni
possono essere definiti modelli sonori condizionati, in quanto derivanti da
una associazione mentale. Esistono però anche dei modelli sonori
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incondizionati, a cui appartiene tutta una gamma di “suoni primitivi”, puro
riflesso delle emozioni e comprensibili da tutti senza bisogno di precedenti
condizionamenti cognitivi.
Oggigiorno esistono solo due suoni incondizionati (primitivi): il pianto e il
riso; tutti gli altri suoni primitivi sono ormai scomparsi insieme ad una parte
della spontaneità comportamentale. È proprio in questo contesto che entra in
gioco il potere della musica e del suono in senso lato. Non e’ difficile infatti
rendersi conto che il principale effetto che tutti i suoni, ed in particolare la
musica, producono su di noi è rappresentato proprio da emozioni.
La musica ha il grande potere di suscitare forti sensazioni emotive, sia in chi
la produce che in chi l’ascolta, in funzione del tipo di esperienza personale se
si tratta di suoni condizionati o comuni a tutti gli individui se si tratta di
suoni primitivi.
Tenendo conto che l’enorme bagaglio di accumuli emotivi che risiedono nel
nostro essere sono spesso causati dal blocco delle emozioni e sono la
principale causa dei fenomeni patologici a sfondo psicosomatico, non è
difficile rendersi conto del potenziale benefico della musica: essa suscita
emozioni positive che correttamente sfruttate possono rimuovere o
trasformare le energie negative accumulate che causano un errato
funzionamento della struttura psicofisica.
Un effetto più diretto, ma meno riconoscibile, è rappresentato dalla
vibrazione indotta sul nostro corpo dalla sorgente che produce il suono. Ogni
strumento musicale produce infatti vibrazioni particolari, rappresentate dalle
onde acustiche generate dal mezzo eccitante (le corde di una chitarra o di un
pianoforte, le superfici di un tamburo o di uno xilofono,…), che giungono
fino a noi e ci trasmettono il loro potere inducendo il nostro corpo a vibrare
anch’esso. In termini fisici si potrebbe interpretare l’onda sonora come
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forzante esterna agente su di un sistema meccanico inerte rappresentato dal
nostro corpo; in funzione dell’energia trasmessa (molto debole nel caso della
musica) e del peso delle singole armoniche elementari dello spettro di
frequenze rispetto alle frequenze proprie delle parti del corpo, si può
teoricamente giungere localmente al fenomeno di risonanza.
Il timpano del nostro orecchio ad esempio, sollecitato dalle onde acustiche
esterne, vibra alla stessa frequenza dell’onda incidente e trasmette questo
segnale, opportunamente tradotto dal sistema nervoso, fino al cervello
producendo la sensazione acustica. Attraverso la cassa armonica degli
strumenti musicali, il fenomeno della risonanza può essere utilizzato in
musicoterapia per indurre la persona a sentirsi accolta e compresa, senza
l’ausilio delle parole.
Questa atmosfera può riportare ciascuno di noi alle esperienze originarie
vissute nella nostra storia personale fin dall’istante del concepimento. Sono
infatti ormai a tutti noti i risultati delle ricerche condotte al fine di valutare
l’influenza dell’ambiente sonoro in cui si sviluppa il feto.
La vita all’interno del grembo materno è un susseguirsi di fenomeni sonori
che presentano aspetti costanti come il pulsare del cuore, il circolare
vorticoso del sangue, l’immissione ed emissione dell’aria e variabili come la
voce e tutti i suoni provenienti dall’esterno.
Per tutti i mesi della gestazione la nuova vita, all’interno del corpo materno,
si nutre di alimenti attraverso la placenta e di esperienze acustico – sonore
che impregnano di esperienza il bambino che sta crescendo ed
influenzeranno la sua vita futura. Tutti questi suoni rappresentano la prima
orchestra conosciuta da ogni essere umano.
In sintesi, possiamo affermare che il suono viene raccolto dal nostro orecchio
ed elaborato dal nostro cervello in una collezione di emozioni che producono
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in noi modificazioni a livello psichico (rilassamento, paura, ansia, ecc.) e
fisico a livello delle funzioni vitali dell’organismo (una musica brillante, ad
esempio, produce un aumento della frequenza del battito cardiaco, mentre gli
strumenti a corda favoriscono la peristalsi intestinale).
Tutto ciò naturalmente è vero se si assume un atteggiamento attivo nei
confronti della musica: ascoltarla passivamente è come guardare un quadro
d’autore senza vederlo.
Il musicoterapeuta conosce gli effetti positivi della musica e deve stare
attento a non mettere in atto quelli negativi. Come per tutto quanto riguarda
l’uomo, ciò che può fare bene se somministrato oculatamente, in dosi
eccessive può essere nocivo. Questo vale anche per la musica, in modo a
volte palese e a volte così sottile da diventare perfino subdolo. Questo non
significa che non ci si possa accostare alla musica con energia e vigore.
Possiamo infatti lasciarci cullare dalla melodia, dall’armonia, dal ritmo e dal
timbro (elementi distintivi della musica) in un abbraccio che ricorda quello
del grembo materno, oppure possiamo partecipare attivamente all’atmosfera
musicale creando musica o lasciandoci trasportare e liberando le nostre
emozioni anche con un’esplosione incontrollata di gesti e suoni. Entrambi gli
approcci possono essere presi in considerazione, purché sussista l’elemento
fondamentale che caratterizza il modo di accostarsi alla persona da parte del
musicoterapeuta rispetto ad altre forme d’intervento (rieducazione,
riabilitazione, psicoterapia) e cioè l’ascolto empatico.
L’ascolto empatico si basa sul ricalco della postura della persona della quale
il musicoterapeuta si vuole prendere cura. Il ricalco posturale consiste nel
rimarcare il tono energetico della persona facendola avvertire di essere
accolta ed apprezzata.
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Attraverso questo artificio, specifico della musicoterapia, si ottiene una
comunicazione diretta, immediata, imprevedibile, modificabile in ogni attimo
ed adeguabile ad ogni circostanza senza dover ricorrere a parole, richieste,
spiegazioni.
L’ascolto empatico si attua attraverso l’euritmia ed il dialogo sonoro.
L’euritmia è un termine antico, in uso presso la civiltà greca, e sta ad indicare
la coordinazione fra suoni, ritmi e movimenti. La madre che allatta il proprio
bambino compie un gesto euritmico, cullandolo e dondolandolo mentre gli
sussurra parole affettuose o gli canta una melodia, adeguando ogni gesto ed
ogni suono a quanto il piccolo sembra gradire di più, infondendogli
sicurezza, fiducia e gioia.
Il musicoterapeuta può cercare di riprodurre, o meglio imitare questa
situazione, servendosi ad esempio della grande cassa armonica di un
pianoforte a coda vicino al quale o sul quale adagia il bambino nella
posizione che questo preferisce e adeguando ogni gesto ed ogni suono alle
reazioni del bambino e valorizzandole nel gioco musicale. In questo modo si
possono richiamare le emozioni positive e le vibrazioni che il canto della
madre induceva sul corpo del figlio. Il musicoterapeuta in questo modo
interagisce con la persona che presenti una patologia per condurla verso il
superamento delle sue difficoltà.
Gli aspetti teorici più evidenti dell’attività musicoterapica possono essere
individuati dunque nel fenomeno della risonanza, nel dialogo sonoro e
nell’improvvisazione musicale, nell’ascolto empatico, vissuti magari con la
presenza contemporanea di due terapisti con formazione differente e
complementare e, qualora si tratti di bambini o ragazzi, alla presenza dei
genitori.
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Una corretta applicazione del metodo musicoterapico prevede inoltre il
confronto costante con l’equipe di medici specialistici che hanno in cura la
persona e con le persone che eventualmente si prendono cura dell’educazione
o dell’inserimento sociale dell’individuo.
La figura del musicoterapeuta viene così a trovarsi nella difficile posizione di
dover mediare ed amalgamare produttivamente gli aspetti del mondo medico,
sociale, educativo e personale della persona in cura.
La musicoterapia non ha come fine l’apprendimento musicale, ma si prefigge
di portare il corpo alla parola attraverso la relazione suono - corpo - affetti.
Si riscontrano notevoli differenze nell’accostamento a questo tipo di
trattamento tra i soggetti adulti e i bambini.
Da parte di un adulto, fare o ascoltare musica può essere immediatamente
valutata dall’adulto come una perdita di tempo, mancando una risposta
immediata e precisa di tipo produttivo, senza lasciare alcun margine
all’imprevedibilità; un bambino è più disposto a vivere questa esperienza
come un gioco con un atteggiamento più spontaneo, gioioso, imprevedibile e
pronto a compiere nuove esperienze.
In musicoterapia, l’imprevedibilità è la regola fondamentale: essa è ciò che
attira la nostra attenzione, rompendo gli schemi consueti; i bambini sono
spesso imprevedibili ed anche per questo motivo sono al centro della nostra
attenzione. Quest’ultimo è il miglior modo di affrontare l’esperienza
musicoterapica ed ottenere risultati.
La regola dell’imprevedibilità è tipica dell’arte e trova il suo fondamento
nell’originalità che caratterizza ogni essere umano, differenziandolo dal suo
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simile. In musicoterapia si agisce attraverso l’ascolto empatico a
salvaguardia dell’originalità di ogni persona7.
8. Il percorso musicoterapico con Valeria e Linda
Il percorso musicoterapico si svolge in una scuola primaria, sede di un centro
di musicoterapia, in una città dell’Emilia Romagna.
Il percorso viene svolto in coppia (musicoterapista con l’aiuto del
coterapeuta), si effettua un “lavoro d’equipe”, confrontandosi con medici e
persone molto vicine alle bambine.
I mezzi che il musicoterapista e il coterapeuta hanno a disposizione sono il
suono, la voce, il corpo, il movimento, il silenzio e devono essere utilizzati
per creare un ambiente sicuro.
La bambina si deve sentire a proprio agio e non minacciato per potersi
esprimere liberamente.
L’allestimento della stanza non deve subire grandi cambiamenti che possono
portare al paziente solo ansia e angoscia.
Si parte dall’osservazione del bambino attenta e dettagliata; si analizza il
proprio comportamento, gli atteggiamenti, le espressioni mimiche-gestuali,
l’esplorazione dell’ambiente e dello spazio, il rapporto con gli strumenti e le
reazioni agli stimoli proposti.
Si cerca di instaurare una relazione interpersonale positiva con le bambine,
recuperando le prime interazioni tra madre e feto attraverso le vibrazioni, i
7 www.marcostefanelli.com
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suoni regressivi, la voce del musicoterapista, i linguaggi musicali e le
espressioni semplici per stabilire un primo contatto con il paziente.
9. Musicoterapia attiva e ricettiva: le tecniche d’intervento
utilizzate
Musicoterapia attiva: tecnica che si basa sull’”autoproduzione sonora” del
paziente attraverso l’uso degli strumenti musicali, della voce, dei gesti, dei
movimenti, favorendo la creatività e l’espressione spontanea.
Musicoterapia ricettiva: tecnica che si basa sull’ascolto di suoni e di musiche
scelte dal musicoterapeuta che permettano al paziente di rilassarsi, di provare
emozioni, evocare ricordi positivi per osservare gli effetti psicofisiologici
musicali del paziente.
10. Le varie fasi di una seduta di musicoterapia
• FASE 1: Anamnesi psicosonora, da riaggiornare ogni tanto, compilare
la scheda musicoterapia dopo il colloquio con i genitori senza la
presenza del figlio. Nel colloquio si affronteranno tematiche
riguardanti il bambino, come il carattere e la propria personalità, il
patrimonio sonoro e gli eventi trascorsi che lo riguardano ma anche i
fatti relativi al nucleo famigliare.
L’invio del bambino a musicoterapia dovrebbe avvenire da parte di
medici, psichiatri o persone che seguono il bambino ma il più delle
volte sono i genitori a rivolgersi al musicoterapista.
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• FASE 2: Colloqui con figure di riferimento che non siano genitori o
parenti. Possono essere dottori, psicologi, insegnanti, logopedisti,
operatori ecc.
Nasce un discorso d’equipe, dove il musicoterapista collabora con altre
figure importanti che seguono il bambino.
Questa fase 2 può essere spostata anche successivamente.
• FASE 3: Inquadramento non verbale, di solito le prime tre o quattro
sedute dove la musica e i suoni sono al centro dell’esperienza.
Si parla di relazione partecipante, il musicoterapista non osserva il
bambino in disparte ma si mette in relazione con lui, partecipa
attivamente all’attività che il bambino in quel momento sta facendo.
• FASE 4: Stesura di un progetto specifico relativo al soggetto con
obiettivi da raggiungere, a volte anche molto piccoli, a secondo della
patologia, del tempo e del percorso.
Il paziente deve accettare l’ambiente e il terapeuta, questa è una fase
d’accettazione, molto importante per la relazione che si instaurerà tra
paziente e terapeuta.
• FASE 5: Inizio del percorso del paziente in musicoterapia con le varie
sedute a cadenza settimanale e la stesura di un protocollo dettagliato
alla fine di ogni seduta.
• FASE 6: Lavoro d’equipe e di supervisione, con degli incontri dove si
verifica sia durante il progetto e sia alla conclusione, l’andamento
delle varie sedute e il lavoro affrontato, controllando e correggendo il
lavoro svolto.
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11. La stanza di musicoterapia
Fig.1 La stanza di musicoterapia
La stanza di musicoterapia dove si svolgono le sedute si trova in una
provincia dell’Emilia Romagna, la sede si trova all’interno di una scuola
primaria.
La stanza è isolata e lontana dalle altre aule. Non molto distante si trova
un’altra aula molto grande che funge da “sala d’attesa” per i genitori o
parenti che accompagnano e aspettano il bambino.
La stanza di musicoterapia è molto accogliente. Sul pavimento sono disposti
due grandi tappeti, da non calpestare con le scarpe. Sui tappeti i bambini
possono sedersi, sdraiarsi, camminare e utilizzare gli strumentini musicali.
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Di fronte alla porta d’ingresso troviamo le finestre con grandi tendoni
azzurri, dove davanti sono posizionati gli strumenti più grandi come il
timpano, il piatto, il bongos.
Appena si entra nella stanza sulla parete destra troviamo un impianto stereo,
li vicino un grande materasso blu, e in fondo il pianoforte.
Gli altri strumenti, quelli più piccoli, sono riposti dentro ad un armadietto che
si trova sulla parete sinistra della stanza, di fronte al pianoforte.
Gli strumenti musicali necessari per ogni seduta vengono disposti nella
stanza in modo diverso per ogni bambino, vengono poi rimessi
nell’armadietto alla fine di ogni seduta. Gli strumenti musicali possono
essere scelti dal bambino direttamente dall’armadietto.
Vi sono altri strumenti anche vicino all’armadio, la chitarra, il tamburo
grande, le campanelle.
All’entrata della stanza, subito sulla sinistra si trova una cattedra con alcune
sedie; all’inizio e alla fine delle sedute, il musicoterapista e il coterapista
decidono come comportasi e come svolgere la seduta.
Al termine di ogni incontro si compila la scheda della seduta di
musicoterapia.
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12. La seduta di musicoterapia
Una seduta di musicoterapia ha la durata di 40 minuti a cadenza settimanale
(sempre lo stesso giorno della settimana, stesso luogo e stessa ora).
È molto importante ricordare al bambino l’appuntamento per la seduta
successiva.
Prima di iniziare ogni seduta il musicoterapeuta e il coterapista dispongono il
setting, gli strumenti nella stanza e vi è un dialogo che riguarda le strategie
da adottare durante la seduta.
Alla fine di ogni seduta si prepara il setting per l’incontro successivo e si
compila il protocollo della seduta di musicoterapia che riguarda gli aspetti
più importanti che sono emersi .
- Nome e cognome del bambino, data, ora, n° della seduta, la sintesi
clinica, nome e cognome del musicoterapeuta
- la disposizione del setting strumentale e motivazione
- la strategia ideata per la seduta
- la prima reazione del musicoterapeuta di fronte al paziente
- le consegne (verbali o non verbali)
- le attività proposte e le risposte del bambino
- la strategia ideata per la seduta successiva
- la prima reazione del paziente di fonte al setting
- il primo e l’ultimo strumento usato
- gli strumenti più usati e la modalità di utilizzo
- oggetto intermediario / integratore
- la produzione sonora che può essere melodica, ritmica, aleatoria,
ritmico- melodica, vocale e la descrizione
- Il repertorio, le varie canzoni usate
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- Il contatto fisico e visivo con il bambino
- la comunicazione e interazione
- il bambino accetta proposte e propone
- come ha vissuto il silenzio
- l’ascolto musicale e la motivazione della scelta
- la modalità d’ascolto del bambino (posture, atteggiamenti, tipi di
movimenti scelti, comportamento)
- l’esplorazione dello spazio (posture, atteggiamenti, tipi di movimenti
scelti, stereotipie)
- la descrizione dell’aspetto corporeo
- il rapporto con il terapeuta
- la conclusione della seduta, con le osservazioni e conclusioni
- disposizione finale del setting.
PRIMO CASO
1. Come cambia il cervello: il punto di vista del neurologo
Anni 80’: si pensava a una struttura cerebrale geneticamente determinata e
già completa alla nascita, trascurando il ruolo dell’esperienza sulle strutture
in via di sviluppo così come il ruolo attivo del bambino sullo stesso sviluppo
cerebrale tramite l’interazione con l’ambiente.
Ricerche sugli animali e nuove tecniche non – invasive hanno evidenziato
che alla nascita sono presenti quasi tutti i neuroni, più di cento bilioni.
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Durante lo sviluppo fetale, i neuroni formati migrano per dare vita alle varie
regioni del cervello, creando così una struttura cerebrale di base.
Ma lo sviluppo del cervello si completerà nel corso dei primi anni di vita. Si
tratta di una fase tumultuosa.
Negli anni successivi, fino alla morte, il cervello sarà in continua evoluzione
ma i cambiamenti saranno di minore entità rispetto ai primi anni successivi
alla nascita.
Le prime aree a raggiungere il completo sviluppo sono il tronco encefalico ed
il mesencefalo; queste regolano, infatti, le funzioni corporee essenziali alla
sopravvivenza (respirazione, digestione, escrezione, termoregolazione), ossia
le funzioni autonome.
Per ultime si sviluppano le aree del sistema libico, in cui ha luogo la
regolazione emozionale, e la corteccia cerebrale che permette il pensiero
astratto.
Alla nascita sono presenti quasi tutti i neuroni ma i collegamenti (connessioni
sinaptiche) sono ridotti. Il numero ed il tipo di connessioni sinaptiche che si
formeranno in seguito dipendono dall’esperienza.
La circonferenza cranica alla fine del primo anno di vita ha un incremento
medio di circa 10 cm. A tre anni di età: 90% delle dimensioni dell’età
matura.
La crescita di ogni regione del cervello dipende in lunga parte dalla
stimolazione che riceve e quindi dalla possibilità di creare nuove sinapsi,
connessioni tra neuroni che rappresentano il cardine dello sviluppo cerebrale.
Dal sesto mese, la celere produzione dei neuroni rallenta notevolmente
mentre accelera la creazione di sinapsi, che si moltiplicano rapidamente fino
ai quattro anni d’età.
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Raggiungono per prime la conformazione definitiva la corteccia visiva e
quella sensoriale, solo in un secondo momento si sviluppano le aree
associative, deputate all’integrazione degli stimoli e alla contestualizzazione
della percezione.
Le capacità cognitive di un individuo si sviluppano quindi presto mentre la
possibilità di gestire ed integrare gli stimoli è solo successiva.
Così, ad esempio, un bambino è in grado di capire il linguaggio già dai primi
mesi di vita mentre riesce a sviluppare la capacità solo dopo 1 anno e
raggiunge una certa proprietà di linguaggio tra i 2 e i 4 anni di età.
Crescendo, si stabilizzano percorsi di integrazione delle varie aree cerebrali
mentre calano le potenzialità plastiche del cervello.
A questo processo va a corrispondere di pari passo il processo di
mielinizzazione delle interconnessioni neuronali.
Da un lato la plasticità del cervello del bambino offre la possibilità di
adattarsi nel migliore dei modi all’ambiente in cui si sviluppa, dall’altro fa sì
che condizioni svantaggiose nell’ambiente in cui il bambino trascorre i primi
anni di vita possano avere conseguenze permanenti sul suo sviluppo
cerebrale.
Il modo in cui il cervello si svilupperà determinerà le capacità cognitive,
affettive e sociali, nonché sulla predisposizione ad ammalarsi fisicamente o
psichicamente, della persona.
Brevi periodi di stress moderato, prevedibile, non sono negativi, ma bensì
preparano il bambino a gestire le inevitabili frustrazioni della vita adulta.
Stress cronico sensibilizza delle connessioni neuronali e fa sì che le regioni
del cervello coinvolte nelle risposte di ansia e di paura siano iper-sviluppate
portando spesso ad un ipo-sviluppo di altre connessioni neuronali ed altre
regioni cerebrali.
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Ad esempio, l’asse ipotalamo – ipofisi – corticosurrene può condurre ad un
sottosviluppo di altre parti del cervello quali l’ippocampo, coinvolte nella
congnizione e nella memoria.
Bambini gravemente trascurati o maltrattati presentano:
• alla TAC, un cervello significativamente più piccolo rispetto alla
media e con sviluppo anomalo della neocorteccia conseguenti alla
carenza di stimolazione.
• ridotta crescita dell’emisfero sinistro, che può incrementare il
rischio di depressione
• la facile irritabilità del sistema libico può predisporre ad attacchi di
panico o disturbo post- traumatico da stress.
La crescita ridotta dell’ippocampo e anormalità a livello del sistema limbico
possono aumentare i rischi di disturbi dissociativi e deficit della memoria.
Un indebolimento delle connessioni tra i due emisferi cerebrali è risultato
associato a sintomi del disturbo da deficit dell’attenzione/ iperattività.
Bambini gravemente deprivati che sono stati privati di stimolazioni sensoriali
comprendenti il contatto, il movimento e i suoni sono a rischio del disturbo
dell’integrazione sensoriale.
1.1 Le tappe dello sviluppo e le tappe della patologia
Tre momenti fondamentali:
• I primi tre anni di vita (in particolare i primi 12 mesi): periodo cruciale
per l’insorgenza di alcune patologie neuropsichiche (ad esempio
autismo, epilessia).
• Fino alla preadolescenza: “fase sociale”: si definiscono meglio alcuni
aspetti comportamentali (ADHD)
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• Fase adolescenziale: fase “più psichica”, psicosi e depressione.
LE TAPPE DELLO SVILUPPO
I primi anni di vita sono fondamentali nello sviluppo neuro-psico-motorio del
bambino; in particolare nel primo anno di vita, le connessioni fra sviluppo
motorio, psichico e affettivo sono le più strette.
3° mese: capo eretto – sorriso direzionato – partecipazione emotiva
all’ambiente.
6° mese: controllo capo e tronco – esplorazione dell’ambiente vicino –
richiesta affettiva.
12° mese: primi passi – esplorazione del mondo – prime parole (massima
relazionalità.
LE TAPPE DELLA PATOLOGIA
• La suscettibilità di un sistema nervoso centrale immaturo e in
evoluzione predispone allo sviluppo di patologie neuropsichiche.
• L’esordio di tali patologie viene a coincidere con momenti cruciali
nella definizione della struttura psichica e dell’organizzazione
neuronale.
• Questo sincronismo tra “corpo e mente” permette di spiegare la
necessità da parte del neurologo di una presa in carico non solo della
patologia ma dell’individuo in toto.
EPILETTOLOGIA
Fattori predisponenti in età evolutiva:
• Maggiore eccitabilità della corteccia cerebrale
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• Minore capacità di delimitazione focale dell’attività parossistica e una
maggiore tendenza al suo mantenimento e reiterazione
• Scarso sviluppo dei sistemi eccitatori ed inibitori neuronali e sinaptici.
• Maggiori variazioni ioniche intra – ed extracellulari.
ETÀ NEONATALE
- Convulsioni neonatali benigne familiari e non
- Convulsioni neonatali sintomatiche
- Epilessie severe neonatali con pattern suppression-burst
SINDROME EPILETTICHE DELLA PRIMA INFANZIA
- Convulsioni febbrili
- Epilessia mioclonica benigna
- Convulsioni benigne familiari e non
- Spasmi infantili e sindrome di West
- Crisi parziali maligne migranti
- Epilessia mioclonica severa
- Epilessia mioclono-astatica
- Sindrome di Lennox- Gastaut
SINDROMI EPILETTICHE DELLA SECONDA E TERZA INFANZIA
- Epilessia rolandica
- Sindrome di Gastaut e Panayiotopoulos
- Epilessie parziali non idiopatiche
- Sindrome HHE
- ESES
- Assenze miocloniche
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PRE- ED ADOLESCENZA
- Epilessie riflesse
- Epilessie con assenze giovanile
- Sindrome di Janz
- Epilessia grande male al risveglio
- Epilessie fotosensibili
La relazione tra l’evoluzione del SNC e la neurologia clinica è evidenziabile
non solo con la coincidenza tra età d’esordio delle patologie e fasi dello
sviluppo neuropsichico, ma, anche con la remissione spontanea di alcune
forme cliniche con l’età.
Il cervello che cambia rappresenta le nostre tracce di vita che cambiano. Il
neurologo infantile ha una posizione privilegiata nella osservazione dei
cambiamenti. La patologia cerebrale sempre più nel tempo ha tenuto in
considerazione quello che si può definire “l’orologio cerebrale”8.
2. Epilessia: inquadramento della malattia
L’epilessia è una malattia neurologica che si manifesta con crisi ricorrenti,
sostenute da un’improvvisa iperattività delle cellule nervose.
Le crisi sono costituite da sensazioni o movimenti abnormi e si
accompagnano spesso a sospensione della coscienza. Hanno breve durata,
spesso meno di un minuto e tra una crisi e l’altra, il paziente non presenta
alcun disturbo. Le crisi, anche se di breve durata, disturbano notevolmente
8 www.ssisbologna.it Università degli studi di Bologna
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l’esistenza del paziente per la loro imprevedibilità e conseguente
inopportunità.
Per molti anni, a partire dal secolo scorso, si è ritenuto che le epilessie
potessero essere classificate principalmente sulla base della presenza o meno
di una lesione cerebrale. Inoltre si pensava che le forme sostenute da una
lesione cerebrale fossero sempre parziali mentre le epilessie generalizzate
erano considerate espressione di un diffuso disturbo funzionale del cervello.
Con l’inizio degli anni sessanta tali concetti sono stati rivisti, per i contributi
fondamentali della scuola francese, in particolare di quella marsigliese.
Gli studiosi di queste scuole sono stati i primi ad utilizzare in maniera estesa
l’elettroencefalogramma arricchendolo con l’utilizzo delle prime tecniche
poligrafiche.
3. Classificazione internazionale sindromi epilettiche
La classificazione delle sindromi epilettiche risale a molti anni fa. È infatti
stata pubblicata nel 1989 ed è basata su due criteri fondamentali, eziologico e
sintomatologico.
3.1 CRITERIO EZIOLOGICO, le epilessie vengono divise in forme
sintomatiche, sostenute cioè da una lesione cerebrale documentata, e
idiopatiche, nelle quali la causa delle crisi è una predisposizione
costituzionale geneticamente determinata. Vi è poi un terzo gruppo, le
epilessie criptogenetiche, nelle quali una lesione cerebrale non è
documentata ma è supposta sulla base del quadro elettroclinico. In
particolare, entrano in questo gruppo le forme sostenute da lesioni cerebrali
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che i nostri attuali mezzi diagnostici, soprattutto neuroradiologici, seppur
affinati con l’avvento della risonanza magnetica nucleare, non riescono a
documentare. Purtroppo, però, nella pratica clinica, vengono spesso
diagnosticate come criptogenetiche anche le situazioni, comunque
idiomatiche, che non corrispondono alle forme riconosciute nella
classificazione internazionale. Tale fatto comporta conseguenze negative per
il paziente in quanto viene fornita una indicazione prognostica meno
favorevole ed a volte vengono iniziate terapie farmacologiche inutili.
3.2 CRITERIO SINTOMATOLOGICO, il secondo criterio, quello
sintomatologico, divide le epilessie in due grandi gruppi; il primo comprende
le forme generalizzate, nelle quali le crisi sono principalmente, anche se non
esclusivamente, di tipo generalizzato, ed il punto di partenza della scarica
critica si ritiene si trovi nelle strutture sottocorticali; il secondo invece le
forme parziali, nelle quali le crisi originano da una determinata regione
della corteccia cerebrale, la zona epilettogena appunto.
3.3 ALTRI GRUPPI Sempre nella classificazione internazionale del 1989
vi è poi un gruppo di epilessie il cui carattere generalizzato o focale non è
determinato. Un quarto gruppo è poi costituito dalle cosiddette “sindromi
speciali”, situazioni di convulsività che non rientrano nei canoni classici di
definizione delle epilessie9.
9 www.epilessiaweb.it
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4. Manifestazioni cliniche
Si distinguono:
- Il grande male, caratterizzato da crisi convulsive generalizzate, che
compaiono improvvisamente, senza alcun prodromo. Il malato emette
talora un grido e casca a terra. La crisi si sviluppa in tre fasi: fase
tonica (il corpo è rigido, gli occhi sono ruotati, le mascelle serrate);
fase risolutiva (coma profondo che si risolve in un quarto d’ora o più)
- Il piccolo male, che si manifesta in varie forme:
a) l’assenza, o sospensione brusca della coscienza, per cinque, quindici
secondi al massimo; questa forma, chiamata picnolessia, è
caratteristica dell’infanzia; alla pubertà scompare per lasciar posto a
crisi di grande male
b) le mioclonie, scosse muscolari involontarie, senza perdita di coscienza,
di solito bilaterali e simmetriche
c) l’astasia, cioè una perdita improvvisa del controllo della postura, che
provoca caduta a terra.
- L’epilessia parziale, caratterizzata da manifestazioni connesse con
l’attività di un determinato settore del cervello. La semeiotica delle
crisi parziali è molto varia, poiché dipende dal punto di partenza della
crisi. Così vi sono crisi sensitive, visuali, olfattive, uditive, ecc10.
10 Rizzoli - Larousse “Nuova enciclopedia universale Medicina” pp. 299-300
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5. L’ epilessia e la musicoterapia nella storia
Nella letteratura, sin dall’antichità, la musicoterapia per i “mali del fisico”
non è quasi mai citata, o le volte che viene ricordata , viene fatto per
screditarla.
L’autore del trattato ippocratico ”Sul sacro disagio” (l’epilessia) vede i
musicoterapisti come ciarlatani e non riesce a capire come il suono possa
essere applicato per dare sollievo a tale disagio.
D’altro canto c’era chi intanto elaborava teorie molto nuove per il tempo. Per
esempio quella che leggeva la relazione fra sistole e diasistole in termini
musicali e del ritmo poetico, cambiando nell’arco di un’esistenza di una
persona dal trocaico al giambico allo spondeo e via dicendo.
Oltretutto c’era altrove la convinzione che l’anima era “armonia”, il corpo
era lo strumento musicale, esattamente come la lira, che andava accordata e
“messa nell’ordine”.
In molti scritti si parla di questo ma non si menziona la musicoterapica.
Questo è assolutamente ininfluente perché è ovvio quanto una teoria che
abbia un incipit simile possa abbracciare a pieno il fatto che ogni disordine
nel tuning dell’anima possa ben rispondere alla musica di uno strumento ben
intonato: “la lira ben temperata produce l’uomo ben temperato”.
Chi rifiutava quanto detto sopra era Socrate. Platone d’altronde gli faceva da
controcanto confermando ancora di più la sua convinzione che l’universo
fosse permeato da formule matematiche e relazioni armoniche.
L’influenza della teoria platonica è cospicua nei due maggiori scrittori greci
che si occupavano di musica nel periodo romano Ptolemio e Aristide
Quintiliano. Per il primo l’intero ordine della natura è caratterizzato da un
arrangiamento proporzionale simile a quello dell’intonazione musicale.
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Fornisce una dettagliata analisi dell’anima in tre parti che corrispondono agli
intervalli musicali di ottava, quinta e quarta. Solo come questi intervalli,
considerati come scale o segmenti di scale, hanno rispettivamente sette,
cinque e quattro differenti possibili specie di strutture modali, così le tre parti
dell’anima hanno rispettivamente sette, cinque e quattro facoltà o virtù.
L’intonazione delle parti governa la condizione dell’anima.
Aristide Quintiliano aveva invece una teoria dell’armonia cosmica più
elaborata. Lui abbracciava l’opinione che gli effetti della musica sull’anima
erano di tre tipi: depressivi, stimolanti e calmanti.
I principali strumenti nella Grecia antica erano la lira e l’aulos. Quest’ultimo
non era un flauto ma della famiglia degli oboe. Nei termini dei loro effetti
psicologici e terapeutici sono molto differenziati. Il modo dorico è associato
con la lira, il frigio con l’aulos.
Nella tradizione pitagorica fu la lira a giocare il maggior ruolo, usata per
purificare le anime da passioni irrazionali, per assistere nel viaggio verso il
mondo dei morti.
Tuttavia l’aulos aveva una natura più che negativa ambivalente: Aristosseno
stesso lo usava per curare.
Disordini psichici a parte, la musica si occupava anche del fisico; la sciatica,
i morsi di serpente, l’epilessia, erano alcune delle occasioni dove l’“in-canto”
era applicato (in questi casi era anche la posizione: cantare sul paziente)11.
11 www.edumus.com