j.s. bach e il canone eternamente ascendente il linguaggio delle stelle gÖdel e i limiti del...
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J.S. BACH E IL “CANONE
ETERNAMENTEASCENDENTE”
ILLINGUAGGIO
DELLE STELLE
GÖDEL E I LIMITIDEL
LINGUAGGIO
IL GIUOCO DELLE
PERLE DI VETRO
IL LINGUAGGIO
DEI FRATTALI
LINGUAGGIOIPERTESTUALE
LINGUAGGIO,COMPUTER
E SCUOLA
IL LINGUAGGIODELLA
SCIENZA
CONCLUSIONE
SCIENZAE
ARTE
PARADOSSIE
FIGURE IMPOSSIBILI
I MONDI
IMPOSSIBILIDI
ESCHER
“IL LINGUAGGIO E’ UN LABIRINTO DI STRADE: VIENI DA UNA PARTE E TI SAI ORIENTARE,
GIUNGI ALLO STESSO PUNTO DA UN’ALTRA PARTE E NON TI RACCAPEZZI PIU’…”
L.Wittgenstein
GEB
PENSIERIE
PAROLE
Il LinguaggioScientifico
Il LinguaggioScientifico
Il Linguaggio della ScienzaIl linguaggio ordinario è fatto dalle parole che usiamo tutti i giorni e che
indicano oggetti o eventi che osserviamo con i nostri sensi.
Queste parole hanno una ricchezza che le rende adatte a molti usi, cioè
sono ‘polisemiche’ in quanto possono indicare realtà diverse.
La creatività del linguaggio umano si basa proprio sulla sua
polivocità: lo stesso oggetto (nello spazio R-della realtà),
visto in contesti differenti, è reso da simboli differenti (nello
spazio S-dei simboli). Viceversa la stessa parola, in sede di interpretazione, può essere associata a diverse realtà.
S R
S R
Per evitare queste ambiguità il linguaggio scientifico (o, più in
generale, il linguaggio formale) cerca di associare ad ogni realtà un unico simbolo e viceversa, generando così
una specie di ‘codice segnaletico’ che crei una corrispondenza biunivoca
(1:1) tra il simbolo e la realtà che esso vuole indicare.
S R
Come il linguaggio ordinario, anche quello scientifico possiede una
grammatica: qui però le relazioni sintattiche tra le parole diventano
relazioni sintattiche tra numeri, cioè saranno equazioni scritte in forma
matematica.
Inoltre, mentre nel linguaggio ordinario la sintassi è collaudata da tutta una eredità storica, nel caso del linguaggio scientifico le relazioni fra i
numeri di uscita dai vari apparati di misura vanno ‘indovinate’. Qualcuno dice ‘inventate’, nel senso però che alla base di questo
processo c’è una intuizione (IPOTESI) che in qualche modo coglie il giusto comportamento della natura.
221
r
mmGFG
Ma perché riteniamo che una data ipotesi sia fondata su un reale comportamento
della Natura?
Se la previsione si avvera, allora è ‘probabile’ (non ‘certo’!) che la relazione ipotizzata sia quella giusta e la probabilità sarà tanto più alta quanto maggiore è il numero di ‘verifiche’ che avremo fatto. Se invece la previsione è ‘falsificata’ dalla
realtà, allora siamo sicuri che l’ipotesi era sbagliata, e dovremo formularne un’altra.
Un’ipotesi sufficientemente verificata (‘corroborata’) può essere
confidentemente considerata come una LEGGE di Natura (salvo poi doverla cambiare in caso di falsificazione!).
Perché la relazione, che è una legge matematica fra numeri, messa sotto forma
di equazioni, permette di trovare delle soluzioni; e tali soluzioni rappresentano
delle ‘previsioni’ riguardanti il comportamento del fenomeno esaminato.
S
R
APPARATIDI MISURA
APPARATIDI MISURAEQUAZIONE
SOLUZIONE PREVISIONE
FALSIFICATAVERIFICATA
Così nascono le
Questo meccanismo di ‘autocorrezione’ è ciò che distingue la scienza da tutte le altre
modalità di pensiero. La scienza è, per così dire, ‘aperta da ambedue le
estremità’, dato che essa spinge in avanti la frontiera della conoscenza e, nello stesso tempo, rivede la conoscenza sulla quale il
suo progresso è basato.
Noi dobbiamo criticare i nostri concetti, e non solo farne uso, e ciò
comporta il parlare su di essi: questo introduce la meta-linguistica e,
dunque, la meta-teoria, che rappresenta anche un più alto livello
di consapevolezza.
Stando al di sopra del livello di effettivo svolgimento della scienza, lo si può
esaminare e vedere le connessioni e le relazioni e così comprendere la scienza,
anziché limitarsi a conoscerne i fatti.
Questo significa che, nel fare scienza, sono sempre coinvolti almeno due livelli di
pensiero e che sono necessari due livelli di linguaggio per descrivere la nostra
teorizzazione.
S R
Meta-livello S
Gödel e i limiti del Linguaggio
Il famoso “Teorema di Incompletezza” di Kurt Gödel (1931) afferma che,
utilizzando il linguaggio di un qualsiasi sistema formale coerente, è possibile
trovare proposizioni che siano vere ma allo stesso tempo non dimostrabili, ovvero
che siano ‘indecidibili’ a partire dagli assiomi del sistema stesso.
Si tratta di un teorema molto strano, che praticamente ‘parla di se stesso’ affermando di non essere dimostrabile, cioè di NON ESSERE un teorema!
Se comunque si cerca di dimostrare questo teorema le possibilità sono due:
Il teorema è effettivamente dimostrabile, ma poiché esso afferma di non esserlo si cade
in una contraddizione: il sistema formale, in tal caso,
non sarebbe coerente, contro l’ipotesi che lo sia.
Il teorema non è effettivamente dimostrabile, ma poiché esso
afferma appunto di non esserlo, esprime una verità: dunque
abbiamo trovato una proposizione VERA ma NON
DIMOSTRABILE!
L’idea di Gödel fu quella di realizzare, sotto forma di teorema, l’equivalente matematico della seguente frase:
“QUESTO TEOREMA NON E’ DIMOSTRABILE”
M.C.Escher – MANI CHE SI DISEGNANO
L’implicazione più sconvolgente del Teorema di Gödel è che la VERITA’, se mai esiste, non può essere completamente racchiusa nella struttura logica di nessun sistema formale o schema di pensiero astratto, di nessuna dottrina, per quanto presentata come Rivelazione divina: questo
è espressamente vietato dai teoremi di incompletezza, secondo i quali un sistema logico coerente è per sua stessa natura incompleto, ossia esisteranno necessariamente affermazioni
vere ma non dimostrabili al suo interno!
Per bocca del suo Siddharta, lo scrittore Hermann Hesse approfondisce magistralmente questo concetto:
“Quando il sublime Gotama nel suo insegnamento parlava del mondo, era costretto a dividerlo in samsara e nirvana, in illusione e
verità, sofferenza e liberazione. Ma il mondo in sé, ciò che esiste intorno a noi e in noi, non è unilaterale. Mai un uomo, o un atto, è tutto samsara o tutto nirvana, mai un uomo è interamente santo o
interamente peccatore…”
“Ho trovato un pensiero, ed è questo: d’ogni verità anche il
contrario è vero! In altri termini: una verità si lascia enunciare e
tradurre a parole soltanto quando è unilaterale. E unilaterale è tutto ciò che può essere concepito in pensieri
ed espresso in parole, tutto unilaterale, tutto privo di totalità, di
sfericità, di unità”.M.C.Escher – RELATIVITA’
M.C.Escher – BELVEDERE
"Piuttosto che dispiacerci che Gödel ci abbia allontanati dalla soluzione finale,rallegriamoci per gli spazi da lui lasciati
alla creatività".
Il teorema di Gödel però non ci dice niente sui sistemi formali non coerenti: e guarda caso, nella sua modalità di pensiero
comune basata sul linguaggio naturale, l'uomo è certamente un essere tutt'altro che coerente (per intenderci, più simile ad una delle strutture impossibili di Escher che non ad un tempio
greco!), ricco di contraddizioni interne, di dubbi e dilemmi non risolti, di passioni e sensazioni confuse e caotiche, lontane
anni luce dalla perfezione logica della matematica e dei linguaggi formali!
E questa è una vera fortuna: altrimenti non esisterebbero l'arte, la letteratura, la poesia, la musica, l'amore, l'umorismo, la
percezione della bellezza e della libertà, che come tutti sappiamo emergono più dall'incertezza dei nostri travagli
interiori che non dalle nostre, per quanto illusorie, certezze o da un rigido e infallibile sistema formale o programma per
calcolatore. Non è un caso infatti che, mentre è molto facile simulare con un computer una abilità formale come quella nel gioco
degli scacchi, è decisamente impossibile, allo stato attuale, costruire un calcolatore che si innamori o che dimostri
uno spiccato senso dell’umorismo!!.
M.C.Escher – CASCATAM.C.Escher – GIORNO E NOTTE
Pensieri…
Parole... voi m'ingannate!
Stretto nella potente morsa del
mio stesso linguaggio
sento che la verità è fuori di esso,
ma non posso esprimerla,
non posso pensarla!
Una incombente luna nera
illumina con la sua oscura presenza
il mio tragico destino...
...e il nulla è in agguato...
A.Pluchino (1989)
Un pensiero svolazzava qua e là,
indefinito,
attraverso gli immensi
e sconfinati spazi della mente
di colui che l'aveva sottratto
alle opache nubi della possibilità,
sospingendolo su, sempre più su,
fino all'accecante luce dell'evidenza.
Ma ecco, ad un tratto, un boato....
si scorge qualcosa che precipita giù, inerme,
fino a confondersi inestricabilmente
con quella che prima era solo la sua ombra
sullo spietato terreno della logica.
Il pensiero aveva cessato di esistere.
Al suo posto, oramai, non v'era che una misera,
immobile frase....
A.Pluchino (1989)
…e Parole
Scienza e ArteDa sempre, come in un eterno ‘Giuoco delle Perle di Vetro’, Scienza e Arte
testimoniano il desiderio dell’uomo di vedere oltre il visibile e rappre-sentano i sommi successi delle visioni oggettiva e soggettiva del mondo.
Ma benchè scaturiscano da una stessa fonte – l’attenta osservazione delle cose – evocano differenti teorie sul mondo: qual è il suo
significato, quali sono realmente le sue connessioni interne, e che cosa dovremmo considerare importante.
Negli ultimi tre secoli Scienza e Arte si sono progressivamente allontanate l’una dall’altra. Più la scienza ha avuto successo nella sua ricerca di una spiegazione del visibile per mezzo delle leggi invisibili
della Natura, più l’arte è divenuta soggettiva, metaforica, e ha abbandonato la rappresentazione realistica della realtà.
Essa ha esplorato altri mondi, lasciando alla scienza il compito di occuparsi di questo. Ma oggi l’ammirazione crescente degli scienziati per ogni forma di complessità organizzata dovrebbe attirarli verso le arti creative, dove ci sono esempi straordinari di una tale molteplicità strutturata. Inoltre, esistono prove a sostegno dell’ipotesi che un certo grado di irrazionalità possa essere qualcosa di più di un imbarazzante
sottoprodotto dell’evoluzione dell’intelletto: è possibile che essa rappresenti un elemento essenziale di progresso in ambienti naturali.
IL GIUOCO DELLE PERLE DI VETRO (dal’omonimo romanzo di Hermann Hesse)
“Esso era una squisita e simbolica forma di ricerca della perfezione, una sublime alchimia, un accostamento allo spirito in
sé concorde, al di sopra di ogni visione e pluralità, dunque un accostamento a Dio…”
“…le formule del Giuoco delle Perle costruivano, suonavano e filosofavano in una lingua universale che traeva alimento da tutte le
scienze e le arti, avviandosi, giocando e faticando, verso la perfezione, verso l’essere puro, verso la realtà pienamente
compiuta…”
“Compresi all’improvviso che nella lingua, o almeno nello spirito del Giuoco delle Perle, tutto ha effettivamente un significato universale, che ogni simbolo e ogni combinazione di simboli non portano qua o là a singoli esempi, esperimenti e
dimostrazioni, bensì verso il centro, nel segreto e nel cuore del mondo, nel sapere originario”.
“Ogni passaggio dal maggiore al minore in una sonata, ogni trasformazione di un mito o di un culto, ogni classica definizione
artistica non è, a quanto appresi nel baleno di quell’istante, nient’altro che una via diretta al nocciolo del mistero universale,
dove nell’andare e venire fra inspirazione ed espirazione, fra cielo e terra, fra Yin e Yang, la santità si compie perennemente…”
Cos'è un frattale?
La definizione più semplice e intuitiva lo descrive come una figura geometrica in cui un motivo identico si
ripete su scala continuamente ridotta. Questo significa che ingrandendo la figura si otterranno forme
ricorrenti e ad ogni ingrandimento essa rivelerà nuovi dettagli. Contrariamente a qualsiasi altra figura
geometrica un frattale invece di perdere dettaglio quando è ingrandito, si arricchisce di nuovi
particolari!Il termine frattale ha origine nel termine latino ‘fractus’, poichè la dimensione di un frattale non è intera.
"Why is geometry often described as 'cold' and 'dry'? One reason lies in its inability to describe the shape of a cloud, a
mountain, a coastiline, or a tree. Clouds are not spheres, mountains are not cones, coastlines are not circles, and bark is not smooth, nor does lightning travel in a straight line"
-- Benoit B. Mandelbrot --
Così il matematico francese Mandelbrot nel suo libro “The Fractal Geometry of Nature” descrive l'inadeguatezza della
geometria euclidea nella descrizione nella natura.
Mandelbrot è il padre fondatore della teoria dei frattali e inventore del famoso insieme che porta il suo nome.
L’INSIEME DI MANDELBROT
Frattali: la Geometria della ComplessitàI frattali sono figure geometriche ad alto grado di complessità,
caratterizzate dal ripetersi sino all’infinito di uno stesso motivo su scala sempre più ridotta. Questa è la “definizione” più intuitiva che si possa
dare di figure che in natura si presentano con una frequenza impressionante, ma che non hanno ancora una definizione matematica precisa: l'atteggiamento corrente è quello di considerare frattale un insieme F che abbia certe specifiche proprietà di cui le due principali
sono: 1) AUTOSIMILARITA’: F è unione di un numero di
parti che, ingrandite di un certo fattore, riproducono tutto F; in altri termini F è
unione di copie di se stesso a scale differenti.
2) STRUTTURA FINE: F rivela
nuovi dettagli ad ogni
ingrandimento successivo
I frattali in Natura
Le spirali sono alla base del mondo vivente. Il nucleo cellulare è costituito da una lunga catena a spirale, il DNA, riportante l’intero codice genetico. Anche la forma di certi organismi può essere a spirale come quella dell’ammonite,
vissuto 300.000.000 di anni fa.Archimede ne scrisse un trattato, "Sulle Spirali". Anche
nella natura inanimata scopriamo spirali come ad esempio le galassie a spirale.
Le spirali sono anche alla base dei frattali. Ci sono tre tipi comuni di spirali piane, la più
importante delle quali per quanto riguarda i frattali è la spirale logaritmica. La spirale
evoluta è quella che si ottiene srotolando un gomitolo e tenendo il filo sempre teso; la fine
del filo traccerà una spirale.
La spirale di Archimede è la più semplice ed è espressa in coordinate polari con la formula
r=a, dove r è il modulo e l’angolo al centro. Tutte le spirali di Archimede sono
simili, differiscono solo per scala.
La spirale logaritmica sostituisce la r della spirale di Archimede con il log r, log r=a. Se
a è maggiore di 0 la spirale cresce all’ infinito, se è minore di 0 procede verso il centro, se a=0 si ha una circonferenza. Il
fattore di crescita dipende da.
La forma avvolta non è altro che una spirale logaritmica.
Nel 1957 A. E. Bosman con La geometria nel pianeta: un campo miracoloso di ricerca voleva mostrare le miracolose figure geometriche della natura, prima fra tutte la spirale. Una delle sue
figure più importanti è l’albero di Pitagora la cui costruzione è basata sul sistema binario.
Un quadrato ha un lato in comune con un triangolo rettangolo isoscele, che a sua volta
ha gli altri due lati in comune con altri due quadrati e così via. La somma delle aree dei
due quadrati più piccoli, per il teorema di Pitagora, è uguale all’area del quadrato
iniziale e così anche le aree dei quadrati che si formano nei passaggi successivi, sommate, daranno l’area del primo quadrato. Si può
avere un albero asimmetrico semplicemente costruendo un triangolo rettangolo qualsiasi
sul lato del primo quadrato. Si possono creare infinite spirali partendo dai quadrati.
L’albero di Pitagora è un buon esempio di frattale matematico. Vi sono anche frattali a forma di stella,
costruiti per esempio con una linea chiusa e successivi segmenti che si incrociano tutti con lo stesso angolo.
Si può comparare la curva di Koch con la costa della Gran Bretagna, ma la natura è creata con casualità. Se si
considera la somiglianza statisticamente si creano frattali più realistici. Per far ciò occorre che ogni parte del
frattale abbia le stesse proprietà statistiche. I metodi basati sul caso sono detti metodi di Monte Carlo, e in
modo più formale stocastici dal verbo greco che sta per indovinare.
Si è notato che l’introduzione di piccoli disturbi nella costruzione di frattali
rende quest’ultimi più simili a oggetti naturali come alberi, piante, coralli e
spugne.
Si è sviluppata quindi una branca della geometria frattale che studia i cosiddetti
frattali biomorfi, cioè simili ad oggetti presenti in natura. I risultati a volte sono
stati stupefacenti. Uno dei frattali biomorfi infatti più riusciti è la foglia di
felce i cui dettagli, detti autosimili, riproducono sempre la stessa figura.
Attraverso una semplice operazione, la
biforcazione di un segmento, si possono
ottenere delle "fronde" molto realistiche.
Robert Brown nel 1828 scoprì che le particelle al microscopio si muovevano in modo imprevedibile e casuale. Questo è stato chiamato moto browniano. L’idea della curva di un frattale può aiutare a farsi
un’impressione della traiettoria di un moto browniano. Si deduce che le proprietà statistiche non variano a seconda della scala. I frattali
browniani sono molto naturali. Un paesaggio lunare potrebbe apparire come la superficie di un frattale: il crateri più grandi rappresentano la
scala maggiore, ma anche con qualsiasi scala minore si possono vedere crateri; la locazione dei quali è del tutto casuale.
I mondi impossibili di ESCHER
L’opera di Maurits Cornelius Escher rappresenta una delle parabole più affascinanti ed enigmatiche dell’arte del nostro
secolo. Da un lato colpisce per la sua modernità, testimoniata dai sorprendenti legami con le scienze più avanzate.
Escher però non è un surrealista che ci rapisce in
mondi fantastici. E’ piuttosto un costruttore di
mondi impossibili, che nelle sue opere rappresenta con rigore e legittimità quel che è realmente
impossibile.
Il risultato è un intricato gioco di dimensioni e prospettive, al limite del PARADOSSO, che induce l’osservatore a scoprire le
abitudini e gli inganni dei propri sensi.
Dall’altro approfondisce temi eterni: il rapporto che lega la realtà e la sua rappresentazione, lo spazio e il tempo; e ancora, le
affascinanti ambiguità tra simmetria e asimmetria, finito e infinito, differenza e ripetizione.
in ‘Tre Sfere II’, di M.C.Escher, ogni parte del mondo sembra contenere
ogni altra parte ed esservi contenuta: lo scrittoio riflette le sfere che si
trovano su di esso, le sfere si riflettono l’un l’altra, e inoltre riflettono lo scrittoio, la propria immagine e
l’artista che le disegna!
in ‘Tre Sfere II’, di M.C.Escher, ogni parte del mondo sembra contenere
ogni altra parte ed esservi contenuta: lo scrittoio riflette le sfere che si
trovano su di esso, le sfere si riflettono l’un l’altra, e inoltre riflettono lo scrittoio, la propria immagine e
l’artista che le disegna!
Farfalle - xilografia 1959Limite del cerchio IV - xilografia 1960
Partendo dalla negazione del celebre V Postulato di Euclide, o ‘assioma delle parallele’ (“Per un punto esterno ad una retta passa una e una sola parallela alla retta data”) è possibile costruire delle geometrie alternative, le
cosiddette Geometrie non Euclidee.
La Geometria Iperbolica sostituisce al V postulato la negazione secondo cui ‘per un punto esterno ad una retta passa più di una parallela alla retta data’
ed ha a che fare con superfici a ‘curvatura negativa’ (sulle quali la somma degli angoli interni
di un triangolo è minore di 180°)
La Geometria Ellittica sostituisce al V postulato la negazione secondo cui ‘per un punto esterno ad una retta non passa alcuna parallela alla retta data’ ed ha a che fare con superfici a ‘curvatura positiva’ (sulle quali la somma degli angoli interni di un
triangolo è maggiore di 180°)
Cos’è un PARADOSSO ?Un paradosso è cosa veramente
difficile da definire. La parola deriva dal greco (parà e doxa) e significa
«contrario all'opinione comune». Se ci limitiamo al linguaggio verbale, il termine «paradosso» assume una pluralità di significati, tra cui i 3
seguenti:
l. un'affermazione che sembra
contraddittoria ma che, in realtà, è vera
2. un'affermazione che sembra vera ma
che, in effetti, contiene una
contraddizione
3. un'argomentazione valida o corretta che porta a conclusioni
contraddittorie.
“QUESTA FRAASE CONTIENE DUE ERRORI”
“IO SONO UN BUGIARDO”
Un certo villaggio ha tra i suoi abitanti un solo barbiere. Egli è un uomo ben sbarbato che rade tutti -
e unicamente - gli uomini del villaggio che non si radono da soli. Questi sono i fatti. La domanda è:
«Chi rade il barbiere?»
Ma troviamo esempi di paradossi anche nel linguaggio visivo, nelle cosiddette La geometria e le sue regole applicate al
disegno ci permettono di rappresentare quello che vediamo in modo tale che il
cervello lo ritenga simile alla realtà. Questo metodo ci consente anche di
"ingannare" l'occhio e di rappresentare oggetti o spazi in false prospettive e
renderli "impossibili".Consideriamo ad esempio il Triangolo impossibile di Penrose:
La trave obliqua destra è perpendicolare alla trave obliqua sinistra che è rivolta verso di noi,
mentre la trave sinistra, anch'essa perpendicolare alla
base, si allontana da noi.
E allora come fanno le travi di destra e di sinistra ad
incontrarsi?
La "cosa" che l'occhio percepisce non è una cosa reale
e possibile! Per qualche secondo, però l'occhio è riuscito ad ingannare il cervello: è questa
la caratteristica delle FIGURE IMPOSSIBILI.
Anche nelle due figure qui sotto, come nel triangolo impossibile, le travi si
sovrappongono, si intersecano e i colori contribuiscono alla percezione di queste figure e
gli occhi riescono ad ingannare per qualche secondo la mente…
Un altro esempio è costituito dalle cosiddette figure ambigue, che possono essere interpretate come due o
più immagini diverse.
Qui a fianco, vedi una graziosa ragazza o una brutta strega? Puoi vedere ambedue le immagini nello
stesso tempo?
In realtà la figura “La giovane-vecchia” ottiene il suo effetto proprio costringendoci a fluttuare tra due
immagini nettamente contrastanti tra loro: in ogni istante solo una delle due immagini è ‘dominante’,
mentre il resto appare come sfondo.
L’esempio più famoso di inversione ‘figura-sfondo’ si deve allo psicologo danese Edgar Rubin ed è realizzato
con una figura ambigua che può essere interpretata come due visi di profilo che si guardano, oppure come
una coppa formata dallo spazio compreso tra i due profili!
Per Rubin, “l’osservatore ha la possibilità non solo di convincersi che lo sfondo è percepito come privo di
forma, ma anche di notare che una superficie acquista un significato quando appare come figura, mentre lo
perde quando viene vista come sfondo”!
Linguaggio Ipertestuale
La caratteristica concettuale fondamentale dell'ipertesto è quella di rompere la linearità del testo. Permettere cioè legami “trasversali” che non seguono
la struttura lineare del testo; o, ancora, permettere legami tra porzioni di testo, veicolanti unità di
informazione, di natura non lineare, ma la cui struttura può essere determinata a piacere. Ciascuno dei micro-testi (rappresentati dai rettangoli) prende il nome di "nodo". Esso contiene uno o più "ancore" (o ‘parole-
chiave’) che hanno un "legame" con un altro nodo: ciò significa che raggiunta l'ancora si può (ma non "si
deve") attivare il legame e passare così all'altro nodo.
Il testo ordinario è un' organizzazione rigidamente unidimensionale e unidirezionale: è una linea percorribile
in una sola direzione. Ciò avviene poiché il testo è non soltanto fondato (come è ovvio), ma anche modellato (e ciò
non è invece ovvio) sulla forma inerente del medium fondamentale della comunicazione umana: il
linguaggio verbale orale. Quest' ultimo essendo mappato nel tempo (e non nello spazio) deve tradurre linearmente
tutti i livelli della sua strutturazione: dai suoni che compongono le parole, alla sintassi che le organizza nella
frase, all' insieme di frasi che costituiscono il discorso, tutti gli elementi vanno disposti in una sequenza prima-
poi.
Possiamo schematizzare la struttura del testo nel modo seguente.
La struttura dell’ipertesto è schematizzabile nel modo seguente.
Un determinato ipertesto è quindi definito non soltanto dall' insieme del nodi (quindi dei
micro-testi che contiene), ma anche dall' insieme delle ancore e dei legami. E' facile
constatare come questo tipo di struttura non sia lineare: I nodi non sono ordinati lungo
una singola dimensione prima-poi e non vi è unidirezionalità.
Chiariamo bene questo punto: è vero che una singola "lettura" (o "istanza"), o, come si dice
comunemente, un certo "percorso", di un ipertesto è un percorso lineare, ma è proprio il fatto che
nello stesso ipertesto sono possibili ("attuabili") un elevato numero di questi percorsi, tutti diversi tra
loro, che ne definisce la sua struttura intrinseca come non lineare. Ciò infatti non è possibile nel testo tradizionale dove l'ordinamento dei nodi è uno solo e
uno solo è il percorso. E infatti, come si può facilmente constatare, nell' ipertesto non vi sono
né un punto d'inizio né un punto di fine intrinseci.
Al tempo stesso l' ipertesto non è così destrutturato come il dizionario o l' enciclopedia. In questi ultimi non vi è alcun ordinamento intrinseco dei nodi: è possibile il passaggio da
qualunque nodo a qualunque altro nodo. Tra i due estremi, quello della strutturazione lineare univoca del testo tradizionale e quello
della completa assenza di strutturazione del dizionario/enciclopedia, l'ipertesto si colloca in mezzo: vi è una
certa strutturazione (non si può accedere da un nodo a qualunque altro nodo) ma essa non è linearmente univoca. A questo punto potremmo tentare una ulteriore approssimazione al concetto di
Ipermedia secondo la definizione seguente:
L' INTEGRAZIONE DEI MEDIA IN IPERMEDIA NON
CONSISTE NELLA PRESENZA DI NODI IPERTESTUALI
APPARTENENTI A MEDIA DIVERSI (SENSO BANALE)
MA NEL MUTUARE DA ALTRI MEDIA NON TESTUALI
PROPRIO L'ORGANIZZAZIONE
STRUTTURALE DELLA COMUNICAZIONE
“Ho cercato di intrecciare in una Eterna Ghirlanda Brillante i tre fili del discorso sviluppato da Gödel, Escher e Bach”.
“[…] E alla fine mi sono reso conto che per me Gödel , Escher e Bach erano solo ombre proiettate in diverse direzioni da una qualche solida
essenza centrale…”Tratto da “Gödel, Escher, Bach” di Douglas Hofstadter
CLIC
Il processo può quindi essere ripetuto arrivando questa volta alla tonalità di mi, e così via… Queste modulazioni successive conducono l’orecchio in regioni tonali sempre più lontane, cosicchè, dopo un certo numero di esse, ci si aspetterebbe di
trovarsi disperatamente lontani dalla tonalità di partenza (come sembra allontanarsi l’acqua in ‘Cascata’ di Escher). Eppure, come per magia, esattamente dopo sei di queste modulazioni viene ristabilita la tonalità originale di do minore
(un po’ come in ‘Salita e Discesa’ di Escher, dove i monaci si ritrovano al punto di partenza!): tutte le voci si ritrovano esattamente un’ottava sopra e il pezzo si può
interrompere in modo musicalmente compiuto (ma allo stesso tempo paradossale!).
Si tratta di un canone a tre voci: la voce più alta espone una variante del tema
principale, mentre sotto di essa due voci forniscono un’armonizzazione basata su un secondo tema. Di queste due voci, la
più bassa esegue il suo tema in do minore e la più alta lo stesso tema una quinta
sopra.
CLIC
La cosa interessante di questo canone è il fatto che quando si conclude, o piuttosto sembra concludersi, non è più in do minore ma in re minore! In qualche modo, Bach è riuscito a cambiare la
tonalità proprio sotto il naso dell’ascoltatore in modo che il ‘finale’ si leghi perfettamente con l’inizio.
All’interno della sua ‘Offerta Musicale’, scritta per Federico il Grande re di Prussia,
J.S.Bach si concesse il vezzo di inserire degli ‘indovinelli’ musicali. Uno dei più stravaganti è sicuramente il cosiddetto
‘Canone Eternamente Ascendente’.
J.S.Bach e il Canone Eternamente Ascendente
LINGUAGGIO, COMPUTER E SCUOLA
Il computer è la più grande invenzione del Novecento. Un modo per rendersene conto è constatare quanto sia ampio il suo impatto sulla società. Il computer, che noi ce ne rendiamo conto o meno, influenza oggi ogni aspetto della nostra
vita e ha implicazioni di natura economica, sociale, politica, cognitiva, culturale e filosofica. Raramente, o forse mai, in passato un’invenzione umana ha
esercitato con tanta rapidità un’influenza così forte e di così ampio raggio.
E la scuola? Che implicazioni ha il computer per la scuola? Se è vero che il computer influenza e influenzerà sempre più ogni aspetto della società, come si
può pensare che un individuo possa essere preparato a vivere nella società attuale e soprattutto futura (considerando che i ragazzi che vanno a scuola oggi entreranno da adulti nella società come sarà tra 10-20 anni), senza che la scuola
lo abbia messo in contatto e lo abbia reso familiare con il computer e con le numerose, diverse, profonde conseguenze che il computer ha e avrà per ogni
aspetto della vita individuale e sociale?
La realtà è che la scuola non solo si ostina a sottovalutare il ruolo del computer (potremmo dire il contrario solo se ogni studente ne avesse uno a disposizione!) ma lo fa perché è lontana dal capire essa stessa le diverse implicazioni del computer per la società e soprattutto per l’educazione, dal riconoscere le diverse ‘facce’ che il computer presenta. La cosa principale da fare quando ci si pone il problema dei rapporti tra computer e educazione è probabilmente quella di considerare questi rapporti da una prospettiva più ampia, una prospettiva culturale prima ancora che specificamente educativa.
Il computer spalanca talmente tante possibilità di apprendimento che è perfettamente comprensibile che la scuola, la quale concentra le sue fondamentali ma limitate possibilità nella lezione frontale e nel libro di testo, reagisca ritraendosi spaventata. Infatti:
si può imparare a scrivere usando un ‘word processor’ (cioè un programma di
‘videoscrittura’) molto più flessibile e potente dei classici foglio di carta e penna;
si può imparare a leggere capendo meglio quello che leggiamo con un testo
‘aumentato’ che, in risposta ai nostri comandi, aggiunge informazioni, definizioni
di parole, domande rivolte a noi per controllare se facciamo le inferenze giuste a
partire dal testo;
si può imparare qualunque cosa
facendo esercizi con il computer che ce li
fornisca, ci indichi le risposte corrette e ci
suggerisca percorsi di apprendimento
appropriati;
si può imparare navigando in un ipertesto multimediale o giocando con degli appositi
videogiochi; si può imparare navigando su Internet
e sfruttando la sua enorme riserva di informazioni e la
possibilità di interagire a distanza
con altri esseri umani;
si può, infine, imparare attraverso la simulazione virtuale di un qualche fenomeno reale (fisico, biologico ma anche storico, sociale o culturale), magari difficile (o addirittura impossibile) da osservare nella realtà: lo
studente interagisce con la simulazione, cioè ne osserva dinamicamente i risultati sul suo schermo, ne modifica variabili e parametri e osserva le
conseguenze dei suoi interventi, e nel farlo è gradualmente condotto verso la reale comprensione (e non solo la semplice ‘conoscenza’) del
fenomeno in questione.
Ma quali sono, in definitiva, le implicazioni e i vantaggi dell’apprendere interagendo con una simulazione o, più in generale, attraverso il computer?
Nella scuola si apprende per la quasi totalità attraverso il canale del LINGUAGGIO VERBALE.
Solo una parte molto piccola dell’apprendimento passa attraverso altri canali, non verbali o pratici e manuali. E questo presenta degli svantaggi: apprendere attraverso il linguaggio presuppone capacità
linguistiche ben sviluppate nello studente; richiede una forte motivazione; rende faticoso l’apprendere perché il linguaggio è solo
simboli e tutto il significato di questi simboli deve essere creato nella propria testa; e spesso produce risultati di apprendimento
superficiali e passeggeri perché non basati sulla comprensione ma solo sulle parole.
Apprendere con il computer ridimensiona il ruolo del linguaggio nell’apprendimento, e nella vita cognitiva in genere. Il computer non da il suo massimo con le parole (a parte usi specifici come il word processing e
la posta elettronica) ma con le immagini, le visualizzazioni e l’interattività. Un ragazzo che impara vedendo e agendo su quello che vede (o, ancor più, con quello che sta ‘dietro’ quello che vede, come in
una simulazione) può imparare anche se le sue capacità linguistiche non sono eccellenti; può imparare anche se la sua motivazione ad apprendere usando il solo linguaggio non è molto forte; può imparare facendo meno
fatica con la sua mente perché le immagini e le azioni forniscono i significati senza che, come avviene con il linguaggio, questi significati
debbano essere generati nella testa; e può imparare in un modo maggiormente basato sulla comprensione che sulla conoscenza verbale e
quindi in maniera più solida e permanente.
IL LINGUAGGIO DELLE STELLE“Che mai sarà scritto, con quelle candide sillabe scintillanti, sulla
squadernata nera pagina della volta notturna?
Forse altre divine verità, che fino ad oggi non sappiamo o non possiamo intendere?
Non è possibile che il cielo sia muto!
Forse le stelle son lettere – diverse di colore e di grandezza – di un alfabeto che non sapremo mai?
Forse le costellazioni son righe o frasi di una portentosa iscrizione che non siamo riusciti a decifrare?
Forse ogni notte la facciata notturna ci pone dinanzi un enigma che da millenni non abbiamo saputo sciogliere?
I poeti, come bambini, si estasiano sulle lucciole erranti dell’infinito.
Per me che non sono – fortuna o sfortuna – né verseggiatore né mistico, il cielo è soltanto il telone sinistro dove leggo ogni notte la
sentenza della mia nullità irrimediabile…”
Giovanni Papini
“E OGGI NON POSSIAMO, NE’ HA SENSO FAR CREDERE IL CONTRARIO, TRACCIARE CON PRECISIONE UNA LINEA
DA UNA ESTREMITA’ ALL’ALTRA DI QUESTA COSTRUZIONE PERCHE’ ABBIAMO APPENA COMINCIATO
A INTRAVEDERE L’ESISTENZA DI QUESTA GERARCHIA RELATIVA.
INOLTRE NON CREDO CHE NESSUNA DELLE DUE ESTREMITA’ SIA PIU’ PROSSIMA A DIO…”
RICHARD FEYNMAN
“DOBBIAMO METTERCI IN QUEST’OTTICA: TUTTE LE SCIENZE, E NON LE SCIENZE SOLTANTO, MA OGNI SORTA DI ATTIVITA’
INTELLETTUALE, TENDONO A RICERCARE LE CONNESSIONI TRA LE GERARCHIE, A COLLEGARE LA BELLEZZA ALLA STORIA, LA
STORIA ALLA PSICOLOGIA, LA PSICOLOGIA AL FUNZIONAMENTO DEL CERVELLO, IL CERVELLO AGLI IMPULSI NEURALI, GLI
IMPULSI NEURALI ALLA CHIMICA E COSI’ VIA, VERSO IL BASSO E VERSO L’ALTO, IN ENTRAMBE LE DIREZIONI INSIEME”.
QUALE ESTREMITA’ E’ PIU’ PROSSIMA A DIO?
LA BELLEZZA E LA SPERANZA
O LE LEGGI FONDAMENTALI DELLA FISICA?