kedoshìm tihiyù – santità e morale sessuale

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Kedoshìm tihiyù – Santità e morale sessuale Un concetto centrale nel discorso religioso sulla moralità sessuale è quello della santità – nella vita collettiva e personale, ma forse sopratutto, nel contesto della vita familiare. Ma cos'è questa santità – kedushà in ebraico – e in che senso andrebbe compromessa dalla violazione di certi divieti sessuali? Cominciamo dalla Bibbia, dalla sezione del Pentateuco intitolata proprio Santi – Kedoshim, che comprende i capitoli 19 e 20 del libro di Levitico. All'inizio di questa sezione (19:2), leggiamo: “Santi dovete essere, perché santo sono Io, il Signore vostro Dio.” Rashi (1040-1105), considerato il più importante degli esegeti medievali, spiega subito, che il concetto di santità e strettamente legato al comportamento sessuale e, più specificamente, all'osservanza dei divieti sessuali elencati nella Torà. E' curioso, però, il fatto che il versetto seguente non parla dell'adulterio o dell'incesto, ma dell'obbligo di temere i propri genitori e di osservare lo Shabbat. Forse si può spiegare che il testo si sta riferendo comunque alla famiglia – quella tradizionale ovviamente, basata sul matrimonio di un uomo e una donna, che procrea e osserva le feste insieme.

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Ebraismo e omosessualità

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Kedoshm tihiy Santit e morale sessualeUn concetto centrale nel discorso religioso sulla moralit sessuale quello della santit nella vita collettiva e personale, ma forse sopratutto, nel contesto della vita familiare. Ma cos' questa santit kedush in ebraico e in che senso andrebbe compromessa dalla violazione di certi divieti sessuali?

Cominciamo dalla Bibbia, dalla sezione del Pentateuco intitolata proprio Santi Kedoshim, che comprende i capitoli 19 e 20 del libro di Levitico. All'inizio di questa sezione (19:2), leggiamo: Santi dovete essere, perch santo sono Io, il Signore vostro Dio. Rashi (1040-1105), considerato il pi importante degli esegeti medievali, spiega subito, che il concetto di santit e strettamente legato al comportamento sessuale e, pi specificamente, all'osservanza dei divieti sessuali elencati nella Tor. E' curioso, per, il fatto che il versetto seguente non parla dell'adulterio o dell'incesto, ma dell'obbligo di temere i propri genitori e di osservare lo Shabbat. Forse si pu spiegare che il testo si sta riferendo comunque alla famiglia quella tradizionale ovviamente, basata sul matrimonio di un uomo e una donna, che procrea e osserva le feste insieme.

Allora il sesso verr sicuramente nel prossimo versetto. Invece, leggiamo: Non rivolgetevi agli idoli, e di di metallo fuso non fatevi; Io sono il Signore vostro Dio. Il prossimo versetto parla del culto del Tempio, quello successivo di lasciare una parte della raccolta per i poveri e i forestieri, quello dopo di non rubare e di non mentire e cos via, fino alla fine del capitolo. Su una quarantina di precetti, solo due sono legati in qualche modo ai comportamenti sessuali (e anche questi non rientrano nella categoria delle relazioni proibite). Infatti, gran parte dei precetti in questo capitolo si riferiscono ai rapporti sociali alla giustizia, l'onest e l'uguaglianza di non ritardare il ricompenso del lavoratore; di non sparlare; di non vendicarsi o conservare rancore; di avere una sola legge per l'indigeno e il forestiere; ecc.

Allora, dov' il sesso l'interpretazione immediata di Rashi del precetto di essere santi, come Dio santo? Il filosofo e esegeta catalano Nahmanide/Ramban (1194-1270) che visse circa un secolo e mezzo dopo Rashi, cita il suo illustre predecessore, ma dimostra che l'obbligo di essere santi non si riferisce ai comportamenti sessuali in particolare, e non ripete semplicemente il dovere di osservare le leggi. Secondo Ramban, uno pu pure osservare le leggi sessuali ed altre ma non essere affatto kadsh-santo. Anzi uno pu facilmente comportarsi, come lo definisce Ramban, da debosciato/canaglia col permesso della legge. Quindi, secondo Ramban, il comandamento di essere santi, si riferisce proprio a un tipo di comportamento e un modo di essere che vanno oltre la lettera della legge.

In che senso, e che c'entra con tutti questi precetti positivi e negativi di natura etico-sociale? Ramban capisce che la legge limitata, che anche nel sistema pi esplicito ed esigente ci sar sempre un modo di ingannare anche noi stessi. Ed quello l'intento di questo precetto, di dirci di non ingannare, di essere sinceri. Il semplice fatto che qualcosa permesso non vuol dire che giusto farlo o che contribuisce al nostro benessere spirituale. In un modo simile, spiega che molti dei precetti specificati nel capitolo 19 sono di stampo privato, interno, che solo chi gli viola o gli osserva pu saperlo come il comandamento di non maledire il sordo, che comunque non ti pu sentire; o il comandamento ai giudici di non dare pi ascolto ai ricchi che ai poveri una scelta che pu essere ambigua o addirittura impercepibile. Cio i precetti della Tor, nel pensiero di Ramban, offrono una guida morale alla vita, ma lo spirito di santit, l'imitatio Dei Santi dovete essere, perch santo sono Io, il Signore vostro Dio va molto oltre, e richiede onest, coerenza e quindi la capacit di introspezione costante, ma anche lo spirito di compassione verso gli altri, forse sopratutto quando non lo sa nessuno.

Questa spiegazione sicuramente pi soddisfacente di quella di Rashi, che non solo limita il concetto della santit umana ai comportamenti sessuali, ma ci lascia perplessi nei confronti di una santit divina (perch santo sono Io) cos troncata. Invece, siate onesti, coerenti e compassionevoli, perch onesto, coerente e compassionevole sono Io molto pi comprensibile.

Ed questo tipo di santit che Il rabbino Steven Greenberg, il primo rabbino ortodosso dichiaratamente omosessuale, chiede, nel suo libro Wrestling with God and Men [lottare con Dio e uomini], ai suoi colleghi ortodossi e al pubblico ortodosso in generale: di saper distinguere nel cuore di ognuno tra devozione religiosa e pregiudizio (a cui siamo soggetti tutti), e di saper conciliare con onest e compassione approcci religiosi all'omosessualit e la totalit dei valori espressi nella Tor e imparati dalla storia.Un'altro approccio alla santit e al comandamento di essere santi, troviamo nella filosofia di Emanuel Levinas. Per Levinas, la santit la coscienza dell'alterit che si esprime nella priorit che diamo all'altro dal semplice dopo di lei davanti ad una porta, fino alla disponibilit estrema a morire per l'altro (Franois Poiri, Emmanuel Levinas. Qui tes-vous?, Editions La Manufacture, Lyon, 1987). Dio santo perch separato, altro, e noi Lo imitiamo quando riconosciamo l'altro umano, superando l'istinto qualcuno direbbe naturale di dare la priorit a noi stessi. Nelle Letture talmudiche e altrove Levinas distingue fra il sacro e il santo, quando il sacro ci permette solo di tentare, tramite pratiche magiche o mistiche di unirsi con lui, ma non consente un rapporto di alterit. Cos spiega anche i divieti di consultare gli spiriti o di indovinare il futuro, che troviamo proprio nella sezione di Kedoshm e che suscitano nel testo biblico un ribadimento del comandamento di essere santi (non sacri). E' vero che il comandamento di essere santi si riferisce anche ai divieti di natura sessuale, che si trovano in abbondanza in questa sezione della Tor e in quella precedente, ma proprio l'obbligo di essere santi che ci impone una visione molto pi ampia nei confronti della lettera della legge: se inteso come onest, compassione e coerenza interiore, o se inteso come l'obbligo di dare priorit all'altro, proprio nella sua alterit. Limitando l'idea della santit solo ai comportamenti sessuali, ignorando la totalit della condizione umana, impoverisce le nostre vite, le nostre tradizioni e il concetto stesso del divino. V. S. Wygoda, Holiness as Ethics in Light of the Philosophy of Emmanuel Levinas, in N. Rothenberg (ed.), Wisdom by the Week: The Weekly Torah Portion as an Inspiration for Thought and Creativity (Jersey City: Ktav, 2011).