italian remote working conference

10

Click here to load reader

Upload: roberto-cavaliere

Post on 08-Aug-2015

96 views

Category:

Presentations & Public Speaking


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Italian remote working conference

Lavorare in remoto: traguardo o ripiego?

Abstract Le evoluzioni della società alle volte sono traguardi, risultati di un processo di mutamento fortemente

desiderato, altre volte nascono come ripieghi verso i quali far convergere processi e comportamenti in

risposta ad un fallimento o crisi a livello sociale. L’evoluzione tecnologica, in particolare l’ampia diffusione

della rete, ha proposto fin dalla seconda metà degli anni 90 modelli organizzativi, lavorativi e sociali basati

sull’abbattimento, via via più significativo, delle limitazioni dovute alle distanze fisiche. In quegli anni si è

introdotto il termine globalizzazione per identificare una visione generale del mercato e del lavoro, in

contrapposizione con quella locale/particolare. La globalizzazione è un paradigma di scambio,

comunicazione e collaborazione che può essere declinato in mille ambiti applicativi, dal commercio

elettronico, allo scambio di pareri medici via rete, al lavorare per qualcuno che si trova dall’altro capo del

mondo. In Italia questo modello non ha preso piede subito, come invece è successo in altri paesi.

Sicuramente perché trattasi di un cambiamento culturale difficile da attuare, ma anche perché

operativamente non se ne percepiva il bisogno. Poi è arrivata la crisi … e quello che non si era visto come

traguardo lo si è sperimentato come ripiego. Lavorare in remoto è diventata un’esigenza, soprattutto nelle

attività legate alle nuove specializzazioni dell’informatica (web, grafica, app, social networks, ecc.), ma

anche per giornalisti, scrittori, musicisti, critici, opinionisti, traduttori, ecc. Il punto chiave è che la

tecnologia è una condizione necessaria ma non sufficiente per lavorare in remoto o, meglio, per mantenere

il posto di lavoro lavorando in remoto. In realtà c’è bisogno di un cambio di paradigma, bisogna modificare

radicalmente il modo in cui si concepisce il lavoro.

Scompare quasi del tutto la componente sociale con i colleghi, superiori o clienti, prende piede la

valutazione oggettiva e spesso analitica, asettica, dei risultati. Qualità, quantità, tempi di consegna

diventano i capisaldi della valutazione, oltre i quali spesso non si riesce ad andare. Momenti di confronto

con colleghi, brainstorming e collaborazioni passano solo attraverso il rigido scheduling del team e non

possono più sfruttare momenti improvvisati di incontro in azienda, per le scale, alla macchinetta del caffe,

al parcheggio.

La concorrenza diventa globale, come globale è l’offerta. Quindi si deve mettere in conto il fatto che ci sono

milioni di persone al mondo che possono fare lo stesso lavoro. Ma, per lo stesso principio, ci sono milioni di

offerte di lavoro in tutto il mondo. Quindi la flessibilità è l’anima del lavoro in remoto, bisogna sapersi

orientare nel mare delle offerte e sapersi distinguere tre i tanti competitors.

Tutto questo non significa peggioramento, al contrario come ogni cambiamento porta con se aspetti

positivi e negativi, ma bisogna prenderne atto quanto prima se si vuole rendere al meglio anche lavorando

a distanza.

Introduzione Nel mondo delle tecnologie si registra spesso un fenomeno a dire il vero assai fastidioso: quando si diffonde

un neologismo ciascuno se ne fa un’idea propria non solo nella traduzione letterale ma anche nella

semantica, per non parlare poi delle declinazioni, dei sinonimi e dei contrari. Poi ci vogliono anni affinché la

corretta interpretazione venga ad affermarsi diffusamente.

Page 2: Italian remote working conference

Un esempio calzante si trova nell’ambito della formazione. Termini come e-learning, FAD (formazione a

distanza), CBT (computer based training/learning), WBT (web based training/learning), LMS (learning

management system), ecc., sono ancora oggi utilizzati in maniera alternativa come se stessero tutti a

descrivere la stessa cosa. Ebbene, nella mia esperienza anche per il lavoro a distanza si ha ancora una certa

confusione: remote worker, distributed team, open office, telelavoro, coworking, crowdsourcing, e-

commerce (si intendo proprio e-commerce). Spesso parlando con qualche commerciante che ha aperto il

sito per le vendite online mi sento dire “anche io lavoro in remoto” solo perché ha contatti con persone in

tutto il mondo. A voler essere pignoli quelle persone si chiamano clienti, ed il fatto che parlino inglese o

tedesco non qualifica il rapporto come un rapporto di lavoro ma solo come una transazione commerciale

che si apre e si chiude nello spazio di un click, di una spedizione e di un bonifico.

Quindi, nel tentativo di mettere ordine nei miei pensieri e di voler fare una breve ma esaustiva esposizione

sulle mie esperienze di lavoro in remoto e sulle relative problematiche vissute, nel paragrafo che segue

introduco alcuni possibili scenari che configurano varie modalità di lavoro in remoto. Tale pseudo-

classificazione serve non solo a mettere ordine nel lessico ma, soprattutto, aiuta a capire quali siano le reali

differenze, in termini di problematiche, dei vari casi che si possono presentare quando ci si appresta a

lavorare remotely.

Parliamo tutti lo stesso linguaggio Quando si parla di telelavoro (o equivalentemente lavoro a distanza – remote work) si intuisce subito il

concetto di decentralizzazione del luogo di lavoro, ossia la possibilità di svolgere un’attività per una

determinata azienda, non dovendosi recare fisicamente presso la sede dell’azienda stessa. Sebbene il

concetto di telelavoro sia fortemente legato allo sviluppo delle tecnologie informatiche e della

comunicazione, esempi di lavoro a distanza sono presenti anche negli anni addietro quando esisteva solo il

telefono ed il fax. Basti pensare ai rappresentanti o commessi viaggiatori, che lavoravano per mesi e mesi in

giro per il Paese e quotidianamente inoltravano i report di vendita alla casa madre. Dunque, il telelavoro in

sé non è nulla di nuovo, almeno non nuovissimo.

Ricordo della mia prima visita di lavoro alla Wolfram Research Inc. un’azienda americana che fin dalla

sua nascita (1988) ha creduto ed investito nel remote work. Nel 2000 ho avuto l’occasione di passare 8

settimane nella sede centrale in Illinois-US, come visiting schoolar. Ebbene, dopo pochi giorni che ero

arrivato li, non avendo ancora capito quali fossero le differenze tra il lavoro in Italia (all’epoca lavoravo

presso un centro di ricerca all’università di Salerno) e negli States, mi trovavo a parlare al telefono con

Paul, uno dei miei tutor, e mi venne spontaneo dire “vediamoci per un caffè così parliamo più in dettaglio

di questa cosa”. Rimasi basito quando Paul mi rispose, a dire il vero con una punta di meraviglia per la

mia domanda considerata forse una battuta stupida, che lui non si trovava in Illinois ma in Texas, a

svariate ore di volo di distanza. Io ci misi un po’ per capire che non era in vacanza, ma lavorava da casa

sua!

Oggi il termine “lavoro a distanza” sembra essere abbastanza intuitivo. Proviamo però a spostare

l’attenzione su quali sono le tipologie di lavoro a distanza, perché così possiamo poi classificare i vari

scenari e di conseguenza individuare le principali problematiche su cui focalizzare l’attenzione.

Senza voler andare troppo per il sottile, altrimenti si rischia di rendere solo più confusionario il quadro, io

considero i seguenti scenari di massima, entro i quali si possono poi far rientrare altri sotto classi di

situazioni:

Page 3: Italian remote working conference

a) Rapporto di tipo lavoratore – azienda:

a.1. Dipendente di un’azienda che lavora a distanza: il lavoratore è remoto rispetto all’azienda, che,

per contro, è fisicamente concentrata in una sede fisica bene definita e rispetto ai suoi colleghi

che, invece, lavorano in azienda. La condizione di remotely è del tipo uno a uno, verso la propria

azienda vista come un tutt’uno. Ovviamente poi da questa relazione unitaria si aprono diversi

canali (comunicativi ed operativi) verso i colleghi che operano fisicamente in azienda.

a.2. Collaboratori di progetti distribuiti (distributed o open team/work): il lavoratore è remoto come lo

sono gli altri, ma la tipologia di lavoro è ben definita, tipicamente si concorre ad uno stesso

obiettivo definito apriori (un progetto), esempio classico i progetti di sviluppo open source. La

condizione di remotely è del tipo molti a molti verso i colleghi ma con il focus sul progetto.

a.3. Aziende completamente remotizzate: ossia di fatto inesistenti come spazi fisici intesi come luoghi

di lavoro comune. Il lavoratore è remoto rispetto all’azienda e a tutti gli altri suoi colleghi, che

hanno la stessa posizione di remote worker. La condizione di remotely è del tipo molti a molti.

b) Rapporto di tipo lavoratore-cliente: freelance che offre i suoi servizi a clienti/aziende geograficamente

distanti dalla propria sede. Il lavoratore è remoto rispetto ad una molteplicità di soggetti, ciascuno con

caratteristiche che possono variare anche di molto (lingue diverse, fusi orari diversi, culture diverse,

strumenti diversi, ecc.). La condizione di remotely è del tipo uno a molti, verso i propri clienti.

Come si evince dagli schemi in figura, la configurazione cambia notevolmente da caso a caso, e tali

cambiamenti influenzano anche la complessità del rapporto lavorativo. Però, prima di andare ad esaminare

ciascuna categoria, vorrei porre l’accento su un’altra evidenza: negli ultimi anni è cambiato anche il

paradigma del lavoro, non solo la geografia o la logistica. Nello specifico, l’evoluzione delle tecnologie

informatiche ha creato un enorme bacino di nuove figure professionali (ad esempio quelle direttamente

legate allo sviluppo software), ed ha modificato radicalmente alcune figure professionali già esistenti che

sono andate sempre più a sfruttare le tecnologie come mezzo di comunicazione e collaborazione (ad

esempio scrittori, giornalisti, blogger, musicisti, solo per citarne alcuni).

Quindi si sono modificati schemi e rapporti tra professionisti, clienti, aziende, fruitori, consumatori, ecc.

Tutto questo ha ovvie ripercussioni sugli schemi di lavoro a distanza, perché il lavoratore a distanza è quasi

sempre un freelance quindi imprenditore di se stesso. Deve negoziare prezzi, forniture, consegne, deve

a.2)

a.3)

b)

a.1)

Page 4: Italian remote working conference

curare l’immagine professionale, deve gestire gli aspetti economici e finanziari (soprattutto correre dietro

ai clienti che non pagano); deve sapersi vendere ma soprattutto deve saper attivare e conservare le

relazioni con tutti gli stakeholder della sua sfera lavorativa. Anche quando il lavoratore in remoto è un

dipendente di un’azienda, spesso capita che ha rapporti diretti con i clienti quindi di fatto diventa lui

l’interfaccia con il mercato e, proprio in virtù di una sua condizione di “distanza” dall’azienda per cui lavora,

spesso non ne fruisce degli schermi e delle coperture.

Mi è capitato di svolgere per conto di un’azienda un lavoro per un cliente importante, una famosa casa

editrice italiana. Dopo i primi contatti “a tre”, io il cliente e l’azienda per cui lavoravo, nella fase

operativa, essendo lo sviluppatore ed il responsabile del progetto, ho dialogato sempre io con il cliente.

Quando sono sorti dei problemi, alla fine il cliente ha inveito contro di me, contro il mio modo di condurre

il progetto, anche se le decisioni da me prese erano anche funzione di scelte aziendali e non solo mie.

Quindi io non venivo visto come l’azienda fornitrice (quella che aveva di fatto firmato il contratto) ma

come il professionista-consulente.

In altre parole, lavorare a distanza non significa solo saper usare gli strumenti della comunicazione e della

cooperazione in rete, bisogna assumere un modello comportamentale, professionale e relazionale tarato

sulle tipologie di relazioni che si stabiliscono in ambito lavorativo.

Ritorniamo dunque ai vari scenari del remote work e cerchiamo di metterne in evidenza le peculiarità.

Rapporto di tipo lavoratore – azienda: dipendente di un’azienda che lavora a

distanza Considero in questa configurazione quei casi in cui il lavoratore è in tutto e per tutto un elemento interno

all’azienda e svolge il suo lavoro da una postazione remota, ad esempio casa sua. In questo scenario le

differenza sono soprattutto concentrate sul tempo di lavoro e sulle modalità di comunicazione con

l’azienda. Supponiamo che il lavoratore faccia parte di un team aziendale che sviluppa un certo progetto, e

la maggior parte dei colleghi si trova fisicamente in azienda. In casi come questi gli svantaggi o elementi

critici del lavorare a distanza possono essere:

Road map del progetto. In generale, la tempistica di un progetto è un elemento chiave e al

contempo molto fragile, raramente un progetto riesce a mantenere un timeline come pianificato.

Lavorare a distanza significa perdere con maggiore facilità la bussola dei tempi, delle propedeuticità

dei vari moduli, dello status delle altre squadre o componenti del team.

Collaborazione con colleghi, meeting o fasi di cooperazione più intensa interna al team. Finché si

tratta di meeting riepilogativi o di fasatura del team, con qualsiasi strumento si riesce ad effettuare

un ottimo incontro anche a distanza. Un po’ diverso è quando ci sono fasi dove bisogna cooperare a

stretto contatto con altri colleghi, per esempi fasi di brainstorming, di sviluppo congiunto, di

raffinamento di modelli, ecc. dove più persone devono lavorare gomito a gomito su uno stesso

elemento. In questo caso, sebbene gli strumenti di comunicazione esistono, possono essere più

deboli, in termini di performance, rispetto alla presenza fisica in una sala operativa.

Isolamento rispetto al team. Se la maggior parte dei colleghi si trova fisicamente in azienda, sarà

naturale per loro sviluppare una maggiore simbiosi ed una condivisione delle problematiche, e

relative soluzioni, del progetto. Dunque un maggiore affiatamento del gruppo, rispetto al

lavoratore in remoto.

Page 5: Italian remote working conference

Una soluzione alle principali criticità sopra esposte potrebbe essere, laddove possibile, partecipare di tanto

in tanto a riunioni in azienda o passare una giornata in azienda. Ma se l’azienda si trova molto lontano,

questo risulta difficile.

Per molti anni ho lavorato come Technical Support Engineer alla Wolfram Research. Loro negli Stati Uniti

ed io in Italia, dunque convenienza degli incontri in azienda praticamente nulla. Nel dipartimento di

supporto tecnico ero l’unico a lavorare in remoto. Spesso si facevano riunioni del team cui partecipavo

via skype o telefono, non si usavano mai videocamere quindi la mia era una partecipazione sempre

molto limitata. Non poter vedere i colleghi, molti dei quali non avevo mai visto in faccia, non poter essere

presente fisicamente e condividere anche i gesti e le espressioni dei colleghi mi penalizzava tanto, anche

sulla comprensione degli aspetti tecnici che si discutevano. Esistevano dei parametri di produttività in

base ai quali si veniva valutati, ad esempio il numero di email a cui si rispondeva in una settimana, ma

non vivendo in azienda e non potendo mai confrontarmi anche solo in termini confidenziali con i colleghi,

non ho mai saputo quante email e con quale livello di accuratezza venivano gestite dagli altri. Al fine di

mantenere il lavoro, facevo di tutto per produrre al massimo e dopo molto tempo ho scoperto che la mia

produzione era qualitativamente di gran lunga superiore agli altri e numericamente pari o qualche volta

superiore. Di fatto avevo dato molto più di quanto mi si chiedesse … e per la stessa cifra .

I principali vantaggi di un tale scenario sono

La stabilità del rapporto.

Il limite delle comunicazioni e relazioni a distanza (solo con il capo e/o con i colleghi), soprattutto

se non si hanno contatti con clienti o altri stakeholder esterni all’azienda.

Il consolidamento nell’uso degli strumenti tecnici e tecnologici (l’azienda ha generalmente degli

standard e li mantiene per molto tempo al fine di semplificare i processi aziendali).

Rapporto di tipo lavoratore – azienda: collaboratori di progetti distribuiti (distributed o open

team/work)

Questo caso è molto simile al precedente, nel senso che il lavoratore remoto si rapporta principalmente

con l’azienda per la quale lavora, ma poi operativamente collabora con un gruppo di altre aziende o altri

professionisti ad uno specifico progetto. La variante più significativa è che spesso in tale scenario tutti le

persone che lavorano al progetto sono praticamente in remoto tra di loro. Quindi in questo caso risultano

criticità analoghe alle precedenti, con qualche variante:

Road map del progetto. Paradossalmente, essendo tutti in remoto, a differenza della stessa criticità

esposta al punto precedente, in questo caso tutti sono in remoto quindi pongono una grande

attenzione alle scadenze, per cui complessivamente si riesce di più a mantenere fede ai tempi di

lavoro.

Collaborazione con colleghi, meeting o fasi di cooperazione più intensa interna al team. Essendo

tutti in remoto, il problema persiste come al punto precedente, solo che essendo maggiormente

condiviso non si hanno i casi di “isolamento” prima riportati.

Minore omogeneità dei lavori prodotti. L’elevata presenza di remote worker (almeno in alcuni

particolari progetti) comporta spesso una maggiore frammentazione del lavoro prodotto e quindi

richiede maggiore attenzione alla integrazione dei risultati. Mi riferisco in particolare a progetti non

necessariamente legati allo sviluppo di software, laddove invece l’aiuto di sistemi di versioning e

più genericamente si gestione del software il problema dell’integrazione si pone meno.

Page 6: Italian remote working conference

Maggiore difficoltà nell’armonizzazione del team di lavoro, nelle abitudini, nello scheduling dei task

condivisi. La presenza di un numero elevato di persone che lavorano in remoto comporta spesso un

ampio spettro di differenti esigenze di carattere organizzativo. Ad esempio se si lavora in team

distribuiti su più time zone, bisogna conciliare orari e giorni festivi di tutti. Se il team è plurilingue

bisogna scegliere una lingua ufficiale (tipicamente l’Inglese) e quindi la minore o maggiore

conoscenza della lingua influenza la comprensione durante le riunioni. Così come altre peculiarità

legate alle diverse culture o abitudini di tanti collaboratori sparsi per il mondo potrebbero

influenzare la convergenza verso una sintesi ed un accordo durante un meeting.

Spesso per risolvere parte dei problemi si organizzano dei meeting dal vivo per scambiare un momento

intenso di colloqui e brainstorming sul progetto.

I lati positivi potrebbero essere in parti quelli precedenti ed in aggiunta:

La condivisione della condizione di lavoratore remoto allinea maggiormente le esigenze di tutto il

team, quindi la maggiore semplicità con cui si concordano tempi, strumenti di lavoro, ripartizione

dei task, ecc.

Tra le altre cose mi occupo anche di progetti finanziati su fondi europei, per cui sempre in qualità di

freelance faccio il project manager con partenariati sparsi su varie nazioni. Questo tipo di esperienze si

avvicina molto allo scenario sopra riportato, ossia lavorare in remoto con dei team distribuiti. In questi

casi ci sono tutte le problematiche sopra riportate: lingue diverse, modi la lavorare diversi, tempi di

applicazione diversi, ma obiettivi comuni e progetto condiviso.

Rapporto di tipo lavoratore – azienda: aziende completamente remotizzate

Sostanzialmente questo scenario è una declinazione dei precedenti due, a.1) perché dal punto di vista del

rapporto di lavoro il lavoratore remoto si trova a dialogare solo con l’azienda e non con tante aziende o

professionisti; a.2) perché anche tutti gli altri colleghi sono in remoto. Quindi in sostanza non c’è molto da

aggiungere per questo caso.

Freelance che offre i suoi servizi a clienti/aziende geograficamente distanti dalla propria sede

Questa forse è la condizione più comune di lavoratore remoto. Come dicevo anche prima, sebbene spesso

si lavori per una stessa azienda per molto tempo, a prescindere dal tipo di contratto, ci si rapporta con essa

come un libero professionista. Si deve essere propositivi, costruttivi, flessibili e versatili per lavorare in

diversi progetti con diversi ruoli, per procacciare affari all’azienda al fine di farsi affidare nuovi lavori, per

adeguarsi ai vari team che di volta in volta vengono creati e così via. Altre volte, in maniera più classica si è

liberi professionisti davvero e quindi si hanno molti clienti. La differenza è che remotely qui si intende che il

cliente può essere anche dall’altra parte del mondo. Questi, a mio avviso, i principali svantaggi o elementi

di criticità:

Aspetti culturali, comportamentali, relazionali sempre diversi. Come dice il proverbio “chi la vuole

cotta e chi la vuole cruda”1. Avere tanti clienti comporta il dover raffinare l’arte della pazienza, del

1 https://it.wikipedia.org/wiki/Glossario_delle_frasi_fatte

Page 7: Italian remote working conference

dialogo, dell’intuizione e tanto altro. Particolare aggravamento lo si riscontra nel mondo delle

nuove professionalità legate al software ed al digitale in generale. Avete mai sentito qualcuno che

va dal macellaio e chiede le uova di maiale o il prosciutto di pollo? Purtroppo a noi capita

quotidianamente di sentirne gli analoghi in termini di tecnologie, con l’aggravante della

presunzione di molti. Per il fatto di aver un computer in casa, tutti pensano di capirne software, di

saper lavorare con qualsiasi strumento e di saper valutare il lavoro dei professionisti. Poi ci si sente

dire frasi del tipo: “ti mando il logo in alta definizione con il file Word della carta intestata”. Oppure:

“mi faresti, per domani sera, un sito per il mio negozio? tanto che ci vuole a mettere insieme due

fotografie e quattro pagine, ma non preoccuparti i contenuti te le mando io” (e chiaramente poi

arrivano via fax).

Se si lavora anche con clienti all’estero al punto precedente bisogna aggiungere differenze culturali

anche significative, fusi orari, abitudini e lingua diversa, scritta e parlata. Inoltre si introducono

problematiche legate alla normativa fiscale e tributaria, ad esempio per il rilascio delle fatture o i

versamenti dei contributi previdenziali o le tasse.

Negoziazioni estenuanti sul prezzo e sul lavoro da produrre. Almeno in Italia è molto diffusa la

concezione che il lavoratore in remoto è uno che non ha costi fissi o di struttura, non ha costi di

materiali o strumenti, non ha collaboratori (nemmeno il commercialista perché lavora a nero).

Insomma, il freelance che lavora da casa viene visto spesso come il famoso “cugino” a cui ci si

rivolge per il logo da fare gratis e in un paio di ore. Ancora una volta, apparentemente può

sembrare che questa sia una problematica non direttamente connessa con il lavoro in remoto.

Invece, io sostengo che lo sia perché un professionista con una sede e tanto di segretaria, sala

riunioni, sala ricevimento clienti, ecc. intuitivamente viene considerato al pari di un’azienda quindi

con costi di struttura che gravano sui clienti. Il lavoratore in remoto è un’entità immateriale e come

tale non ha costi di struttura. Vallo a spiegare ogni volta al nuovo cliente che anche tu hai la

stampante, il telefono, l’adsl, il cellulare, compri le licenze software e gli aggiornamenti, cambi il

computer ed il portatile una volta l’anno, hai il commercialista e l’avvocato, ecc. Quando poi si

riesce a concordare un prezzo accettabile, si comincia con il chiedere l’impossibile in termini di

“piccoli aggiustamenti”. Immaginate di andare al supermercato, mettere qualcosa nel carrello e

andare alla cassa a pagare. Una volta pagato, si torna indietro con il carrello e lo si riempie

all’inverosimile. Ecco, così fanno i clienti. Iniziano con il chiedere “giusto un logo per la home page”

e poi, dopo aver contrattato il prezzo per il logo, si finisce con il chiedere anche la gestione dell’e-

commerce.

Come esasperazione del punto precedente, c’è il problema del recupero crediti. Fare un sito web

per un cliente nella propria città e non esser pagati ci offre comunque la possibilità di fargli visita,

magari al negozio e fare un po’ di spesa gratis o nel suo ufficio e portarsi via un quadro o un

portatile se proprio non si vuole passare alle mani (scherzo). Ma aver sviluppato un software ad un

cliente di Genova e non vedersi riconosciuti i propri emolumenti rende complesso il presentarsi a

casa del cliente. L’avvocato non prendo proprio in considerazione se non si tratta di un credito dai

5.000,00 euro in su.

Strumenti e tecnologie non sempre standard. Ciascun cliente ha una sua tecnologia. Molti si

limitano al solo uso della posta, altri magari usano strumenti di comunicazione come skype o

google hangouts, altri solo il telefono. Di recente si cominciano a diffondere strumenti cloud come

dropbox o google drive ma alle volte il rischio del condividere con clienti o colleghi impacciati è che

distruggono i documenti, anche i nostri. Quindi spesso si fa fatica a lavorare con tanti clienti diversi

perché per ciascuno di essi dobbiamo impostare un sistema di comunicazione e condivisione ad

hoc.

Page 8: Italian remote working conference

Fluidificazione del rapporto cliente/fornitore ed eccessiva confidenzialità. A dire il vero questa è

una faccenda che va oltre il lavoro remoto, ma in questo caso viene anche accentuata. Impostare

un canale diretto tra cliente e professionista, obbligatorio per il freelance in remoto, spesso

significa diventare schiavi della maleducazione altrui. L’avvocato, il commercialista, il notaio

ricevono nello studio e quindi non ci sogneremmo mai di chiamarli la domenica mattina per un

chiarimento su una pratica, perché identifichiamo il professionista con il luogo dove riceve/lavora.

Se la domenica l’ufficio è chiuso intuitivamente pensiamo che il commercialista non sia al lavoro. Il

grafico, lo sviluppatore web, lo sviluppatore di software in generale e soprattutto quello che lavora

in remoto viene identificato con un nickname di skype, di facebook, di twitter o altro social, viene

identificato con un numero di cellulare e dunque, anche di dominica mattina o pomeriggio che sia,

lo si chiama perché tanto “quello sta sempre collegato con il pc o con il cellulare”. Ma abbiamo

pure noi una vita privata? Lo spero.

Non esiste, secondo la mia esperienza, una soluzione unica alle problematiche sopra esposte. Bisogna solo

dotarsi di tanta pazienza e quando proprio si esagera, perdere qualche cliente troppo esigente.

Ovviamente esistono anche dei lati positivi in questo scenario:

Varietà del lavoro, esperienze sempre nuove che arricchiscono la professionalità e la persona. E poi

non sempre si trovano solo clienti maleducati, spesso si diventa amici con alcuni clienti e si lavora

per loro a lungo e su vari progetti.

Tipicamente i clienti di questo scenario sono piccole aziende o individui (le relazioni con grandi

aziende per progetti di grosso calibro li faccio rientrare nel precedente caso a), per cui i lavori sono

spesso non esageratamente ambizioni, ci si accontenta di un lavoro fatto bene ma non di qualità

suprema. Quindi a fronte di un budget basso, se ci si è venduti bene si è portato a casa un lavoro

semplice o quantomeno veloce, ad incasso rapido.

Su alcune tipologie di lavoro, ad esempio lo sviluppo di applicazioni software o le consulenze su

tematiche specialistiche si stabilisce un rapporto duraturo anche perché il prodotto iniziale va

sempre aggiornato e manutenuto. Questo significa che dopo qualche anno se si è lavorato bene si

ha un piccolo portafoglio clienti che garantisce delle entrate, seppure non voluminose ma

sicuramente costanti nel tempo.

Lavorare in remoto da freelance è il lavoro che ha il massimo numero di gradi di libertà. Non si è

all’interno di un team, non si deve rispondere ad un capo, superati gli scogli della negoziazione e

messo a posto il cliente per fargli capire che non deve chiamare la notte o la domenica di Pasqua, si

può lavorare tranquillamente nei tempi e nei modi che più si preferiscono. Basta rispettare i tempi

di consegna pattuiti (più un ritardo in giorni proporzionare allo sconto chiesto in fase di

negoziazione del prezzo ).

Conclusioni Il remote working è un nuovo modello di lavoro che si basa fortemente sull’uso delle tecnologie ma il saper

usare computer, software e strumenti di comunicazione e condivisione digitali non è sufficiente. Bisogna

approcciare il lavoro con una mentalità diversa. Maggiore responsabilità, eterogeneità dei contatti,

conoscenza degli aspetti culturali oltre che linguistici di altri lavoratori o clienti non solo italiani. Saper

lavorare in team comunque distribuiti, imparare a socializzare attraverso un uso corretto e costante di

strumenti informatici, anche social network.

Page 9: Italian remote working conference

A mio avviso un ruolo importante lo deve svolgere il mondo della educazione e della formazione. Le scuole

e gli enti che erogano formazione professionale devono introdurre sia corsi su strumenti di collaborazione a

distanza, sia moduli formativi per aspetti organizzativi ed operativi di lavoro in remoto.

Alcuni link utili

https://en.wikipedia.org/wiki/Telecommuting

https://it.wikipedia.org/wiki/Telelavoro

http://www.telelavoro-italia.com/

http://blog.remotive.io/the-comprehensive-guide-to-remote-working/

http://www.slideshare.net/dlondero/lavorare-da-casa-siamo-pronti

Page 10: Italian remote working conference

Biosketch

Roberto Cavaliere è un informatico con esperienza ventennale nell'uso di software di calcolo tecnico

scientifico, in particolare Mathematica della Wolfram Research. Dopo circa 6 anni di lavoro “on site” in un

centro di ricerca all'università di Salerno, nel 2001 decide di lavorare da autonomo e, soprattutto, in

remoto. Apre un suo ufficio in un paesino della provincia di Avellino e inizia collaborazioni con aziende

italiane ed estere. I lavori più importanti sono per una società di Torino, all’epoca reseller della Wolfram

Research, per la quale ha svolto il ruolo di supporto tecnico, sviluppatore, consulente marketing. Poi passa

a lavorare direttamente per la casa madre, la Wolfram Research, Inc. (Urbana-Champaign - Illinois) dove ha

svolto il ruolo di technical support engineer, developer, trainer e speaker in numerose conferenze e

seminari in Italia ed in Europa. Sempre restando nel suo ufficio in provincia di Avellino. Attualmente

continua a lavorare direttamente o indirettamente per la Wolfram, attraverso il reseller Italiano Adalta snc,

con il quale intrattiene continui rapporti lavorativi per consulenze, sviluppo, formazione e marketing dei

prodotti Wolfram.

Parallelamente all’attività legata al software, ha lavorato sin dal 1995, in numerosi progetti finanziati

dall'UE dove ha collaborato con partner europei, sempre usando modelli e tecniche del lavoro in remoto.

Indirizzo email:

[email protected]

[email protected]