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Affermare che le principali at- tività economiche si svolgono in condizioni di conoscenza li- mitata (a volte di quasi totale ignoranza) non è certo una proposizione sorprendente. I consumatori, per esempio, non conoscono tutte le opzioni ri- guardanti i prezzi di un certo prodotto, in parte per pigrizia, in parte perché a volte l’infor- mazione non è trasparente, in parte perché i possibili mercati sono eccessivamente numero- si, e comunque perché racco- gliere tutte le informazioni possibili è un processo costoso. La situazione è ancora peggio- re per quanto riguarda le infor- mazioni sulla qualità del pro- dotto: difficili da raccogliere, difficili da valutare, talvolta appositamente dissimulate dal produttore o dal venditore, co- sì che il confronto tra prodotti analoghi e potenzialmente so- stitutivi l’uno all’altro non è sempre agevole o addirittura impossibile. Anche le imprese sono in una situazione simile per quanto riguarda le loro forni- ture, e hanno in più la difficol- di avere informazioni ri- guardo ai loro mercati, sia quelli attuali che le potenziali alternative. Il loro problema decisionale è inoltre complica- to dalla variabilità delle condi- zioni quadro nelle varie regio- ni dove si potrebbero installa- re, condizioni che includono costi e formazione dei lavora- tori, sindacalizzazione, legisla- zione ambientale, sicurez- za, agibilità, mezzi e vie di co- municazione, efficienza del- l’amministrazione, fiscalità, eccetera. Se il problema fosse limitato a questo, si potrebbe pensare che i meccanismi di mercato, seppure con qualche ritardo e titubanza, possano fornire gli strumenti per orientarsi tra le differenti offerte e condizioni. Man mano che gli acquirenti acquistano e i produttori offro- no i loro prodotti, i prezzi si adeguano, fornendo indicazio- ni sempre più precise agli uni come agli altri. La questione è stata dibattuta a lungo dagli economisti, alcuni dei quali credono che questo meccani- smo sia sufficiente ad ovviare al problema, almeno in termini di tendenza di lungo periodo, mentre altri sottolineano come gli errori di valutazione anzi- ché smorzarsi si possano cu- mulare. Tempo e incertezza Il problema è già abbastanza serio; tuttavia la questione del- l’incertezza ha una dimensione aggiuntiva. I processi economi- ci si svolgono net tempo, e le decisioni – tanto dei consuma- tori quanto dei produttori – de- vono essere prese pensando a quali saranno le condizioni nel futuro, oltre che nel presente. E tenendo conto del fatto che le decisioni prese influenzeran- no il quadro generale. I consumatori non solo deci- dono cosa e dove acquistare, ma anche quando farlo; corri- spondentemente, si devono chiedere quali saranno prezzi e qualità dei prodotti dopo qual- che mese. Per alcuni prodotti (piatti e posate, per esempio) non ci sarà molta differenza, ma per altri (quelli la cui pro- duzione è soggetta a un rapido sviluppo tecnologico, come ad esempio l’elettronica) le varia- zioni possono essere notevoli. I consumatori hanno anche il problema di decidere se spen- dere tutto il loro reddito, o conservarne una parte (rispar- mio) per usi futuri; il che pone la difficoltà aggiuntiva della scelta della forma finanziaria nella quale collocare i rispar- mi, dalle forme più liquide (nel materasso o in un conto cor- rente) a forme vincolate (ob- bligazioni a lungo termine), o sul mercato dei titoli, con ren- dimenti ovviamente diversi. Le decisioni dei produttori sono per definizione orientate nel tempo: un investimento in capitale fisso (edifici e macchi- nari, in particolare) ha una certa durata, ed è destinato a produr- re beni nel periodo della sua vita eco- nomica. Quando si decide di compiere l’investimento si hanno idee abba- stanza precise sul costo del macchina- rio e sulla sua pro- duttività potenzia- le, ma non si sa quali quantità si ri- usciranno a vende- re e a quali prezzi, né a quali costi si potranno acquisire in futuro le materie prime e la manodo- pera. Neppure il prezzo del capitale preso a prestito è dato una volta per tutte, poiché i tassi d’interesse variano nel tempo. In altri termini, gli impren- ditori non possono sapere, al momento dell’investimento, quale sarà la profit- tabilità dell’invest- mento: hanno qual- che elemento per azzardare delle ipo- tesi, ma non posso- no calcolare con certezza il rendi- mento del proprio investimen- to, con il rischio di vedere le ipotesi di partenza smentite dai fatti (nel bene o nel male). Economisti, comsumatori e imprenditori Eppure, i consumatori consu- mano e gli imprenditori inve- stono: a volte più e a volte me- no, a ondate più o meno irrego- lari, ma lo fanno. Poiché questa attività è centrale per l’anda- mento economico di un paese, ci si aspetterebbe di trovare dis- cussioni dell’incertezza al cuore del ragionamento degli econo- misti. Invece la storia dell’eco- nomia è caratterizzata dallo sforzo di esorcizzare, in qual- che modo e salvo poche ecce- zioni, l’incertezza. Il paradigma economico do- minante fa riferimento all’idea di razionalità degli agenti eco- nomici: si postula che questi abbiano degli obiettivi, dispon- gano di mezzi (scarsi) per sod- disfare questi obiettivi, a che impieghino questi mezzi secon- do una strategia che permetta di raggiungere i fini. Più preci- samente, gli economisti postu- lano che l’obiettivo dei consu- matori è quello di massimizzare l’utilità che possono conseguire acquistando beni con il reddito ottenuto prestando uno sforzo lavorativo, mentre lo scopo de- gli imprenditori è di massimiz- zare i propri profitti. Ciò presuppone che gli agenti economici siano dei calcolatori, capaci di prendere decisioni elaborando numerose informa- zioni, ma soprattutto che que- ste informazioni siano disponi- bili. L’incertezza non è dunque compatibile con l’approccio do- minante degli economisti. Que- sti hanno così dovuto aggirare il problema in qualche modo. Alcuni l’hanno fatto presuppo- nendo che gli agenti economici abbiano una conoscenza perfet- ta del presente come del futuro. Altri hanno sostituito l’incertez- za, situazione nella quale poco si sa dello stato futuro del mon- do, con il rischio, situazione in cui si conosce la probabilità di ciascun evento. In tal caso, an- che se il futuro non è conoscibi- le in dettaglio (nessuno cono- sce in anticipo il numero che uscirà al prossimo giro di rou- lette), si può tuttavia decidere in base al «valore atteso» (la probabilità di ciacuna combina- zione di numeri alla roulette è conosciuta, così che i guadagni medi dei casinò possono essere previsti). Pochi economisti hanno in- vece accettato la sfida dell’in- certezza cercando di incorpo- rarla nel proprio modo di pen- sare. Tra questi vi sono alcuni esponenti della cosiddetta «Scuola Austriaca» (in partico- lare Friedrich Hayek), e soprat- tutto Keynes. Nei prossimi arti- coli di questa breve serie illu- streremo l’approccio di que- st’ultimo autore, non solo per mostrarne l’originalità ma an- che per sottolineare come la ri- duzione del suo pensiero (ad opera dell’accademia, ma an- che nell’opinione pubblica) a una concatenazione meccanica di azioni e reazioni sia alquan- to riduttiva. (Continua) Mercoledì 19 aprile 2006 ECONOMIA E POLITICA AZIONE 17 NELLA FOTO: in alto, eco- nomisti sempre esitanti a visitare l’incertezza. L’incertezza del tempo La storia dell’economia caratterizzata dallo sforzo costante di esorcizzare il problema K EYNES Daniele Besomi In occasione del cin- quantesimo anniversario della scomparsa di Key- nes, e del sessantesimo della pubblicazione del- la sua opera principale, la Teoria generale del- l’occupazione, dell’inte- resse e della moneta, proponiamo una rico- struzione contestualizza- ta del suo pensiero cen- trata su un aspetto sotto- valutato RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Come rari sono gli economisti che si sono occupati di incer- tezza, sono scarsi anche i volu- mi sul soggetto. Tra questi si segnalano C. SCHMIDT (a cura di), Uncertainty in economic thought, Cheltenham: E. ELGAR, 1996; e E. F. M. WUBBEN, Mar- kets, uncertainty and decision- making: a history of the intro- duction of uncertainty into eco- nomics, [Amsterdam]: [Thesis Publishers], [1993]. Vi sono in- vece numerosi articoli su speci- fici contributi di questo e quel- l’economista sparpagliati in ri- viste specializzate. F INANZA Il petrolio e l’Iran spingono l’oro e questo spinge un po’ tutto. Nei giorni scorsi, il prezzo dell’oro ha superato la soglia «psicologica» dei 600 dollari l’oncia, suffragando at- tese di altri prossimi balzi che qualcuno immagina presto a 800. In pratica, l’oro è tornato ai prezzi del dicembre 1980, dopo però un precipizio attor- no ai 250 dollari. Il rincaro, non viene dall’utilizzo del me- tallo, bensì dagli investitori fi- nanziari per ripararsi dalle minacce inflazionistiche. Ma, soprattutto, per cogliere l’oc- casione di una «mosconata», ossia un rapido guadagno dif- ferenziale o speculativo. An- che se il rincaro, secondo le teorie, dovrebbe rispecchiare l’allarme che non c’è, pur se inquieta il crescere del costo del petrolio. Però l’economia mondiale cammina e s’atten- de che la prossima riunione del FMI ritocchi all’insù, per quest’anno, le previsioni di crescita: dal 4,3% al 4,9%. La stessa economia europea è in ripresa. E le Borse, dopo il cammino compiuto, promet- tono ancora. Pur senza vero allarme nel mondo, l’oro e tutti i preziosi sono in tensio- ne rialzista alimentata, come per le Borse e il resto, da con- tinui e consistenti flussi di de- naro mirante ad investirsi o a «mosconare» con azioni, metalli preziosi, materie prime, case e immobili. Tutto con prezzi in rialzo per compere crescenti. Così, tutto aumenta, salvo i rendimenti delle obbliga- zioni e titoli a reddito fis- so, con strane dissonanze reddituali tra lungo e bre- ve termine. Mentre, peral- tro, le banche centrali stanno lentamente rial- zando i tassi d’interesse in funzione anti-inflazione da petrolio. Senza però grandi effetti sul compor- tamento del denaro che seguita a comprare di tut- to e a qualsiasi prezzo. Perché nessuno presta atten- zione per esperti e specialisti dei giornali, per autorevoli che siano. Ognuno, col pro- prio denaro fa come crede. E di denaro, in giro, ce n’è tanto e che mira a moltiplicarsi, né pare mai soddisfarsi. Così, con tanto denaro e vo- glia di guadagnare sempre più, si accentua vorticosamen- te la dinamica della moltipli- cazione permanente fine a sé stessa. E ognuno crede di po- ter fare di più e meglio, senza ascolto di chicchessia. Esperti, testate autorevoli come «Fi- nancial Times» o «The Econo- mist» ecc. restano inascoltati e, se capita, sbeffeggiati. Vedi il caso «Economist» per l’Ita- lia: dopo che 5 anni fa aveva bollato Berlusconi come «ina- datto» a governare, nella scor- sa settimana, alla vigilia delle elezioni legislative nella vici- na repubblica, ha rincarato la dose con un grande «Basta» sotto la foto del premier italia- no, in copertina. Col risultato che sappiamo. A conferma, appunto, dell’inascolto oltre- ché della contrarietà ai sugge- rimenti e magari ingerenze al- trui. Secondo la logica predo- minante ed essenziale del de- naro che mira alla moltiplica- zione senza regole né frontie- re limitanti. Come con la globalizzazio- ne, in sostanza, per cui si compra dovunque e di tutto senza delimitazioni, possibil- mente. E contro ogni parere o giudizio o fondamento. Così si compra oro mentre le ban- che centrali lo vendono. Lo si compra in carta, certificato, come anche palladio o argen- to e così pure, per rame o ni- chel e altre materie prime: in carta. Carta che s’affianca al resto nei tanti rigonfi portafo- gli differenziati secondo crite- ri rigorosi: tanto in oro, tanto in acciaio, caffè, grano e rame e tanto in azioni e in case, in vino e soja o chissà che, per meglio tutelarsi e difendersi dalle incognite e dall’inflazio- ne, anzitutto. E tanto, natu- ralmente, anche in petrolio, il diavolo attuale dell’inflazione che desta apprensione. E comprandolo, il diavolo cre- sce di prezzo, cioè alimenta sé stesso. E il cane si mangia la coda… Goldor L’oro, l’Economist e Berlusconi FOTO CDT

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Affermare che le principali at-tività economiche si svolgonoin condizioni di conoscenza li-mitata (a volte di quasi totaleignoranza) non è certo unaproposizione sorprendente. Iconsumatori, per esempio, nonconoscono tutte le opzioni ri-guardanti i prezzi di un certoprodotto, in parte per pigrizia,in parte perché a volte l’infor-mazione non è trasparente, inparte perché i possibili mercatisono eccessivamente numero-si, e comunque perché racco-gliere tutte le informazionipossibili è un processo costoso.La situazione è ancora peggio-re per quanto riguarda le infor-mazioni sulla qualità del pro-dotto: difficili da raccogliere,difficili da valutare, talvoltaappositamente dissimulate dalproduttore o dal venditore, co-sì che il confronto tra prodottianaloghi e potenzialmente so-stitutivi l’uno all’altro non èsempre agevole o addiritturaimpossibile.

Anche le imprese sono inuna situazione simile perquanto riguarda le loro forni-ture, e hanno in più la difficol-tà di avere informazioni ri-guardo ai loro mercati, siaquelli attuali che le potenzialialternative. Il loro problemadecisionale è inoltre complica-to dalla variabilità delle condi-zioni quadro nelle varie regio-ni dove si potrebbero installa-re, condizioni che includonocosti e formazione dei lavora-tori, sindacalizzazione, legisla-zione ambientale, sicurez-za, agibilità, mezzi e vie di co-municazione, efficienza del-l’amministrazione, fiscalità,eccetera.

Se il problema fosse limitatoa questo, si potrebbe pensareche i meccanismi di mercato,seppure con qualche ritardo etitubanza, possano fornire glistrumenti per orientarsi tra ledifferenti offerte e condizioni.Man mano che gli acquirentiacquistano e i produttori offro-no i loro prodotti, i prezzi siadeguano, fornendo indicazio-

ni sempre più precise agli unicome agli altri. La questione èstata dibattuta a lungo daglieconomisti, alcuni dei qualicredono che questo meccani-smo sia sufficiente ad ovviareal problema, almeno in terminidi tendenza di lungo periodo,mentre altri sottolineano comegli errori di valutazione anzi-ché smorzarsi si possano cu-mulare.

Tempo e incertezza

Il problema è già abbastanzaserio; tuttavia la questione del-l’incertezza ha una dimensioneaggiuntiva. I processi economi-ci si svolgono net tempo, e ledecisioni – tanto dei consuma-tori quanto dei produttori – de-vono essere prese pensando aquali saranno le condizioni nelfuturo, oltre che nel presente.E tenendo conto del fatto chele decisioni prese influenzeran-no il quadro generale.

I consumatori non solo deci-dono cosa e dove acquistare,ma anche quando farlo; corri-spondentemente, si devonochiedere quali saranno prezzi equalità dei prodotti dopo qual-che mese. Per alcuni prodotti(piatti e posate, per esempio)non ci sarà molta differenza,ma per altri (quelli la cui pro-duzione è soggetta a un rapidosviluppo tecnologico, come adesempio l’elettronica) le varia-zioni possono essere notevoli. Iconsumatori hanno anche ilproblema di decidere se spen-dere tutto il loro reddito, oconservarne una parte (rispar-mio) per usi futuri; il che ponela difficoltà aggiuntiva dellascelta della forma finanziarianella quale collocare i rispar-mi, dalle forme più liquide (nelmaterasso o in un conto cor-rente) a forme vincolate (ob-bligazioni a lungo termine), osul mercato dei titoli, con ren-dimenti ovviamente diversi.

Le decisioni dei produttorisono per definizione orientatenel tempo: un investimento incapitale fisso (edifici e macchi-nari, in particolare) ha una

certa durata, ed èdestinato a produr-re beni nel periododella sua vita eco-nomica. Quando sidecide di compierel’investimento sihanno idee abba-stanza precise sulcosto del macchina-rio e sulla sua pro-duttività potenzia-le, ma non si saquali quantità si ri-usciranno a vende-re e a quali prezzi,né a quali costi sipotranno acquisirein futuro le materieprime e la manodo-pera. Neppure ilprezzo del capitalepreso a prestito èdato una volta pertutte, poiché i tassid’interesse varianonel tempo. In altritermini, gli impren-ditori non possonosapere, al momentodell’investimento,quale sarà la profit-tabilità dell’invest-mento: hanno qual-che elemento perazzardare delle ipo-tesi, ma non posso-no calcolare concertezza il rendi-mento del proprio investimen-to, con il rischio di vedere leipotesi di partenza smentitedai fatti (nel bene o nel male).

Economisti, comsumatorie imprenditori

Eppure, i consumatori consu-mano e gli imprenditori inve-stono: a volte più e a volte me-no, a ondate più o meno irrego-lari, ma lo fanno. Poiché questaattività è centrale per l’anda-mento economico di un paese,ci si aspetterebbe di trovare dis-cussioni dell’incertezza al cuoredel ragionamento degli econo-misti. Invece la storia dell’eco-nomia è caratterizzata dallosforzo di esorcizzare, in qual-

che modo e salvo poche ecce-zioni, l’incertezza.

Il paradigma economico do-minante fa riferimento all’ideadi razionalità degli agenti eco-nomici: si postula che questiabbiano degli obiettivi, dispon-gano di mezzi (scarsi) per sod-disfare questi obiettivi, a cheimpieghino questi mezzi secon-do una strategia che permettadi raggiungere i fini. Più preci-samente, gli economisti postu-lano che l’obiettivo dei consu-matori è quello di massimizzarel’utilità che possono conseguireacquistando beni con il redditoottenuto prestando uno sforzolavorativo, mentre lo scopo de-gli imprenditori è di massimiz-zare i propri profitti.

Ciò presuppone che gli agentieconomici siano dei calcolatori,

capaci di prendere decisionielaborando numerose informa-zioni, ma soprattutto che que-ste informazioni siano disponi-bili. L’incertezza non è dunquecompatibile con l’approccio do-minante degli economisti. Que-sti hanno così dovuto aggirareil problema in qualche modo.Alcuni l’hanno fatto presuppo-nendo che gli agenti economiciabbiano una conoscenza perfet-ta del presente come del futuro.Altri hanno sostituito l’incertez-za, situazione nella quale pocosi sa dello stato futuro del mon-do, con il rischio, situazione incui si conosce la probabilità diciascun evento. In tal caso, an-che se il futuro non è conoscibi-le in dettaglio (nessuno cono-sce in anticipo il numero cheuscirà al prossimo giro di rou-lette), si può tuttavia deciderein base al «valore atteso» (laprobabilità di ciacuna combina-zione di numeri alla roulette èconosciuta, così che i guadagnimedi dei casinò possono essereprevisti).

Pochi economisti hanno in-vece accettato la sfida dell’in-certezza cercando di incorpo-rarla nel proprio modo di pen-sare. Tra questi vi sono alcuniesponenti della cosiddetta«Scuola Austriaca» (in partico-lare Friedrich Hayek), e soprat-tutto Keynes. Nei prossimi arti-coli di questa breve serie illu-streremo l’approccio di que-st’ultimo autore, non solo permostrarne l’originalità ma an-che per sottolineare come la ri-duzione del suo pensiero (adopera dell’accademia, ma an-che nell’opinione pubblica) auna concatenazione meccanicadi azioni e reazioni sia alquan-to riduttiva.

(Continua)

Mercoledì 19 aprile 2006ECONOMIA E POLITICAAZIONE17

NELLA FOTO: in alto, eco-nomisti sempre esitanti avisitare l’incertezza.

L’incertezza del tempoLa storia dell’economia caratterizzata dallo sforzo costante di esorcizzare il problema

K E Y N E S

Daniele Besomi

➀In occasione del cin-

quantesimo anniversariodella scomparsa di Key-nes, e del sessantesimodella pubblicazione del-la sua opera principale,la Teoria generale del-l’occupazione, dell’inte-resse e della moneta,proponiamo una rico-

struzione contestualizza-ta del suo pensiero cen-trata su un aspetto sotto-

valutato

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICICome rari sono gli economistiche si sono occupati di incer-tezza, sono scarsi anche i volu-mi sul soggetto. Tra questi sisegnalano C. SCHMIDT (a curadi), Uncertainty in economicthought, Cheltenham: E. ELGAR,1996; e E. F. M. WUBBEN, Mar-kets, uncertainty and decision-making: a history of the intro-duction of uncertainty into eco-nomics, [Amsterdam]: [ThesisPublishers], [1993]. Vi sono in-vece numerosi articoli su speci-fici contributi di questo e quel-l’economista sparpagliati in ri-viste specializzate.

F I N A N Z A

Il petrolio e l’Iran spingonol’oro e questo spinge un po’tutto. Nei giorni scorsi, ilprezzo dell’oro ha superato lasoglia «psicologica» dei 600dollari l’oncia, suffragando at-tese di altri prossimi balzi chequalcuno immagina presto a800. In pratica, l’oro è tornatoai prezzi del dicembre 1980,dopo però un precipizio attor-no ai 250 dollari. Il rincaro,

non viene dall’utilizzo del me-tallo, bensì dagli investitori fi-nanziari per ripararsi dalleminacce inflazionistiche. Ma,soprattutto, per cogliere l’oc-casione di una «mosconata»,ossia un rapido guadagno dif-ferenziale o speculativo. An-che se il rincaro, secondo leteorie, dovrebbe rispecchiarel’allarme che non c’è, pur seinquieta il crescere del costodel petrolio. Però l’economiamondiale cammina e s’atten-

de che la prossima riunionedel FMI ritocchi all’insù, perquest’anno, le previsioni dicrescita: dal 4,3% al 4,9%. Lastessa economia europea è inripresa. E le Borse, dopo ilcammino compiuto, promet-tono ancora. Pur senza veroallarme nel mondo, l’oro etutti i preziosi sono in tensio-ne rialzista alimentata, comeper le Borse e il resto, da con-tinui e consistenti flussi di de-naro mirante ad investirsi o a

«mosconare» con azioni,metalli preziosi, materieprime, case e immobili.Tutto con prezzi in rialzoper compere crescenti.Così, tutto aumenta, salvoi rendimenti delle obbliga-zioni e titoli a reddito fis-so, con strane dissonanzereddituali tra lungo e bre-ve termine. Mentre, peral-tro, le banche centralistanno lentamente rial-zando i tassi d’interesse infunzione anti-inflazioneda petrolio. Senza perògrandi effetti sul compor-tamento del denaro cheseguita a comprare di tut-to e a qualsiasi prezzo.

Perché nessuno presta atten-zione per esperti e specialistidei giornali, per autorevoliche siano. Ognuno, col pro-prio denaro fa come crede. Edi denaro, in giro, ce n’è tantoe che mira a moltiplicarsi, népare mai soddisfarsi.

Così, con tanto denaro e vo-glia di guadagnare semprepiù, si accentua vorticosamen-te la dinamica della moltipli-cazione permanente fine a séstessa. E ognuno crede di po-ter fare di più e meglio, senzaascolto di chicchessia. Esperti,testate autorevoli come «Fi-nancial Times» o «The Econo-mist» ecc. restano inascoltatie, se capita, sbeffeggiati. Vediil caso «Economist» per l’Ita-lia: dopo che 5 anni fa avevabollato Berlusconi come «ina-datto» a governare, nella scor-sa settimana, alla vigilia delleelezioni legislative nella vici-na repubblica, ha rincarato ladose con un grande «Basta»sotto la foto del premier italia-no, in copertina. Col risultatoche sappiamo. A conferma,appunto, dell’inascolto oltre-ché della contrarietà ai sugge-rimenti e magari ingerenze al-

trui. Secondo la logica predo-minante ed essenziale del de-naro che mira alla moltiplica-zione senza regole né frontie-re limitanti.

Come con la globalizzazio-ne, in sostanza, per cui sicompra dovunque e di tuttosenza delimitazioni, possibil-mente. E contro ogni parere ogiudizio o fondamento. Cosìsi compra oro mentre le ban-che centrali lo vendono. Lo sicompra in carta, certificato,come anche palladio o argen-to e così pure, per rame o ni-chel e altre materie prime: incarta. Carta che s’affianca alresto nei tanti rigonfi portafo-gli differenziati secondo crite-ri rigorosi: tanto in oro, tantoin acciaio, caffè, grano e ramee tanto in azioni e in case, invino e soja o chissà che, permeglio tutelarsi e difendersidalle incognite e dall’inflazio-ne, anzitutto. E tanto, natu-ralmente, anche in petrolio, ildiavolo attuale dell’inflazioneche desta apprensione. Ecomprandolo, il diavolo cre-sce di prezzo, cioè alimentasé stesso. E il cane si mangiala coda…

Goldor

L’oro, l’Economist e Berlusconi

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Nei primi anni del ventesimosecolo, mentre la scienza eco-nomica evitava accuratamentedi tener conto dell’incertezzafocalizzando sulla razionalitàdell’agire individuale, o al limi-te attribuiva ai problemi nellaformazione di corrette aspetta-tive il malfunzionamento cicli-co dell’economia, un giovanelaureato in matematica a Cam-bridge si accinge a scrivere unTrattato sulla probabilità le cuitesi si ritroveranno al cuoredella teoria che, a metà deglianni trenta, ha rivoluzionato lascienza economica e che ha po-sto le basi dell’approccio politi-co dei decenni successivi.

Il giovane in questione eraJohn Maynard Keynes (1883-1946): indirizzato verso gli stu-di economici da Alfred Mars-hall (l’economista di Cambrid-ge autore del manuale sui cui sisono formate generazioni distudenti, parte dei cui principisono ancora oggi utilizzati neicorsi elementari di economia),il Trattato sulla probabilità co-stituiva la tesi per il consegui-mento di una fellowship al Kin-g’s College. Sebbene pubblicatosolo nel 1921, la prima stesurarisale al 1906-1908, e ne tro-viamo degli echi nei primi sag-gi economici dell’autore.

In questa breve serie di arti-coli vedremo come il tema del-l’incertezza permei l’intera ope-ra keynesiana, tanto da poteressere assunto (senza, natural-mente, pretesa di esclusività)come chiave per la lettura delsuo pensiero. La constatazionedell’incertezza che permea l’a-gire economico induce Keynesa muovere da una teoria cogni-tiva e dell’azione in condizionidi conoscenza incompleta o as-sente. Ciò ha riflessi anche sul-la metodologia keynesiana,poiché chiama in questione ilcomplesso rapporto tra agireindividuale ed esiti collettivi,con le interferenze e i conflittiche ne derivano. L’incertezza èal cuore della teoria dell’inve-stimento di Keynes, della suaconcezione di moneta, dellateoria dell’interesse: in altri ter-mini, la si ritrova praticamenteovunque nell’apparato teoricodegli anni della piena maturitàdi Keynes. Infine, Keynes indi-vidua nell’incertezza la princi-pale causa di instabilità dei si-stemi economici, alla quale sipuò rimediare solo coinvolgen-do maggiormente le istituzioninella gestione dei sistemi eco-

nomici, per la salvaguardiastessa dell’individualismo caroal Keynes liberale.

Keynes nella percezionecomune…

Queste riflessioni Keynesianehanno come minimo il pregiodell’originalità, e quello di averaffrontato, anziché cercato dinegarli, i problemi legati allaconoscenza limitata di cui dis-pongono gli operatori economi-ci al momento di prendere ledecisioni da cui dipende nonsolo il loro destino individuale,ma anche quello dell’intera col-lettività. Eppure sono totalmen-te assenti tanto dalla vaga per-cezione che di Keynes si ha trail pubblico generico quanto, piùgravemente, dai manuali dieconomia su cui si formano glistudenti universitari – nella mi-sura in cui ancora ci si prendela briga di insegnare Keynes. Lapercezione comune si soffermaunicamente sulla «ricetta» key-nesiana di politica economica,nella migliore delle ipotesi ri-dotta brutalmente all’idea chelo Stato debba spendere in mo-menti di crisi per risollevare l’e-conomia e nella peggiore delleletture come causa di spesapubblica fine a se stessa, con-troproducente e inflattiva.

…e nei manualidi economia

Nei libri di testo universitarila situazione non è di molto mi-gliore. La rappresentazione piùfrequente ricorre a un diagram-ma con due curve, detto «IS-LM», elaborato da John Hicksnel 1937 e successivamente af-finato da vari autori, tra cuiModigliani e Tobin (tutti poi in-

signiti del premio Nobel). Ildiagramma riassume quattrorelazioni, riguardanti: risparmie reddito; investimento e inte-resse; reddito e domanda dimoneta per transazioni; tassodi interesse e domanda specula-tiva di moneta (vveeddii ffiigguurraa 11).

La prima curva, IS, rappre-senta l’equilibrio sul mercatodei beni: raggruppa l’insiemedelle combinazioni di interessee reddito che assicurano che irisparmi sono uguali all’investi-mento. La curva è inclinata ne-gativamente: un alto redditocomporta alti risparmi, e affin-ché gli investimenti possano es-sere altrettanto alti occorre cheil prezzo del capitale a prestito(cioè l’interesse) sia basso.

La seconda curva rappresental’equilibrio sul mercato dellamoneta. L’offerta è determinatadalla banca centrale, e in cia-scun momento è un dato (ma ènaturalmente soggetta a revi-sione, qualora cambiasse la po-litica monetaria). La domandadi moneta deriva dall’uso chese ne fa per il normale acquistodi beni e servizi (domanda pertransazioni), la quale dipendedal reddito a disposizione dellefamiglie e delle imprese. L’altracomponente della domanda dimoneta riflette ragioni specula-tive, e dipende dal tasso di inte-resse. L’argomento è un po’ piùcomplicato. Innanzitutto, il va-lore dei titoli a rendimento fisso(obbligazioni, in particolare)varia inversamente rispetto altasso di interesse. Al momentodell’emissione, il rendimentodelle obbligazioni (per esempio3%) deve essere uguale al tassod’interesse corrente: se fossemaggiore, tutti comprerebberotitoli, se fosse minore non licomprerebbe nessuno perchéconverrebbe prestare diretta-mente denaro. Se, dopo l’emis-sione, il tasso d’interesse salisse(per esempio al 5%), vi sarebbe

convenienza a vendere titoli(che rendono il 3%) per presta-re direttamente denaro (al5%). Ma nessuno vorrebbe ac-quistarli, e il loro valore scen-derebbe. Dunque, se l’interessesale, il valore dei titoli scende(e viceversa). Da qui nasce larelazione tra domanda specula-tiva di moneta e il tasso d’inte-resse: se questo è basso, al disotto del valore ritenuto «nor-male», gli speculatori si aspetta-no che salga; corrispondente-mente, si aspettano che scendail valore dei titoli. È dunque lo-ro convenienza anticipare ilmercato, vendere titoli e dete-nere moneta. La domanda spe-culativa è dunque alta quandoil tasso d’interesse è basso. Lacurva LM riunisce queste consi-derazioni.

Il bisogno di certezze

Il diagramma IS-LM, lo stru-mento didattico più utilizzatonei corsi universitari elementa-ri, è senz’altro molto elegante,ma presenta diversi problemiinterpretativi. Il più serio è cheriduce il pensiero keynesianoad uno schema di equilibrio si-multaneo. Quello che più ci in-teressa, comunque, è che que-sto schema riduce tutte le rela-zioni economiche a funzionimeccaniche. Ciò non solo tra-scura la ricchezza dei ragiona-menti keynesiani, molto piùsottili di un semplice «se au-menta l’offerta di moneta, allo-ra si riduce il saggio di interessee corrispondentemente aumen-tano il reddito e l’occupazione»(vveeddii ffiigguurraa 22), ma non tienealcun conto dell’incertezza. L’u-nico punto dove compaiono leaspettative è nella formazionedella domanda speculativa dimoneta, ma anche qui sono ri-dotte ad un operare meccanico(«se l’interesse è troppo alto, al-

lora si dovrà abbassare»), senzarendere conto di come questeaspettative si formino. Allo stes-so modo, per Keynes la relazio-ne tra investimento e saggio diinteresse non è meccanica e au-tomatica, ma ha a che vederecon la formazione delle aspet-tative degli imprenditori.

Tutto ciò, scompare dalloschema di Hicks, che ha costi-tuito il primo passo per la «nor-malizzazione» di Keynes: il suoapproccio, grazie a questa in-terpretazione, è stato ridotto acaso speciale della teoria eco-nomica dominante, quella cheKeynes invece rigettava. La cri-tica keynesiana è stata neutra-lizzata proprio rinunciando acogliere gli aspetti più innovati-vi della sua opera, e preciamen-te rinunciando a rendere contodi una caratteristica essenzialedell’agire economico: il fattoche avviene in condizioni di co-noscenza limitata e di inespun-gibile incertezza.

Nei prossimi articoli vedre-mo, seguendo lo sviluppo del-l’opera di Keynes nella sua cro-nologia, come invece l’incertez-za sia presente a tutti i livellidel suo pensiero, a partire dallasua prima opera, significativa-mente non una dissertazioneeconomica ma un Trattato sullaprobabilità.

(Continua)

Mercoledì 3 maggio 2006ECONOMIA E POLITICAAZIONE11

NELLE FIGURE: la rappre-sentazione della dottrinakeynesiana nei libri ditesto.

L’incertezza espulsaInterpretazioni riduttive lasciano in secondo piano un elemento importante della teoria

K E Y N E S

Daniele Besomi

➁In occasione del ses-

santesimo anniversariodella scomparsa di

Keynes, e del settantesi-mo della pubblicazionedella sua opera princi-pale, la «Teoria genera-

le dell’occupazione,dell’interesse e della

moneta», abbiamo ini-ziato una ricostruzionecontestualizzata del suopensiero centrata su unaspetto sottovalutato.La puntata precedenteè stata pubblicata il 19

aprile

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICIL’articolo di Hicks che ha datoorigine all’interpretazione diKeynes qui discussa, originaria-mente pubblicato in Econome-trica nel 1937, è tradotto come«Keynes e i “classici”: suggeri-mento di una interpretazione»,in Problemi di macroeconomia,a cura di M.G. MÜLLER, Milano:ETAS 1968. Diversi studi suquesto modello sono raccolti inM. DE VROEY e K. D. HOOVER,The IS-LM model: Its rise, fall,and strange persistence, DukeUniversity Press, 2004.

FIGURA 1 FIGURA 2

UNA PRECISAZIONEA causa di una svistanel 1. articolo di que-sta serie, si sono inseri-ti dei dati errati. Per laprecisione quest’annoricorrono 60 anni dal-la morte di Keynes (av-venuta il 21 aprile1946, all’età di 62 an-ni) e 70 anni dallapubblicazione della«Teoria generale»(uscita nel febbraio1936).

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Abbiamo preannunciato che ilprimo scritto accademico diKeynes era un Trattato sullaprobabilità. Nonostante sia sta-ta considerata per decenniun’opera estranea al percorsokeynesiano, quando sono statiaperti gli archivi con la sua cor-rispondenza e i suoi saggi ine-diti, l’importanza di questo te-sto in rapporto alla metodolo-gia di Keynes è ben presto dive-nuta evidente. La questione ènaturalmente complessa, ma al-cuni punti vanno sottolineati.In primo luogo, la trattazionedi Keynes sul tema della proba-bilità si distanzia dalle interpre-tazioni comuni dell’argomento,in particolare da quella «fre-quentista», secondo la quale laprobabilità è il rapporto tra lafrequenza dei casi favorevoli ri-spetto ai casi possibili (peresempio, la probabilità che siverifichi un «3» lanciando undado è 1/6: ci aspettiamo cioèche su un grande numero dilanci il risultato «3» si verifichiin un sesto dei casi), rapportoverso cui tende il verificarsi de-gli eventi al crescere del nume-ro di tentativi.

Probabilità e logica

Keynes, infatti, più che dieventi si occupa di proposizioni,e il suo interesse è più per la lo-

gica che non per le relazioniempiriche: la probabilità riguar-da il confronto tra l’evidenza afavore e contro una certa propo-sizione, è una misura del «gradodi credenza razionale» in unaproposizione. Per esempio, oc-cupandosi della probabilità chedomani piova Keynes non sipreoccupa tanto della probabili-tà come è data dai meteorologi,quanto piuttosto del problemadi chi deve decidere se portarel’ombrello, sulla base delle in-formazioni di cui dispone (partedelle quali sono date dalle pre-visioni meteo, altre dall’osserva-zione delle rondini e altre anco-ra da sensazioni fisiche che al-cuni percepiscono).

Keynes riconosce che vi pos-sono essere argomentazioni più«pesanti» di altre, poiché basatesu una maggiore evidenza, os-sia su conoscenza rilevante ad-dizionale, di natura fattuale oipotetica. Nel formulare unaproposizione occorre dunquetener conto sia della probabilitàdi un argomento che del suopeso, così che un giudizio puòcambiare se si acquisisce nuovaconoscenza. La probabilità èdunque in un certo senso sog-gettiva, poiché dipende dalleinformazioni di cui un certo in-dividuo dispone e dal peso cheattribuisce loro. Tuttavia, datala conoscenza della situazione,l’argomentazione è razionale, ela probabilità assume un con-notato logico.

Logico, ma non matematico.In generale, infatti, né la proba-bilità né il peso dell’argomentosono misurabili e neppure siste-mabili in ordine di grandezza:il problema non risiede nellanostra concreta incapacità diassegnare un preciso valore nu-merico alla probabilità o al pe-so dell’argomento, ma nell’in-trinseca impossibilità di asse-gnare un valore numerico al pe-so dell’evidenza portata a favo-re di un certo argomento. Key-nes considera diversi casi esem-plificativi, ma per convincerse-ne basta pensare al caso in cuirelativamente ad una certa pro-posizione vengono portati argo-menti di tipo diverso (peresempio un’argomentazioneeconomica e una etica), oppurese sono a disposizione informa-zioni contrastanti (il barometrosegna pressione alta ma vi sononuvole nere).

Ciò che l’investitore credeche sia ragionevole

Conclusa la prima stesuradel Trattato sulla probabilità,Keynes trova facilmente un fer-tile campo di applicazione perle sue riflessioni: la teoria del-l’investimento. Gli investitori sitrovano ad operare in condi-zioni di incertezza: non diignoranza totale, poiché dis-pongono comunque di infor-mazioni a partire dalle qualipossono basare una valutazio-ne, ma neppure di conoscenzaperfetta.

In un articolo del 1910 su«Great Britain’s Foreign Invest-ment», Keynes sottolinea l’irri-ducibilità delle decisioni di inve-stimento ad una formulazioneastratta o a regole di comporta-mento codificate una volta pertutte. Mentre tra gli economistisi stava affermando la tendenzaa ricondurre le decisioni di inve-stimento ad una funzione (spes-so letteralmente una funzionematematica) di un numero ri-stretto di variabili, tra le quali ilsaggio di interesse ha un’impor-tanza predominante, Keynes ri-tiene che «nessuna regola mate-

matica può essere indicata circail preciso compromesso che de-ve essere stabilito tra il timoredella perdita e il desiderio di unalto saggio di interesse». Oltre alsaggio di interesse, Keynes in-clude tra le determinanti delledecisioni di investimento il tipoe grado di rischio, «la facilitàcon cui il capitale investito puòessere recuperato» (in terminimoderni diremmo la liquiditàdell’investimento: qui Keynesdiscuteva degli investimentiesteri in titoli), e «il desiderio dipromuovere cause o imprese perragioni diverse dalla ricerca delprofitto». Queste considerazioni,tuttavia, non sono valutate inassoluto, come variabili numeri-camente modificabili, ma sonofiltrate da ciò che gli investitoripensano al loro proposito. Il ri-schio, in particolare, «non è il ri-schio reale, misurato dal rendi-mento medio effettivo dellaclasse di investimenti nel perio-do di tempo cui si riferiscel’aspettativa, ma il rischio comestimato dall’investitore, non im-porta se saggiamente o in modofolle». Si tratta dunque di un ri-schio soggettivo, «la cui gran-dezza in gran parte dipende dal-la quantità di informazioni rile-

vanti riguardanti l’investimentoche sono facilmente accessibiliall’investitore. Ciò che sarebbeun investimento rischioso peruno speculatore ignorante puòessere eccezionalmente sicuroper l’esperto bene informato.L’ammontare di rischio per uninvestitore dipende in primoluogo dal grado della sua igno-ranza rispetto alle circostanze ealle prospettive dell’investimen-to che egli sta considerando».

Keynes introduce ancheun’ulteriore distinzione riguar-do al rischio, oltre a quella trarischio oggettivo e soggettivo:tra «rischio fisico» e «rischiomorale». Due progetti di inve-stimento, che diano rispettiva-mente la certezza di un profittodel 4% e una uguale possibilitàdi reddito nullo o di profittodell’8%, sebbene siano identiciquanto a valore medio del red-dito non sono equivalentiquanto a rischio dell’impresa.La scelta tra simili opzioni nonpuò essere ricondotta a unaformula matematica, ma fini-sce per risultare un compro-messo che riflette la propensio-ne al rischio di ciascun impren-ditore: vi sarà chi preferisce ri-schiare pur di ottenere un pro-fitto maggiore, e vi sarà chipreferisce scegliere la linea piùprudente ed accontantarsi diun profitto minore ma certo. Il«rischio morale» è quello asso-ciato alla probabilità che il pro-getto non vada in porto, la cuivalutazione a sua volta dipen-de dallo stato mentale dell’in-vestitore.

La logica che guida l’investi-mento, allora, non è il calcoloeconomico-matematico, ma èdettata dalle abitudini sociali,dai valori comuni, dalle istitu-zioni e dalle convenzioni: «Leaspettative di reddito dipendo-no spesso dalla moda, dallapubblicità, o da ondate pura-mente irrazionali di ottimismoo depressione». Ciò non signifi-ca che le decisioni siano irrazio-nali, ma solamente che in con-dizioni di conoscenza limitatal’investimento è determinato«non da ciò che è effettivamen-te ragionevole, ma da ciò chel’investitore medio crede sia ra-gionevole».

Martedì 16 maggio 2006ECONOMIA E POLITICAAZIONE19

NELLE FOTO: in alto e ac-canto, anche se in mododiverso il gioco d’azzar-do e la speculazione fi-nanziaria si confrontanocon le leggi della proba-bilità; in basso, l’oro ealtri metalli preziosi sonotornati al centro dell’inte-resse degli investitori.

Incertezza e decisioni di investimentoLa ragionevolezza delle scelte dipende dall’attitudine del singolo alla valutazione del rischio

K E Y N E S

Daniele Besomi

➂In occasione del ses-

santesimo anniversariodella scomparsa di

Keynes, e del settantesi-mo della pubblicazionedella sua opera princi-pale, la «Teoria genera-

le dell’occupazione,dell’interesse e della

moneta», abbiamo ini-ziato una ricostruzionecontestualizzata del suopensiero centrata su unaspetto sottovalutato. Lepuntate precedenti so-no state pubblicate il

19 aprile e il 3 maggio

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICIIl Trattato sulla probabilità,originariamente pubblicato aLondra nel 1921, è tradotto initaliano dalla CLUEB di Bolo-gna (1994). I passaggi qui cita-ti sono tuttavia tradotti diret-tamente dall’edizione nei Col-lected Writings di KEYNES, vol.VIII. L’articolo «Great Britain’sForeign Investment», è statopubblicato in New Quarterly,febbraio 1910; l’edizione quiutilizzata è quella ripresa neiCollected Writings, vol. XV,pp. 44–59.

F I N A N Z A

L’economia mondiale gira cheè una bellezza, come ha con-fermato anche il «G-10» deigiorni scorsi. E le Borse vol-teggiano sui massimi, sospinteanche dai risultati di molteimprese, negli Stati Uniti e inEuropa. Gira e rigira, si molti-plicano i guadagni e moltiquattrini sono sempre alla ri-cerca affannosa di investimen-ti maggiormente remunerati-vi. Puntano sulle azioni, unpo’ meno sulle obbligazioni,ed anche sull’oro che avendobruciato quota 600 dollari peroncia, adesso s’appresterebbea sfondare i 750, avvicinando-si al massimo storico degli840 dollari ogni 30,10 gram-mi di metallo (ossia un’on-cia). Oro, perché si teme l’in-flazione e dicono che sia unottimo «rifugio».

Però c’è chi la spiega diver-samente: tutto sarebbe legatoall’assurdo prezzo che prima opoi, dovrebbe rivalutare l’oro,portandolo almeno a 3500 senon a 5000 dollari per oncia.Questo sarebbe l’obiettivo a

cui puntano certi grandi inve-stitori internazionali. Altroche oro «rifugio anti-inflazio-ne»! Pertanto, salgono l’oroed anche altri metalli preziosi:platino, palladio e, prima an-cora, argento. Di cui, nei gior-ni scorsi, è stato lanciato aWall Street un primo «trac-ker» o ETF (Exchange TradedFund) che replica esattamentel’andamento del prezzo delmetallo fisico. Così, compran-dolo anche in taglie di sommamodesta, è come investire nel-l’argento. Dall’inizio dell’an-no, è passato da 8 a quasi 15dollari l’oncia per l’insistenzadei compratori che ora, colnuovo «strumento», stannomoltiplicandosi.

Idem in Europa ed Americaanche per gli altri metalli pre-ziosi e diverse materie prime:zinco, nickel, rame, alluminioecc. Tutto rappresentato incarta e «strumenti», per cuitutto si può comprare e riven-dere rapidamente, come azio-ni e obbligazioni, lucrandosulle differenze di prezzo.Azioni, obbligazioni e «deriva-ti» come metalli preziosi e

commodity, tutto serve a farfruttare risparmi e capitalid’impiego, spesso gestiti dahedge funds o fondi speculati-vi. Ma esistono anche fondid’altro tipo e investitori diogni genere, che «montano lapanna» della speculazione sututto quello che sale e scendedi prezzo. È la finanziarizza-zione universale di tutto quelche si muove, dall’oro alla col-za e altri cereali, passando perferro, alluminio o rame.

Quest’ultimo è ora in verti-ginosa ascesa: dall’inizio del-l’anno, ha guadagnato il 75%arrivando, qualche giorno fa,a 7650 dollari la tonnellata.Ma, niente paura, non occorretanto. Se ne può comprare an-che una piccola frazione «incarta» e goderne ugualmentela crescita. Difatti, dicono cheora si sia formata una «bolla»speculativa attorno al rame, ilcui mercato sarebbe alimenta-to soltanto per il 20% da com-pratori effettivi del metallo dautilizzare industrialmente,mentre il restante 80% sareb-be composto da operatori fi-nanziari che mirano a mone-

tizzare rapidamente le diffe-renze di prezzo. Molti oras’aspettano che la «bolla» sisgonfi di almeno un 20% perrealizzi differenziali. Per poiriprendere a gonfiarsi. Perché,sostengono gli esperti, il rameè come il petrolio e tutto quel-lo che si produce, si consuma.Basta niente per farne sobbal-zare il mercato, sollecitandola domanda. Ultimamente,avrebbero infiammato il prez-zo del rame, gli scioperi nelle

miniere messicane e il minorerendimento del minerale cile-no e di altre miniere sparsenel mondo. Tanto che i ma-gazzini del London Metal Ex-change, seguitano a registrareriduzioni degli stock, alimen-tando conseguenti richiesteche spingono i prezzi semprepiù sù. E la giostra continuaper commodities, oro, argentoecc. Tutto si spiega con le«leggi» di mercato o siamo al-la frenastenia?

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Rame, argento, oro… frenastenia?

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Negli scritti giovanili di Keynes,redatti all’epoca della stesuradel Trattato sulle probabilità, sitrovano anticipazioni del pen-siero successivo di Keynes aproposito dell’influenza dell’in-certezza sull’agire economico.

Incertezza e instabilità

In primo luogo, il comporta-mento convenzionale seguitodagli investitori per fronteggia-re la limitatezza delle informa-zioni di cui dispongono consi-ste in particolare in una con-dotta imitativa: poiché l’inve-stitore è consapevole dei limitidella propria conoscenza, cia-scuno di loro tende ad attribui-re all’opinione media una co-noscenza migliore di quella cheha lui stesso, e nel suo compor-tamento segue questa opinionemedia. Questo è un elementodi instabilità del sistema, poi-ché se l’opinione media mutagli imprenditori seguono e ac-celerano questo cambiamento:nasce così la possibilità che siformino ondate di ottimismo odi pessimismo generalizzato.Qui Keynes vede, già primadella prima guerra mondiale,una spiegazione delle crisi eco-nomiche. In alcune note mano-scritte sulle crisi commerciali,Keynes sottolinea come «puri esemplici errori di calcolo daparte degli imprenditori» ten-dano a cumularsi (anziché an-nullarsi reciprocamente), gene-rando ondate di pessimismo eottimismo.

La seconda osservazione diKeynes riguarda i diversi gradidi propensione al rischio daparte di imprenditori e specula-tori: in generale gli imprendito-ri sono relativamente avversi alrischio rispetto agli speculatori,e preferiscono dunque i proget-ti di investimento a propositodei quali dispongono di suffi-cienti informazioni. Keynes netrae l’ovvia implicazione: in unmondo incerto, la speculazionegode di un vantaggio relativorispetto all’imprenditorialità;gli speculatori, anzi, individui

dotati in generale di buone co-noscenze sullo stato dell’econo-mia, traggono vantaggio pro-prio dall’anticipazione del com-portamento imitativo degli im-prenditori, accrescendo cosìl’instabilità del sistema.

La speculazione

L’analsi della speculazione èsviluppata nelle lezioni sulla fi-nanza delle compagnie e sullaborsa, tenute a Cambridge nel1910, nel quale Keynes delineaaltri dei temi che saranno ap-profonditi nelle opere dellamaturità.

Lo speculatore è esplicita-mente definito come «una per-sona che tenta di conseguire unprofitto per mezzo di una capa-cità superiore all’ordinario diprevedere il futuro», capacitàche deriva da una migliore co-noscenza della situazione speci-fica rispetto a quanto sia in gra-do di fare il mercato. Questa ca-ratterizzazione dello speculato-re rispetto al mercato ha unavalenza cognitiva, non etica, enon è difficile riconoscere comesi rifaccia alla riflessione diKeynes sulla probabilità: «la ca-ratteristica essenziale della spe-culazione è, a mio parere, ilpossesso di una conoscenza su-periore. Per rischio di un inve-stimento non si intende il suofuturo rendimento: si intende ilgrado di probabilità del rendi-mento atteso. La probabilità di-pende dal grado di conoscenza.Ciò che sarebbe un puro azzar-do per qualcuno potrebbe esse-re una solida speculazione perun altro».

L’attività di speculazione tro-va un senso dall’esistenza di in-certezza sul futuro, cioè di co-noscenza limitata; e l’incertez-za nasce dal fatto che i mercatisono soggetti a continui cam-biamenti: «la speculazione pro-spera soprattutto nei mercatinaturalmente soggetti a flut-tuazioni». La seconda condizio-ne è che ai mercati partecipinoun gran numero di operatoriignoranti, così che gli specula-tori possano far valere la loroconoscenza superiore: «senza

gente con conoscenzainsufficiente come po-trebbe guadagnare ilpossessore di conoscen-za superiore?»

Quali sono le conse-guenze della presenza dispeculatori sul mercato?Alcune sono positive, al-tre no. Tra le prime, Key-nes indica il fatto che glispeculatori, essendo do-tati di informazioni accu-rate, in un certo sensocontribuiscono ad accre-scere la conoscenza com-plessiva, con vantaggionon solo per lo specula-tore ma anche del pub-blico. D’altra parte, poi-ché la speculazione abbi-sogna di fluttuazioni, sicrea un conflitto tra gliinteressi degli speculato-ri, che prosperano quan-do i mercati sono volati-li, e l’interesse generaledi un mercato stabile. Lefluttuazioni, peraltro,possono essere indottenon da cause reali, mada voci false, diffuse ma-gari dagli speculatoristessi, purché gli opera-tori le credano vere:«L’attività dei mercatispeculativi dipende dall’esisten-za e dalla creazione di fluttua-zioni. L’interesse personale del-la classe degli speculatori non èfavorito da una crescente stabi-lità dei mercati. Diffusione difalse voci. Possibile ragionevo-lezza nell’agire in risposta a talivoci, nelle quali un operatorenon crede personalmente, setuttavia pensa che in generaleci si creda.

Gli speculatori, dunque, han-no due livelli di credenze: quel-le basate sulla conoscenza con-creta della situazione, e quellebasate sul modo in cui il merca-to risponde alle informazioniche sono diffuse. Da queste mo-dalità, peraltro, nascono i mo-menti di panico, dovuti all’au-to-verificarsi di qualsiasi cre-denza sostenuta dalla maggio-ranza indipendentemente dallasua verità: «Natura di un pani-co in borsa. Un pericolo nonreale, nel quale nessuno crede,

può diventare reale se ciascunocrede che ciascun altro agiràcome se il pericolo fosse reale.Esempio del panico che si puòcreare in una stanza».

Un ulteriore aspetto negativodella speculazione è che ostaco-la l’investimento in beni capita-li. Se la speculazione determinai prezzi in una sezione del mer-cato, l’effetto è subito da tutti,dal momento che la quantità diazioni sul mercato è data. «Cosìil mercato che fissa i prezzi deititoli è diventato l’influenza do-minante per quanto riguardal’investimento»; se il prezzospeculativo è al rialzo, aumen-tano anche i costi degli investi-menti per beni capitali, che ri-sultano dunque disincentivati.

Lo stato della ricerca keyne-siana alla vigilia della primaguerra mondiale può essere ri-assunto in termini del rapportofra incertezza, instabilità delcapitalismo, e incapacità di

quest’ultimo di mantenere lapiena occupazione: «Per Key-nes tra le cause fondamentalidel malfunzionamento delmercato sta l’incertezza. Lacondizione di ignoranza sul fu-turo remoto, o rende del tuttoimpossibile agli individui laformazione di giudizi ragione-voli sui risultati dell’azione,oppure li induce a nutrire scar-sa fiducia nel loro stesso giudi-zio sulle conseguenze imme-diate. Perciò gli individui siuniformano all’opinione mediao si rifugiano nelle convenzio-ni. Qui sta l’origine sia della ri-nuncia a investire, e conse-guentemente di un impiegodelle risorse disponibili nell’e-conomia inferiore alle poten-zialità, sia del comportamentospeculativo da parte di chi,avendo conoscenza e abilitàsuperiori alla media, può sfrut-tare questo comportamentoimitativo a proprio vantaggio,ma con effetti destabilizzantiper l’economia nel complesso».

Negli anni successivi Keynessi è preoccupato di sviluppareulteriormente queste conside-razioni, di esaminarne le im-plicazioni e di proporre ade-guati rimedi, senza omettere didarne una contestualizzazionepolitica.

(Continua)

Martedì 30 maggio 2006ECONOMIA E POLITICAAZIONE19

NELLA FOTO: wwww

Azzardo o solido investimento?Gli speculatori traggono vantaggio dall’insicurezza degli altri investitori, condizionati dalla prudenza

K E Y N E S

Daniele Besomi

➃In occasione del ses-

santesimo anniversariodella scomparsa di

Keynes, e del settantesi-mo della pubblicazionedella sua opera princi-pale, la «Teoria genera-

le dell’occupazione,dell’interesse e della

moneta», abbiamo ini-ziato una ricostruzionecontestualizzata del suopensiero centrata su unaspetto sottovalutato. Lepuntate precedenti so-no state pubblicate il19 aprile, il 3 e il 16

maggio

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICII testi giovanili di Keynes cuisi fa riferimento sono: «Bri-tain’s Foreign Investment»del 1910, ripubblicato inCollected Writings of JohnMaynard Keynes, vol. XV,pp. 44-59. «Notes on Com-mercial Crises», inedito, nondatato, attribuito al periodo1909-11, conservato in Kin-g’s College Archives, Cam-bridge, JMK UA/6/21. Le le-zioni sulla borsa sono notemanoscritte, King’s College,Cambridge, UA/6/3 (qui sisegue la discussione di A.CARABELLI, «Speculation andReasonableness: a Non-Ba-yesian Theory of Rationa-lity», in S.C. DOW e J. HIL-LARD, Keynes, Uncertaintyand the Global Economy,Cheltenham: Elgar, 2002,pp. 165-85). Il passaggio fi-nale è tratto da A. CARABELLIe N. DE VECCHI, «Where toDraw the Line? Keynes vs.Hayek on Knowledge, Ethicsand Economics», EuropeanJournal of the History ofEconomic Thought 6:2,1999, pp. 287-8.

F I N A N Z A

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Nella discussione sulle Conse-guenze economiche della pace(1919), l’opera che lo ha resomondialmente famoso comepubblicista prima che come eco-nomista, Keynes notava che larapida crescita economica dellaseconda metà dell’ottocento di-pendeva da un doppio bluff: dauna parte le classi lavoratrici ac-cettavano, per tradizione, perignoranza o perché obbligate,che la parte migliore della tortache producevano andasse ad al-tri. La classe dei capitalisti, daparte sua, si appropriava di que-sta parte, ma con il tacito accor-do che ne consumasse solo unapiccola parte per investire il re-sto. Il «dovere» di risparmiarediventava una virtù, e la crescitaoggetto di una vera religione. Latorta si ingrandiva, ma non erachiaro quale ne fosse lo scopoultimo: in teoria i risparmi era-no per i figli o per la vecchiaia,ma in realtà la virtù della tortaconsisteva nel non essere maimangiata.

Come Keynes aveva previsto, ilconflitto mondiale ha rotto que-sto magico meccanismo. Occor-reva dunque comprendere laportata del fenomeno, e comin-ciare a prospettare dei rimedi.

Le conseguenzeeconomiche e sociali

dell’instabilità

Nel trattato su La riforma mo-netaria, pubblicato nel 1923,Keynes dedica un capitolo alleconseguenze sociali dell’instabi-lità monetaria. Questo problemaera centrale nella teoria econo-mica del tempo: buona parte de-gli autori concepiva infatti laquestione delle oscillazioni eco-nomiche in termini di fluttuazio-ni dei prezzi, e Keynes non costi-tuiva un’eccezione (pochi annipiù tardi proprio Keynes avrebbecontribuito a riorientare l’atten-zione verso le quantità prodottee il reddito). Allo stesso tempo, ilproblema aveva una rilevanzapratica fondamentale, viste leviolente oscillazioni dei prezzinel primo dopoguerra, sia versol’alto (l’inflazione tra il 1914 e il1920, e per alcuni paesi anche inseguito) che verso il basso (ladeflazione che ha toccato i paesiche hanno riassettato la loro si-tuazione finanziaria).

Keynes osserva che se una va-

riazione nel valore della mone-ta avvenisse in modo uniforme(per esempio, se tutti i prezzi, isalari, le rendite, ecc. raddop-piassero), nessuno ne risenti-rebbe. I cambiamenti, tuttavia,non sono uniformi: certi prezzie certe remunerazioni sono piùrigidi di altri, così che un cam-biamento nel valore della mo-neta «generalmente si ripercuo-te sulle diverse classi sociali inmodo non uniforme: trasferiscericchezza dall’una all’altra, por-ta qui l’abbondanza e là ristret-tezze, e redistribuisce i favoridella fortuna, smentendo previ-sioni e deludendo speranze».

Keynes nota come il lungo pe-riodo di stabilità del valore deldenaro protrattosi per buonaparte del XIX secolo avesse favo-rito il proliferare di contratti dicredito stipulati in termini disomme fisse, cosa che a sua vol-ta ha consolidato la separazionetra classe degli investitori e deirisparmiatori, «con interessi inparte divergenti» (anche se, na-turalmente, al livello individua-le vi è una certa sovrapposizio-ne, poiché alcuni uomini d’affa-ri sono contemporaneamenteanche risparmiatori). L’investi-mento ha dunque potuto appog-giarsi non solo sul risparmio de-gli imprenditori, ma anche diuna fetta relativamente ampiadella popolazione. In periodi difluttuazione dei prezzi, però, ilvalore reale del credito e del de-bito muta: con la forte inflazio-ne del periodo bellico e deglianni immediatamente successi-vi, i contratti basati su sommefisse di denaro hanno compor-tato notevoli perdite per i credi-tori e un corrispondente deprez-zamento dei debiti. Questi fatti,dunque, «hanno di molto dimi-nuito il valore reale degli averidella classe risparmiatrice».Scrive Keynes: «In tutto il conti-nente europeo quella parte deirisparmi prebellici delle classimedie che era investita in obbli-gazioni, ipoteche o depositibancari, è stata interamente, oquasi, annullata. Indubbiamen-te questa esperienza dovrà mo-dificare la psicologia sociale neiriguardi della pratica del rispar-mio e dell’investimento. Ciò chesi credeva più sicuro si è dimo-strato incertissimo. Chi nonspendeva né “speculava”, chi“provvedeva all’avvenire dellafamiglia”, chi innalzava inni allaprevidenza ed osservava rigida-mente i precetti della moralepiù edificante e i comandamenti

dei più prudenti finan-zieri, chi, invero, menosi affidò alla fortuna,dalla fortuna fu più du-ramente colpito».

L’inflazione su vastascala non solo diminui-sce «la capacità di ri-sparmio della classe ri-sparmiatrice», ma in-tacca anche «quell’at-mosfera di fiducia che ècondizione necessariadella volontà di rispar-miare». L’instabilità delvalore della moneta,dunque, oltre a com-portare effetti imme-diati costituisce unaminaccia al modo stes-so di funzionare dei sistemieconomici come si è costituitonel corso della stabilità deiprezzi nel XIX. secolo.

Da imprenditoria speculatori

Gli imprenditori hanno benefi-ciato della contropartita delleperdite dei risparmiatori. Inoltrehanno anche tratto profitto dal-l’aumento dei prezzi intercorsotra l’inizio della produzione e lacommercializzazione del prodot-to: le scorte, in particolare, sonoaumentate di valore, così che «inperiodi simili diventa troppo fa-cile fare il commerciante. Chiun-que sia in grado di farsi prestaredel denaro, se non è proprio per-seguitato dalla sorte, non puònon realizzare un profitto, purnon avendo fatto nulla per meri-tarlo». L’instabilità del valoredella moneta apre così lo spazioalla speculazione che accresceulteriormente l’instabilità stessa:«il continuo godimento di taliprofitti induce a confidare nel lo-ro ripetersi. Se il mercato preve-de che i prezzi continueranno asalire, è naturale che stocks dimerci vengano tenuti da specu-latori al rialzo, e per un certotempo il rialzo può avveniresemplicemente perché si credeche esso avverrà, e quindi si ef-fettuano acquisti speculativi».Ora, anche se l’imprenditore nonha cercato questi eccessivi gua-dagni, una volta che li ottiene«non è disposto a rinunciarvi fa-cilmente, ed è pronto a lottareper conservare il suo bottino».Ciò va a discapito dell’imprendi-torialità, poiché aiuta a trasfor-mare l’uomo d’affari («propulso-re della società e costruttore del-

l’avvenire») in speculatore. Ciò èdannoso per la società nel suoinsieme: la prospettiva dello spe-culatore si volge più verso il lau-to guadagno immediato «chenon ai profitti minori ma perma-nenti degli affari normali».

L’inflazione, dunque, «scorag-gia gli investimenti» e «scredital’impresa»: «Se si trasforma l’uo-mo d’affari in un profittatore, sicolpisce il capitalismo, perché sidistrugge l’equilibrio psicologicoche rende possibile il mantenersidell’ineguaglianza dei guadagni.La dottrina economica dei profit-ti normali della quale ognuno hauna vaga coscienza è condizionenecessaria per giustificare il ca-pitalismo. L’uomo d’affari puòessere tollerato solo in quanto isuoi guadagni abbiano qualcherapporto con ciò che, all’ingrossoe in un certo senso, la sua operaha reso alla società».

I salariati, infine, vedono ipropri guadagni diminuire inperiodi di prezzi crescenti e au-mentare in periodi di deflazio-ne, poiché i salari tendono a va-riare più lentamente dei prezzi.Tuttavia gli abnormi profitti chesi verificano durante l’inflazio-ne permettono talvolta ai lavo-ratori di migliorare la loro posi-zione, approfittando del discre-dito degli speculatori nell’opi-nione pubblica.

Inflazionee timore dell’inflazione

Se questi sono gli effetti delverificarsi delle fluttuazioni deiprezzi, Keynes sottolinea chebasta il timore generale (nonimporta se esso sia ragionevoleo meno) di queste fluttuazioniper generare scompensi genera-

lizzati nell’attività pro-duttiva: «Se, per unqualsiasi motivo, ilmondo degli affari pre-vede, a torto o a ragio-ne, una diminuzionedei prezzi, il meccani-smo della produzionetende ad essere para-lizzato; se invece è pre-visto un aumento deiprezzi, quel meccani-smo tende ad un’attivi-tà eccessiva».Ciò avviene perché laclasse dei produttori,anticipando le conse-guenze del cambiamen-to, si comporta in modotale da ridurre al mini-

mo le perdite o da cogliere ilmassimo dei guadagni, perquanto ciò non torni a beneficiodella società intera ma anzi co-stituisca un danno. Keynes sotto-linea che non è questione di in-famia: si tratta di un fenomenoche «ha radici profonde nei ca-ratteri peculiari dell’attuale orga-nizzazione economica della so-cietà» (pp. 30-31). Poiché «du-rante il lento processo della pro-duzione gli industriali sborsanodel denaro per i salari e le altrespese della produzione, nellaaspettativa di recuperarlo piùtardi vendendo per denaro ilprodotto», che lo desiderino omeno i produttori sono costrettia sostenere una posizione specu-lativa (anche se gli speculatori diprofessione li sollevano di partedel rischio).

Keynes vede nei violenti movi-menti oscillatori della produzio-ne, che non sono altro che leconseguenze cumulative di que-sto stato di cose, una «malattiamortale dell’individualismo», cuioccorre porre rimedio. Lo scopodel trattato su La riforma mone-taria è convincere i conservatoriin campo monetario, e coloroche ritengono che sia impossibiletrattare scientificamente le que-stioni monetarie che «non è pru-dente né equo lasciar coesisterel’organizzazione sociale svilup-patasi nel secolo decimonono (etuttora vigente) con la praticadel laissez-faire riguardo al valo-re della moneta. Non è vero chela nostra vecchia organizzazioneabbia funzionato bene». Occorrericonoscere, sostiene Keynes,che «l’inflazione è ingiusta e ladeflazione dannosa», che «l’unoe l’altro sono mali da evitare», eche «il capitalismo individualisti-co, appunto perché affida la fun-zione di risparmiare ai singoli ri-sparmiatori e la funzione di pro-durre ai singoli industriali, pre-suppone una stabile unità di mi-sura del valore, e non può essereefficiente – forse non può so-pravvivere – senza di essa». «Perquesti gravi motivi dobbiamo li-berarci dalla profonda diffidenzache si prova contro le propostedi regolare la moneta con deci-sioni ragionate. Non possiamopiù permetterci di lasciarla inquella categoria le cui caratteri-stiche sono comuni alla pioggia,alla natalità, alla Costituzione;cose che vengono regolate dacause naturali, o che sono la ri-sultante dell’azione di molti indi-vidui che agiscono indipenden-temente l’uno dall’altro, o chepossono essere cambiate solo dauna rivoluzione». (Continua)

Martedì 13 giugno 2006ECONOMIA E POLITICAAZIONE19

NELLA FOTO: le trappoleservono anche a intimidi-re chi pensa più a inve-stire che a speculare.

La malattia mortale del capitalismoIncertezza e speculazione minano l’efficienza del capitalismo individualista

K E Y N E S

Daniele Besomi

RRIIFFEERRIIMMEENNTTII BBIIBBLLIIOOGGRRAAFFIICCIILe Conseguenze economichedella pace (London, 1919) èstato tradotto in italiano perTreves, Milano 1920; il passag-gio evocato si trova nel cap. 2.

La riforma monetaria (London1923) è stata tradotta da PieroSraffa, e pubblicata dapprimaper Treves, Milano, 1925, poi daFeltrinelli, 1975. I passaggi citatisi trovano nel cap. 2. Afferma-zioni simili si ritrovano in altriscritti keynesiani dell’epoca.

F I N A N Z A

Fra ricadute e rimbalzi, crescel’ansia da listino, pur se le Bor-se fanno a sé e si comprano evendono, tra loro. Le Borseamericane comprano quelleeuropee. Forse, in funzione in-tegrativa, ma per intanto nell’e-vidente interesse dei controllo-ri-azionisti, cioè diversi Fondidi investimento. Così, le Borserisultano sempre più al serviziodi sé stesse e non del «sistema»economico. È, infatti, partita lacaccia grossa delle Borse-im-prese, che gestiscono i mercatifinanziari, nei cui listini sonoesse medesime quotate, senzache si escludano conflitti di in-teresse. Le maggiori, predanole minori. Il NYSE (New YorkStock Exchange) e il Nasdaq, ledue Borse di New York, miranorispettivamente a Euronext e

LSE. Euronext è la rete formatadalle Borse di Parigi, Amster-dam, Burxelles, Lisbona e ilLIFFE, mercato a termine londi-nese. Il London Stock Exchange(LSE) è la Borsa di Londra. Na-sdaq, invece, è la Borsa USAspecializzata nei titoli tecnolo-gici, mentre il NYSE è il merca-to «generalista» americano.

Nasdaq e NYSE, rappresen-tano assieme circa la metà del-la capitalizzazione mondiale,dunque sono i più forti a con-durre la caccia grossa, lanciataper la verità, con le quotazionieffervescenti e prossime aimassimi, e non alcuni anni pri-ma coi corsi molto più bassi.Logica di potenza, dunque, masenza timing. Apparentemente,nel nome dell’integrazione e illinea con le finalità e promessedella globalizzazione: minoricosti operativi e maggiori van-

taggi per i risparmiatori-inve-stitori. Quando l’integrazionesarà realizzata. Per adesso, ivantaggi sono soltanto dei Fon-di di Investimento, con tanteazioni delle Borse cacciatrici edanche cacciate e che puntanoalle loro fusioni e incorporazinie ne alimentano le quotazioni.Per cogliere le maggiori e in-cassare lucrose differenze.

A contrastare il disegno delleamericane, ma senza probabili-tà di successo, c’è solo la Borsadi Francoforte che avendo falli-to l’acquisizione negoziata del-la Borsa londinese, ha puntatosu Euronext, che però s’era già«promessa» al NYSE. Visto ilfallimento delle trattative Fran-coforte-Londra, allora il Na-sdaq ha scelto la via diretta,comprandosi oltre il 25% delloLSE, ponendo così una rilevan-te ipoteca sulla celebre «piaz-

za» finanziaria. A confermache, trattative o blitz, sempre sitratta di caccia alle Borse, alservizio di sé stesse e non del«sistema» economico generale.Pertanto, le Borse europee so-no apparse «nude». Prive distrategie funzionali per l’eco-nomia in generale. L’auto-quo-tazione sui propri listini, le hainfatti rese contendibli, ossiascalabili e pertanto comprabili.In pratica, alla mercé dei fondipiù forti azionisti e, attualmen-te, dei grandi Fondi di Investi-mento internazionali che, coipropri rigonfi pacchi di azioni,ne stanno condizionando lesorti. Le Borse europee nonhanno mai saputo o voluto in-tendersi tra loro, né avuto co-scienza delle proprie potenzia-lità e neppure dell’opportunitàdi «pilotare» la propria integra-zione che l’economia, sempre

più aperta, esigeva e richiede.Sembra si siano nutrite soltan-to di grezzo utilitarismo mec-canicistico e, in effetti, apparecome che si siano auto-quotatesui propri listini, per farsi rapi-damente scalare e compraredal più forte di turno, per rea-lizzare i più immediati interessidi bottega. Senza alcun riguar-do, neppure formale e tantomeno per quelle ragioni di fon-do che vorrebbero i mercati fi-nanziari al servizio degli inve-stimenti, degli investitori e del-l’economia in generale. Comin-ciando da leggi e regole comu-ni societarie e fiscali, di nego-ziazione ecc. In funzione diun’unica e mondiale Borsa,seppure articolata attraverso«piazze» locali, nazionali. Ap-punto: al servizio di «sé stesse»e non nell’interesse dei più for-ti azionisti pro-tempore.

Goldor

Le Borse sono «nude»

➄In occasione del ses-

santesimo anniversariodella scomparsa di

Keynes, e del settantesi-mo della pubblicazionedella sua opera princi-pale, la «Teoria genera-

le dell’occupazione,dell’interesse e della

moneta», abbiamo ini-ziato una ricostruzionecontestualizzata del suopensiero centrata su unaspetto sottovalutato. Lepuntate precedenti so-no state pubblicate il

19 aprile, il 3 il 16 e il30 maggio

La prima parte della trattazionekeynesiana dell’investimento simuove apparentemente lungo li-nee tradizionali: gli imprendito-ri valutano da una parte i costidell’investimento, e dall’altra iricavi futuri attesi, e prendono leloro decisioni in base al confron-to tra queste due grandezze. Mamentre l’economia tradizionalesi concentra sulla produttività fi-sica dell’investimento, Keynes siinteressa ai ricavi monetari. Se ilrendimento fisico di una mac-china è calcolabile, quello mo-netario è soggetto ad intrinsecaincertezza, poiché tanto i prezzirealizzabili come le quantitàvendibili dei prodotti non sonoprevedibili in anticipo, né posso-no essere previste variazioni nelvalore della moneta. Per questavia l’aspettativa sul futuro agiscesul presente, influenzando le de-cisioni di investimento.

Queste ultime, dunque, nonpossono essere interpretate co-me un processo meccanico diconfronto tra saggio corrente diinteresse e rendimento correntedel capitale: occorre rendereconto di come gli investitori af-frontano l’incertezza riguardo alfuturo. Keynes ricorre alla distin-zione del Trattato sulla probabi-lità (vveeddii AAzziioonnee ddeell 1166 mmaaggggiioo[[aarrttiiccoolloo 33 ddeellllaa sseerriiee]]) tra laprobabilità delle previsioni chesiamo in grado di fare a partiredalle informazioni di cui dispo-niamo e il grado di fiducia cheriponiamo nella nostra previsio-ne: fattore, quest’ultimo, al qua-le gli economisti hanno dedicatoscarsa attenzione, a differenzadel precedente, mentre secondoKeynes è una componente essen-ziale nella determinazione delrendimento monetario atteso(«efficienza marginale») del ca-pitale e dunque delle decisioni diinvestimento. Keynes osservache, in condizione di grande in-certezza, è ragionevole attribuireun peso maggiore nell’argomen-tazione ai fatti sui quali si nutreuna certa fiducia, cioè quelli piùvicini nel tempo; questi entranodunque sproporzionatamentenella formulazione delle previ-sioni, al punto da determinare ilcomportamento convenzional-mente seguito dagli investitori.

Le convenzioni:«salvare la nostra faccia

di uomini razionali»

A fronte dell’impossibilità diformulare previsioni affidabili,e di attribuire un valore nume-

rico alla probabilità e al pesodi un argomento, gli investito-ri non possono fare altro cheseguire delle convenzioni dicomportamento, regole prati-che elaborate per affrontarel’ignoranza e l’incertezza e«salvare la nostra faccia di uo-mini razionali». Tra le più im-portanti, Keynes cita: 1) l’as-sunzione che il presente è unabuona guida al futuro (più diquanto non ci insegni l’espe-rienza passata); 2) l’assunzio-ne che lo stato presente delleopinioni, che si traduce edesprime nello stato correntedei prezzi e della produzione,è basato su una corretta valu-tazione delle prospettive futu-re; 3) sapendo che il nostrogiudizio individuale non hamolto valore, ci si affida algiudizio degli altri, assumendoche l’opinione media sia me-glio informata.

Secondo Keynes, i mercatidei beni di investimento si so-no sviluppati proprio a partireda queste implicite regole dicomportamento, che portanoad assumere «che lo stato dicose esistente continuerà inde-finitamente, salvo in quanto visiano motivi specifici per at-tendersi un cambiamento».Fintanto che la maggioranzadegli investitori segue questaregola, ben sapendo che essanon rappresenta la realtà deifatti, il sistema è abbastanzastabile. Tuttavia, questa con-venzione – «tanto arbitraria sesi considerano le cose da unpunto di vista assoluto» – èpiuttosto precaria.

In primo luogo, la diffusionedell’azionariato implica l’au-mento delle persone sul mer-cato dei capitali che non han-no alcuna conoscenza dellecondizioni presenti e futuredell’impresa e dei suoi investi-menti; in secondo luogo, fatto-ri temporanei che determina-no fluttuazioni parziali nel va-lore dei titoli possono assume-re un’importanza esagerata seil segnale viene interpretatodagli operatori ignoranti comepermanente; in terzo luogo,nei periodi di maggiore incer-tezza la psicologia di massadegli investitori genera com-portamenti imitativi che pos-sono dar luogo «ad ondate diottimismo e pessimismo, irra-gionevoli e purtuttavia in uncerto senso legittime, qualoranon esista una base solida perun calcolo ragionevole». Inquarto luogo, la presenza dispeculatori con conoscenze

maggiori della media acuiscel’instabilità, poiché essi non ef-fettuano previsioni a lungotermine ma trovano più conve-niente cercare di anticipare levariazioni determinate dalcomportamento di massa degliinvestitori. Questo comporta-mento non è «il prodotto di unanimo perverso», ma è «un ri-sultato inevitabile» del merca-to degli investimenti: «Sarebbesciocco, infatti, pagare 25 perun investimento il cui redditoprospettivo sia ritenuto tale dagiustificare un valore di 30, senello stesso tempo si ritieneche il mercato lo valuterà 20fra tre mesi».

Concorsi di bellezzae instabilità economica

Keynes illustra il comporta-mento degli speculatori permezzo dell’analogia con «queiconcorsi dei giornali, nei qualii concorrenti devono sceglierei sei volti più graziosi fra uncentinaio di fotografie, e neiquali vince il premio il concor-rente che si è più avvicinato,con la sua scelta, alla mediafra tutte le risposte; cosicchéciascun concorrente deve sce-gliere, non quei volti che egliritenga più graziosi, ma quelliche ritiene più probabile attiri-no i gusti degli altri concor-renti, i quali a loro volta af-frontano tutti quanti il proble-ma dallo stesso punto di vista.Non si tratta di scegliere quelliche, giudicati obiettivamente,sono realmente i più graziosi,e nemmeno quelli che una ge-nuina opinione media ritenga ipiù graziosi. Abbiamo raggiun-to il terzo grado, nel quale lanostra intelligenza è rivolta adindovinare come l’opinionemedia immagina che sia fattal’opinione media medesima. Ecredo che vi siano alcuni chepraticano il quarto, il quintogrado e oltre».

La stabilità dell’intero sistemadipende dalla predominanza omeno sul mercato di questi indi-vidui rispetto agli investitori in-teressati al rendimento sul lungoperiodo, cioè della speculazionerispetto all’intraprendenza. Gliimprenditori, che basano le pro-prie politiche di investimento alungo termine su aspettative ra-zionali a partire da qualche in-formazione, per quanto incom-pleta, sono coloro che maggior-mente promuovono il pubblicointeresse, ma il loro mestiere è digran lunga più difficile (e percerti versi anticonvenzionale) diquello di ingegnarsi a «indovina-re meglio della folla come la fol-la stessa si comporterà». Tuttavianon sempre la speculazione pre-domina sull’intraprendenza. Se èvero che tanto più i mercati deititoli sono sviluppati rispetto al-l’imprenditoria di vecchio stam-po quanto più è facile che «losviluppo di capitali di un paesediventi un sottoprodotto delle at-

tività di un casinò», va altresìconsiderato che in questo modosono facilitati i nuovi investi-menti, poiché la possibilità diconvertire facilmente in monetai propri titoli rende più attraentel’acquisto dei titoli stessi di quan-to non accada in un sistema incui l’investimento può prendereunicamente la forma di capitalefisico.

Un ulteriore fattore di instabi-lità è legato alla natura umana:in condizioni in cui le aspettativenon sono associabili a valori nu-merici della probabilità, «unalarga parte delle nostre attivitàpositive dipende da un ottimi-smo spontaneo», da uno «spiritovitale» [«animal spirit»] piutto-sto che da un calcolo matemati-co. Se questo ottimismo viene amancare, «l’intraprendenza il-languidisce e muore». «Purtrop-po questo significa non soltantoche le crisi e le depressioni sonodi ampiezza esagerata, ma an-che che la prosperità economicadipende eccessivamente daun’atmosfera politica e socialeconfacente all’uomo d’affari me-dio. […] Le decisioni umane cheinfluiscono sul futuro, siano essepersonali o politiche o economi-che, non possono dipendere dauna rigorosa speranza matemati-ca, poiché non esiste la base percompiere tale calcolo; [è] il no-stro stimolo innato all’attivitàche mantiene il meccanismo inazione, mentre il nostro razioci-nio sceglie fra le alternative nelmiglior modo possibile, median-te il calcolo dove possiamo farlo,ma spesso ricadendo sul capric-cio o sul sentimento o sul casoper trovare un movente alla no-stra azione».

Interesse, futuro,ancora convenzioni

Il tema della stabilità e del-l’incertezza è al centro anchedella teoria dell’interesse diKeynes. Questa concerne lepreferenze temporali dei ri-sparmiatori, in particolare laforma in cui detenere il rispar-mio: se come moneta, oppurerinunciando alla liquidità im-mediata in cambio di un tassod’interesse che sarà determi-nato dai mercati futuri. La pre-ferenza per la liquidità tradu-ce appunto la relazione tra ivari tassi di interesse per di-verse forme di rinuncia alla li-quidità e le preferenze indivi-duali sull’uso delle risorse. Lateoria dell’interesse di Keynessi basa su questo concetto, chesi traduce in una relazione traquantità di moneta in circola-zione e la quantità che il pub-blico desidera detenere ad uncerto tasso di interesse.

Tale preferenza per la liquidi-tà ha ragione di esistere in pri-mo luogo perché la moneta puòessere impiegata non solo pertransazioni, ma anche per moti-vi precauzionali (è infatti riser-va di valore), e per motivi spe-

culativi. In secondoluogo perché i tassi fu-turi d’interesse sonoincerti: se i tassi corri-spondenti a ogni pos-sibile scadenza futurafossero conosciuti, nonconverrebbe mai dete-nere moneta in formaliquida ma sarebbevantaggioso indebitar-si al momento di af-frontare bisogni di li-quidità; viceversa, sec’è incertezza sui tassiun individuo devesempre confrontare ilrischio di aver bisognodi liquidità con la per-dita legata alla penaleper la conversione didebiti a lungo termine.

Una terza ragione per l’esisten-za di una preferenza per la liqui-dità è nuovamente legata all’in-certezza sui tassi futuri. Diversiindividui hanno diverse stimedelle prospettive, e chi differiscedall’opinione media ha buone ra-gioni per detenere moneta in for-ma liquida per trarre vantaggioda eventuali errori dell’opinionemedia riguardo ai valori relatividei tassi di interesse.

Il nesso tra quantità di monetaofferta dal sistema bancario e iltasso d’interesse passa attraversoi meccanismi psicologici che de-terminano la preferenza del pub-blico per la liquidità. Può dun-que accadere che anche grandiiniezioni di moneta possano ave-re un debole effetto sul saggio diinteresse, se inducono al con-tempo incertezza sui mercati: intal caso, gli individui preferiran-no detenere moneta in forma li-quida per motivi precauzionali.D’altra parte, se l’opinione delmercato sul valore futuro deitassi di interesse è molto unifor-me, può bastare un piccolo cam-biamento nei tassi presenti perconvincere tutti che avevano ra-gione (o torto) e determinareuna fuga di massa verso la mo-neta liquida. Keynes osservadunque che sia l’efficacia dell’i-niezione di moneta che la stabili-tà del sistema dipendono dall’e-sistenza di opinioni diverse ri-guardo a ciò che è incerto.

L’interesse, come l’efficienzamarginale del capitale, è un fe-nomeno «altamente convenzio-nale»: «giacché il suo valore ef-fettivo è in gran parte governa-to dall’opinione prevalente suquello che sarà, secondo leaspettative, il suo valore futu-ro. Qualsiasi livello di interes-se, che sia accettato con con-vinzione come probabilmentedurevole, sarà durevole».

Se si considerano congiunta-mente queste considerazionisui saggi di interesse e quelleriguardanti l’efficienza margi-nale del capitale, cioè sulledue considerazioni che guida-no le decisioni di investimen-to, è facile vedere come en-trambe dipendono dallo statodi fiducia del pubblico, e comequesto a volte possa fluttuareimprovvisamente determinan-do così cambiamenti drastici esubitanei delle decisioni di in-vestimento, e con esse dell’in-tera attività economica e del-l’occupazione.

NNeellll’’ooppeerraa mmaattuurraa ddii KKeeyynneess,, llaa TTeeoorriiaa GGeenneerraallee ddeellll’’ooccccuuppaazziioonneeddeellll’’iinntteerreessssee ee ddeellllaa mmoonneettaa,, ll’’iinncceerrtteezzzzaa ccoommppaarree iinn dduuee ppuunnttiicceennttrraallii,, nneeii qquuaallii èè ddiissccuussssaa ccoonn ll’’aapppprroocccciioo pprreeppaarraattoo nneell TTrraattttaattoossuullllee pprroobbaabbiilliittàà:: ll’’iinnvveessttiimmeennttoo,, ee ll’’iinntteerreessssee..

Martedì 27 giugno 2006ECONOMIA E POLITICAAZIONE17

NELLE FOTO: in alto, unconcorso di bellezza,esempio portato da Key-nes per spiegare come lescelte – sia in fatto dibellezza, sia di rendi-mento economico – sianodeterminate da ciò che siritiene essere l’opinionemedia in fatto di bellezzao redditività; sotto, azionial portatore per le ferro-vie del Missouri, Kansase Texas, come erano invoga alla fine del 1800.

Investimenti e concorsi di bellezzaL’opinione media su fatti o investimenti influenza in modo importante la stabilità del sistema economico

K E Y N E S

Daniele Besomi

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICIL’opera principale di Keynes siintitola Teoria Generale dell’oc-cupazione dell’interesse e dellamoneta, pubblicata nel 1936, ètradotta in italiano per la UTET.Poiché i critici hanno mancatodi cogliere la riflessione keyne-siana sull’incertezza, l’autorel’ha messa al centro di un artico-lo in cui risponde alle recensio-ni: «La Teoria Generale, concettie idee fondamentali» (QuarterlyJournal of Economics, febbraio1937; tradotto in R.W. Clower,La teoria monetaria, FRANCO AN-GELI, Milano 1972).

➅In occasione del sessan-tesimo anniversario del-la scomparsa di Keynes,e del settantesimo dellapubblicazione della sua

opera principale, la«Teoria generale dell’oc-cupazione, dell’interessee della moneta», abbia-mo iniziato una ricostru-zione contestualizzata

del suo pensiero centra-ta su un aspetto sottova-lutato. Le puntate prece-denti sono state pubbli-cate il 19 aprile, il 3, il16, il 30 maggio e il

13 giugno

Keynes è stato fra i pochissimieconomisti ad aver preso sul se-rio l’incertezza che permea i fe-nomeni economici [vv.. AAzziioonnee1199 aapprriillee]. Il riconoscere questofatto l’ha indotto a partire (logi-camente e cronologicamente)da una teorizzazione dell’agirein stato di conoscenza limitata[vv.. AAzziioonnee 1166 mmaaggggiioo], mo-strando come la risposta razio-nale degli investitori all’incer-tezza consista nel tentare di ag-girarla appoggiandosi su un in-sieme di convenzioni. Questeconvenzioni, tuttavia, riflettonol’opinione collettiva degli inve-stitori.

Economia, probabilità,complessità

Ciò pone due problemi. Il pri-mo è metodologico, e riguardala relazione tra individui e socie-tà. Le decisioni di investimentodi ciascun individuo si basanonon sulla sua sola opinione, masull’opinione media: le decisioniindividuali non sono dunque in-dipendenti le une dalle altre, enon è possibile adottare una me-todologia di analisi (come invecefa l’approccio dominante in eco-nomia, al quale si cerca di ricon-durre l’innovazione keynesiana:vv.. AAzziioonnee 33 mmaaggggiioo) che partadall’individuo per comprendereil funzionamento dell’intera so-cietà. Alla medesima conclusio-ne Keynes era arrivato anche peraltre vie, tanto che questo è unodei punti centrali della criticakeynesiana all’economia «orto-dossa»; è comunque interessantenotare che la sua riflessione sullacondotta in condizioni di incer-tezza porti a ribadire questoaspetto.

Il secondo problema legato al-l’affidarsi all’opinione media daparte degli investitori riguarda lapotenziale instabilità del siste-ma. In certe condizioni, quandol’opinione media è piuttostoomogenea, piccoli eventi posso-no portare a improvvisi cambia-menti di opinione. Poiché l’inve-stimento dipende dall’opinionemedia, queste oscillazioni si ri-percuotono per questa via sul-l’intera attività produttiva, gene-rando momenti di euforia alter-nati a momenti di panico [vv..AAzziioonnee 2277 ggiiuuggnnoo]. Con l’instabi-lità, si crea una situazione avver-sa all’imprenditorialità e favore-

vole alla speculazione [vv.. AAzziioonnee3300 mmaaggggiioo ee 1133 ggiiuuggnnoo], che asua volta aumenta la tendenzaall’instabilità, mettendo in peri-colo i fondamenti stessi del capi-talismo individualistico.

La fine del «laissez-faire»

Tanto la preoccupazione me-todologica che quella riguar-dante il destino del capitalismosi fondono in alcuni contributifilosofico-politici di Keynes nel-la seconda metà degli anni ven-ti, nel periodo del suo massimocoinvolgimento con il PartitoLiberale.

In un saggio su «La fine dellaissez-faire» (1926) Keynes ri-traccia la storia dell’individuali-smo, a partire da Locke e Humeper arrivare all’intervento deglieconomisti che hanno dato – o,meglio, presupponevano di averdato – una base scientifica all’i-dea di un’armonia divina travantaggi privati e bene pubblico:«Si supponga che, grazie all’azio-ne di leggi naturali, gli individuiche perseguono con cognizionedi causa il proprio interesse incondizioni di libertà allo stessotempo promuovano anche l’inte-resse generale! Le nostre difficol-tà filosofiche sarebbero risolte.[…] Alla dottrina filosofica se-condo cui il governo non ha il di-ritto di intervenire, e alla dottri-na divina che non esiste alcunbisogno che interferisca, si ag-giunge la prova scientifica chel’intervento è inutile. […] Il filo-sofo politico ha potuto ritirarsi afavore dell’uomo d’affari, poichéquest’ultimo poteva raggiungereil summum bonum del filosofosemplicemente perseguendo ilsuo profitto privato».

Dopo aver sottolineato che inrealtà la dottrina dell’armoniatra profitti individuali e benesse-re sociale è opera più dei volga-rizzatori e dei divulgatori chenon dei grandi economisti delpassato, Keynes ricostruisce lalogica dell’argomentazione. L’i-dea del laissez-faire è costruitasu due ipotesi semplificatrici: 1)gli individui cercano per tentati-vi, indipendentemente l’uno dal-l’altro, la condizione per loro mi-gliore, la concorrenza elimina gliindividui che si muovono nelmodo sbagliato. 2) gli individuisono guidati nel loro comporta-mento dalla ricerca del massimoprofitto, che è chiamata a dirige-re la competizione nel più effi-ciente dei modi. Il risultato non è

solo il massimo beneficio indivi-duale, ma anche il massimo am-pliamento della produzione cosìche il benessere da spartire siaanch’esso massimizzato.

Il funzionamento di questomeccanismo, tuttavia, presup-pone «che i processi di produ-zione e consumo non siano inalcun modo organici, che esistauna sufficiente conoscenza pre-liminare delle condizioni e deibisogni, e che ci siano adeguateopportunità per ottenere taleconoscenza». L’ipotesi di assen-za di interazioni tra individui èdunque indispensabile, poichéviceversa il perseguimento delmassimo profitto da parte di unimprenditore potrebbe trovarsiin conflitto con la strategia ra-zionale di altri. Lo stesso valeper l’ipotesi che non vi sia incer-tezza tale da impedire il calcolorazionale.

Niente assicura dunque chetutto funzioni per il meglio. An-zi, una volta eliminata la «basemetafisica» sui cui poggia la dot-trina del laissez faire, poco rima-ne: «Non è vero che gli individuidispongano per diritto di una “li-bertà naturale” nel loro operareeconomico. Non esiste contrattonaturale che conferisca dirittiperpetui a “quelli che hanno” o a“quelli che acquisiscono”. Ilmondo non è governato dall’altoin modo tale da far coincideresempre l’interesse privato conquello sociale; né è amministratoquaggiù in modo che i due inte-ressi coincidano in pratica. Nonè corretto dedurre dai principidell’economia che un “illumina-to” interesse particolare operisempre nell’interesse pubblico. Enon è neppure vero che l’interes-se particolare sia in generale illu-minato: il più delle volte gli indi-vidui che agiscono in proprio perperseguire fini personali sonotroppo ignoranti o troppo deboliperfino per conseguire questi lo-ro fini. L’esperienza non dimo-stra che gli individui, quando co-stituiscono un’unità sociale, ab-biano sempre una visione menolimpida di quando operano sin-golarmente».

In queste condizioni, l’indivi-dualismo – che Keynes spiega es-sere il metodo più efficiente perorganizzare la produzione – èmesso in pericolo dal mancatofunzionamento del sistema nelsuo complesso. Keynes proponedunque un intervento dello Statoper promuovere l’attività econo-mica ed eliminare questa causadi pericolo; inoltre, constatando

come «molti dei maggiori malieconomici del nostro tempo so-no una conseguenza del rischio,dell’incertezza e dell’ignoranza»,alla quale non solo i singoli indi-vidui non possono porre rime-dio, ma avrebbero la convenien-za ad aggravare la situazione,propone la raccolta e diffusionesistematica e capillare di infor-mazioni sui dati economici.

Queste proposte keynesianesono entrate a fare parte a pienotitolo del programma liberaleper le elezioni del 1929. Un pas-saggio è particolarmente interes-sante alla luce delle considera-zioni esposte negli articoli prece-denti. A commento dell’osserva-zione secondo cui l’individuali-smo è «un metodo ineguagliatoper la decentralizzazione delledecisioni», con un’argomentazio-ne tipicamente keynesiana si os-serva che la media di numerosedecisioni individuali indipenden-ti corre meno il rischio di vastedivergenze dalla verità di un’uni-ca decisione centralizzata daparte di un individuo «che maga-ri conosce più cose rispetto a cia-scun altro individuo, ma menodella media degli individui».

«Una situazionené disperata

né soddisfacente»

Nella Teoria Generale, Keynesosserva come la tendenza all’in-stabilità del sistema non si spin-ga a grandi estremi, né in unadirezione né nell’altra: «Le flut-tuazioni possono cominciare convivacità, ma sembrano esaurirsiprima di spingersi a grandi estre-mi; e la nostra sorte normale èuna situazione intermedia, né

disperata né soddisfacente». Ilproblema che Keynes affronta èdunque quello dell’incapacità delsistema economico, lasciato a sestesso, di provvedere alla pienaoccupazione, e dei possibili ri-medi a tale situazione.

La diagnosi è che in generalele determinanti dell’investimen-to (vv.. AAzziioonnee 2277 ggiiuuggnnoo) non so-no tali da indurre gli investitori aspingere la loro attività fino alpunto corrispondente alla pienaoccupazione: non vi è alcuna ra-gione intrinseca per la quale leaspettative di rendimento del ca-pitale, combinate col costo delcapitale medesimo che a sua vol-ta dipende dalla preferenza perla liquidità, debbano dare origi-ne ad un volume di investimentitale da garantire il pieno impie-go. Se la domanda di beni di in-vestimento corrispondente allostato delle aspettative, combina-ta con la domanda di beni diconsumo che risulta dalle sceltedei consumatori, è insufficiente,il governo può intervenire crean-do domanda addizionale, checontribuisca ad espandere l’atti-vità economica e creare i posti dilavoro mancanti.

Keynes sottolinea come taleallargamento delle funzioni delgoverno non solo sia compatibilecon i vantaggi dell’individuali-smo, ma sia «l’unico mezzo at-tuabile per evitare la distruzionecompleta delle forme economi-che esistenti» e «la condizione diun funzionamento soddisfacentedell’iniziativa individuale». Se ladomanda effettiva è insufficien-te, infatti, gli imprenditori opera-no con «tutte le possibilità sfavo-revoli» contro di loro.

Ciò non significa che l’inter-vento statale debba essere eter-no: una volta ristabilito lo statodi fiducia, gli imprenditori torna-no ad avere prospettive di profit-to favorevoli, e il loro investi-mento porta occupazione e con-tribuisce a nutrire ulteriore fidu-cia nel futuro. Per Keynes, com-pito dello Stato non è dunquequello di sostituirsi agli impren-ditori, ma di ovviare ai difetti difunzionamento intrinseci al capi-talismo per permettergli, infine,di funzionare al meglio.

(Fine)

Martedì 4 luglio 2006ECONOMIA E POLITICAAZIONE12

NELLA FOTO: manager inequilibrio – anche il siste-ma economico ha biso-gno di reti di protezioneper preservare i suoiequilibri e difendersiquindi dall’instabilità.

Economia: incertezza e interventi stataliPer evitare la distruzione del tessuto economico è indispensabile un ruolo attivo dello Stato

K E Y N E S

Daniele Besomi

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI«La fine del laissez faire» è statoletto nel 1924 ad una delle scuo-le estive del Partito Liberale, eparzialmente pubblicato nel1926. La versione integrale è ri-prodotta nei Collected Writings,vol. IX, pp. 272–94. Keynes haripreso le due sezioni finali negliEssays on Persuasion (1933), dicui esiste una traduzione italia-na (Esortazioni e profezie, Mila-no: Il Saggiatore, 1994).Il programma liberale del 1929,noto col nome di Libro giallo(per il colore della copertina),si intitola Britain’s IndustrialFuture.I passaggi della Teoria Generale(Torino: UTET) su individuali-smo e intervento pubblico si tro-vano nel capitolo conclusivo«Sulla filosofia sociale alla qualela Teoria Generale potrebbecondurre».

F I N A N Z A

Il mondo non è rotondo, alme-no secondo l’autore di «TheWorld is Flat», l’americanoThomas L. Friedman, ora pub-blicato anche in italiano (Ilmondo è piatto – Mondadori –Milano).

Un’allegoria del mondo glo-balizzato e piatto, nel sensoche è assai veloce, le distanzetra i vari paesi si sono notevol-mente ridotte e sono scompar-se gerarchie ed élites. La vita,in questo piatto mondo, sareb-be anche facilitata dall’inces-sante innovazione tecnologicache va cambiando tutto e lorenderebbe molto diverso daieri, attraverso l’eliminazionedi tanti divieti, limiti, barrieree frontiere. Con quel che signi-fica anche per la cultura insenso lato, che accompagnavail mondo di ieri e, assai diver-

samente, quello di oggi. Contutti i problemi che comportaper tutto e tutti. Perché, l’aper-tura dei mercati che ha porta-to la globalizzazione, e la li-bertà di movimento di uominie cose, è certamente una bellacosa, finché, però, non intral-cia interessi radicati e magarirobusti, e fintanto che non de-lude chi credeva si trattasse diuno stupefacente Bengodi. Unpo’ quello che sta accadendoanche negli Stati Uniti, con losbiadire della «magia» del tut-to moltiplicato, a prezzi sem-pre minori, di tutto e per tutti.Attraverso, appunto, l’aboli-zione di molte barriere, di do-gane e di dazi e super-daziprotettivi.

In effetti, la globalizzazioneha portato maggiore e diffusacompetizione economica nelmondo, ed ha fatto della Cinae dell’India, dei potenti con-

correnti, quasi imbattibili daipaesi più avanzati, visti costiproduttivi, salari e prezzi. Mala maggiore concorrenza, haaumentato le disuguaglianzein Occidente, ma anche in Ci-na, India e altri paesi emer-genti dove, tra l’altro, sonosensibilmente cresciuti anche iricconi, mentre redditi di capi-tale e quotazioni borsistiche,hanno registrato notevoli rial-zi. Senza proporzioni, rispettoai redditi di lavoro e salari delmondo intero, USA compresi.Inoltre, le formidabili entrateda export, di Cina, India epaesi esportatori, non soltantodi petrolio, ora consentonoforti acquisti nelle Borse, an-che di decisivi pacchi azionaridi importanti imprese occiden-tali. Come ha tentato di fareun’azienda cinese con una so-cietà petrolifera americana,offrendo assai più del concor-

rente americano. Ma l’acquistovenne impedito, nonostantel’apertura dei mercati, e scattòl’allarme, perché esso lasce-rebbe via libera ad aziendepredatrici di paesi anche amodello economico dirigista ecomunque non liberal-liberi-sta, e magari controllate dagoverni, come il caso cinese,con fini più politici che com-merciali ed economici. E conl’allarme, negli Stati Uniti si èaccentuata anche la critica, ta-lora sulla scia di alcuni PremiNobel come Joseph E. Stiglitz,Paul Samuelson ecc.

Così, nelle TV, sono statiprogrammati attacchi alle tan-te imprese americane, tra cuiBoeing, General Electric, IBM,Ford ecc. che hanno «deloca-lizzato» attività in paesi emer-genti, sacrificando posti di la-voro di molti americani. Tra iprogrammi di punta di questo

genere, quello della CNN, «Ex-porting America». Tutti im-prontati alla difesa dei posti dilavoro americani e quindi alcambiamento di musica diquesta globalizzazione, perpreservare l’«american way oflife». E si chiede, in sostanza,la priorità per gli interessi na-zionali. Mentre, anche dai sin-dacati si levano proteste e ri-vendicazioni consimili: non sitratta, dicono, di tornare alprotezionismo, ma occorre ri-vedere e riflettere su quelloche sta accadendo, per trovareun modo che preservi e difen-da i posti e gli interessi dei la-voratori americani, ma anchequelli dei consumatori. Che di-venta un grosso rebus, stantel’implicita incoerenza e ungran nodo da sciogliere, tra itanti, di questa globalizzazio-ne. Che pur giova al mondo.Non più tondo, ma piatto?

Goldor

La Cina esporta anche allarme

➆In occasione del sessan-tesimo anniversario del-la scomparsa di Keynes,e del settantesimo dellapubblicazione della sua

opera principale, la«Teoria generale dell’oc-cupazione, dell’interessee della moneta», abbia-mo iniziato una ricostru-zione contestualizzata

del suo pensiero centra-ta su un aspetto sottova-lutato. Le puntate prece-denti sono state pubbli-cate il 19 aprile, il 3, il16, il 30 maggio, il 13

e il 27 giugno.

L’intera seriedegli articoli può

essere scaricata dalsito www.azione.ch