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MARIO GORI LA SCUOLA ELEMENTARE 1

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MARIO GORI

LA SCUOLA ELEMENTARE

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INDICE

CAP. I - CRISI ATTUALE. E PROSPETTIVE DI CAMBIAMENTO 9 1.l. Tempo di crisi 91.2. Verso un nuovo umanesimo 101.3. Pedagogia ed educazione: oltre la crisi 11l.4. Pedagogia, educazione e cultura che cambia 12l.5. Pedagogia in discussione 141.6. Identità disciplinari 16l.7. Conoscere pedagogico e sue questioni 171.8. Pedagogia e cultura 191.9. Approccio filosofico all'educazione: le due vie genetiche

19 1.10. Schieramenti teorico-pedagogici del dopoguerra

191.11. La ripresa di una via filosofica dell'educazione19

1.12. Sviluppi e novità nei modelli teorico-pedagogici201.13. Fondamenti della formazione: nuove ipotesi 211.14. Statuto epistemologico di una filosofia dell'educazione 221.15. Educazione e valori 221.16. L'educazione: un valore 231.17. Formazione e aspettative di valore 231.18. Il concetto di valore 231.19. La persona come valore 24 1.20. Valori e fini educativi 241.21. Agire e fare in educazione 251.22. Ruolo dei valori nell'azione educativa 25

CAP. II - L'EVOLUZIONE DEI PROGRAMMI DAL 1859 27 2.1. La legge Casati 272.2. Riforma Gabelli 272.3. Riforma Gentile 272.4. Riforma Omodeo-De Ruggiero 272.5. I programmi Ermini del 1955 282.6. Dai programmi del 1955 a quelli del 1985 282.7. La commissione dei "60" 292.8. Finalità istituzionali e pedagogiche 312.9. La nuova scuola elementare 322.10. La continuità 322.11. L'alfabetizzazione primaria 332.12. L'organizzazione didattica 342.13. Una visione d'insieme sui programmi '85 35

CAP. III - CARATTERISTICHE E FINI DELL'EDUCAZIONE SCOLASTICA 38 3.1. Il dettato costituzionale e la scuola 383.2. Motivi orientativi dell'azione educativa 38

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3.2.1. L'educazione è un fatto esclusivamente umano 393.2.2. L'educazione è cosa della comunità 393.2.3. L'educazione è un fatto dinamico 403.2.4. Principi regolatori del processo educativo 40

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3.2.5. Principio dell'esercizio funzionale e della tensione propulsiva dell'educazione 413.2.6. Armonicità, totalità e integralità del processo educativo 413.2.7. Principio della educazione permanente 423.2.8. Principio della direzionalità 42

CAP. IV - IL RUOLO DELLA SCUOLA OGGI 44 4.1. Il nuovo indirizzo 444.2. Modelli pedagogici 444.3. Il principale compito della comunità educativa 454.4. Modello di scuola aperta 454.5. Il rapporto tra scuola, società, ambiente 464.6. Scuola, cultura, ambiente, territorio 474.7. Scuola: istituzione integrata nella comunità 474.8. Educazione alla convivenza democratica 49

CAP. V - LA SCUOLA COME COMUNITÀ EDUCATIVA 51 5.1. Funzione educativa della scuola 515.2. Ambiente sociale e processo educativo 535.3. Scuola e società 555.4. La funzione sociale della scuola nei diversi tipi di società 555.5. Aspetti influenzanti il rapporto scuola-società 575.6. La crisi del rapporto scuola-società 575.7. Il ruolo della scuola nel mondo contemporaneo 595.8. La scuola come centro di convergenza e di razionalizzazione dei fattori educativi individuali e sociali 605.9. Il concetto di scuola unica e differenziata 605.10. Organizzazione e funzionalità della scuola come comunità 615.11. Influenze ambientali come fattori determinanti del processo educativo 625.12. Ambiente e processo educativo 635.13. L'ambiente educativo 64

CAP. VI - ASPETTI E DIMENSIONI DEL PROCESSO EDUCATIVO 66 6.1. L'educazione della dimensione morfologica-funzionale della persona 666.2. L'educazione della dimensione intellettivo-cognitiva della persona 686.3. L'educazione della dimensione morale della persona 696.4. L'educazione della dimensione sociale della persona 69

CAP. VII - SCUOLA, SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ E INTERAZIONE SOCIALE 71 7.1. Rapporto tra scuola e formazione 717.2. I ruoli formativi della scuola 717.3. Interazione e comunicazione sociale 737.4. La scuola in funzione dell'educazione permanente 747.5. Il piano dell'educazione permanente 757.6. Processo educativo e società in trasformazione 767.7. Scuola democratica, antiautoritaria e antidogmatica 787.8. Il rapporto tra scuola e extrascuola 797.9. La tesi della descolarizzazione 80

CAP. VIII - IL RUOLO DELLA FAMIGLIA 82

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8.1. Scuola, famiglia, partecipazione, interazione 828.2. Il ruolo attivo della famiglia in ambito scolastico 838.3. La famiglia come primo nucleo formativo e educativo 838.4. La pedagogia familiare 848.5. Il bambino e la famiglia 84

CAP. IX - INTERDISCIPLINARITÀ 86 9.1. Dal discorso disciplinare al discorso interdisciplinare 869.2. Radici delle relazioni tra discipline 869.3. Dall'insegnamento per problemi all'interdisciplinarità 879.4. Il discorso interdisciplinare 889.5. Ambiti disciplinari e unitarietà dell'insegnamento 889.6. Linguaggi curricolari e "nuovi" linguaggi 899.7. Progetti di azione educativa 90

CAP. X - L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCUOLA 91 10.1. Le finalità educative 9110.2. Studio e conoscenza diretta di realtà culturalli diversificate 9110.3. La scuola come fulcro del processo di educazione/apprendimento 9110.4. Educazione plurilinguistica 9210.5. Rafforzamento delle qualità positive del soggetto 9310.6. Istruzione ed educazione 9310.7. Le finalità educative 9310.7.1. Educazione alla solidarietà 9410.7.2. Educazione morale e civica 9410.7.3. Favorire esperienze di vita 9410.7.4. Educazione al rispetto, alla conoscenza e all'approfondimento dei valori religiosi 9410.8. Gli obiettivi 9510.9. Le unità di lavoro 9610.10. L'innovazione metodologico-didattica dei processi educativi 96

CAP. XI - L'INSEGNAMENTO 98 11.1. Analisi del comportamento docente 9911.2. Analisi del comportamento discente 10011.3. La pluralità docente 10011.4. Il team teaching 10111.5. La funzione docente 10111.6. Attività degli insegnanti 10211.7. Formazione degli insegnanti 10311.8. Aggiornamento e qualificazione professionale del docente 10411.9. Ruolo degli insegnanti nella programmazione 10511.10. Ruolo e formazione professionale degli insegnanti 10611.11. Professione e professionalità dell'insegnante 10711.12. Preparazione e formazione degli insegnanti 10911.13. L'insegnante di sostegno 11011.14. La gestione della scuola 11111.15. Il nuovo ruolo della funzione docente 11211.16. L'organizzazione didattica 11211.17. La diversificazione degli intenti educativi 112

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11.18. L'unitarietà dell'insegnamento 11311.19. Le classi aperte 11311.20. Il lavoro di gruppo 11411.21. L'intervento individualizzato 114

CAP. XII - LA SCUOLA E LE ESIGENZE FORMATIVE DELL' ALUNNO 115 12.1. Il rapporto alunno scuola 11512.2. La creatività come potenziale educativo 11512.3. Pensiero creativo e sviluppo intellettivo 11712.4. L'educatore, animatore culturale del gruppo 11812.5. Scuola e pensiero critico 11812.6. Creatività e apprendimento 11812.7. Creatività e socialità 11912.8. Convivenza democratica 12012.9. Obiettivi cognitivi e socio-emotivi 12112.10. I vari tipi di apprendimento 12112.11. La scuola come fulcro del processo di educazione/apprendimento 12212.12. Educazione plurilinguistica 12212.13. Utilizzazione di tutti i canali della comunicazione 123

CAP. XIII - SCUOLA: AMBIENTE EDUCATIVO DI APPRENDIMENTO 124 13.1. Funzione della scuola e degli insegnanti 12413.2. Proporre e stimolare l'apprendimento 12413.3. Scelta di modelli educativi e didattici 12513.4. Apprendimento 12613.5. Tassonomia degli apprendimenti 12613.6. Condizioni ottimali dell'apprendimento 12813.7. Struttura profonda del comportamento e dell'apprendimento 12913.8. Tipologia degli apprendimenti 12913.9. Le tassonomie 13013.10. Abilità e capacità intellettuali 131

CAP. XIV - I PROGRAMMI 134 14.1. Cosa sono i programmi 13414.2. A chi si rivolgono i programmi 13414.3. Come si attuano i programmi 13514.4. Il testo dei programmi 13514.5. La premessa 13514.6. I programmi 13614.7. Il modulo 13714.8. I gruppi 13814.9. La religione 138

CAP. XV - DAL PROGRAMMA ALLA PROGRAMMAZIONE 140 15.1. Unitarietà dell'apprendimento culturale 14015.2. Applicazione e sviluppo dinamico del programma 14015.3. Caratteristiche innovative della programmazione 14115.4. Il ruolo dell'insegnante nella programmazione educativa e didattica 14215.5. La programmazione curricolare 142

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15.6. La centralità dell'alunno nel processo educativo 14315.7. Gestione e svolgimento delle attività di programmazione 14415.8. Seguire il programma o programmare 14615.9. La programmazione come momento qualificante della sperimentazione 14715.10. Motivi pedagogici della programmazione 14915.11. Organizzazione del lavoro 15015.12. Tipologie della programmazione 15115.13. Le fasi della programmzione 152

CAP. XVI - COME SI PROGRAMMA 156 16.1. Programma e programmazione a confronto 15616.2. Come si sviluppa la programmazione nella scuola 15716.3. Il ruolo dell'insegnante nella programmazione educativa e didattica 16116.4. L'organizzazione didattica 16216.5. La diversificazione degli intenti educativi 16316.6. L'unitarietà degli insegnamenti 16316.7. Le classi aperte 16416.8. Il lavoro di gruppo 16416.9. L'intervento individualizzato 16416.10. Tipologie della programmazione 16516.11. Organizzazione del lavoro 16616.12. L'elaborazione di un curricolo 16616.13. Le fasi della programmazione 16816.13.1. Analisi della situazione 16916.13.2. Determinazione degli obiettivi 17016.13.3. Selezione dei contenuti 17116.13.4. Scelta e organizzazione metodi e attività 17316.13.5. Selezione materiali e strumenti 17316.13.6. Strutturazione delle sequenze di apprendimento 17316.13.7. La misurazione 17316.13.8. La verifica 175

CAP. XVII - LA VALUTAZIONE 177 17.1. Cosa si intende per valutazione 17717.2. La valutazione da parte degli insegnanti 17817.3. Le funzioni didattiche della valutazione 18117.4. Strumenti della valutazione 18317.5. Come valutare cosa 18317.6. La valutazione come informazione retroattiva 18517.7. Condizioni di una valutazione attendibile 18617.8. Strumenti e tecniche di verifica 187

CAP. XVIII - LA SPERIMENTAZIONE 188 18.1. Perché la sperimentazione 18818.2. La metodologia sperimentale in pedagogia 18818.3. Funzioni della sperimentazione 19018.4. Sperimentazione: linee di metodologia educativa 19018.5. Elementi della sperimentazione 191

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CAP. XIX - OBIETTIVI PER UN CURRICOLO NELLA SCUOLA ELEMENTARE 193 19.1. Lingua italiana 19319.2. Lingua straniera 19519.3. Matematica 19619.4. Scienze 19919.5. Storia 20319.6. Geografia 20419.7. Studi sociali 20619.8. Religione 20719.9. Educazione all'immagine 20719.10. Educazione al suono e alla musica 20919.11. Educazione motoria 213

CAP. XX - L'AMBITO ANTROPOLOGICO 219 StoriaGeografiaStudi socialiAmbito matematico-scientificoPer una formazione critico-scientificaL'ambito linguistico-espressivoLingua italianaEducazione all'immagineEducazione al suono e alla musica

BIBLIOGRAFIA 224 Bibliografia generale 227

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CAP. I - CRISI ATTUALE. E PROSPETTIVE DI CAMBIAMENTO 1.l. TEMPO Dl CRISI

"È tempo di crisi...È in crisi, infatti, l'uomo politico. È in crisi l'uomo religioso e l'uomo ideologico. È in crisi l'individuale ed il sociale. È in crisi la scienza ed e in crisi la cultura". (Gieseke H.,1990) Questa cultura che tende al riduttivismo, che vuole comprendere tutto a partire dalla qualità delle parti. Occorre una psicologia, "diversa perché libera dai concetti riduttivistici di adattamento, di condizionamento o anche di semplice strutturazione cognitiva, e libera di spaziare nel vasto mondo dell'autorealizzazione della personalità come universo potenziale". (Titone R., 1977). Nasce cosi il pensiero di un nuovo tipo umanesimo della scienza, che professa di "debellare la unilateralità e i meccanismi insiti in certi orientamenti della Psicologia e della Pedagogia, e di fornire una visione dell'uomo che valga a liberarlo dalla frustrazione, dal disorientamento e dalle disperazioni attuali". (Titone R., 1977). "La nostra epoca è la prima in cui l'uomo è diventato a se stesso problematico, fieramente e senza riserve, egli non sa più cosa è, ma nello stesso tempo, egli sa pure di non saperlo". (Scheler M., in Titone R., 1977). I valori etici e morali, che in passato erano i cardini sui quali la società e l'uomo dovevano prendere esempio, stanno perdendo il loro ruolo guida. "Libertà, non più obbedienza; parità, non subordinazione; spreco, non rinuncia e risparmio; clamore, non riserbo; pigrizia, non operosità; autodeterminazione, non fedeltà al dovere; questi sono i valori che si sono imposti sempre più come nuovi valori di guida". (Giesecke H.,1990). Certo e che il concetto di libertà, non e concetto negativo, (assenza di vincoli o di costrizioni), ma un concetto evidentemente positivo che implica la scelta consapevole di valori e di doveri. Pertanto occorre andare molto cauti nell'accettare qualsiasi critica indiscriminata all'autorità, alla tradizione, alla programmazione, com'è oggi d'uso nello stile demagogico di una certa pedagogia. "Lo sviluppo della consapevolezza (come atteggiamento psicologico), non può cozzare con le esigenze della coscienza (come atteggiamento etico di fronte alla vita)". (Titone R., 1977). Questo concetto di un nuovo umanesimo, rivaluta le disposizioni fondamentali dell'uomo, come desiderio di "sicurezza, di appartenenza, di onore, di approvazione sociale, di autoapprovazione, di autorealizzazione, giungendo a sostenere che i bisogni fondamentali possono essere soddisfatti solo interpersonalmente, cioè per mezzo di buone relazioni umane". (Perrucca A.,1987). Quest'ultime sono indispensabili per "avere un ruolo positivo; questo soltanto può impedire agli uomini di non autodistruggersi o di distruggere gli altri, nella disperata ricerca di essere qualcuno; la fiducia si costruisce fin dalla nascita". (Rossini M.,1988). La politica dell'avere, cosi dovrà cedere il passo a favore della politica dell'essere: "Quello che importa, è quel centro interiore, quella sorgente viva che e la coscienza personale, da cui sorgono insieme gli ideali e le generosità, il senso della legge e il senso dell'amicizia, il rispetto per gli altri e, al tempo stesso, un'indipendenza fermamente radicata nei confronti dell'opinione pubblica". (Maritain J., in Rosati L.). La formazione di una nuova coscienza, dovrà orientarsi verso "il rispetto dell'individuo, la

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costruzione graduale di una volontà che sappia assumere decisioni autonome, la maturazione di una personalità globale che sia in grado di dividersi un punto di vista unitario: quello della coscienza educata", (Gieseke H.,1990). Per uscire dalla crisi, occorre mirare ad "un'accentuazione delle qualità che sono distintamente umane, come la scelta, la creatività, la valutazione e l'autorealizzazione, in opposizione al modo di intendere l'uomo in termini meccanicisti e riduzionistici". (Titone R., 1977). I sentimenti della persona, giocano un ruolo molto importante. Il sentimento è un presupposto necessario, perché ogni opera o azione dell'uomo acquisti valore. "Un sentire tutto teso al bene e alla libertà, privato dalla conoscenza del vero e dell'esercizio della mano, che si sforza di esprimere la bellezza interiore, sarà presto un sentimento sterile, cosi come la conoscenza del vero, privato del sentimento, sarà arido sapere, e la mano, sia pure tecnicamente abile, privata della tensione al sentimento verso il bello, evocherà melodia senza colori, riprodurrà fantasie senza anima ". (La Rocca F.,1983). 1.2. VERSO UN NUOVO UMANESIMO

"Lo Stimmung, cioè la temperie storico-culturale dell'occidente e del nostro paese, è in una fase in cui le dimensioni della cultura presentano i tratti sconcertanti e radicalmente delineati dalla svolta contrassegnata da eventi che accadono per la prima volta nella storia dell'umanità e che ormai ne caratterizzano la prospettiva. Ormai politica, filosofia dell'uomo ed educazione, vanno sempre più orientati verso il PRIMUM VIVERE nel senso specifico, secondo cui il livello massimo- minimo da tenere presente e a cui tendere, è quello della sopravvivenza stessa dell'umanità. (Acone G., 1986) Ma questa "sopravvivenza" è sempre più messa in crisi da forme di inciviltà più o meno autorizzate. "Le varie diagnosi mettono allo scoperto la scissione tra due linee alternative nello sviluppo della civilizzazione occidentale. La prima linea è identificabile nella storia della civiltà cristiana e della cultura cristiana; la seconda linea trova il suo momento di svolta nell'annuncio della morte di Dio, di cui si fa portatore Nierzsche, e il suo continuo espandersi come Nuovo Nichilismo ontologico-etico, a livello intellettuale, e come Nichilismo pratico a livella di masse". (Acone G., 1986). Il Nichilismo è la reazione a ciò che il cristianesimo fino ad ora non è riuscito a realizzare. "Il senso positivo della crisi mondiale odierna è da ricercarsi nel fatto che stiamo entrando in una fase storica che è nello stesso tempo post-cristiana e post-marxista". (Ferrarotti F., 1983). L'individuo così tende a ricercare qualcosa di nuovo, che dia senso e significato alla propria esistenza. "Il rapporto tra esperienza e significati, fa si che l'individuo vada a cercare e trovare il sistema di significati ultimi della sua esistenza nella sua biografia, nella sua soggettività conoscitiva ed emotiva, nella sua esperienza storica, nella storia della sua vita. Da questa base tende all'autorealizzazione e all'autoespressione". (Acquaviva S., in Acone G.,1986)Il problema sta nell'uscire da questa crisi. Mancano proposte che abbiano un forte contenuto di credibilità. "La crisi dell'umanesimo di ispirazione religiosa, pone il problema di una correlazione tra educazione laica e morale laica. Il problema nella società moderna è come costruire una sana educazione laica basata su di una forte solidarietà, a cui manca il fondamento, e capace di nascere in un'epoca in cui si è dinanzi al ritiro di Dio, e al contemporaneo bisogno di garantire una morale per la nuova società". (Acone G.,1986).

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La crisi che comporta questa nuova visione laica del mondo, inevitabilmente toglie uno dei più grossi punti di riferimento dell'uomo, la fede. Questo vuol dire che "la perdita di senso e di egemonia dell'educazione umanistico-etico-religiosa, non sia perdita dell'orizzonte di senso, rispetto alla possibilità di fondare un umanesimo che voglia continuare a mantenere una concezione forte dell'uomo come valore e fine". (Acone G., 1986). "La dimensione etico religiosa si presenta come una costellazione di significati che caratterizzano la fondazione metafisico-religiosa dell'umanesimo occidentale, non ha alcuna possibilità di essere empiricamente dimostrata". (Acone G., 1986). Significati che mantengano una morale e valori che ancora oggi sono attuali. "La dissoluzione dell'epoca delle ideologie e la fine dell'espansione ideologica, hanno molteplici cause, tra le quali, la più rilevante è nel processo intentato dalla dominante razionalità empirico-scientifica e dall'universo applicativo della tecnologia e della sua potenza alle grandi ideologie non attraverso confutazioni, ma attraverso lo stesso sviluppo incessante del progresso tecnico-scientifico". (Acone G., 1986)La scienza ha così finalmente recuperato se stessa, alimentandosi di dubbi su affermazioni che erano considerate delle certezze. "Dire che il seriso conferito dalla cultura moderna dell'occidente e ideologico, significa usare tale termine proprio nel senso in cui la razionalità scientifica ha tentato di usare qualsiasi affermazione che andasse oltre le procedure". (Acone G., l986)Con questo non dobbiamo tralasciare le culture e le concezioni che hanno caratterizzato il passato. "La storia deve essere soprattutto la memoria dei popoli, una autocoscienza comune che travalica i limiti della coscienza individuale". (Guarracino in Genovesi G., 1989). Non possiamo così analizzare o concepire una persona. La persona appare come "un manichino, definito in ogni sua parte, ma rigido, statico, dato una volta per tutte". (Ferrarotti F., 1983). L'essere umano va analizzato nel contesto sociale e storico in cui vive. L'uomo evolve e con lui evolvono anche i concetti e i pensieri. Tutti devono pero mirare al concetto comune: l'uomo libero. "Momento regolativo della condotta umana nelle situazioni storiche date, è la libertà, in quanto impegno morale verso gli altri e verso se stessi. Ai di fuori della vita associata, non si può parlare di libertà perché non si può parlare di umanità". (Genovesi G., 1989). "Il mondo storico è sempre più sincronico, ma nello stesso tempo dilagante in senso orizzontale. La sola alternativa aperta al riconoscimento di questa fondamentale sincronia, è la proiezione di sé sull'altro, la satellizzazione e infine la distruzione dell'altro. Questo esito è in gran parte un esito necessitato, uno sbocco privo di alternative, se non si potrà porre in essere il terzo termine, cioè quel complesso di norme e valori condivisi e convissuti derivati dai fondamentali interessi della comunità, sulla base dei quali si possa realizzare l'incontro e la sintesi dei mondi culturali variamente differenziati e storicamente contrapposti. La crisi di oggi è da vedersi nel venir meno di qualsiasi autorità morale, o centro ideale, in grado di porsi come costruttore e garante del terzo termine, fondamentale per costruire la nuova sintesi in un'epoca sincronica. La scienza ha perduto gran parte del suo fascino e del suo alone salvifico; le sue verità possono essere ben verificate e consacrate in formule standard, ma sono verità piccole, che non hanno nulla da dire di fronte ai problemi umani. I problemi umani sono tecnicamente non risolubili". (Ferrarotti F., 1983). "L'umanesimo residuo della tarda modernità, chiama a risolvere l'intera gamma dei

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problemi umani, l'ingegneria socio-politica e la tecnica. L'ultima bontà è l'efficacia: una situazione umanisticamente controllabile e risolubile, e quella in grado di approntare risposte efficaci, tecnicamente funzionali, dotate di elevato grado organizzativo e funzionale". (Acone G., 1986). Tale situazione, a parte l'alto valore organizzativo e funzionate, non è degno di essere chiamato "nuovo umanesimo". Perchè l'uomo sia veramente libero, occorre una comunità dove l'essenza primaria sia l'essere e non l'avere. Utopia? "Si, nella misura in cui un pizzico di utopia è presente in ogni iniziativa che vuol trasformare i dati di fondo del destino dell'uomo; si ancora, nel senso che non potrebbe realizzarsi da un giorno all'altro, anche se apparissero in un prossimo avvenire uomini decisi ad attuarla, ed anche se si potessero mettere insieme i mezzi necessari. Non utopia, viceversa, nella misura in cui questa prospettiva risulta, non solo coerente alle fondamentali esigenze del mondo d'oggi e alla linea di forza della sua evoluzione, ma addirittura anticipata in tentativi e fenomeni che si avvertono un po' dappertutto in paesi assai diversi tra di loro, per struttura sociale e per livello di sviluppo economico". (Scurati C., 1986).

1.3. PEDAGOGIA ED EDUCAZIONE: OLTRE LA CRISI

"Per molto tempo la storia dell'educazione e quindi quella della pedagogia, si è identificata con la storia della filosofia: si è esclusa ogni interdisciplinarità, riducendo cosi la ricerca storica a stanco e vuoto formalismo". (Catalano F., 1976). Questo certamente non ha contribuito alla formazione di un nuovo pensiero critico, che contribuisse alla formulazione di un nuovo concetto di educazione. "La nozione di educazione, elaborata nella cultura occidentale d. C., è concepita come un processo che avviene attraverso il farsi personalità, storicità, cultura e razionalità della persona. Processo che ha a che fare con una costellazione di valori universali, che danno la direzione di senso dell'articolazione della conoscenza, delle abilità e delle condotte che costituiscono l'infrastruttura tecnica dei processi di apprendimento". (Acone G., 1986). La nozione rimane sterile, senza analisi pedagogica dei contenuti. "La configurazione ideologica della pedagogia, finisce schiacciata tra la raz.ionalizzazione tecnico-scientifica, propria dei processi dell'istruzione e della connessa tecnologia, e la riafferrnazione della valenza metafisico-religiosa di ogni umanesimo e quindi di ogni educazione umanistica". (Acone G., 1986). L'educazione umanistica, in occidente, e progressiva acquisizione da parte delle giovani generazioni, di modelli, di valori, di fini e di significati, connessi alla civilizzazione cristiana; "al di sotto del processo di secolarizzazione nella sostanza stessa delle così dette morali laiche, vi è il tentativo di conservare l'umanesimo tagliando la trascendenza, di incarnare i valori nella storia, senza più una radice divina, di concepire come assolutamente laici i significati della tradizione etico-metafisica dell'occidente, prodotti dalla civilizzazione cristiana", (Acone G., 1986). Per questo motivo, i concetti della civiltà cristiana fanno da traino per la formazione di una civiltà ritrovata. "La progettualità dell'educazione, così concepita, si inserisce nell'orizz.r>nte sr>ciale e culruralc attraverso vari scenari: il primo e I'orizzonte culturale del nostro tempo, la costellazione dei valori; il secondo concerne il piano sociologico e riguarda le condizioni

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della progettualità educativa, rispetto alle prospettive della società post industriale". (AconeG., 1986). Cultura ed educazione si uniscono e diventano il polo centrale per la formazione di una nuova società. "L'educazione alla libertà, pertanto, si dà come educazione all'impegno, attraverso il potenziamento delle capacità intellettuali, di analizzare il reale e operare scelte gravide di responsabilità". (Genovesi G.,1989). L'uomo produce così cultura, non formale, ma di utilizzo per la società, perché così "nella dimensione sociale dell'educazione, si ha la trasmissione di un patrimonio culturale indispensabile allo sviluppo dell'uomo, affinché egli non rinasca come gli animali ogni volta da capo". Il cittadino deve, inoltre, essere partecipe e responsabile della propria vita sociale. "L'obiettivo principale è quello di suscitare, sostenere e prolungare un processo attivo di acquisizione continua di ogni individuo, all'interno di ciascuna delle situazioni che egli affronta per trasformare il suo vissuto culturale, (Furter in Scurati C.,1986). Non solo la scuola, ma anche la extra-scuola deve collaborare a questo progetto "nell'ottica di un sistema formativo integrato con, a fondamento, l'interazione fra scuola e le agenzie formative esterne alla scuola; l'educazione può abbracciare ogni momento significativo della vita dell'individuo". (Genovesi G., l989). "Il criterio che consente di mettere a fuoco, tra i diversi dati raccolti. quelli che costituiscono l'oggetto proprio della ricerca storico-educativa, e l'introduzione del concetto di intenzionalità verso il bene, verso tutto ciò che vale la pena di essere vissuto, verso il miglioramento dell'esistenza individuale e sociale". (Genovesi G., 1989). Tutto deve iniziare da una nuova concezione di società come comunità e quindi anche di scuola. Fin dai primi anni della scuola materna ed elementare, i bambini devono vivere questa nuova realtà. "Naturalmente è necessario che qualcuno crei le situazioni problematiche in base alle capacità di soluzione del bambino, perciò è fondamentale la presenza di un educatore che insegni a giocare", (Genovesi G.,1986). L'educatore acquista, cosi, un ruolo molto importante per la causa sociale. È di conseguenza obbligatorio che ogni individuo, che deve assimilare per poter utilizzare più tardi le possibilità culturali offerte dall'ambiente per il suo apprendimento autodidattico, sia molto sensibile a questa nuova causa.

l.4. PEDAGOGIA, EDUCAZIONE E CULTURA CHE CAMBIA

Il nuovo clima culturale e sociale indica nuove istanze di libertà e di democrazia (e quindi di educazione). Tuttavia se da una parte assistiamo ad una sempre più diffusa coscienza civile (tutela dei diritti umani e dell'ambiente, lotta alla criminalità organizzata e alla corruzione economica e politica), dall'altra vi sono nuove intolleranze e nuovi razzismi (di religione, razza, colore della pelle...) che ci rendono incerti sui principi etici di fondo. Questo clima complesso e bivalente ci chiede uno sforzo nuovo per mettere in discussione fondamenti ultimi dell'educazione: la fiducia nelle capacità soggettive di libertà e di cambiamento del reale, la fede nella razionalità, nella scienza e nella tecnica.

l.5. PEDAGOGIA IN DISCUSSIONE

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Intorno agli anni trenta Husserl aveva già individuato la crisi delle scienze europee in quanto troppo oggettive e distanti dalla vita. Alla fine degli anni 60 le scienze umane e sociali (prima ritenute come scienze dell'emancipazione e della liberazione), si sono dimostrate inquinate ideologicamente: scienze borghesi al servizio del potere-dominio (ma anche scarso rigore scientifico, inutile retorica, loro collocazione in una razionalità al tramonto. In questo quadro la pedagogia è apparsa come la più debole tra le scienze umane e sociali: è stata messa in discussione radicalmente (addirittura taluni ne hanno decretata la fine) ed è in discussione forte anche oggi. L'opinione pubblica ha certamente compreso che l'istruzione e fondamentale e che, pertanto, necessita di una maggiore attenzione, ma le questioni sono affrontare più a livello di strutture e di istituzioni (politica) e di psicologia e sociologia, che non dalla pedagogia. Tra i ricercatori se vi è talvolta convergenza sulle problematiche formative, ve ne è molta meno sul quadro teorico di fondo. È necessario un approccio teorico-epistemologico alla pedagogia, senza dimenticare la realtà e la storia. Punti di concentrazione problematica Il termine pedagogia non viene ugualmente usato in tutto il mondo (nei paesi anglofoni, nonostante il Dewey, si usa "education"). In ogni caso esso si riferisce al "far educazione" e quindi può essere vista come teoria, o arte, o scienza dell'educazione. In tutti i ricercatori vi è l'esigenza della ricerca, dell'insegnamento, della comprensione teorica, della prospettazione comprovata, di ciò che si può fare. La connessione tra pedagogia e educazione indica la prima ipotesi: "la pedagogia è oggi in discussione perché è il mondo educativo a essere in discussione". Un'altra considerazione riguarda la pedagogia nella sua organizzazione disciplinare e cioè l'identità della pedagogia come scienza (si deve parlare di pedagogia o di scienza dell'educazione, di scienze dell'educazione o di scienze pedagogiche? Ed inoltre qual'è il rapporto della pedagogia con le altre scienze umane?) II discorso si svilupperà intorno al rapporto pedagogia-educazione, all'identità disciplinare, alla conoscenza pedagogica. Educazione e pedagogia (relazione tra domanda sociale di formazione e funzione pedagogica) Educazione e cambiamenti (socio-econornici, comunicazioni, spostamenti, mercato): l'educazione deve aprirsi a prospettive mondiali a causa della planetaria espansione dei contatti umani. Nella attuale societa post-industriate (computerizzazione) e a dominanza urbana dominano lo spirito scientifico e tecnologico (e i rispettivi valori); il divenire è considerato più del permanere, l'esistere e il fare più che il contemplare e l'essere, l'uomo-progetto più che l'uomo soggetto, il futuro il criterio valutativo più di ciò che si è e si fa nel presente. Ai ritmi della natura si contrappongono quelli della tecnica. I valori religiosi e sacrali vengono secolarizzati (razionalismo e laicismo) ponendo l'accento più sulla libertà dell'uomo che sull'adeguamento alla legge rivelata. L'emergere di libertà e democrazia rende la maggior parte critici a qualsiasi forma di privilegio e autoritarismo. Domanda sociale di formazione e sua ambiguità All'educazione si chiede di risolvere i problemi che questi aspetti sociali inducono sulla personalità o per adeguare i soggetti ad essi. Tale richiesta è ambigua perché la scuola non può rispondere a tutte le domande di

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formazione e anche perché può essere strumentalizzata da chi volesse costruire personalità subordinate (educazione come indottrinamento con la copertura ideologica della scuola) legittimando interessi particolari (omogeneizzazione culturale consumistica; cosmopolitismo manovrato dalle superpotenze a detrimento delle culture locali) e non il bene comune. Domanda sociale di formazione e pedagogia Il nuovo assetto sociale dopo la seconda guerra mondiale, in un primo momento chiese all'educazione e alla pedagogia di contribuire alla formazione dell'uomo e del cittadino secondo ideali di libertà, giustizia, democrazia, solidarietà. Successivamente il loro accento venne spostato verso lo sviluppo economico e sociale (agenti di mobilita e cambio). La crisi degli anni 60-70 ha messo in discussione la pedagogia e l'educazione come strumento ideologico asservito al potere dominante (soprattutto a causa degli insegnanti), o per la loro arretratezza rispetto alla ricerca scientifica. La pedagogia (e la riflessione pedagogica) ha quindi cominciato a criticare il sistema sociale di formazione (con il sostegno teorico-ideologico della Scuola di Francoforte - Froom, Marcuse e della psicoanalisi freudiana). Nella pratica educativa si è enfatizzata la posizione centrale dell'alunno rispetto al maestro (del giovane rispetto all'adulto, dell'apprendimento sull'insegnamento, della cultura emergente rispetto alla cultura-patrimonio, sostanzialmente della soggettività rispetto all'oggettività). Spesso però si è passati dall'autoritarismo al lassismo permissivista, allo spontaneismo, al formalismo. In certi ambienti si è cercato di sostituire all'insegnamento tradizionale uno stile educativo di "animazione". Infine, però, a causa della richiesta determinata dallo sviluppo tecnologico, sono prevalsi i concetti di "programmazione" e di "razionalizzazione controllata dei processi di apprendimento". Si e fatto sempre più forte l'influsso della cibernetica, telematica, ecc. che hanno preso il sopravvento sulle pedagogie più progressive. In primo piano la scuola mette la formazione delle intelligenza e lo sviluppo padroneggiato delle conoscenze, invece della socializzazione e inculturazione; l'attenzione passa dalle pulsioni istintive al pensiero (apparato di organizzazione concettuale della realtà: una sorta di computer naturale) che comporta una nuova separazione della scuola dal contesto sociale, non come distacco ma come simulazione scientifica. La ricerca educativo-pedagogica studia cosi i presupposti psicologico-mentali dell'apprendimento o individua modelli strategico-operativi (con rischi di tecnologismo c di neo-pragmatismo). Altri indirizzi indicano la necessita di sistemi formativi nella continuità tra scolastico e extrascolastico in prospettiva di educazione permanente e secondo istanze culturali neo-umanistiche (solidarietà, sviluppo, mondialità). A livello scolastico si insiste su una riforma dei curricoli e degli stili didattici in senso democratico e non dominativo. Ma sono presenti i soliti rischi. Nuovi contesti vitali e pedagogia Relativamente ai cambiamenti socio-culturali si parla di "transizione socio-culturale" di "complessificazione", di "differenziazione": cioè si trovano nel sociale aspetti disomogenei in reciproca riequilibrazione o autoregolantesi. Insomma vi è continuo equilibrio-squilibramento tra differenziazione e omogenizzazione attraverso l'industria culturale.

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Ciò determina una accresciuta frammentazione dei tempi e dei modi della vita individuale e collettiva e un'adesione a valori continuamente diversi, il non sentirsi legati a niente e a nessuno, l'affidarsi sempre a scelte parziali e a medio termine. Contemporaneamente al frenetico attivismo degli anni 60 e all'apparente, involuzione critica degli anni 70, si è sviluppata una rivoluzione silenziosa per la qualità della vita, la pace l'ecologia, la maggiore partecipazione alla vita democratica dei singoli e dei gruppi, di promozione unitaria e civile della condizione femminile... Ci si interroga sulla perdita o la mancanza del senso dell'agire, sulla capacità di conseguire o mantenere l'identità personale, sulle relazioni interpersonali e i flussi della comunicazione sociale. Tali questioni indicano la necessità del rinnovarsi della ricerca pedagogica rimettendola contemporaneamente in discussione soprattutto in riferimento all'alta problematicità degli stessi fondamenti dell'intervento educativo e della ricerca pedagogica (soggettività, progettualità individuale e collettiva, fiducia nella razionalità capace di guidare l'agire, intersoggettività della comunicazione) o almeno i capisaldi della paideia moderna (libertà soggettiva, razionalità, capacità della scienza, tecnologia, sviluppo).

1.6. IDENTITÀ DISCIPLINARI

La nascita della pedagogia come disciplina specifica, si rifà alla fede illuministica nelle capacita soggettive di progettualità razionale, finalizzate al progresso e alla felicità per tutti. Pedagogia e scienza dell'educazione La rivoluzione industriale e le istanze liberal-democratiche hanno spinto verso la scolarizzazione pubblica e di massa della scienza e l'esigenza di conoscere meglio l'alunno e la professione docente. Si è quindi posta attenzione ad approfondire il divenire individuale e collettivo con metodo scientifico e al metodo (cammino, mezzo, via, tecnica). Tutti i campi sono attraversati da una certa "vena pedagogica" e, a loro modo, tutte le scienze umane sono in qualche modo educative; le stesse tecnologie trovano la loro legittimazione sociale considerandole al servizio del progresso e dello sviluppo civile e umano. Ma tutto ciò gioca a svantaggio della definizione disciplinare della pedagogia che viene sottomessa o sottoconsiderata (v. la subordinazione alle più diverse filosofie o la sua stessa identificazione come in Gentile), oppure la avvicina al sapere medico, psicoterapico, alla sociologia (sociologia dell'educazione del Durkheim) e alla psicologia. In chiave neo-positivistica recente la pedagogia viene accostata alle scienze del comportamento e della comunicazione. Scienze dell'educazione Si ha dopo gli anni 60 la tendenza a parlare di "scienze dell'educazione" o di "scienze pedagogiche" (al plurale). Nata come studio del bambino e della preparazione del maestro, si è aperta alle diverse età della vita (permanente, continua, terza età...), all'extrascuola. La necessità di una formazione multidisciplinare è legata alla convinzione che occorrono competenze varie e complementari per dare risposte ai sempre più complessi problemi della formazione pubblica e privata. II passaggio dal singolare al plurale si connette anche con il pluralismo socio-culturale (convivenza sociale multiculturale, rifiuto di forme univoche di scientificità.

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Ma anche la pluralità è da taluni rifitata, criticandola come un "bricolage" senza unità reale; nel migliore dei casi si avrebbe un generico raggruppamento di scienze (enciclopedismo) solo esteriormente raggruppate dalla problematica educativa. I difensori delle "scienze" dell'educazione sostengono al contrario che si tratta di un sistema multidisciplinare (complesso di scienze specifiche, interpretative, metodologiche e tecnologiche) con lo stesso centro problematico e una stessa linea di sviluppo scientifico che pone l'interdiscipinarità come metodo fondamentale della produzione scientifico-conoscitiva (fare scienza in maniera sinfonica). Poiché mancano spesso le condizioni di fondo, un sistema di scienze dell'educazione rischia di essere più un'intenzione che una realtà attuata. Inoltre c'è chi afferma che non potendo coprire tutta la formazione, l'approccio multidisciplinare finisce per considerare il divenire e la crescita umana come "cosa della natura": il comportamento sarebbe ricondotto ai suoi fattori, senza attenzione al carattere di evento dell'agire e dell'interagire (irripetibili); infine verrebbe trascurata la parte fondamentale delle scelte: intenzionalità, aspirazioni, desideri, valori, richieste sociali. In sintesi il discorso dipende da come si concepisce la scienza e il rapporto tra questa, la filosofia e la tecnologia. Ritorno alla pedagogia Ad alcuni le discussioni precedenti sembrano solo accademiche e propongono una sorta di neo-pragmatismo ricercando l'efficacia operativa senza troppe preoccupazioni epistemologiche. Oppure si punta sulla costruzione rigorosa di tecnologie modellistiche da usare nell'esperienza. Ma è proprio da qui, per non cadere nel tecnologismo e nel riduttivismo, che riparte la ricerca epistemologica per ritrovare una qualche unitarietà del senso della ricerca e della cultura della formazione. Da più parti si ritorna ad una pedagogia al singolare: una disciplina accademica che non si risolva nei molteplici approcci alla formazione e all'educazione presenti nelle altre scienze umane e che tenga presente e renda conto delle dimensioni che appartengono all'essenza del problema pedagogico; 1)- la necessità di una conoscenza positiva del soggetto in formazione, del rapporto educativo e dei contesti della formazione (dimensione storico-empirica); 2)- l'attenzione alle tendenze generali del divenire e agli aspetti qualificanti della crescita personale (dimensione teorico-antropologica); 3)- la ricerca delle esigenze dell'intervento e dell'agire educativo (dimensione metodologico-progettuale); 4)- la sensibilità per le condizioni e gli strumenti operativi che danno efficacia all'intervento educativo (dimensione tecnologico-operativa). In relazione a ciò vengono individuate tre forme principali di proposte: a)- si muove dall'analisi del linguaggio e del razionalismo critico popperiano: la pedagogia è vista come una disciplina analitica del linguaggio educativo e genericamente formativo (scienza logico- empirica che ha accanto una filosofia dell'educazione con funzione essenzialmente critico- prospettica per ciò che riguarda fini e valori educativi e una pedagogia pratica con funzioni di mediazione tra scienza, filosofia e prassi). h)- si muove sulla scia delle prospettive e dei metodi ultradisciplinari (pedagogia come sforzo teorico-critic.o per individuare gli itinerari della razionalità educativa ricostruendo una solida paideia formativa; o come ermeneutica della prassi formativa).

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c)- ricerca il proprium della pedagogia rispetto alle altre scienze dell'educazione, nel suo porsi come sistematizzazione dei contributi delle altre scienze umane o educative per ripensarli c rileggerli in chiave educativa. Oppure come scienza dell'organizzazione c dell'intervento educativo (logica e modelli formali). O ancora come metodologia generale dell'educazione che media tra filosofia e scienze dell'educazione. Scelte epistemologiche e scelte istituzionali operative Prendere posizione per una soluzione sistematico-interdisciplinare o per una monodisciplinare-multidimensionale, dipende da ragioni teoriche, storiche e accademiche. In genere si vede meglio l'interdisciplinarità nell'ambito della ricerca pedagogica e la sintesi disciplinare nella docenza.

l.7. CONOSCERE PEDAGOGICO E SUE QUESTIONI

A favore dell'una o dell'altra scelta incidono anche sensibilità soggettive, la predominanza di tradizioni accademiche e culturali locati, giochi di potere socio-economico-politico-culturale. Fra teoria e pratica Nella sapienza popolare esistono molti consigli sull'educazione: il giudizio va da un loro totale rifiuto ad una accettazione anche in chiave attuale. Lo stesso accade per il sapere scientifico: negli ultimi duecento anni il carattere scientifico della pedagogia e sempre stato precario. Secondo alcuni non è possibile, nell'ambito educativo, giungere ad affermazioni universali (e un fenomeno che attiene lo psichico, il sociale, lo storico e l'evento è irripetibile e quindi non generalizzabile), come prevede l'ambito scientifico. Tuttavia si afferma anche che si evidenziano (e sono quindi trattabili scientificamente) aspetti, tendenze, regolarità dei fenomeni indagati. L'educazione e anche fatto, fenomeno, processo storico, rapporto interpersonale e quindi analizzabile con procedure e metodi scientifici (almeno parzialmente). Questa linea è favorevole ai metodi ultradisciplinari (approccio sistemico, fenomenologia, ermeneutica) o ai metodi clinici o analitico-linguistici, più adeguati a tener conto del concreto nella sua globalità e nel suo specifico. Ma l'analisi del discorso educativo e di quello pedagogico, indica che in pedagogia non ci si limita alla constatazione e descrizione o giustificazione di aspetti teleologici presenti nella realtà educativa, occorre esprimere giudizi di valore, indicare prospettive, dare prescrizioni per le scelte individuali e collettive, orientando a un futuro migliore. Non si tratta solo di fare analisi e diagnosi sull'educazione esistente, ma di avanzare delle prognosi (ipotesi ben fondate) per il futuro dell'educazione. La pedagogia è costretta a muoversi tra individuale e universale, tra sapere e agire, tra fatti e diritti, tra idee e valori, tra esigenze personali e istanze sociali. Essa deve offrire e produrre conoscenze e idee e formare intellettualmente i ricercatori, ma anche servire a dare norme e metodi per l'azione e a considerare gli effetti professionali.Nessuno mette in dubbio la scientificità della medicina, mentre ha dubbi per la pedagogia che manca come la prima di una lunga tradizione di studio, di ricerca e di consolidamento culturale. Questa sottovalutazione accademica è anche dovuta al suo sbilanciamento sulla pratica e sulla formazione-addestramento.

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Si tratta inoltre di fare una distinzione tra pedagogia scientifica (come scienza) e pedagogia non scientifica (arte, teoria). Pedagogia e scienza La scienza oggi non è intesa più in modo positivistico (sperimentazione positiva su fatti e fenomeni) e neppure in termini di verificabilità degli asserti (neo-empirismo). In relazione a ciò si riteneva che solo le scienze fisico-matemaliche sarebbero state le uniche conoscitive della realtà: il resto faceva parte delle opinioni e delle emozioni. La scientificità è oggi vista: nella rilevanza dei problemi affrontati, nella coerenza interna ( procedure rigorose e logiche), nella validità esterna (spiegazione dei fenomeni per un certo tempo non spiegabili), pubblicità (sottoporre le proprie affermazioni a controllo critico e renderle capaci di produrre cultura). Molti studiosi mettono sempre più in risalto la dimensioni umana, storica c vitale della scienza: la produzione scientifica si incontra con i concreti fatti sociali, culturali, economici, politici, religiosi e con l'utopia positiva del futuro. La conoscenza pedagogica si muove tra dialettica e retorica usando ora una logica dimostrativa, ora una logica argomentativa. Il problema, di ordine critico, i inteso a controllare se effettivamente e in quale misura studi e ricerche riescono a delimitare l'ambito di scientificità della pedagogia. Arte e tecnologia in educazione e in pedagogia Occorre intendere il concetto di pedagogia come arte ripensato oggi. Parlando di arte non ci si riferisce solo all'artista (la sua genialità, spontaneità e improvvisazione) per non rischiare di fare dell'educazione l'enfasi della genialità educativa e pedagogica soggettiva. Arte fa riferimento anche all'artigianato, al tecnico che applicano il sapere scientifico nella realtà producendo innovazioni. Ogni vero artista si nutre di scienza e fa esercizio continuo) e creativo di tecniche e modelli operativi. Si tratta di equilibrare l'abilità personale con l'informazione scientifica e la produzione tecnica, l'intuizione geniale con procedure operative tecnologicamente fondate. Pedagogia e momento politico-educative Ma in pedagogia non ci si può ridurre al sapere tecnologico, né alla ricerca della validità procedurale: alla pedagogia sono fatte richieste relative ad un sapere che sostenga il decidere, lo scegliere per intervenire concretamente in vista di scopi che investono l'interiorità dell'uomo e il suo specifico. Questo costituisce il "carattere pratico" del sapere pedagogico: normatività operativa o procedurale: scegliere l'azione, agire, verifica normatività o prescrittività assiologica: indicare norme, principi, modelli, regole. La conoscenza pedagogica e conoscere scientifico-dimostrativo, ma soprattutto riflessione conoscitiva ragionata. I fini educativi sono intrecciati a quelli politici, economici, etici, culturali, religiosi, Spetta a una "politica dell'educazione" mediare tra ideale e reale, tra domanda soggettiva e sociale di educazione e possibilità concrete di risposta, come ricerca del socialmente condivisibile attraverso i valori alla base della vita comunitaria. È il momento delle progettazioni e programmazioni ai diversi livelli e delle sperimentazioni innovative.

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Il sapere scientifico si integra con questo momento di ricerca aiutandolo ad essere rigoroso, logico, sistematico, critico, ragionato.

1.8. PEDAGOGIA E CULTURA

Il discorso scientifico sull'educazione e solo un fattore di sostegno alla attività educativa. È pertanto necessario porre la ricerca pedagogica scientifica in dialogo con la tecnologia, con la ricerca politica, l'esperienza di vita, l'intuizione soggct1iva e tutte le scienze umane (economia, arte, lavoro, letteratura, politica...) Si determina una specie di "circolo pedagogico" tra scienza, tecnologia, filosofia, ideologia, politica, saggezza e esperienza. E queste modalità cognitive si concretizzano nei problemi educativi reali. Si delinea un quarto nodo problematico: quello della cultura contemporanea, complessa, pluralistica, frammentata, in transizione. È il nodo detta convivenza sociale e della comunicazione. La pedagogia è oggi in discussione non solo perché si interessa di educazione e pensa all'educazione, o si organizza istituzionalmente per l'educazione, ma in quanto modo storico di pensare l'educazione nell'attuale situazione culturale, con tutta la problematicità che questa situazione storico-culturale comporta. La sua ragion d'essere anche per futuro dipende dal suo essere critica, di ricercare una paideia (cultura formativa e humanitas intenzionalmente e impegnativamente perseguite per una migliore qualità della vita individuale e collettiva). È in questo quarto nodo che sta soprattutto la sfida della pedagogia: aiutare a ripensare la vicenda umana nella sua globalità, a prospettarne uno sviluppo dal volto umano aiutando a superare l'empasse in cui la vita e la cultura attuale sembrano trovarsi. "Prima di formulare programmi e di costruire curricoli differenziandoli per gradi e per ordini scolastici, se si vuole evitare di attribuire alla scuola una cultura specifica in senso deteriore, è necessario individuare i contenuti culturali che tutti devono possedere". (De Bartolomeis, 1982)Innumerevoli definizioni cercano di chiarificare il concetto di cultura. "Ancora oggi molti pareri sono discordanti sul fatto che possa esistere una cultura generalizzata, codificata, oppure che la cultura (come del resto l'educazione) debba essere una proprietà specifica dell'individuo, legata alle sue qualità, abitudini, bisogni. Naturale sembra invece il fatto che i due termini, educazione e cultura, debbano essere intimamente legati e che uno sia in funzione dell'altro e viceversa" (M. Gori, 1981).Per Macciò, "la cultura è basata sul riconoscimento di valori personali; questi valori non sono la prerogativa di un gruppo di individui o di un'epoca, ma sono universali e permanenti" (Macciò, 1975).Santoni-Rugiu e Fagni affermano che "il significato del termine cultura in sé è parecchio mutato rispetto a quello tradizionale. Prima la cultura era solo una parte della civiltà, ossia del patrimonio di gesta, di pensieri e di credenze accumulate nei secoli e secoli. La parte di questo patrimonio che riguardava i fondamenti del pensiero religioso, filosofico, scientifico e di produzione estetica, letteraria e via dicendo, veniva detta cultura, appunto ... dall'equazione cultura=istruzione e viceversa, salta all'occhio che nel termine cultura vi rientrava soltanto la produzione e i processi formativi di cui potevano beneficiare le classi benestanti. Tutto ciò che non apparteneva a quell'elevato e minoritario livello sociale era al più considerato cultura con la c minuscola e non era affatto considerato cultura. Atteggiamento analogo si usava verso le popolazioni primitive o anche non civilizzate come noi. Le loro religioni, le loro musiche, le loro danze, le loro poesie popolari, i loro istituti sociali e giuridici, non si concepiva nemmeno fossero degni di attenzione culturale. Anche la produzione musicale, artistica, poetica e persino letteraria del popolo era considerata solo come pura curiosità, come esotismo. I moderni antropologi chiamano quell'atteggiamento 'etnocentrismo', quando si riferisce a popolazioni giudicate non civili, ed 'esclusivismo' culturale, quando è riferito alle classi non dominanti delle popolazioni civilizzate. L'atteggiamento

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giusto sarebbe invece quello del relativismo culturale, ossia l'ammettere che ogni produzione individuale e sociale dell'uomo può costituire un contributo culturale e rappresenta comunque un modello culturale che testimonia l'attività oggettivamente riscontrabile" (Santoni-Rugiu, Fagni, 1976).Per Rostagno e Pellegrini non si parla più di cultura soltanto rifacendosi ai libri consacrati dalla tradizione, "ma anche in rifacimento alla lingua che è espressione della gente, alle canzoni, alle espressioni quotidiane e rituali, alle tradizioni, a tutto ciò che è stato elaborato dall'uomo. Qualsiasi processo di culturizzazione che non provenga da una esigenza di arricchimento del proprio vissuto è nozionismo. Non è fare cultura, ma immagazzinare notizie" (Rostagno, Pellegrini, 1978).Per S. Klin "il sistema tecnologico è il sistema della cultura materiale: ne fanno parte gli utensili, le abilità, le procedure di lavoro, i metodi di produzione e di distribuzione dei beni e dei servizi, i metodi di amministrazione e di trasporto, tutto ciò che nell'insieme costituisce la risorsa del gruppo" (Klin, 1972)."La cultura non è più soltanto il sapere a memoria i contenuti delle varie materie, passivamente possedute attraverso ciò che si legge o si ascolta. Per elaborare cultura l'alunno dovrà essere avviato a ciò che realmente è, alla sua età, ai suoi interessi, ad orientarsi nel mondo della cultura che già esiste, ma contemporaneamente ad essere in grado di elaborare attivamente, in ogni forma e misura, la cultura del futuro" (M. Gori, 1982).Fra le svariate e spesso contrastanti definizioni di cultura, adottando il concetto di cultura descritto da Tylor (Tylor, 1975) come quell'insieme complesso che include le conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall'uomo come membro di una società, siamo concordi con De Bartolomeis quando intravede come contenuti culturali che l'educazione deve includere nei suoi interventi: 1) le conoscenze; 2) le istituzioni e le leggi; 3) le attività di lavoro; 4) la produzione artistica; 5) i comportamenti; 6) i sistemi di valori (De Bartolomeis, 1982). Infine per Whitefield, "obiettivo dell'educazione generale è lo sviluppo di persone globali, non di esseri asimmetrici, distorti o rachitici a cui mancano gli ingredienti di base per attingere la piena umanità e in grado di vedere il mondo solo da una ristretta angolazione specialistica" (Whitefield, 1971).

1.9. APPROCCIO FILOSOFICO ALL'EDUCAZIONE: LE DUE VIE GENETICHE

Nella tradizione occidentale il discorso sull'educazione si e svolto prevalentemente nell'ambito della riflessione filosofica (filosofia pratica che cerca le ragioni dell'agire sociale, politico, morale; da ricordare Gentile che identifica filosofia e pedagogia da cui deriva la concezione epistemologica della pedagogia come scienza filosofica). Nel mondo anglosassone, già dalla fine del secolo scorso, si diffonde un altro modo di concepire l'approccio filosofico alla pedagogia a partire dall'approfondimento della pratica educativa. Dewey intende la filosofia dell'educazione come teoria generale dell'educazione (filone empiristico-pragmatico), concezione che ha avuto fortuna fino agli ultimi decenni continuando con la scuola di Londra guidata dai Veters. Questi si muove nella linea dell'analisi del linguaggio scientifico e non scientifico nelle sue connessioni con l'agire morale e sociale: in questo discorso confluisce la filosofia dell'educazione. Ultimamente questo indirizzo si è avvicinato alla ricerca ermeneutica (specialmente della scuola tedesca) sempre sui problemi dell'azione umana storico-sociale e della sua qualificazione morale. Nelle altre nazioni occidentali e in Italia in particolare, successivamente al neoidealismo si è cercato di staccare la pedagogia come scienza dalla filosofia (considerata astratta, inquinante e soffocante della ricerca pedagogica positiva e sperimentale, dimentica dei problemi concreti dell'educazione, forma di sapere prescientifico o troppo aprioristicamente dogmatica). Tuttavia recenti sviluppi delle scienze umane ripropongono la necessità del contributo filosofico ai problemi educativi.

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1.10. SCHIERAMENTI TEORICO-PEDAGOGICI DEL DOPOGUERRA

Pur nella reazione al neoidealismo e al favore dato a una scienza dell'educazione, il dopoguerra vede una politica educativa che si rifà a convincimenti teorici di fondo che (distinti come i grandi partiti) sono: personalismo (democrazia cristiana): assume come fondamentale la categoria della persona pensata secondo la filosofia ispirata al cristianesimo (Maritain, Mounier, Stefanini), indirizzo laico (forze libcral socialiste): si rifà al neoilluminismo del Dewey e alla filosofia liberal democratica di Calogero, indirizzo marxista (forze social comuniste) o della prassi secondo la tradizione marxiana-gramsciana. Negli anni 60 la ricerca pedagogica teorica si è quasi esclusivamente dedicata allo studio dello statuto scientifico della ricerca pedagogica e dell'autonomia disciplinare della pedagogia.

1.11. LA RIPRESA DI UNA VIA FILOSOFICA DELL'EDUCAZIONE Negli anni 70 vi e stato un crollo di fiducia nei confronti delle scienze umane e si e riproposto più forte il problema delta via filosofica all'educazione e alla pedagogia. Pedagogisti di indirizzi diversi si sono trovati d'accordo nell'affidare all'approccio filosofico compito di chiarire il linguaggio scientifico e non scientifico dell'educazione e di assolvere alla funzione critica di comprensione generale dell'educazione offrendosi come filosofia delle scienze dell'educazione. Ma mentre per alcuni la filosofia e in ogni caso ideologica, per altri è compito della filosofia dell'educazione fondare e indicare l'essenza ultima dell'educare. La ricerca teorico-pedagogica si e mossa verso l'epistemologia pedagogica e verso l'analisi e l'interpretazione teoretica diretta dell'esperienza educativa. La via epistemologica Ha assunto vari aspetti: - come guadagno di normatività positiva desunto dai risultati descrittivi delle scienze umane - come atteggiamento filosofico globale e pragmatico (saperi enciclopedici, fini educativi, implicazioni morali connesse con la funzione sociale della formazione) - come ricerca delle condizioni trascendentali della conoscenza pedagogica - come metateoria o prospettiva ermeneutica meta-disciplinare (struttura del discorso pedagogico) - come ricerca del proprio della pedagogia rispetto alle altre scienze dell'educazione (via via visto come sistematizzazione dei contributi delle diverse scienze umane o da quelle dell'educazione; - come sapere progettuale ingegneristico-politico; - come scienza pratica dell'organizzazione dell'intervento educativo; - come metodologia generale dell'educazione. Negli anni 80, pur accettando la lezione del razionalismo critico popperiano e post-popperianro al positivismo, l'indagine epistemologica sembra risentire di residui neo-positivistici, poichè non indaga radicalmente i fondamenti e principi ultimi o l'ontologia-metafisica che sta a monte della scienza. Si rischia così un funzionalismo pedagogico o si mascherano ideologicamente le scelte di politica educativa. La via dell'interpretazione teoretica dell'esperienza educativa L'analisi dell'esperienza educativa ha analizzato in particolare la comunicazione e la relazione educativa, o il senso dell'educare o si è espressa come fenomenologia

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dell'esistere pedagogico o dell'essere per educare. Si cercano di individuare gli itinerari di razionalità educativa per ricostruire una solida paideia formativa nell'attuale momento storico (transizione dal moderno a1 post-moderno).

1.12. SVILUPPI E NOVITÀ NEI MODELLI TEORICO-PEDAGOGICI

Disagi e sviluppi interni del personalismo, illuminismo laico e marxismo pedagogico. Dopo il disagio degli anni 60 si è avuto il momento dello sviluppo innovativo di nuove categorie di riferimento rispetto a quelli che avevano supportato la politica educativa degli anni 50. Tra il 1971 e il 1973 vi fu una polemica tra Peretti e Catalfamo che pose l'accento sul fatto che vi erano diversi tipi di personalismo e diversi modi di intendere il concetto di persona (diversi rapporti tra razionalità e fede, tra metafisica e storia, tra trascendenza c esistenza, tra spiritualità e materialità, tra individualità e socialità). Da parte laica si ebbe la spinta verso la filosofia analitica (Peters) o verso il problematicismo fenomenologico (Bertin), o verso il razionalismo critico di Popper. Contro la pedagogia accademica veniva proposta la pratica della ricerca. Ebbe buon gioco l'indirizzo marxista nella critica alle istituzioni pedagogiche, ma troppo ideologizzato, dovette chiarire i rapporti tra rivoluzione, riforma e educazione. Nuove stimolazioni teoriche La coscienza critica degli anni '60 si è rinforzata di altri elementi teorico-critici negli anni 70 e inizi 80, chiamati "filosofie del sospetto" nei confronti delle teorie precedenti (sociologia critica della Scuola di Francoforte, diversi freudismi, cultura radicale e neonichilista). La contestazione del '68 aveva dapprima fatto riferimento alla scuola di Francoforte (Adorno, Froom) in cui Marx, Freud e Hegel sono coniugati per analizzare la società e la condizione umana in funzione della loro emancipazione. Nella cosiddetta sinistra progressista aveva avuto campo la psicoanalisi freudiana per la sua lettura antiautoritaria del sociale e del culturale e della produzione teorico-pedagogica. Il marxismo radical-libertario di Marcuse (scuola di Francoforte) fu prima osannato e poi criticato dalla contesta-zione; ma la sua ricerca, il suo modo di sentire legato particolarmente all arte, può essere da una parte inteso come abbandono del marxismo tradizionale e dall'altro come nuovo modo di pensare chiamato "cultura radicale" (orientata dalla psicoanalisi strutturalista lacaniana, ha visto l'esistenza come incessante e libera produzione disorganica di bisogni e desideri da cui esce profondamente scosso il tradizionale concetto di soggettività). Verso la fine degli anni 70 una ventata di neonichilismo nega la razionalità immanente alla storia o l'esistenza di normalità oggettive della natura a cui il comportamento individuale e collettivo dovrebbero adeguarsi (superati Marx e Freud si prende a maestri Nietzschc e Heidegger). La problematicità di pensare e di prospettare il vissuto personale e lo sviluppo comunitario Le posizioni teoriche precedenti rischiano di porsi in maniera eccessivamente opposta a quelle che le hanno precedute. Indubbiamente le loro risultanze teoriche hanno avuto il merito di puntualizzare le problematiche del vissuto personale e sociale contemporaneo esprimendo le difficoltà di partecipazione e determinazione di cambiamenti e innovazioni o di poter giungere a realizzare il bene comune. Negli anni '80 si è fatta rilevante la "speranza tecnologica" affidando il controllo della produzione e della vita sociale e personale all'uso persuasivo delle nuove tecnologie informatiche. Ciò ha dato luogo a una nuova modernità che supera il post-moderno e il neonichilismo. Con il rischio però di standardizzazione anonima, subordinazione del personale a interessi di produttività economica.

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Pedagogicamente, ripropongono teoricamente problematiche relative ai fondamenti dell'intervento educativo e della ricerca pedagogica: la soggettività, la progettualità individuale e collettiva, la fiducia nella razionalità e nelle sue possibilità di guidare l'agire umano, l'intersoggetività della comunicazione comunitaria. Non si può più pensare la persona come prima, dopo la scuola di Francoforte, la psicoanalisi, lo strutturalismo, il neo-radicalismo, il neonichilismo, la cibernetica. Ma sono stati essi adeguati, e lo sono ancora oggi, a spiegare la complessità attuale e i rapidi cambiamenti avvenuti? Da una parte si hanno adesioni al "pensiero debole" e dall'altra si riafferma la valenza culturale della civiltà occidentale cristiana rispetto al clima della morte di Dio e delle ideologie e la riproposizione di un "nuovo umanesimo" nella scuola e nell'educazione. Vi e anche nuova attenzione alla filosofia pratica, alla responsabilità educativa, ai valori dell'educazione.

1.13. FONDAMEN'I'I DELLA FORMAZIONE: NUOVE IPOTESI

Persona e nuova soggettività Alla luce del Concilio Vaticano II e dei cambiamenti socio-culturali bisogna rivedere il concetto di persona e di libera crescita personale (evitando rischi di individualismo, eccessivo spiritualismo e quindi di astoricità). I concetti di "popolo di Dio" e di "storia della salvezza" allargano i nostri orizzonti e le recenti stimolazioni culturali (psicoanalisi, strutturalismo,.....cibernetica) spingono a ripensare: il problema della soggettività il rapporto con il mondo l'autorealizzazione personale e la liberazione comunitaria e civile la convivenza democratica nel mondo, lo sviluppo e la pace per tutti. Laicità e ricerca scientifica Nessuna idea e nessuna ricerca può essere totalmente "laica" (oggettiva), valida di per sé, senza un preciso impegno di aderenza a regole di deontologia scientifica. La ricerca e la produzione di scienza e tecnologia è dentro la storia e gli interessi sociali. Non è quindi pensabile 1'autonomia scientifica e la sua oggettività libere da qualsiasi valore (più che libertà da...si tratta di libertà dentro 1'ideologia e la religione). Una visione razionale della storia non va negata, ma positivamente sostenuta da intenzioni ideologiche dalla ricerca ontologico-metafisica, dalla professione di fede religiosa. (Anche per un non credente). In Italia la ricerca pedagogica è evidentemente legata a gruppi politico-sociali egemoni. Prassi e libertà personale e comunitaria Limiti di carattere antropologico permangono sia nell'indirizzo laico che in quello marxista. Ad esempio il "culto dell'autonomia' relegato (in senso illuministico) alla sfera soggettiva (individuale per i laici, sociale per i marxisti) che male si incontra con l'altro (qualunque diverso). La prassi marxista rischia di sostenere il puro agire sociale senza soggetto individuale e senza la responsabilità personale nell'agire storico. Inoltre il concetto di prassi e ancora considerato riduttivo trascurando gli aspetti dell'essere, dell'interiorità, gratuita (tutto e visto in chiave di efficienza e di utilità). Si determina una logica marxista identica a quella capitalistica (manipolazione, potere dominio sulle persone e sull'ambiente). Le questioni sono prima di tutto politico-operative per cercare nuovi assetti più liberi, pluralistici, democratici. Il post-comunismo sta facendo prendere coscienza di questi pericoli, ma si continua a dimenticare gli aspetti teorici a monte: 1'estensione e il senso della libertà, l'individuazione di valori comuni nel pluralismo, la dialettica tra bene comune e interessi locali, il rapporto tra sviluppo e solidarietà...

1.14. STATUTO EPISTEMOLOGICO DI UNA FILOSOFIA DELL'EDUCAZIONE

Queste problematiche riguardano ancora in parte le prospettive epistemologiche e lo statuto epistemologico della ricerca teorico-pratica in pedagogia. Ma restringere l'apporto filosofico in pedagogia al compito epistemologico, rischia di limitare al personale

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l'attenzione teorica ai problemi concreti. Altri indirizzano la ricerca pedagogica a rivisitare la cultura e a rispondere ai bisogni sociali di formazione. La pedagogia diventerebbe una paideia o cultura appropriala alla formazione di soggetti che vivono in questo tempo. Ciò rischia di allontanare i pedagogisti (teorici) dai didatti (pratici) rischiando di ribaltare (in una posizione gentiliana al contrario) il rapporto tra filosofia e pedagogia, a favore della pedagogia. Necessita una suddivisione articolata e interdisciplinare de1 lavoro pedagogico per la sua complessità e per quella dei processi formativi sociali attuali. Una disciplina specifica in tal senso potrebbe essere la "filosofia dell'educazione" capace di adottare una pluralità di metodi e procedure di ricerca (analitico-inferenziale, dialettico, fenomenologico, ermeneutico...), privilegiando il momento teoretico (il pensiero che prova a conquistare consapevolezza degli elementi di globalità e universalità presenti nei problemi che affronta relativi alla formazione oggi; che ricerca il principio unificante e il senso umano dell'educazione e del discorso pedagogico). Tale disciplina produrrebbe più argomentazioni che prove, mostrando ragioni più che verificando fatti, usando 1'analogia e la retorica. Ciò richiede consenso sul carattere "analogico" della scientificità della disciplina e sulla legittimità di un approccio multidisciplinare alle problematiche educative verso 1'interdisciplinarita e la transdisciplinarità. Interdisciplinarmente la ricerca in filosofia dell'educazione si collega alla ricerca teologica da una parte e alla ricerca antropologica dall'altra.

1.15. EDUCAZIONE E VALORI

In sostituzione delle grandi ideologie tramontate si torna ai valori come sostitutivi di esse e per la loro funzione ideale di riferimento dell'agire individuale e sociale. C'è un rinnovato interesse per l'educazione ai valori (nella scuola vengono individuati nei contenuti dell'apprendimento scolastico disciplinare e interdisciplinare (sviluppo, ecologia, diritti umani, mondialità, internazionalità, cooperazione, pace, solidarietà). In conseguenza a tali nuovi contenuti necessita una rimpostazione della prassi didattica (procedure, strategie, finalità) che si collega con la più vasta ricerca sociale per un comune quadro di valori su cui basare la convivenza democratica e su cui fondare una morale pubblica nel pluralismo e nella complessità degli scambi socio-culturali (questi problemi sorno stati posti in particolare nella discussione sulla riforma della secondaria, nei nuovi programmi della scuola elementare, nell'insegnamento della religione) ispirandosi alla Costituzione e alle dichiarazioni internazionali. I valori sono assunti come quadro di riferimento delle finalità generali delle indicazioni programmatiche per i diversi gradi di scuola. Contro il nichilismo degli anni 70 si e proposto un "nuovo umanesimo" basato su solide competenze culturali di base per il pieno sviluppo personale e una valida partecipazione alla vita democratica, alla vita e alla produzione sociale. Diventa questo l'orizzonte di senso e di significato del nuovo umanesimo che indica l'esigenza di nuove forme di razionalizzazione dell'insegnamento e dell'apprendimento, la riforma dei curricoli, la strategia della programmazione, l'uso delle nuove tecnologie, una solida professionalità e la stessa ricerca pedagogica. Il discorso sui valori radicalizza la problematizzazione dell'educazione, cioè 1'esigcnza di precisare che cosa si intende per educazione e quali sono i suoi aspetti caratteristici.

1.16. I.'EDUCAZIONE: UN VALORE

Secondo alcuni l'educazione sarebbe intrinsecamente un valore poiché tende a promuovere uno stato desiderabile nell'educando (ipotesi pedagogica: migliorare lo stato dell'alunno rispetto alle condizioni di partenza). Ma possono esserci insuccessi e effetti perversi, può essere strumentalizzata e anche se ottiene successi, rimane il dubbio che possa essere considerata valida in se assolutamente (sviluppa la personalità o lo impedisce? Dinamizza

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veramente o mortifica la creatività del soggetto? Migliora la qualità della vita o la chiude nei modelli adultistici c istituzionali?). Nascono movimenti descolarizzanti o di radicale antieducazione contro un mondo programmato), calcolatore, modellato, istituzionalizzato, che controlla socialmente. Dall'altra parte vi sono coloro che intendono 1'educazione legata ai valori e quindi ad una visione metafisico-religiosa, comunque ideologica. Come continuatrice del potere-dominio l'educazione viene rigettata poiché adattiva al sociale esistente e limitativa della libertà personale. Si contrappone un'educazione materiale (contenuti di verità e valori tradizionali) ad una educazione formale (capacità, atteggiamenti, abilità, senso critico). In maniera ancora più radicale c'è chi sostiene che non si deve parlare a scuola di educazione che ha immesso in essa i problemi del sociale turbando le finalità scolastiche c la funzione docente; lasciando da parte l'educazione, a scuola si tratta di fare solo istruzione.

1.17. FORMAZIONE E ASPETTATIVE DI VALORE

La caduta dei valori religiosi e delle grandi ideologie laiche, non hanno messo da parie l'educazione. Essa va riconosciuta, resa possibile, dicibile e agibile. Al di la del rapporto tra istruzione e educazione, vi è l'esigenza sia delle informazioni e delle abilita che della crescita personale libera e responsabile, di relazioni significative, di un proficuo inserimento nel sociale e professionale, di una positiva qualità della vita personale e comunitaria. Tali aspettative formative (o bisogni o diritti) sono conflittuali con la carenza della scuola e della formazione sociale che spesso non ne permettono la realizzazione; Il bisogno di educazione (personale e sociale) non va pertanto visto come un bisogno metafisico, quanto come diritto e compito di tutti e di ciascuno, del singolo e del sociale organizzato rispetto alla condizione umana attuale, al momento storico, alle attese di valore. In ciò intervengono le concezioni che ciascuno ha del mondo e della vita, della libertà e della convivenza, delle possibilità di agire da parte del singolo e da parte della comunità, in sostanza di ciò che si intende come valore. La pedagogia si lega necessariamente alla antropologia, filosofia sociale, assiologia e etica, pur nel rispetto dei diversi punti di vista. Le domande forti sono quelle del rapporto tra soggettività e oggettività, tra individualità e socialità, tra spontaneità e istituzionalità, tra naturalezza e civilizzazione, tra fattualità e possibilità, tra datità e progettualità, tra privato e pubblico.

1.18. IL CONCETTO DI VAI.ORE

Ci si chiede in qual modo i valori possano essere riferiti ad un orizzonte di senso e di significato. Superando le impostazioni naturalistico-oggeitivistiche, sociologistiche, metafisiche il pensiero contemporaneo afferma che non nelle cose in sé o nel soggetto in sé, ma nel rapporto specifico e cioè nel diventare qualcosa bene per qualcos'altro, e situato il valore. Il luogo del valore e il rapporto interattivo e storico tra soggetto e altro, tra persone e cose, ma individualità e ambiente, tra passalo presente e futuro, tra modo soggettivo e mondo oggettivo, tra natura e cultura, tra fattuale e possibile:, tra immanente e trascendente. L'inizio del valore viene vissuto nell'apertura agli altri e all altro che permette di realizzare un "più di umanità" per sé e per tutti Il valore indica di dare un senso alla propria esistenza e di qualificarla umanamente nel reciproco rapporto tra il soggetto e 1'universo e in ciò che il socio-culturale può dare al soggetto per realizzare qualcosa oltre l'incontro. Nell'affermazione del valore c'è qualcosa di trans-soggettivo e di trans-oggettivo, pur qualificando sia il soggetto e l'oggetto nella loro relazione storica. Si. ha una trascendenza rispetto all'aspetto fenomenico (tra fatto e valore), ma fondata sull'esistenza storica-

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relazionale. Assumono significato i "quadri di valori" come riferimenti alle tradizioni, alla realtà, alle attese, al cambiarnento. Il valore assume dimensione dinamica evidenziando lo scarto tra ideale e reale., evidenziando la sua funzione critica e promozionale, che si realizza non da sé ma con il nostro impegno fattivo.

1.19. LA PERSONA COME VAI.ORE

L'attuale momento di deprivazione antropologica (disumanizzazione), e l'accentuato pluralismo suggeriscono il ricorso all'umano come sicuro riferimento all'agire storico, su cui convergono varie vedute valoriali e criteri ultimi di validazione di pratiche sociali e di prospettive politiche (diritti, dignità, capacità di autonomia decisionale e di liberazione storica, attenzione alla vita umana e all'ambiente). L'umano costituisce il perimetro delle possibilità soggettive relazionali o gli aspetti universali dell'individuo e della comunità (in senso ottimale) e quindi come meta e espressione completa delle potenzialità soggettive e come via da privilegiare nel lavoro formativo verso l'individuo e la comunità. Il primato dell'uomo e il processo di umanizzazione acquistano forza in una pedagogia umanistica secondo la quale l'educazione è vista in generale come iniziazione all'umano e nella scuola come formazione e stimolo all'apprendimento di ciò che è tipicamente umano nell'uomo (razionalità disciplinata e libertà individuale).

1.20. VAI.ORl E FINI EDUCATIVI

La individuazione delle finalità generali dell'educazione non è desumibile solo dal quadro storico dei valori e dalla visione del mondo, pur condivisi (e una delle fonti); occorre ascoltare soprattutto la concreta domanda formativa individuale sociale, diagnosticare le esigenze e le richieste della società e del contesto educativo, tener conto dei fini propri ad ogni istituzione educativa, intravedere le tendenze di sviluppo, considerare le potenzialità e le energie a disposizione... Le finalità educative sono le risposte che determinati uomini o gruppi danno a determinate situazioni storiche nel rispondere alla domanda di come la nuova generazione si debba comportare nel presente e nel futuro. "Ogni generazione deve definire da capo la natura, la direzione e gli scopi dell'educazione, per assicurare alle generazioni future il più alto gradi di razionalità e di libertà possibili", (Bruncr con il quale però non condividiamo il principio che debba essere la dirigenza politica a indicare tali finalità, quanto piuttosto riteniamo spetti ad un opera di mediazione e di dibattito ampi). Ciò accade con i programmi nazionali e locali. In tal modo la determinazione dei fini rientra in una più globale progettazione educativa (progetto pedagogico) e il riferimento ai valori scaturisce nel precisare i principi generali di azione e di intervento e le coordinate globali di riferimento. Infine la determinazione dei fini educativi richiede un processo di deliberazione e di scelta senza esiti scontati in anticipo, ma con aspetti compromissori (mediazione tra reale e ideale) a cui danno aiuto la ricerca scientifica e la riflessione critico-teorica, ma sempre in relazione al fine ultimo dell'agire.II fine supremo, soprattutto oggi, si può identificare nella crescita e nello sviluppo personale (cura e promozione di una vita personale e comunitaria umanamente degna per tutti e ognuno al meglio delle proprie possibilità e dell'ambiente di vita).

1.21. AGIRE E FARE IN EDUCAZIONE

Dal discorso assiologico (sul valore) si arriva al discorso pratico (sull'azione); Ogni finalità educativa presenta una doppia faccia: indica un valore, degno in sé e per sé, prospetta qualcosa di umanamente desiderabile "da essere" nell'educando e "da fare attraverso 1'educazione. E 1'azione educativa trova legittimato il proprio operare nel fine. L'educazione non è quindi solo attività, ma come aiuto, stimolo, attività promozionale che discende da un agire intenzionato (energie tutte protese e coscientemente dirette al fine).

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Si parla appunto di "educazione intenzionale" per distinguerla (la qualunque altro intervento sui soggetti in formazione; l'attuale attenzione sull'azione, collegata alla rinascita della "Filosofia pratica" specifica meglio l'intenzionalità educativa e precisa lo stesso intervento educativo. L'educazione intenzionale si comprende anche alla luce della distinzione (Aristotele) tra prassi (praxis) e produzione (poiesis) o a quella (S. Tommaso) tra azione immanente (che rimane nel soggetto: sentire, intendere, volere) e azione transitiva (che passa dal soggetto all'esterno) o alla nostra distinzione tra agire e fare. L'educazione intenzionale può essere intesa come "produzione" (strumenti, condizioni, strategie, modelli di mediazione dell'asimmetria) o come "azione" (che ha già un suo senso nel soggetto agente e che lo modifica nell'intelligenza, nella volontà, negli atteggiamenti). Se è vero che non è possibile fare senza prima agire, il soggetto agente è responsabile del suo fare e inoltre chi fa educazione va oltre un sapere tecnologico-artistico. Prende forza il "sapere pratico" capace di illuminare, guidare, regolare, indirizzare 1'azione, collegato al sapere sui fondamenti e gli orizzonti di valore dell'azione e la qualità e dignità umana. La filosofia ermeneutica evidenzia inoltre la "situazionalità", la storicità e la singolarità propria dell'agire che pertanto richiede il sapere pratico, proprie strategie conoscitive che aiutino la persona a saper agire umanamente nella concretezza storica. In sede pedagogica si evidenzia il carattere di avvicinamento e di accadimento storico, irripetibile. Occorre 1'uso di metodi comparativi, storici, analitici, clinico-diagnostici, ma prende soprattutto rilevanza l'educazione individualizzata e personalizzata. Metodologicamente acquistano credito le strategie simulative, probabilistiche o relative al prendere decisioni (da soli o in gruppo), e quelle riferibili all'organizzazione o a funzioni e ruoli manageriali. La tradizione dell'educazione come azione. era incentrata sull'attività intenzionale degli educatori; si tratta nel concreto invece di intendere 1'educazione come una rete di azioni che coinvolge: educatori (individualmente o come team) educandi (singoli e gruppi) soggetti che a diverso titolo intervengono nell'attività educativa. Ciascuno interviene con proprie intenzioni, opera secondo modi personali, coopera o si pone come frontiera interna rispetto all'azione dell'altro. La funzione educativa non appartiene quindi all'educatore, ma alla relazione educativa che è interrelazionale (riferita a processi vitali e progetti storici comunitari). Inoltre l'attività educativa necessita di tempi lunghi e si articola su piani a diversi livelli ed e quindi un "processo": l'educazione è fatta di una serie di attività collegate fra loro e interdipendenti che richiedono impegno organizzativo per la loro coerenza ed efficacia perché siano valide e significative. Nel concetto di processo si ha l'idea di una sequenza di atti diretti verso il fine dell'azione o come suo obiettivo.

1.22. RUOI.O DEI VALORI NELL'AZIONE EDUCATIVA

Nel concetto di processo c'è anche l'idea che la serie di interventi si attuano secondo un disegno, un progetto più o meno condiviso, chiaro, latente o esplicito. Il quadro di valori si offre come risorsa e fonte a cui attingere nella ricerca di significati e di senso per l'azione educativa e in particolare per la "tavola dei valori" da mettere all'inizio di modelli pedagogici e progetti educativi agendo anche come "riserva critica" nei confronti dei vari interventi. I valori formali (correttezza, significatività, rigorosità, logicità, congruenza...) e quelli operativi (efficacia, operatività, economicità, praticabilità, generalizzazione..) possono servire da "criteri di giudizio" verso le procedure teoriche e pratiche, scientifiche e tecnologiche, di ricerca e di azione, di progettazione e di attuazione, di controllo e di verifica poste in atto in campo educativo più secondo una normatività teleologica (rilevanza e significatività umana ultima) e teorica (validità intrinseca di mezzi, strumenti, strategie...).

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CAP. II - L'EVOLUZIONE DEI PROGRAMMI DAL 1859 al 1985

2.1. LA LEGGE CASATI

Il 1859 rappresenta, non solo per l'istituzione scolastica, ma anche per la società, una data molto importante poiché corrisponde alla pubblicazione della legge Casati che prevede la nascita di una scuola elementare pubblica e gratuita. Comincia l'alfabetizzazione di massa.Le classi sociali dominanti si erano sempre opposte allo sviluppo dell'istruzione di base estesa alla collettività, perché temevano le modificazioni che si sarebbero determinate, non solo sul piano economico, ma soprattutto su quello politico; infatti la scuola non trasmette solo conoscenze, ma anche valori, non solo qualificazione tecnica, ma anche ideologica, non influisce solo sugli aspetti cognitivi, ma anche su quelli affettivi e relazionali della personalità.La legge Casati rappresenta quindi una svolta nella politica culturale del nostro paese, il suo merito è quello di aver tenuto in equilibrio il meccanismo economico con il meccanismo politico in un periodo quale il Risorgimento, che chiedeva con forza la "omogeneizzazione integrale" della personalità e della società.1

2.2. RIFORMA GABELLI

Nel 1888 si ha la riforma Gabelli, i cui programmi ancora oggi raccolgono molti consensi proprio perché si cercò di liberare la scuola dallo "mnemonismo" che conduceva l'allievo ad odiare lo studio e a dissipare molte delle sue risorse intellettuali. Poiché i bisogni-interessi del bambino erano tenuti in scarsa considerazione, si otteneva come risultato una intelligenza ridotta ad uno stato di passività e di inerzia e si aprivano le porte ad un insegnamento "eteronomo", esterno al mondo di vita del bambino. Gabelli proponeva, in opposizione al diffuso verbalismo scolastico, un apprendimento fondato sui processi cognitivi di natura induttiva e deduttiva (la qualità dell'appreso) e non sulle materie (la quantità).

2.3. RIFORMA GENTILE

Nel 1923 si ha la riforma Gentile che sostituisce all'eteronomia gabelliana il modello soggettivo della vita e dell'esperienza, la piena valorizzazione della spontaneità-intuizione-creatività dell'allievo.Ma tale riforma, pur prendendo in esame i bisogni degli alunni, viene spazzata via dal consolidarsi di un apparato scolastico centralistico e dogmatico, che poneva al centro, l'insegnante. Si ha così una scuola prigioniera di schemi autarchici, chiusa nel più gretto provincialismo, che respingeva ogni esperienza pedagogico-didattica straniera.

2.4. RIFORMA OMODEO-DE RUGGIERO

Nel 1945 si ha la riforma Omodeo-De Ruggiero impegnata ad elevare l'alfabetizzazione di base e a dare spazio ad una robusta formazione intellettuale del futuro cittadino-lavoratore.Essa sostituisce all'autoritarismo gentiliano gli ideali della libertà dell'insegnamento, che hanno come scopo il raggiungimento di due obiettivi pedagogici: quello di una scuola elementare intesa come comunità educante e quello di un insegnamento psicologicamente fondato, che, muovendo dai bisogni reali e concreti dell'infanzia, sappia portare l'allievo ad impadronirsi dei contenuti-obiettivi della cultura, con l'istruzione sancita dai Programmi.Il limite della riforma Omodeo-De Ruggiero sta nell'illusione che la scuola possa riprodurre una "microsocietà" socialmente e culturalmente sufficiente.2.5. I PROGRAMMI ERMINI DEL 1955

1 Dopo la legge Casati la riforma Gabelli si farà portavoce di una istruzione enciclopedica e nozionistica; la riforma Gentile, di una scuola dalle caratteristiche gerarchico-autoritario-antidemocratiche; la riforma Omodeo-De Ruggiero, di una scuola intimistica costruita sul privatismo-individualismo didattico della coppia maestro-scolaro.

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Prendono in esame l'educazione ai valori più che la "padronanza" della cultura, inoltre tendono ad alleggerire il carico dell'istruzione primaria attraverso la divisione in cicli didattici, per rispettare modi, ritmi e tempi di apprendimento dell'alunno e per individualizzare l'insegnamento. Tuttavia, con questi programmi, si rischia di modellare il bambino a valori sociali e morali precostituiti, più che fornirgli strumenti di maturazione personale e intellettuale. Il maestro sembra assumere una sorta di infallibilità.Lo scopo principale che si propongono è quello di adeguare la scuola italiana alla pedagogia e alla didattica "progressiva" e "attiva", con una particolare attenzione al rapporto docente-alunno partendo dall'idea che l'insegnamento sia basato sui processi naturali di apprendimento, a partire dall'esperienza diretta del fanciullo.Questi programmi riflettevano anche alcuni elementi tradizionali maggiormente sottoposti all'usura e alla pressione innovativa del tempo quali:- unicità dell'insegnante;- alta concentrazione di contenuti, obiettivi e funzioni nel momento scolastico elementare;- visione piuttosto riduttiva dell'alunno, soprattutto per quanto riguarda la dimensione cognitiva;- carenza di elaborazione epistemologica sui contenuti dell'apprendimento.La loro formulazione è stata da due fondamentali esigenze:1- far aderire maggiormente il piano didattico alla struttura psicologica del fanciullo;2- tener conto che secondo la Costituzione, l'istruzione inferiore è obbligatoria almeno per otto anni.Vengono pertanto elaborati programmi graduati per cicli didattici, adeguati ai ritmi e alle fasi dello sviluppo dell'alunno, mediante un insegnamento individualizzato in base alle capacità di ciascuno, così che possa giungere con i propri tempi di maturazione al traguardo comune. Spetta logicamente all'insegnante, in base alle accertate possibilità dei singoli alunni, di formulare un personale piano di lavoro, distribuito nel tempo e che potrà continuamente aggiornare.Nel I ciclo l'insegnante deve orientare la sua azione educativa a promuovere lo sviluppo integrale della personalità, attraverso forme di attività spirituali e pratiche corrispondenti ai gradi e alle capacità di apprendere proprie dell'età, cercando di ottenere dall'alunno la partecipazione il più possibile spontanea e impegnata nella conquista individuale di condizioni, esperienze, abilità che contribuiscono nel loro complesso alla formazione integrale della personalità.Nel II ciclo sarà ancora l'ambiente il punto di riferimento per l'osservazione. Il bambino gradualmente si renderà conto delle molteplici connessioni e correlazioni esistenti tra questo e gli argomenti di studio. Questo servirà per dargli sempre maggiore consapevolezza delle unità della cultura di base.La scansione ciclica dei programmi del 1955 appare purtroppo inadeguata, perché concepita in una scuola elementare chiusa in se stessa. Il modello 1-3-1 sembrava quello più idoneo perché prevedeva l'annualità di ingresso e di uscita collegati con l'ultimo anno di scuola materna ed il primo anno di scuola media.Per i primi anni questi programmi hanno esercitato una sensibile azione di stimolazione e orientamento qualitativo, ma in seguito, per i rapidi mutamenti sociali, culturali ed istituzionali sempre più accelerati, sono risultati carenti.

2.6. DAI PROGRAMMI DEL 1955 A QUELLI DEL 1985

Dopo i programmi del 1955 bisognerà aspettare circa trenta anni per avere nuovi programmi a testimonianza della fragilità della scuola, dell'incapacità di reagire in una società che si sviluppa rapidamente, rimanendo legata alle vecchie istituzioni sempre più decadenti e sempre meno idonee alle richieste degli alunni.I punti a cui ricondursi nelle riforme sono essenzialmente due:a) la riforma della scuola media unica nel 1962 abolendo gli esami di ammissione dopo la scuola elementare, aprì la speranza ad un processo educativo continuo; la scuola di base è così costituita dai cinque anni della scuola elementare e dai tre anni della scuola media;b) anche la scuola materna assume importanza nel disegno della nuova scuola di base, diventando la prima esperienza di socializzazione e di apprendimento e riferimento indispensabile per la scuola primaria; ciò anche per l'elevata percentuale di bambini che la frequentano.

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Bisogna ricordare che la scuola media, prima del 1963, era suddivisa in due scuole post-elementari: una di avviamento al lavoro, l'altra che preparava alla scuola secondaria superiore alla quale si accedeva per esami.La scuola elementare è stata fatta crescere in quel periodo solo attraverso leggi delega, atti amministrativi, circolari ministeriali. Tuttavia le diverse leggi di ritocco ai vari ordinamenti della scuola media e della scuola materna, lasciano in sostanza inalterati i programmi del 1955 per la scuola elementare. - La legge n°820 del 1971 che prevedeva il tempo pieno con la suddivisione delle materie di serie A e di serie B, le attività integrative e gli insegnamenti speciali; il limite di questa legge è che la maggior parte delle scuole non ha potuto usufruire del tempo pieno.- La legge n°477 del 1973 introduce i decreti delegati che istituiscono gli Organi collegiali e la conseguente attuazione di forme partecipative dei genitori e delle forze sociali nella gestione della scuola, la sperimentazione e l'aggiornamento. All'interno di questa legge vanno presi in esame due decreti, il 416 e il 419. Con il primo si vuole aprire la scuola in direzione di socializzazione e democratizzazione della sua vita interna. Il secondo impegna la scuola alla pratica dell'innovazione-sperimentazione sia strutturale sia didattica.- La legge n°517 del 1977 (abolizione degli esami di riparazione, introduzione di nuovi criteri di valutazione, valorizzazione della programmazione, obbligatorietà della collegialità, intensificazione del rapporto della scuola con la comunità, personalizzazione delle piste di apprendimento e coinvolgimento in un'unica legge dei due gradi della scuola dell'obbligo) non scalfì neppure formalmente i programmi della scuola elementare. Si parte da una duplice programmazione "educativa" e "didattica", per giungere al capolinea della valutazione dell'intero percorso apprenditivo. Vengono aboliti i voti a favore di una valutazione "discorsiva". Viene avviata l'integrazione dei soggetti handicappati con l'aiuto di insegnanti di sostegno- La legge 270/1982 decretò la possibilità di attivare specifici progetti finalizzati nei quali potevano essere utilizzati docenti particolarmente preparati o in esubero a causa del decremento demografico che cominciava a farsi sentire.Pur rimanendo immutati i programmi del 1955, nella scuola primaria si sono avuti alcuni cambiamenti graduali. Nel 1960 salta la divisione delle classi per maschi e femmine; nel 1977 fu sostituita la pagella con la scheda e ha inizio l'integrazione degli handicappati con l'istituzione della figura dell'insegnante di sostegno.Cominciano ad essere ipotizzate revisioni degli ordinamenti, tra queste:1) non è importante sancire l'obbligo scolastico anticipato,2) l'istituzione dovrebbe avere una sua funzione autonoma indipendentemente dai modi educativi (materna-elementare) che essa assume,3) vanno proposti docenti "nuovi" abilitati ad operare in modo flessibile ed in situazioni di diverso livello di rendimento e di partecipazione.In sostanza si ha sempre più coscienza della necessità di una ritessitura dell'ordinamento scolastico, cioè un riordinamento didattico e curricolare definibili sulla base delle effettive possibilità dei singoli alunni.

2.7. LA COMMISSIONE DEI "60"

Il lungo itinerario che porterà alla formulazione dei Nuovi Programmi per la Scuola Elementare, ebbe inizio nel 1981 con la costituzione di una commissione incaricata di esaminare in via preliminare le condizioni per la revisione dei programmi del '55. La scuola elementare usciva da un periodo di profonda crisi e da vari tentativi di innovazioni sia spontanee che decretate per legge.Accanto agli interventi istituzionali, non meno importanti, sono da ricordare le numerose iniziative locali promosse dall'interno e dall'esterno della scuola che contribuirono a farne un arcipelago assai variegato in cui convivevano - e convivono -, aree di grande vivacità e aree di stagnazione, esperienze positive, soluzioni diverse a problemi simili e stereotipie difficili da modificare. In breve, ci si interrogava sulla reale identità della scuola elementare. Di fronte a

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tale realtà la commissione Fassino-Laeng elaborò una relazione che individuava gli interventi di carattere legislativo-ordinamentale, sui programmi e sulla formazione in servizio del personale. La Commissione ritenne prioritaria l'esigenza di rivedere i programmi, cioè di definire alcune linee pedagogiche e curricolari, sulla base delle quali poi avrebbero dovuto essere definite le scelte relative all'ordinamento.Nei primi trenta mesi di lavoro, la Commissione lavorò per:a) ridisegnare l'architettura della scuola;b) ridisegnare l'organizzazione curricolare delle conoscenze, con l'introduzione di nuove materie.Il primo obiettivo fu centrato con la redazione di una "relazione preliminare"; il secondo obiettivo fu raggiunto con la stesura dei Programmi veri e propri composti da tre parti:- Premessa.- Programmi didattici.- Lettera di accompagnamento al Ministro della Pubblica Istruzione.La Commissione lavorò in condizioni di "simulazione", immaginando i vari fattori e combinandoli fra loro fino ad ottenere un sistema coerente che fa riferimento ad una ipotetica scuola che dovrà prendere corpo per consentirne l'attuazione. Fin dall'inizio la Commissione si pose il problema del rapporto tra "Nuovi Programmi e Programmazione" e della differenza tra scuola del centro urbano e della periferia, tra scuole del Nord e scuole del Sud, che porterebbero ad inaccettabili disuguaglianze, cercando di elaborare un programma uguale per tutti. Dopo un lavoro di dieci mesi la Commissione presentò al Ministro una relazione preliminare, un documento complesso che parte dalla descrizione del lavoro svolto per passare poi ad analizzare i programmi del 1955 ed i mutamenti successivi; in particolare venne affrontato il problema della religione (accogliere e rispettare le esperienze di tutti e inoltre fornire, se richiesto, un insegnamento da affidare ai ministri delle singole confessioni). La relazione chiarisce inoltre che i programmi devono essere continuamente rivisti e aggiornati e assolvere ad una funzione essenziale di eguagliamento culturale definendo traguardi di conoscenza raggiungibili da tutti. Ciò anche attraverso il principio della continuità pedagogica e istituzionale della formazione di base attuando opportuni raccordi (annualità ponte). Si suggerì un ampliamento dell'orario (da 24h a 30h), l'inserimento di più insegnanti con competenze culturali e didattiche diverse e una maggiore integrazione tra discipline e testi. Vennero affrontati altri problemi quali: l'integrazione dei soggetti portatori di handicap medio-gravi e gravi e l'introduzione di garanzie affinché le differenze individuali di apprendimento non portassero a disuguaglianze.Infine la relazione di medio termine e la lettera al Ministro, che accompagnava il testo della proposta dei nuovi programmi, davano ampio peso alla "formazione degli insegnanti", indicandola come "condizione limite di tutta l'operazione" di innovazione dei programmi e degli ordinamenti.Compaiono termini come: "centri di interesse", "ricerca", "interdisciplinarità", che hanno in comune l'esigenza di abbattere le più o meno rigide separazioni fra le materie. La scelta disciplinare non è direttamente didattica, ma è concettuale nel senso che stabilisce degli ordini di discorsi ai quali il docente dovrà fare comunque riferimento, sia per aiutare l'alunno, sia per portare ordine alle sue conoscenze. Bisogna tener presente che si tratta della formazione culturale dei bambini e che quindi non si possono definire con una legge i processi culturali o gli interventi educativi che esigono libertà ed autonomia educativa.L'orientamento da consolidare era quello di una opzione per un modello integrato "programma-programmazione".Per il programma si richiedevano: la pertinenza delle proposte, l'essenzialità delle indicazioni, il controllo della prescrittività. "Il Programma, scriveva Petracchi, si costituirebbe come quadro di valori e di contenuti che si ritengono indispensabili per tutte le situazioni educative; mentre la programmazione si definirebbe come progetto di elaborazione di esperienze di apprendimento in una situazione educativa specifica".Per la programmazione si richiedevano: la razionalità della conduzione, la correttezza metodologica, il controllo della soggettività.La programmazione viene identificata dalla Commissione in una serie di "interventi coordinati a vari livelli":- più elevati e intermedi (Stato, Regione, Provincia, Comune, Distretto).- un livello prossimo e immediato (Organi collegiali locali: consiglio di interclasse o di circolo o di plesso, il

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collegio dei docenti, il consiglio di circolo).Ai primi livelli si individua un tipo di programmazione che può essere definita correttamente "Programmazione Scolastica" in cui intervengono gli organi pubblici con i quali la scuola deve collaborare alla definizione concorde di mete di sviluppo e all'utilizzazione di risorse e di mezzi. Al livello prossimo ed immediato la programmazione deve svilupparsi negli organi collegiali locali e impegnare l'iniziativa degli insegnanti che devono assumerla come sintesi progettuale e valutativa del proprio operato. In particolare i nuovi ordinamenti avrebbero dovuto prevedere un maggior tempo-scuola e una articolazione dei compiti tra docenti tale da garantire, con un continuo aggiornamento, prestazioni professionali di maggiore qualità. Dopo l'esame del C.N.P.I. e del M.P.I. si arrivò alla promulgazione dei Nuovi programmi col D.P.R. n.104 del 25 febbraio 1985. Contemporaneamente il Governo presentava alle Camere un disegno di riordinamento della scuola elementare, che dovette fare i conti con altre proposte già presentate in Parlamento da diversi partiti, con le spinte del mondo professionale, sindacale e politico che prevedevano le più disparate soluzioni. Intanto nella scuola elementare continuava il poco razionale impiego delle risorse lavorative con inadeguato utilizzo del personale che si rendeva via via disponibile in seguito al calo demografico. Nel frattempo potevano essere sperimentati i nuovi moduli organizzativi con le C.M. 288/'87 e 143/'88. Anche in base a queste esperienze, dopo la stagione contrattuale '87-'88, è stato possibile giungere alla legge di riordinamento della scuola elementare in cui emergono innovazioni di diversa natura, dalla specificazione delle finalità educative a quelle di carattere organizzativo, fra cui la configurazione dei 'moduli', che implica la pluralità dei docenti (3 insegnanti su 2 classi o 4 su 3). Sono inoltre previste due ore settimanali di programmazione tra insegnanti del modulo.Sul piano istituzionale la 148/'90 prevede l'aggregazione delle materie per ambiti disciplinari, secondo un criterio di affinità di ordine epistemologico, procedurale, concettuale, tematico:- linguistico,- matematico-scientifico (logico-matematico),- storico-geografico-sociologico.

2.8. FINALITÀ ISTITUZIONALI E PEDAGOGICHE

Le finalità istituzionali dei nuovi programmi tendono a raggiungere:1- Una scuola compiuta, che si potrà ottenere se vengono colmate alcune lacune di ordine strutturale e morale, producendo un'incisiva lotta all'evasione scolastica, insegnando che la scuola è segno di civiltà, garantendo il servizio mensa nella scuola a tempo pieno, assicurando una programmazione dello sviluppo della scuola materna che conduca in tempi brevi ad una effettiva "generalizzazione".2- La scuola discontinua deve lasciare il posto ad un percorso istituzionale continuo, sia in direzione trasversale, cioè secondo un sistema formativo integrato che sappia far interagire culturalmente scuola e territorio, scuole e agenzie del sistema formativo policentrico extra-scolastico; sia in direzione longitudinale, raccordando strettamente le tre scuole "materna-elementare-media", dando maggior importanza al primo ed al quinto anno della scuola elementare perché assumeranno il ruolo di annualità ponte.3- Una scuola elementare progettata su un unico modello-orario (30h settimanali).L'aspetto pedagogico che differenzia i programmi del 1955 e quelli del 1985, viene rappresentato da tre principali considerazioni delle quali la prima riguarda le caratteristiche generali della popolazione e quindi ha a che fare con la quantità e con la qualità dei flussi demografici; la seconda riguarda le trasformazioni delle strutture del sapere e quindi della comunicazione sociale delle conoscenze; la terza riguarda il mondo dei valori e delle loro assunzioni.

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Insieme questi tre aspetti determinano il volto del destinatario dell'azione formativa, del suo agente, della mentalità stessa in cui essa opera.La pubblicazione dei nuovi programmi è avvenuta il 12 Febbraio 1985, ma sono entrati in vigore nell'anno scolastico 1987-'88 con una applicazione graduale e quinquennale attuata integralmente nell'anno 1991-'92.Sul piano strutturale mantengono collegamenti con i precedenti programmi e lanciano verso nuovi itinerari.Con i nuovi programmi vengono rivalutate alcune materie considerate di secondo piano quale: l'educazione all'immagine, l'educazione al suono, l'educazione motoria e la religione, le quali, per la prima volta, vengono considerate dal punto di vista formativo-educativo.Di qui l'apertura verso le pedagogie "alternative", centrate su nuovi linguaggi, su nuovi orizzonti culturali, su nuovi problemi.

2.9. LA NUOVA SCUOLA ELEMENTARE

Il profilo della nuova scuola elementare è disegnato a partire dal suo essere "formazione dell'uomo e del cittadino", sulla base della concezione personalistica a cui si ispira la Costituzione della Repubblica Italiana.Si delinea una scuola nella quale, per stimolare lo sviluppo del fanciullo, si parte da schemi cognitivi e comportamentali e attraverso itinerari di ricerca, di scoperta e di proposta di nuove esperienze culturali significative, si giunge alla strutturazione di livelli sempre più articolati. Questo lavoro viene svolto in modo graduale per permettere una assimilazione e una partecipazione attiva da parte dei bambini.La scuola non illustra il mondo, ma spiega come si vive il mondo, ciò vuol dire che tra la vita scolastica e quella extra-scolastica deve esistere un rapporto di reciprocità e di scambio.La scuola, invitata ad un forte impegno di qualificazione ed organizzazione, deve garantire ad ogni alunno il diritto all'educazione, il sicuro possesso degli strumenti, un soddisfacente inserimento nell'ambiente, un corretto e proficuo rapporto tra cultura e società.Per poter parlare di nuova scuola elementare bisogna precisare:1) il vero significato di "elementarità" visto come contributo prezioso e insostituibile per la formazione della personalità in tutti i suoi valori, dal gioco alla intelligenza operativa;2) accettare la cultura originaria del fanciullo ed aiutarlo a raggiungere le prime fondamentali mediazioni dei linguaggi culturali;3) sostenere e accompagnare la crescita personale del fanciullo verso la conquista di una salda e progressiva autonomia;4) realizzare una più profonda vita di interpretazione sociale, usufruendo di prestazioni educative e didattiche professionalmente più mature, poiché frutto di una compartecipazione di talenti, di capacità, di competenze;5) sviluppare gli aspetti di produttività oggettiva attraverso l'impiego di strumentazioni didattiche.La scuola elementare può essere concepita come centro di ricerca che, con la collaborazione degli alunni, avvia e promuove l'individuazione e la soluzione di problemi attraverso la raccolta dei dati e l'interpretazione ragionata di essi. Per fare ciò possono essere seguite molte vie: centri di interesse, schede guida, itinerari di ricerca, interviste, questionari...che abbiano corrispondenza con i problemi reali. Di conseguenza si chiede agli insegnanti di acquisire le informazioni necessarie per poter guidare queste attività, facendo riferimento a precisi obiettivi sottoponendoli a continue verifiche. Se è vero che il fanciullo è protagonista, sarebbe un errore anteporre ciò che è incipiente a ciò che è compiuto, ciò che è in via di farsi a ciò che è fatto: il maestro non può essere ridotto a semplice suggeritore, ma assumerà il ruolo di guida, di aiuto nella crescita della persona, mettendo a disposizione degli alunni conoscenze e esperienze, poiché il processo formativo è complesso ed esige sensibilità e preparazione nell'educatore che lo rendono di volta in volta animatore, facilitatore, docente, operante in una struttura che può essere vista sia come scuola-guida sia come preparazione alla vita.Altre fondamentali istanze sono:a) la naturalità. la funzionalità della richiesta si fonda sul bisogno e l'interesse;b) l'individualità: cercare tutti i mezzi per adeguare il proprio compito alla varietà di talenti e di vocazioni umane e personali, realizzando un'educazione che permetta a ciascuno l'espressione massima di sé;

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c) la socialità: formazione individuale in una società organicamente concepita, in cui i talenti di ciascuno siano posti al servizio di tutti, giovandosi a loro volta dell'altrui apporto complementare.

2.10. LA CONTINUITÀ

Il primo carattere di rilevanza istituzionale attribuito alla nuova scuola elementare, è rappresentato dalla continuità educativa (orizzontale e verticale), intesa come capacità di raccordarsi e dialogare con le istituzioni e le azioni educative che la precedono e la seguono oltre che come capacità di "evoluzione e trasformazione" al suo interno, in relazione al dispiegarsi della crescita degli alunni, sul piano sia pedagogico, sia curricolare, sia organizzativo.Il passaggio dalla quinta elementare alla prima media, nonostante l'abolizione degli esami di ammissione, è visto sempre come un salto ad altra esperienza; infatti si passa:- dall'insegnante unico ad una pluralità di insegnanti,- classi diverse e più numerose,- molteplicità di libri.Il superamento dell'insegnante unico e la preparazione universitaria dei maestri che sta per partire, parificherà (speriamo non solo giuridicamente) insegnanti di scuola materna, elementare e media.Alla continuità dello sviluppo del soggetto educato, è sempre più corrisposta la continuità del sostegno e della guida offerti dalla scuola, la quale per prima deve intrattenere un rapporto stretto con la famiglia, perché è questo l'ambiente in cui il bambino ha fino ad ora vissuto. La continuità nella quale vengono racchiuse scuola materna-elementare-media, prende il nome di "scuola di base". Esse, tuttavia, non sono una struttura unica, ma hanno una loro autonomia e presentano articolazioni interne. Il sistema formativo unitario si realizza nella coerenza degli ordinamenti, della programmazione e in certi caratteri comuni della professionalità degli operatori scolastici.Nel corso degli attuali otto anni della scuola di base, si possono distinguere tre filoni interconnessi che si ripetono ciclicamente con differenti livelli di complessità:- il primo fa riferimento alla capacità di usare linguaggi e procedure specifici del mondo tecnico, attraverso il raggiungimento di obiettivi quali saper misurare, saper fare stime, eseguire operazioni, fare ricerche;- il secondo pone obiettivi che sviluppano nel bambino non solo le capacità di operare intellettualmente, ma anche manualmente: a) saper individuare un bisogno, analizzare problemi, formulare ipotesi, prevedere più risposte in grado di soddisfare il bisogno dato; b) verificare l'efficacia dei risultati raggiunti e l'efficacia del processo messo in atto;- il terzo si riferisce alla capacità di comprendere le relazioni che intercorrono fra mondo tecnologico, naturale e socio-economico, i cui obiettivi sono: riconoscere i problemi emergenti, analizzare aspetti quantitativi e qualitativi della realtà economica e sociale, ricercare e selezionare risorse.La scuola elementare vista come "introduzione" alla vita della ragione e ai significati della cultura, è la scuola dei "germi essenziali" e dello sviluppo dell'intelligenza alfabetizzata, ma si pone anche come "scuola educativa" nell'intreccio tra la dimensione istruttiva e quella educativa.

2.11. L'ALFABETIZZAZIONE PRIMARIA

La scuola prende atto del fatto che il bambino non è tabula rasa, ma porta con sé molte esperienze o "memoria culturale" sulla quale deve agire l'insegnamento: il bambino deve acquisire la capacità di riflettere sulla conoscenza per organizzarla, renderla funzionale ai diversi scopi, collegarla e confrontarla in rapporto alla varietà dei problemi. Come è stato ribadito anche nella Premessa dei nuovi programmi, la scuola si propone prima di tutto di conoscere e valorizzare le esperienze che il bambino ha fatto o che continua a fare al di fuori della scuola, ma più che altro le sicurezze raggiunte sul piano affettivo-sociale. Solo in seguito si potrà avere la progressiva costruzione delle capacità di pensiero riflessivo e critico, il potenziamento della creatività, l'autonomia e l'indipendenza di giudizio sulla base di un equilibrio affettivo e sociale e di una positiva immagine di sé.

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L'alfabetizzazione primaria mira ad una integrale appropriazione degli strumenti linguistici e logici, mentre l'alfabetizzazione secondaria è rivolta ad elaborare le strategie cognitive come strumento di formazione delle conoscenze (attraverso quello che è stato chiamato "insegnare per problemi").All'inizio della prima elementare è opportuno e consigliabile che l'insegnante svolga un'attenta ricognizione della preparazione del bambino in relazione al processo di apprendimento. In seguito la programmazione verrà sviluppata tenendo conto di queste informazioni per poter raggiungere i diversi obiettivi in modo costruttivo e significativo.Inoltre l'insegnante deve essere capace di realizzare un clima relazionale positivo, organizzando forme di lavoro di gruppo e di aiuto reciproco.La scuola elementare partecipa alla formazione del cittadino avviando alcuni processi basilari:- prima alfabetizzazione, basilare acquisizione di linguaggio e significati, strumenti indispensabili per comprendere il mondo umano;- crescita sociale, capacità e disponibilità di svilupparsi nel rapporto con gli altri in modo positivo;- crescita morale, formazione del senso di responsabilità che costituisce la sintesi umana di ogni capacità e competenza;L'integrazione di questi tre processi genera le basi cognitive e socio-emotive necessarie per la partecipazione sempre più consapevole alla cultura e alla vita sociale nel rispetto delle regole di convivenza, nella capacità di pensare il futuro per prevedere, prevenire, progettare, cambiare, verificare.

2.12. L'ORGANIZZAZIONE DIDATTICA

Secondo quanto detto nella Premessa, la nuova scuola elementare "segue le linee di un programma che prescrive sul piano nazionale quali debbono essere i contenuti formativi e le abilità fondamentali da conseguire, predisporre un'adeguata organizzazione didattica affinché il programma possa essere svolto muovendo dalle effettive capacità degli alunni".L'insegnamento nella scuola elementare è regolato dai programmi nazionali che vengono adeguati per ciascuna classe o gruppi di classe dalla programmazione educativa. Questi programmi sono sottoposti ad una revisione in un arco massimo di 10 anni da una apposita Commissione nominata dal Ministro della Pubblica Istruzione. Il piano annuale di attività scolastiche viene definito entro il 30 ottobre di ogni anno. I programmi nazionali definiscono:a) gli obiettivi di formazione generale secondo i principi affermati dalla Costituzione;b) gli ambiti disciplinari in cui si articola l'attività didattica, al fine di assicurare lo sviluppo di ogni alunno secondo le sue personali disponibilità;c) la prescrizione di contenuti e le indicazioni didattico-metodologiche, nonché le forme di una integrazione ritenuta necessaria al processo formativo-scolastico.L'introduzione di più materie è dovuta a diversi motivi:1) il destinatario di queste distinzioni è il docente che può trattare gli elementi di conoscenza non solo facendo riferimento ai quadri metodologici e concettuali;2) la scelta disciplinare non si traduce in immediata ripartizione dell'orario, ma il docente farà riferimento a delle esigenze interne;3) le destinazioni per discipline costituiscono la premessa necessaria per approcci di tipo interdisciplinare; solo dal di dentro delle discipline è possibile individuare connessioni di problemi e di temi.Tra le nuove materie introdotte, assume grande importanza l'introduzione della lingua straniera; l'alunno, al termine della scuola, deve essere in grado di sostenere una facile conversazione e una piccola lettura che si riferisca ad esperienze quotidiane. Lo studio della storia viene collegato con la geografia e gli studi sociali, rivestendo già a livello della scuola elementare la dimensione civile, culturale, economica, religiosa...L'obiettivo generale è quello di stimolare e sviluppare nei fanciulli il passaggio dalla cultura vissuta alla cultura come ricostruzione intellettuale, cioè come consapevolezza e conquista di conoscenze in sviluppo continuo.Altre materie quali l'educazione motoria, all'immagine, al suono e alla musica presentano caratteri innovativi di

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contenuto e di metodo rispetto ai programmi precedenti.La scuola elementare deve essere "una scuola adeguata alle esigenze del fanciullo", pertanto deve:- tener conto delle diversità individuali,- affrontare le condizioni di svantaggio con la costruzione di percorsi individuali,- integrare gli alunni portatori di handicap,- realizzare per i soggetti handicappati interventi di didattica qualificatamente differenziata.Poiché essa riconosce di non esaurire tutte le funzioni educative, deve:- favorire l'integrazione formativa con la famiglia,- valorizzare le risorse culturali e ambientali offerte dal territorio e dalle strutture in esso operanti,- operare nell'esercizio della propria responsabilità rispettando le scelte della famiglia.

2.13. UNA VISIONE D'INSIEME SUI PROGRAMMI '85

I programmi del '55, "indicativi" sul piano metodologico-didattico, erano "normativi" riguardo al fine dell'istruzione primaria che individuavano nella formazione integrale della personalità al cui "fondamento e coronamento" era collocata la dottrina cristiana nella tradizione cattolica. Gli attuali programmi dell' 85 compiono una diversa scelta di campo non intendendo più rifarsi ad una ideologia di orientamento religioso o laico. Essi si basano sui principi di "scientificità e di democrazia" intesi come principi metodologici di ricerca e di costruzione e non come postulati e verità assiomatiche. È in questo senso che si parla di "laicità" dei programmi dell' 85. Non si tratta però di ritorno al positivismo scientifico (programmi 1888, 1894, 1904) deterministico o all'idealismo (1923), bensì di un avanzamento nella direzione di quelle moderne teorie secondo le quali una concezione è scientifica nella misura in cui non si erige ad insindacabile concezione di vita, ma si riconosce come metodologia della ricerca nel cambiamento.2

Come nel passato, i programmi si aprono con una premessa sui caratteri e fini della scuola elementare nell'ambito della continuità dell'istruzione primaria obbligatoria e dei rapporti famiglia-territorio-società. La linea suggerita è quella di una interazione dialettica tra scuola e territorio, tra risorse cognitive della scuola e opportunità formative delle agenzie educative presenti nel contesto sociale di vita del bambino (famiglia, mezzi di comunicazione di massa, "associazionismo", servizi culturali-sportivo-ricreativi pubblici o privati). Non più scuola come "corpo separato" dalle strutture sociali e culturali del territorio, ma comunità scolastica che instaura una stretta relazione con esse. L'obiettivo educativo è lo scambio dei beni culturali, una scuola che esce quotidianamente nell'ambiente per elevarne i patrimoni/risorse (letterari, scientifici, storici, artistici) a oggetto di conoscenza. Le sedi formative della città si trasformano in altrettante aule didattiche decentrate (biblioteche, musei, centri culturali ed associativi)…3 Si insiste inoltre sull'opportunità che la scuola si adegui alle esigenze formative dell'alunno costituendo un

2 "I riferimenti scientifici possono essere accostati solo superficialmente a quelli positivistici; oggi i "fatti" e i "dati" non sono più feticci immobili, ma referenti empirici incorporati ad un'attività di pensiero nei propri costrutti; è finita la mitologia del fatto, è finito lo scientismo. Mai come oggi la scienza è diventata protagonista, diventando in pari tempo più cauta e consapevole del carattere ipotetico della propria interpretazione dell'esperienza; l'educazione scientifica non può essere dogmatica". (M. Laeng, I nuovi programmi della scuola elementare, in Psicologia e Scuola, p. 7).

3 "I Nuovi Programmi prevedono di elevare l'ambiente "sociale" e "naturale" a primo luogo di lettura, da sfogliare pagina per pagina, sistematicamente. Sì dunque al recupero didattico dei linguaggi sociali (della famiglia, dei mass media, della strada, del mondo del lavoro,

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ambiente educativo per l'apprendimento, inteso non come "cognitività astrattamente ed enciclopedicamente rinchiusa su se stessa o semplicemente trasmissiva, poiché l'apprendimento è un concetto che sta piuttosto ad indicare la costruzione interiore di connessioni e di significati mediante l'intervento attivo della coscienza. Pensiamo all'apprendimento dunque come risultato di un'esperienza articolata e integrata di elementi conoscitivi e affettivi, epistemici ed emotivi, analitici e contestuali" (cfr. C. Scurati, La nuova scuola elementare, La Scuola, Brescia, 1986).Tutto questo per offrire al bambino gli strumenti indispensabili per affrontare le nuove realtà che gli si presentano, alle soglie del Duemila. "La scuola dovrà essere sempre meno macchina di riproduzione dell'istruzione canonica e sempre più terreno di alfabetizzazione cognitiva di base, intendendo con questa il processo di appropriazione di strumenti linguistici e logici (tradizionali e "nuovi"), irrinunciabili per l'allievo, che popolerà il prossimo millennio. Sottoposto al futuro implacabile bombardamento semiologico, egli dovrà essere in grado di cogliere e allacciare i fili di una gigantesca matassa cognitiva e quindi di capire i nessi che legano insieme i tanti anelli sparsi delle conoscenze. L'alfabetizzazione logico-linguistica è compito culturale della scuola in prospettiva duemila, se non si vorrà abbandonare l'allievo - attonito ed impotente - dentro ad un mondo di segni incomprensibili e forse anche incomunicabili, che certamente divideranno cultura da cultura, ceto da ceto. Sprovvisti delle chiavi di lettura, i "microprocessori" della comunicazione appariranno senza scampo come una confusa ammucchiata di cachet informativi: se presi singolarmente e isolati dal quadro logico di cui fanno parte, spalancheranno le porte ad una erudizione dai contorni magici, irrazionali, superstiziosi. Sarebbe un modo di conoscere ed apprezzare la possibilità di decidere come essere uomini, dopodomani". (Maragliano, Vertecchi, op. cit. p. 21).Protagonista della Premessa è il "bambino della ragione". Viene archiviata definitivamente la figura logora di un alunno disegnata su una falsa identità, astratta e poco realistica: sull'immagine di un bambino dotato solo di fantasia-sentimento-intuizione. "Certo l'infanzia è stracarica di fantasia-sentimento-intuizione: ma è anche diffusamente attraversata da tensioni logiche-comunicative-corporee-operative-sociali. La carta d'identità dell'infanzia documenta un bambino storico, un bambino-ambiente, un bambino sociale, impegnato febbrilmente afare: a manipolare, progettare, risolvere i problemi della vita quotidiana. Questo significa, per il bambino, costruire autonomamente - "mattone" su "mattone" - la propria vita personale. Aria fresca, bambino nuovo. A cui si concedono senza finzioni le chiavi che aprono all'autonomia e alla ragione: le sole idee a schiudere i portoni cognitivi e socio affettivi della scuola elementare" (Maragliano, Vertecchi, op. cit. p. 30).Nei Programmi non poteva mancare la preoccupazione di una formazione democratica dell'alunno. Pur "rispettando le scelte educative della famiglia", alla scuola elementare viene attribuito il compito di aiutare il fanciullo a superare i "punti di vista egocentrici e soggettivi e gli stereotipi sociali" che privilegiano "un punto di vista di un

ecc.) là dove nascono e crescono: linguaggi che appaiono per lo più in sintonia, sulla stessa frequenza d'onda delle cose e dei valori che il bambino elabora, manipola e conosce, giorno per giorno. La scuola elementare è invitata ad osservare, raccogliere, utilizzare i segni/linguaggi di quel preciso alfabetiere lessicale e multiblocco logico che è appunto l'ambiente di vita del bambino. (Maragliano, Vertecchi, Pedagogia e didattica dei nuovi programmi della scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, 1984, p. 28)

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gruppo sociale a scapito di un altro". L'educazione ha come base una visione democratica della società in cui "tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge" secondo i principi della Costituzione. Il raggiungimento di questo obiettivo "non esprime un generico auspicio né si limita ad una proclamazione d'intenti: è il tentativo di individuare un punto di forza, un "perno", un nuovo "fondamento e coronamento" perché il progetto possa esistere come tale, strutturandosi attorno ad una finalità che ne precisa il significato e ne caratterizza il contenuto pedagogico e didattico. Detta finalità è chiaramente ravvisabile nella formazione di un uomo che sappia essere soggetto di convivenza democratica, cioè attore ed autore, insieme a tutti gli altri, della storia concreta della democrazia sociale e politica" (C. Scurati, op. cit. p. 30).Inoltre la Premessa parla di "funzioni motorie, cognitive, affettive" (quasi a volerle indicare distintamente con i problemi connessi): d'altro canto ci dice che esse devono operare "progressivamente in modo sinergico" attraverso un "impegno dinamico nel quale si esprime tutta la personalità" che deve pervenire a consapevolezza di sè e a capacità di autonoma valutazione. È importante che la scuola accerti fin dai primi giorni le "abilità di base esistenti", le attitudini individuali, l'orizzonte di esperienze e di interessi da cui muovono gli alunni, incluse le conoscenze già acquisite e le "sicurezze raggiunte". Se vi sono problemi, ritardi, carenze, è necessario intervenire prima che le eventuali diversità si trasformino in disuguaglianze.I punti centrali di questo nuovo impianto programmatic, sono: (cfr. C. Scurati, P. Calidoni, Nuovi programmi per una scuola nuova, La Scuola, Brescia, 1986, pp. 35-36).1) accoglimento di un umanesimo "totale", "integrale", rispettoso della natura dell'uomo nella sua piena esaustività di aspetti e dimensioni: di un umanesimo, cioè, che sia effettivamente antropologico e non "ideologico" nel senso di assolutizzazione unilaterale, parzialmente mistificante, di singoli e limitati aspetti dell'immagine e dell'esperienza dell'uomo a significato totale e omnicomprensivo della sua natura e della sua esistenza;2) collocazione, al centro della costellazione umanistica, del principio della persona come valore sussistente che, agli effetti della declinazione pedagogica, riconosce il suo fulcro orientativo nell'idea di un insopprimrbile ed incoartabile primato dell'autocoscienza e, conseguentemente, della libertà come caratteristica determinante della presenza dell'uomo nella storia e, quindi, come compito primario della promozione educativa;3) convinzione che questa visione della persona può essere impiegata sia come punto di riferimento assolutamente stabile, sia come strumento per "giudicare" e rivivificare in termini umanistici qualsiasi momento dello sviluppo culturale e civile costituendo insieme un ideale, un metro di valutazione e il fondamento per ogni possibile linea per l'azione;4) persuasione che l'educazione è opera inevitabilmente "assiologica" senza divenire per questo opera "servile" e "strumentale". L'educazione, cioè, si appunta a fini intesi come valori, ma non realizza "modelli" della personalità in senso deterministico: i fini dell'educazione allora, che pure devono essere concepiti e indispensabilmente proposti, vanno in definitiva ritrovati non all'esterno del soggetto, ma nella interiorità come attenzione al disegno originario e profondo che egli stesso viene progressivamente chiarendo e realizzando. L'educazione insomma, in

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quanto esperienza provvista di senso per l'uomo, può consistere sempre e soltanto nella piena ed adeguata soggettivazione del soggetto.Quanto all'impianto disciplinare, la preoccupazione è che il progetto culturale ed educativo venga imperniato sul passaggio continuo da una "impostazione unitaria pre-disciplinare all'emergere di quadri disciplinari progressivamente differenziati" e relazionati trasversalmente. "Le domande da porsi sono: quali le regole del fare di ciascuna disciplina? Qual'è la traduzione del suo codice in compiti operativi da fare eseguire agli alunni? Questa traduzione è possibile solo se si esplicita la "grammatica" e la "sintassi" della disciplina:a) le strutture sostanziali della disciplina e cioè le idee-chiave, i suoi concetti ordinatori fondamentali, nella convinzione che l'efficacia di una struttura dipende dalla sua capacità di semplificare l'informazione, di generare nuove proposizioni e di rendere più maneggevole un insieme di cognizioni;b) le strutture sintattiche della disciplina e cioè le condizioni ed i metodi di ricerca, i procedimenti d'indagine, i criteri e le prove di verifica, i modelli interpretativi propri della disciplina" (C. Venturi, Programmare per discipline nella Scuola elementare, Zanichelli, Bologna, 1986, pp. 99-100).

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CAP. III - CARATTERISTICHE E FINI DELL'EDUCAZIONE SCOLASTICA

3.1. IL DETTATO COSTITUZIONALE E LA SCUOLA

È certamente significativo che la formulazione dei caratteri e fini della scuola dell'obbligo prenda spunto dal dettato costituzionale. Ciò fa ritenere che l'intenzione del legislatore sia stata quella di affermare e ribadire l'inscindibilità e le finalità corrispondenti tra la Costituzione e la scuola dell'obbligo. Questa ha infatti per suo fine la formazione dell'uomo e del cittadino nel quadro dei principi affermati dalla Costituzione della Repubblica; essa si ispira altresì alle dichiarazioni internazionali dei diritti dell'uomo e del fanciullo e opera per la comprensione e la cooperazione con gli altri popoli. La scuola dell'obbligo ha per compito anche la promozione della alfabetizzazione culturale, costituisce una delle formazioni sociali basilari per lo sviluppo della personalità del fanciullo, dà un sostanziale contributo a rimuovere 'gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana' (art. 3 Cost.) e pone le premesse all'esercizio effettivo del diritto-dovere di partecipare alla vita sociale e di 'svolgere, secondo le proprie possibilità e le proprie scelte, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società' (art. 4 Cost.). Se si analizza attentamente il contenuto del dettato costituzionale, si ha la certezza che l'avvicendamento fra i due articoli della costituzione e gli obiettivi della scuola dell'obbligo, vogliano definire le sue finalità, legittimando nei suoi programmi, nella sua impostazione metodologico-didattica, le ragioni educative e sociali dell'istituzione.

3.2. MOTIVI ORIENTATIVI DELL'AZIONE EDUCATIVA

I movimenti di maggior influenza sul piano delle concezioni generali del rapporto educativo e del lavoro scolastico ci portano a considerare 4 influssi:1) STRUTTURALISMO considerato in una triplice direzione:- rispetto a un criterio di correttezza in ogni momento dell'apprendimento cognitivo;- possibilità di realizzare programmi che siano nello stesso tempo attivi e appropriati;- integrazione dei tradizionali contenuti curricolari con le indicazioni provenienti dall'antropologia.2) TECNOLOGIA dell'ISTRUZIONE: particolarmente presente nella seconda metà degli anni '60 sotto l'influenza delle promettenti prospettive che sembravano essere aperte ai processi di insegnamento dell'applicazione delle scienze dell'apprendimento, quindi nascono sotto l'influsso delle promesse e dell'automazione.Gli elementi indicativi centrali sono due:A - poter strutturare i comportamenti didattici con la stessa infallibilità che contraddistingue i comportamenti automatici e cibernetici;B - possibilità di utilizzare a scopo di insegnamento le risorse connesse all'elettronica avanzata e all'automazione.Entrambe comunque hanno subito un'azione d'arresto.3) NON DIRETTIVITÀ: nel clima liberatorio dei primi anni '70 si diffonde una mentalità ispirata soprattutto dagli sviluppi in direzione pedagogica della ricerca.4) PROGRAMMAZIONE CURRICOLARE: si è sviluppata durante gli anni '70.Anche qui abbiamo due gruppi tematici centrali:A - riconoscimento di potere alla scuola e alla classe, cioè ai luoghi concrete di svolgimento della esperienza curricolare;B - la tendenza a disciplinare questi spazi e questo potere mediante il ricorso a criteri razionali di lavoro tali da rendere professionalmente più affidabile e più attendibile il lavoro docente in particolare e il funzionamento della scuola in generale.Non bisogna dimenticare che per programmazione curricolare si intende adozione di criteri che rendono più libero il lavoro didattico. L'azione educativa è costituita da quell'insieme di modificazioni e di perfezionamenti con cui l'individuo realizza, permanentemente ed in modo completo ed armonico, la sua personalità e la esprime socialmente.I mutamenti ed i perfezionamenti dell'individuo non possono essere prefissati dall'esterno ed imposti secondo un

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modello standardizzato in quanto, derivando dagli stessi fattori che costituiscono la personalità, variano da soggetto a soggetto.L'azione combinata delle disposizioni originali dell'individuo, delle esperienze precedenti e delle condizioni ambientali presenti, è alla base dello sviluppo e della formazione dell'individuo. Questo processo di mutamenti e trasformazioni, che è il risultato positivo dell'interazione dell'individuo con il suo ambiente, è di per sé un processo di orientamento e cioè una ricerca delle proprie possibilità, del proprio ambiente, della vita migliore da seguire.Un individuo si orienta riconoscendo le condizioni in cui si trova, in modo da poter stabilire il comportamento più adatto e più utile in rapporto alle medesime.L'individuo è orientato quando è guidato in questo riconoscimento e nell'attuazione di un comportamento razionale…"Come azione pedagogica l'orientamento è l'aiuto continuamente dato all'educando per scoprire ed esprimere la sua vera identità e orientarsi razionalmente nel mondo; come azione tecnica è l'insieme dei procedimenti psicologici che consentono all'individuo di rendersi conto delle sue capacità e di conoscere la realtà in cui vive" (G. Giugni, op. cit., p. 72).L'orientamento, quindi, è presente nei due aspetti del processo educativo (formazione-istruzione) in quanto aiuta l'educando ad acquistare una sufficiente conoscenza di sé ed una considerazione realistica del mondo in cui vive.Il suo obiettivo è di sintetizzare questi due aspetti stabilendo un rapporto positivo tra l'io ed il mondo, quest'ultimo considerato e sentito come è e non come minaccia o come contesto di relazioni incomprensibili ed oscure.Un razionale processo educativo, dunque, è motivato dalla tensione propulsiva del dover essere, si realizza in modo totale ed integrale formando progressivamente l'identità del soggetto orientandola nella sua attuazione sociale.

3.2.1. L'educazione è un fatto esclusivamente umano

Sempre si è detto: "l'uomo si educa, l'animale si addestra". È vero che l'animale nasce, per altri aspetti, più maturo dell'uomo poiché viene alla luce con istinti già sviluppati, ed è pur vero che animali superiori, adeguatamente addestrati, raggiungono abilità simili a quelle dell'uomo.Tuttavia resta il fatto, mai smentito dalla storia, che l'uomo è in grado di creare cultura e civiltà, mentre l'animale rimane sempre se stesso.L'attività dell'animale è a decorso predeterminato: un cane o una scimmia, per quanto ammaestrati, ripeteranno infinite volte i comportamenti loro insegnati senza riuscire a svincolarsi dalla situazione di routine in cui hanno operato ed imparato.Manca loro la capacità di concettualizzare, di generalizzare il reale, presupposto indispensabile per fare del mondo un campo aperto di scelte libere e intelligenti.L'uomo, invece, ha la capacità di formulare concetti generali ed astratti e di espandersi culturalmente nella direzione da lui scelta e voluta e di testimoniarla.Essendo l'educazione un processo 'decisivo' non solo in ordine ai meccanismi di apprendimento, ma anche in riferimento alla globalità della vita, essa deve essere orientata in modo positivo e come fatto specifico dell'uomo.

3.2.2. L'educazione è cosa della comunità

Per crescere e diventare personalità, al bambino non è sufficiente l'eredità biologica o neurologica di cui è potenzialmente fornito, ma ha bisogno di aiuti e strumenti culturali di cui dispone solo la società.Senza il ricorso agli strumenti offerti dalla cultura, intesa come patrimonio accumulato nel tempo, l'uomo non potrebbe essere nessuno. Insieme alle energie dell'organismo, la cultura rende possibile la sopravvivenza e lo sviluppo della persona, facendo dell'educazione un fatto di promozione individuale e sociale allo stesso tempo.Non si può concepire l'esistenza di un individuo come separata e non interrelata con quella della società.Il dato sociale e quello individuale debbono considerarsi momenti fondamentali in reciproca interazione, l'uno indispensabile alla concreta esistenza dell'altro e non esistenze separate.Non si possono dare insegnamenti senza concreti rapporti con la cultura più viva della società del proprio tempo, perché l'educazione si nutre di quella cultura e non di nozionismo antico, appeso nel limbo delle cose inutili. "…la

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dimensione sociale dell'educazione comporta due momenti di presenza della comunità: il momento di inizio e quello di approdo. Per cui l'educazione potrebbe essere pensata come quel processo di formazione che parte dalla comunità di appartenenza, attraversa l'individuo e rifluisce nella comunità, provocando mutazioni comportamentali sia nell'uno che nell'altra". (M. Ferracuti, Pedagogia per educare, Progetto scuola, Casale Monferrato, 1986, p.26)

3.2.3. L'educazione è un fatto dinamico.

La dinamicità del concetto di educazione è strettamente correlata alla mobilità del mondo culturale. Cosicché, in ogni epoca, questa assume connotati o aspetti che riflettono la griglia culturale del momento storico e le intuizioni e speranze di chi affronta il problema.Oggi, poiché la società è caratterizzata da un dinamismo mai prima conosciuto, da una vertigine del cambiamento e del nuovo, la scuola non può fornire più una educazione 'scolastica', delimitata, cioè, nel tempo e formalizzata nei suoi contenuti e nei suoi metodi; deve piuttosto mobilitare le menti perché sappiano far fronte in maniera permanente a problemi sempre nuovi, perché siano in grado non soltanto di seguire, ma di prevedere e dominare il flusso dei valori, delle ipotesi e delle risposte attraverso cui la storia definisce e precisa il nostro cammino.

3.2.4. Principi regolatori del processo educativo

Il processo educativo ha per obiettivo la formazione della personalità, arricchendola del sentimento della funzione sociale. L'educazione, pertanto, costituisce una necessità e, conseguentemente, un diritto dell'individuo.È necessaria perché, mediante una razionale azione educativa, l'uomo riesce a soddisfare il bisogno di attuazione di sé, aumentando notevolmente le sue potenzialità e la sua capacità produttiva, con enorme vantaggio anche per la società. Se tale educazione è necessaria sia per motivazioni interne (realizzazione e valorizzazione di se stesso) che esterne (miglioramento e potenziamento della vita sociale), essa costituisce un diritto inalienabile dell'individuo.

3.2.5. Principio dell'esercizio funzionale e della tensione propulsiva dell'educazione.

"Quando si parla di persona non si fa riferimento ad un essere statico e passivo, oggetto di modellamento umano e di imbevimento culturale, ma ad un soggetto dinamico, attivo, cosciente, che, con le proprie forze, soprattutto, è chiamato alla realizzazione di sé. Anzi è su questo suo dinamismo naturale che si fonda la stessa possibilità dell'educazione. Sembrerebbe questo un principio tanto scontato da riflettersi e tradursi naturalmente nella pratica educativa. Tuttavia è così poco scontato da rappresentare una discriminante tra la scuola tradizionale e il concetto di scuola moderna". (M. Ferracuti, op. cit., p. 31)Per lungo tempo l'educazione non è stata centrata (e spesso non lo è ancora) sulle forze attive dell'alunno, sull'esercizio funzionale delle sue capacità, ma su programmi e metodi prefabbricati, su interventi magisteriali dell'insegnante diretti a travasare nozioni e informazioni nella mente vuota e passivamente ricettiva dell'educando.Più che di educazione, non poche volte, si è trattato di semplice appiattimento o modellamento della personalità. Si è passati sopra la persona, ignorando le forze più vive e dinamiche dell'essere, quasi addormentate o anestetizzate, per far posto alla lezione del maestro. Ci si dimenticava che la persona, per sua natura, è attiva, vuole sciogliere con le proprie mani i nodi dell'incompiuto, spingere sempre più avanti la definizione del suo 'essere-persona'; si negava il carattere primario del pensiero che è dato dalla sua operatività ed attività, piuttosto che da una passiva ricettività.Un'educazione che tiene nel debito conto questi dinamismi, deve configurarsi come attivazione dell'essere, come esercizio continuo di attività, come sollecitazione al 'fare e al 'farsi' della persona.Già Rousseau avvertiva che il bambino apprende e ricorda non le cose di cui ha sentito dire, ma le cose che fa direttamente. Il discorso del coinvolgimento attivo nei processi educativi, sarà ripreso dal movimento attivistico che ne farà la sua stessa ragion di essere.Una concezione educativa che sollecita l'esercizio funzionale delle capacità operative, non serve solamente a riqualificare i processi di insegnamento-apprendimento che devono essere attuati secondo una visione corretta della

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natura umana, ma anche a tutelare la dignità del ragazzo che è il protagonista e l'artefice dello sviluppo del proprio progetto di vita. L'educazione, come abbiamo visto, è un processo di azione in quanto processo di mutamento che ha significato educativo solo se procede nella direzione di accrescere sempre più il valore della persona.La personalità, perciò, si forma favorendo un comportamento propulsivo o creativo che mantenga sempre in atto la tensione della persona. "Questa tensione propulsiva si traduce nella capacità dell'individuo all'opzione, alla scelta che lo fa uscire dalla situazione della passività, dell'indifferenza, della chiusura in un certo modello per spingerlo ad una continua modificazione, al fine di acquisire una sempre maggiore apertura verso gli altri" (G. Giugni, op. cit., p. 68). La tensione educativa nasce dal convincimento che non esiste umanità aprioristica, predeterminata; esiste, invece, l'uomo che costituisce e forma continuamente la sua personalità.

3.2.6. Armonicità, totalità ed integralità del processo educativo.

L'unitarietà della persona è il presupposto fondamentale dal quale partire per affrontare la problematica dell'educazione. Non c'è trattato di pedagogia o didattica che non parli di sviluppo armonico della persona.Abbiamo già parlato della persona come centro di potenzialità, di energia, di forza, di capacità, di attitudini che premono per una loro maturazione e manifestazione sul piano espressivo ed educativo.Educare vuol dire sollecitare, stimolare, 'fare esplodere queste potenzialità e dinamismi interiori per ricomporli, integrandoli, nella struttura dell'io persona che, in un iter incessante di maturazione, avanza verso una progressiva consapevolezza di sé e una migliore integrazione con l'ambiente.Ciò tuttavia suppone che l'educazione non venga circoscritta a sfere privilegiate della persona, ma sia diretta a dare ampio sviluppo a tutti gli aspetti che concorrono alla formazione della personalità, dal fisico all'intellettuale, al morale, all'estetico, al sociale, in una interazione reciproca e continua che garantisce l'unità e l'armonia dell'io personale.È questo un punto cruciale del fenomeno educativo che storicamente si è andato configurando come sviluppo di alcune capacità o potenzialità a scapito di altre, come attenzione quasi esclusiva alle esigenze intellettuali dell'uomo, lasciando in coda le istanze bio-fisiche, affettive, sociali dell'essere umano quasi fossero momenti trascurabili della persona.La speculazione filosofica che da Platone a Cartesio ha progressivamente accentuato la visione dualistica dell'uomo, la eterogeneità di corpo e spirito e la superiorità dell'uno sull'altro, è stata sempre di ostacolo a una visione antropologica della persona nella sua unitarietà strutturale, dove l'educazione del corpo e quella dello spirito si ponessero come momenti unitari ed essenziali alla configurazione di un disegno formativo sistemico, integrato e armonizzato.L'uomo non è soltanto razionalità, ma anche sensibilità, affettività, socialità, corporeità, cioè un complesso pluridimensionale di attributi, qualità, esigenze, motivazioni, che debbono essere esplorati e culturalmente attivati attraverso un intervento educativo che rispetti la personalità nella sua unità.Una razionale azione educativa non solo comprende tutti gli aspetti della personalità in formazione (educazione fisica, intellettuale, etico-sociale, ecc.), ma li considera non isolati tra loro, più che in compenetrazione reciproca ed in connessione con i rapporti sociali, così da evitare sovrabbondanze o deficienze di varia naturaI cosiddetti settori dell'educazione non sono compartimenti stagni, ma orientamenti dell'attività educativa che, da determinati punti di vista, comprendono tutta la sfera dell'educazione.Ogni disciplina costituisce uno specifico linguaggio della realtà: nessun linguaggio prevale su un altro, ma ognuno è complementare agli altri e interfunzionale alla persona. Impadronirsi di questi linguaggi significa avere gli strumenti di scoperta e di interpretazione della realtà e, nel contempo, di espressione-comunicazione.Conseguentemente "l'interdisciplinarietà si inserisce come proposta metodologica nell'ordine stesso della natura della persona, e nel rispetto del suo equilibrio. Poiché la persona è interfunzionale fin dal suo primo determinarsi, il processo educativo deve tener conto di tutte le variabili della personalità dell'individuo e garantirne l'estrinsecazione" (M. Gori, Apprendi ad Apprendere, Bertello, Cuneo 1986, p. 14). Se la tensione educativa è verso l'unitarietà attuata della persona, ciò deve prevedere una riunificazione

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metodologica delle variabili del sapere.A tale proposito Piaget afferma: "Bisogna riservare il termine interdisciplinarità per caratterizzare un secondo livello dove la collaborazione si attua tra discipline diverse o tra settori eterogenei di una stessa scienza, il quale conduce ad una reciprocità negli scambi, tale che si giunge ad un completo arricchimento scambievole."La metodologia interdisciplinare, in sostanza, tende ad attivare delle strutture mentali adattabili a trasferirsi in qualunque altro campo del fare, del sapere, del conoscere.Non si insegnano gli apprendimenti, ma si insegna il metodo per apprendere, attraverso la risoluzione di una polivalenza di situazioni-problema a cui ciascuno dà la propria risposta e considerando l'errore, non come scarto rispetto alla norma, ma come risorsa.

3.2.7. Principio di educazione permanente

La crisi della nostra società è anche la crisi della nostra educazione; è sotto tale angolatura che il concetto di educazione permanente è andato largamente diffondendosi.L'educazione, si è detto, potrebbe definirsi come 'la vita stessa nel suo continuo farsi e autodefinirsi'. Se ciò è vero, essa non può configurarsi come evento che abbraccia un solo periodo della vita, quasi si tratti di un fenomeno circoscritto e da attuarsi una volta per sempre. Essa accompagna la vita in tutto l'arco temporale del suo svolgersi. Se ci sono particolari momenti di vita che necessitano di interventi educativi specifici, come ad esempio il tempo della formazione istituzionalizzata attraverso la scuola, non per questo gli altri momenti possono registrare disimpegni formativi o assenze educative.Se l'educazione è un processo aperto alla vita che si attua nella continua interazione dell'uomo con l'ambiente socio-culturale per l'acquisizione di abilità e strumenti culturali tesi alla determinazione del proprio io e alla comprensione del mondo in cui vive, essa deve abbracciare ogni istante dell'esistenza che, in tutti i suoi momenti, si pone in un rapporto di confronto dialettico e di comprensione interattiva con l'ambiente. Ogni istante della vita è momento educativo. Per questi motivi è errato parlare di educazione permanente come capitolo a parte della pedagogia: essa deve rappresentare la vera modalità in cui si attua l'educazione.Infatti, un processo educativo è valido se riesce a porre l'individuo nelle condizioni di esprimere sempre il meglio di sé, affermare la propria originalità, autorinnovarsi incessantemente, servirsi del proprio pensiero, affrontare situazioni nuove, vivere autenticamente i problemi del proprio tempo, impegnarsi non nella conservazione, ma nell'innovazione.L'educazione diventa allora un processo mai compiuto definitivamente. Ogni età della vita umana è soggetta ad educazione e in nessun momento della vita ci si può considerare pienamente educati.La vita è una sperimentazione continua, per cui l'educazione autentica deve essere un'educazione permanente.Il fondamento dell'educazione permanente è la soddisfazione dei bisogni, delle aspirazioni e degli interessi individuali e sociali che emergono nelle diverse fasi della vita.Ciò risulterà più chiaro se si pensa che la scuola non ha il compito di fornire la cultura, il sapere, la preparazione, una volta per sempre. Essa deve piuttosto abituare l'individuo ad acquisire il pensiero critico, l'autonomia, a produrre cultura, a sviluppare il sapere, ad aggiornare la propria formazione, a realizzare il cambiamento.Deve cioè insegnare all'uomo a saper pensare e a porsi con il proprio mondo in un rapporto dinamico e creativo, che lo renda sempre più consapevole e responsabile del suo posto e del suo ruolo. Soltanto entro questa prospettiva il processo educativo prende corpo e forma per il presente e per il futuro dell'uomo, e pone le basi di un'educazione dell'uomo nella quale non vi sarà posto né per una conformistica accettazione della realtà attuale, né per una fuga individuale della vita reale; di un'educazione che dovrà rendere l'uomo capace di impegnarsi per un avvenire migliore. Allora la scuola non sarà più il luogo quasi esclusivo dell'educazione, ma tutta la vita diverrà lo spazio privilegiato della propria formazione in prospettiva presente e futura.

3.2.8. Principio della direzionalità

Una delle questioni centrali del processo educativo è rappresentata dal fine dell'educazione. Un tempo il problema

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quasi non si poneva: la vecchia scuola rispecchiava una società relativamente omogenea nei suoi quadri di riferimento ed era facile orientare l'educazione su modelli etici, civili e relazionali accettati quasi universalmente.La scuola si poneva come modello e copia di tale società nel senso che essa, rappresentando gli stessi ideali della società a cui apparteneva, assumeva il compito di formare le nuove generazioni attraverso la codificazione e trasmissione di modelli culturali imposti e accettati dalla comune tradizione.Ma i nostri tempi registrano sia una frantumazione di modelli ideali su cui si articola la vita socio-culturale, sia una crisi radicale della concezione illuministica della scuola intesa come trasmettitrice di cultura. Una soluzione possibile va ricercata in una concezione del processo educativo inteso come 'cambiamento' permanente. La logica del cambiamento si fonda sulle categorie della 'diversità' e dell'innovazione. Si ha cambiamento, infatti, quando non ci si limita ad apportare modifiche in un quadro di comportamenti e di situazioni esistenti, bensì quando si costruisce un quadro nuovo, diverso dal precedente; volere il diverso significa assumere nuovi obiettivi rispetto ai precedenti. Tra l'altro è questo anche l'atteggiamento scientifico.Da sempre filosofi e politici hanno assegnato degli obiettivi all'educazione. Non poteva essere altrimenti, dato che il concetto di obiettivo è l'essenza del concetto stesso di educazione L'etimologia della parola lo esprime adeguatamente: educare vuol dire condurre, dunque guidare verso uno scopo. Condurre e in nessun luogo si escludono reciprocamente. L'importante resta che, senza una intenzione positiva, senza una norma, l'educazione scompare.Per quanto deplorevole possa sembrare, molti educatori insegnano senza preoccuparsi realmente dei fini educativi perseguiti. Il loro fine più tangibile diventa quello di occupare gli alunni in apprendimenti strumentali superati. In questi casi i manuali vengono seguiti pedestramente e si tende ad approfittare avidamente di tutte le occasioni per sfuggire agli obblighi professionali.

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CAP. IV - IL RUOLO DELLA SCUOLA OGGI

4.1. IL NUOVO INDIRIZZO

Da tempo le nuove generazioni sono "bombardate da immagini" e avvertono la perdita di valore che ha la parola nei confronti di esse, inoltre, alla rete tradizionale di sorgenti di informazione, ne va aggiunta un'altra, quella della comunicazione computerizzata, dotata di poderosa forza cognitiva per la pervasività dei suoi linguaggi multimediali. Avremo da una parte l'esplosione incontrollata di bisogni di informazione/apprendimento altamente differenziati, che condurranno al costituirsi di un sistema formativo a domanda individuale; dall'altra parte avremo la proliferazione sul territorio di offerte formative nuove, extra-scolastiche, che si porranno al centro di questi bisogni, quindi l'irruzione dei bisogni "individuali" dentro al sistema.La scuola sente il bisogno di cambiare il suo modello organizzativo per venire incontro alle esigenze delle nuove generazioni, ma sembra che i canoni tradizionali non recepiscano i messaggi e le esigenze provenienti dall'esterno, restando ancorati al vecchio modello pedagogico. I connotati in negativo della scuola tradizionale sono individuabili come: isolamento, inattualità culturale, individualismo formativo e didattico che dovrebbero scomparire per lasciare posto alla ricerca comune e ai percorsi programmati dell'apprendimento. Il nuovo indirizzo non vuole certo rompere con la tradizione, eliminare ciò che fino ad ora ha costituito il modello di insegnamento per molte generazioni, vuole semplicemente rendere la scuola capace di poter dare ciò che gli viene richiesto, e per fare ciò deve liberarla dalle "vecchie regole" Occorre un modello attento e aperto a cogliere i mutamenti che stanno investendo il sistema formativo, che sviluppa la scuola e la specializza, per poter affrontare e paragonarsi ai percorsi internazionali, cosa che in precedenza non era mai stato fatto perché la scuola era una istituzione a se stante. Di conseguenza una scuola di questo tipo è meno sottoposta a possibili effetti/notte, provocati dal ritorno dell'istruzione a scuola, dall'irruzione nella società di un sistema culturale a domanda individuale, dall'avvento di un sistema formativo frantumato (agenzie di mercato che prendono il posto di quelle "permanenti" e intenzionalmente "formative": famiglia, enti locali, ...).Tre sono le identità strutturali, curricolari e metodologiche che dovranno connotare una scuola nuova:a) scuola istituzionalmente completa e compiuta, perciò competitiva quando sarà chiamata alla sfida con gli altri linguaggib) superamento della cognizione che la scuola sia l'unico banco del sapere. Ora il compito di questa è insegnare ad apprendere e non solo di informare, di conseguenza avremo un'istituzione intesa come luogo di appropriazione degli strumenti linguistici e logici.c) la scuola dovrà inoltre raccordarsi e interagire con le aziende parallele presenti nel territorio, così da fornire una preparazione più completa.Inoltre la scuola deve mirare alla padronanza del sapere, e acquista senso solo se si traduce in padronanza della persona sulla realtà. Essa si pone nella società come agente e strumento di cambiamento cioè si impegna ad attrezzare i soggetti sul piano culturale e comportamentale, perché possano vivere nella società come gestori e non come gestiti, sempre secondo la prospettiva democratica.Il nuovo modello scolastico deve guardare oltre la scuola, quindi apprezzare il progetto interazione/interdipendenza di scuola/extrascuola, nel segno di un sistema informativo integrato. Di qui i modelli di integrazione longitudinali (materna-elementare-media) dovranno presentarsi unitari e in continuità poiché solo in questo modo tali modelli sono in grado di assicurare piena espansione ai processi di socializzazione e di acculturazione. I modelli di integrazione trasversale prendono in esame il rapporto della scuola con le agenzie formative; questo traguardo si raggiunge se si parla di un sistema scolastico modellato sul tempo lungo, con tre pomeriggi dedicati alla scuola ed i restanti da spendere presso le agenzie formative.

4.2. MODELLI PEDAGOGICI

Il nuovo indirizzo persegue il traguardo della personalizzazione, della socializzazione e dell'alfabetizzazione

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proponendo 4 modelli pedagogici:1) modello progressista, creato apposta per i bisogni di una infanzia metropolitana di una città industrializzata, che nello stesso tempo demistifica la figura del bambino super-star, primo attore di sfilate di moda e spot pubblicitari, analizzando il bambino sotto l'aspetto umano, come presenza reale nella società.2) modello democratico, mette in discussione l'elaborazione di modelli teorici in campo educativo.3) modello fenomenologico, il suo compito specifico è quello di descrivere/decifrare la complessità e la problematicità delle direzioni dell'esperienza educativa. Per fare ciò assume il ruolo di "bussola" di orientamento degli itinerari formativi.4) modello razionale, il quale respinge sia la centralità del fanciullo che della cultura, proponendo "la scuola del curricolo", sarebbe a dire del programma e della programmazione come modello da seguire: il primo garante di un'istituzione di base comune all'intera popolazione scolastica; il secondo garante delle giustificate variabili della "periferia" (culture locali e metodi degli insegnanti).

4.3. IL PRINCIPALE COMPITO DELLA COMUNITÀ EDUCATIVA

Il principale compito della comunità educativa locale è quello di interpretare la domanda di educazione che proviene dal gruppo di allievi presente nella scuola e, basandosi sui risultati, giungere alla determinazione e alla formulazione delle mete educative. Questa impresa implica anche il coinvolgimento dei genitori che devono partecipare senza ridurre il lavoro degli insegnanti, i quali devono essere disponibili e competenti, altrimenti ogni riforma e ogni nuova elaborazione dei programmi rimarrà inefficace. Infatti il loro ruolo principale è quello di interpreti dei programmi didattici e dei progetti educativi.I nuovi programmi possono sembrare troppo preoccupati della dimensione cognitiva e poco di quella personalistica. Il panorama di concezioni pedagogiche, etiche, culturali, sociali, politiche, espresso dagli estensori del testo come perfetto campione rappresentativo della comunità nazionale, è talmente eclettico da risultare indifferenziato e privo di coesione unificante, ma, anche se alcune affermazioni sono discutibili, non si può non riconoscere la tensione verso una scuola che intende giustamente essere la scuola di tutti e per tutti, la scuola che vuole offrire ad ognuno la pista personale per crescere come singola persona e che mira a formare l'uomo della verità e del bene.

4.4. MODELLO DI SCUOLA APERTA

Dicesi scuola aperta quella che risulta disponibile ad istituire un'ampia e continua "interazione" sociale con l'ambiente esterno e poter così insieme realizzare un clima di intensa socializzazione interna, sia per gli alunni che per gli insegnanti. Questo tipo di scuola viene generalmente diviso in: aperta in entrata e in uscita. Il primo caso si ha quando la scuola si lascia partecipare, gestire dall'intera comunità sociale. A questo proposito il modello a nuovo indirizzo prevede un lavoro in "TEAM" con larga autonomia di programmazione e assicura il massimo respiro ai processi di socializzazione degli allievi poiché favorisce oltre al lavoro di gruppo scolastico anche quello extrascolastico. Nel secondo caso si prende in esame l'ambiente esterno visto come sede-banca delle storie e delle biografie di cui è testimone il bambino, un ambiente esterno cioè dove i problemi e le situazioni sono direttamente verificabili.Con le classi "aperte" si cercano strutture e metodi scolastici per uno sviluppo continuo del bambino lungo le tracce verticali del programma, tali che lui abbia l'effettiva possibilità di partecipazione e di profitto. La classe di appartenenza deve rimanere sempre il punto di riferimento del bambino, il quale, partecipando a gruppi mobili con bambini e docenti sempre diversi, può sentirsi disorientato.Logicamente nella organizzazione delle classi "aperte" non si parlerà più di programmazione di stampo tradizionale, ma di programmazione che intende aiutare ogni alunno a "qualificare" le sue esperienze di vita. Con esse si contribuisce alla lotta ai condizionamenti socio-culturali dell'educazione. Ad ogni alunno devono essere date le possibilità di muoversi all'interno della scuola secondo le sue reali capacità di rendimento, quindi si creano condizioni di recupero di "deficit culturali" e allo stesso tempo si aprono spazi alle risorse naturali di ciascuno.

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L'innovazione scolastica potrebbe portare delle disparirà di apprendimento degli alunni per tre motivi:1) potrebbero mancare le specifiche competenze culturali nel gruppo insegnanti;2) si potrebbe avere una distribuzione non equilibrata degli spazi da dedicare alle singole discipline, considerate anche le differenti esposizioni quantitative contenute nei programmi;3) l'organizzazione didattica potrebbe espletarsi in maniera improvvisata con suddivisione delle discipline non effettuate su base di chiare e giustificate motivazioni.Il compito dell'insegnante è quello di armonizzare le diverse esperienze che l'alunno ha vissuto seguendo le sue aspirazioni e muovendosi quindi liberamente nella scuola. Attualmente l'ambiente condiziona in modo tale la spontaneità dell'alunno, il quale non viene posto al centro dell'educazione come capacità di scelta, ma viene visto come un individuo le cui leggi di apprendimento e di comportamento non possono essere prevaricate dalla scuola. Con ciò si legittimano la scuola e l'azione educativa intenzionale.Il "modello a nuovo indirizzo" assegna poi importanza a istruzione-ricerca-creatività:- Istruzione: mira al bersaglio di una solida alfabetizzazione strumentale e culturale di base;- Ricerca: mira a consolidare strutture e schemi interpretativi dell'esperienza suggerendo una conoscenza che si realizzi nel momento stesso in cui si manipola e si trasforma la realtà;- Creatività: mira a privilegiare i meccanismi cognitivi di marca intuitiva, trasfigurativa dell'allievo più che gli apprendimenti sistematici, graduali, cumulativi, propri dell'informazione.

4.5. IL RAPPORTO TRA SCUOLA, SOCIETÀ, AMBIENTE

Volendo ampliare maggiormente il contenuto espresso nei due dettati costituzionali, possiamo affermare che in uno Stato libertario e ugualitario gli obiettivi della scuola dell'obbligo sono principalmente due: la rimozione degli ostacoli di ordine economico e lo sviluppo della persona umana. Inoltre, la novità del fatto che i nuovi programmi facciano riferimento esplicito in apertura del testo legislativo con specifiche citazioni del testo costituzionale, ci induce a pensare che i legislatori abbiano valutato:- che ogni proposta educativa non può essere disgiunta da quella che è la realtà sociale, economica, politica;- che parlare di educazione oggi nella scuola significa collocarsi in un contesto socio-economico definito e verificabile, contesto del quale bisogna tener conto in ogni operazione educativa e didattica;- che le scelte educative e didattiche sono intrise sempre più di finalità socio-economiche. A questo proposito, secondo Venturi "... o questo nesso tra momento culturale e momento economico-sociale e politico è colto e individuato negli obiettivi e metodi di ogni disciplina di insegnamento e si trasforma, la scuola, in presa di coscienza operativa di una trasformazione da farsi, o si ricade nel nozionismo, senza nessuna incidenza educativa. In termini didattici più stretti: una relazione del genere, o si traduce in una metodologia della contestualizzazione, cioè dei rapporti tra situazione socio-ambientale e situazione socio-culturale dello studente, guardando alla condizione di ingresso come ad un punto di partenza, realizzata in una programmazione educativo-didattica, o è solo l'ultimo miserere recitato a remissione di ostacoli da non rimuovere" (Venturi, 1980). È l'articolo 34 della Costituzione che riguarda l'obbligatorietà e la gratuità della scuola dell'obbligo le cui attività rivestono un ruolo cardine ' mediante momenti di raccordo pedagogico, curricolare e organizzativo (con la scuola elementare, materna e media superiore) la cui conseguenza sarà quella dell'attiva assimilazione da parte degli alunni, delle finalità scolastiche. Il riferimento alla scuola materna e a quella elementare, viste come organismi fondamentali, integrando l'azione della famiglia, serve a definire le condizioni educative e di socializzazione idonee a eliminare, quanto più possibile, disuguaglianze di opportunità nel processo di scolarizzazione, mentre la scuola media è vista come una serie di insegnamenti che si innestano sull'effettivo grado di sviluppo e di preparazione conseguita nel corso dell'istruzione primaria, predisponendo l'organizzazione didattica avendo presenti i caratteri metodologici inerenti alle attività realizzate nella scuola precedente, evidenziando chiaramente la volontà di definire il processo educativo e didattico della scuola dell'obbligo come una concatenazione armonica di tutta una serie di curricoli che permettano la produzione delle principali operazioni intellettive, che attivate e utilizzate nei contesti più svariati, rendono cosciente l'alunno in sé, della società, del mondo, della natura che lo circonda.

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4.6. SCUOLA, CULTURA, AMBIENTE, TERRITORIO

La scuola dell'obbligo che scaturisce dai nuovi programmi deve collocarsi in una logica educativa in cui il fare dell'alunno deve essere inteso come riflessione sul reale, come attenta comprensione del fenomeno storico e sociale attraverso la ricostruzione della storia umana, in altre parole, un confronto produttivo con i fenomeni culturali dell'ambiente ed una loro analisi, al fine di poter prevedere eventuali sviluppi ed ulteriori avanzamenti del processo nell'ambito del sociale.La scuola deve divenire un laboratorio di idee e di esperienze in diretto contatto e operante con la realtà del territorio. "Ciascun educando si fa tanto più se stesso, cioè autentico e originale, quanto più è disponibile al confronto o alla cooperazione sociale, anche attraverso una tradizione utilizzata e valorizzata come strumento indispensabile nella continuità storica all'innovazione e costruzione del nuovo sapere" (Cives, 1978).Se, ad esempio, la scuola e gli Enti locali inquadrassero il fenomeno cultura-sport sotto il profilo storico-ambientale, sfruttando e usufruendo di tutte le strutture sportive esistenti, si avrebbe l'esatta dimensione di come lo sport, il gioco, le attività motorie in generale siano scoperta ed integrazione critica con la propria cultura ed il proprio ambiente, partecipazione individuale e crescita dinamica del gruppo."Chi ha accettato il suo ambiente, ha imparato a conoscerlo, ad amarlo come esso è, valorizzando le forze trasformatrici dell'intervento umano, non ne sarà mai sradicato anche se dovrà successivamente affrontare diversi ambienti, poiché avrà la sicurezza di chi, conosciuta e amata una tradizione, potrà aprirsi, comprendere, rispettare ed amare le manifestazioni di esperienze diverse" (Toschi, 1969).Compito della scuola dell'obbligo dovrebbe essere quello di identificare le linee strutturali e culturali del territorio, individuando i rapporti fra area geografico-storica, economia, comportamento. (Ricordiamo che il primo territorio è quello del proprio corpo). Nell'analizzare un territorio dobbiamo considerare che in genere ha una sua precisa configurazione che la natura e l'uomo stesso hanno contribuito a costituire e a caratterizzare. Su tale territorio si sono sviluppate culture che hanno uno stretto rapporto con quelle precise situazioni ambientali; anche l'espressione, l'utensile, il tratto di una determinata popolazione o gruppo hanno strettissime relazioni con tale realtà.L'acculturazione e l'inculturazione che poi hanno contribuito a modificare, trasformare, alterare o snaturare tale comportamento sono un ulteriore elemento di riflessione, di indagine, di studio. Senza una conoscenza scientificamente corretta di tali processi e di tali capovolgimenti, non è possibile capire le ragioni non solo di taluni comportamenti, ma soprattutto delle cause che hanno permesso l'affermarsi di certe abitudini, di certe credenze, che poi hanno giustificato e legittimato scontri, guerre ed hanno inciso sul linguaggio, sul folklore, sulle tradizioni, contribuendo a modificarle e a cancellarle del tutto. Una scuola che non esaminasse attentamente questi rapporti non rimetterebbe in discussione il proprio modo di essere e di operare. Tale indagine permette una crescita quotidiana e favorisce una mentalità aperta a comprendere i problemi del tempo, storicizzandoli però e legandoli ad un processo di cultura che non è possibile in alcun modo ignorare. Inoltre stimola a pensare nuove ipotesi operative, a progettare ulteriori metodi di conoscenza, ad elaborare piani di intervento possibili.In questo modo il ragazzo si abitua a ripensare un discorso in chiave singola o di gruppo, a discuterlo, a rivederlo ed a costruirlo secondo la misura della sua intelligenza e della propria cultura. Partendo dal presupposto che tutto il territorio, nei suoi segmenti costitutivi, può diventare ragione di ricerca, la scuola ha il preciso dovere di favorire un'appropriazione di tali aspetti affinché il bambino si convinca che ogni componente del patrimonio culturale è di notevole importanza per la sua crescita e per quella della società nel suo insieme. Tutto ciò è estremamente educativo perché la lezione che emerge dall'esperienza, se sapientemente interpretata e riscoperta mediante una metodologia corretta, può indubbiamente diventare atto pedagogico di forte rilievo in quanto inteso a promuovere nei giovani una diversa e nuova conoscenza del bene comune, del patrimonio, del sociale come fatto non soltanto o esclusivamente economico, ma anche culturale...facendo rivivere in un'operazione di ben programmata ricerca le tensioni, le speranze, le utopie, le lotte, le sofferenze e le appropriazioni della società o delle classi sociali.

4.7. SCUOLA: ISTITUZIONE INTEGRATA NELLA COMUNITÀ

"Già nella prima infanzia il fanciullo è coinvolto in una realtà sociale caratterizzata da rapidi e profondi processi di

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mutamento di costumi, da atteggiamenti, comportamenti individuali e collettivi che lo stimolano ad integrarsi, rendendo forte l'esigenza di conoscere adeguatamente e di comprendere nella sua complessità la realtà che lo circonda" (D.P.R. 104/1985).Intendere l'istituzione scolastica integrata nella comunità e operante come comunità, significa per il ragazzo acquisizione di mezzi e di opportunità di comprensione della realtà circostante. "La vita scolastica ed extrascolastica e i mezzi di comunicazione di massa offrono occasioni continue di un confronto vario e pluralistico" (D.P.R. 104/1985).I segnali e i messaggi dei mass-media si fanno ogni giorno più incisivi, bersagliando l'individuo anche contro la sua volontà. Positivi o negativi, i condizionamenti che tali messaggi favoriscono e/o impongono, necessitano, da parte dell'utente, di essere destrutturati, decodificati, analizzati criticamente in vista di una loro accettazione, rielaborazione o rifiuto.Lo strumento più adeguato e corroborante è l'essere in possesso di una cultura ben strutturata.La scuola è senz'altro la prima deputata a fornire 'cultura', trasformandosi essa stessa in laboratorio, centro di una realtà culturale che si fa ricettrice di esperienze, di aspetti plurimi che devono essere analizzati e interpretati.La scuola deve porsi come prima ed efficiente interlocutrice della cultura dei mass-media perché il ragazzo possa saper riconoscere i messaggi positivi da quelli negativi, sfrondando le artificiosità machiavelliche spesso caratterizzanti l'informazione, sappia utilizzare proficuamente, in termini di apprendimento culturale, le 'occasioni' continue di conoscenza e riflessione contenute nei messaggi.Il bombardamento psicologico operato dai media (televisione, radio, cinema), il rapido susseguirsi di mode (ideologiche, comportamentali, ecc.) possono attivare nel ragazzo che non ha ancora strutturato validi meccanismi di difesa una visione distorta della realtà e dei valori di cui è ricca.In questo modo la scuola si pone come "società semplificata e filtrata in cui entrano gli stimoli della società circostante, ma in cui essi vengono rielaborati, razionalizzati e potenziati dall'intelligenza, così che la scuola restituisce alla società arricchimenti di riflessione e organizzazione personale. Il ragazzo deve recare a scuola tutte le esperienze che ha fatto al di fuori di essa e abbandonarla recando seco qualcosa da adoperare immediatamente nella vita quotidiana" (J. Dewey, 1949).La scuola deve così proporre dei validi modelli culturali affinché il ragazzo possa uscire dall'approssimazione "per sbarazzarsi degli stereotipi, per giungere alla sintesi dei mille avvenimenti percepiti e per liberarsi dalla diffusa pressione delle ideologie dominanti" (Snyders, 1972).Vanno ricercati e individuati i condizionamenti positivi che favoriscono il rafforzare negli alunni la capacità di analizzare e comprendere la realtà, l'affinamento e il potenziamento di validi meccanismi di difesa agli elementi devianti, estendendo il più possibile il terreno delle motivazioni.Dobbiamo favorire la creazione di una scuola possibilista, in cui il ragazzo possa ricevere una proposta educante e non addestrante, contenente mille probabilità di soluzione e/o di interpretazione di un problema e/o di un fatto.La scuola deve essere concepita come un laboratorio 'aperto' in cui bisogna 'ricercarè e fare esplodere tutte le cariche creative, intellettive che ogni individuo ha dentro di sé (che rimarrebbero, altrimenti, allo stadio latente o potenziale) per canalizzarle in modo positivo.La risultante di questo processo è l'interiorizzazione di un sapere critico (capacità di discernere), rivolto alla possibilità che l'individuo avrà di saper leggere e interpretare la realtà esterna in modo obiettivo, perché ognuno possa divenire il migliore gestore di sé stesso, della propria mente e del proprio corpo, per favorire uno stile di vita personalizzato.In relazione a ciò, è fuor di dubbio che compito dell'insegnante è quello di far leva sugli interessi del ragazzo, sulle sue aspirazioni e preoccupazioni, sulla sua vita affettiva, per proporre una cultura che sia il frutto di una mediazione tra le varie culture e le esperienze dell'alunno.Aiutando il ragazzo a vivere ed amare ogni apprendimento culturale per appropriarsene e superarlo in ottica divergente, contribuendo a verificare come da una realtà quotidiana (ad es. il problema ecologico), si può passare allo studio delle varie discipline, significa fargli cogliere nessi e relazioni, stimolare idee, concetti, nozioni applicabili e riscontrabili esistenzialmente.La scuola assume così "un compito decisivo e insostituibile di animazione, decantazione e arricchimento culturale e

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sociale, ponendosi al centro di un processo continuo di scambio e di crescita comune, collegando il vissuto extrascolastico del ragazzo a quello scolastico, mirando alla sua unificazione critica nella continuità gioco-attività di studio, superatrici di una duplicità di cultura e di linee di condotta, sfuggendo sia a una banalizzazione demagogica del clima della scuola, sia a una devitalizzazione esistenziale e formalizzazione rarefatta e intellettualistica della stessa ed investendo invece la scuola di una dimensione di autenticità vissuta che illumina e aiuta ad organizzare razionalmente l'intera esperienza esistenziale e culturale" (Cives, 1978).La scuola, inoltre, "rispettando le scelte educative della famiglia, costituisce un momento di riflessione aperta ove si incontrano esperienze diverse" (D.P.R. 104/1985)."La scuola deve precisarsi come istituzione aperta, capace cioè di accettare il senso delle scelte non previste, di assumere parametri sempre nuovi e non conformisti, ed accettare di porsi quotidianamente in discussione. Essa, come comunità socializzante e aperta ai bisogni ed alle aspettative della società, deve realizzarsi senza frontiere interpretative e senza eccessi di conflittualità fra i vari livelli gestionali: legislativo, amministrativo, burocratico, politico, ecc." (De Bartolomeis, 1976).La sua esperienza ha bisogno di essere guidata in modo che possa avere modo di allargarsi e crescere, di confrontarsi con un quadro di esperienze più ampio.La scuola, interlocutrice principale di tutte le esperienze che il ragazzo ha fatto fuori di essa, acquista una valenza decisiva e insostituibile di promozione, filtro e arricchimento culturale-sociale, collocandosi nel mezzo di un processo di scambio e di crescita comune."I rapporti interpersonali sono la costante della vita scolastica per cui l'insegnante dovrà aver cura che i suoi rapporti con gli studenti stimolino l'iniziativa, aiutino a superare le difficoltà, facciano ricercare la sicurezza nell'impegno improntato di stile personale e non nella protezione, orientino per una scelta critica degli obiettivi. Essi costituiscono il quadro di riferimento primario in base al quale gli spazi e gli interventi vengono organizzati" (De Bartolomeis, 1976)."La scuola aiuta il fanciullo a superare i punti di vista egocentrici e soggettivi, così come ogni giudizio sommario che privilegia in maniera esclusiva un punto di vista e un gruppo sociale a scapito d'altri" (D.P.R. 104/1985).Bisogna incentivare le occasioni di incontro tra gli allievi, degli allievi con gli insegnanti per favorire esperienze di vita che stimolino la responsabilizzazione individuale e di gruppo, che diano potere decisionale a ciascuno perché tutti abbiano la possibilità di costruire serenamente e in modo equilibrato la propria personalità.

4.8. EDUCAZIONE ALLA CONVIVENZA DEMOCRATICA

Un altro importante ruolo della scuola è l'educazione alla convivenza democratica, attraverso cui il fanciullo sarà portato a rendersi conto che "tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di lingua, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" (Art. 3 Costituzione).Tutto questo si lega indirettamente al contesto degli insegnamenti disciplinari, dei loro collegamenti pluridisciplinari, multidisciplinari, interdisciplinari, e al di là di essi, ricerca una logica di azione educativa tendente a sostenere l'alunno nella progressiva conquista della sua autonomia di giudizio, di scelta e di assunzione di impegni, nel suo inserimento attivo nel mondo delle relazioni interpersonali, sulla base della accettazione e del rispetto dell'altro, del dialogo, della partecipazione, lasciando aperte tutte le possibilità di esperienze educative.I vari insegnamenti curricolari non devono limitarsi al conseguimento degli obiettivi specifici (obiettivi 'finiti'), ma, con un'ottica permanentemente critica, rapportarsi continuamente ai compiti educativi, agli obiettivi generali dell'educazione (obiettivi 'infiniti') che daranno come risultato, da parte dell'alunno, la conquista del pensiero divergente.Tutta l'azione educativa della scuola deve operare perché il fondamentale principio della convivenza democratica venga inteso dinamicamente, sollecitando gli alunni a divenire consapevoli delle proprie idee e responsabili delle proprie azioni, alla luce di criteri di condotta chiari e coerenti che attuino valori riconosciuti.Se correttamente interpretati, tutti gli insegnamenti "concorrono in una prospettiva unitaria all'educazione della persona e, sia pure in forma diversa, promuovono nell'allievo comportamenti cognitivi, gli propongono la soluzione

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di problemi, gli chiedono di produrre risultati verificabili, esigono che l'organizzazione concettuale e la verifica degli apprendimenti siano consolidati mediante linguaggi appropriati" (D.P. R. 104/1985).Nella loro differenziata specificità le varie materie sono, dunque, "strumento e occasione per uno sviluppo unitario, ma articolato e ricco di funzioni, conoscenze, capacità e orientamenti indispensabili alla maturazione di persone responsabili e in grado di compiere scelte" (D.P.R. 104/1985).

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CAP. V - LA SCUOLA COME COMUNITÀ EDUCATIVA

5.1. FUNZIONE EDUCATIVA DELLA SCUOLA

La funzione educativa può essere esercitata direttamente o indirettamente attraverso i mezzi di comunicazione, da chiunque e da qualsiasi gruppo sociale sia in condizioni di sollecitare la disponibilità educativa di un individuo o di un gruppo di individui. Tale funzione viene esercitata intenzionalmente dai genitori nell'ambiente familiare e dagli insegnanti nella scuola.Indubbiamente i diretti responsabili dell'educazione sono i genitori, il cui dovere educativo nasce dallo stesso atto della generazione, giacché chi ha trasmesso la vita ha anche il dovere di contribuire a conservarla e a renderla personalmente apprezzabile e socialmente utile.Le mutate condizioni, per l'effetto dell'industrializzazione, dell'ambiente familiare riducono oggi le possibilità educative della famiglia; la scarsezza di cure familiari, specialmente quelle materne, rende spesso i ragazzi incapaci di stabilire o estendere i loro rapporti sociali, sviluppa le tendenze aggressive, chiude i normali canali di contatto con il mondo e la realtà circostante, rallenta lo sforzo di maturazione.Gli ambienti familiari che conservano la struttura tradizionale, sono in netto contrasto con le situazioni di una società democratica, in quanto caratterizzati da forme di educazione autoritarie ed esclusiviste, fondate sulla convinzione che il bambino ha doveri più che diritti e che deve prepararsi ai suoi compiti di adulto.La funzione educativa, per i suddetti motivi e perché la progressiva affermazione dei principi democratici estende la responsabilità dell'educazione a tutti i membri della comunità, va gradualmente trasferendosi alla scuola."Il termine SCUOLA, secondo l'etimologia, è una trascrizione del greco 'scholè', che significa, in senso stretto, riposo, agio dell'uomo libero dalle gravi cure della vita pubblica o professionale; in senso più largo: esercizio disinteressato delle attività dello spirito quali la lettura, lo studio, la disputa, il trattenimento letterario o filosofico ecc... Il termine passò poi a designare l'istruzione impartita in forma collettiva istituzionalizzata e, per estensione, il luogo o l'edificio dove si svolge detta istruzione ed anche l'insieme degli individui che apprendono sotto la guida di un maestro" (G. Giugni, Op. cit., 1989, p.171).Storicamente l'istituto scolastico è posteriore alla formazione della famiglia e dello stato. Nelle epoche primitive dell'umanità, quando la cultura era limitata a un complesso di credenze e di abilità pratiche, guerresche ed economiche ecc., il compito educativo era sufficientemente espletato dalla sola famiglia o dalla tribù.Quando poi si organizzò la vita sociale, le accresciute esigenze resero la cultura e la civiltà più complesse. In questa epoca si cominciano a fissare le tradizioni del gruppo sociale, si accresce e si differenzia il sapere e il lavoro, per cui nasce la necessità di preparare i giovani ai nuovi compiti e di trasmettere loro il patrimonio culturale e le glorie della stirpe. La famiglia si sente insufficiente a tale compito e ricorre ad un nuovo istituto per essere aiutata a completare la sua opera educativa.Per una cultura di cacciatori, di raccoglitori e, in parte, di agricoltori, l'educazione si può sostanzialmente ridurre all'imitazione dei comportamenti adulti. Il raffinarsi e il completarsi della cultura costituiscono la ragione storica della comparsa sulla scena degli insegnanti e delle scuole. Quando si complessifica il lavoro, quando si complicano le relazioni tra gli uomini e si approfondiscono le domande sulla natura e sui significati del mondo, l'imitazione non basta più per affrontare il patrimonio delle acquisizioni e delle tecniche di conoscenza e di controllo degli eventi accumulati dall'esperienza collettiva: allora nascono gli insegnanti e si istituiscono le scuole a vari livelli e con diverse formule istituzionali nelle varie culture. "Nel mondo d'oggi la scuola si colloca come organo educativo e cioè come ambiente dove l'individuo può formarsi mediante l'istruzione. Esso si può definire 'comunità educativa' indicando, con questo termine, un complesso organico di raggruppamenti tra persone che interagiscono a scopo educativo" (G. Giugni, Pedagogia della scuola, Le Monnier, Firenze 1974, p. 7).Nel mondo attuale la scuola viene considerata un sottosistema del sistema formativo del territorio, a sua volta strettamente collegata col sistema socio-politico-economico.Quindi le strutture, gli ordinamenti, i contenuti e i metodi del sistema scolastico sono strettamente legati al sistema economico e politico che gestisce il potere, all'apparato amministrativo che governa la scuola, alle ideologie, più o meno espresse, delle comunicazioni sociali, delle forze giuridiche, sindacali, familiari e sociali.

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La stretta correlazione tra il sistema scolastico e il contesto sociale porta alla conclusione che, ogni qual volta detto contesto subisce cambiamenti, il sistema scolastico entra in crisi. "L'espansione scolastica è un fenomeno naturale del nostro tempo e si manifesta nell'aumento graduale del periodo scolastico d'istruzione, assicurato, indistintamente, a tutti i cittadini. Essa è legata ai criteri di trasformazione della società moderna, al vasto processo di industrializzazione, al graduale inserimento di tutti gli strati, ceti, gruppi, ecc. nelle strutture sociali e produttive del paese; ed è inoltre caratterizzata da un aumento del numero medio di anni di frequenza scolastica, dall'allargamento del livello di istruzione tecnico-professionale, dall'incremento degli effettivi universitari, dal graduale perfezionamento della ricerca scientifica" (G. Giugni, Op. cit., 1974, p. 3)."Se la scuola costituisce per sua origine e destinazione la istituzione educativa propriamente detta, vi sono tuttavia altre istituzioni sociali che includono l'educazione tra i propri fini.. La prima e fondamentale è senza dubbio la famiglia; la procreazione dei figli, nella specie umana, non può esaurirsi in un atto semplicemente biologico, ma deve proseguire naturalmente in tutte quelle attività che sono volte a garantire un ordinato sviluppo fisico, intellettuale e morale della prole" (M. Laeng, Op. cit., 1987, p. 146). La famiglia è l'ambiente naturale del bambino e cioè quello spazio di vita psico-sociale costituita essenzialmente dal luogo dove egli vive, dall'insieme dei rapporti che lo legano alle persone con lui conviventi, dal complesso delle condizioni e delle influenze che si esercitano simultaneamente su di lui ed offrono alle sue disposizioni native la possibilità di realizzarsi. La famiglia è un gruppo i cui membri hanno mete o intenti comuni e lavorano insieme per raggiungerli; si adattano al gruppo e questo a loro; esercitano ruoli diversi che non sono esclusivi ma complementari e sono legati dal sentimento di appartenenza..La nascita dei figli reca alla famiglia nuovi doveri, tra cui quello dell'allevamento, dell'educazione, della sistemazione sociale dei figli. L'educazione costituisce il momento più importante e delicato.Nella famiglia il bambino apprende, con le prime abitudini che gli danno sicurezza di condotta, le lezioni più importanti della sua vita: apprende il linguaggio e la cultura elementare che in esso è già contenuta, le regole basilari dell'agire che sono alle origini della vita sociale e morale, le abilità essenziali alla convivenza civile e talora le stesse tecniche della sua futura professione. Gli studi e le ricerche nel campo psico-pedagogico sono concordi nel sostenere l'incidenza che le esperienze dei primi anni di vita hanno nei riguardi dello sviluppo della personalità per tutto il corso della vita e nell'affermare, di conseguenza, l'importanza dell'educazione familiare.La maggior parte dei genitori forse non ha interamente realizzato quanta importanza riveste per il futuro dei figli la propria azione educativa. Essi costituiscono il primo contatto con il mondo esterno, le prime persone che possono indirizzare il bambino secondo criteri propri della cultura, delle regole, della società cui appartengono; coloro che, agendo quasi esclusivamente da soli, hanno in mano non solo il destino culturale, ma anche quello sociale dei propri figli.Né la responsabilità e l'importanza dei genitori per l'avvenire dei figli diminuiscono allorché alla loro azione si affianca quella della scuola, anzi, se possibile, aumentano e si complicano. Occorre, infatti, che i genitori ed educatori collaborino tra di loro allo scopo di trovare un punto di incontro tra le loro attività educative, ricercare un fine comune che deve essere quello dell'aumento delle conoscenze, ma anche e soprattutto quello della completa formazione e maturità sia culturale che sociale.Genitori ed educatori sono collaboratori alla stessa impresa: non possono quindi rimanere reciprocamente estranei o indifferenti: per lo più è la scuola a dover compiere il primo passo, nella direzione di una migliore comprensione giovevole a entrambe sui termini del rapporto. I genitori devono da parte loro rinunciare all'abito esclusivo e possessivo di ipotecare l'avvenire dei figli, disponendosi ad accettare le indicazioni della scuola in spirito di aperta collaborazione.Il bambino, al momento della sua nascita, possiede la sociabilità, cioè la tendenza e la disponibilità alla socialità, ad aprirsi agli altri, a vivere con gli altri. Egli ha bisogno solo di trovare le migliori condizioni ambientali e affettive per poter potenziare questa sua prerogativa che non trova riscontro in altri esseri viventi, neanche in quegli animali di cui si conoscono le grandi capacità di organizzazione sociale.La sociabilità del bambino deve, dunque, trasformarsi in socialità e spetta in primo luogo ai genitori il compito di traduttori, di cesellatori della sua personalità, di educatori alla socializzazione. Ma la predisposizione del bambino alla socialità non si limita soltanto a una tendenza generica e vaga verso gli altri: essa si concretizza anche in

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abbozzo di vera e propria socialità, nella capacità di riconoscere le voci, nel manifesto desiderio di essere intrattenuto dai famigliari già nei primi mesi di vita.Dal momento che contatto con l'ambiente e apprendimento di regole sono due eventi inevitabili, anzi necessari e determinanti per la formazione della personalità e lo sviluppo futuro del bambino, essi devono porsi alla sua attenzione e incidere su di lui nel modo più consono e idoneo alla sua natura, alle sue inclinazioni, alle sue possibilità alle sue capacità.Ma la conoscenza e l'amore non bastano, occorrono preparazione e competenza, occorre che i genitori imparino ad essere veramente tali perché è soprattutto a loro che è affidato l'avvenire dei propri figli.Le prime esperienze sociali, il primo impatto con l'ambiente, le prime regole, vengono apprese dal bambino tramite i genitori e la famiglia e molti atteggiamenti, molti comportamenti, molte azioni che si compiono nell'età adulta sono condizionati da ciò che si è appreso e da come lo si è appreso nella prima infanzia.Così il gruppo familiare incide profondamente sullo sviluppo di tutta la personalità, per la sua atmosfera affettiva che soddisfa il bisogno di sicurezza e di auto realizzazione dei figli e consente loro di elaborare il mondo in cui vivono, imparando ad amare, comprendere, accettare, superare le prime inevitabili frustrazioni, controllare le proprie reazioni emozionali.; per la sua struttura sociale che suscita relazioni interpersonali e si aprono al mondo sociale e all'incontro con gli altri; per il suo sottofondo culturale che trasmette atteggiamenti e valori e quindi influenza il processo di acculturazione.I mezzi più efficaci con cui i genitori possono promuovere e facilitare l'educazione del bambino sono l'esperienza stessa della vita familiare e l'esempio. La vita e l'esperienza familiare dovrebbero rappresentare per il bambino una continua opportunità di apprendimento e le condizioni per il suo processo in ordine allo sviluppo dell'intelligenza, della sensibilità, della motricità e dell'affettività. Il compito dei genitori è di rendere l'ambiente familiare favorevole alle esperienze positive del bambino. Un ambiente familiare è favorevole al suo sviluppo psichico se gli offre molte occasioni di esprimersi, di comunicare, di agire, di conoscere, sia attraverso i contatti quotidiani con gli adulti e soprattutto con i coetanei; sia attraverso materiali da gioco, utensili e altri oggetti facilmente utilizzabili che suscitino il suo interesse e la sua iniziativa e favoriscano atteggiamenti creativi.Un altro e non meno efficace mezzo educativo per l'educazione dei figli è l'esempio, che sfrutta i meccanismi di identificazione-confronto, forti nell'infanzia e nella fanciullezza. La funzione dei genitori è soprattutto esemplificativa o meglio di testimonianza: quello di due individui che hanno realizzato una personalità autonoma e, con questa, l'autorità necessaria all'esercizio del ruolo di genitori. I figli ricevono, giorno per giorno, questa continua testimonianza attraverso le relazioni che essi hanno con i genitori e che i genitori hanno fra loro e con l'ambiente extra-familiare.I genitori, pertanto, dovrebbero sforzarsi di essere sempre in tutto ciò che fanno, nel loro comportamento, nel loro modo di vita, un esempio di umanità; di non scoraggiarsi mai di fronte alle difficoltà del loro ruolo di educatori, esercitando su loro stessi una costante attenzione di rieducazione; di dare ai figli una garanzia di sicurezza; di accogliere sempre le preoccupazioni, le difficoltà, le ansie dei figli e saper rispettare anche i loro silenzi; di essere sempre disponibili per i figli in ogni momento accettandoli per quello che sono, in ogni stadio della loro età evolutiva e tenendo sempre aperto con loro il dialogo.L'educazione e l'istruzione diventano quindi "la sintesi equilibrata tra l'animazione e l'insegnamento, tra gli stimoli, le proposte, le risposte e le integrazioni, tenendo sempre presenti gli elementi informativi della motivazione:- attivazione della volontà di apprendere per dare risposta a problemi concreti e reali;- ricerca dell'effetto positivo suggerendo i punti di riferimento per gli ulteriori approfondimenti;- ricerca dell'effetto del contenuto attraverso tutte le possibili verifiche per la sicurezza della conoscenza;- integrazione degli apprendimenti parziali nell'unità della vita personale;- stimolo alla ricerca permanente di ulteriori variabili e quindi di nuove conoscenze;- stimolo alla ricerca permanente di ulteriori variabili e quindi comportamento scientifico". (M. Gori, 1981)

5.2. AMBIENTE SOCIALE E PROCESSO EDUCATIVO

"Il problema dei condizionamenti sociali in ordine allo sviluppo educativo del soggetto umano ha ottenuto, in

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questi ultimi anni, una particolare attenzione nella letteratura socio-psico-pedagogica. La ragione sta nella chiara consapevolezza del rapporto strettissimi e ineludibile tra le istanze del contesto sociale e le direzioni, gli obiettivi, le finalità e i risultati di tutti i processi educativi" (G. Catalfano, Nuovi itinerari pedagogici, Edas, Messina 1985, p. 179).La svolta decisiva si è avuta, in questa direzione, ad opera del positivismo e in particolare per l'influenza di E. Durkeim, secondo il quale tutte le caratteristiche fisiche, intellettuali e morali che si realizzano in un soggetto sono decisamente dovute all'azione e alle richieste del particolare ambiente in cui il soggetto vive e opera. E oggi è riconosciuto che la personalità si viene formando attraverso un complicato processo di interazione nel quale si incontrano, si trasformano e si integrano reciprocamente bisogni fisici e psichici dell'individuo da una parte e i materiali approntati dalla cultura dall'altra. Secondo questa prospettiva le due dimensioni, quella individuale e quella sociale, sono come complementari e perciò indivisibili.J. Piaget ha rilevato chiaramente che lo sviluppo intellettivo non è mai un processo puramente individuale, ma dipende essenzialmente dall'interazione cioè dalla vita sociale.Quando si parla di integrazione non si vuole indicare una situazione sommativa, per cui qualcosa si aggiunge a un'altra, oppure vari processi o azioni o contenuti o fatti si pongono in reciproca dipendenza funzionale. Si indica, invece, una situazione dinamica che si caratterizza per l'indipendenza e la reciprocità fra tutte le componenti in essa coinvolte e per la circolarità della comunicazione fra di esse, attraverso una ininterrotta sequenza di interscambi non solo in termini di contenuti ma anche di relazioni e cioè di modi di comunicare.Attraverso il processo di integrazione si trasforma il rapporto uomo-ambiente in uno 'spazio' o 'campo' vitale; ossia in una totalità composta dalle persone e dai fatti (fisici, sociali, culturali ecc..) che in un dato momento sono in relazione tra loro, influenzandosi reciprocamente e scambiandosi messaggi. L'appartenenza ad un certo ambiente sociale ha particolare importanza durante lo sviluppo dall'infanzia alla giovinezza. I principali coefficienti di questa influenza sono di ordine economico e culturale.La situazione professionale dei vari membri della famiglia, il bilancio delle entrate e uscite della famiglia, la localizzazione del domicilio, la frequentazione del vicinato, definiscono nella maggior parte dei casi l'appartenenza ad una classe, ad un ceto sociale. D'altra parte, nello stesso ambito di possibilità economiche tende a stabilirsi anche una certa omogeneità di occasioni o di offerte culturali, quindi gusti, linguaggio, mentalità finiscono per assomigliarsi.L'appartenenza ad una classe determinerebbe in maniera presso che totale la situazione di partenza di ogni persona. "L'essere sociale determina la coscienza e non viceversa", scriveva Marx nelle glosse a Feuerbach.Secondo interpretazioni meno rigidamente deterministiche, la cultura non può considerarsi unicamente come uno specchio dei rapporti di produzione e meno che mai sola cultura di classe: esiste una vastissima area comune a tutte le classi. Resta indubbiamente la possibilità che a questo patrimonio culturale molti accedono in situazioni di fondamentale disuguaglianza; ciò impone alla coscienza civile democratica il pubblico dovere di rimuovere tutti gli ostacoli al pieno dispiegarsi delle capacità di ciascuno. Le situazioni economiche, più che come origine, possono agire infatti come vincolo su un equilibrato sviluppo..La considerazione dei condizionamenti sociali non va posta in maniera alternativa, in senso positivo o in senso negativo. Si parla di condizionamento sociale come di un fattore indispensabile per l'educazione del soggetto, per il suo processo di socializzazione che è momento ineludibile e intrinseco a tutto il processo educativo; e si parla di decondizionamento sociale in ordine a situazioni che impediscono il risultato positivo dell'azione educativa.Va dunque superata ogni interpretazione riduttivistica del condizionamento sociale orientata a coglierne soltanto la valenza negativa; ma è da evitare anche una considerazione estremamente 'ottimistica', quasi tutto dipenda, nel processo di sviluppo educativo, dal condizionamento sociale.Una delle caratteristiche fondamentali dell'uomo è il suo modo di vivere sociale; la sua partecipazione, attraverso le comunità intermedie, alla vita democratica; la sua possibilità di interpretare il significato, i contenuti e le nuove forme di vita del suo tempo; l'aspirazione a partecipare a un mondo migliore senza compressioni, intimidazioni, deteriori ambizioni competitive.La socialità costituisce una categoria fondamentale della persona fino al punto che questa può realizzarsi solo con l'esplicazione della disponibilità sociale, attraverso una serie di gruppi intermedi (la famiglia e la società minori)

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che esprimono la molteplicità degli scopi degli individui associati.La persona è di per sè sociale e si realizza conciliando il piano personale (essere se stessi) con quello interpersonale (essere gli altri).L'associazionismo, quindi, costituisce un bisogno naturale dell'autonomia stessa della persona e viene ormai riconosciuto come un diritto dalle costituzioni di quasi tutti i paesi del mondo.L'art.18 della Costituzione italiana afferma: "I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale."Uno stato democratico, infatti, è la proiezione stessa delle persone associate, della loro libera volontà a realizzare la propria natura. In conseguenza lo sviluppo della disponibilità sociale della persona e il suo costituirsi in socialità, ossia in capacità di solidarietà funzionale, è un compito fondamentale dell'educazione dei giovani.La famiglia pone le basi del rispetto di quei modelli di comportamento, ritenuti indispensabili a un dato gruppo per una ordinata coesistenza; la scuola, a sua volta, forma gradualmente comportamenti che richiedono ulteriori adattamenti. La scuola, se si organizza come comunità, può far nascere nell'alunno il principio comunitario; abituarlo alla collaborazione; liberarlo dai due estremi della socialità: la solitudine e il gregarismo.La formazione sociale avviene attraverso il conflitto tra l'affermazione dell'indipendenza personale e la dipendenza dal gruppo. L'educazione sociale sfrutta, per il superamento del conflitto, la stessa tendenza associazionistica dei giovani che si esprime nel lavoro di gruppo, nelle attività di gruppo, nei giochi collettivi, nei circoli giovanili.

5.3. SCUOLA E SOCIETÀ

L'evoluzione storica del concetto di scuola ha subito almeno tre trasformazioni essenziali.La prima riguarda il passaggio, nell'età ellenistico-romana, dall'educazione prevalentemente privata e familiare a quella prevalentemente pubblica ed ha creato il curriculum letterario classico e umanistico che per secoli ha preparato le classi dirigenti.La seconda riguarda l'estensione del concetto di scuola, riservato dapprima a designare gli alti studi e la loro sede e poi, in tempi più recenti, tutte le diverse forme dell'istituto educativo-didattico quali noi oggi intendiamo. I Greci, infatti, denominavano col termine 'didascaleion' (luogo dove si insegna) la scuola elementare o del grammatista e con quello di 'scuola' gli studi più elevati. Anche i Romani distinguevano il 'ludus literarius' (luogo dove gli alunni si esercitavano a leggere, a scrivere, a far di conto) dalla 'schola' (classi di grammatica e di retorica).La terza riguarda il passaggio dalla scuola di pochi alla scuola di tutti, avvenuto in seguito alla rivoluzione scientifica, tecnica ed economica ed alle trasformazioni sociali e politiche successive al secolo XVIII. La scuola, nel passato, aveva il compito precipuo di preparare la classe dirigente e cioè di educare i giovani delle classi privilegiate ad esercitare l'ufficio di governo cui li destinava la nascita.La scuola è un prodotto storico della società. Essa può considerarsi il sistema pedagogico della società per rispondere sia all'esigenza della società di incorporare a sé i giovani, di cui ha bisogno per perpetuarsi, sia a quella dei giovani di svilupparsi attraverso la vita sociale. Non c'è società per quanto semplice essa sia, priva di un sistema educativo... Correlativamente non vi è educazione senza società.

5.4. LA FUNZIONE SOCIALE DELLA SCUOLA NEI DIVERSI TIPI DI SOCIETÀ

La scuola esercita un compito formativo in quanto istituita, appunto, per questo scopo. Occorre chiarire, però, che se il compito della scuola resta immutato, i suoi obbiettivi, i suoi contenuti, la sua metodologia variano secondo il modo di intendere la società e lo stesso rapporto scuola-società.La funzione, infatti, che si attribuisce alla scuola in una società urbano-industriale e democratica, è diversa da quella che le si attribuiva nelle società preindustriali o contadine. Una società caratterizzata dalla permanenza e dalla verticalità delle classi sociali, impone alla scuola finalità diverse da quelle di una società caratterizzata dall'innovazione e dalla orizzontalità dei ruoli sociali.Una società preindustriale o contadina è essenzialmente dominata dalla categoria della permanenza e

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dell'isolamento, per cui una società di questo tipo è chiusa, ossia condizionata dai modelli culturali tradizionali e priva di interdipendenza fra le strutture esistenti. È una società in cui tutto è preordinato, prestabilito e coerente; il cui corpo sociale è costituito di gruppi separati, la fonte di legittimità è la tradizione, il potere, ristretto a pochi, è esercitato in modo autoritario. La concezione dell'uomo e della cultura in questo tipo di società è in correlazione con i suoi principi costitutivi. L'uomo vale in quanto legato ad una certa situazione e pertanto la sua posizione è determinata dalla nascita, dallo status di appartenenza, dalle condizioni familiari. La scuola diventa, allora, lo strumento del ceto sociale dominante per conservare e trasmettere un ben definito ordine sociale, fondato sulla divisione della società in classi, cui corrisponde una divisione della cultura (cultura d'élite e di massa) e una divisione della scuola in questi termini: la scuola popolare per le classi cosiddette inferiori o meno abbienti e la scuola d'élite per la classe dominante. In questo tipo di società, pertanto, la scuola è un istituto di trasmissione dei modelli culturali, delle abilità, delle pratiche di vita acquisita dalla società dopo lunga esperienza. L'educazione scolastica valorizza sul piano intellettuale i metodi di insegnamento e su quello pratico i metodi disciplinari e autoritari. Tale educazione, conformandosi alla struttura sociale, si distingue in comportamenti chiusi e sovrapposti secondo i gruppi gerarchizzati della società. Il suo scopo principale non è quello di stimolare e sviluppare l'identità dei singoli alunni, ma di imporre una certa identità nel sistema di vita di ciascuno e nel gruppo, mediante il conformismo. La scuola, in conseguenza, è selettiva e cioè basata su scelte precostituite.La società urbano-industriale, invece, è una società caratterizzata dalla continua trasformazione, dalla mobilità, dal cambiamento, per cui una società aperta, a strutture interdipendenti, in quanto ogni struttura esistente è in rapporto di reciprocità con tutte le altre. L'uomo in questo tipo di società vale per ciò che sa fare e può dare, per cui la posizione non è più determinata dallo status di appartenenza ma dalle sue capacità. Il suo modo di pensare e di comportarsi non è più l'accettazione, bensì l'invenzione, l'originalità, la partecipazione. La scuola nella società urbano-industriale ha la funzione non soltanto di trasmettere conoscenze, ma soprattutto di promuovere la capacità di elaborazione critica e le capacità creative di ciascun alunno, per cui l'educazione scolastica non va in cerca di fini estranei all'educando, ma tende piuttosto alla piena e armonica realizzazione della sua personalità fornendogli gli strumenti necessari e mettendo a sua disposizione le risorse della cultura. L'educazione scolastica, in conseguenza, valorizza sul piano intellettuale i metodi dell'auto-apprendimento; sul piano morale i metodi dell'autogoverno.Le esigenze della società attuale di tipo industriale e democratica hanno profondamente innovato il concetto di scuola e di cultura ed imposto alla scuola nuovi scopi. La scuola non è più uno strumento del ceto dominante per conservare un certo ordine sociale, ma l'organismo che razionalizza le istanze educative dell'intera società, per cui è unitaria sia dal punto di vista pedagogico, perché ha per obbiettivo lo sviluppo della personalità di tutti i giovani membri della società democratica; sia dal punto di vista culturale, perché mira a correlare teoria e pratica, istruzioni e lavoro; sia dal punto di vista sociale, perché deve garantire a tutti uguali possibilità.La scuola del nostro tempo si va configurando come comunità educante con il fine di favorire, mediante appositi servizi integrativi, le uguaglianze di partenza e le possibilità di arrivo; di incentivare le motivazioni dell'apprendimento; di liberare i giovani, mediante l'analisi critica dell'ambiente, dai condizionamenti sociali e dall'intolleranza e dai pregiudizi; di assicurare la democratizzazione della vita scolastica, mediante la partecipazione dei giovani alla sua gestione didattica."Il rapporto scuola e società è variamente configurato nell'una e nell'altra società: in quella contadina la scuola è subordinata alla società, anzi ne è strumento. Gli insegnanti sono i rappresentanti di questa società e perciò tendono a porsi in funzione gerarchica rispetto agli alunni e corporativa rispetto ai genitori e agli altri gruppi sociali. Nelle società urbano-industriali e democratiche, invece, la scuola tende a non subordinarsi alla società e neppure ad essere strumento della sua conservazione: essa, piuttosto, aspira a costituire un fattore del continuo rinnovamento della società attraverso la formazione dei giovani. In altri termini, la scuola si inserisce nella comunità civile come comunità educativa, ossia centro propulsore di innovazione sociale e di progresso attraverso l'innesto continuo delle nuove generazioni, educate all'autonomia e alla libertà. Insegnanti, alunni, genitori lavorano insieme a questa impresa educativa: i primi portatori di valori umani, continuamente rivissuti; i genitori partecipi e cooperatori di questo processo che vede insegnanti e alunni impegnati alla realizzazione dello stesso compito" (G. Giugni, Op. cit., 1974, pp. 13/14).

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5.5. ASPETTI INFLUENZANTI IL RAPPORTO SCUOLA-SOCIETÀ

L'evoluzione verso una linea progressista da parte della società, si riflette nella scuola che si fa strumento di una società che tende ad evolversi ulteriormente. Questa situazione deve essere presa in esame per evitare che ci si rifaccia a due risoluzioni apparentemente precise e definite, in realtà improbabili e generiche: la soluzione di chi dice che la scuola non può essere modificata fino a quando non si modifica la società, e quindi bisogna lasciare la scuola così com'è, aspettando che la società si modifichi; e la posizione di chi sostiene che la società non può essere modificata finché non si modifichi la scuola e che quindi è necessario modificare la scuola secondo linee che non sono esattamente definite, perché una società che non si sta modificando non può precisare in termini concreti queste linee.In questo modo si propone di modificare alternativamente la scuola o la società, aspettando la soluzione miracolistica che la interdipendenza positiva tra scuola e società si realizzi nel senso auspicato, nel senso cioè che la scuola non soltanto stimoli una certa evoluzione progressista della società, ma addirittura anticipi, costituisca al suo interno il modello della società del domani.Nella nostra realtà la società influisce sulla scuola e sulla sua strutturazione; ma mentre nella società si stanno realizzando spinte innovative e progressiste verso una maggiore giustizia sociale, verso il riconoscimento e l'attuazione dei diritti di ogni cittadino, molti dati di fatto ci indicano che l'influenza che la società esercita sulla scuola non è certo nel senso innovativo di questa direzione, ma se mai è nel senso diametralmente opposto. Si direbbe, cioè, che la società eserciti un'influenza di tipo nettamente conservatore perché tende a trasmettere alla scuola dei valori che non sono quelli della spinta in avanti ma che sono, nella migliore delle ipotesi, i valori della conservazione, i valori di certi gruppi di potere che tendono a mantenere gli adulti al potere, a sostenere certe strutture, a evitare la loro modificazione, a ostacolare in modo diretto e indiretto le esigenze di rinnovamento.Pertanto, le influenze che derivano dalla società alla scuola italiana sono ancora di tipo conservativo e non certamente progressista; d'altra parte, la scuola tradizionale è per sua struttura poco capace di 'gettarsi' in avanti. D'altra parte sappiamo quanto sia difficile modificare la società, ma quanto sia più difficile modificare la scuola.La scuola è una struttura ancora di tipo essenzialmente gerarchico, autoritario, poco aperta a recepire certe spinte di rinnovamento; dall'altra parte le influenze negative che derivano alla scuola da una società che pure evolve in molti suoi aspetti, in molte sue manifestazioni, sono legate essenzialmente a una crisi di valori etici e culturali, ad una affermazione di un'ottica di tipo consumistico, ad un riconoscimento teorico della scuola e dell'educazione come elemento formativo della personalità, come elemento determinante nella realizzazione dell'uomo, poiché alla fine che conta è riuscire a sopravanzare il prossimo, ad ottenere un successo sul piano essenzialmente economico ed individuale. Tra gli aspetti che influenzano negativamente il rapporto società-scuola, c'è quello legato alla rigidità della scuola e degli insegnanti che molte volte sono ancora dei trasmettitori unidirezionali, che cioè tendono a una comunicazione a una via soltanto, dall'alto verso il basso, quelle che sono le verità, i principi, le regole che ritengono le più valide, ma che sono molto spesso incapaci di recepire la necessità di una educazione che si svolge attraverso una interdipendenza, una comunicazione a due vie in cui l'insegnamento dato dall'allievo al maestro è altrettanto importante di quello dato dal maestro all'allievo.Un altro aspetto che influisce negativamente sul rapporto scuola-società, si riferisce essenzialmente a quelle che si possono indicare come le contraddizioni negative di una società che spinge i giovani verso l'autonomia e che nel contempo richiede ad essi una situazione di dipendenza; che li sollecita alla responsabilizzazione, ma li vuole sottosposti a certe regole fissate dalle generazioni degli adulti; prospetta soluzioni socializzanti e in realtà costringe ad una competizione in termini selettivi.

5.6. LA CRISI DEL RAPPORTO SCUOLA-SOCIETÀ

"La teoria di separare la scuola dalla società non è ancora del tutto abbandonata. La separazione viene giustificata con la preoccupazione di preservare il processo formativo dei giovani dalle deformazioni ideologiche che agitano la vita sociale. La scuola, si afferma, deve essere 'neutrale' per poter trasmettere i valori perenni della cultura: i soli che hanno il potere di plasmare l'anima giovanile. Senonché questa teoria pecca per lo meno di ingenuità, giacché

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anche la presunta neutralità della scuola è il risultato di una scelta, la quale non può non essere politica e, quindi, riflettere il punto di vista di quella parte della società che la sostiene" (G. Giugni, Società-comunità-educazione, La Scuola, Brescia 1983, p. 118).La scuola può rispondere alle esigenze della società, invece di separarsi da essa, se si trasforma da 'istituto' destinato alla trasmissione della cultura in 'ambiente' destinato allo sviluppo della personalità di ciascun alunno. Questa nuova funzione della scuola attribuisce all'insegnante il compito non più di istruire, bensì di educare nell'unica forma compatibile con lo sviluppo della personalità dell'alunno e cioè intevenendo sull'ambiente, non su di lui; e stabilendo con l'alunno, che si sviluppa con l'aiuto di quanto l'ambiente contiene, una relazione non manipolativa, che lo strumentalizza al programma, alla scuola ed al suo punto di vista; bensì identificatoria, che consiste nel porsi dal punto di vista dell'alunno per comprendere la situazione in cui si trova e aiutarlo a superare le eventuali difficoltà. "Sotto lo stimolo delle nuove esigenze sociali la scuola tende a diventare orientatrice, nel senso che dà valore alle capacità personali considerate come l'unico mezzo per valere nella vita, cessa di essere l'unico centro o il centro privilegiato dell'informazione, in quanto la società industriale dispone di mezzi informativi diversi e più suggestivi di quelli scolastici; viene investita, a causa delle trasformazioni sociali provocate dai processi industriali, di responsabilità che prima ricadevano su altre istituzioni quali, ad esempio, la famiglia e la chiesa" (G. Giugni, Op. cit., 1983, pp. 120/121).Le trasformazioni sociali e la conseguente necessità di trasformare la scuola per adeguarla alla realtà dinamica della società, sono la causa dell'odierna crisi della scuola.La situazione attuale della società, infatti, non si presenta in maniera lineare, anzitutto perché il processo di cambiamento comporta, necessariamente, una notevole confusione fra nuovi e vecchi modi di pensare e di agire; poi perché la società industriale si sta anch'essa rapidamente trasformando e non sempre in modo positivo.La scuola vive il dramma del cambiamento, giacché non è riuscita ancora a trasformarsi da istituto-controllo in istituto-ambiente per adeguarsi alle esigenze della società industriale e già si profila un nuovo tipo di società, che ha nuove esigenze e impone nuovi comportamenti.La scuola avrebbe dovuto assumersi il compito di educare al cambiamento: in realtà lo ha subìto per la sua incapacità di accogliere la diversità ed estendere la comunicazione oltre il suo ambito. Essa, in conseguenza, si è posta in una posizione difensiva che le impedisce di sviluppare al suo interno tendenze innovatrici; si ostina nel ruolo di conservatrice di valori ideologici superati; favorisce la subordinazione a modelli di vita non del tutto rispondenti alle autentiche esigenze dell'uomo.Questi atteggiamenti l'hanno isolata e resa impermeabile fino al punto da provocare forti reazioni di 'descolarizzazione', come la scuola avesse ormai esaurito la sua funzione sociale."Un discorso sulla crisi della scuola, però, non è diretto soltanto a dimostrare la sua attuale situazione di disagio, di difficoltà, di turbamento, di travaglio, di squilibrio. Il concetto di crisi ha anche un significato positivo di scelta, di decisione che implica il superamento dell'attuale situazione della scuola mediante una scelta qualitativa e cioè la ricerca di una nuova concezione scolastica. La scuola stessa, perciò, e la società in cui essa opera, potrebbero trovare l'alternativa che consenta alla scuola di superare le sue difficoltà e di trovare un nuovo modo di intendere la vita sociale e la sua giusta collocazione" (G. Giugni, Op. cit., 1983, p. 122).Il problema che nasce dalla mancata correlazione educativa fra la scuola e la società attuale, riguarda il modo di intendere la correlazione e cioè se la correlazione va intesa nel senso che la scuola debba limitarsi a seguire i modelli imposti dalla società e a realizzare i suoi disegni; oppure nel senso che la scuola debba andare oltre questi modelli per assumersi il compito di modificarli se e quando non corrispondono alle esigenze autentiche della persona. In altri termini la funzione sociale della scuola è l'adattamento o la partecipazione? è la conservazione o la creatività?Adeguare la scuola allo sviluppo della società, non solo non eliminerebbe la crisi della scuola, ma l'aggraverebbe oltre misura, in quanto non è più possibile alla scuola di oggi adeguarsi a modelli sociali in continua evoluzione o riferibili soltanto a determinati ceti sociali o addirittura alienanti.La scuola ha sempre avuto una funzione sociale. Questa funzione, però, può essere esercitata in duplice modo: quello esterno dell'adattamento ad un certo tipo di società e dell'addestramento ad una professione o ad un mestiere; quello interno dello sviluppo della personalità nella sua interezza. Il primo modo è espressione di una società

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chiusa, immobile, conservatrice che si serve della scuola come strumento per trasmettere e conservare un certo patrimonio di modelli culturali e di valori, che è poi quello della classe al potere. Il secondo modo, invece, è tipico di una società aperta, in continua trasformazione, che ha bisogno della scuola come fattore del suo continuo rinnovamento.L'autentica socialità della scuola si esprime in questo secondo modo, e cioè nel contributo delle scuola allo sviluppo e al rinnovamento della società, attraverso lo sviluppo della personalità degli alunni e la formazione di un comportamento sociale responsabile che implica la responsabile partecipazione alla vita della comunità civile.Il concetto di personalità, infatti, è determinato da due elementi correlativi: le dotazioni individuali e le influenze ambientali. La scuola che si batte per lo sviluppo della personalità si colloca tra queste ultime con il compito pedagogico di filtrarle e utilizzarle nel senso più favorevole per la collettività stessa.

5.7. IL RUOLO DELLA SCUOLA NEL MONDO CONTEMPORANEO

Le esigenze nuove del nostro tempo impongono con urgenza la necessità di impostare in modi diversi da quelli tradizionali i problemi di struttura, di contenuto e di metodo della scuola; e vedere sotto nuova luce la stessa funzione degli insegnanti. "Queste esigenze sono dovute da una parte al vasto complesso di trasformazioni sociali caratterizzate dall'urbanesimo, dall'evoluzione qualitativa e quantitativa dei consumi, dalla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa, dall'aumento degli interventi dell'attività pubblica nella sfera privata, dalla limitazione delle distanze che ha reso possibili frequenti contatti tra gli individui e i popoli e, quindi, l'accettazione di integrazioni economiche e politiche più vaste. Dall'altro, alle trasformazioni economiche a loro volta caratterizzate da un intenso processo di industrializzazione che va intaccando sempre più profondamente l'antica civiltà artigianale e contadina" (G. Giugni, Op. cit., 1974, p. 26)."Se è vero che l'umanità chiede aiuto all'educazione, nonostante i limiti che questa continua a manifestare, è anche vero che il mondo dell'educazione chiede aiuto alla scuola, nonostante le delusioni che la scuola di questi anni ha riservato a chi pur le ha chiesto, con diversità di toni e di motivi, di 'insegnare ad essere " ( L. Corradini, Educare nella scuola, La Scuola, Brescia 1983, p. 42).In questa richiesta si può trovare un appello globalistico mal indirizzato, nel presupposto che la scuola possieda mezzi magici che nessuno le ha conferito. In realtà, proprio mentre la scuola sembra soffrire di sovraccarico funzionale e insieme di incertezza di orientamenti e di debolezza educativa, da ogni parte le si chiede di assumere nuovi compiti, nuove prospettive, nuovi obiettivi, nuovi contenuti.Si può comprendere che per lungo tempo la scuola è stata incaricata più o meno esplicitamente di preparare i giovani ad affrontare i compiti avvertiti come socialmente rilevanti tra cui quello di combattere il nemico sulle Alpi o sul mare, qualora la patria chiamasse i suoi figli per la difesa della vita collettiva. Oggi il nemico non è più così facilmente identificabile in un popolo 'esterno'. Oggi i nemici sono sempre più interni; si muore più per incidenti stradali, per droga, per violenza, per disperazione, per solitudine. Di qui la richiesta di dedicare parte del tempo, dell'attenzione, delle risorse di cui la scuola dispone, alla lotta contro questi nuovi nemici 'interni'."Il ruolo della scuola di fronte alle trasformazioni sociali è duplice: reagire ai loro effetti negativi (massificazione, motivazioni utilitarie, ecc.) e guidare i giovani nella formazione di un comportamento fondato sulla valorizzazione della persona e sulla solidarietà funzionale. La scuola contemporanea tende a supplire le deficienze dell'ambiente, trasformandosi da intellettualistica e selettiva in scuola di formazione allo scopo di aiutare i giovani a realizzare se stessi come persone per essere, quindi, preparati ad assolvere le proprie responsabilità nella comunità, come cittadini di uno stato democratico e come lavoratori di una società in continua trasformazione" (G. Giugni, Op. cit., 1974, p. 27).Il suo compito, pertanto, è di organizzare l'attività dei giovani non più in modo esclusivamente intellettuale ed in forma assimilatrice e riproduttrice, bensì in modo da sviluppare tutte le dimensioni umane di ogni singolo alunno, in ordine alla sua adesione attiva alla democrazia ed alla sua collaborazione alla produttività sociale; e nella forma della ricerca e della costruzione, che sviluppa negli alunni dati di iniziativa e di responsabilità e richiede dagli insegnanti non più il mero controllo, bensì l'esercizio del potere di guida, di animazione e di orientamento.

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5.8. LA SCUOLA COME CENTRO DI CONVERGENZA E DI RAZIONALIZZAZIONE DEI FATTORI EDUCATIVI INDIVIDUALI E SOCIALI

Le nuove esigenze sociali ed economiche del mondo contemporaneo hanno dato, senza dubbio, alla scuola una funzione educativa insostituibile ma non totalitaria, giacché gli alunni vivono in un ambiente che esercita su loro svariate forme di influenza.Non è possibile trascurare e ignorare il complesso delle sollecitazioni provenienti dalle istituzioni e dalle attività sociali di varia natura, direttamente o attraverso i mezzi di comunicazione di massa.Ogni alunno costituisce il centro di molteplici rapporti educativi i quali, il più delle volte, non sono coordinati tra loro e talvolta sono anche in contrasto fino al punto di elidersi reciprocamente. Pertanto, la coordinazione e la direzione di questi rapporti, costituisce un compito di fondamentale importanza per il buon esito del processo educativo dei giovani e tale compito spetta alla scuola.Pur non essendo quindi un organo totalitario ed assoluto dell'educazione, la scuola oggi dovrebbe costituire un centro di convergenza di tutti i fattori educativi dell'ambiente ed punto di incontro di quelle forze educative che tendono ad unilaterizzarsi nel tentativo di influire in modo determinante nel processo educativo.La scuola può espletare questo compito stringendo rapporti con tutti gli istituti sociali e con tutte le forze culturali della società, sia per riceverne l'humus, che forma la disposizione mentale ed emotiva della condotta degli individui, che per rinnovare continuamente questi intuiti e queste forze attraverso lo studio personalistico dei membri che ne fanno parte.La scuola, pertanto, dovrebbe essere in rapporto con la famiglia ma non ponendosi in funzione sussidiaria, bensì come continuazione e guida dell'educazione familiare; la famiglia infatti ha una funzione educativa essenziale ed è insostituibile, per cui è necessario garantirle non solo l'indipendenza economica e la possibilità di sviluppo, ma anche l'efficacia educativa, aiutando, consigliando, guidando i genitori nel loro compito.Allo stato attuale il rapporto scuola-famiglia è quasi inesistente in quanto la scuola è ancora socialmente, pedagogicamente intellettualistica, metodologicamente isolata; la famiglia, a sua volta, è socialmente utilitaristica (preoccupata di assicurare ai figli il possesso di un certo titolo scolastico), pedagogicamente esclusivista e metodologicamente paternalistica.Attraverso le adunanze periodiche di genitori ed insegnanti, la partecipazione dei genitori alla vita scolastica, la cogestione della scuola da parte dei genitori, degli insegnanti, alunni ed altre forze sociali, la scuola potrebbe dare ed ottenere la collaborazione della famiglia.Un aspetto particolare, inoltre, del rapporto scuola e società, nel mondo attuale, riguarda il mondo economico che tende a porsi in ordine più al possesso che all'uso dei beni e influisce sulla scuola, perciò, più in funzione dell'addestramento e del condizionamento che della formazione dei giovani.La scuola può esercitare una diretta influenza sul mondo economico non condizionando ma sviluppando quelle attitudini e formando quelle competenze che contribuiscono a incrementare la produttività. Inoltre può influirvi da un lato facendo della professione o del mestiere il contenuto della formazione personale, in modo da spogliarsi da un lato del carattere utilitaristico ed esclusivo, dall'altro orientando i giovani verso la professione a loro più congeniale.Infine un altro problema che le istituzioni hanno imposto alla scuola, riguarda lo sviluppo delle tecniche di comunicazione. Lo stile dell'educazione non può essere quello isolante che sottrae l'educando alla corrente della vita, bensì quello impegnato che lo colloca nella vita e nei suoi problemi con la volontà di risolverli. Giornale, cinema, radio e televisione, spettacolo sportivo, internet fanno parte oggi della vita dei giovani per cui non si possono ignorare, né si può ignorare l'influenza che essi hanno sulla loro informazione e formazione.

5.9. IL CONCETTO DI SCUOLA UNICA E DIFFERENZIATA

Dalla scuola per pochi siamo passati alla scuola per tutti. Ogi la scuola sente la necessità di dare a ciascuna persona una quantità crescente di spazio e di tempo vitale. È significativo osservare che dal punto di vista storico lo sviluppo della scuola è avvento dall'alto al basso. In origine la scuola è stata centro di formazione dei ceti dirigenti;

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le prime cure sono state dedicate alle università e alle accademie; solo in seguito si sono istituiti i grandi licei nazionali, le grandi scuole e i collegi di formazione intermedia. Infine è soltanto nel secolo XIX la traduzione in pratica della universale affermazione del diritto di tutti ad essere educati: quindi la creazione della scuola elementare obbligatoria ed oggi il raggiungimento dell'obbligo a 16 anni.La nuova scuola di base, quindi, si va dilatando in tutti i sensi, superando i limiti tradizionali dell'insegnamento contenutistico e di educazione intellettuale. "Al principio, ancora vigente nel secolo scorso, di dover dare a tutti un minimo di istruzione, oggi si va sostituendo quello di dare a tutti un massimo di istruzione, compatibilmente con le possibilità di ciascuno. Per questo la preoccupazione di garantire ai meritevoli privi di mezzi la possibilità di percorrere tutto l'ordinamento scolastico sta diventando un impegno effettivo e gradualmente più efficace" (M. Laeng, Op. cit., p. 146).L'applicazione dei suddetti principi, ovviamente, esige che la scuola contemporanea perda la sua struttura dualistica e selezionatrice e si proponga invece come scuola unica orientatrice e come scuola autonoma, in ordine al rinnovamento sociale e professionale in correlazione con l'ambiente ed anzi, essa stessa ambiente educativo. L'unicità della scuola però non significa livellatrice delle distinzioni e dei procedimenti idonei a distinguere i giovani e a valorizzare le specifiche qualità. L'unicità scolastica, in tal senso, non terrebbe conto, oltre tutto, delle situazioni nuove del mondo economico e di quello democratico che richiedono la valorizzazione delle personalità individuali ed il giusto inserimento di ognuno nel lavoro comune. "La scuola è 'unica', piuttosto, in quanto attua per ogni alunno lo stesso compito: lo sviluppo integrale della personalità in funzione sociale; ed è differenziata in quanto si adatta all'originalità di ogni singolo in modo che a nessuno sia inibito di partecipare ad una vita sociale sempre aperta e ad un mondo produttivo in continua trasformazione ed ognuno possa parteciparvi nella pienezza delle forze proprie ossia delle sue reali possibilità e competenze" (G. Giugni, Op. cit., 1974, p. 32).La scuola è unica, in altri termini, in quanto non prepara un'élite ma tutti e quindi garantisce a tutti, attraverso il pieno espletamento della propria personalità, il diritto alla vita pubblica ed al lavoro; è differenziata in quanto traccia per ogni alunno la strada più adatta. È autonoma in quanto si assume la responsabilità dell'educazione dei giovani. L'autonomia della scuola, quindi, non si risolve nella neutralità o nell'isolamento della scuola dalla vita sociale, bensì nel collocarla nella società come suo fattore educativo. La scuola è autonoma proprio in virtù di questa fondamentale esigenza che è principio del progresso stesso della comunità e tale autonomia dovrebbe concretizzarsi nel contenuto dell'attività scolastica, costituito dalla pienezza e dalla totalità dei valori della cultura; nel metodo di libera ricerca della verità; nella struttura democratica che trasforma la scuola in comunità educante.

5.10. ORGANIZZAZIONE E FUNZIONALITÀ DELLA SCUOLA COME COMUNITÀ

"L'organizzazione e la funzionalità della scuola si fondano sul concetto di 'comunità': comunità democratica circa il comportamento, comunità di lavoro circa l'attività, comunità educante circa il processo globale di sviluppo della personalità. La comunità scolastica è un sistema socio-culturale collegato in un rapporto di reciprocità e collaborazione con altre istituzioni, è un insieme di strutture dinamiche volte a realizzare un complesso organico di raggruppamenti fra persone che interagiscono a scopo educativo e cioè praticano uno stile di vita ed un modo di scambio che consenta a ciascuno di esprimersi autenticamente; si aiutano reciprocamente ad attualizzarsi e perfezionarsi come persone; hanno continua coscienza del valore di gruppo che esse formano e della comunità cui appartengono. Le componenti di tale comunità sono i gruppi: degli alunni, degli insegnanti, dei genitori, degli ex alunni, dei rappresentanti della più larga comunità civile" (G. Giugni, Op. cit., 1974, p.33).Questa concezione è nata con le trasformazioni sociali del nostro tempo e si va consolidando ed estendendo man mano che il progresso tecnico e sociale si va arricchendo di significato e di costume morale.La scuola-comunità è aperta a tutti e tendenzialmente orientativa. Essa è ordinata non al condizionamento sociale, bensì a rendere proprio il 'vitale' del vivere sociale. I collegamenti tra le persone al suo interno sono basati sulla solidarietà funzionale e sulla cooperazione e sono diretti al reciproco perfezionamento. La prassi scolastica conseguente è fondata sull'interazione dinamica e la comunicazione dei componenti la comunità. Gli alunni e gli insegnanti sono protagonisti del loro lavoro, sulla base di un metodo di rapporti intimamente privo di ogni forma di impostazione, di autoritarismo e di paternalismo.

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Questo concetto implica, anzitutto, la gestione sociale della scuola in modo da concentrare in essa tutte le istanze educative del corpo sociale nella sua interezza. Implica poi il governo democratico della scuola ossia la partecipazione di tutte le componenti della comunità; l'esercizio dell'autorità intesa a qualsiasi livello come servizio e non come imposizione o costrizione esterna; un libero feed-back fra potere e il suo controllo.Implica, ancora, che la scuola sia integrata e cioè funzioni a pieno tempo e per la piena educazione: con una sua area didattica, con adeguati servizi, con mezzi razionali e funzionali a diversi livelli operativi, alternando i momenti di attività individuale con quelli di attività comune.Infatti, dinanzi ai sempre crescenti impegni dei genitori al di fuori della famiglia, prendono sempre più importanza le cosiddette istituzioni integrative della scuola (interscuola, doposcuola, attività creative di gruppo, colonie estive, campi scuola) in cui vengono effettivamente svolte attività educative di primo piano.Di qui il passo, teoricamente, è breve anche se sussistono delle difficoltà di ordine pratico, alla previsione di una scuola integrata, in cui al lavoro scolastico propriamente detto si affianchino tutte quelle altre attività gradite e sollecitate dagli stessi ragazzi, che possono assecondarne lo sviluppo in modo ben più completo delle tradizionali forme esclusivamente libresche della scuola tradizionale.Questo traguardo è stato lo scopo delle esperienze di tempo pieno realizzate in molte scuole elementari e medie italiane negli anni '70 e '80, con la collaborazione di tutti gli insegnanti, al di là della distinzione delle classi, includendo sia insegnanti titolari, sia insegnanti di attività integrative e speciali, sia di sostegno; e in qualche caso anche i genitori e personale non docente. Le scuole a tempo pieno avevano l'ambizione di essere tali per tutti gli alunni.Più recentemente il Ministero P.I. ha riproposto esperienze di scuola a tempo prolungato che ripetono alcune caratteristiche delle precedenti, ma non ne fanno obbligo a tutti, offrendo il servizio solo alle famiglie che ne facciano richiesta. Contemporaneamente però si affaccia l'esigenza, raccomandata anche dalla Commissione Ministeriale che ha redatto i nuovi programmi, di espandere il tempo ampliando l'orario del secondo ciclo della scuola elementare, come del resto già avviene in molti altri paesi.

5.11. INFLUENZE AMBIENTALI COME FATTORI DETERMINANTI DEL PROCESSO EDUCATIVO

"Si possono chiamare fattori dell'educazione tutte quelle circostanze, condizioni o cause che contribuiscono al processo educativo. L'espressione fattori è indeterminata, allo scopo di comprendere una molteplicità e varietà di agenti che non possono essere definiti in un modo semplice e univoco. Approssimativamente, tuttavia, si possono distinguere fattori interni e fattori esterni dell'educazione, riferendo la distinzione allo stesso educando" (M. Laeng, Nuovi lineamenti di pedagogia, La Suola, Brescia 1987, p. 41).Si intendono per fattori interni tutti quelli appartenenti alla natura biologica e psicologica del soggetto, che ovviamente ne stabiliscono così le possibilità positive come i limiti negativi. Talvolta essi vengono indicati anche come fattori endogeni dello sviluppo. Essi hanno origine dall'interno (pur se possono dirigersi all'esterno) e che il loro divenire è essenzialmente comandato da leggi inerenti alla spontaneità naturale, che precedono e condizionano qualunque intervento intenzionale successivo.I fattori del secondo gruppo vengono invece talvolta designati come esogeni o della formazione, essi provengono da attività esterna al soggetto (anche se si dirigono verso la sua interiorità) e prendono norma da un'intenzione formativa distinta dal soggetto. Possono complessivamente essere designati col termine ambiente che letteralmente indica ciò che è circostante a un termine di riferimento, ma per lo più si impiega in riferimento a soggetti viventi.L'ambiente prossimo o remoto ha un significato dinamico, che si manifesta come un complesso di fattori-stimoli e di fattori-esigenze.Vi è interdipendenza tra sviluppo e formazione, tra cause provenienti dall'interno e cause agenti dall'esterno. strettissima. Il processo di maturazione bio-psichica della persona ha luogo attraverso il rapporto reciproco della persona con il suo ambiente socio-naturale e, cioè, nell'incontro tra forze native e forze ambientali.Negli individui, sebbene siano presenti in tutti gli stessi meccanismi psichici fondamentali, si sviluppi una peculiare struttura psicologica complessiva, cioè una personalità che li differenzia dagli altri.. La formazione di singole personalità adulte, è il risultato di una complessa interazione di numerosi elementi, di cui alcuni innati e

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costituzionali e altri familiari e sociali. Questa suddivisione pone il problema del rapporto tra eredità e ambiente la cui soluzione richiede di determinare non solo quanto incida l'influenza di ciascuno dei due fattori, ma anche cosa si intenda per innato e cosa per acquisito.Discusso è diventato allora il problema relativo all'influenza dei fattori genetici e dei fattori ambientali sulla formazione della personalità. Noi sappiamo come in psicologia le scuole si siano suddivise su questo problema con prese di posizione estremistiche, in senso innatistico oppure ambientalistico e come le ricerche più recenti hanno permesso di superare le posizioni dell'un tipo e dell'altro.La presenza di un programma genetico è oggi da considerare chiaramente dimostrato, così come lo stesso promuova un certo tipo di maturazione della personalità. Tuttavia tale programma può essere influenzato dall'ambiente in cui la personalità si forma. "Ogni essere umano è una creatura estremamente complicata; in primo luogo è un organismo fisico, un corpo. L'organizzazione fisica è essenziale ed è, per la massima parte, già determinata sin dal periodo prenatale o, meglio, dal momento del concepimento. Ma l'essere umano non può venir spiegato solo in termini di struttura corporea, in quanto vi è in lui un'organizzazione mentale che si esprime attraverso le azioni, i movimenti, il linguaggio. Il bambino è perciò dotato anche di certe potenzialità di sviluppo psichico che eredita dai suoi antenati" (F. Antonini, M. Panzera, Psicologia, Sansoni Editore, Firenze 1981, p. 160).Quindi, sia dal punto di vista fisico che da quello psichico, è indiscutibile l'influenza del fattore innato e costituzionale, determinato dai geni portatori dei caratteri ereditari.Tuttavia queste fondamenta su cui si costruisce la personalità dell'individuo, subiscono le modificazioni derivanti dall'ambiente esterno. Tutte le tendenze e le disposizioni innate vengono incanalate e sviluppate secondo certe direzioni in rapporto all'ambiente prima familiare e poi sociale che circonderà il soggetto, cioè al tipo di educazione, in senso lato, che egli riceverà nel corso della sua vita.Si può quindi affermare che l'individualità è la risultante di due forze complementari, l'eredità e l'ambiente, che si intersecano tra di loro in un processo dinamico di sviluppo.Le caratteristiche innate hanno bisogno della favorevole disposizione ambientale per manifestarsi e, inversamente, l'ambiente ha bisogno di poter agire sul terreno delle caratteristiche innate per dimostrare la sua importanza.

5.12. AMBIENTE E PROCESSO EDUCATIVO

Il processo educativo è un fenomeno di 'reciprocità' uomo-ambiente. L'evento educativo nasce dal contatto con il mondo delle cose (acquisizione delle esperienze), dall'incontro con singole persone (influenza dei genitori, degli insegnanti, degli adulti ecc.), dalla partecipazione alla vita dei gruppi di appartenenza (comunicazione-scambi), dall'impatto e dalla partecipazione al mondo della produzione, dei sevizi, del tempo libero.L'organizzazione di un ambiente educativo, cioè di una ambiente che abbia la possibilità di interagire con il processo di sviluppo e di formazione della personalità, è di fondamentale importanza per l'educazione e costituisce uno dei problemi essenziali della ricerca pedagogica.Se consideriamo l'ambiente come il complesso delle condizioni fisiche, naturali, artificiali e psico-sociali che circondano l'individuo e di cui l'individuo è centro, esso può essere analizzato dal punto di vista del suo significato o dal punto di vista del suo rapporto con l'individuo che ne fa parte. Il significato dell'ambiente è duplice: oggettivo e soggettivo.Per il primo l'ambiente è un 'dato' di carattere geografico, storico, socio-economico, culturale, nel quale la persona si trova e senza del quale non può vivere, svilupparsi, muoversi; per il secondo l'ambiente è uno 'stato d'animo' in quanto assume il significato personale che gli dà la persona.Il rapporto persona-ambiente può essere interpretato in senso transazionale (Dewey), se ogni rapporto attivo tra il soggetto e l'oggetto viene considerato una transazione e cioè un accordo problematico tra i due termini, nessuno dei quali si può considerare preesistente all'altro. "Dire che gli individui vivono in un mondo significa, in concreto, che essi vivono in una serie di situazioni...Ancora una volta significa che è in corso un'interazione fra un individuo e oggetti e altre persone. La situazione e l'interazione non si possono concepire l'una scissa dall'altra. Un'esperienza è sempre quel che è in virtù di una transazione che si stabilisce tra un individuo e quel che costituisce, in quel

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momento, il suo ambiente..." (J. Dewey).Altre interpretazioni inerenti il rapporto persona-ambiente sono: in senso relazionalistico (Piaget) se l'incontro viene considerato un reciproco adattamento del soggetto all'oggetto e viceversa; in senso dialettico se ogni specifico rapporto tra l'individualità umana nel suo insieme e l'ambiente viene considerato una dialettica di natura storico-culturale (Leontjev) o biosociale (Wallon); in senso topologico (Lewin) se il rapporto viene considerato uno 'spazio vitalè o 'campo' e cioè una totalità composta dalla persona e dai fatti (fisici, sociali, concettuali) che in un dato momento influenzano il suo comportamento: 'lo spazio vitale rappresenta la totalità di avvenimenti possibili; esso include sia la persona che l'ambiente'. "Le suddette teorie hanno in comune il principio della reciprocità, funzionalità relazionale fra la persona e l'ambiente; e cioè il principio dell'azione dell'ambiente sulla totalità della persona e della totalità della persona sull'ambiente" (G. Giugni, Op. cit., 1989, pp.160/161). Nell'organizzazione dinamica dello sviluppo, l'uomo tende sempre a conseguire uno stato ottimale di equilibrio creando un proprio ambiente interno con caratteristiche costanti.Qualunque turbamento, lieve o grave fino al trauma, che comporti una alterazione di questa organizzazione interna, mette subito in atto delle forze autoriparatrici che tendono a riportare all'equilibrio ciò che momentaneamente è squilibrato. Si pensi alla fame, alla sete, al sonno.Questa tendenza ad una salda organizzazione interna, va di pari passo con i problemi dell'adattamento all'esterno. L'ambiente propone al vivente questioni, problemi da risolvere; si tratta di bisogni che devono essere soddisfatti o di disagi che devono essere eliminati.È da questa continua sperequazione fra bisogni intimi e possibilità offerte dall'ambiente, che ha origine lo stimolo alla ricerca, il riadattamento a condizioni nuove. In questo equilibrio mobile, nel quale il soggetto è sollecitato dall'esterno e dall'interno, esso conserva sempre un potere discriminante che fa da filtro a tutte le influenze e ne assicura la selezione nel modo più rispondente alla convenienza della vita.

5.13. L'AMBIENTE EDUCATIVO

La persona, sia essa quella del fanciullo come quella dell'adolescente o dell'adulto, è al centro di una rete complessa di influenze che ad essa concorrono e che da essa si dipartono."Potremmo dire che la persona è il luogo pedagogico di incontro di molteplici tendenze centripete e di molteplici tendenze centrifughe; fra le une e le altre la persona interpone il proprio atto di consapevole decisione nei confronti di ciò che ad essa viene dall'esterno e nei confronti di ciò che da essa procede verso l'esterno. Riflettendo su questa posizione veramente centrale della persona nel mondo, possiamo capire come si articolino i tre momenti del conoscere, del volere e del fare. Il conoscere è in un certo senso l'attuazione della attività assimilativa che intreccia tutte le tendenze centripete; il fare è l'espressione del momento centrifugo; fra i due estremi, il valore coincide con quel momento centrale, l'atto di apprezzamento e di decisione della persona" (M. Laeng, Op. cit., p. 46).Quindi, più che optare per delle soluzioni unilaterali come quelle intellettualistiche esaltando il conoscere, o come quelle pragmatiche esaltando il fare, dobbiamo riconoscere la circolarità dell'attività teoretica e dell'attività pratica, rifacendoci al detto comune che l'homo sapiens è faber, per cui soltanto l'uomo che sa quello che fa e fa quello che sa è completo.Ma la personalità non solo è di per se stessa una forma unitaria; essa ha infatti anche il potere di rendere unitario tutto ciò che vi accede, quasi una specie di potere 'agglutinante'. Perfino negli aspetti patologici della personalità il suo potere agglutinante trova egualmente modo di affermarsi.Sulla base di questo principio si può sostenere l'importanza dell'ambiente per il processo educativo e la necessità di organizzare 'ambienti' adatti a promuovere e a razionalizzare detto processo."Anzitutto è da rilevare che l'ambiente, da un punto di vista pedagogico, è lo spazio di vita fisico, psicologico e sociale con cui l'educando si trova in contatto diretto ed effettivo o, indirettamente, mediante mediazioni. Esso, quindi, non è tanto ciò che circonda l'educando, quanto piuttosto il 'tutto' di cui egli è parte integrante, a cui aderisce ed in cui opera: l'insieme delle persone con cui vive e con le quali entra in rapporto ed i luoghi che sono teatro della sua attività e fonte delle sue esperienze. L'ambiente, così inteso, interessa l'educazione non già dal punto di vista oggettivo (l'ambiente in sé), bensì da un punto di vista soggettivo: le reazioni dell'educando agli

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stimoli che gli provengono dalle persone e dalle varie e complesse situazioni del mondo in cui vive ed il modo come vengono utilizzate tali reazioni per la formazione della sua personalità" (G. Giugni, Op. cit., p. 161).La pedagogia indica la tipologia dei rapporti con:1- l'ambiente naturale in senso stretto, costituito dai fattori geografici, climatici, botanici, zoologici, ecc.; è fuori dubbio la influenza che tale ambiente esercita, soprattutto quando la si consideri nelle sue forme estreme, per esempio in zone desertiche, oppure in zone fittamente popolate.2- l'ambiente artificiale, anch'esso oggettivo come il precedente, ma costituito dai prodotti di trasformazione dell'opera umana, in prima approssimazione dai beni economici, dai risultati dell'arte e della scienza. In questo senso l'artificialità non designa affatto un aspetto negativo o deteriore, ma solamente la presenza dell'iniziativa intenzionale dell'uomo. È stato giustamente osservato che già il capitale ereditario degli strumenti, dei manufatti, delle abitazioni, dei mezzi di difesa, trasmesso da una generazione all'altra, costituisce una forma tacita di insegnamento e di educazione, che opera anche al di fuori del tramite istituzionale della scuola; ed è esperienza comune come i fanciulli e gli adolescenti che hanno occasione di vivere in un ambiente altamente industrializzato traggano da esso, per questo solo fatto, maggiori e più intensi stimoli alla stessa attività intellettuale.3- l'ambiente sociale in senso proprio, articolato nei gruppi primari (famiglie), intermedi (città, imprese, ecc.) e terminali (stati, chiese). La presenza dell'uomo non è più qui solamente indiretta, come nel caso precedente, ma diretta, anche se non sempre immediata.La soluzione del problema educativo esige non tanto la semplice e spontanea interazione dell'educando con l'ambiente in generale, bensì la determinazione dell'ambiente in grado di interagire con la capacità ed i bisogni dell'educando per provocare in lui un certo tipo di reazione o certe qualità di risposte o certe esperienze che abbiano valore. Un ambiente educativo, pertanto, non si pone né come ostacolo né come limite, né come luogo o situazione in cui l'educando sviluppa ciò che è per natura, né come fattore che determina dall'esterno e condiziona il processo educativo. L'ambiente educativo si pone, invece, come un campo di tensione relazionale fra il bisogno di attuazione di sé dell'educando e le persone, le situazioni, le esperienze e la cultura che possono soddisfarlo pienamente. "Esso, dunque, si distingue per le seguenti caratteristiche: è proporzionato e adeguato al livello di maturazione dell'educando; costituisce un fattore di stimolazione, di esplicazione, di sistemazione e di direzione del processo educativo secondo finalità ben definite; si pone come mediatore fra la personalità in formazione e il mondo esterno; costituisce un 'filtro' o 'schermo' per salvaguardare l'educando da eventuali esperienze che potrebbero nuocere al suo processo di formazione" (G. Giugni, Op. cit., p. 162).Gli ambienti che dispongono di tutte o di buona parte delle suddette caratteristiche e che, pertanto, sono da considerarsi educativi nel periodo dell'età evolutiva, sono: la famiglia, l'ambiente associazionistico, la scuola.L'ambiente familiare è lo spazio vitale affettivo che consente all'educando di effettuare esperienze spontanee e naturali. La sua assenza deforma il processo educativo; le sue anomalie producono disadattamento.L'ambiente associazionistico è lo spazio vitale sociale, che consente all'educando di democratizzare le sue esperienze. La sua assenza impoverisce il processo educativo; le sue anomalie rafforzano nell'individuuo le tendenze egocentriche.L'ambiente scolastico, coordinato con altre strutture del territorio in cui opera (biblioteche, ludoteche, musei, campi sportivi, laboratori ecc.), è lo spazio vitale culturale che consente all'educando di razionalizzare le sue esperienze. La sua assenza sclerotizza il processo educativo, le sue anomalie producono anch'esse frustrazioni e disadattamento.

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CAP. VI - ASPETTI E DIMENSIONI DEL PROCESSO EDUCATIVO

L'educazione della persona è un processo complesso Si realizza seguendo lo sviluppo dell'età evolutiva di ciascun soggetto, per cui si differenzia secondo l'età, il sesso, l'ambiente, le caratteristiche e le condizioni in cui lo sviluppo si svolge; fa riferimento sui modi stessi con cui la persona afferma la sua autonomia; comprende e abbraccia tutte le dimensioni e tutti gli aspetti della personalità: morfologica-funzionale, intellettiva, affettiva e morale, sociale.

6.1. L'EDUCAZIONE DELLA DIMENSIONE MORFOLOGICA-FUNZIONALE DELLA PERSONA

L'entrata in vigore dei Nuovi Programmi della Scuola Elementare (D.P.R. 104/1985) e dei Nuovi Ordinamenti (L. 148/1990), rappresenta per la scuola italiana un potente incentivo all'innovazione e, per quanto riguarda un settore "tutto da scoprire" quale quello dell'educazione motoria, alla riflessione pedagogica intorno a ruolo e statuto epistemologico di questa disciplina da sempre oscillante tra i poli opposti dell'addestramento tecnicistico e del relativismo spontaneistico.La tradizione culturale occidentale, ha spesso considerato gli elementi corporeo e spirituale come entità distinte ed autosufficienti: da qui scaturisce, nella teoria e nella prassi educativa, un modello pedagogico che vede il prevalere della formazione intellettualistica su quella corporea. Quest'ultima viene relegata prevalentemente a funzioni igieniche, con il precipuo compito di preservare la salute o prestative con finalità militari e sportive.Anche a distanza di secoli si avvertono le stigmate di tali concezioni filosofiche: è quanto succede oggi quando sia all'interno della scuola, sia per iniziativa di agenzie educative parallele (CONI, Federazioni, palestre private, ecc.) continua ad essere propugnato un"addestramento motorio" ancorato ad una concezione paramilitare, igienico-salutista, tecnico-specialistica.Oggi si manifesta l'istanza del recupero della visione di un "uomo totale": all'origine dell'esperienza intima che la persona ha di sé e della propria vitalità, c'è la percezione di una immediata e globale unità che precede ogni articolazione e differenziazione. Questa esperienza possiamo considerarla contestualmente:- corporeo-motoria (relativa all'essere attuale) = condizione dell'essere nel mondo; - cognitiva (relativa a quanto si potrebbe essere) = significato dell'essere stato e dell'essere nel mondo;- etico-morale (relativa a quanto si dovrebbe essere) = senso dell'essere nel mondo;- affettivo-emotiva (relativa a quanto si vorrebbe essere) = senso dell'essere nel mondo;- socio-relazionale (relativa a quanto si riesce ad essere) = senso dell'essere nel mondo.Il concetto di unità della persona, che si propone come soluzione del dualismo in quanto considera l'individuo come entità che "esiste, si struttura e si esprime come corpo simbolico" (M. Gori, I contenuti dell'educazione fisica, S.S.S. Roma, p. 24), ha come presupposto filosofico-antropologico l'indirizzo realistico della sintesi aristotelico-tomistica e le sue attuali espressioni nella cultura contemporanea (neoscolastica, personalismo). "Alle deviazioni spiritualistiche, idealistiche, materialistiche, l'antropologia filosofica e pedagogica risponde affermando la presenza nell'uomo dell'autocoscienza, della libertà della conoscenza, della comunicazione intersoggettiva, attività che non sono spiegabili con la sola corporeità, ma che non possono fare a meno di essa". ( M. Gori, Educazione motoria: guida alla programmazione, ed. Adica educa, Firenze, 1988, p.13)Il corpo umano possiede una struttura simbolica ricchissima ed una straordinaria attitudine all'educazione; l'attività motoria pertanto non potrà mai essere fine a se stessa, ma sarà sempre legata alla persona nella sua interezza: "recuperare appieno le funzioni del corpo come funzioni dell'intero, vuol dire evirare unilateralità pericolose e riportare le cose all'equilibrio. Il corpo vuol dire sensibilità, emotività, motricità. Ci serve non solo per muovere gambe e braccia, ma anche per afferrare, brandire, tirare, spingere, gestire, parlare, cantare, leggere, scrivere e molte altre cose ancora" (M. Laeng, Movimento, gioco, fantasia, 1990, ed. Giunti Lisciani, p. 22).Il movimento diventa pertanto gesto, simbolo, codice, con il progressivo delinearsi dei suoi significati personali e sociali, integrandosi con gli altri linguaggi umani. Oltre ad essere ambito di espressione-comunicazione che dispone di una autonoma simbologia, esso testimonia l'integralità della persona.

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I Programmi Ministeriali valorizzano queste nuove istanze epistemologiche, proponendo una educazione motoria, o, meglio, una "educazione della persona ottenuta con o mediante il movimento" (G. Giugni, Entriamo nel cerchio di corpo e psiche in AA. VV. I nuovi programmi della scuola elementare, 1986, p. 286) che ha come fulcro la valorizzazione del corpo come "espressione della personalità e come condizione relazionale, comunicativa, espressiva, operativa" (cit. NPSE).È in quest'ottica che si struttura la proposta programmatica, la quale ricerca il superamento del vecchio curricolo: questo infatti si strutturava in modelli standardizzati che portavano sovente ad inconcludente ludismo, ad attività deresponsabilizzanti e gerarchizzanti.L'ipotesi curricolare prevede che l'educazione motoria si integri con le altre discipline realizzando un'attività didattica "con un andamento a carciofo per annessioni successive" (M. D'Alessio, L'intelligenza del corpo, ed. Giunti Lisciani Teramo, 1985, p. 74); essa ricerca i presupposti per essere centro propulsore necessario a tutte le altre aree disciplinari, in completa integrazione con gli altri linguaggi e le altre dimensioni operative.Tale ipotesi avrà come "direttrici fondamentali, sul piano culturale l'asse formativo corporeo interdisciplinare come aggregazione di tutte le discipline rispetto agli assi formativi; sul piano metodologico-didattico, l'organizzazione delle conoscenze e dei modi d'apprendere attraverso l'azione corporeo-motoria" (M. Gori, 1988, op.cit., p. 15)La metodologia didattica dovrà far provare al "bambino della ragione e della libertà" il "gusto di un impegno dinamico nel quale si esprime tutta la personalità" per una acquisizione di conoscenze, di valori, di abilità, ecc. che sia interiormente sentita, voluta e non preconfezionata dall'esterno.L'educazione motoria realizza la personalità partendo dalla sua componente corporea. Solo in questa prospettiva si può rispondere affermativamente agli interrogativi circa la possibilità educativa dell'attività motoria, circa il suo valore formativo ed i vantaggi che derivano all'educazione.L'azione motoria nelle sue varie manifestazioni può educare e può essere educata, purché in relazione con la persona tutta.Il corpo non può considerarsi freddo meccanismo, ma realtà vivente in cui la vita intellettiva e spirituale, esprimersi si esprime nella concretezza dei suoi atti.. Ogni gesto, ogni atto motorio, infatti, richiede la viva ed attenta presenza della mente, dello spirito e impegna la globalità della persona.Le azioni motorie sono educative, appunto, quando sono vissute ed attuate dall'interno, come realizzazioni della persona agente e, quindi, dei suoi modi di sentire se stesso e il mondo. Quando, cioè, non sono azioni estranee e strumentali da attuarsi a comando, o movimenti tecnici di particolari prestazioni, bensì azioni emergenti dalla vita della persona e modi propri di realizzazione con il corpo.La persona, esprimendosi attraverso le attività motorie non effettua azioni che possono distaccarsi da essa e porsi come estranee ed indipendenti, ma realizza, sempre, se stessa attuandosi in questa o in quella azione.Nel rapporto dell'individuo con l'ambiente sociale, l'attività motoria diventa un linguaggio. In quanto messaggio o atto finalizzato all'espressione-comunicazione, il movimento diventa gesto, segno, simbolo, codice, integrandosi via via con gli altri linguaggi e anche con autonoma simbologia.L'educazione motoria non va considerata una semplice attivazione fisica dell'individuo, ma viene inserita in una prospettiva più ampia che vede nell'azione motoria uno dei mezzi e dei modi di attivazione della persona intesa nella sua globalità.Pertanto i termini di corpo e movimento assumono nuovi significati nella cultura contemporanea: si parla infatti di corpo come espressione-comunicazione e di movimento come linguaggio.L'educazione motoria porterà inoltre il bambino alla scoperta e alla presa di coscienza della propria corporeità, ed alla sua organizzazione logica. Solo così il soggetto arriverà alla gestione autonoma e razionale del proprio corpo e del suo linguaggio: allora sarà raggiunto lo scopo educativo.È così che l'educazione motoria viene finalmente introdotta nel curriculum di studio, riconosciuta nell'ambito della pluralità di linguaggi con una sua ben precisa identità e validità formativa. La realtà psico-fisica dell'individuo si configura in una globalità in cui il corpo rappresenta la condizione che gli permette di manifestare all'esterno la

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propria interiorità e di assimilare, rielaborare e soggettivare la realtà esterna.L'attività motoria dunque, inserita in una concezione unitaria della persona, pone in luce le sue profonde radici psichiche ed intellettive; nell'atto motorio si realizza una "convergenza solidale e necessaria di tutti i fattori psichici, distinti ma non separabili, perché espressione dell'unità fondamentale dell'Io che li possiede, li valorizza, li impiega nel suo misterioso attuarsi come azione unitaria ed indivisibile" (cfr. I. Perotto, L'educazione fisica esistenziale, De Bono, Firenze, 1966).L'apprendimento motorio favorisce lo sviluppo delle qualità intellettive: attraverso le stimolazioni percettive che provengono dall'ambiente, il bambino migliora la conoscenza di sé, delle sue relazioni, delle sue esigenze, del suo schema corporeo, inoltre approfondisce la conoscenza della realtà dell'ambiente. L'organizzazione e la rielaborazione dei dati senso-percettivi provenienti dall'ambiente, stimolano le attività del pensiero. Motricità e attività mentale si presentano interfunzionali nell'individuo: le esperienze sensomotorie fanno da supporto alle successive rappresentazioni mentali e alle realizzazioni ideomotorie; d'altro canto all'origine del movimento vi è la sua rappresentazione mentale. È grazie al suo vissuto senso motorio che il bambino arriva alla concretizzazione di concetti astratti e alla astrazione di esperienze concrete.

6.2. L'EDUCAZIONE DELLA DIMENSIONE INTELLETTIVO-COGNITIVA DELLA PERSONA

"L'acquisizione del linguaggio segna la linea di demarcazione più sensibile fra l'animalità e l'umanità. Mediante il linguaggio, infatti, l'individuo umano esprime il proprio mondo interiore; estrinseca o manifesta all'esterno i contenuti o la realtà, colti fuori di se stesso; esercita il suo dominio sulle cose. Il linguaggio, nella complessa dinamica della realizzazione personalistica, ha una triplice funzione: di autoespressione, di trasmissione o comunicazione, di suggestione". (G. Giugni, Op. cit., p. 129)Con la prima, la persona modifica in senso soggettivo gli elementi assimilati; con la seconda, entra in relazione con altre persone per il bisogno di trasmettere e comunicare i propri contenuti; con la terza, prescinde parzialmente dagli elementi oggettivi di questi contenuti per suscitare negli interlocutori i propri stati volitivi e affettivi.Il linguaggio, di conseguenza, impegna la persona nei suoi processi conoscitivi e pratici, nell'intelligenza e nel carattere, nel suo aspetto individuale e in quello sociale. La maturazione del linguaggio si compie nella misura in cui il soggetto estende il nodo delle sue relazioni nell'ambiente sociale.All'inizio, il linguaggio è una specie di utensile che serve al bambino per agire sugli adulti e ottenere da loro ciò che non può fare egli stesso. Man mano, però, che il bambino prende contatto con la realtà e la assimila vitalmente, arricchisce la sua esperienza personale e, con essa, il bisogno di comunicarla e il desiderio di cercare i mezzi per poterlo fare. L'esercizio delle varie forme di linguaggio stimola lo sviluppo mentale ed affina l'affettività, la cui maturazione, a sua volta, arricchisce il linguaggio di elementi personali e culturali.L'educazione favorisce l'acquisizione dei più vari mezzi espressivi (verbale, corporeo, musicale, grafico, pittorico, plastico, costruttivo) e ne rende comprensivo il significato.L'acquisizione del linguaggio è condizione essenziale dello sviluppo intellettivo-cognitivo e affettivo-morale della persona. Con e attraverso il linguaggio la persona, infatti, entra in rapporto con l'ambiente e da questo rapporto nasce la duplice serie dei processi intellettivi e affettivo-morali che sono alla base dell'intelligenza e del carattere.L'azione educativa dispone le condizioni favorevoli a realizzare un rapporto soggetto-educando-ambiente che, sollecitando nel fanciullo reazioni positive, possa progressivamente realizzare la personalità ed orientarla razionalmente nel mondo.L'educando, spinto dai bisogni inerenti alla sua natura, entra in rapporto con i fatti e le persone che possono soddisfarli, mettendo in atto i processi psichici e intellettivi di ricezione e di risposta; sviluppando le strutture mentali e formando schemi base di comportamento.Il pensiero è, appunto, l'attività che interpreta gli stimoli esterni ed interni e, conseguentemente, attribuisce ad essi significati che si esprimono in giudizi. L'uomo pensa per necessità vitale e cioè perché spinto da un bisogno. Quando pensiamo, combiniamo tra loro concetti ed immagini sulla base di interessi, di polarizzazioni affettive e del sentimento di una direzione di ricerca.L'educazione intellettuale ha il compito di creare condizioni che facilitino la trasformazione del pensiero pratico del

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fanciullo (fondato su operazioni concrete) nel pensiero concettuale speculativo, fondato su operazioni intellettuali; e che rendano creativa l'immaginazione.Essa muove dalla disposizione generale del soggetto a trarre frutto dall'esperienza, a stabilire rapporti più stabili, sicuri, utili e piacevoli con la realtà; guida l'educando anzitutto a sapersi rappresentare la situazione che lo interessa, poi a trasformarla con atti di attenzione e di memoria in materiale utile all'azione; infine a mettere in opera su questo materiale, azioni di confronto, di associazione, di quantificazione, di sperimentazione.L'esercizio di queste attività porta allo sviluppo progressivo di ulteriori capacità dette logiche.L'educazione della componente intellettivo-cognitiva della persona, dunque, comporta un incontro con la realtà esterna che favorisca e stimoli la capacità vitale e la renda costruttiva, provocando nell'educando atteggiamenti di ricerca e di creatività. I mezzi che facilitano l'incontro con la realtà e l'atteggiamento di ricerca sono costituiti dalla curiosità e dall'interesse, da esercizi di osservazione, di riflessione e di espressione i quali traducono in suoni, atti, segni, forme, toni e colori le esperienze già tradotte in concetti.I bisogni, quindi, dell'educando, posti in relazione con l'ambiente, si trasformano in interessi, la cui soddisfazione allarga ed integra la sua esperienza globale allargando le sue relazioni ambientali, provocando la formazione delle operazioni mentali e l'aggiustamento nell'ambiente..

6.3. L'EDUCAZIONE DELLA DIMENSIONE MORALE DELLA PERSONA

I processi intellettivi sono inseparabili da quelli affettivo-morali, in quanto entrambi hanno una base di partenza comune, polarizzata intorno ai bisogni dell'individuo.A ragione Dewey sosteneva che non ci si educa a pensare solo nello studio delle materie che esercitano le facoltà logiche. "In realtà è il modo con cui sono trattati i problemi della condotta, quello che stabilisce lo strato più profondo dell'atteggiamento mentale di ognuno…Il vero significato della completezza intellettuale sta nel portare le cose fino in fondo: ma la capacità di portare una cosa interamente a termine, o a conclusione, dipende appunto dalla esistenza di una attitudine di responsabilità intellettuale."Pertanto l'educazione della componente intellettuale della persona è in correlazione con quello della componente affettivo-morale e quindi con la formazione del carattere. Gli elementi più significativi della struttura del carattere (emotività, attività, risonanza) sono individuabili nelle caratteristiche qualitative dell'intelligenza, per cui l'educazione dell'intelligenza e quella del carattere sono interdipendenti. Indubbiamente il carattere è una realtà anche costituzionale che si può relativamente cambiare; si può, però, educare. Il carattere garantisce l'unità e l'identità strutturale dell'individuo conservandosi e sviluppandosi attraverso le fasi della sua vita.L'educazione aiuta l'educando a conoscere e possedere il proprio carattere, smussandone i difetti e sviluppandone le possibilità positive. L'unità della persona, del resto, comporta l'unità dell'educazione."Il compito dell'educazione consiste nel rilevare ad ogni educando il suo tipo caratterologico per aiutarlo a padroneggiarlo e a reagire anche agli aspetti negativi e contraddittori sollecitati dalla vita contemporanea, come l'aggressività e la depressione. Attraverso la vita comunitaria, il lavoro ed il gioco di gruppo, le attività complementari ecc. si può agire sull'emotività liberando l'educando dall'immaturità affettiva che si manifesta, appunto, a contatto con gli altri; sull'attività rafforzando la volontà e la disponibilità allo sforzo; sulla risonanza sviluppando. l'intelligenza. Nel quadro della formazione del carattere acquista particolare rilievo l'educazione dell'azione volontaria e, quindi, della condotta morale" (G. Giugni, Op. cit., pp. 134/135). L'atto volontario, infatti, poggia su dati di fatto, necessari per una valutazione oggettiva, mentre ogni atteggiamento dell'educando, nell'età evolutiva, è piuttosto una risposta a un interesse o a un bisogno: una scelta tra due interessi o bisogni, uno dei quali susciti una più efficace motivazione e non già un libero atto di volontà.Si può parlare di volontà, ha dimostrato A. Gemelli, solo quando la personalità umana ha raggiunto completamente il suo sviluppo. Comunque ogni atto volontario si va gradualmente sviluppando favorito dall'educazione.

6.4. L'EDUCAZIONE DELLA DIMENSIONE SOCIALE DELLA PERSONA

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I processi di interazione e di comunicazione iniziano dal sorgere delle relazioni sociali (imitazione, confronto, simpatia, benevolenza…) e culminano nella presa di coscienza ed affermazione della propria sociabilità ed indipendenza.L'affermazione di sé è un risultato del graduale aggiustamento e potenziamento dell'io; l'interdipendenza è frutto del graduale aggiustamento dell'io all'ambiente sociale, attraverso il progressivo socializzarsi del comportamento, l'elaborazione di una gerarchia di valori in un sistema più o meno stabile, l'imperniarsi del comportamento intorno a nuclei di vita sociale (la famiglia, i gruppi di vario genere ecc.)."Il processo di interazione, quindi, è un processo di continuo riadattamento dell'equilibrio instabile tra le forze dell'individuo e quelle ambientali. È un processo di superamento della propria condizione di disadattamento, attraverso i meccanismi di identificazione, opposizione, curiosità, isolamento. Il fanciullo inizia il suo processo di interazione confrontandosi con gli adulti (i genitori prima, i fratelli maggiori, i compagni, poi), ossia attraverso l'attrazione del più grande, accettato quale riferimento di comportamento" (G.Giugni, Op. cit., p. 137).Con la curiosità, la persona cerca di ridurre la quantità di ignoto del suo ambiente, attraverso la comprensione intellettuale, l'integrazione in un insieme di abitudini, la familiarizzazione sentimentale.Quando poi le pressioni dell'ambiente sono troppo forti, il soggetto tende a isolarsi, a ritirarsi nel suo mondo, per soddisfare i suoi bisogni soggettivi, per sottomettere la realtà alle sue esigenze.Il gioco di gruppo, il lavoro, le società ed i gruppi giovanili, rispondendo al bisogno di socializzazione dei fanciulli, adempiono la funzione di facilitare la loro interazione con l'ambiente.Cousinet ha così descritto l'evoluzione dell'interazione sociale: in un primo stadio (fino a otto anni circa), quando ancora l'azione precede il pensiero, la vita sociale si manifesta come bisogno che il bambino non riesce a soddisfare e che, perciò, si risolve prima in tentativi di comportamento aggressivo (aggressione manuale, aggressione verbale, esibizionismo, dispettosità) e, successivamente, in comportamenti di opposizione o di imitazione. All'età di nove anni, il pensiero comincia a dissociarsi dall'azione.Il bisogno di socialità, allora, si trasforma in bisogno di associazione e il ragazzo apprende che individuale e sociale si condizionano reciprocamente e che il gruppo è tanto più vivo quanto più ogni suo membro vi porta la sua parte di collaborazione e che l'individuo beneficia tanto più del gruppo quanto meglio adempie al compito speciale che gli si adatta e che egli ha accettato.Il linguaggio, infine, che assume in questa età la sua vera funzione sociale (comunicazione dei propri pensieri), rafforza queste trasformazioni.Attraverso il gioco ed i gruppi il processo di interazione trasforma prima lo stato di socialità (desiderio, bisogno, tendenza ad associarsi) in sociabilità (capacità di associarsi), seguendo il ritmo dei bisogni ed, infine, la socialità in interdipendenza ossia in capacità di affermare il proprio ruolo autonomo e quindi la propria responsabilità nella comunità, in correlazione al ruolo degli altri.L'educazione favorisce il processo di formazione sociale mediante l'organizzazione comunitaria della scuola, delle classi della scuola, dei gruppi nella classe, dei circoli e dei gruppi giovanili nell'ambito stesso della scuola e nell'exstrascuola. Il fondamento di questa organizzazione comunitaria, sostiene Laporta, è costituito dall'interesse a vivere insieme. Per educare degli individui a vivere insieme, però, non basta che essi si trovino sempre d'accordo in un certo numero di cose; occorre che i rapporti tra i loro membri non diventino esclusivi e si completino e compenetrino con interessi e con conseguenti rapporti rivolti all'esterno. Una didattica della comunità, in conseguenza, deve fondarsi su un continuo sforzo consistente nel favorire le relazioni fra i suoi membri ed il mondo esterno."La didattica della comunità impegna insegnanti ed alunni in una ricerca che motiva sempre più profondamente la loro convivenza, attraverso l'impiego e la manipolazione materiale e mentale delle cose in un ritmo ubbidiente alla regola della libertà. Non ci può essere, quindi, scuola o classe o comunità se l'educazione è rivolta al singolo individuo, fuori dal contesto sociale in cui vive; non si occupa delle 'cose per cui è verbalistica; non forma negli alunni la capacità di ricorrere all'esperienza, di esprimere e controllarne gli strumenti, di constatare fatti fisici e fatti umani e di giudicarli dai risultati; se è autoritaria nel senso formale del termine" (G. Giugni, Op. cit., 1989, p.141).L'organizzazione comunitaria scolastica implica una serie di problemi di struttura, di articolazione, di convivenza e,

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soprattutto, di formazione degli insegnanti.

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CAP. VII - SCUOLA, SVILUPPO DELLA PERSONALITÀ E INTERAZIONE SOCIALE

7.1. RAPPORTO TRA SCUOLA E FORMAZIONE

La formazione può essere vista, secondo certi orientamenti, come il modo di consentire l'attuazione concreta di potenzialità che esistono nei giovani, quindi come formazione guidata, per così dire, dalle spinte che provengono dalle nuove generazioni; secondo altri orientamenti la formazione può essere intesa come la modalità attraverso la quale le nuove generazioni vengono portate a certi livelli, a certi tipi di prestazione e di cultura che vengono stabiliti dalle generazioni precedenti, quindi come una formazione determinata dall'alto.Quale delle due soluzioni deve essere realizzata ed auspicata?La spinta innovativa che viene dalle nuove generazioni e che deve essere accettata come dato ineliminabile all'interno di una impostazione corretta del problema della formazione, è la realtà di una società che studia soluzioni e modelli che devono essere visti soprattutto in funzione del domani, costituiscono due punti di riferimento necessari e interdipendenti sui quali il programma di formazione può essere essenzialmente realizzato. La formazione deve tener conto della realtà dei giovani che noi abbiamo e della possibilità concreta che le spinte, le richieste, le esigenze avvertite dai giovani trovino una traduzione concreta in una società che si modifichi in funzione di esse.Si parla di violenza dei giovani, di spinta verso una società aggressiva e violenta, ma le ricerche hanno dimostrato che nei giovani questa violenza inizialmente non c'è. La violenza viene acquistata, per così dire, come dono elargito da una società violenta a dei giovani in formazione; è un dato acquisito come difesa necessaria nei confronti di una società ipocrita verso le nuove generazioni. Fra le soluzioni che derivano come conseguenza di un mancato riconoscimento di interventi validi, possono comparire la fuga individuale, la depressione, l'evasione nella droga, il rifiuto dell'affermazione delle proprie potenzialità, la rivolta, ecc.Si tratta quindi di trovare e di offrire al problema della scuola e della formazione delle soluzioni che tengano conto di una situazione che è certamente drammatica, non soltanto perché risulta tale per l'incidenza di problemi quale, ad esempio, la disoccupazione giovanile, ma anche perché l'incapacità di cogliere una soluzione, la crisi dei valori che l'adolescente vive, la necessità di contrastare i valori degli adulti per raggiungere la propria autonomia, non sono seguiti nella maggior parte dei casi dalla capacità di trovare una soluzione alternativa valida.La formazione rappresenta un elemento fondamentale non soltanto perché un uomo cresca in modo equilibrato e quindi non presenti delle situazioni di angoscia, di depressione, che lo portino poi a una delle conseguenze che ha denunciato, ma anche perché un giovane si formi ad un compito che la società può intravedere per lui o può prospettargli per un suo domani; ad un compito che sia di carattere sociale.Se noi vogliamo effettivamente che una società si formi favorendo una collaborazione tra gli uomini e non una competizione, dobbiamo fare in modo che la scuola si imposti secondo questi fini e secondo queste prospettive in modo che la formazione dei giovani avvenga sulla base di queste impostazioni.Esistono delle indicazioni precise e concrete di realizzare attraverso la scuola quel modello di nuova società che auspichiamo ed esiste anche la possibilità che queste soluzioni siano ancorate ad iniziative che al di fuori della scuola già la società sta svolgendo. In questo senso il superamento della resistenza al cambiamento costituisce un elemento fondamentale; in questo senso io penso che il problema della formazione debba essere riportato ad una scuola non più intesa in senso autoesclusivo, ma aperta alla società che ne recepisca le proposizioni, e che a sua volta stimoli in senso innovativo la società; ad una scuola la quale tenga veramente conto, in termini precisi e definiti, di tutte le indicazioni che anche la psicologia dello sviluppo, dell'apprendimento e la psicologia sociale ci consenta di prospettare.

7.2. I RUOLI FORMATIVI DELLA SCUOLA

Uno dei compiti fondamentali del ruolo formativo della scuola in una società aperta, dinamica, in continua trasformazione, è lo sviluppo e la formazione della personalità in funzione sociale. "Questo compito riguarda: la promozione del processo di identità e di strutturazione della personalità; il suo razionale orientamento nella realtà;

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la sua capacità di scelta o di autodeterminazione; la sua capacità di espressione e di comunicazione sociale. Il processo di identità è un processo di differenziazione e di realizzazione del proprio "io personale quello di strutturazione è un processo di armonizzazione di tutti i tratti della personalità" (G. Giugni, Op. cit., 1974, pp. 36/37).Con il primo, l'alunno diventa consapevole della propria singolarità ma anche dei propri limiti; si libera, cioè, progressivamente da ogni vaga e incerta delimitazione nei confronti del proprio io, si costituisce un concetto realistico di sé in base a ciò che fa e che può fare, si libera dei suoi autismi, delle sue tendenze egocentriche, dalle distorsioni della realtà, forma modi che valorizzano il suo io e ne potenziano gli attributi positivi.Con il processo di strutturazione, che completa il precedente, l'alunno realizza la sua piena unità psicosomatica. La strutturazione si completa eliminando le discrepanze fra ciò che si pensa e ciò che si fa e superando i conflitti o gli antagonismi.La scuola può esercitare una funzione formatrice in tal senso, anzitutto:1) con l'integrare il processo di formazione intellettuale in quello più ampio della personalità in modo che ogni trasformazione della prima modifichi l'insieme della seconda. L'integrazione si realizza non con l'accumulo di piccoli cambiamenti, ma con una continua e progressiva ristrutturazione del campo intellettuale di ogni alunno. L'introiezione delle conoscenze, pertanto, deve accompagnarsi con la loro elaborazione critica e con lo sviluppo della creatività che rendono l'alunno progressivamente capace di esercitare la preferenza logica fra i nessi delle conoscenze che assimila e di introdurne di nuovi;2) con il formare comportamenti nuovi che caratterizzano il modello di un 'uomo nuovo' e cioè di un uomo che sappia associare l'aspirazione alla libertà con l'impegno sociale; l'impulso all'indipendenza di pensiero e di comportamento con il senso della responsabilità sociale; la capacità di iniziativa con la mentalità inter-personale;3) con il favorire il libero sviluppo della personalità in tutti i campi, eliminando ogni forma di spersonalizzazione; elevare tutti alla cultura, superandone le illogiche divisioni; divulgare ed educare a comprendere ciò che è nuovo, superando i modelli standardizzati. "…la scuola ha il compito di favorire, con un razionale orientamento dell'alunno, il suo personale ed adeguato adattamento alla realtà. L'alunno si orienta assumendo un atteggiamento critico verso la realtà che lo circonda ed in cui si imbatte nel corso della sua vita; si adatta adeguatamente mediante l'instaurazione di rapporti di reciprocità, di mutuo arricchimento e l'impegno di ricostruzione di sé e del mondo. L'esigenza di orientamento e di adattamento comporta la formazione di quelle qualità personali che sono strettamente legate a tali esigenze e tra queste: la capacità di autoapprendimento, di recupero, di autoregolazione e di autorealizzazione" (G. Giugni, Op.cit., 1974, p. 38).Il razionale adattamento è un processo continuo, che richiede un cambiamento notevole nel comportamento, negli atteggiamenti ed in altre caratteristiche della personalità. È chiaro che quanto più sarà la rigidezza o l'inflessibilità della reazione personale, tanto più difficile sarà soddisfare alle esigenze mutevoli dell'adattamento.Mediante l'apprendimento l'alunno diventa capace di acquistare i tratti e le risposte necessarie ad un buon adattamento e, mediante la capacità di mutamento, può effettivamente affrontare problemi e situazioni nuove. La capacità di recupero gli consente di riprendersi dagli effetti di esperienze difficili e dannose.La scuola favorisce l'orientamento e la formazione delle qualità che vi sono connesse, organizzandosi come comunità di lavoro, operante per acquistare il patrimonio culturale dell'umanità, padroneggiarlo, separarlo in un continuo processo di rinnovamento, situando i suoi programmi in un contesto storico-sociale ben preciso, allargandoli a settori educativi nuovi che arricchiscano la personalità in ordine alla sua realizzazione totale, insegnando all'alunno a imparare, a superare i propri mancamenti e le difficoltà della vita e a conservare l'abitudine, diminuendo ogni diaframma con la società ed ogni contrasto tra cultura e vita reale. "In terzo luogo, il ruolo della scuola è quello di sviluppare la capacità di auto-determinazione o di scelta, mediante la quale l'alunno, via via che diventa capace di autocoscienza e di autodominio, riconosce nella libertà il proprio ideale regolativo. L'alunno acquista queste capacità mediante forme sempre più estese e complesse di tirocinio della libertà, in tutti i suoi aspetti: psicologico, morale, civile, politico. Compie il tirocinio della libertà psicologica quando deve selezionare risposte alternative agli stimoli; quello della libertà morale quando deve scegliere entro i limiti della legge; quello della libertà civile quando compie atti di rilevanza sociale; quello della libertà politica quando partecipa progressivamente al governo della scuola" (G. Giugni, Op. cit., 1974, pp. 39/40).

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In questo tirocinio della libertà, l'autorità si spoglia di ogni forma di autoritarismo, per diventare essa stessa liberatrice e cioè un servizio educativo reso all'alunno per sostenere e rafforzare il processo attraverso il quale realizzare se stesso, incrementando l'autocoscienza e l'auto-dominio.

7.3. INTERAZIONE E COMUNICAZIONE SOCIALE

Infine il ruolo formativo della scuola si esercita nel promuovere l'interazione e la comunicazione sociale e cioè i processi per cui le persone si influenzano reciprocamente, attraverso mutui scambi di pensieri, sentimenti e reazioni. La dinamica sociale, infatti, poggia sul rapporto individuo-società. L'individuo entra in rapporto con l'ambiente sociale in modo energetico, ossia mediante azioni patite o agite; e in modo formale, attraverso percezioni-rappresentazioni. I due modi sono complementari e danno luogo a due processi anch'essi complementari: il processo di socializzazione e quello di simbolizzazione" (G. Giugni, Op. cit., 1974, p. 40).L'alunno sperimenta tali processi partecipando positivamente alle attività sociali ed espressive del suo ambiente e penetrando progressivamente nella problematica del rapporto etico tra l'io e l'altro.La partecipazione e la comprensione lo portano ad estendere ed approfondire proggressivamente sia i suoi rapporti di integrazione, ossia delle azioni che lo collegano con gli altri e sviluppano reti e complessi di reciproche relazioni, sia quelli di comunicazione sociale, ossia dei processi che gli consentono di trasmettere e ricevere messaggi mediante l'intermediazione dei simboli.Ma, senza adoperare espressioni fortemente critiche nei riguardi della scuola, è fuor di dubbio che poco o nulla si fa nelle sue aule per potenziare e sviluppare la componente socio-emotiva-affettiva dei ragazzi. L'unico scopo è quello di inculcare nozioni, di sviluppare un raziocinio piuttosto arido e astratto, di selezionare la futura classe dirigente e la futura classe lavoratrice.In ciò la scuola è coadiuvata e incoraggiata sia dalla famiglia che dalla società che le richiedono, appunto, una prestazione del genere. Ma è dalla scuola che dovrebbe venir fuori lo spirito rinnovatore, la volontà di cambiare per recuperare alla società quante più persone possibili e far occupare loro il ruolo e il posto adatti alle loro capacità.Spetta agli insegnanti occuparsi a fondo non solo della preparazione culturale, ma anche e soprattutto di quella sociale, di quella, cioè, che consentirà al bambino di continuare ad apprendere anche nel futuro, di essere sempre aperto e pronto a recepire ogni stimolo, ogni occasione per potenziare e sviluppare le proprie capacità mediante la cooperazione con gli altri e il mondo circostante.Soprattutto nei primi anni delle classi elementari è indispensabile che l'insegnante segua con particolare attenzione la conquista di un equilibrio dinamico, di autostima e di sicurezza di sé. L'organizzazione della classe, in piccoli gruppi, può essere un sistema molto valido per far contrarre al bambino rapporti di tipo sociale, per fargli realizzare che vi sono anche 'gli altri' con esigenze importanti come le sue, per stimolarlo verso forme di collaborazione valide e proficue.Si fanno largo sentimenti di solidarietà verso i compagni, la formazione di un vero e proprio spirito di gruppo, la volontà di essere indipendente dall'adulto. Contemporaneamente si accentua la tendenza al ragionamento, alla logica, alla realtà dei fatti.In questa fase è più che mai evidente come il processo di socializzazione vada di pari passo con quello intellettivo, come anzi lo preceda e ne prepari l'evoluzione e le condizioni più idonee. È più che mai evidente, cioè, che senza un valido e corretto processo di socializzazione è impensabile uno sviluppo della mente e dell'animo del bambino, sterile il suo desiderio di apprendere, impossibile la formazione della sua personalità.L'azione veramente socializzante l'insegnante la svolge soprattutto quando dialoga, discute, cerca di capire il perché del comportamento svogliato o distratto del bambino, quando consente che i suoi alunni esprimano il loro pensiero e li gratifica.L'abitudine al dialogo, la dimestichezza con il colloquio, la facilità nel comunicare si acquistano più facilmente se il bambino viene inserito in un gruppo formato all'inizio da pochi elementi e successivamente da componenti più numerosi. Il comune scopo da raggiungere, la necessità della collaborazione, la competizione nell'avere l'idea migliore consentono la socializzazione del pensiero, l'accettazione dei punti di vista altrui, la comprensione del pensiero degli altri, la formulazione di regole e la loro accettazione volontaria. Nascono così la solidarietà, la

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coesione, la forza del gruppo che donano al bambino forza, coraggio, sicurezza, tutte qualità in grado di assicurargli il superamento delle ansie, dei conflitti, delle frustrazioni derivanti dai rapporti con i genitori e con gli adulti.L'attività di gruppo mediante la formulazione di norme e prassi da osservare, condiziona anche lo sviluppo della coscienza etica e morale del bambino, insieme a quello intellettivo e sociale.I bambini non hanno più tanto bisogno della continua approvazione o disapprovazione degli adulti per sapere qual'è l'atteggiamento da assumere, poiché acquistano una propria coscienza, una nuova consapevolezza delle proprie responsabilità e dei propri compiti; si formano così qualità positive che contribuiranno alla costituzione della più complessa e adulta personalità del cittadino: lealtà, disponibilità verso gli altri, senso di giustizia e del dovere.Una corretta ed intelligente socializzazione nell'ambiente familiare e scolastico è condizione inderogabile per la formazione di una personalità completa, per la conquista di un traguardo suscettibile di evoluzione e di progresso, per alimentare fermenti ed aneliti di impegni sempre più qualificati e valorizzati.

7.4. LA SCUOLA IN FUNZIONE DELL'EDUCAZIONE PERMANENTE

"Il problema ed il concetto di educazione permanente sono sorti nel nostro tempo e si vanno affermando in conseguenza delle trasformazioni e delle innovazioni socio-economiche che hanno modificato e vanno modificando non solo le condizioni ma addirittura la stessa concezione della vita umana e dell'educazione. La concezione statica della vita, intesa come conservazione di un ordine sociale immutabile, è stata sostituita da una concezione dinamica, per cui la vita è una sperimentazione continua per tutti. Vivere per l'uomo di oggi significa dispiegare la sua ragione e cioè servirsi del pensiero, porsi problemi, affrontare situazioni nuove, ricercare permanentemente, partecipare attivamente (e non solo aderire) alle trasformazioni del mondo" (G. Giugni, Op. cit., 1974, p. 42).L'individuo non è concepibile in astratto come separato dall'ambiente e neppure assorbito e condizionato da quest'ultimo; va considerato, piuttosto, nel suo concreto e dinamico rapporto con esso.Anche il concetto di educazione, in conseguenza, ha assunto un nuovo significato. Nelle società primitive la formazione si compie per mezzo dell'ambiente, avendo come intermediari gli anziani: coloro che sono in possesso del sapere e padroni delle tecniche. Tale preparazione si conclude nel periodo dell'iniziazione, che vede l'individuo proiettato in un'età nuova: l'età adulta in cui egli non dovrà fare altro che inserirsi.Nelle nostre società sono stati elaborati riti di passaggio del medesimo tipo: gli esami e i diplomi che concludono l'età di preparazione alla vita. Una volta superato l'esame la persona era considerata, sin qui, come preparata; disponeva del patrimonio intellettuale, del linguaggio, dei comportamenti che gli consentivano di assumere nella società degli adulti un ruolo conveniente alle sue capacità e alla sua condizione sociale. La vita umana, pertanto, fino al nostro tempo è stata divisa in due parti: la prima (scolastica) di preparazione o di iniziazione; la seconda di realizzazione.La scuola ha avuto lo scopo di provvedere il futuro adulto di tutto quanto potesse giovargli per il resto della vita, per cui tutta la sua azione educativa era mobilitata a riempire la testa dei fanciulli nel modo più abbondante possibile. Oggi l'educazione dell'individuo non è più una preparazione alla vita adulta, ma un processo continuo di trasformazione interiore, mediante il quale egli soddisfa i propri bisogni. Il concetto di educazione, pertanto, si è arricchito dell'aggettivo permanente con il quale si intende precisare la continuità e la costanza dell'impegno di ciascun individuo a reagire a ogni cambiamento dell'ambiente.La scuola è solo un momento di una vasta attività formativa che deve svolgersi per tutta la vita. Può darsi che l'attuale tendenza a generalizzare l'istruzione superiore (scuola secondaria per tutti, verso l'università per tutti) rappresenti solo una fase transitoria di compensazione delle discriminazioni durate fino al recente passato e ancora persistenti per molti aspetti. Io penso che, comunque, ci si accorgerà presto che questa non è l'unica via per una formazione generalizzata che rispetti le capacità e gli interessi di ciascuno: la scuola potrebbe anche essere più breve, alternarsi a periodi di lavoro, ma riprendere articolata a cicli ricorrenti più volte nell'arco della vita di ognuno. L'educazione permanente, sostiene costituisce un tentativo per 'riconciliare ed armonizzare i differenti momenti della formazione in modo che l'uomo non sia mai in opposizione con se stesso.'In un sistema armonico di educazione permanente l'educazione in senso pieno comincia dopo l'età scolare e dopo

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l'età universitaria, allorché l'individuo diventa il soggetto della propria educazione e dispone delle motivazioni necessarie per continuare ad autoeducarsi.La prima educazione, lungi dal costituire l'essenziale, diviene una specie di preludio, per cui diventa importante non tanto l'insegnamento delle materie quanto, piuttosto, il fornire al futuro adulto gli strumenti di espressione e di comunicazione di cui avrà bisogno nella sua vita. L'accento dovrà essere posto sul possesso del linguaggio, lo sviluppo delle capacità di attenzione e di osservazione, l'attitudine a documentarsi e l'abitudine a lavorare in équipe.Occorre però chiarire che l'educazione permanente non ha l'obiettivo di estendere il sistema di insegnamento anche agli adulti, bensì quello di far fronte ai bisogni sempre cangianti della loro vita. Il fondamento, perciò, di tale educazione è la soddisfazione dei bisogni, delle aspirazioni e degli interessi individuali e sociali che emergono nelle diverse fasi della vita. Essa quindi ha il compito di rendere coscienti gli individui dei loro reali bisogni, determinandoli a tre livelli: delle attività, della socialità e delle aspirazioni personali.

7.5. IL PIANO DELL'EDUCAZIONE PERMANENTE

Un piano di educazione permanente è costituito da due momenti: l'educazione obbligatoria e l'educazione degli adulti. Il primo pone le strutture fondamentali della personalità; il secondo le ristruttura continuamente in modo da mantenerle costantemente plastiche ed attive alle modificazioni ambientali.L'accento dell'educazione degli adulti non va posto tanto sullo sviluppo della società, quanto piuttosto su quello della personalità di ciascun individuo. Essa ha il compito di porre in grado l'individuo di adattarsi alla mobilità sociale e professionale e di resistere alle pressioni che la società moderna, con i suoi mezzi di comunicazione, esercita su di lui. Per la prima volta nella storia della nostra civiltà l'educazione è considerata un processo che interessa ciascun individuo e per tutta la vita.Il piano dell'educazione obbligatoria o di base comprende un sistema di attività di apprendimento capace di modificare il comportamento del soggetto in ordine alla sua autonomia e cioè alla sua capacità di autoapprendimento ed un sistema di orientamento e di educazione professionale idoneo ad inserirlo razionalmente e liberamente nell'ambiente.L'educazione di base esige un sistema scolastico diverso dal tradizionale: un sistema basato su strutture globali e dianamiche; su contenuti e metodi programmati in ordine allo sviluppo integrale ed armonico della personalità. Il piano di educazione degli adulti, a sua volta, dovrebbe comprendere un programma di educazione complementare e di recupero, un sistema di mezzi socio-culturali atti a stimolare la partecipazione alla vita sociale ed alle attività culturali e consentire all'adulto di esercitare un ruolo costruttivo, attivo e, sotto certi aspetti, anche contestativo.I metodi e le tecniche dell'educazione degli adulti sono oggi costituiti dai mezzi di comunicazione di massa, dall'istruzione programmata, dall'utilizzazione razionale del tempo libero. I primi potrebbero costituire la base di tecniche di istruzione e di insegnamento più efficaci di ogni altra a nostra disposizione, soprattutto se utilizzati sotto forma di sistemi integrati e combinati. Questi mezzi, però, che possono introdurre virtualmente l'educazione degli adulti in ciascuna casa, devono essere purificati dai loro difetti nel quadro appunto dei sistemi integrati e cambianti la nuova tipologia di insegnamento con quella tradizionale. L'utilizzazione pedagogica di questi mezzi di comunicazione di massa, infine, dovrebbe tener conto anche dell'influenza educativa subconscia che essi possono esercitare sul grande pubblico e che è di considerevole interesse per l'educazione degli adulti. Quindi, uno degli obiettivi dell'impiego di questi mezzi, è l'educazione del telespettatore e dell'auditore nel senso di formargli la capacità di scelta, le attitudini critiche ed i poteri di difesa contro le influenze spersonalizzanti di questi mezzi.Il secondo strumento per l'educazione degli adulti è l'educazione programmata, una nuova tecnica che può essere generalmente utilizzata in combinazione con altri sistemi. Essa, in questo modo, apporta un contributo prezioso alla metodologia dell'educazione degli adulti, sia perché obbliga gli educatori a definire meglio i loro obiettivi e a pianificare le loro esperienze di insegnamento in modo chiaro e preciso; sia perché introduce nei metodi di studio domestici un più alto grado di efficacia e di adattabilità ai bisogni individuali di autocontrollo e di autocorrezione.L'educazione degli adulti, infine, utilizza, per l'arricchimento culturale e lo sviluppo della personalità, il razionale impiego del tempo libero con le attività di carattere creativo ed inventivo che lo rendono un mezzo efficiente anzitutto dell'unificazione della cultura senza uniformarla; inoltre della promozione della ricerca pluridisciplinare e

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quindi della pianificazione globale dello sviluppo delle capacità creative.7.6. PROCESSO EDUCATIVO E SOCIETÀ IN TRASFORMAZIONE

"L'uomo è un essere incompiuto e naturalmente tende alla pienezza dello sviluppo, secondo l'antico imperativo 'uomo divieni ciò che sei'. Conoscere se stessi significa anche scoprire gli altri, poiché l'uomo coglie se stesso come essere in relazione, si vede cioè all'interno di un reticolo di relazioni umane. Questo itinerario di conoscenza che l'uomo fa dentro di sé e fuori di sé, cioè in direzione dell'altro e del mondo, si chiama educazione. Il termine è assai noto: educare significa portare a compimento la costruzione del disegno personale indicando non solo le modalità proprie del cammino pedagogico, ma sollecitando la scoperta di valori cui il soggetto deve sapersi riferire" ( M. Ferracuti, Pedagogia per educare, Progetto scuola, Casale Monferrato, 1986).L'educazione è una delle attività umane che si riscontrano in tutte le società. In tutte le lingue finora studiate si trovano parole ed espressioni che designano una simile attività.Esistono molte testimonianze del fatto che già nelle culture primitive l'uomo rifletteva sul fatto educativo. In tutte le epoche si è prospettato un ideale dell'uomo e si sono ricercati i mezzi grazie ai quali gli uomini potessero diventare più simili possibile a quegli ideali di personalità umana che si erano proposti."È comunque innegabile che la riflessione sul discorso dell'educazione si è enormemente sviluppata tra il secolo scorso e il nostro secolo. Questa attività riflessiva è influenzata dalle presenze storiche e culturali del territorio. Risente non solo delle stimolazioni provenienti dal mondo dell'educazione, dell'istruzione, della scuola, ma anche di quelle che provengono dal mondo economico, civile, politico, religioso. Non sono estranee ad essa le questioni relative all'assetto della società e dello stato, allo sviluppo demografico ed economico, alla dinamica dei rapporti sociali nazionali ed internazionali" (C. Nanni, Educazione e scienze dell'educazione, Las, Roma 1984, p. 19).È quasi impossibile pensare o parlare di educazione senza riferirsi al contesto geografico, storico, sociale, politico, economico, culturale, religioso, in cui essa si dà e si attua.In questo modo si capisce il senso dei discorsi sempre più frequenti in pedagogia a riguardo dei rapporti tra educazione ed ambiente, educazione e territorio, educazione ed ecologia, educazione e strutture od istituzioni, educazione ed economia, educazione e politica, educazione e cultura ecc.È ovvio che non si potrà riflettere, ricercare, indagare o trattare di educazione senza allargare il discorso a queste altre realtà, attività, procedure ed istituzioni sociali sopraindicate."Il termine educazione ha un duplice significato etimologico: educere vuol dire trarre fuori, sviluppare; educare significa alimentare, ammaestrare. Il primo termine si riferisce al processo educativo di ciascuna persona; il secondo all'azione o all'intervento di operatori (genitori, insegnanti, ecc.) impegnati a promuovere il processo ed ottenere determinati risultati" (G. Giugni, Introduzione allo studio delle scienze pedagogiche, Sei, Torino, 1989).Se invece abbandoniamo la prospettiva storica, possiamo esaminare il termine educazione sotto tre differenti aspetti.Parlare di educazione è innanzitutto evocare una istituzione sociale, un sistema educativo. L'educazione in quanto istituzione possiede le sue strutture, le sue regole di funzionamento, anche se queste sono poco precise o poco esplicitate come possiamo ancora osservare in alcuni gruppi sociali.Il linguaggio corrente utilizza il termine educazione in un altro significato: quello del risultato di un'azione. Si è ricevuta una buona o una cattiva educazione. In realtà qui ci si pone sul piano dell'individuo che è il 'prodotto' di tale o tal altra parte del sistema educativo.Il terzo significato del termine educazione si riferisce al processo stesso che collega due o più esseri umani e che li mette in comunicazione, in situazione di scambio e di reciproche modificazioni. Intesa così, vediamo che l'educazione oltrepassa molto largamente l'ambito scolastico entro il quale avevamo l'abitudine di considerarla e che l'educazione-processo è un fatto molto generale che si osserva a tutte le età e in tutte le circostanze della vita umana.I problemi relativi all'educazione toccano direttamente ogni persona, tanto che si tratti della propria storia individuale o di quella dei propri figli, delle istituzioni scolastiche o della vita sociale nei suoi vari aspetti.

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A questo fatto non corrisponde però né un complesso di soluzioni adeguate, né una specifica consapevolezza culturale. Anzi, oggi in particolare, ci si trova di fronte a progetti operativi e ad elaborazioni teoriche che hanno completamente smarrito il significato reale di quei problemi.

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Nelle istituzioni scolastiche è sempre dominante un tipo di didattica fortemente intellettualistica, che si fa quasi un vanto di ignorare le esigenze educative più concrete dei bambini e degli adolescenti.Al di fuori poi della scuola, dell'intimità familiare e del mercato culturale, non esiste altro spazio per la formazione dell'individuo e dei gruppi sociali. In particolare, è l'idea stessa di educazione ad essere sostanzialmente rifiutata e ciò determina a sua volta un disagio profondo nella vita di tutti.Da un punto di vista dinamico, l'educazione indica il processo mediante il quale l'individuo umano si realizza e si adatta all'ambiente. Dal punto di vista del risultato, invece, indica le modificazioni che avvengono in lui e nel suo modo di comportarsi."Uno schema di interpretazione dell'educazione è costituito da tre fattori o variabili: i fattori interni, caratteristici dell'individuo che si educa, relativamente a tutti gli aspetti della sua personalità (salute, intelligenza, risonanza affettiva, ecc.); i fattori esterni, che rappresentano le influenze (stimoli) a cui l'individuo è sottoposto dall'ambiente sociale; il modo attraverso cui l'individuo risponde a questi stimoli esterni e si modifica, realizzando la sua personalità" (G. Giugni, Op. cit., 1989, pp. 22/23).Possiamo pertanto definire la personalità come risultante delle dotazioni native e delle influenze ambientali. L'educando agisce e reagisce agli stimoli socio-culturali e cioè si impegna in esperienze che possono modificare in senso costruttivo le sue originarie dotazioni.La pedagogia studia i modi per aiutare l'individuo a scoprire, sviluppare e formare in modo autonomo le sue dotazioni native e per predisporre condizioni ambientali favorevoli alla loro formazione.Essa si può considerare la scienza della programmazione educativa. Quest'ultima implica la necessità di superare la pura spontaneità del verificarsi degli eventi e, pertanto, si fonda non sulla spontaneità dello sviluppo, ma su di un processo logico che implica la specificazione degli scopi, la scelta delle procedure più efficienti per raggiungerli, l'utilizzazione delle conoscenze scientifiche dello sviluppo umano, il collegamento della programmazione con i bisogni di una società in continua evoluzione e la continua attuazione dell'esigenza dell'innovazione e del cambiamento. Questo pensiero si trova a combattere contro quegli indirizzi che hanno esaltato uno sviluppo umano libero da condizionamenti e da interventi esterni e che spesse volte hanno dato via libera ad un fare per fare senza senso o a forme di improvvisazione inconcludente.In questi ultimi anni ci si è mossi sulla linea di una razionalizzazione dell'insegnamento e dell'educazione.Così, lo studio del comportamento insegnante, l'analisi degli obiettivi, la programmazione curricolare, sono stati posti al centro dell'attenzione. "Al di là della pedagogia come scienza della programmazione educativa, sta 'l'arte dell'educazione' cioè la messa in pratica, da parte dei singoli educatori, di quelle conoscenze, teorie e criteri educativi studiati dalla pedagogia. I criteri educativi, infatti, non sono ricette da applicare ad oggetti; essi sono orientamenti da applicare ad individui in sviluppo in un certo ambiente e perciò a situazioni educative enormemente variabili. La pedagogia, quindi, ha per oggetto lo studio; teoretico e pratico, del processo educativo e questo ha per scopo lo sviluppo della personalità in funzione sociale" (G. Giugni, Op. cit., 1989, pp. 25/26).L'interesse, pertanto, è concentrato sul rapporto persona-società. Il concetto di persona è complesso e serve ad indicare che l'individuo umano è una unità singolare ed irripetibile di più dimensioni: fisiologica, intellettuale, affettiva, morale, sociale.Il concetto di società è anch'esso complesso ed indica una struttura unitaria di gruppi di persone in interrelazione e partecipi di una comune cultura.È fra questi due concetti che si inserisce il concetto di educazione, in quanto serve ad indicare l'insieme di processi con cui la persona, modificando le potenzialità delle sue dimensioni, si realizza come personalità sotto l'influsso e le sollecitazioni dell'ambiente sociale.L'attività educativa mira a favorire lo sviluppo delle dotazioni native (formazione) attraverso le influenze culturali dell'ambiente (istruzione). Conseguentemente, concetti chiave sono allora quelli di formazione e di istruzione che costituiscono la dinamica interna del processo educativo.La formazione è un processo attraverso cui la persona, sviluppando le proprie potenzialità, acquisisce qualità, abitudini, abiti di pensiero e di comportamento, in modo da poter vivere ed agire positivamente nelle nuove condizioni di vita del mondo contemporaneo. "Il termine formazione sta ad indicare, del fatto educativo, la sua effettualità e la sua intenzionalità. Formare, formarsi ed essere formati indicano qualcosa in cui l'educazione viene

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considerata come un insieme di effetti ed un insieme di attività finalizzate. Formare significa riuscire a fare interiorizzare qualcosa, e formarsi vuol dire che qualcosa sta diventando parte di sé" (R. Massa, Educare o Istruire?, Unicopli, Milano 1987, pp. 27/28).I processi ed i meccanismi con cui la formazione viene solitamente descritta e spiegata, sono stati espressi attraverso i costrutti elaborati dalle scienze umane nell'ambito dei rispettivi campi di studio. Così la formazione dell'uomo è sta vista dalla psicologia come processo di apprendimento relativo al sistema della personalità, dalla sociologia come processo di socializzazione relativo al sistema della società, dall'antropologia come processo di inculturazione relativa al sistema della cultura."L'altro concetto è quello di istruzione identificabile come quel processo con cui la personalità, assumendo nella propria struttura la cultura dell'ambiente, si avvale personalmente delle proprie qualità, abitudini, abiti e capacità per utilizzarle in funzione sociale. L'istruzione, perciò, non è tanto una trasmissione di cultura, quanto soprattutto la promozione e la formazione di una potenzialità che consente a ciascuno di procedere da solo alla ricerca e di costruirsi una personale cultura interiore. Essa, quindi, non solo stimola il processo di formazione, ma lo ordina, lo disciplina e lo potenzia al massimo…L'istruzione si può definire come una regione strutturale della struttura educante, relativa alla immissione ed alla acquisizione di nozioni, abilità, condotte e soprattutto di schemi comportamentali" (G. Giugni, Op. cit., p. 27).Essa non significa 'accumulo' di conoscenze o acquisizione di concetti in modo semplicemente mnemonico; significa, piuttosto, 'ristrutturazione delle conoscenze e questa operazione implica una partecipazione attiva del soggetto e l'acquisizione di concetti che si evolvono con l'aiuto della sua stessa attività mentale. Lo stesso significato etimologico del termine istruzione indica un processo di operazioni con cui la mente si costruisce formalmente (acquisizione di abiti ' e di capacità) e materialmente (acquisizione di concetti).L'istruzione, perciò, costituisce una 'infrastruttura' della personalità che (attraverso l'incorporazione di conoscenze nelle proprie strutture mentali e l'assunzione di valori) rende l'individuo umano più capace e più attivo e cioè accresce la sua capacità di acquisire, trasformare e trasferire ciò che apprende.Appunto per questo, l'istruzione non è un fenomeno parziale ma totale, altamente integrato, di tutta la personalità. Investe tutti gli aspetti della personalità e non soltanto la sfera intellettiva, per cui non è possibile differenziare quest'ultima dall'emotività, dalle motivazioni e dalle altre caratteristiche della personalità. La correlazione tra istruzione e sviluppo della personalità comporta la necessità di non ignorare, nel programmare l'istruzione per i giovani, ciò che si conosce intorno allo sviluppo mentale, alle limitazioni che implica e alle opportunità che offre.Possiamo quindi affermare che il processo educativo si realizza in ordine agli obiettivi da raggiungere attraverso una dinamica interiore costituita dai processi complementari della formazione e dell'istruzione. Tale processo è complesso in quanto implica lo sviluppo della potenzialità umana e la formazione di uomini in grado di vivere attivamente nella società.

7.7. SCUOLA DEMOCRATICA, ANTIAUTORITARIA E ANTIDOGMATICA

Scuola Democratica è quel tipo di scuola impegnata a sciogliere il doppio nodo "politico e sociale":- Politico, dev'essere un servizio pubblico, gratuito, decentrato e in cammino verso forme di autonomia programmatica e sperimentale.- Sociale, dev'essere servizio di educazione permanente e di formazione di base.Scuola Antiautoritaria è quella scuola disponibile ad aprirsi all'esterno e a farsi partecipare dentro dalla comunità sociale. È quella scuola che si sa inserire opportunamente nelle situazioni più diverse, con gradualità e rendendosi conto dei punti di vista differenti, senza distogliere il clima favorevole che deve sussistere nella classe.Scuola Antidogmatica: è quella scuola impegnata ad archiviare ogni culto di istruzione depositaria. I fondamenti a cui risaliamo per un apprendimento antidogmatico sono quelli di Giovanni Maria Bertin, il quale disegna una teoria dell'apprendimento fornita di un doppio cardine antidogmatico:- da un lato, il principio pedagogico dell'esperienza intellettuale;- dall'altro, il cardine antidogmatico di un apprendimento che faccia coesistere e interagire l'intelligenza materiale (apprendere) e quella formale (apprendere ad apprendere).

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7.8. IL RAPPORTO TRA SCUOLA ED EXTRASCUOLA

Al di là delle ipotesi dei descolarizzatori, eclissatesi peraltro nel volgere di una breve stagione, al di là della fragilità operativa delle loro indicazioni, i teorici del deschooling hanno avuto un indubbio merito: quello di aver, anche se drammaticamente e unilateralmente, sottolineato la necessità, l'opportunità, la esigenza di fruire di tutte, e non solo di alcune, le occasioni di crescita che l'habitat socio-culturale offre. Ma la scuola ha ormai cessato di essere l'unico luogo dove avviene la comunicazione di informazioni e conoscenze in quanto l'uomo assorbe molto di più dai giornali, dal cinema, dalla radiotelevisione, e da quanto viene proposto dalle varie agenzie parallele, ma questa marea di informazioni, spesso occasionali e disordinate, non può sostituire la scuola poiché l'educazione extra-scolastica riesce manchevole e frammentaria se non si lega a preesistenti strati di cultura organica nella mente dell'individuo; diversamente si è in presenza di una cultura superficiale, che è lo stesso che dire incultura.Una volta accolto il principio che non esistono età specifiche di educazione e istituzioni formative create esclusivamente ad hoc e che, quindi, l'educazione è un processo che cresce parallelamente alla crescita dell'individuo e in funzione dei contatti che il soggetto stabilisce con i propri simili e con enti o istituzioni di vario genere sarebbe più corretto porre la questione in termini di istituzionalità e non istituzionalità del processo educativo. È chiaro che si tratta di un rapporto da realizzare all'insegna della interazione/integrazione perché qui non si tratta di rivendicare o celebrare il primato dell'uno sull'altro o viceversa: in campo educativo si tratta di determinare il maggiore e migliore potenziamento dell'essere umano che è utente della scuola e che, allo stesso tempo, si struttura ad opera di tutti quei rapporti informazionali che costituiscono la miriade di scuole parallele.Si tratta, sostiene Genovesi, di agire sui mezzi scolastici ed extrascolastici atti a sviluppare le capacità che permettono all'uomo di dominare la vita che è intorno a lui, sviluppando cioè nell'uomo la coscienza di sé e dell'altro, facendo sì che l'ambiente nella sua globalità e nella sua pluralità di oggetti e di linguaggi sia occasione e strumento di educazione continua. "La scuola, dunque, non deve assolutamente considerare come espropriatrice l'esplosione dell'extrascolastico, deve solo considerare i suoi ambiti di intervento non esclusivi, e deve da un lato riconoscere che essa occupa il posto di una delle agenzie educative, ma dall'altro riscoprire un fondamentale compito che le compete, consistente nel filtrare, mediare e organizzare i processi culturali alternativi rispetto ad essa" (G. Catalfano, Op.cit., p. 212).Ha ragione R. Massa quando asserisce che è velleitaria la pretesa di coloro che vedono l'educazione extrascolastica come una tipica forma di opposizione al sistema scolastico.D.P.R. 31.05.1974, n. 416Art. 3. Consiglio di interclasse e di classe…formulare al Collegio dei docenti proposte in ordine all'azione educativa e didattica ed a iniziative di sperimentazione…Art. 4. Collegio dei docenti…ha il potere deliberante in materia di funzionamento didattico del circolo o dell'istituto. In particolare cura la programmazione della azione educativa, anche al titolo di adeguare…i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare……formula proposte…per lo svolgimento delle altre attività scolastiche, tenuto conto dei criteri generali indicati dal consiglio di circolo o di istituto.…valuta periodicamente l'andamento complessivo dell'azione didattica per verificarne l'efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell'attività scolastica……adotta e promuove…iniziative di sperimentazione…e ricerca educativa, aggiornamento culturale e professionale…Art. 6. Consiglio di circolo o di istituto: …ha potere deliberante… organizzazione e programmazione della vita della scuola…su…criteri per la programmazione e l'attuazione delle attività parascolastiche, interscolastiche, extrascolastiche……partecipazione del circolo o dell'istituto ad attività culturali, sportive e ricreative di particolare interesse educativo…

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Art. 30. Consiglio di circolo della scuola materna…determinazione dei criteri di attuazione degli orientamenti dell'attività educativa e per l'organizzazione dell'attività medesima…partecipazione del circolo ad attività ricreative e ludiche di particolare interesse educativo.1- Scuola integrata o descolarizzazione? Si vanno chiaramente delineando in questi ultimi tempi due tendenze fondamentali fra loro contrastanti che si dividono i consensi nei confronti della scuola: la prima spinge verso una dilatazione progressiva dei compiti della scuola, attribuendole funzioni sempre più vaste e complesse, indicate dal termine 'scuola integrata'; la seconda, per contro, reclama un graduale smantellamento della scuola come istituzione, ritenuta ormai sorpassata ed inefficiente, a vantaggio di altre e nuove forme di educazione e di istruzione, e perciò assume radicale proposito di 'descolarizzazione'.La scuola deve essere TUTTO O NULLA? L'aspetto unilaterale di entrambe le alternative di questo dilemma lo denuncia come falso. Ma false non sono, almeno in parte, le argomentazioni che sostengono. La soluzione non può stare che in un superamento della parzialità delle due prospettive.La scuola integrata ha designato da principio una realtà assai modesta: il prolungamento in attività complementari pomeridiane delle attività didattiche antimeridiane, una saldatura tra scuola-interscuola-doposcuola. Di fatto, i più accorti sostenitori di questa proposta hanno veduto ben presto come essa non dovesse risolversi in un semplice prolungamento della permanenza dei ragazzi a scuola, sia pure articolata in contenuti e metodi differenti. L'intenzione espressa nell'aggettivo 'integrata' va ben oltre una mera estensione quantitativa per indicare piuttosto un salto di qualità. La scuola veramente integrata deve aprirsi, più di quanto non si sia fatto in passato, alla realtà dell'ambiente circostante, naturale e sociale: deve assimilare gli autentici interessi dei ragazzi e rispondere alle esigenze della vita civica democratica, così come dello sviluppo culturale della civiltà scientifica e tecnologica.2- Scuola e altre agenzie educativeGià J. Dewey affermava che non è realistico supporre che la scuola sia l'unico canale educativo perché non si può ignorare 'l'azione costante di poderose forze al di fuori della scuola che forgiano la mente e il caratterè e che l'educazione impartita dalla scuola è soltanto uno dei molti fattori dell'educazione.Oggi risultano incontestabili le 'difficoltà' che incontrano le istituzioni scolastiche ed educative tradizionali ad effettuare e ad esaurire un processo formativo adeguato alle nuove esigenze nell'ambito del tempo e all'interno delle strutture di cui esse dispongono.Anzi, forse è da imputare alla scuola stessa un'impostazione che ha fatto dimenticare le modalità extrascolastiche della pedagogia, ed aver tentato con tutti i mezzi a sua disposizione, di non tenere nella debita considerazione quel territorio estremamente colorito ed affollato rappresentato dall'area dell'educazione extrascolastica.Non si può negare valore educativo a quell'insieme di circuiti mediante i quali tutti riceviamo al di fuori della scuola una formazione culturale e contenuti, se non proprio contrastanti, in gran parte differenti. 'L'azione educativa si confonde e si perde nell'intreccio delle influenze che incalzano sull'uomo e lo plasmano e lo fanno essere quello che è o meglio quello che appare.Non a caso la pedagogia, che nel passato ha potuto circoscrivere il proprio ambito di applicazione in uno o due, massimo tre, istituzioni (scuola, chiesa e famiglia), oggi, non riuscendo più a considerare simultaneamente, coerentemente e organicamente le numerose variabili in gioco, si è scissa in numerosi rivoli, talché, di fatto, esistono numerose

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pedagogie: del tempo libero, dell'azienda, del sindacato, degli adulti, dei mass-media, dei gruppi sportivi, delle associazioni giovanili, del recluso, del partito politico ecc.Ciò sta a dimostrare che la trama di eventi culturali presenti nel territorio e manifestati da istituzioni, enti, associazioni realtà eterogenee o situazioni di qualsiasi tipo, rappresenta oggi un problema nodale della riflessione pedagogica volta all'unificazione del momento educativo con tutti gli altri momenti dell'esperienza umana.Sta di fatto che esistono una infinità di "agenzie educative" (vere o presunte tali) dove si attuano forme di produzione culturale diverse rispetto a quelle scolastiche e dove circolano svariati strumenti o media comunicativi.Si potrà obiettare, a ragione, che sono sempre esistite molte agenzie educative extrascolastiche e/o non istituzionali che si dica: ma la caratteristica distintiva della nostra epoca, rispetto al passato, non è tanto la quantità bensì la qualità degli interventi del processo educativo che, di fatto, ribaltano le forze in campo. Ogni scuola ha da tempo attivato collaborazioni tra scuola e extrascuola, ricevendo proposte dalle più diverse agenzie presenti nel territorio e predisponendo autonomamente progetti integrati con la realtà sociale e territoriale.

7.9. LA TESI DELLA DESCOLARIZZAZIONE

Ma la scuola continua ad vere un senso rispetto alle scuole parallele che educano, informano, aggiornano in tempi reali? "Su queste argomentazioni si è appuntata, come è noto, la polemica contestativa dei descolarizzatori, volta ad apporre la tesi che, di fatto, è tramontato il primato informativo della scuola e che il vero apprendimento si realizza attraverso l'esperienza immediata ed il contatto diretto con gli influssi sociali e culturali" (G. Catalfano, Op. cit., p. 210)."La tesi della descolarizzazione si appoggia anche essa alla constatazione che la società pone nuove esigenze, ma perviene alla conseguenza diametralmente contraria. La cultura si propaga, oggi, attraverso una molteplicità di canali comunicativi: al libro, ad esempio, si è aggiunto prima il giornale, poi il rotocalco e il fumetto. Siamo entrati in una nuova dimensione in cui spazio e tempo possono essere contratti, dilatati, replicati e capovolti. Come si può insistere nel privilegiare la scuola della cattedra, della lavagna, dei banchi, in cui il mezzo verbale è non solo sovrano ma spesso l'unico?" (M. Laeng, Op.cit., p. 134).A questo si aggiunge, secondo i descolarizzatori, che le nuove forme di partecipazione sociale impongono ormai nuovi modelli al rapporto ragazzi-adulti, si reclama la scuola del dialogo, del colloquio, ma essa rimane ancora la scuola del monologo e del soliloquio; i ragazzi non sono più disposti ad ascoltare e obbedire un'autorità che si imponga loro esclusivamente dall'esterno. In conclusione, dicono gli avversari della scuola come istituzione, essa è costituzionalmente incapace di adeguarsi ai tempi e va semplicemente soppressa come tale.Queste considerazioni hanno un senso soprattutto polemico: è evidente che la scuola resiste nonostante tutto; ma c'è da chiedersi se essa non soggiaccia ad un continuo logorio e se quelle che oggi sembrano proposte eversive non diventino domani un esito fatale. Già molti insegnanti attraversano una crisi d'identità e si domandano quale sia ancora la loro funzione.Potenti forze sostengono tuttavia la scuola; lo sviluppo delle attività cosiddette secondarie e terziarie ha creato la necessità dell'istruzione obbligatoria; il ritardo nell'ingresso delle nuove generazioni ai cicli produttivi contribuisce ad aumentare l'esigenza di una 'zona di parcheggio' che sia utilizzata per qualcosa di più di una semplice attesa; la riduzione della famiglia ai soli genitori con uno, due, tre figli quando entrambi i genitori lavorano, richiede una istituzione sociale permanente per i giovani. Le ricorrenti minacce di 'morte della scuola' non si sono perciò realizzate (e non si realizzeranno!?). La scuola non è tutto e non è nulla: ma può e deve essere qualcosa. La formula della descolarizzazione cadrà, passata di moda, ma resteranno operanti i suoi fermenti nella scuola integrata, se questa riuscirà a compiere il suo ulteriore rinnovamento. La scuola può crescere anche diventando sempre più extra-scuola, se ciò significa che essa si apre al mondo e alla vita, che essa accetta nuove forme di corresponsabilità

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e di autogestione: non per perdere se stessa, ma per ritrovarsi e ritrovare la propria vocazione.

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CAP. VIII - IL RUOLO DELLA FAMIGLIA

Le famiglie affidano alla scuola i loro figli affinché essa provveda ad attivare nei loro confronti processi di insegnamento-apprendimento e di formazione-educazione, la scuola stessa ha il dovere, attraverso le proprie componenti educative e didattiche, di valutare attentamente i diversi progetti proposti, per verificare la loro congruenza con le rispettive programmazioni curricolari di istituto e di classe, se cioè quanto viene sollecitato non costituisca intervento episodico o avulso, ma si inserisca pienamente in un allargamento delle conoscenze e delle esperienze degli alunni, una sorta di ulteriore verifica sul campo di argomenti, contenuti, atteggiamenti.Se da un lato l'apertura della scuola all'extrascuola, alle realtà del territorio, alle diverse agenzie che operano nei più svariati settori, è ormai un processo inarrestabile, dall'altro tutto ciò va fatto con un attento controllo dei diversi interventi e con la continua mediazione pedagogica da parte di tutti i docenti, per non rischiare deleghe deresponsabilizzanti.Se è indubbiamente vero che il "fare" permette apprendimenti strumentali, anch'essi necessari, non è di per sé sufficiente nella scuola la quale, per non perdere il proprio ruolo educativo, deve, per sua stessa struttura e definizione dare un senso al "fare", immettendolo in un processo metodologico attento ai valori e agli apprendimenti significativi epistemologicamente fondati, pedagogicamente corretti, metodologicamente congruenti, didatticamente collegati ai curricoli programmati al proprio interno.Pertanto, l'ingresso nella scuola di una variegata schiera di soggetti diversi per formazione e competenze, se può essere visto positivamente per la presenza di specifiche tecniche operative, non può rischiare di parcellizzare conflittualmente un processo unitario di insegnamento-apprendimento con una possibile disintegrazione della stessa unitarietà della persona persa in innumerevoli rivoli senza alcun collegamento reciproco o forzatamente e artificiosamente collegati. La sintesi, il controllo e la verifica spettano, sempre e in ogni fase, alla scuola con le sue componenti istituzionali. In conclusione nulla vieta l'attivazione di processi integrati tra scuola e extrascuola, purché, da parte di tutti (docenti, dirigenza, famiglie), si attui un permanente controllo degli interventi esterni con l'opportuna conclusione di quei rapporti che non dovessero rispondere alle finalità e agli obiettivi della scuola stessa. Pertanto, in risposta alle richieste avanzate da soggetti diversi (Società sportive, Associazioni culturali, Associazioni ambientalistiche, Gruppi Teatrali, singoli individui, ecc.) per interventi sugli alunni della scuola, si fa presente che nulla osta che gli stessi possano intervenire purché in orario extrascolastco e con personale in possesso delle necessarie qualifiche educative oltre che tecniche. A tali attività potranno liberamente partecipare gli alunni interessati, senza alcun vincolo per tutti gli altri. Il Consiglio di Istituto e il Collegio dei Docenti analizzeranno i diversi progetti proposti, per una loro valutazione congruente con le programmazioni curricolari di scuola e di classe, se cioè quanto viene sollecitato non costituisce intervento episodico, ma si inserisce pienamente in un allargamento delle conoscenze e delle esperienze degli alunni su un argomento o un contenuto.

8.1. SCUOLA, FAMIGLIA, PARTECIPAZIONE, INTERAZIONE

La scuola dell'obbligo non esaurisce tutte le sue funzioni educative, ma opera e si integra con l'istruzione sociale e il processo formativo impartito dalla famiglia vista come prima, grande, insostituibile microcosmo esistenziale, sede primaria dell'educazione del fanciullo alla più vasta comunità sociale.

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La partecipazione democratica della famiglia nel contesto scolastico, come previsto dalle norme sugli organi collegiali, ha la chiara intenzione di ribadire e dimostrare come nonostante i travagli, la crisi, i vari tentativi per far vacillare l'istituzione familiare, essa rimanga un caposaldo etico-formativo, un punto di riferimento costante e indispensabile per la formazione del carattere, della personalità del fanciullo, in diretta collaborazione con l'esercizio della responsabilità riguardanti il quadro delle autonomie esplicate e garantite dalla scuola.La trasformazione avvenuta negli ultimi anni all'interno della scuola, ha fatto sì che da una impostazione statica in cui la didattica formale e nozionistica riduceva le potenzialità attivistico-creative delle sue componenti, sia divenuta sempre più aperta e disponibile a una concezione pedagogica innovatrice, ponendosi come servizio sociale operante, in diretta comunicazione con l'intera comunità intorno e in continua evoluzione metodologico-didattica. "L'istituzione scolastica è oggetto di profonde trasformazioni che hanno smantellato l'impostazione piramidale e chiusa in se stessa, per aprirla ai bisogni, esigenze ed istanze del mondo esterno. Con l'entrata in vigore dei Decreti Delegati le rappresentanze dei genitori e delle forze sociali sono realmente entrate nella scuola, immettendo, per così dire, sangue nuovo in un organismo ormai senescente e non più al passo con i tempi". (Bonistalli e coll., 1979)La legge del 30 luglio 1973, n.477 'Delega al governo per l'emanazione di norme sullo stato giuridico del personale direttivo, ispettivo, docente e non docente della scuola materna, elementare secondaria e artistica dello Stato', così come indica chiaramente il titolo, conteneva una serie di norme che si sono tramutate successivamente in cinque D.P.R. (416/420) che hanno portato ad un salto di qualità nella legislazione scolastica e nel suo processo di adeguamento ai valori e ai principi stabiliti dalla Costituzione repubblicana. Tale legge, e i Decreti Delegati che ne sono seguiti, hanno dettato una serie di norme sulla scuola in generale, per realizzare la partecipazione nella gestione della scuola, 'dando alla scuola stessa i caratteri di una comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale e civica', significando che la scuola non si dovesse più considerare come un'istituzione appartenente al Direttore Didattico, agli insegnanti, della quale essi solo fossero i responsabili, ma che appartenesse anche e soprattutto a coloro che ne fruiscono, studenti e genitori, enti locali, forze e componenti sociali e sindacali, che globalmente esprimono gli interessi della collettività e gli obiettivi di crescita civile e democratica.

8.2. IL RUOLO ATTIVO DELLA FAMIGLIA NELL'AMBITO SCOLASTICO

La legge precedentemente citata, ha richiamato l'attenzione delle famiglie e della società sui problemi reali della scuola, della cultura, della democrazia. Nel D.P.R. 31 maggio 1974 n. 416, abbiamo infatti il riconoscimento alle famiglie 'ad avanzare suggerimenti in ordine all'azione educativa (formazione generale) e didattica (metodi e criteri pratici), anche con la ricerca e la proposta di strumenti nuovi, di accorgimenti particolari, di tentativi meditati, di interventi di sostegno e di recupero, di sperimentazione'. Sempre nello stesso D.P.R., lo sviluppo dell'azione educativa della scuola è visto 'in stretta collaborazione e cooperazione con le famiglie' per raccogliere 'le loro indicazioni per quanto riguarda le scelte educative fondamentali'. Per cui 'dovranno essere vitalizzate le occasioni di incontro offerte dai consigli di interclasse, dal consiglio di circolo, dalla assemblea dei genitori, dai periodici incontri docenti-genitori'. Da tutto questo possiamo dedurre che 'la stretta cooperazionè tra scuola e famiglia non è un qualcosa di forzato o di formale, con appuntamenti fissi da rispettare, ma è cooperazione e verifica continua, occasione permanente di confronto, discussione conoscenza, che influenzerà in modo determinante la programmazione educativa e la programmazione curricolare. Evidentemente, sta nella prosecuzione logica di questa normativa la tendenza ad una 'interazione formativa tra scuola e famiglia', perché entrambe possano cooperare in un'ottica costruttiva ed educante. L'integrazione esterna tende ormai a superare il distacco tra scuola e famiglia. La saldatura è opportuno che avvenga affinché vi possa essere una reale presenza dei genitori "sia come incoraggiamento e valorizzazione delle loro auutonome assemblee o eventuali associazioni, sia come scambio collaborativo di informazione sull'esperienza extra-scolastica del ragazzo e sui metodi e programmi di insegnamento seguiti, sia come instaurazione di un clima altamente collaborativo ai fini della gestione istituzionale della scuola, consentita in qualche misura dagli stessi ordinamenti vigenti" (Cives, 1978). Forse per la prima volta in Italia i Decreti Delegati hanno dato la possibilità di instaurare un reale, fattivo, istituzionale rapporto democratico tra famiglia e scuola. La scuola contemporanea sta perfezionando sempre più tale rapporto, consapevole del fatto di non poter essere autosufficiente, di non potersi realizzare unicamente nello

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spazio scolastico. Viceversa non si può ritenere la famiglia un microcosmo prestrutturato a se stante, ma in stretta interrelazione con la società complessiva, nel nostro caso con la scuola in particolare. Saraceno rafforza il concetto espresso quando dice che "la consapevolezza della complessità del fenomeno famiglia e dell'impossibilità di ridurlo e concepirlo come stretto orticello privo di connessioni esterne rimanda il discorso continuamente fuori di sé, all'analisi delle strutture sociali con cui entra in rapporto" (Saraceno, 1976).

8.3. LA FAMIGLIA COME PRIMO NUCLEO FORMATIVO E MODELLO EDUCATIVO

La fondamentale importanza della famiglia per lo sviluppo dell'individuo è riconosciuta dalla maggior parte delle persone come cosa ovvia. Però soltanto da qualche decennio "sotto la spinta di studi psicopedagogici, questo fatto evidente ha trovato fondamenti scientifici. Troppe volte gli insegnanti non vedono il bambino che nella prospettiva particolare della loro attività, nel quadro dell'istituzione o del momento in cui lo incontrano. Per molti di loro il bambino coincide con l'allievo, col membro del gruppo di cui si occupano: alcuni anzi vedono nella famiglia soltanto il male inevitabile. Talvolta essi perdono di vista il fatto che questo bambino ha, ed ha avuto, una vita familiare le cui influenze sono in generale molto profonde e durature. D'altra parte si ritiene che non sia possibile conoscere il bambino se non osservandolo durante il giuoco od il lavoro, in classe o nel gruppo di compagni. Sicuramente il 'familienkind', 'il bambino come membro della famiglia' supera sempre in un modo o nell'altro lo scolaro" (Osterrieth, 1975)."Quando il bambino comincia a frequentare la scuola, i suoi orizzonti si allargano, cominciando ad essere sottoposto ad una gamma sempre più vasta di condizionamenti: insegnanti, coetanei, libri, televisione. I fattori ambientali più importanti che determinano la promozione della personalità futura, quali problemi dovrà affrontare nella ricerca della maturità e in che modo risolverà questi problemi, sono costituiti tuttavia per il bambino dal tipo di genitori e dal tipo di relazioni tra bambino e genitori stessi" (Mussen e coll., 1973).

8.4. LA PEDAGOGIA FAMILIARE E LE SCUOLE PER I GENITORI

In passato l'attenzione della pedagogia è stata rivolta principalmente ad indicare l'insieme dei procedimenti educativi da utilizzare a scuola, trascurando un poco il dato di fatto che la formazione dell'individuo avviene anche e soprattutto in famiglia. Oggi, sviluppando e applicando tale principio, si vuole consolidare una pedagogia della famiglia che possa favorire la presa di coscienza delle varie tematiche e problematiche, per migliorare i rapporti tra genitori e figli e l'istituzione scolastica.Il passaggio da un tipo di famiglia patriarcale a un tipo di organizzazione nucleare, il lavoro parallelo dei due sessi, la nascita di nuovi fenomeni e problemi sociali che si riflettono più o meno direttamente nel nucleo familiare, hanno imposto nuovi rapporti educativi tra genitori e figli, dinamiche relazionali tra le più strane e disparate.La pedagogia contemporanea non poteva non tener conto di questi aspetti esaminando le metodiche educative usate abitualmente in casa, consigliando aspetti positivi, rimarcando comportamenti parentali adeguati ad ogni situazione. Quanto detto ha avuto un volto istituzionale, con la creazione delle Scuole per i genitori, di riviste, di saggi dedicati a questi problemi. G. Cives, rifacendosi al modello svedese, è stato uno dei maggiori ideatori e sostenitori delle 'scuole per genitori', ritenute utili per fare in modo che la sensibilizzazione e la preparazione dei genitori ai temi e ai problemi scolastici possa essere maggiore e produttiva.L'aspirazione a realizzare una sorta di 'educazione permanente dei genitori' viene vista nell'intento principale di sviluppare rapporti di reale collaborazione tra scuola e famiglia. "La scuola dei genitori apre cioè la famiglia ai suoi rapporti con l'altra scuola, quella dei ragazzi, facendo la seconda oggetto del suo approfondimento" (Cives, 1978).Tutto ciò si ricollega a quanto ha scritto l'Isambert (1960) quando afferma che "scopo dell'educazione dei genitori deve essere quella di approfondire le nozioni che si riferiscono alle relazioni familiari sotto l'aspetto biologico, psicologico, pedagogico, sociale, morale; formare gli educatori dei genitori; aiutare i genitori secondo procedimenti da stabilire, in armonia con i diversi ambienti e le diverse situazioni" (Isambert, 1960).

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Educazione familiare significa quindi operare perché i genitori possano comprendere i temi e i problemi educativi della scuola, della famiglia e della società, collaborare attivamente agli organi collegiali perché possa essere assicurato il continuo ammodernamento dell'apparato scolastico.Da una visione psico-pedagogica soggettiva, individualistica, si passa sempre più a una psico-pedagogia oggettivo-relazionale che metta in luce come l'apprendimento, la strutturazione dell'intelligenza e della personalità siano in diretta connessione con gli stimoli o le inibizioni che l'ambiente, a tutte le età e in tutti i contesti, può offrire.

8.5. IL BAMBINO E LA FAMIGLIA

Nonostante il fatto che si debbano favorire rapporti sociali diversi, affinché il bambino possa incontrare adulti diversi dai genitori e attività che in famiglia non si possono svolgere, la famiglia è senza dubbio l'ambiente di maggiore influenza.Nasce da ciò la necessità di studiare la collocazione del soggetto all'interno del gruppo familiare, le gratificazioni e le difficoltà che vi può incontrare, i bisogni che il gruppo gli permette di soddisfare, i ruoli che i vari componenti della famiglia assumono nei suoi confronti. Secondo Berger (1977), il bambino vive la famiglia come tale, egli non sente cioè la famiglia come un'istituzione specifica all'interno di una società più vasta; per il bambino la famiglia è tutto un mondo di persone e di significati molto importanti per lui."Vista dall'esterno e retrospettivamente, la famiglia comprende gli altri che più contano nella prima parte della storia di una persona e, spesso nella nostra società, nella famiglia vi sono tutti gli altri più importanti in quello stadio di vita. La famiglia rappresenta il 'porto di partenza' da cui una persona salpa per il viaggio attraverso la società. Quello che gli è successo in questo punto di partenza influirà in maniera determinante sulle successive tappe del viaggio" (Berger, 1977).Purtroppo vi è ancora la tendenza diffusa a semplificare e minimizzare l'importanza del comportamento dei genitori, sia perché vengono banalizzate le complessità delle responsabilità familiari, sia perché molti ancora sostengono che non sia possibile studiare e verificare in modo sistematico e attendibile gli effetti dei loro interventi.

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CAP. IX - INTERDISCIPLINARITÀ

Mentre la vecchia impostazione pedagogica stabiliva dei canoni dogmatici e stereotipati, formulando le stesse proposte educative a tutti, aspettandosi risposte più o meno uguali da tutti, la nuova pedagogia (della quale i Nuovi Programmi sono la massima espressione), propone una molteplicità di stimoli e di variabili educative a tutti, tenendo conto della possibilità di risposte diversificate."Il fanciullo, quando inizia la sua esperienza scolastica, ha già cumulato un patrimonio di valori e di esperienze relative a comportamenti familiari, civici, religiosi, morali e sociali" (D.P.R. 104/1985)."Stiamo vivendo un periodo storico in cui si è passati dal precedente mito dell'individuo, della classe sociale, della razza a quello del collettivo, del sociale pianificante e massificato; ora, secondo noi, è giunto il momento di affermare che ciascuno è uguale agli altri sul piano etico, giuridico, economico, ma contemporaneamente diverso per le risposte comportamentali che può elaborare…Per educare verso gli anni 2000, vanno recuperati dalla tradizione i valori e le conoscenze, ma contemporaneamente occorre cercare di scoprire tutte le alternative possibili attraverso la diretta partecipazione ed accettare e verificare criticamente tutte le ideologie, per interpretare e risolvere ciascun problema con intelligenza e creatività, poiché è alle persone che spetta la decisione di scegliere la risposta che ritiene più giusta ed opportuna, più economica e produttiva in una dimensione agonistica esistenziale, sempre rispettosi di se stessi, della natura, degli altri" (M. Gori, 1982).

9.1. DAL DISCORSO DISCIPLINARE AL DISCORSO INTERDISCIPLINARE

Quasi mai le diverse discipline si sviluppano su binari separati: frequentemente mantengono stretti rapporti tra loro in una relazione che è però spesso di tipo gerarchico; viene cioè a crearsi una scienza "regina " che si avvale di altre scienze "ausiliarie". Altre volte si originano le cosiddette "scienze di confine" (psicofisiologia, biochimica...) tramite interazione tra discipline: "l'intersezione tra scienze diverse dà luogo ad un nuovo "universo di discorso", ad una nuova scienza, e questa filiazione deriva dal fatto che le scienze originarie rigettano le modifiche che l'introduzione di altri linguaggi porterebbe al loro interno. La fisica resta sostanzialmente se stessa, e così la chimica, proprio partorendo la fisica-chimica e resistendo così alle "contaminazioni" (A. Giunti, Ricerca e lavoro interdisciplinare, Ed. La Scuola Brescia 1978, pp. 46/47).Una terza situazione si manifesta nella pratica didattica con accostamenti, giustapposizioni accidentali di diverse discipline intorno ad un argomento (il Natale, la casa). Questa apparente interdisciplinarità, di cui spesso gli insegnanti vanno orgogliosi, significa "frantumare le scienze stesse con il rischio di non riuscire poi a riunificarle; per di più questi processi, fondandosi essenzialmente sui contenuti, magari incontrati accidentalmente, spezzano quella unità logica e quella sostanza concettuale che è il modo di essere naturale delle varie scienze, la loro stessa ragione d'essere. Tutto ciò, che vuol dire venire meno ad un certo aspetto dell'unità del sapere che si realizza come "sistema" per sostituirvi quell'unità apparente, vuol dire (...) perdere il "senso" della scienza" (A. Giunti, op. cit., pp. 47/48).La letteratura pedagogica ci propone quattro diversi usi delle discipline di studio per la conoscenza del reale:- pluridisciplinarità: le discipline vengono accostate l'una all'altra con scopi culturali remotamente funzionali ed estrinseci alle discipline. Es. studio della storia, storia dell'arte, storia della filosofia, senza collegamenti tra loro;- multidisciplinarità: più discipline di studio vengono utilizzate per rispondere ad un quesito, per risolvere un problema, senza che le varie discipline interagiscano, senza che si abbiano "ibridazioni feconde" fra le discipline stesse. Ogni disciplina tende a rispondere dallo specifico punto di vista e a rimanere irriducibilmente se stessa. La spiegazione finale sarà la somma delle spiegazioni parziali. Es. studio di un fenomeno da un punto di vista storico, sociologico, ecc.;- interdisciplinarità: processo di interazione tra discipline per la risoluzione di un problema nelle sue interconnessioni e interrelazioni. Il problema si incentra su possibilità di reciprocità interattiva, in un arricchimento e ininterrotta metamorfosi ("ibridazioni feconde" per Piaget).- transdisciplinarità: fusione di più discipline all'interno di un sistema omnicomprensivo. È un processo che non si accontenta di attingere le interazioni o le reciprocità tra ricerche specializzate, ma situa questi legami all'interno di

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un sistema totale senza confini stabili tra discipline.

9.2. RADICI DELLE RELAZIONI TRA DISCIPLINE

È ormai un dato acquisito che l'ambito della scienza è unico: la realtà, a seconda delle diverse angolature dalle quali viene indagata, determina il costituirsi dei vari ambiti, dei diversi rami della scienza. "Nessun aspetto particolare della realtà può essere legittimamente considerato delimitante l'ambito di una scienza piuttosto che di un'altra, e così il fatto che un "oggetto materiale" possa appartenere a più scienze può essere un altro dei possibili criteri in base ai quali rompere la congenita preclusività delle scienze stesse e ,anzi, stabilire tra loro reciproci rapporti" (A. Giunti, op. cit., pp. 50/51). È essenziale e connaturata la solidarietà tra discipline "che risiede nella loro legittima appartenenza a fondamentali strutture organizzatrici del sapere, nella partecipazione radicale ad identiche, originarie strategie di pensiero che si manifestano nel corso dell'indagine, dell'interpretazione dei dati, della spiegazione della realtà e dei processi di unificazione dei significati dell'esperienza (...) e nell'essere queste capacità comuni a tutti gli uomini così che i risultati delle indagini possono essere comunicati a tutti, compresi da tutti, fruire degli apporti di tutti" (A. Giunti, op. cit., p. 51)Il passaggio dai vari aspetti della realtà (habitat, caratteri somatici, sfruttamento dell'ambiente, ecc.) ai corrispondenti momenti scientifici (geografia, antropologia, economia, ecc.) è dato dai processi di formalizzazione che l'esperienza subisce quando le si voglia attribuire un significato non aleatorio. Possiamo osservare che non è facile determinare immediatamente i rapporti tra le varie scienze (settore esterno), ma l'analisi del mondo dell'esperienza consente di individuare facilmente, quasi connaturate, spontanee ibridazioni. Mentre è difficile trovare stretti rapporti tra settori culturali come geografia, tecnologia, sociologia, medicina, storia dell'arte, appare in modo evidente la reciproca vicinanza dei loro corrispondenti essenziali: habitat, manufatti semplici, rapporti tra individuo e gruppo. L'interdisciplinarità germinale ha inizio proprio in quelle interdipendenze funzionali. Tuttavia "la scuola non può fermarsi a questo livello, in quanto il processo culturale tende a superare l'esperienza attribuendole di volta in volta significati particolari. La "germinalità" del processo interdisciplinare consiste proprio in questi primi tentativi di spiegazione in cui l'esigenza di complessità deriva dall'aver percepito, in primo luogo, la funzionalità complessiva del reale" (A. Giunti, op. cit., p. 52).Se da un lato la scienza tende ad organizzarsi in sistemi autonomi, possiamo considerare necessaria e connaturale al pensiero stesso dell'uomo l'esigenza di unificazione del sapere. L'interdisciplinarità poggia sulle discipline e non prescinde da esse, tende ad essere un momento sintetico, comprensivo delle interazioni, dei dinamismi dei fenomeni indagati; "il lavoro interdisciplinare è come il lavoro di orchestra: si risolve un unico problema, avendo competenze diverse e suonando spartiti differenti. L'interdisciplinarità presuppone la multidisciplinarità. Può entrare in un lavoro interdisciplinare solo chi possiede almeno una disciplina. Non entra in un'orchestra chi non suona strumento alcuno" (D. Antiseri, op. cit., p. 250).

9.3. DALL'INSEGNAMENTO PER PROBLEMI ALL'INTERDISCIPLINARITÀ

L'uomo ha sempre cercato di conoscere il mondo circostante: si è posto delle domande, ha tentato la risoluzione con i mezzi al tempo disponibili, ha criticato teorie che si scontravano con dati di fatto: in questo modo ha creato "cultura": quella che Popper chiama "MONDO 3". "La conoscenza scientifica è cosmologia (...). È la provincia logica del mondo 3; è il complesso delle teorie, oggi valide, che sono state escogitate per risolvere i problemi in cui la "polis" degli scienziati ha inciampato, e che dietro di sé ha lasciato la storia, lunga e tortuosa, delle teorie scartate o corrette" (D. Antiseri, op. cit., p. 245). Ciò ha portato all'espansione della conoscenza e alla necessità di una organizzazione della stessa in discipline che si definiscono come un "insieme aperto di teorie e di tecniche messe in atto per risolvere nuclei più o meno connessi di problemi" (D. Antiseri, op. cit., p. 248).In questa inversione di prospettiva le discipline non sono concepite come "edifici di conoscenze", immodificabili, ma come "strumenti" di conoscenza. "La credenza che ci siano cose come la fisica, la biologia o l'archeologia, e che questi "campi di studio" siano distinguibili dall'oggetto delle loro indagini, mi sembra un residuo del tempo in cui si credeva che una teoria dovesse procedere da una definizione del suo peculiare oggetto. Ma tale oggetto, o

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specie di cose, non costituisce, a mio avviso, una base per distinguere le discipline. Le discipline sono distinte, in parte, per ragioni storiche, per motivi di convenienza dell'amministrazione (si pensi all'organizzazione dell'insegnamento e degli impieghi) e, in parte, perché le teorie che si costruiscono per risolvere i nostri problemi tendono ad accrescersi all'interno di sistemi unificati. Tuttavia, tutta questa classificazione, e le relative distinzioni, costituiscono una questione relativamente priva di importanza e superficiale. Noi non siamo studiosi di certe materie, bensì di problemi. E i problemi possono passare attraverso i confini di qualsiasi materia o disciplina" (H. R. Popper, La natura dei problemi filosofici e le loro radici nella scienza in Congetture e confutazioni, p. 118).I principi delle varie scienze nascono pertanto come deduzioni derivanti dall'osservazione di aspetti ricorrenti che l'intelletto individua nei fenomeni e nei fatti particolari, oppure sono ipotizzati dallo scienziato che non disponga di principi esplicativi sufficienti alla risoluzione di un problema, o quantomeno non soddisfacenti allo scopo. Le varie strutturazioni non sono create artificialmente, ma rispecchiano categorie del pensiero, comuni a tutti gli uomini. Ad esempio, la matematica rispecchia la particolare esigenza d'ordine, di rigore logico. È "dall'incontro tra questa capacità della mente di interrogare la natura e di interrogare se stessa, da un lato, e la complessità del reale, la sua organicità, la sua intelligibilità, infine, dall'altro, che derivano i "punti di vista" dai quali i vari oggetti di scienza vengono affrontati (e così hanno origine le varie scienze)" (A. Giunti, op. cit., p. 36)..Possiamo asserire quindi che il ricercatore, la scienza stessa, procede cercando la soluzione a problemi e, a tale scopo, si possono avere contributi da quelle discipline che, in qualche modo, vi sono connesse e che nel contempo possono arricchirsi con gli apporti derivanti dalla risoluzione stessa."Una teoria respira e vive all'interno di un grappolo di teorie costituenti storicamente una disciplina; per questo i problemi, in genere, sono tipici di una disciplina anche se hanno significato per altre discipline e si risolvono con l'ausilio di mezzi teorici e tecnici necessari allo scopo, prendendo questi ultimi ovunque siano disponibili, da qualsiasi disciplina. Quindi l'interdisciplinarità è il lavoro che si compie per risolvere i problemi tipici di una disciplina, con i mezzi necessari allo scopo e disponibili da ogni altra disciplina" (D. Antiseri, op. cit., p. 250).

9.4. IL DISCORSO INTERDISCIPLINARE

Nel discorso interdisciplinare non si viene a creare una giustapposizione di enunciati disciplinari diversi, ma un organismo che, pur "partecipando delle singole scienze, non è più storia, geografia, economia, matematica, medicina, psicologia e via dicendo (…) ma un organismo nuovo, coerente in sé, pertinente e rilevante per la soluzione del problema, creato di volta in volta mediante la ricerca e la costruzione di strutture formali che emergono dal confronto e dalla combinazione delle idee, dei principi, delle strutture disciplinari, senza che, peraltro, le scienze mobilitate perdano di individualità e perciò di scientificità" (A. Giunti, op. cit., p. 70).

9.5. AMBITI DISCIPLINARI E UNITARIETÀ DELL'INSEGNAMENTO

L'individuazione degli ambiti disciplinari e la suddivisione dei compiti all'interno del gruppo docente rappresentano momenti di fondamentale importanza per un positivo svolgimento dell'attività didattica, ma, una volta individuati i criteri per la scomposizione del curricolo e create le condizioni per una maggior specializzazione degli interventi, si pone il problema più importante: garantire unitarietà al progetto educativo. Non è polemica dire oggi, a Programmi emanati e, almeno in parte, applicati, che la formulazione della loro parte disciplinare, certamente utile a ridefinire l'identità delle discipline di studio nel nuovo curricolo elementare, non ha facilitato l'individuazione esatta della loro funzione e della loro interrelazione nella struttura complessiva dello stesso curricolo. Ne scaturisce il rischio di una struttura lineare "per discipline", di una acritica propensione ad insegnare "le" discipline piuttosto che "con" le discipline. È per questo che spesso si sente parlare di "riflusso", di ritorno alle materie, di secondarizzazione della scuola elementare. Tale interpretazione può essere dettata da una inesatta lettura del testo programmatico, che, destinato all'insegnante, fa riferimento a quadri disciplinari cui deve necessariamente attingere. Una riflessione precisa ce la suggerisce lo stesso testo che parla di "passaggio continuo che va da un'impostazione unitaria pre-

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disciplinare all'emergere di quadri disciplinari progressivamente differenziati".L'impostazione disciplinare costituisce il TELOS (...), "non il punto di partenza dell'attività della scuola elementare, che si caratterizza appunto come luogo di alfabetizzazione, non di secondarietà" (P. Calidoni, Organizzazione e programmazione nella scuola elementare, ed. La Scuola 1991, p. 43). Il bambino non deve solo apprendere porzioni sempre più ampie e complesse di sistemi che gli altri hanno pensato e costruito, ma deve pensare e costruire una propria "scienza", dei propri paradigmi, dei propri sistemi di riferimento. Egli, indagando il reale, si pone dei "perché", delle domande, ricerca concordanze, differenze, ecc., e così crea un ordine nella propria esperienza. Egli "cataloga i fatti, li ordina, sia pure in modo empirico e talvolta secondo apparenze, realizza rudimentali astrazioni, tenta generalizzazioni, comunica le proprie piccole scoperte, cerca un lessico meno insicuro, cerca conferme, riconosce smentite. Anche lui parte da un certo mondo concettuale che è, generalmente, quello dei punti di vista, dei modelli interpretativi del proprio ambiente e inizialmente lo accetta; ma una volta che sia avviato all'analisi, è capace di metterlo in crisi e di superarlo elaborando germi di principi nuovi, semplici ipotesi esplicative per mezzo delle quali attribuire significato al reale e di applicare i principi stessi e le stesse ipotesi ad altre situazioni per saggiarne la consistenza e svilupparne il potere esplicativo, da un lato, dall'altro per tentare di spiegarsi la realtà" (A. Giunti, op. cit., p. 36). Questo nuovo modo del fanciullo di produrre scienza, di "ricostruire" le discipline, è recepito dal testo programmatico ove si parla di "padronanza dei quadri concettuali", "abilità", modalità d'indagine essenziali alla comprensione del mondo umano, naturale ed artificiale" (D.P.R. 104/1985).È necessario pertanto ricostruire, riscoprire, usare i codici e modelli disciplinari: questo è diverso dallo "studiare" storia, geografia, ecc. Si può distinguere una " "sistematicità di partenza", che equivale a scienza già fatta, pensiero già pensato, pura trasmissione, apprendimento il più delle volte mnemonico, e "sistematicità di arrivo", che vuol dire capacità di analizzare l'esperienza, scoprire il significato, verbalizzarla, razionalmente organizzarla: in altri termini, produrre cultura" (A. Giunti, op. cit., p. 33). Il significato di disciplina nella chiave proposta costituisce la premessa ad un approccio interdisciplinare: "solo dal di dentro delle discipline è infatti possibile individuare connessioni di problemi e di temi, che possono dar luogo a sviluppi, a collegamenti trasversali tra le discipline, cioè interdisciplinari" (Maragliano-Vertecchi, op. cit., p. 55).Per una piena integrazione degli ambiti, gli elementi in gioco sono molti; lo schema offre alcuni riferimenti per un possibile approfondimento. Le variabili fondamentali chiamate in gioco sono due: la maggiore o minore integrazione tra le discipline che costituiscono un ambito e, poi, tra gli ambiti disciplinari; la minore o maggiore convergenza intorno ai valori e agli obiettivi educativi.Lo schema mette in evidenza una terza variabile, la "significatività" del curricolo per l'alunno, che è vista come dipendente dalle prime due; una quarta variabile è il grado di difficoltà incontrato per raggiungere i livelli indicati.

9.6. LINGUAGGI CURRICOLARI E "NUOVI" LINGUAGGI

In un'immagine dobbiamo notare ciò che essa dice e ciò che può far dire al bambino. L'attività figurativa è una delle più importanti perché la più totale, impegna tutte le facoltà di chi la esercita, diventa mezzo di sviluppo della personalità e della creatività. Intervengono in essa fatti emotivi, percettivi, intellettuali, sociali, estetici e si realizza con un diretto e completo contatto con la realtà. Nella categoria delle immagini rientrano tutte le attività teatrali, dai burattini alle marionette, ai giochi di fantasia e simbolici, drammatici e di imitazione. Il fine è che tutte le attività di drammatizzazione devono trovare il loro contenuto nella personalità del fanciullo.Il linguaggio parlato e quello letterario sono compresi nell'attività drammatica, essa non solo li comprende, ma li connette con altri linguaggi quali quello fonico, corporeo, mimico, visuale. Questa attività consente al bambino di fare piacevolmente esperienze con il mondo circostante, inoltre c'è lo sviluppo dei poteri critici dell'osservazione, immaginativi, di autocontrollo dell'espressione; poiché si realizza non solo mediante l'uso della parola, ma anche mediante atteggiamenti pantomimici e mimici, sviluppa l'individuo nella totalità del suo essere psico-fisico.Affinché il linguaggio teatrale sviluppi le sue funzioni, non deve essere:- né emarginato e confinato in ambiti culturali subalterni, sussidiari, ricreativi- né va rinchiuso nelle recite di fine anno

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- non deve trasformarsi in didattica quotidiana.La scuola deve piuttosto dare il massimo respiro pedagogico alla teatralizzazione dando via libera ai tre modi di essere, alle tre identità formative del linguaggio teatrale:1) Gioco-dramma (la scuola elementare in questo caso potrà far vivere il gusto per la libera invenzione e la spontaneità mimico-gestuale)2) Teatro-didascalico (la scuola potrà arricchire "saperi" e "competenze" dell'alunno)3) Teatro-inchiesta (la scuola potrà immergere l'allievo nella "cultura antropologica" del proprio presente storico).Ogni individuo per esprimere in maniera articolata e distinta i propri concetti usa un sistema di segni che costituiscono il "mezzo significante" correlato con determinati "significati". Esprimere vuol dire tirar fuori dall'intimo il pensiero, le caratteristiche proprie dell'IO, mentre comunicare vuol dire trasmettere informazioni. Per entrambe le cose è importante il linguaggio perché da modo al pensiero di manifestarsi ed è una acquisizione che il bambino compie lentamente.L' insegnante dovrebbe conoscere le fasi evolutive del bambino, quando questo è capace di raggruppamenti logici che gli permettono di seriare, classificare, quantificare, capire cioè quelle operazioni mentali indispensabili alla formazione di abilità di base del leggere, dello scrivere, del far conto.L'usare la giusta lingua secondo la particolare situazione di comunicazione corrispondente a ciò che viene detto "competenza comunicativa", infatti il saper conversare in maniera coerente, appropriata, efficace, ... implica non solo la conoscenza grammaticale e lessicale, ma la conoscenza delle regole sociali dell'interazione verbale.La lingua nell'educazione è essenziale, offre all'uomo il modo di rivelarsi, di riflettere, di articolare e chiarire un'immagine, un pensiero, di comprendere la differenza tra due simboli. L'uomo che non sa parlare è anche un uomo che non sa osservare, pensare, godere, soffrire, amare. Creata e prodotta dall'uomo, con i caratteri del processo continuo, ma nello stesso tempo di una stabilità che permette la comprensione, la lingua presenta la possibilità di incidere positivamente e aiutare a costruire lo stesso nucleo della personalità.La realtà non perde la sua obiettività, non si annulla, si risolve nella parola dell'uomo: si colora di quella parola.

9.7. PROGETTI DI AZIONE EDUCATIVA

L'educazione alla convivenza è il principio stesso unificante degli obiettivi formativi in cui il programma è articolato e dei contenuti culturali che ne contrassegnano l'orientamento e le scelte.Tre sono i principali motivi conduttori di "progetti di azione educativa":1) l'importanza che l'alunno avverta l'obbligo di tener conto dei diritti e degli interessi degli altri;2) la necessità che l'alunno conquisti progressivamente l'autonomia;3) l'esigenza che l'alunno si percepisca responsabile.Per quanto nella Premessa ai nuovi programmi sia stata espulsa l'educazione morale, trasformandola in convivenza democratica, la filosofia dei valori rimane. La convivenza può essere un obiettivo o la risultante di un insieme di azioni secondo una morale, quindi bisogna prima educare alla moralità; solo tale base consente la socialità, la civicità, la politicità e dunque una convivenza democratica. Quest'ultima non è un valore, ma lo può diventare se considerata una dei traguardi dell'educazione dell'uomo. I programmi parlano infatti di educazione alla convivenza, ponendo al centro del nuovo progetto di scuola un "tipo di uomo" a cui dare pienezza di mandato per vivere nella società, affrontarne i problemi, edificandone i valori, operando alla continua ricerca del bene comune.Popper dice che la società democratica è data dalla società aperta e per esistere occorrono persone capaci di affrontare razionalmente i problemi, di prendere decisioni responsabili, di riconoscere e correggere gli errori.

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CAP. X - L'ORGANIZZAZIONE DELLA SCUOLA

10.1. LE FINALITÀ EDUCATIVE

In relazione alle complesse finalità educative, la scuola e gli insegnanti devono perché il ragazzo prenda consapevolezza del valore della coerenza tra l'ideale assunto e la sua realizzazione in un impegno anche personale 1) "la capacità di stare insieme agli altri, di lavorare in gruppo, di cogliere significati e rapporti nuovi nei fatti e nell'ambiente circostante, oltre che nei libri e negli insegnamenti ufficiali di agire con libertà comprendendo però la necessità di conquistare sempre nuovi spazi alla libertà medesima nella vita sociale, sviluppando la capacità di contribuire attizzamenti ad elaborare la cultura del futuro in ogni forma e misura" (Santoni, Rugiu e coll. 1976) in maniera tale da promuovere in ciascuno "una migliore conoscenza di sé, un miglior accomodamento della condotta, una autentica autonomia e l'accesso alle responsabilità nel quadro della vita sociale"(J. Le Boulch, 1975).2) "garantire a ciascuno la possibilità di migliorare la propria abilità di esercitare le funzioni corrispondenti alla sue capacità, di sviluppare le doti naturali stabilendo di fatto un'eguaglianza fra cittadini " (Condorcet, 1792).3) "voler sviluppare in ogni persona il desiderio di assumersi delle responsabilità sociali, di sentirsi personalmente responsabili dell'ambiente che ci circonda e ci rende liberi" (Macciò, 1975).4) "creare le più ampie occasioni di iniziativa, decisione, responsabilità e autonomia personale per poter sperimentare progressivamente forme di lavoro di gruppo di vicendevole aiuto e sostegno, anche per rendere chiara coscienza della differenza fra "solidarietà attiva" con il gruppo e "cedimento passivo" alla pressione del gruppo, tra la capacità di conservare indipendenza di giudizio ed il conformismo, tra il chiedere giustizia e il farsi giustizia da se (D.P.R. 104/1985).

10.2. STUDIO E CONOSCENZA DIRETTA DI REALTÀ CULTURALLI DIVERSIFICATE

La guida progressiva ad "ampliare l'orizzonte culturale e sociale oltre la realtà ambientale più prossima, per riflettere, anche attingendo agli strumenti della comunicazione sociale, sulla realtà culturale e sociale più vasta, in uno spirito di comprensione e di cooperazione internazionale, con particolare riguardo alla realtà europea ed al suo processo di integrazione", (D.P.R.104/1985) è una indicazione precisa di invito a tutto l'apparato scolastico per sfruttare in pieno l'occasione di visite di istruzione in altri luoghi, la possibilità di fattivi scambi culturali con altre scuole (anche al di fuori del territorio nazionale), di usare, decodificandone criticamente i messaggi, tutti i mezzi di comunicazione (televisione, radio, telefono, cinema , teatro, computers, giornali ecc.), che permettano una maggiore apertura mentale e una conoscenza realistica del mondo che ci circonda.

10.3. LA SCUOLA COME FULCRO DEL PROCESSO DI EDUCAZIONE/APPRENDIMENTO

La concordanza di opinioni sul fatto che ogni alunno possa e debba vivere la scuola come ambiente educativo e di apprendimento, fa scaturire un presupposto teorico dove la scuola elementare "il cui intervento è intenzionale e sistematico, realizza il suo compito specifico di alfabetizzazione culturale, partendo dall'orizzonte di esperienze e di interessi del fanciullo per renderlo consapevole del suo rapporto con un sempre più vasto tessuto di relazioni e di scambi". (Programmi Ministeriali)La scuola in collegamento con la "piccola patria" di ciascuno (territorio, componenti culturali, linguistiche, sociali, economiche), deve dare ordine e razionalità all'insieme delle spinte che vengono dall'esperienza sociale, familiare, dei mass-media, introducendo progressivamente nelle più vaste comunità umane la lingua e la cultura degli alunni, promuovendo una rete di conoscenze e un complesso di capacità cognitive che consentano una autonomia ed una produttività intellettuale, emozionale e pratica, adeguata alle complessità e alle dinamicità della vita, cultura, lavoro.Il ragazzo deve recare a scuola tutte le esperienze che ha fatto fuori di essa, sviluppando "la capacità di stare insieme agli altri, di lavorare in gruppo, di cogliere significati e rapporti nuovi nei fatti e negli aspetti dell'ambiente circostante, oltre che nei libri e negli insegnamenti ufficiali; la capacità di ricercare autonomamente, costruendo da

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sè in buona parte i contenuti dell'apprendimento; la capacità di esprimersi in linguaggi diversi al di là di quello verbale; la capacità si agire con libertà, comprendendo però la necessità di conquistare sempre nuovi spazi alla libertà medesima nella vita sociale" (Santoni e coll., 1976).La scuola a sua volta e la didattica scolastica, devono favorire l'appropriazione da parte dell'alunno di abilità che sono la convergenza di conoscenze che non si esauriscono nell'apprendimento culturale in senso stretto.

10.4. EDUCAZIONE PLURILINGUISTICA

In una scuola che per lungo tempo ha continuato a privilegiare il linguaggio parlato e scritto per apprendere e comunicare, ben si inserisce l'esortazione indicata nei Nuovi Programmi di potenziare e utilizzare tutti i tipi di linguaggio attraverso i quali l'individuo esprime il suo mondo interiore entrando in rapporto con gli altri, consentendogli l'esplorazione e la valorizzazione di tutti i mezzi di espressione e di interrelazione.È evidente come, in termini educativi e di apprendimento, possa essere di giovamento all'alunno l'aver acquisito e interiorizzato tutta una serie di linguaggi che gli permetteranno di potersi esprimere a tutti i livelli e di acquisire una cultura interdisciplinare.I vari linguaggi, infatti, attraverso processi di comunicazione, utilizzando contenuti, attività, strumenti specifici, esprimono modi diversi di articolazione del sapere, di accostamento alle realtà, di conquista e di trasformazione di esse. Abbiamo già detto che la scuola, in contrasto con le affermazioni di principio sulla unitarietà della formazione umana, ha contribuito a privilegiare il linguaggio parlato o scritto. Oggi è giunto il momento di verificare che l'alunno può manifestarsi, esprimersi, educarsi, apprendere, anche attraverso altri tipi di linguaggio. Ad un mutamento della dinamica relazionale, comportamentale, valoriale dei ragazzi di oggi rispetto alle generazioni passate, deve far riscontro una educazione ed una cultura scolastica mirante a far prendere conoscenza e coscienza dell'influenza che l'evoluzione tecnologica, in positivo o in negativo, esercita sulla nostra vita, insegnando (i docenti) e imparando (gli alunni) a decodificare i segnali, i linguaggi, i messaggi che gli strumenti del comunicare tradizionali (libri, giornali, teatro, danze popolari) e moderni (radio, televisione, computers) contengono.Infatti "ogni contenuto proposto dall'educatore o dall'alunno, può essere verificato con tutti i linguaggi di cui l'essere umano è capace: corporeo, grafo-colorico, vocale, verbale, iconico, ecc. In tal modo potrà essere sviluppata la creatività in maniera polivalente ad imparare che, se si sanno trovare, esistono delle infinite correlazioni tra tutte le cose, i contenuti, gli individui. La persona non è una somma di parti, ma una struttura interfunzionale; la testa non è nobile rispetto alla borghesia delle mani e al sottoproletariato dei piedi, ma testa mani e piedi hanno pari nobiltà perché appartengono alla persona.Così non si può educare sommando gli elementi di una materia a quelli di un'altra, ma collegando ad uno stesso contenuto le variabili di ciascuna materia. Ciascuno è un significante (cioè in grado di...), a cui l'educazione deve permettere di significarsi (effettuare ciò che si è in grado di fare), con tutte le variabili possibili, dando al movimento, all'immagine, alla parola, all'arte, una forma simbolica universale che passa sempre attraverso l'interpretazione del corpo e della mente. Ogni possibilità espressiva e comunicativa deve quindi permettere una presa di coscienza di sè, l'organizzazione dei propri comportamenti nello spazio e nel tempo, rapporti socialmente validi con gli altri" (M. Gori, 1982). Così i contenuti culturali che verranno appresi, saranno il risultato di scoperte reali vissute in prima persona, di modelli plurilinguistici che permetteranno all'alunno la discriminazione intellettiva, l'elaborazione critica personale di modelli culturali, politici, sociali precostituiti, per poter rifiutare mitizzazioni retoriche imposte da bombardamenti psicologici martellanti.Senza dubbio, solo l'essere umano è dotato della capacità del saper parlare e scrivere. Tuttavia, nonostante questa meravigliosa caratteristica, se si ragiona in un'ottica educative, devono essere ricercati, scoperti ed utilizzati altri linguaggi, affinché ogni alunno possa trovare il proprio canale di comprensione di se stesso e di comunicazione con il mondo circostante. Se si continuerà a considerare linguaggi di serie A il linguaggio scritto e parlato, e di serie B tutti gli altri linguaggi, facendo discriminazioni anche sul piano culturale, è indubbio che la scuola avrà come costante, un aspetto essenzialmente autoritario e univoco.

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Di contro, la scelta di far scoprire ed apprendere altri linguaggi, è una scelta educante, democratica, che permetterà al bambino in difficoltà di trovare altri modi per esprimere la propria interiorità, e di mettersi in comunicazione con il mondo esterno, attraverso le motivazioni e le stimolazioni che riceverà da un numero maggiore di proposte.L'opportunità di potersi esprimere con tutti i linguaggi possibili, permetterà all'individuo in difficoltà di evidenziare le proprie possibilità che la scuola (con le strutture) e gli insegnanti (con la didattica) sfrutteranno positivamente per ottenere migliori risultati di crescita, di maturazione e di conoscenza.

10.5. RAFFORZAMENTO DELLE QUALITÀ POSITIVE DEL SOGGETTO

Mentre la scuola tradizionale si soffermava eccessivamente sulla percentuale di negatività dell'individuo, la scuola moderna e contemporanea deve, a nostro avviso, considerare sempre più la percentuale di positività, per potenziarle ulteriormente, usandole inoltre come strumento di intervento e di recupero sulle negatività.Quanto esposto è chiaramente una premessa fondamentale perché, per quanto possibili "nella scuola elementare si eviti che le <diversità> si trasformino in difficoltà di apprendimento ed in problemi di comportamento, poiché ciò prelude a fenomeni di insuccesso e di mortalità scolastica e conseguentemente a disuguaglianze sul piano sociale e civile".

10.6. ISTRUZIONE ED EDUCAZIONE

L'educazione e l'istruzione diventano quindi "la sintesi equilibrata tra l'animazione e l'insegnamento, tra gli stimoli, le proposte, le risposte e le integrazioni, tenendo sempre presenti gli elementi informativi della motivazione;- attivazione della volontà di apprendere per dare risposta a problemi concreti e reali;- ricerca dell'effetto positivo suggerendo i punti di riferimento per gli ulteriori approfondimenti;- ricerca dell'effetto del contenuto attraverso tutte le possibili verifiche per la sicurezza della conoscenza;- integrazione degli apprendimenti parziali nell'unità della vita personale;- stimolo alla ricerca permanente di ulteriori variabili e quindi di nuove conoscenze;- stimolo alla ricerca permanente di ulteriori variabili e quindi comportamento scientifico" (M. Gori, 1981)

10.7. LE FINALITÀ EDUCATIVE

In relazione alle complesse finalità educative, la scuola e gli insegnanti devono operare perché il ragazzo prenda consapevolezza del valore della coerenza tra l'ideale assunto e la sua realizzazione, in un impegno anche personale.Per finalità educative intendiamo:1) "la capacità di stare insieme agli altri, di lavorare in gruppo, di cogliere significati e rapporti nuovi nei fatti e nell'ambiente circostante, oltre che nei libri e negli insegnamenti ufficiali ... di agire con libertà comprendendo però la necessità di conquistare sempre nuovi spazi alla libertà medesima nella vita sociale, sviluppando la capacità di contribuire attivamente ad elaborare la cultura del futuro in ogni forma e misura" (Santoni, Rugiu e coll., 1976) in maniera tale da promuovere in ciascuno "una migliore conoscenza di sé, un migliore accomodamento della condotta, una autentica autonomia e l'accesso alla responsabilità nel quadro della vita sociale" (J. Le Boulch, 1975).2) "garantire a ciascuno la possibilità di migliorare la propria abilità di esercitare le funzioni corrispondenti alle sue capacità, di sviluppare le doti naturali stabilendo di fatto un'eguaglianza fra cittadini" (Condorcet,1972).3) "voler sviluppare in ogni persona il desiderio di assumersi delle responsabilità sociali, di sentirsi personalmente responsabili dell'ambiente che ci circonda e ci rende liberi". (Macciò, 1975)4) "creare le più ampie occasioni di iniziativa, decisione, responsabilità e autonomia personale per poter sperimentare progressivamente forme di lavoro di gruppo di vicendevole aiuto e sostegno, anche per rendere chiara coscienza della differenza fra 'solidarietà attiva' con il gruppo e 'cedimento passivo' alla pressione del gruppo, tra la capacità di conservare indipendenza di giudizio ed il conformismo, tra il chiedere giustizia e il farsi giustizia da sé" (D.P.R. 104/1985).

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10.7.1. Educazione alla solidarietà

"La basilare consapevolezza delle varie forme di 'diversità e di emarginazione porta a prevenire e contrastare la formazione di stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e culture" (D.P.R. 104/1985)."Gli stereotipi sono visioni clichés di persone e di comportamenti. Gli individui sono classificati in categorie ben definite e si arriva a raffigurarseli in maniera semplificata, assottigliata e caricaturale. Si tende a considerare certe strutture o settori diversi della società in maniera stereotipata. È estremamente difficile cambiare gli stereotipi e facilmente ci si lascia andare a classificare gli individui appartenenti ad una data categoria come se presentassero tutti lo stesso comportamento, le stesse caratteristiche e le stesse reazioni in circostanze identiche. Una delle difficoltà della formazione consiste nel liquidare queste visioni standardizzate per far posto ad altre originali e nuove ... non si può respingere una persona perché non si è d'accordo con le parole, con le idee, gli scritti, le azioni che la contraddistinguono. Accettare non vuol dire approvare. Comprendere non è lo stesso che consentire. La formazione alla relazione comprende anche tutto ciò che permette o facilita le possibilità di espressione, di comunicazione, di scambio. Ognuno di noi, anche il più apparentemente 'diverso ed emarginato', è unico, singolare, originale e possiede una ricchezza ed una personalità profonda, incommensurabile" (Limbos, 1974).Tutto ciò, in una logica di disponibilità alle variabili di ciascuno, ci riporta all'affermazione di Macciò, il quale dice che "generalmente il 90% dei nostri pensieri hanno come oggetto noi stessi. Questo atteggiamento è all'origine di molte incomprensioni, di una mancanza di disponibilità agli altri, di un dialogo tra sordi. Il nostro comportamento di partecipanti sarà più ricco se, non considerandoci più come il centro del mondo, cercheremo di uscire da noi stessi per comprendere gli altri, riflettere con loro, agire con loro" (Macciò, 1975).

10.7.2. Educazione morale e civica

La sensibilità ai problemi della salute e dell'igiene personale, al rispetto dell'ambiente naturale e del corretto atteggiamento verso gli esseri viventi, del comportamento stradale e del risparmio energetico, la conservazione di strutture e servizi di pubblica utilità (a cominciare da quelle scolastiche) è un segno di alta civiltà e un valore civico a cui il ragazzo deve essere educato assiduamente e costantemente fin dai primi momenti del processo di socializzazione. Ciascuno deve prendere coscienza di sé "per scoprire in maniera completa la propria dimensione originale e il proprio ruolo all'interno di una struttura sociale comunitaria, alla luce di una visione etica universale" (M. Gori, 1982).

10.7.3. Favorire esperienze di vita

La guida progressiva ad "ampliare l'orizzonte culturale e sociale oltre la realtà ambientale più prossima, per riflettere, anche attingendo agli strumenti della comunicazione sociale, sulla realtà culturale e sociale più vasta, in uno spirito di comprensione e di cooperazione internazionale, con particolare riguardo alla realtà europea ed al suo processo di integrazione" (D.P.R. 104/1985) è una indicazione precisa di invito a tutto l'apparato scolastico per sfruttare in pieno l'occasione di visite d'istruzione in altri luoghi, la possibilità di fattivi scambi culturali con altre scuole (anche al di fuori del territorio nazionale), di usare, decodificandone criticamente i messaggi, tutti i mezzi di comunicazione (televisione, radio, telefono, cinema, teatro, computers, giornali, ecc.) che permettano una maggiore apertura mentale e una conoscenza realistica del mondo che ci circonda.

10.7.4. Educazione al rispetto, alla conoscenza e all'approfondimento dei valori religiosi

Riprendendo il tema di fondo riguardante l'educazione alla convivenza democratica, nell'ultimo paragrafo della prima parte della Premessa Generale, si puntualizza come "la scuola statale non ha proprio credo da proporre né un agnosticismo da privilegiare, ma contribuisce alla formazione di un costume di reciproca comprensione e di rispetto anche in materia di credo religioso. Essa riconosce il valore della realtà religiosa come un dato storicamente, culturalmente e moralmente incarnato nella realtà sociale di cui il fanciullo ha esperienza ed, in quanto tale, la

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scuola ne fa oggetto di attenzione nel complesso della sua attività educativa, avendo riguardo per l'esperienza religiosa che il fanciullo vive nel proprio ambito familiare ed in modo da maturare sentimenti e comportamenti di rispetto delle diverse posizioni in materia di religione e di rifiuto di ogni forma di discriminazione" (D.P.R. 104/1985)."Le religioni, nel superare i limiti interni che compromettono lo sviluppo del genere umano, favoriscono l'instaurarsi di un più profondo senso di solidarietà. Noi ci rendiamo conto dell'enorme influenza che le grandi religioni esercitano sul mondo contemporaneo. Malgrado gli effetti erosivi della scienza e dei sistemi di vita moderni e nonostante la diffusione di ideologie ateistiche e di un'ottica laica nel mondo economico e politico, la stragrande maggioranza della gente di tutti i paesi sembra credere in Dio o in uno Spirito universale e rivendica l'appartenenza ad una chiesa, a un gruppo religioso o a una fede (Sondaggio Gallup, 1976). Ne consegue che "pur prescindendo dalla complessa teologia delle varie religioni, le forme di lealtà e di valori che esse esprimono e ispirano, rappresentano una forza notevole nel mondo. Tale forza non può essere ignorata nelle valutazioni del futuro, anche se non è facile esprimerla in termini quantitativi e definirla con precisione ... le religioni esercitano una grande influenza sulla mente e sulla condotta degli uomini d'oggi. Se questa influenza potrà favorire lo sviluppo della solidarietà mondiale, dipenderà da quali elementi di questa dottrina, gli elementi particolaristici o quelli universalistici, avranno il sopravvento ... coloro i quali non appartengono ad un nucleo, a una congregazione riconosciuta di una particolare religione, ma professano qualche altra fede religiosa od opinione laica, devono ciò nonostante essere considerati integralmente uomini degni di tutto il riguardo e l'interesse accordati ai membri delle famiglie umane più prossime. I diritti fondamentali dell'uomo comprendono il diritto alla libertà di fede senza che l'adesione a una religione particolare implichi una riduzione della stima o un indebolimento dei legami di solidarietà.Non è probabile, e nemmeno auspicabile, che le differenze di opinioni nel campo religioso e filosofico scompaiano dalla scena del mondo... Un'unica religione mondiale è altrettanto improbabile e indesiderabile di un'unica filosofia, di un unico coordinamento sociale e di un unico sistema di valori. Ma l'unità nell'attuale diversità è possibile ed è necessaria se si vuole evitare che alcuni dei pensieri e delle esperienze più profondi dell'umanità diano origine a esclusivismi e intolleranze, che a loro volta generano brutalità e violenza. Tutti coloro ai quali sta a cuore il proprio patrimonio religioso, e che credono che tale patrimonio dovrà avere un ruolo costruttivo nel futuro, devono prefiggersi come compiti e responsabilità primari la promozione di siffatta unità.La scuola elementare è primariamente un organismo che opera per il raggiungimento di questi obiettivi, per fare in modo che "il bambino possa essere protetto contro le pratiche che possono portare alla discriminazione razziale, alla discriminazione religiosa e a ogni forma di discriminazione. Possa essere educato in uno spirito di comprensione, di tolleranza, di amicizia tra i popoli, di pace e di fratellanza universale e nella consapevolezza che debba consacrare le sue energie e la sua intelligenza al servizio dei propri simili" (O.N.U., 1959).Obiettivo primario è inoltre accettare l'altro nelle sue forme espressive con l'atteggiamento critico, in rapporto a nozioni universali desunte da esperienze concrete.

10.8. GLI OBIETTIVI

La facilità di esposizione con cui si passa dall'enunciazione alla definizione dei contenuti, favorisce nel lettore la comprensione immediata della serie di principi e fini che subito vengono evidenziati e sono: la scuola, l'istruzione, la famiglia, i docenti, gli alunni. L'accortezza con cui il legislatore ha evitato una successione di astratti principi (o assoluti), rende possibile il fatto che i principi e fini vengano subito determinati in quanto armonizzati a tutte le componenti del processo educativo. Quando si parla di cultura, di società, di educazione dell'individuo, traspare la tendenza a ribadire i principi fondamentali su cui si basa la riforma della scuola dell'obbligo:- elevare il livello di educazione e istruzione personale di ciascun cittadino;- potenziarne le capacità di partecipare ai valori della cultura, della civiltà, della convivenza sociale;- contribuire allo sviluppo.

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10.9. LE UNITÀ DI LAVORO

La scuola dell'obbligo (elementare e media), "valorizza nella programmazione educativa e didattica le risorse culturali, ambientali offerte dal territorio e dalle strutture in esso operanti, e nello stesso tempo educa il fanciullo a cogliere il valore dei processi innovativi come fattori di progresso nella storia".Con questa premessa è evidente che le materie di studio devono avere distintamente un piano di lavoro che deve ricollegarsi armonicamente e non rigidamente agli altri piani di lavoro, per ottenere un curricolo organizzato e strutturato di unità di lavoro. Le unità di lavoro devono avere necessariamente un collegamento con il programma per non perdere mai di vista gli obiettivi potenzialmente infiniti, ma si distinguono da essi in quanto, mentre il programma contiene solo una serie di indicazioni, le unità di lavoro ricercano ed evidenziano i collegamenti con le varie realtà territoriali, socio-culturali.Nella programmazione educativa e didattica, Venturi (1980) sottolinea l'importanza della 'situazione' intesa come "il complesso di tutte le informazioni necessarie, indispensabili e utili a definire il contesto sociale, ambientale, economico, culturale nel quale vive l'allievo" (Venturi, 1980).Maragliano e Vertecchi indicano come fondamentali in un curricolo:"a) variabili descrittive a livello di territorio, comprendenti la configurazione geografica, la configurazione urbanistica, le realtà produttive, i servizi esistenti, le risorse culturali, la stratificazione professionale della popolazione, la stratificazione sociale, la provenienza geografica della popolazione;b) variabili descrittive a livello di singola scuola, comprendenti le strutture edilizie della scuola, la classificazione delle risorse didattiche;c) la rubrica socio-culturale, comprendente le indicazioni di tutti i mezzi a disposizione della scuola, il censimento delle occasioni, situazioni, opportunità, mezzi, strumenti, eventi in genere, definiti nel tempo e nello spazio (feste, ricorrenze, usanze, cicli lavorativi agricoli, artigianali, industriali) offerti dall'ambiente;d) la rubrica socio-linguistica, comprendente la raccolta del vocabolario fondamentale d'uso della comunità sociale, la raccolta di un 'lessico di frequenza' per stabilire il patrimonio linguistico di ciascun ragazzo. Tutta la programmazione potrà inoltre utilizzare le conoscenze, le esperienze, il tessuto antropologico-culturale degli alunni per innestarvi e/o riferirvi il processo educativo" (Maragliano e coll., 1978).

10.10. L'INNOVAZIONE METODOLOGICO-DIDATTICA DEI PROCESSI EDUCATIVI

Il ruolo dell'insegnante e la sua professionalità si fanno ben più complesse di quelle della vecchia figura del docente. I programmi ne fanno ampia menzione quando dicono che l'insegnante in primo luogo deve stimolare le energie interiori del fanciullo per promuovere una produttiva riflessione sulle concrete esperienze della vita e, in particolare, su quelle concernenti i rapporti umani.Il mutamento e l'evoluzione degli orientamenti pedagogici, esigono che "la funzione docente venga intesa come esplicazione essenziale dell'attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani perché tale processo serva alla formazione umana e critica della loro personalità" (Decreti Delegati, art. 2).Non bisogna dimenticare che l'insegnante, pur non essendo l'unico depositario del sapere, è l'esperto delle tecniche di acculturazione e di apprendimento, quello che anima, corrobora, favorisce i processi di apprendimento e l'elaborazione della cultura.L'allievo non ha bisogno di un insegnante che gli proponga una cultura da supermarket, incartata e pronta per l'uso, ma di un educatore che gli provochi dubbi, curiosità, forti stimolazioni e motivazioni che lo conducano ad esercitare l'iniziativa individuale e di gruppo, la ricerca, le scoperte nelle quali 'lui' è il protagonista, anche della sua crescita.Dalla figura tradizionale dell'insegnante, inteso come colui che trasmette dalla cattedra il 'verbo', a una figura descolarizzata, permissivista, nulla-proponente, si sta passando sempre più a delineare un soggetto molto professionale di animatore-insegnante, orientatore-canalizzatore, esperto di soluzioni didattiche adatte ai vari

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soggetti. "Compito dell'insegnante è quello di creare occasioni che portino il fanciullo a scambiare con altri le sue esperienze e a far nuove osservazioni, estendendole per mantenere mobili le sue immagini" (Dewey, 1981).Rogers, per descrivere il passaggio da insegnamento adultistico a democratico, fa il parallelo fra il concetto di educazione incentrata sull'alunno e la terapia incentrata sul paziente. Egli si riferisce ai vantaggi che offre la terapia incentrata sul paziente rispetto alle tradizionali terapie direttive, sistema di cura basato sulle diagnosi e prescrizioni mediche, che risolve il problema terapeutico dirigendo il paziente, sostituendosi alla sua volontà. La terapia centrata sul paziente propugna un'azione psicologica del medico rivolta a convincere il malato a capire se stesso (Rogers, 1979). Lindgren, nello spiegare le teorie di Rogers, afferma che il rapporto paziente-terapeuta si ha anche in quello tra alunni ed insegnanti. Da questi termini psicologici e clinici si può far derivare la scuola centrata sul fanciullo (Lindgren, 1954).De Bartolomeis dice che "all'insegnante si richiede non solo un elevamento qualitativo delle competenze disciplinari, psicopedagogiche e didattiche, ma anche una estensione delle competenze ad altri campi, quelli delle capacità non genericamente organizzative e gestionali affrontabili con un po' di buon senso o di senso pratico" (De Bartolomeis, 1976).Ancora De Bartolomeis, nel tracciare un profilo professionale, dice che l'insegnante deve avere:"1) coscienza di svolgere un lavoro sociale in accordo a una scelta di campo e di obiettivi; 2) capacità di programmare l'azione educativa con riguardo alle molteplicità di fattori che si accentrano in essa; 3) capacità di realizzare interventi a favore dell'apprendimento, della produzione, della socializzazione; 4) capacità di lavorare in gruppo e di promuovere negli studenti la collaborazione in generale e il lavoro di gruppo in particolare; 5) capacità di fare ricerche e organizzare le condizioni perché anche gli studenti ne facciano; 6) coscienza delle connessioni necessarie tra le discipline e capacità di trattare problemi secondo tali connessioni (interdisciplinari); 7) capacità di affrontare in modo creativo i problemi e di promuovere queste capacità negli studenti; 8) capacità di trattare problemi di rapporti interpersonali e di promuovere la socializzazione; 9) capacità di usare gli strumenti di valutazione e di sviluppare negli studenti la valutazione e l'autovalutazione;10) sensibilità sociale, sincero interesse per gli altri e tendenza a valorizzare gli altri, capacità di autocontrollo non inibitorio, capacità di partecipazione, apprezzamento per le novità prodotte dai giovani, stile personale, ma non faziosità, libertà delle preoccupazioni di vita, quelle di affermarsi, senso dell'humour, coerenza non rigida del comportamento" (De Bartolomeis, 1976).Per Venturi, "l'insegnante si colloca all'incrocio tra cultura e pratica didattica. Non deve solo sapere, deve sapere insegnare quello che sa, che non è la stessa cosa del sapere, come dimostra molta gente che sa senza sapere insegnare. E non deve solo sapere, e nemmeno soltanto sapere insegnare quello che sa, ma sapere che cosa, di quello che sa, può essere insegnato e come: deve avere la capacità di commisurare il proprio sapere alla capacità di apprendere nei modi, tempi, luoghi del discente ... l'educatore è il tecnico dell'acculturazione, l'esperto di procedure didattiche e di processi di apprendimento. Se è vero che dovrà pur essere assicurata l'iniziativa responsabile nelle scelte didattiche e nella programmazione degli itinerari di apprendimento, proprio questo implica e richiede l'acquisizione di una specifica capacità professionale, che significa preparazione non solo sul piano culturale specifico, ma anche su quello della pratica didattica, che è un ampliamento delle responsabilità del docente in relazione alle quali si pone l'esigenza di una più approfondita preparazione ... da ciò la necessità di un aggiornamento che permetta al docente non solo di adeguare le proprie conoscenze, ma anche di acquisire gli strumenti necessari per affrontare con competenza i propri compiti, cioè quanto occorre per fondare ed anche esaltare e rafforzare la sua dignità professionale. La professionalità è competenza in un impegno specifico che non trova il suo centro nella soddisfazione personale del docente, ma nel risultato del lavoro professionalmente corretto, cioè rispondente alle ragioni per cui è stato qualificato: obiettivi dei programmi secondo la legge. Professionalità significa scarico di emotività personale a vantaggio della lucidità degli intenti e dei mezzi" (Venturi, 1980).

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CAP. XI - L'INSEGNAMENTO

L'insegnamento (Dalla Volta A., Dizionario di psicologia, Giunti Barbera, Firenze, 1974) è l'attività sociale con cui è data assistenza e guida a chi apprende. Nelle forme più tipiche implica un rapporto di affezione interpersonale, più o meno stretto, fra chi insegna e chi apprende. Può essere impartito in modi diversi, ma presuppone generalmente una certa sistematicità e mete più o meno ben definite. L'insegnamento nell'ambito delle istituzioni educative che rispondono a programmi prestabiliti e che attuano una valutazione dei risultati fondata su computi numerici o simili si indica spesso con il termine sinonimico "istruzione". L'istruzione, ad un dato livello culturale della società, diviene obbligatoria e quindi, entro certi limiti, è imposta a tutti i componenti del gruppo socio-culturale.Non molti decenni fa il processo didattico veniva analizzato esclusivamente in termini filosofici e proiettato sullo sfondo di sistemi gnoseologici di tipo idealistico o di tipo positivistico, oppure sulla matrice classica della filosofia agostiniana, tomistica e neo-scolastica. Recentemente la visuale si è spostata da un'asse essenzialista a quella fenomenologico-descrittiva e spesso sperimentale. L'insegnamento è visto quindi come un sistema di operazioni, tipicamente interattive, commisurate funzionalmente al raggiungimento di precisi obiettivi di apprendimento, empiricamente verificabili. In tal senso è opportuno descrivere la Teoria Generale dei Sistemi proposta da Titone (R. Titone, Psicodidattica, ed. La Scuola, Brescia 1977). L'appello alla Teoria Generale dei Sistemi (T.G.S.) è giustificato dalla proposizione assiomatica che pone l'insegnamento come sistema dinamico.a) - TGS e la Psicodidattica: la TGS, come metateoria applicabile a tutte le scienze, è legata al nome del biologo-epistemologo Ludwig Von Bertalanffy. È una teoria generale della "totalità" che è vista come "sistema" ossia come un insieme di elementi legati fra loro da interazioni e interdipendenze. Il concetto di sistema "aperto", in particolare, è fondamentale nelle scienze della vita (biologia, psicologia, etologia, sociologia, ecc.), in quanto la dinamica di un sistema vitale implica una costante interazione con l'ambiente e con gli altri sistemi (vedi i fenomeni omeostatici). Bertalanffy stesso ha applicato il concetto di sistema alla psicologia, considerando l'uomo come totalità auto-attiva, cioè come un insieme organismico e non meccanicistico. Il concetto "sistemico" di uomo comprenderebbe:1 - il principio "organismico" dell'attività immanente, autonoma o spontanea, associato strettamente a:2 - il principio "umanistico" delle funzioni simboliche come peculiari della persona umana nella sua espressione e nelle sue realizzazioni. Questi medesimi concetti si riflettono in un'analisi dell'insegnamento in chiave sistemica.b) - Concetto 'sistemico di insegnamento: un concetto sistemico di insegnamento rappresenta la negazione più radicale sia del riduzionismo, che vede nell'insegnare un'operazione semplice, unidirezionale, decontestualizzata, depersonalizzata, sia del disorganicismo, che considera l'insegnamento come un insieme di attività irrelate, non finalizzate (lo spontaneismo didattico della pedagogia idealistica). L'insegnamento visto nella sua complessa realtà ci appare come un processo organizzato, descrivibile con una serie di equazioni sistematiche del tipo:I = sistema dinamico interattivo = totalità organizzata di interazioni = unità di operazioni interrelate e dipendenti da finalità ben definite, ultime (generali) e intermedie (obiettivi particolari).Graficamente, il sistema didattico si rappresenta con una polarizzazione centrale e con delle fasce concentriche:

I A SS SD ___ ___________ ___ s-r c r sF = finalità educative/didatticheI = insegnante (insegnamento)A = alunno (apprendimento)M = metodo (mezzi, procedimenti, tecniche)SD = situazione didatticaSS = situazione sociale (ambientale)c = comunicazione didattica

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o = oggetto di apprendimentom = maturità (relativa all'oggetto)s = stimolo reversibiler = risposta reversibile___ = relazione attualizzata___________ = relazione potenziale

Un modello sistemico, così delineato, serve sia per rappresentare la struttura dinamica della didassi, come rete di rapporti interattivi reversibili (tra S/insegnante e R/allievo è non solo possibile, ma necessario uno scambio contingente di ruoli) e quindi come processo non lineare ma ciclico e concentrico allo stesso tempo (sviluppo dell'apprendimento a spirale aperta), sia per guidare ad una analisi esplicativa e ad una regolazione direzionale del processo didattico, ossia come modello diagnostico e operativo. Ma l'asse portante del processo didattico, come è visualizzato dalla base del triangolo, è costituito dalla comunicazione.L'insegnante appare come processo di comunicazione nella sua realtà iniziale, ma, visto finalisticamente, trascende la comunicazione come semplice trasmissione di informazione.c) - Analisi interazionale come analisi del docente e del discente: la comunicazione didattica si svolge prevalentemente (anche se tale consuetudine si presta a ben noti inconvenienti) in forma verbale: spiegazioni, esposizioni, interrogazioni, raramente dialoghi o discussioni. Ciò spiega perché le analisi psicologiche dell'insegnamento si siano di regola rivolte allo studio delle varie modalità didattiche della interazione verbale, ignorando la varietà dei segni didattici. Soprattutto negli Stati Uniti, e assai meno in Europa (Belgio, Gran Bretagna, Francia, Italia), si sono affinate e applicate tecniche di analisi non prive di interesse. Come seconda premessa, si dovrebbe anche aggiungere che un'altra deficienza di tali analisi consiste nell'ignorare la caratteristica (sistematica) dell'insegnamento riducendo il quadro di riferimento alla pura interazione fra insegnante e alunno, e spesso in prospettiva unidirezionale. Ma l'interazione nucleare "Insegnamento/Apprendimento" non può essere spiegata prescindendo dalle reti dei sistemi e sottosistemi che la avviluppano (condizioni sociali, economiche, culturali, fisico-ambientali, ecc. ...). Per lo meno, un'analisi del comportamento docente non può essere isolata da un'analisi del comportamento discente.

11.1. ANALISI DEL COMPORTAMENTO DOCENTE

L'insegnamento viene diviso in momenti salienti, che danno origine a diverse categorie di analisi. Secondo Amidon e Hunter, "le categorie utilizzate nell'analisi della comunicazione verbale sono le seguenti: dare informazioni, impartire istruzioni, fare domande, accettare o rifiutare risposte, tacere" (E. Amidon, E. Hunter, l'interazione verbale nella scuola, Angeli, Milano, 1971, p. 41).Tuttavia, le categorie, i criteri e i procedimenti di analisi del comportamento verbale dell'insegnante variano, anche se non profondamente, secondo i ricercatori e i modelli analitici adoperati.I metodi più significativi in proposito si possono ridurre a tre: quelli di Bruce R. Joyce, di Ned A. Flanders e di Arno A. Bellack. Joyce postula quattro categorie fondamentali del comportamento docente articolate in diciassette sottocategorie. Le quattro categorie fondamentali sono: sanzione, informazione, procedimento, mantenimento. (Il Procedimento si riferisce alle modalità di intervento didattico; il Mantenimento riguarda il clima della classe o il tipo di rapporti). Il criterio interpretativo di Joyce sta nel principio che l'efficacia dell'insegnamento dipende dalla flessibilità o adattabilità dell'insegnante alle situazioni. Mentre il modello di Joyce si accentra sull'insegnante come fonte della comunicazione, quello di Flanders si dirige più equilibratamente allo studio dell'interazione verbale come tale. L'influsso dell'insegnante, che si manifesta soprattutto verbalmente, si caratterizza nel quadro della dimensione "autoritarietà/democraticità", per cui si può rilevare un influsso diretto o indiretto (dominatore/autoritario) e un influsso indiretto o non-direttivo (integrativo, democratico). Flanders postula dieci categorie, distribuite secondo la dimensione anzidetta.Bellack focalizza ancora più fortemente la parola docente e, quindi, suo compito dominante è la descrizione dei processi tipici che caratterizzano il dialogo insegnante/allievi nel corso della lezione. Le categorizzazioni usate

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sono tratte in gran parte dalla filosofia del linguaggio (Wittgenstein, Fegl, Brown) e si articolano in categorie (comprendenti azioni verbali, cicli didattici, senso delle azioni verbali), unità del discorso e codice. La complessità di struttura di questo sistema lo rende meno agevole per l'uso formativo degli insegnanti, riservandolo quasi esclusivamente a scopi di ricerca. I modelli citati ci lasciano però perplessi per alcune loro vistose deficienze: la eccessiva semplificazione delle categorie didattiche, la rigidità di schema di analisi, la negligenza dei contenuti dell'insegnamento, l'aderenza troppo rigida all'aspetto verbale della interazione; l'accettazione di un modello tradizionale di lezione, ecc. ..., non permettono analisi approfondite degli aspetti più decisamente significativi della didassi. Tuttavia, tali indagini sono sufficienti intanto a condurci a conclusioni sconfortanti: gli insegnanti parlano troppo (per il 75% del totale della comunicazione didattica, attesta Flanders); il metodo didattico è in gran parte espositivo e verbalistico (De Landsheere per i maestri belgi esaminati; Stukat e Evgstrom per gli insegnanti svedesi; gli americani Hoetker e Ahlbrand indicano come la "recitazione sia ancora il procedimento centrale dell'insegnamento").

11.2. ANALISI DEL COMPORTAMENTO DISCENTE

In senso tecnicamente ristretto si parla oggi di "learner analysis", o analisi del discente.Si tratta dell'impiego di procedimenti scientifici atti a rilevare aspetti importanti del comportamento del discente, in relazione ai compiti di apprendimento, soprattutto in condizioni di addestramento tecnico (campo in cui tali procedimenti sono stati applicati finora). Formalmente l'analisi del discente è stata definita come "insieme di metodi o programmi empirici di analisi che, se combinati con la task analysis (Learning Research and Development Center della Università di Pittsburgh, a cui hanno partecipato nomi assai noti nel campo psicopedagogico, da R. M. Gagné a R. Glaser, L. J. Gronbach, J. B. Carrol, A. R. Jensen, A. W. Melton ed altri), forniscono le specificazioni necessarie per una didattica al massimo efficace ed efficiente". L'oggetto di tale analisi è stato assunto variamente dai ricercatori: ad esempio, un insieme di informazioni socio-culturali riguardanti un dato gruppo di discenti; l'identificazione delle preferenze; la determinazione dello status del discente in base a misure sommarie di capacità; raccolte di informazioni circa variabili personali; dati longitudinali su discenti precedentemente analizzati; valutazioni dei bisogni o della "domanda" del discente-consumatore; ecc. ...Non c'è dubbio che una più precisa analisi delle attitudini e dei comportamenti di risposta del discente contribuirebbe a dirigere più efficacemente la programmazione didattica, un compito a cui la psicodidattica dovrebbe dedicare ampio spazio come di sua pertinenza. Tra i compiti specifici dell'analisi del discente, rientra quello della individuazione delle differenze individuali, che possono incidere decisivamente sull'apprendimento e sulla strategia dell'insegnamento.La didattica si è occupata delle differenze individuali (Psicologia Differenziale) da quando ha posto tra i suoi principi fondamentali quello della "individualizzazione". D'altra parte, è almeno dai tempi di E. L. Thorndike che si è posto il problema delle differenze individuali nel contesto degli studi sull'apprendimento. L'interesse per questo aspetto, proprio nel quadro di un discorso scientifico sulla Psicodidattica, non si è smorzato oggi, se si pensa che è di pochi anni fa un dibattito su tale tema promosso dal la task analysis (analisi dei compiti) si riferisce a metodi di identificazione e organizzazione di tipi e processi di apprendimento considerati analiticamente in condizioni, sequenze e strutture di apprendimento (R. Titone, Psicodidattica, La Scuola, Brescia 1977 p.27). I tentativi di adattare l'istruzione alle differenze individuali si sono succeduti nella storia recente della didattica con minore o maggiore fortuna (dalle cosiddette "classi omogenee", o raggruppamento per abilità, ai vari Piani e Metodi, quali Dalton, Winnetka, Remy, ecc.); tra i più promettenti si può ricordare quello legato alle varie tecnologie di istruzione programmata; ma, in genere, la inadeguatezza metodologica si è accompagnata alla mancanza di un solido supporto di ricerca psicopedagogica.

11.3. LA PLURALITÀ DOCENTE

Lo sviluppo delle scienze, la massa crescente di informazioni prescolastiche di cui sono fornite le nuove generazioni, l'impossibilità umana prima che culturale di richiedere ad un individuo una somma di competenze disciplinari approfondite, la patologica superficialità culturale di cui ovviamente un docente unico è costretto a

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soffrire sono i punti di riferimento per la strutturazione dei nuovi programmi. Fra le molte posizioni prevalgono due modelli:1) aggiunge all'insegnante titolare degli esperti, specialisti per alcune discipline;2) il gruppo docenti è composto da contitolari a pieno titolo che insieme programmano e valutano.Questo secondo modello è il più innovativo, quello più difficile da accettare, ma, nello stesso tempo, quello che alla distanza offre dei vantaggi perché si può praticare anche nelle piccole scuole; ma più che altro mette i docenti e relativi insegnamenti su un piano di pari dignità umana, professionale, epistemologica.Togliere il bambino dal rapporto di dipendenza da una sola persona vuol dire rispettare la natura della normale convivenza sociale; fin dalla nascita il bambino ha avuto a sua disposizione più modelli educativi che gli hanno favorito una crescita ricca e armonica, in uno spazio di maggiore libertà, di maggiori occasioni, di maggiori opportunità.

11.4. IL TEAM TEACHING

In merito alla pluralità dei docenti si avanzano diverse ipotesi; la più accreditata è quella del "team". Il carattere precipuo di questa soluzione è la stretta e continua cooperazione fra gli insegnanti in ordine alle attività di insegnamento. Si profila un vero e proprio "gioco di squadra" che esige lavoro comune di valutazione delle situazioni di apprendimento individuale e di gruppo.L'organizzazione del team può essere articolata per competenza disciplinare o per ruolo; nel primo caso si fa perno su questa o quella disciplina, nel secondo caso si utilizza il criterio dell'animazione e della guida.La collegialità viene richiamata nei nuovi programmi in relazione all'organizzazione didattica. Per l'attivazione di questa organizzazione si possono fissare tre criteri guida:1) Criterio dell'intenzionalità:- si stabiliscono finalità educative che si vogliono conseguire;- si individuano attività e contenuti da far apprendere;- si prescrivono mete di apprendimento.2) Criterio di asimmetricità del rapporto educativo; il docente non può realizzare un efficace insegnamento, se non lo commisura sia alla "storia cognitiva" degli alunni, sia ai loro stili di apprendimento.3) Criterio della flessibilità, è considerato il criterio di maggior significato per l'attivazione dell'organizzazione didattica. Postulare questo criterio vuol dire imprimere un indirizzo particolare al lavoro didattico.Nel documento dei nuovi programmi il riferimento a questo criterio è implicito al disegno del piano di impostazione didattica; è esplicito quando si descrivono i criteri che possono dargli concretezza.A volte il team teaching potrebbe rappresentare un alibi per sottrarsi alla propria personale responsabilità per conflitti che riguardano le reciproche competenze.Il vero obiettivo del "team teaching" è quello di sviluppare già nella scuola primaria, in modo integrato, la familiarità e la capacità di servirsi dei diversi modi e strumenti che caratterizzano le diverse materie, in quanto modi di contatto con la realtà.La situazione della scuola elementare consente una migliore costituzione del team perché la preparazione di base dei docenti è omogenea. Non vi sarà un insegnante titolare con altri insegnanti aggiunti, ma la contitolarietà dovrà essere giocata anche a livelli tattici nella distribuzione dei tempi e delle varie discipline, nella programmazione di tutti i contenuti, metodi e procedure di verifica.La pluralità di insegnanti per lo stesso gruppo di alunni è da attuarsi particolarmente nel secondo ciclo. È importante che i docenti siano coinvolti collegialmente e personalmente nel processo di innovazione e non avvertano l'adozione dei programmi come qualcosa di imposto dall'esterno, bensì come il risultato di una confluenza di proposte di tutta la scuola, nella quale hanno un ruolo di primo piano.

11.5. LA FUNZIONE DOCENTE

L'insegnante, per poter operare costruttivamente, ha bisogno delle seguenti prerogative:

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a) non essere abbandonato a se stesso, ma fruire del supporto di una struttura organizzata, aperta all'iniziativa culturale e alla ricerca;b) lavorare in un ambiente sereno e gratificante che gli possa permettere di estrinsecare la sua professionalità;c) avere il diritto di aggiornarsi e di produrre cultura;d) collaborare con persone che non ostacolino le iniziative e il rinnovamento, ma che viceversa favoriscano i processi di modernizzazione dell'apparato scolastico;e) non essere ridotto a funzione impiegatizia. L'impressione che si ha molte volte della scuola è che la cosa più importante sia il dover essere estremamente burocratici e formali (più che sostanziali) attraverso la compilazione pedissequa di registri, verbali, relazioni che aumentano gli stress e inibiscono la dinamicità educativa del docente. Quello che i docenti chiedono a gran voce è lo snellimento e la diluizione delle pratiche formali, a vantaggio della reale operatività educativa;f) un rapporto con l'autorità scolastica che, fatto salvo il principio e il rispetto della gerarchia, sia un rapporto non di subordinazione, ma di collaborazione democratica su un piano culturale paritetico.Purtroppo, ancora, chi sceglie la professione del pedagogista-educatore deve essere consapevole di avere faticosi vincoli da rispettare quali lottare con difficoltà sclerotizzate, non lasciarsi vincere dalla mortificazione, subire l'isolamento, convincersi che malgrado tutto continuare a lavorare per l'educazione dà risultati positivi, anche se spesso questi non appaiono in trasparenza.

11.6. ATTIVITÀ DEGLI INSEGNANTI

L'insegnante in classe si trova quotidianamente coinvolto in un rapporto che impone modificazioni nell'itinerario didattico; il problema più grande è scegliere quale strada alternativa intraprendere affinché "tutti" i bambini apprendano. Il lavoro in équipe, oltre che una necessità operativa dell'attività scolastica, vuole essere un modello a cui esporre i bambini affinché, da subito, si avviino ad usarlo nella loro attività, nel gioco, nella pratica della ricerca, nello studio.L'educatore e l'insegnante, per individuare nel modo più preciso possibile le strategie di intervento, si avvalgono dei risultati di esperienze psicologiche, antropologiche, auxologiche...In primo luogo abbiamo la diagnosi della situazione iniziale, la conoscenza della realtà nella quale si deve operare, e poi, di seguito, l'individuazione delle strategie d'intervento didattico e la loro realizzazione.Nella scuola il maestro occupa il punto critico di saldatura tra le esperienze precedenti e quelle successive, perché è nella continuità che si realizza il cammino della cultura e delle civiltà. Il docente è definito elaboratore e promotore della cultura, egli incarna cioè il compito di interprete del proprio tempo e cooperatore per la costruzione dell'avvenire.Le innovazioni legislative e amministrative necessarie per un rinnovamento della scuola hanno nella professionalità dei docenti il loro limite di fattibilità, non si piò volere cioè una scuola elementare nuova se queste innovazioni non sono accettate, capite, messe in atto dagli insegnanti; fare una scuola elementare che educa attraverso la cultura vuol dire che il ruolo più importante è affidato all'insegnante e non alle dichiarazioni o alle norme. L'esercizio dell'insegnamento è inteso a promuovere, attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni. Nonostante ciò, nel suo lavoro didattico, all'insegnante servono criteri di riferimento definiti da tener presenti nello sviluppo delle diverse attività, perché l'elaborazione apprenditiva di un contenuto è facilitata se si usano diversi media apprenditivi.L'attività dell'insegnante è organizzata in 4 fasi:1) fase di orientamento generale,2) fase di istruzione delle unità didattiche,3) fase di animazione delle unità didattiche,4) fase di osservazione e annotazione dell'evento educativo.La prima fase comprende l'informazione sul "come" del metodo; è l'esplicitazione del ruolo dell'insegnante come animatore esperto nelle verifiche e nelle valutazioni. Comprende le comunicazioni che si ritengono essenziali ad orientare gli studenti sul metodo e, di fatto, riguarda, in particolare, le verifiche, la valutazione formativa e il

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recupero, la valutazione finale e il ruolo dello studente in rapporto a queste.L'informazione sul cosa o come degli obiettivi didattici è l'esplicitazione del ruolo dell'insegnante come "esperto" sugli obiettivi e come programmatore.La seconda fase segna il primo tempo di ingresso dell'informazione, ha specifiche funzioni orientative e preparatorie, deve comprendere tutte le informazioni su ciò che i bambini apprenderanno, e come, durante la didattica.Finita la fase di orientamento e di istruzione, tutta la classe è informata su obiettivi, contenuti, fasi dell'unità. A questo punto comincia la terza fase o meglio definita come la fase dell'informazione e dei compiti operativi; gli autori suggeriscono di coinvolgere attivamente gli studenti:- incoraggiando l'apprendimento durante la lezione;- incentivarlo, promettendogli che ad apprendimento raggiunto si potrà dedicare all'attività preferita;- "minimizzare", togliendo le cose marginali e secondarie del materiale dell'unità, suggerendo 5 tecniche di gestione:1)Ubiquità, saper sempre cosa accade in classe;2) scorrevolezza, cercare di mantenere continuo il corso delle attività;3) ritmo, evitare comportamenti che lo rallentino;4) sollecitazione, tener desta l'attenzione del gruppo;5) varietà, evitare di tenere gli studenti fermi ai banchi a fare la stessa cosa per molto tempo.Il problema dell'organizzazione delle attività riguarda senza dubbio le strutture e le risorse materiali a disposizione, ma è anzitutto legato alla capacità degli insegnanti di consentire l'azione diretta: la manipolazione, la progettazione, la ricerca, la verifica.Le attività da programmare sono molteplici, differenziate, finalizzate a diversi scopi; ed è fondamentale il tessuto di relazione che si stabilisce nell'ambiente scolastico quando i contributi dei vari operatori, le risorse materiali e strumentali, gli apporti sociali, culturali e civili sono opportunamente programmati.

11.7. FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

La formazione dell'insegnante elementare, la sua esperienza e ambiente di lavoro lo portano ad una attenzione e ad un impegno più costante verso l'intera persona del bambino; l'insegnamento dovrà muovere dall'esperienza ludica (propria della scuola materna) per assumere progressivamente forme razionali finalizzate alla consapevolezza e alla creatività.Solo in questo modo, cioè dando più valore alla parte ludica, si sdrammatizza la visione della scuola rigida; tutto si apprende con il gioco e per mezzo del gioco, questo è risultato anche l'unico modo per far sì che l'attenzione del bambino sia più duratura.Il processo formativo è complesso ed esige una sensibilità nell'educatore che lo rende di volta in volta animatore, facilitatore, docente nella accezione lata del termine operante in una struttura che può essere vista sia come scuola-vita, sia come preparazione alla vita.L'uomo del 2000 sente la crisi del nostro tempo ed anela ad una comunità che dovrà essere aperta e vitale proprio per il contributo di ciascuno e di tutti i suoi componenti. Da ciò il convincimento di una scuola come comunità che interagisce con la più vasta comunità sociale. Il maestro deve sempre tener presente che l'educazione dell'alunno non comincia e non si esaurisce nella scuola; così il lavoro dei programmi viene inteso come mezzo per stimolare il costume scolastico già esistente per orientarlo verso le finalità civili e sociali dell'istituzione pubblica.L'educatore, afferma Postic, è colui che regola la relazione tra ciascun alunno ed il gruppo, poiché solo lui è capace di interpretare le difficoltà che l'allievo incontra nel suo apprendimento; l'insegnante si impegna personalmente nella situazione, vuole comprendere il significato dell'interno, facendo ciò subisce egli stesso il controllo di tutti.Secondo Cousinet, nell'educatore devono coesistere un valore e un saper fare. Se per "sapere" consideriamo l'insieme delle conoscenze, per "valore" il carattere e la personalità esemplare, il "saper fare" è la qualificazione didattica, operativa delle capacità professionali del docente stesso. Queste caratteristiche sono inversamente

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proporzionali ai gradi di scuola, dalla materna alla superiore; nell'università prevale il saper, nella materna il saper fare.Il "sapere" ed il "saper fare" devono essere rispondenti ad una struttura scolastica concepita come centro culturale polivalente, nella prospettiva di una bene intesa educazione permanente.L'aggiornamento è un diritto-dovere dell'insegnante, inteso in una triplice accezione:1) adeguamento delle conoscenze allo sviluppo delle scienze per singole discipline;2) approfondimento della preparazione didattica;3) partecipazione alla ricerca e alla innovazione didattica.Per tutti gli insegnanti la preparazione deve essere universitaria, con possibilità di specializzazioni disciplinari approfondite; il prolungamento degli studi costituirà il primo fattore selettivo, in seguito si avranno concorsi regolari e frequenti.Per gli insegnanti già in servizio sono previsti corsi di perfezionamento presso le università e stages di carattere teorico-pratico con tirocini in Italia e all'estero.La formazione degli insegnanti rappresenta una condizione necessaria per il rinnovamento della scuola e deve riguardare sia l'aggiornamento scientifico, disciplinare, interdisciplinare, sia quello pedagogico, metodologico, didattico, non trascurando la dimensione socio-politica della professionalità docente.La ricerca internazionale individua due grandi categorie di soggetti agenti nella formazione in servizio: quelli interni all'istituzione e al rapporto-contratto di lavoro e quelli esterni, liberi, volontariamente organizzati dagli operatori per svariati scopi. La formazione in servizio per la professionalità deve avere come centro la scuola, il luogo di azione che è anche formazione. La ricerca internazionale, al riguardo, si esprime in questo modo: "per garantire una reale attuazione del cambiamento, dobbiamo lavorare con gli insegnanti nella situazione e nel luogo dove questo cambiamento dovrà prodursi".Centri territoriali dovrebbero integrare un'azione di formazione a distanza attraverso i mezzi audio-video che potrebbero comportare anche il rischio di una standardizzazione, ma potrebbe anche essere una funzione di prima sensibilizzazione.

11.8. AGGIORNAMENTO E QUALIFICAZIONE PROFESSIONALE DEL DOCENTE

Nella prassi, nonostante si auspichi una sempre maggiore qualificazione dell'insegnante, essa non è ancora adeguata ai compiti e alle responsabilità che si richiedono al docente. Le verticalizzazioni della scienza e della cultura impongono al docente una permanente 'tensione' intellettuale che molte volte lo disorienta.Il docente vive spesso (per svariate ragioni di carattere burocratico, economico, politico, psico-sociologico) una realtà professionale alienante e frustrante. La politica scolastica deve garantire il diritto di operare in condizioni di lavoro socialmente favorevoli. È assurdo insistere sui doveri educativi, morali che l'insegnante ha nei confronti degli alunni se, nello stesso tempo, non gli si offre un corrispettivo economico, professionale, strutturale adeguato.Venturi afferma che purtroppo, "quando entrano in ballo il ruolo o la funzione o semplicemente la figura dei docenti, immediatamente il discorso si complica perché di tutte la faccende scolastiche, al fondo, quando le cose non funzionano, gli insegnanti sono le prime vittime, vittime della polemica e dell'ironia sarcastica e amara insieme... La coltivazione delle frustrazioni dei docenti è preliminare alla selezione dei discenti in maniera tale che essi avvertono il loro ruolo non come situazione, ma come condizione, cioè frustrazione e impotenza, sempre con il segno negativo che accompagna ogni condizionamento" (Venturi, 1980).Siamo del parere che ad una società in continua trasformazione deve corrispondere una scuola più strutturata e una professionalità docente ricca di specifiche capacità professionali. Giustamente all'insegnante di oggi vengono richieste doti e requisiti professionali di altissimo livello.È indispensabile altresì che egli possa avere gli strumenti e le gratificazioni necessarie per espletare tale funzione;De Bartolomeis, dichiarando l'importanza della sistematicità, della collegialità dell'intervento educativo, delle influenze socio-politiche che condizionano l'apparato scolastico, dell'esigenza impellente di una formazione del corpo docente, afferma che ,"non pensando in termini di sistema, l'attenzione si accentra sul singolo insegnante, caricandolo di tutto il peso dell'azione educativa. Gli chiediamo livelli di abilità che non gli chiederemmo se fosse

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chiaro che egli ha il diritto di dividere tale peso con le risorse dell'ambiente in cui lavora, con le strutture di gestione, con i colleghi, con le famiglie, con le componenti della comunità; se è uno contro tutti, ha l'obbligo crudele di essere un individuo di esecuzione con scarse possibilità di mutare la natura delle influenze negative" (De Bartolomeis, 1976).

11.9. RUOLO DEGLI INSEGNANTI NELLA PROGRAMMAZIONE

Il collegio dei docenti ha il compito di curare la "programmazione" dell'azione educativa anche per adeguare gli ordinamenti della scuola alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare. Valuta periodicamente l'andamento complessivo dell'azione didattica per verificarne l'efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo ove necessario opportune misure per il miglioramento dell'attività scolastica.Alla ripresa del lavoro scolastico, nel mese di settembre, il collegio dei docenti aggiorna il suo discorso culturale e pedagogico, lo puntualizza, ne esplica gli obiettivi da privilegiare e ne mette a fuoco gli aspetti salienti, soprattutto in ragione dei problemi che la comunità scolastica vive, delle esigenze che manifesta, delle possibilità che esprime.Per questo lavoro dovrebbe essere impiegato tutto il collegio e lo sbocco pratico di questa attività dovrebbe essere l'elaborazione di un piano annuale di attività, contenente le linee essenziali di lavoro per tutto il circolo, le scelte organizzative generali, il preventivo di utilizzo delle risorse disponibili (persone e mezzi).Molto importante è anche il comportamento dell'insegnante nell'iterazione in classe perché ha ripercussione sul comportamento degli allievi. Egli deve:- regolare la partecipazione degli allievi;- organizzare il movimento degli allievi all'interno della classe;- fissare la programmazione e la suddivisione del lavoro;- controllare senza pregiudizi l'avanzamento dei lavori e il grado di comprensione generale.Con l'introduzione di un insegnamento diversificato si potrebbe innanzitutto migliorare il problema del recupero e poi anche la valutazione dell'allievo sarebbe più oggettiva perché scaturita da una molteplicità di punti di vista.L'atmosfera di classe non sarà più protettiva e fonte di sicurezza, ma di disorientamento ed insicurezza, questo perché per lavorare in team è necessario il superamento dell'individualismo e l'acquisizione di una disponibilità al dialogo e al confronto. Poter lavorare in gruppo è sempre risultato molto difficile perché crea tensione-conflitti, sia all'interno del gruppo docente, che nel rapporto tra questo e gli allievi.Concludendo si può dire che il rinnovamento scolastico e degli insegnanti riveste principalmente tre livelli:1) culturale: bisogna appropriarsi di una solida mentalità scientifica e di una valida teoria dell'istruzione.2) professionale: bisogna possedere la necessaria competenza didattica che permetta di progettare, realizzare, valutare la mediazione della cultura nell'attività di classe.3) relazionale: l'insegnante non è isolato né dai colleghi, né dal contesto sociale.

11.10. RUOLO E FORMAZIONE PROFESSIONALE DELL'INSEGNANTE

Una definizione adeguata dell'insegnante e dell'insegnamento riesce, ancora oggi, molto difficile per il fatto che l'insegnante svolge diverse funzioni quali, ad esempio, la promozione del processo di formazione dell'alunno; la mediazione tra l'alunno e la cultura, e l'alunno e la società; la programmazione didattica, ecc..Secondo l'etimologia, l'insegnante è colui che 'imprime' il segno nella mente del docente.In realtà l'insegnamento può essere definito da più punti di vista: il pedagogico, in base alla attività e aspettative che sviluppa; lo psicologico, in base al comportamento dell'insegnante, a quello degli alunni e al loro reciproco rapporto; il sociologico, in base ai molteplici scopi, valori, istituzioni e norme di comportamento proprio di una specifica cultura; il filosofico, in base ai diversi sistemi di credenze, di comprensione, di analisi. In questa sede considererò l'insegnante nella sua specifica funzione educativa, di guida e di comportamento del processo di istruzione, così come si compie nella scuola.Il problema del ruolo e della formazione professionale degli insegnanti è complesso perché strettamente

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interdipendente con le esigenze di un certo tipo di società e con le finalità che questo tipo di società impone alla scuola. Il ruolo dell'insegnante tradizionale è ancorato allo svolgimento di un programma preordinato di contenuti codificati, in una classe il più possibile omogenea di alunni che sviluppano il medesimo processo di apprendimento e negli stessi tempi.La funzione dell'insegnante è quella di trasmettere e giudicare: trasmettere messaggi, mediante un unico canale di comunicazione (la lezione), legato al metodo espositivo e al libro di testo, che è lo schema fondamentale di presentazione e di rappresentazione delle informazioni di una data materia; giudicare il livello di ricezione degli alunni mediante la verifica (compiti e interrogazioni orali) e la classificazione del profitto (voto, esami).Il modello tradizionale dell'imparare scolastico, quindi, è incentrato su un programma che l'alunno deve svolgere per intero. L'insegnante spiega i contenuti del programma mediante la lezione e l'alunno segue mediante l'ascolto e lo studio del libro di testo.L'insegnante, quando crede o in tempi preordinati, verifica se i risultati raggiunti dall'alunno coincidono o si avvicinano a quelli proposti dal programma e classifica l'alunno. Se i risultati proposti non sono stati raggiunti, l'insegnante prende decisioni di carattere punitivo. Ma l'impulso della tecnologia e l'affermazione della democrazia hanno, come ho già ripetutamente affermato, trasformato la società e imposto nuovi compiti alla scuola.Il nuovo ruolo dell'insegnante, oggi, è ancorato allo svolgimento dei processi mentali e comportamentali dell'alunno, ossia ad attrezzare l'alunno dei fondamentali strumenti di assimilazione, comunicazione, azione.Ciò sarà possibile a patto che gli insegnanti saranno capaci di scrollarsi di dosso le vesti di unici trasmettitori di cultura per vestirsi dei panni di animatori socio-culturali. Si profila così un ruolo dell'insegnante, più confacente alle mutate condizioni sociali e culturali della nostra epoca; un ruolo la cui funzione non potrà e non dovrà esaurirsi nelle prestazioni scolastiche in senso tradizionale. In tal modo l'operatore scolastico diventerà agente di quella trasformazione culturale e sociale cui la scuola è chiamata a contribuire. La sua funzione, quindi, non sarà solo quella di offrire un pacchetto di conoscenze precostituite, ma la capacità di sapersi orientare; di attivare, in altri termini, il gusto dell'imparare, del ricercare, del risolvere i problemi che ciascuno di noi quotidianamente deve affrontare. "I nuovi compiti dell'insegnante si possono riassumere, molto schematicamente, nei seguenti: promuovere e curare l'evoluzione e la formazione delle capacità intellettuali, espressivo-comunicative, d'agire e di comportarsi di ciascun alunno in modo che questi sappia utilizzarle costruttivamente nella vita sociale e in tutte le situazioni della sua esistenza; scegliere e programmare le conoscenze indispensabili sia a stimolare lo sviluppo delle suddette capacità, sia ad orientare razionalmente l'alunno nel mondo in cui vive, in modo che questi diventi capace di scelte e di assumersi la responsabilità della scelta. In ordine a questo compito, l'insegnante deve essere in grado di definire gli obiettivi del processo educativo; scegliere e programmare i mezzi per realizzarli secondo il ritmo di sviluppo dell'alunno; valutare i risultati raggiunti" (G. Giugni, Op. cit., 1974, p.103).Compito dell'insegnante, quindi, secondo questa ipotesi, non è di svolgere il programma, bensì di aiutare l'alunno ad acquistare il potere e la sensibilità dell'autoapprendimento e dell'autoformazione continua; non è il controllo dei risultati raggiunti in ordine all'acquisizione conoscitiva richiesta dal programma, ma l'alimentare continuamente la motivazione ad apprendere; non è il servirsi delle conoscenze per condizionarlo a modelli predeterminati, ma il porlo in grado di spiegare e rendersi ragione della realtà in cui vive ed operare consapevolmente in base ad esse.La professione educativa e docente, pertanto, presuppone una buona preparazione di base e, cioè, un'elevata cultura generale e una sicura cultura professionale e l'attitudine ad aggiornare e migliorare le proprie conoscenze e capacità professionali, la presenza di doti fondamentali di personalità (capaci di instaurare rapporti positivi con alunni, colleghi, genitori; normali condizioni di salute fisica e mentale; equilibrio emotivo, ecc.) in quanto l'insegnante non è solo una persona che parla, insegna, dirige, ma una persona che influisce nella sua interezza sul comportamento degli alunni.Egli esercita la funzione di guida se riesce a non ostacolare il processo di sviluppo della personalità dell'educando, proponendogli modelli d'azione in contrasto con le sue reali possibilità o sottoponendolo a confronti che mortificano la sua identità. Il suo compito educativo è di facilitare all'alunno il processo di valutazione di sè e l'elaborazione di un livello ideale di sé, realistico e non in contrasto con la realtà ambientale; di liberare le energie individuali atte a operare una scelta che tenga conto dell'effettiva struttura della personalità; di proporgli l'ideale dell'apprendimento permanente come condizione indispensabile dell'adulto nella nostra società.

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La definizione del ruolo docente, in questa prospettiva, non può essere data in termini di staticità e di resistenza al mutamento, bensì in termini di disponibilità al mutamento, intesa come autonoma capacità di sperimentare e di progredire.Il nostro mondo, infatti, è caratterizzato dal cambiamento per cui il giovane deve familiarizzarsi con l'idea della necessità di apprendere continuamente; di aprirsi a nuove esperienze, assimilare nuove conoscenze teoriche e pratiche, che lo pongono in condizione di reagire positivamente al cambiamento.L'insegnante, pertanto, deve stimolare l'apprendimento allargando l'ambiente psicologico dell'alunno, combattendo eventuali atteggiamenti passivi o indifferenti potenziando la ricerca automotivata di spiegazioni e di soluzioni di problemi. L'insegnante, inoltre, esercita la funzione di mediazione se riesce a facilitare e stabilire un rapporto positivo fra il mondo della responsabilità adulta e quello della spontaneità giovanile; fra il mondo della sub-cultura adolescenziale e le forme e le modalità della cultura adulta; fra il concetto di sé che l'alunno si va costruendo e la realtà socio-economica del mondo contemporaneo. Egli, perciò, deve stare attento a non proporsi all'alunno come modello di vita inaccettabile ed aumentare, quindi, il divario (o salto generazionale) che lo separa dall'alunno.In altri termini, egli dovrebbe favorire e non impedire quel processo di identificazione secondaria che il preadolescente è disposto a stabilire con lui, man mano che comincia a intravedere un mondo ben più vasto e dinamico di quello rappresentato dalla famiglia.La sua abilità si rileva, nel modo come riuscirà a fare superare con naturalezza la sub-cultura adolescenziale e far acquisire, consapevolmente o no, le forme e le modalità della cultura adulta. L'insegnante, infine, dovrebbe saper aiutare l'educando a stabilire un retto rapporto tra le sue abitudini, le sue aspirazioni e la realtà dell'ambiente.

11.11. PROFESSIONE E PROFESSIONALITÀ DELL'INSEGNANTE

Anche l'insegnamento è senza dubbio una professione perché, come tutte le altre professioni, esprime la personalità di colui che la esercita e costituisce la sua mediazione con la società; ed ha, inoltre, gli stessi requisiti delle altre professioni: la competenza (i processi intellettuali e le operazioni necessarie al suo espletamento); la socialità (il rapporto professionale con gli altri); la moralità (la responsabilità del benessere altrui).La definizione della professionalità docente può emergere solo da un'analisi accurata dei suoi requisiti fondamentali, così come si son venuti precisando nell'evoluzione storica del nostro tempo.La competenza o abilità richiesta all'insegnante si è identificata per molto tempo con il sapere scolastico, ossia con un insieme di conoscenze da trasmettere; e sul saper fare necessaria per trasmetterlo (saper bene esporre).L'insegnante competente ha un sicuro possesso delle conoscenze da trasmettere e conosce la tecnica per imporne l'apprendimento o per far nascere con ingegnosi espedienti il desiderio di possederlo.Il rapporto tra insegnante e alunno è essenzialmente esemplare e metodologico: l'imitazione sottomessa dell'azione esemplare dell'insegnante (l'ubbidienza) nel settore morale; l'accettazione sottomessa delle nozioni impartite (l'attenzione) in quello intellettuale.Mediante questo rapporto l'insegnante esercita la duplice funzione di socializzazione e di selezione sociale in base al criterio dell'attribuzione o dell'utilizzazione o di entrambi.I concetti di competenza, socialità e moralità professionali sono entrati in crisi per l'affermarsi della nuova società industriale e democratica che richiede uomini dotati di qualità, capacità ed abiti diversi dai tradizionali; il diffondersi di nuovi mezzi di informazione che possono sostituire, ed a volte già sostituiscono, l'informazione scolastica; il progresso prodigioso delle scienze che sottopone a revisione continuo le conoscenze. La competenza dell'insegnante, in conseguenza, si è focalizzata soprattutto sul 'saper farè e, cioè, sulle tecniche metodologiche. L'insegnante competente è colui che sa stimolare e dirigere il processo di sviluppo della personalità di ciascun alunno mediante e attraverso l'ambiente in modo da formargli quelle capacità individuali e sociali che gli sono necessarie per inserirsi nell'ambiente.Il rapporto dell'insegnante con l'alunno si trasforma in rapporto puramente metodologico, perché il compito dell'insegnante si risolve solo nel preparare un ambiente favorevole allo sviluppo dell'educando, oppure nel facilitargli lo sviluppo mediante un'azione interpersonale non diretta, o di gruppo.La competenza del docente, in questo caso, è di carattere eminentemente psicologico.

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Senonché le ulteriori trasformazioni e mutamenti, provocati dalla civiltà tecnologica, hanno influito anch'essi in modo determinante sui tradizionali processi di istruzione e, quindi, sulle strutture, sui contenuti, sui metodi delle scuole del nostro tempo.La civiltà tecnologica, ha profondamente innovato il concetto pedagogico di istruzione e del metodo per conseguirla e quello sociale del diritto all'istruzione.L'istruzione non è più considerata una 'invenzione umana' e, perciò, una sovrastruttura della personalità e della società: è un bisogno individuale e sociale per cui costituisce la struttura stessa della personalità e della vita sociale. Per tale motivo l'istruzione è un diritto di tutti ed una necessità sociale collegata a tutti gli aspetti di una società in movimento. "È ovvio che mutata la realtà socio-culturale ed economica della società e mutati i compiti della scuola, muta profondamente la caratteristica fondamentale della funzione docente. I nuovi concetti di istruzione e scuola si spostano dal settore tradizionale, che in un altro moderno, scientifico, tecnologico, in cui l'aspetto formale ed informale, la dottrina e la ricerca si sostengono vicendevolmente e producono un'erosione nelle concezioni tradizionali. L'insegnante non è più il competente del sapere costituito; la tradizionale metodologia della trasmissione del sapere, fondata sul dire e, cioè, sulla parola, è stata anch'essa posta in crisi dall'applicazione all'apprendimento delle nuove tecnologie" (G. Giugni, Op.cit., 1989, p.329).Tutto ciò comporta un modo nuovo d'intendere la competenza, la socialità, la moralità della professione docente ed una nuova definizione della professionalità dell'insegnante, più conforme alle nuove caratteristiche del nostro tempo.La professionalità docente, quindi, può definirsi l'espressione e la traduzione in termini di formazione dell'esigenza di innovazione; della tendenza alla mobilità sociale e professionale; dell'aspirazione al rinnovamento che caratterizzano la civiltà tecnologica del mondo contemporaneo. L'insegnante tradizionale era sostanzialmente un 'conservatorè che fondava la sua competenza sul ricordo del passato o su un'esperienza del presente, interpretata alla luce del passato. Questo atteggiamento si connette alla concezione del tempo fisico o cronologico, distinto in passato, presente e futuro, ma in cui il passato occupa una posizione di privilegio; il presente si spiega alla luce del passato; il futuro si interpreta come un tempo compiuto, ossia già passato almeno nella sua progettazione e, quindi, staccato da tutto il contesto temporale. L'insegnante, infatti, era preparato come esperto di ciò che è già stato e del modo come farlo assimilare alle nuove generazioni.L'atteggiamento del docente di oggi, invece (ed ancor più di quello di domani), non può essere che prospettico e, cioè, orientato verso ciò che diviene, cambia e si trasforma; creativo e, cioè, capace di attuarsi mediante un continuo rinnovamento, di accogliere il nuovo e produrre soluzioni nuove, di adattarsi a nuove situazioni, di utilizzare in modo nuovo ciò che già si sa; propulsivo e, cioè, intenzionalmente teso al futuro, che si collega al passato mediante un rapporto organico e non casuale.La professionalità docente, oggi, ha senso se esprime ed attua nel suo rapporto con l'alunno e con la società, questo atteggiamento che lo collega ai problemi dell'uomo e della società.I requisiti della professione docente sono: la competenza, la socialità, la moralità, la creatività.La competenza docente si definisce in base all'oggetto cui si rivolge: l'istruzione intesa come struttura della personalità e come struttura sociale. Insegnamento e apprendimento sono 2 prospettive della stessa attività: il primo è l'attività vista e vissuta da parte degli insegnanti, che non si limita a trasmettere conoscenze o a suscitare la motivazione idonea ai fini della ricezione, bensì provoca, stimola, controlla nell'alunno i processi di autoapprendimento. L'apprendimento è l'attività vista e vissuta dall'alunno che non riceve e registra passivamente il messaggio ricevuto, ma lo ristruttura secondo le proprie esigenze. Tra insegnamento e apprendimento, pertanto, c'è un continuo rapporto di reversibilità: emissione del messaggio e retroazione (feed-back), che implica da parte dell'insegnante una informazione precisa sulla reazione dell'alunno, sulle sue possibilità di ricezione e di risposta e, quindi, sulle possibilità e modalità di apprendimento; da parte dell'educando un'attività di rielaborazione dei contenuti e di innovazione degli schemi mentali.Il secondo requisito della professionalità docente è di natura sociale; ossia si riferisce al particolare rapporto tra l'insegnante e l'alunno che è ben diverso dal rapporto tra un qualsiasi altro professionista ed il suo cliente.Il compito dell'insegnante è di preparare per ciascuna età l'ambiente adatto, in cui l'alunno troverà degli stimoli e soddisferà i suoi veri bisogni.

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Il rapporto insegnante-alunno è una comunicazione tra persone con uguali diritti e differenti bisogni; accomunati dal comune bisogno di autoformazione e, cioè, di innovazione perfettiva.Il rapporto, per essere educativo, deve essere dinamico (cioè produttivo di effetti); finalizzato verso obiettivi comuni ben precisi, aperto a sempre nuove possibilità. Il rapporto si fonda su una duplice serie di atteggiamenti di propulsività e di orientamento: i primi costituiti dalla sollecitazione con cui si indica all'alunno ciò che deve fare; la valutazione con cui, dandogli una constatazione di fatto, gli si indica come deve procedere; il sostegno con cui, rassicurandolo, gli si indica come deve comportarsi. I secondi sono costituiti dall'inchiesta, con cui si ricercano i dati relativi al processo di formazione dell'alunno; l'informazione, con cui gli si forniscono i dati trovati; la comprensione con cui si aiuta l'alunno a scoprire la sua autentica identità, perché ne prenda coscienza e progredisca; l'interpretazione, con cui gli si spiegano le ragioni nascoste della sua condotta.Un altro requisito è quello della moralità professionale. La moralità della professione docente è di ampia portata in quanto, l'insegnante non si limita solo ad applicare la sua competenza, ma mira a trasmetterla e quindi a promuovere un processo di autoformazione mediante la creazione di nuovi abiti mentali; non trasforma gli individui, a cui offre le sue prestazioni, in clienti ma li considera sempre come persone; non esaurisce l'impegno della sua prestazione con l'esito dell'intervento, ma tende a prolungarlo mediante il sistema educativo.La coscienza professionale è l'accettazione della professione non come qualcosa di accidentale e di marginale alla propria vita, bensì come espressione totale e come manifestazione operativa della propria personalità. Essa da all'insegnante la consapevolezza di volere e di produrre valori, partecipando costruttivamente alla vita sociale.La moralità professionale comporta l'autonomia della professione e si esprime nell'autorità dell'insegnante. L'autonomia professionale, che viene anche definita come libertà d'insegnamento, ha senso solo nell'ambito della moralità e, cioè della responsabilità professionale del docente.L'ultimo requisito della professionalità docente è la creatività. La professione docente comporta non solo la necessità di conoscere le leggi generali dello sviluppo umano ed il loro modo di oggettivarsi nei casi individuali e concreti dello sviluppo di ciascuno alunno, ma anche la capacità di superare le situazioni concrete, svincolarsi dai condizionamenti degli schemi propri di una situazione attuale, per esplorare nuove possibilità, stabilire nuovi rapporti, realizzare equilibri più soddisfacenti; comporta, soprattutto, la disponibilità ad accostarsi a ciò che è nuovo e sconosciuto. La professionalità docente, però, può essere creativa anche in senso più specificatamente metodologico in quanto, mirando alla formazione della personalità completa, promuove nel processo educativo la correlazione più soddisfacente fra acquisizioni di strumenti di apprendimento e le istanze espressive, mediante la rimozione delle inibizioni di qualsiasi natura che si frappongono alla libertà creativa dell'alunno.

11.12. PREPARAZIONE E FORMAZIONE DELL'INSEGNANTE

"La preparazione della professionalità docente si realizza nella duplice direzione: della formazione della personalità completa ed armonica del docente nell'aspetto intellettuale (cultura generale, apertura mentale), affettivo (maturità ed equilibrio), etico-sociale (impegno, disponibilità); e della trasformazione dell'attitudine in capacità pedagogica. Un tempo veniva data molta importanza alla conoscenza di una o più discipline; poi si diede importanza al modo come appare la disciplina all'alunno di una certa età; infine, si è capito che è necessario conoscere la disciplina e saper stimolare la volontà di apprendimento di un certo educando di una certa età proveniente da un determinato ambiente sociale" (G. Giugni, Op.cit., 1989, p. 339).Il primo obiettivo della preparazione dell'insegnante riguarda lo sviluppo della personalità dell'alunno in funzione sociale; ossia l'acquisizione di quelle capacità, qualità, abiti, che rendono l'individuo maturo ed idoneo ad esercitare i suoi diversi ruoli sociali. Questo obiettivo può essere raggiunto mediante la conoscenza delle strutture psicologiche da cui si generano i processi intellettuali; della realtà sociale e delle dimensioni culturali da cui provengono le stimolazioni dello sviluppo; dei bisogni che si rivelano nei vari stadi dell'età evolutiva e dei modi e dei mezzi con cui possono essere soddisfatti; degli interessi consapevoli che insorgono in conseguenza di certi bisogni o di determinate stimolazioni ambientali.L'insegnante, quindi, ha bisogno di una formazione pedagogica e psico-sociologica approfondita e deve essere in grado di strutturarla continuamente in correlazione al progresso delle conoscenze in questo settore. Detta

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formazione nasce da un concetto ben chiaro della pedagogia come scienza dell'educazione.Il secondo obiettivo della preparazione dell'insegnante è la sua identità a promuovere e guidare l'apprendimento degli alunni e a sperimentare nuovi contenuti e metodi di apprendimento.L'insegnante, in altri termini, deve porsi in grado di motivare l'apprendimento, programmarne i contenuti e la sequenza ottimale, scegliere i mezzi e le tecnologie più idonee ad attuarlo, verificare continuamente i metodi impiegati, valutare i risultati raggiunti rispetto al livello di partenza, per cui deve conoscere sia le strutture della disciplina o delle discipline del suo insegnamento, sia il modo come motivarle educativamente e utilizzarle per stimolare e formare il processo di sviluppo.La sua competenza, però, non può limitarsi alla conoscenza ed all'utilizzazione dei processi dell'apprendimento scolastico, delle sue strutture, dei suoi metodi, delle sue tecnologie, ecc.; ma deve estendersi anche al continuo rinnovamento dei contenuti e dei metodi dell'apprendimento mediante la ricerca."Quindi, sostiene F. De Bartolomeis, è assolutamente indispensabile che nel periodo di preparazione gli insegnanti acquistino certe fondamentali abilità di ricercatori indirizzate alla soluzione di problemi educativi. Questo equivale a dire che gli insegnanti devono impossessarsi del metodo della ricerca attraverso la pratica guida di tale metodo."Il terzo obiettivo della preparazione dell'insegnante è la sua idoneità a promuovere i processi di socializzazione degli alunni, e, cioè, i processi con cui questi utilizzano socialmente le capacità e le conoscenze acquisite con l'apprendimento.Questo obiettivo si può realizzare impostando la formazione professionale degli insegnanti non in termini individualistici, ma sociali e, cioè, basandola essenzialmente sulla dinamica delle esperienze di gruppo.Gli insegnanti di una scuola-comunità non possono, pertanto, costituire una categoria separata, chiusa, con forte spirito corporativo, rigidamente ancorata all'inflessibilità del proprio ruolo: devono piuttosto sentirsi componenti della stessa comunità, educare con il compito di sollecitare una forte circolarità di idee e di relazioni. La competenza tecnica dell'insegnante, si libera della funzione gerarchica e si inserisce nel lavoro comune e, cioè, nel cuore stesso del processo educativo, che associa in un rapporto di reciprocità l'insegnante e l'alunno.Occorre aggiungere che i compiti ipotizzati dal ruolo docente si esplicano ad ogni livello del processo educativo scolastico e non solo a livello più alto (scuola secondaria). La loro esplicazione, inoltre, è molto più difficile ai livelli iniziali (scuola elementare e scuola media) che a quelli più alti (scuola secondaria).La formazione dell'insegnante, quindi, di ogni ordine e grado dovrà compiersi al più alto livello possibile, che è quello universitario e andrà verificata e oggettivata concretamente mediante un continuo 'tirocinio' del rapporto educativo, la ricerca e la sperimentazione pedagogica, l'esperienza comunitaria.L'insegnante ha bisogno, quindi, di una preparazione a livello universitario e di una continua azione di rinnovamento di tale formazione. La preparazione del docente, infatti, non si esaurisce in un certo numero di anni e non può restare invariata in un mondo caratterizzato dal cambiamento. La formazione iniziale, perciò, rinvia all'autoformazione, che soddisfi i bisogni: di perfezionamento e di miglioramento della formazione pedagogica iniziale e di adeguamento al progresso scientifico e culturale; di innovazione continua degli atteggiamenti per tenerli sempre disponibili; di riqualificazione della competenza professionale in modo da renderla sempre più adeguata alle situazioni che si modificano nei settori della conoscenza e della metodologia. L'autoformazione permanente dell'insegnante consiste nell'azione con cui egli, individualmente o in gruppo, acquisisce metodi di conoscenza e di comunicazione più validi di quelli già in uso; si rende conto della interdisciplinarità dei settori della conoscenza e del loro collegamento con la realtà sociale che li esprime; rivive in modo nuovo o diverso l'esperienza del rapporto educativo e la confronta con quella di altri educatori; rafforza il suo senso di sicurezza liberandosi dell'ansia che la naturale dinamicità del rapporto educativo può generargli; esplora la propria personalità per verificare il suo grado di tensione alla perfettibilità; rafforza la sua capacità critica che consente una riduzione non conformistica dei messaggi provenienti dall'ambiente.

11.13. L'INSEGNANTE DI SOSTEGNO

Con i nuovi programmi è stata analizzata in modo dettagliato anche la figura dell'insegnante di sostegno; esso viene nominato dal Provveditore agli studi ai circoli didattici della provincia, tenuto conto della popolazione scolastica

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del circolo e del numero dei plessi in esso compresi.Gli insegnanti dei posti di sostegno fanno parte integrante dell'organico del circolo ed in esso assumono la titolarità, essendo utilizzati secondo le esigenze della programmazione.L'inserimento dell'insegnante di sostegno non deve costituire una soluzione quale quella di caricare su una sola persona il totale compito di un alunno handicappato o svantaggiato, anche se queste persone sono culturalmente e professionalmente meglio preparate.Attualmente questa figura tende a scomparire nella scuola e viene sostituita da altri professionisti, tecnici, terapisti, educatori specializzati che lavoreranno all'interno e all'esterno della scuola in un contesto programmatorio condiviso e condotto con il "team" scolastico. Ai docenti sarà consigliato pertanto di rivedere la loro professionalità, perché può darsi che non tutti siano preparati a questa nuova visione di "scuola per tutti e per ciascuno".

11.14. LA GESTIONE DELLA SCUOLA

La gestione o governo scolastico si articola in tre funzioni principali:1) funzione educativa, di pertinenza degli insegnanti, genitori, studenti;2) direzione scolastica, spetta al capo d'Istituto e agli insegnanti;3) gestione amministrativa, riguarda il consiglio d'Istituto.Questa tripartizione funzionale corrisponde a tre momenti di incontro collegiale:A) consigli di classe dove si definisce il progetto educativo;B) collegio docente dove si stabiliscono le linee generali di governo scolastico;C) consiglio di Istituto, il cui compito è quello di accogliere e soddisfare le istanze degli altri organi collegiali sul piano amministrativo/finanziario.Il Ministro della pubblica istruzione è autorizzato a procedere ogni 5 anni alla verifica e all'adeguamento dei programmi didattici nazionali per mezzo di ispettori tecnici periferici e di istituti regionali di ricerca. Sulle proposte di modifica il Ministro è tenuto a sentire il parere del consiglio nazionale della Pubblica Istruzione del Senato e della Camera dei Deputati.Gli enti interlocutori del distretto e dotati di potere decisionale sono: i consigli di circolo, i consigli di Istituto, collegio dei docenti, consiglio scolastico provinciale, provveditorato, comune, provincia, regione. Essi non hanno l'obbligo di attenersi alla programmazione elaborata dal consiglio distrettuale, però hanno l'obbligo politico di programmare con serietà e con competenza. Tuttavia, se vogliono prendere iniziative diverse, devono prima chiedere il permesso al distretto e, se il loro parere è diverso, devono spiegarne i motivi, in mancanza dei quali si può ricorrere al TAR. Concludendo, per avere un quadro più chiaro della situazione, si possono dividere questi enti in tre gruppi:1) amministrazione statale della pubblica istruzione, nella sua sede centrale cui il distretto fa capo per un numero molto limitato di questioni;2) gli organi di partecipazione collegiale alla gestione della scuola;3) le regioni e gli enti locali.I consigli di Circolo definiscono le modalità di svolgimento delle lezioni, tenendo conto anche e soprattutto delle disponibilità strutturali, dei servizi funzionali, delle condizioni delle famiglie. Dopo aver fatto ciò elaborano due modelli:1) orario solo antimeridiano continuato;2) antimeridiano e pomeridiano con una o più permanenze o ritorni. Logicamente dal tempo didattico è escluso il tempo di trasporto e l'eventuale tempo mensa.

11.15. IL NUOVO RUOLO DELLA FUNZIONE DOCENTE

Il fatto che "la programmazione didattica deve essere assunta e realizzata dagli insegnanti anche come sintesi progettuale e valutativa del proprio operato" impone un nuovo ruolo della professionalità docente.

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Infatti, "solo se si è in possesso di professionalità e la si esercita collaborativamente, si è in grado di decodificare e utilizzare curricoli in direzione della programmazione che richiede non solo un elevamento qualitativo della competenza disciplinare, psico-pedagogica e didattica, ma anche un'estensione delle competenze ad altri campi.Gli insegnanti sono insostituibili collaboratori sia della ricerca pedagogica, sia della costruzione di curricoli, per cui occorrono conoscenze riguardanti ordinamenti e funzioni di istituzioni non scolastiche, di servizi con cui la scuola entra in rapporto. L'insegnante è un organizzatore di cultura, di comportamenti e di rapporti e quindi capace di fare piani, di procedere sistematicamente, di scegliere i mezzi adatti a raggiungere obiettivi chiaramente definiti". (De Bartolomeis, 1982).

11.16. L'ORGANIZZAZIONE DIDATTICA

Spetta all'insegnante, in base alle accertate possibilità dei singoli alunni, formulare un suo personale piano di lavoro, distribuito nel tempo, potendolo eventualmente aggiornare alla luce di una sempre più approfondita conoscenza della scolaresca, consentendo l'adozione di quei procedimenti attivi che spronano il fanciullo nell'operosa ricerca e nell'approfondimento della consapevolezza di quanto viene imparando.Tali considerazioni ci portano a rifiutare proposte pedagogiche pianificanti nelle quali tutti sono uguali tra uguali, affermazione certamente valida sul piano umano, ma massificante la personalizzazione delle proposte (insegnanti) e delle risposte (allievi), per cui è forse più corretto affermare che ciascuno è diverso tra uguali. "La persona non ha bisogno di un'alternativa, ma di essere aiutato a scoprire e a conoscere tutte le alternative possibili, attraverso la sua diretta partecipazione, senza fare ideologia, ma accettando e verificando tutte le ideologie, per interpretare e risolvere ciascuna problematica in termini di creatività operativa prima e produttiva poi, ed infine emergente, perché solo a lui come persona spetta la decisione di scegliere criticamente, cogliendo situazionalmente la risposta che ritiene più giusta, in una dimensione agonistica esistenziale, sempre rispettoso di sè, della natura, degli altri. In tal modo la persona recupera il suo ruolo all'interno di una dimensione etica universale, considerata nella sua effettiva integralità e funzionalità"(Gori, 1982), anche e soprattutto attraverso un intervento scolastico che attraverso un'adeguata metodologia sappia creare occasioni di attuare insegnamenti al momento opportuno, differenziando gli interventi a seconda delle caratteristiche professionali, caratteriali, psicologiche, attitudinali.

11.17. LA DIVERSIFICAZIONE DEGLI INTENTI EDUCATIVI

Il fatto che "possano essere previste nell'arco della programmazione anche scansioni diverse, sia per rispettare i ritmi di crescita individuale degli alunni, sia per consentire una verifica e una frequente valutazione a scopo formativo in caso di apprendimento, da raccordarsi con quella consuntiva terminale, è un segno tangibile della mentalità divergente, democratica e progressista con cui sono stati stesi i nuovi programmi ministeriali. L'eterogeneità della conformazione territoriale, climatica, geografica del nostro paese ha condizionato non poco l'evoluzione storica, selezionando incroci di razze, popoli che hanno prodotto e determinato massime variabili caratteriali, comportamentali, culturali. È evidente come, in un progetto pedagogico completo, le scelte educative, le verifiche e le valutazioni debbano derivare e prescindere da questi fattori, rispettando interessi, difficoltà e ritmi di crescita individuali diversificati.La realtà dell'alunno va dal sociale (situazione di partenza o di ingresso differenziata sul piano sociale, economico, culturale, ambientale) al sociale (situazione di arrivo non differenziata nel possesso delle capacità cognitive, affettive, psicomotorie, sociali, che consentono la partecipazione effettiva allo sviluppo e modifica del 'mondo') passando attraverso 'la aderenza alle caratteristiche psicologiche di una fase evolutiva' nella quale si sviluppano non solo processi di astrazione, ma anche 'capacità sociali di reciproca relazione e collaborazione'. (Venturi, 1982)Questa impostazione "ha bisogno di più ampio respiro, di tempi larghi e ci porta fuori dagli schemi di una scuola fatta di lezioni-interrogazioni, domande-risposte; ha anche bisogno di essere concepita non come una scuola rigida o organizzatissima secondo orari ferrei, bensì come una struttura flessibile, pronta ad interpretare e recepire i mutamenti della realtà, pronta a trasformarsi secondo nuove esigenze, nuovi bisogni, in continuo scambio di interazione con la realtà sociale". (Tancredi-Torelli, 1976)

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11.18. L'UNITARIETÀ DELL'INSEGNAMENTO

Nell'organizzazione didattica della scuola è riaffermato il principio dell'unitarietà dell'insegnamento, "che costituisce la caratteristica educativo-didattica peculiare, assicurata sia dal ruolo specifico dell'insegnamento che dall'intervento di più insegnanti sullo stesso gruppo di classe o per gruppi di classi diverse organizzati in un sistema didattico a classi aperte". "Mentre la scuola, generalmente in contrasto con le affermazioni di principio sull'unità della persona umana, ha continuato a privilegiare questo o quel linguaggio, adoperando un sistema di simboli aprioristicamente codificato e quindi imposto come verità indiscutibile, affidandosi quasi totalmente alla professionalità più o meno elevata del singolo docente, questa nuova impostazione ci dà l'idea di come oggi l'educazione, essendo diventata un fenomeno assai complesso, vada verso un modo di concepire la funzione pedagogica non più anacronisticamente come un fatto del singolo insegnante, ma come lavoro di équipe, attraverso un team-teaching organizzato e strutturato" (M. Gori, 1982).Tutto questo attraverso una "integrazione dell'attività didattica dei vari insegnanti, operanti in raccordo secondo una programmazione via via puntualizzata sia in rapporto allo sviluppo delle attività 'curricolari' e 'complementari' e 'integrative', sia di materia e materia all'interno della stessa classe, sia dei vari gruppi interclasse, sia delle ricerche e iniziative implicanti più classi parallele o non, sia della sperimentazione di forme di insegnamento a gruppo, cioè svolto da più insegnanti contemporaneamente presso gli stessi alunni". (Cives, 1978)In questa ottica "l'insegnante si pone come leader democratico che parte dal mondo, dal linguaggio, dalla realtà e dall'esperienza dell'educando, ma aprendolo, in collaborativa ricerca con lui, a quella più vasta esperienza storica di cui egli è testimone con la sua maggiore maturità e la sua specifica preparazione". (Cives, 1978)"Compaiono con frequenza riferimenti al lavoro di gruppo e alla interdisciplinarità quali misure organizzative che valgono come prerequisito per una varietà di metodi e per fare emergere centri di attività in una situazione sociale positiva.Il gruppo è un insieme di individui che operano in una dimensione che consente di comunicare, apprendere, produrre e i risultati investono positivamente anche le esigenze socio-emotive.Nel gruppo si stabiliscono rapporti di stimoli e di verifiche reciproche; c'è collaborazione in vista di obiettivi comuni e il controllo assume significato sociale, legato cioè alla partecipazione". (De Bartolomeis, 1976) Secondo De Landsheere occorre "creare o rafforzare un atteggiamento o una disposizione mentale che induca gli insegnanti a pensare e organizzare il proprio insegnamento secondo le linee della ricerca. 1) Mettere in grado gli insegnanti di capire e criticare resoconti di ricerche e pubblicazioni relative; 2) mettere gli insegnanti al corrente dei metodi e delle tecniche fondamentali della ricerca; 3) far conoscere agli insegnanti le fonti principali di informazione sulla ricerca; 4) mettere in grado gli insegnanti di migliorare al massimo i processi di insegnamento e apprendimento concepiti come sistemi tecnologici; 5) indurre gli insegnanti a risolvere problemi educativi per mezzo della ricerca scientifica; 6) preparare gli insegnanti a collaborare a tutti i livelli con i ricercatori specializzati; 7) addestrare gli insegnanti a verificare scientificamente l'effetto delle innovazioni nelle loro classi; 8) mettere gli insegnanti in grado di impegnarsi in ricerche personali; 9) offrire una formazione sperimentale di base che renda possibile agli insegnanti già in servizio di essere utilmente distaccati presso équipe di ricerca; 10) introdurre gli insegnanti ai metodi di elaborazione dei dati". (De Landsheere, 1976)

11.19. LE CLASSI APERTE

"Le classi aperte sono elementi strutturali della scuola con cui si supera la classe intesa come monade chiusa in sè stessa. La classe aperta può attuarsi mediante la programmazione di attività verso cui i ragazzi liberamente si indirizzano, oppure tramite la gestione di laboratori, ateliers, attività di ricerca da attuarsi per interesse orizzontale o verticale. Essa può essere intesa anche come un momento di recupero (o correzione di determinate carenze presenti nella comunità) realizzato con attività differenziate e individualizzate comprese entro piani di lavoro generale" (A.A.V.V., 1974)."L'esperienza scolastica condivisa con ragazzi di altre classi e ambienti sociali può servire da scambio e arricchimento reciproco se contemporaneamente muta la struttura e l'articolazione della scuola, per cui non è più

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presente un modello culturale, quello della classe media impersonato dal maestro, ma esiste un confronto tra diversi modelli in cui ogni ragazzo reca il proprio apporto e può fruire delle esperienze e del bagaglio culturale dell'altro. Deve esistere un'integrazione degli alunni di più classi tra loro attraverso lo scambio di esperienze, la realizzazione di 'classi aperte', la formazione di gruppi misti elastici interclasse tali da consentire libere scelte da parte degli alun-ni e realizzazioni di programmi particolari di recupero, di opzione specifica, di sviluppo". (Tancredi-Torelli, 1976)

11.20. IL LAVORO DI GRUPPO

Il lavoro di gruppo modifica profondamente i processi di apprendimento e unisce l'iniziativa culturale alla socializzazione. "Occorre che penetri nella scuola lo spirito democratico del lavoro di gruppo, orientato a produrre deliberazioni, conoscenze, azioni, maturazioni realmente condivise e frutto della partecipazione intellettuale-affettiva di ciascuno, con l'apporto della propria competenza, non prevaricato da alcuno, ma al servizio degli altri, come entro il gruppo ciascuno è assistito dagli altri nel proprio personale crescere entro la costruzione comune" (Cives, 1978).Secondo Bertolini "gli uni e gli altri, studenti e insegnanti, da passivi fruitori di una cultura unilaterale, preconfezionata e perciò morta e mortificata debbono trasformarsi in attivi costruttori di cultura, in un continuo, dialettico, spregiudicato dialogo con la comunità intera cui appartengono" (Bertolini, 1975).Perché questa immagine di scuola democratica si possa fondare sulla dimensione comunitaria, sul decidere e fare insieme, "essenziali sono la collaborazione e il lavoro collegiale e altresì le modalità di raggruppamento permanenti e temporanee degli alunni" (D.P.R. 104/1985). "All'interno della direzione collettiva, gli insegnanti devono operare come gruppo.La collaborazione non deve essere occasionale, sporadica e volontaristica, ma istituzionale, sistematica e obbligatoria al fine di:- programmare l'azione educativa- mettere a punto metodi e strumenti, preparare materiali- fare piani in comune con l'équipe psico-socio-medico-pedagogica- utilizzare l'apporto di esperti disciplinari- stabilire rapporti con le famiglie e l'ambiente esterno in genere- elaborare e adoperare metodi di valutazione- partecipare a programmi di continuo aggiornamento nei settori disciplinari, psicopedagogici e didattici" (De Bartolomeis, 1976).

11.21. L'INTERVENTO INDIVIDUALIZZATO

"L'organizzazione didattica utilizzerà, inoltre, attività didattiche di sostegno e di didattica differenziata per aree di intervento specifico, coordinate all'attività didattica generale". Tutto questo ci rimanda direttamente a considerare che "solo la individualizzazione degli itinerari di apprendimento garantisce sia il diritto allo studio, sia proficui processi di apprendimento e di auto-orientamento, che è poi la finalità conclusiva di un processo educativo" (Venturi, 1980). P. Bertolini ancora afferma che "la scuola di domani non dovrà e non potrà più essere il luogo dove si trasmette una cultura, la cultura ideologicamente classificata, ma uno dei luoghi, ovviamente privilegiati, in cui si fa cultura da parte di tutti con il contributo di tutti.E poiché fare cultura ... significa non eludere le realtà individuali ed ambientali di chi costituisce un gruppo, ma al contrario significa affrontarla direttamente per analizzarla e comprenderla in tutta la sua complessità e, se del caso, in tutta la sua conflittualità, per codificarla in un sistema di segni comprensibili a tutti coloro che appartengono al gruppo, allo scopo di sostituire ai tradizionali rapporti di dominanza e subordinanza una generalizzata capacità di affrontare e risolvere i problemi esistenziali di tutti; questa scuola di domani dovrà partire dalla realtà autentica dei ragazzi, dei loro genitori, della comunità sociale cui appartengono e dagli avvenimenti vicini e lontani che via via si susseguono e di fronte ai quali essi si trovano". (P. Bertolini, 1975)

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CAP. XII - LA SCUOLA E LE ESIGENZE FORMATIVE DELL' ALUNNO

12.1. IL RAPPORTO ALUNNO SCUOLA

"Una scuola adeguata alle esperienze formative dell'alunno", questo è il titolo della II parte delle Premesse generali degli attuali Programmi Ministeriali che introduce nuovi e interessanti orientamenti pedagogici. Il mutamento più evidente sta nel fatto che, mentre nella vecchia impostazione pedagogica era il ragazzo a doversi adattare a tutta una serie di norme, programmi, metodiche stabilite, nella nuova pedagogia tutta l'istituzione scolastica è rivolta al riconoscimento della centralità dell'alunno nel processo educativo.Il nuovo compito della scuola è quello di far leva sulle motivazioni reali del ragazzo per dargli la possibilità di ampliare le conoscenze, confrontarsi con esperienze più vaste e positive, condensare, rielaborare, accelerare concetti cardine ai quali non sarebbe mai arrivato da solo. Elkind fa notare come anche Piaget e la Montessori rilevassero la necessità di una scuola rivolta a "fornire al fanciullo ambienti e stimoli che gli permettano di realizzare liberamente le sue capacità nel tempo e nel modo che gli è proprio" (Elkind, 1972).Tutto ciò permette al ragazzo di crescere quotidianamente, favorendo una mentalità aperta e critica a comprendere i temi e i problemi della società, inducendolo a pensare, a progettare ipotesi operative, metodi di conoscenza, ad elaborare strategie di risoluzione singole, in gruppo o di gruppo, secondo l'intensità della sua intelligenza, cultura, creatività. "La scuola nuova deve riferirsi agli utenti, cioè deve spostare il termine di riferimento dell'autorità costituita a chi vive la sua impresa di educazione, quindi dal passato al futuro. Sotto tale insegna, la richiesta di nuove impostazioni non è né vacua né sterile. Anche col rischio di un programmare che risulti utopistico, dobbiamo chiederci come potremo per fare meglio, per proporre ai giovani uno spazio non ridicolo, dinanzi al quale il loro atteggiamento più probabile non sia quello di subirne al minimo la presenza per ottenere quel titolo che serva per intraprendere la loro strada, e restare ancora in qualche modo liberi di fronte alle costrizioni che la scuola, in nome della società, propone" (S. Vignoli, 1978).Mentre la scuola tradizionale si soffermava eccessivamente sulla percentuale delle negatività dell'individuo (a volte con l'intento di potenziarle, altre volte con l'intenzione di stigmatizzarle attraverso un ottuso autoritarismo), la scuola moderna e contemporanea deve, a nostro avviso, considerare sempre di più la percentuale delle positività, per potenziarle ulteriormente, usandole inoltre come strumento di intervento e di recupero sulle negatività.Quanto è esposto è chiaramente una premessa fondamentale perché, per quanto possibile, "nella scuola elementare si eviti che le 'diversità' si trasformino in difficoltà di apprendimento ed in problemi di comportamento, poiché ciò quasi sempre prelude a fenomeni di insuccesso e di mortalità scolastica e conseguentemente a disuguaglianze sul piano sociale e civile".

12.2. LA CREATIVITÀ COME POTENZIALE EDUCATIVO

In questa scansione i Programmi evidenziano e puntualizzano con particolare esplicatività come la creatività sia un enorme potenziale educativo e come la scuola debba, come presupposto indispensabile, "sviluppare la potenziale creatività del fanciullo". In modo ancor più dettagliato vengono indicati due aspetti che di essa devono essere sottolineati in modo particolare. Il primo è un invito ai docenti a non privilegiare obiettivi cognitivi a scapito di obiettivi affettivi e psicomotori, o viceversa, ma le "funzioni motorie, cognitive ed affettive giungono ad operare progressivamente e puntualmente in modo sinergico, suscitando nel fanciullo il gusto di un impegno dinamico nel quale si esprime tutta la personalità, sviluppando il senso critico attraverso le acquisizioni di una progressiva capacità di esprimere giudizi validi e pertinenti". Il secondo riguarda la necessità di non ridurre la creatività alle sole attività espressive, ma di coglierne il potere produttivo nell'ambito delle conoscenze in via di elaborazione nei processi di ricerca, stimolando le capacità di organizzare il pensiero in maniera sistematica e coerente di fronte a situazioni problematiche, in vista di una loro risoluzione.In altre parole, l'intento del legislatore è quello di evidenziare come, stimolando e facendo lievitare le cariche potenziali che si presentano sotto forma di creatività, il processo educativo si arricchisce notevolmente di connotati culturali. Tutto ciò ovviamente a condizione che non si consideri la creatività appartenente staticamente a funzioni

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esclusivamente motorie, cognitive o affettive, e a patto che non si ricada più nell'errore del post-sessantotto, in cui tutto ciò che il bambino produceva era considerato creativo, un tutto fine a se stesso, senza che si ricercasse di sfruttare positivamente le produzioni spontanee, le creatività operative, per passare da creatività espressive a creatività cognitive che permettono apprendimenti superiori, processi di analisi e sintesi, convergenti e divergenti che di solito si raggiungono con strategie didattiche pluristrutturate (ricerca e lavoro di gruppo, "team-teaching"), che producono conoscenze e stimolano alla creatività al di là della lezione manuale, della riproduzione/trasmissione del sapere codificato della tradizione."La processualità dell'atto creativo ci mostra il concorso dell'intero psichismo alla produzione finale, così che non possiamo intendere la creatività come un fatto mentale dipendente da una sola funzione o di un gruppo omogeneo di funzioni, ma le dobbiamo concepire come una formula di sintesi in cui si esprima tutta la personalità, come una connotazione e uno stile dell'intera personalità" (Calvi, 1969).Tale sintesi, tale opposizione all'essere strumentalizzati sia da interpretazioni radicalizzanti culturocentriche che puerocentriche, può essere concepita come una scuola nella quale si dà spazio alla creatività.Le opinioni dei vari autori sulla creatività abbracciano due filoni: quello sulla produzione creativa in sé e quello sulla personalità creativa, due elementi indispensabili per la strutturazione psicologica dell'individuo.Secondo Nunally "le ricerche su adulti e bambini creativi suggeriscono un rapporto tra diverse caratteristiche personali e il potenziale creativo ... alcune delle caratteristiche mentali che generalmente si ritengono tipiche dei soggetti creativi sono: a) una forte inclinazione verso la riuscita intellettuale; b) la capacità di cogliere aspetti insoliti dei problemi e soluzioni originali; c) una produzione ricchissima di idee; d) la capacità di visualizzare le conseguenze di particolari eventi" (Nunally, 1976).La scuola deve farsi gestrice garante del patrimonio creativo potenziale presente nei singoli soggetti.Numerosi autori hanno segnalato, attraverso studi e ricerche, come il potenziale creativo può essere stimolato e favorito o frustrato e inibito a seconda dell'atteggiamento dell'adulto educatore, in famiglia e nella scuola.Molto spesso atteggiamenti di eccessivo conformismo da parte di genitori, di autoritarismo settorializzato da parte dei docenti generano ostacoli enormi al dinamico procedere delle capacità creative.Maslow (1959), nel considerare la lunga strada che percorre il bambino nella costruzione del suo io e del reale attorno a lui e il breve tempo che egli ha a disposizione, e nel riconoscere la maggiore creatività del bambino in confronto all'adulto, conclude che il bambino non può assolutamente apparire un ripetitore passivo.Il bambino si manifesta come un individuo intento a filtrare e a manipolare i segnali e gli stimoli che la società gli propone. Cropley, nell'individuare gli elementi che possono castrare la sua attitudine a vivificarli rinnovandoli, afferma che tanto la famiglia quanto la scuola possono prendere posizioni che ostacolano ed altre che facilitano l'esplicazione delle capacità creative del fanciullo. Esso afferma che "i bambini molto creativi hanno, probabilmente, un tipo caratteristico di relazione con i loro genitori che facilita il manifestarsi di capacità 'divergenti'. D'altro canto i pensatori molto convergenti provengono, per lo più, da un ambiente ben diverso in cui sono molto importanti le idee educative dei loro genitori" (Cropley, 1976). La creatività è senza dubbio costituita da una articolazione di elementi in continua evoluzione fra loro.Secondo Vignoli (1978), per poter insegnare creatività, bisogna dare una definizione della creatività con una visione che non angoli l'osservazione a priori da un solo punto di vista.Taylor (1959) individua cinque livelli di creatività: 1) creatività espressiva, con la quale può dirsi che si apra il flusso creativo; 2) creatività produttiva, che si manifesta in una capacità di controllare le attività e di curarle con una tecnica più funzionale; 3) flessibilità nel percepire relazioni insolite fra realtà precedentemente separate; 4) creatività innovativa; 5) creatività emergente, che si manifesta con affermazioni di principi completamente nuovi.Il fatto che possano esistere vari livelli di creatività, creando differenze di potenziale fra individui e individui, distinguendoli, deve indurci, come educatori, a non trascurare il problema del suo potenziamento nei soggetti meno dotati. Dobbiamo ricercare le componenti che vanno maggiormente rafforzate per favorire nel discente un atteggiamento creativo e per ridurre le forze contrastanti.Secondo Nunally, "nell'adolescenza e, forse, molto prima, le capacità creative sono cristallizzate ... è necessario partire dalla prima elementare. Non è facile cambiare i nostri atteggiamenti, ma se non lo facciamo può accaderci di rifiutare molti allievi dotati di talento creativo" (Nunally, 1976).

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Nella scuola "si dovrebbe dare importanza al fatto che ci sono spesso molti modi per raggiungere una soluzione d'un problema dato, in modo che il ragazzo possa rispondere ad una situazione in molte maniere diverse ... si dovrebbe diminuire l'importanza degli insegnanti e del testo come fornitori omniscenti di soluzioni prefissate e corrette. L'insegnante dovrebbe desiderare di introdurre elementi nuovi e sconosciuti nel curriculum e di trattare idee che possono essere ignote a lui e al manuale. Il suo impegno dovrebbe dare agli studenti la sensazione di 'creare la conoscenza', di essere pieni di immaginazioni e flessibili cognitivamente" (Cropley, 1976).Secondo Torrance, al pontificare in cattedra si deve sostituire l'atteggiamento sperimentale che accetta il dubbio e propone di verificare le posizioni ogni volta che questo è minimamente possibile.Si tratta di cessare di concepire la scuola come la distributrice automatica di verità inoppugnabili per darle una più duttile dimensione. In particolare l'insegnante dovrebbe essere pieno di risorse, flessibile nelle idee, desideroso di trovare nuove strade usando i seguenti modi: "1) apprezzare il pensiero creativo; 2) incoraggiare la manipolazione degli oggetti e delle idee; 3) sviluppare la tolleranza per le idee nuove; 4) guardarsi dall'imporre un modello; 5) insegnare al bambino a stimare il suo pensiero creativo; 6) incoraggiare e stimolare l'apprendimento autonomo; 7) costruire mezzi utilizzabili per elaborare idee; 8) sviluppare abilità di critica costruttiva; 9) incoraggiare la conoscenza in una serie di campi diversi" (Torrance, 1962).L'attenzione mirata allo sviluppo del potenziale creativo "rappresenta in sostanza l'esigenza di promuovere nel fanciullo la consapevolezza delle proprie possibilità e la 'consapevolezza di sé', come progressiva capacità di autonoma valutazione dell'uso delle conoscenze sul piano personale e sociale" (D.P.R. 104/1985).Afferma Mencarelli che "chi ha appreso la creatività a livello grafico o motorio o linguistico potrà manifestare, senza inibizioni, intuizioni originali nell'ambito della matematica o delle scienze ... chi avrà appreso ad articolare agili e inconsuete relazioni tra le cose scolastiche potrà trasferire questo apprendimento nelle necessità della vita ... chi avrà imparato a chiedere alle conoscenze che possiede una spinta in avanti porterà questo atteggiamento innovativo in tutti i campi della propria esperienza... Occorre separare l'apprendimento degli strumenti da quello dei contenuti ... la creatività non è estemporanea e bizzarra manifestazione di sè e chiede un serio impegno culturale. Non si può essere creativi per distrazione" (M. Mencarelli, 1972).

12.3. PENSIERO CREATIVO E SVILUPPO INTELLETTIVO

Sempre in riferimento alla creatività come 'consapevolezza di sé e delle proprie possibilità, come capacità critica dell'uso delle conoscenze sul piano personale e sociale', abbiamo individuato una certa relazione fra sviluppo della creatività e sviluppo dell'intelligenza che, pur non essendo sinonimi, a volte procedono di pari passo, integrandosi e completandosi vicendevolmente.Mencarelli ancora fa notare come gli studi sulla creatività consentano due rilievi:"A) per un verso pongono in evidenza che la creatività è un fenomeno complesso e non facilmente decifrabile; B) per altro verso dimostrano che la creatività, se pur fa parte della vita intellettuale, non la esaurisce. Con la mente al primo ordine di rilievi può giovare la delineazione di un quadro analitico delle componenti in cui la creatività si struttura". (M. Mencarelli, 1972)Può giovare, a questo proposito, il richiamo del Guilford, il quale enuclea sette distinte qualità che, nella sintesi del Richmond, appaiono le seguenti: "A) sensibilità intesa come immediata presa di coscienza dei problemi, delle impressioni sensoriali, delle relazioni personali; B) scioltezza intesa come capacità di produrre un flusso di nuove idee ed associazioni; C) flessibilità intesa come capacità di adattamento a situazioni insolute e inattese; D) divergenza intesa come rifiuto di conformarsi e riluttanza ad accondiscendere a soluzioni ovvie; E) ridefinizione e trasformazione del conosciuto in qualcos'altro non precedentemente conosciuto; F) analisi e attenzione al particolare significativo; G) sintesi intesa come ricerca di connessioni significative tra idee, fatti od oggetti separati". (Richmond, 1969)

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Non molto dissimile è la sintesi offerta da H. G. Gough, citato ancora dal Richmond. La sintesi articola nella creatività le seguenti disposizioni e abilità: capacità intellettuale, una mente abituata alla ricerca, elasticità cognitiva (cioè la capacità di trattare situazioni nuove e inaspettate) (Richmond, 1969).

12.4. L'EDUCATORE, ANIMATORE CULTURALE DEL GRUPPO

"Essenziale è la realizzazione di un clima sociale positivo nella vita quotidiana della scuola, organizzando forme di lavoro di gruppo e di aiuto reciproco e favorendo l'iniziativa, l'autodecisione, la responsabilità personale degli alunni". (D.P.R. 104/1985)A tal proposito l'animazione interdisciplinare (unitamente all'insegnamento) è il mezzo che favorisce la partecipazione da parte di ciascuno alla creazione di cultura facendo divenire l'educatore anche animatore culturale."L'educatore, attraverso l'animazione e l'insegnamento, aiuta ciascuno a prendere coscienza di sé, anche in relazione al gruppo e all'ambiente, oggettivando, mediante le tecniche giocose, le variabili dell'esistenza, sperimentando l'interfunzionalità e l'interdisciplinarietà di tutti i linguaggi scelti e organizzati situazionalmente per la comunicazione interpersonale e definitivamente per quella socialmente più vasta". (M. Gori, 1981)È evidente come in questo contesto si collochino le condizioni necessarie nelle quali l'alunno matura progressivamente "la propria capacità di azione diretta, di progettazione e verifica, di esplorazione, di riflessione e di studio individuale (D.P.R. 104/1985). "La cultura deve diventare autoliberazione e liberazione permanente dei talenti di ciascuna persona, liberazione costante della propria umanità. Il fattore dinamico dell'educazione non deve essere più soltanto l'arte del maestro che trae fuori o inserisce dentro, ma soprattutto quello della persona che chiede, poiché ogni atto educativo è singolo e irripetibile così come lo è ciascuna persona". (M. Gori, 1981)

12.5. SCUOLA E PENSIERO CRITICO

"Le sollecitazioni culturali, operative e sociali offerte dalla scuola elementare promuovono la progressiva costruzione delle capacità di pensiero riflesso e critico, potenziando nel contempo creatività, divergenza e autonomia di giudizio, sulla base di un adeguato equilibrio affettivo e sociale e di una positiva immagine di sé". (D.P.R. 104/1985) Infatti chi avrà appreso ad articolare agili e inconsuete relazioni tra le cose scolastiche potrà trasferire questo apprendimento nelle necessità della vita. Chi avrà imparato a chiedere alle conoscenze che possiede una spinta in avanti (non semplice applicazione delle conoscenze stesse) porterà questo atteggiamento innovativo in tutti i campi della propria esperienza.Occorre non separare l'apprendimento degli strumenti da quello dei contenuti. Clayton suggerisce, per facilitare il transfert, la seguente strutturazione dell'apprendimento:- attraverso elementi identici (fatti, nozioni, metodi, abilità, principi organizzativi)- attraverso principi o generalizzazioni derivanti da una situazione di apprendimento o da un sistema organizzativo e applicati ad altre situazioni- attraverso sforzi consapevoli di percepire delle relazioni e di mettere in pratica qualsiasi apprendimento- sviluppando un'intenzionalità attiva verso il transfert e l'attenzione per quelle fasi di apprendimento a cui il transfert può essere applicato- mettendo in rilievo il pensiero divergente, i sistemi aperti, il pensiero creativo che potenzia la capacità di transfert ed allenta la rigidità delle linee di demarcazione tra i vari sistemi.La creatività non è estemporanea e bizzarra manifestazione di sé ma richiede un serio impegno culturale.

12.6. CREATIVITÀ E APPRENDIMENTO

Alla creatività operativa si deve rifare la scuola elementare, come ricerca ed insegnamento, attraverso gli elementi del pensiero convergente come necessità di comunicativa sociale, dei linguaggi universali che permettono reali livelli di socializzazione.

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Attraverso l'apprendimento la creatività diventa processo e prodotto; il potenziale umano, le doti di una persona divengono atto creativo continuo e permanente, quindi stile di vita, atteggiamento esistenziale.Apprendimento e creatività hanno bisogno, nei procedimenti che le caratterizzano, di esperienze affettive reali, umanamente significanti, che possono appagare le motivazioni e tenerle sottese ai fini che sono loro coessenziali attraverso la giusta azione di rinforzo che viene dagli esiti delle esperienze stesse.Schematizzando il rapporto tra creatività e apprendimento, si può così sintetizzare:

- creatività individuale --> pensiero divergente --> creatività spontanea

scoperta e organizzazione di sé spontaneismo

apprendimento personalizzato

- creatività scolastica --> pensiero convergente --> creatività operativa

linguaggio universale

apprendimento comunitario

- creatività sociale --› pensiero divergente --› creatività produttiva

opera d'arteapprendimento universalizzato

scoperta scientifica

12.7. CREATIVITÀ E SOCIALITÀ

La creatività è una caratteristica appartenente alla specie umana e va educata. Essa è la capacità di produrre nuove soluzioni e viene definita come espressione di tutta la personalità. Il luogo dove si può sviluppare nel modo più completo è la scuola. La creatività è data da:- propulsionale, si organizzano e maturano le motivazioni di ciascuno;- concezionale, rappresentata da un'attività del pensiero che può esprimersi in un arco breve o lungo di rappresentazione;- realizzazione, vede lo sviluppo delle fasi precedenti e l'attuarsi del prodotto mentale in un prodotto reale.La creatività, dice Medawar, "non può essere appresa, ma può essere incoraggiata e favorita", possiamo per mezzo della lettura e delle discussioni avviarci verso le idee creative senza aver paura di pensare, perché la via della verità è la medesima di quella dell'errore commesso e poi eliminato.Lo strumento fondamentale dell'intervento della scuola è dato dall'organizzazione e dall'arricchimento di un ambiente capace di consentire azioni quali esplorazione, scoperta, riflessione, progettazione. L'attenzione alla creatività del bambino riguarda due aspetti:- anche la scuola si adoperi perché le funzioni motorie cognitive ed affettive giungano progressivamente ad operare in modo sinergico sì da suscitare nel bambino il piacere funzionale, cioè il gusto di un impegno dinamico nel quale si esprima tutta la personalità;- rappresenta nel fanciullo l'esigenza di promuovere il suo modo di essere.La scuola, nella sua funzione educativa, sviluppa il pensiero critico che viene sollecitato e promosso in modo puntuale e congruente, perché non interviene solo nella ricerca, ma soprattutto nella valutazione personale.Lo sviluppo della socialità, l'attenzione alla creatività, il continuo richiamo alla operatività e alla riflessione sono idee ribadite nel testo dei nuovi programmi. Occorre individuare una metodologia comune per tutte le discipline di

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insegnamento che prevede la successione delle modalità di intervento secondo una sequenza ordinata:- Modalità sociali, per aiutare il bambino ad affrontare adeguatamente gli altri ed il gruppo mediante esperienze di socializzazione idonee.- Modalità creative, per scoprire le possibilità personali attraverso esperienze di impegno produttivo.- Modalità operative, per sviluppare nel bambino le capacità di agire direttamente e sperimentare.- Modalità riflessive, per liberare quelle attività dal pensiero indispensabile per la comprensione del mondo.L'ordinamento attribuito a tali modalità non è arbitrario, ciascuno di noi possiede un patrimonio di creatività che si sviluppa come capacità di domanda e di ricerca attiva di una risposta, come forza essenziale.La creatività dunque coincide con la vita e con la forza autogena di sviluppo, perché consente gratificazione della vittoria su se stessi e la gioia di vincere. Purtroppo spesso nella scuola la creatività ha finito per identificarsi con spontaneismo. L'operatività è un'azione che coinvolge la persona intera, operatività è ricerca, intesa come esigenza di ognuno di vivere con gli altri, di esplorare e conoscere l'ambiente. Da qui la centralità del gioco, l'unico modo per aprire nuove esperienze e nuove conoscenze.Le unità di lavoro sono dei segmenti di un curricolo, che spetta ai singoli insegnanti precisare, completare, approfondire. Esse possono essere un valido aiuto per:- provocare esperienze concrete di lavoro- accostare al "progetto" corpo inserito nella programmazione generale- facilitare la programmazione specifica.L'attivazione di abilità e capacità in un ragazzo avviene se si è in una situazione di lavoro reale su un compito con il quale si è invitati a misurarsi. Perciò le attività devono essere:a) capaci di stimolare e potenziare interessi collettivi e realib) capaci di competenze e risorse all'interno della classe.Nell'ambiente si impara e si inventa; la città e i paesaggi sono scenari cosparsi di linguaggi mitici e leggendari.Le risorse all'interno della classe, se ben sfruttate, sono molte; ascoltare, sentire, capire, trasformare e vivere la musica come atto di comunicazione.Il problema della creatività deve essere scisso in due sotto problemi:- quello psicologico (ottenere nuove idee buone o cattive che siano)- quello logico (separare le idee buone da quelle cattive).Per ottenere nuove idee si procede per tentativi, simulando, congetturando...per scinderle invece si sottopongono all'osservazione e all'esperimento.

12.8. CONVIVENZA DEMOCRATICA

Per evitare l'isolamento nella scuola non basta una valida e attiva conoscenza delle varie discipline, occorre saper operare un'analisi critica dei concetti e dei principi organizzativi interni.Il continente/ambiente sembra essere l'unico in grado di fronteggiare gli alfabeti culturali portatori di isolamento. Dunque ambiente come occasione di "socializzazione" e "apprendimento" in grado di fornire alla scuola linguaggi per conoscere e domare la futura cultura elettronica.Saper vedere l'ambiente significa saper discriminare, percepire, selezionare forme, profondità, colori, posizioni che corredano gli scenari del contesto sociale in cui vive il bambino.La convivenza odierna richiede la capacità di muoversi ed orientarsi in una pluralità di linguaggi che rappresentano il dato culturale di maggior rilievo nella società tecnologica.La padronanza della lingua, il suo uso e la consapevolezza del suo potere è la condizione prima della partecipazione della persona alla vita sociale, civile, politica. La scuola ha proprio la capacità di far usare in modo sempre più significativo il codice verbale, senza trascurare gli altri codici ad esso complementari.La scuola inoltre, come viene riportato anche nei programmi, interagisce con la proposta educativa della famiglia e della più vasta comunità sociale per:a) sollecitare gli alunni a divenire consapevoli delle proprie idee e responsabili delle proprie azioni,b) sostenere l'alunno per il suo inserimento attivo nel mondo delle relazioni interpersonali, sulla base del rispetto

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dell'altro, del dialogo e della partecipazione al bene comune,c) ampliare l'orizzonte culturale e sociale in uno spirito di comprensione e di cooperazione internazionale,d) sensibilizzare ai problemi sociali.La comunità scolastica non propone a priori un modello da rispettare, né una tradizione da trasmettere, ma richiede la partecipazione di tutti i soggetti interessati per rendere possibile l'educazione come opera comune e insieme personale "attraverso un confronto aperto di posizioni culturali".L'educazione morale nella scuola si propone il raggiungimento dei seguenti obiettivi:- stimolare il fanciullo a cogliere la dignità dell'uomo e le sue prerogative specifiche.- motivare il fanciullo a individuare progressivamente regole di comportamento sempre più ampie e generali, da applicare nei vari ambiti della vita.- suscitare nel fanciullo la disponibilità al rispetto, all'aiuto, all'accoglienza.La convivenza nella scuola non significa identità di vedute e di intenti, ma disponibilità ad accettare opinioni altrui pur restando fedeli ad una propria linea di condotta, così che possono essere soddisfatti un certo numero di bisogni individuali o collettivi e nello stesso tempo ognuno può portare avanti, nel rispetto degli altri, il progetto di comunità nel quale crede.

12.9. OBIETTIVI COGNITIVI E SOCIO-EMOTIVI

"La scuola dell'obbligo pone così le basi cognitive e socio-emotive necessarie per la partecipazione sempre più consapevole alla cultura e alla vita sociale, basi che si articolano, oltre che nelle conoscenze e nelle competenze prima indicate, anche nella motivazione a capire ed a operare costruttivamente, nella progressiva responsabilizzazione individuale e sociale, nel rispetto delle regole di convivenza, nella capacità di pensare il futuro per prevedere, prevenire, progettare, cambiare e verificare".Gli obiettivi di capacità (cognitivi) e di apprendimento (socio-emotivi), che i nuovi programmi per la scuola indicano come basilari nel processo educativo-formativo e di apprendimento dell'alunno, sono stati così sintetizzati:Obiettivi di atteggiamento (socio-emotivi):- disponibilità ad affrontare e risolvere situazioni problematiche - disponibilità ad apprendere e a impegnarsi ad una attività di tipo cognitivo - capacità di focalizzare l'attenzione nel lavoro per un certo tempo - disponibilità a organizzare la propria attività sia individuale che in gruppo. In particolare, per quanto riguarda gli obiettivi cognitivi, si richiede necessaria una determinazione e un utilizzo di una scala tassonomica rivolta a descrivere la mappa gerarchica degli apprendimenti. L'allievo matura potenzialità e risorse della propria sfera intellettiva soprattutto se è messo nelle condizioni di salire gradualmente la scala mobile degli apprendimenti scolastici: dalle padronanze cognitive elementari a quelle intermedie, a quelle superiori.

12.10. I VARI TIPI DI APPRENDIMENTO

Negli 'apprendimenti elementari' avremo un sapere con conoscenze a breve raggio, temporanee, acquisite soprattutto per riproduzione tramite il meccanismo stimolo/risposta. Ciò serve per arrivare alle competenze intellettuali del saper ricordare e riconoscere qualcosa così come è stata presentata, quindi nel saper denominare e riprodurre conoscenze di marca diversa, cioè:- conoscenze di termini isolati (vocaboli, numeri, date convenzioni) o in catena (successioni, classificazioni, linguaggi specifici)- conoscenze di fatti isolati (collocazione spazio-temporale) o in catena (trasformazioni nel tempo: fasi, stadi, cicli)- conoscenze di concetti astratti e concreti- conoscenze di principi e teorie (di I° livello: relazioni tra concetti astratti e concreti; di II° livello: relazioni di principi di I° livello.Negli 'apprendimenti intermedi' avremo il 'capire' come comprensione e applicazione dei dati immagazzinati con gli apprendimenti elementari. Capire vuol dire descrivere per traduzione, cioè saper cambiare il linguaggio, la

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forma, lasciando inalterato il contenuto. Capire ha anche come competenza l'estrapolare (cogliere le possibili conseguenze, implicazioni di una determinata conoscenza); capire come saper interpretare (saper parafrasare un contenuto lasciando inalterato il codice); capire per applicare le conoscenze raccolte con criteri e regole degli apprendimenti elementari.Negli 'apprendimenti superiori' avremo processi di analisi e sintesi convergenti e divergenti che di solito si raggiungono con strategie didattiche pluristrutturate (ricerca e lavoro di gruppo, team-teaching) che producono conoscenze e stimolano alla creatività al di là della lezione manuale, della riproduzione/trasmissione del sapere codificato della tradizione. Il versante della convergenza abilita l'allievo a saper manipolare concettualmente le conoscenze, sia smontandole che ricomponendole sulla base dei materiali cognitivi dell'analisi/sintesi, e mira alla competenza di:- scomporre: processo di analisi per saper classificare elementi (realtà, fatti, concetti) e decodificare comunicazioni; intuire relazioni tra realtà, fatti, concetti, evidenziandone le caratteristiche non note; cogliere i criteri organizzatori di leggi e principi;- integrare: processo di sintesi come competenza del saper produrre comunicazioni, raccontare esperienze, resoconti; saper attuare procedimenti; saper risolvere problemi.Il problema della divergenza (trovare soluzioni diverse ad uno stesso problema) mira alla competenza di:- scoprire: capacità di ipotizzare, cogliere le fasi interne, i nessi di una sequenza cognitiva;- progettare: capacità di elaborare prodotti originali, inventare strategie, creare idee e soluzioni in campo artistico e tecnico-scientifico.

12.11. LA SCUOLA COME FULCRO DEL PROCESSO DI EDUCAZIONE/APPRENDIMENTO

La concordanza di opinioni sul fatto che ogni alunno possa e debba vivere la scuola come ambiente educativo e di apprendimento fa scaturire un presupposto teorico dove la scuola elementare, "il cui intervento è intenzionale e sistematico, realizza il suo compito specifico di alfabetizzazione culturale, partendo dall'orizzonte di esperienze e di interessi del fanciullo per renderlo consapevole del suo rapporto con un sempre più vasto tessuto di relazioni e di scambi" ( Progr. Minist.).La scuola, in collegamento con la 'piccola patria' di ciascuno (territorio, componenti culturali, linguistiche, sociali, economiche), deve dare ordine e razionalità all'insieme delle spinte che vengono dall'esperienza sociale, familiare, dei mass-media, introducendo progressivamente nelle più vaste comunità umane la lingua e la cultura degli alunni, promuovendo una rete di conoscenze e un complesso di capacità cognitive che consentano una autonomia e una produttività intellettuale, emozionale e pratica, adeguata alle complessità e alle dinamicità della vita, cultura, lavoro. Il ragazzo deve recare a scuola tutte le esperienze che ha fatto fuori di essa, sviluppando "la capacità di stare insieme agli altri, di lavorare in gruppo, di cogliere significati e rapporti nuovi nei fatti e negli aspetti dell'ambiente circostante, oltre che nei libri e negli insegnamenti ufficiali; la capacità di ricercare autonomamente, costruendo da sè in buona parte i contenuti dell'apprendimento; la capacità di esprimersi in linguaggi diversi, al di là di quello verbale; la capacità di agire con libertà, comprendendo però la necessità di conquistare sempre nuovi spazi alla libertà medesima nella vita sociale" (Santoni e coll., 1976).La scuola, a sua volta, e la didattica scolastica devono favorire l'appropriazione da parte dell'alunno di abilità che sono la convergenza di conoscenze che non si esauriscono nell'apprendimento culturale in senso stretto.

12.12. EDUCAZIONE PLURILINGUISTICA

In una scuola che per lungo tempo ha continuato a privilegiare il linguaggio parlato e scritto per apprendere e comunicare, ben si inserisce l'esortazione indicata nei Nuovi Programmi di potenziare e utilizzare tutti i tipi di linguaggio attraverso i quali l'individuo esprime il suo mondo interiore entrando in rapporto con gli altri, consentendogli l'esplorazione e la valorizzazione di tutti i mezzi di espressione e di interrelazione.

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È evidente come, in termini educativi e di apprendimento, possa essere di giovamento all'alunno l'aver acquisito e interiorizzato tutta una serie di linguaggi che gli permetteranno di potersi esprimere a tutti i livelli e di acquisire una cultura interdisciplinare.I vari linguaggi, infatti, attraverso processi di comunicazione, utilizzando contenuti, attività, strumenti specifici, esprimono modi diversi di articolazione del sapere, di accostamento alle realtà, di conquista e di trasformazione di esse. Abbiamo già detto che la scuola, in contrasto con le affermazioni di principio sulla unitarietà della formazione umana, ha contribuito a privilegiare il linguaggio parlato o scritto. Oggi è giunto il momento di verificare che l'alunno può manifestarsi, esprimersi, educarsi, apprendere, anche attraverso altri tipi di linguaggio.Ad un mutamento della dinamica relazionale, comportamentale, valoriale dei ragazzi di oggi rispetto alle generazioni passate, deve far riscontro una educazione e una cultura scolastica mirante a far prendere conoscenza e coscienza dell'influenza che l'evoluzione tecnologica, in positivo o in negativo, esercita sulla nostra vita, insegnando (i docenti) e imparando (gli alunni) a decodificare i segnali, i linguaggi, i messaggi che gli strumenti del comunicare tradizionali (libri, giornali, teatro, danze popolari) e moderni (radio, televisione, computers) contengono. Infatti "ogni contenuto proposto dall'educatore o dall'alunno può essere verificato con tutti i linguaggi di cui l'essere umano è capace: corporeo, grafo-colorico, vocale, verbale, iconico, ecc. In tal modo potrà essere sviluppata la creatività in maniera polivalente e si potrà imparare che, se si sanno trovare, esistono delle infinite correlazioni tra tutte le cose, i contenuti, gli individui. La persona non è una somma di parti, ma una struttura interfunzionale; la testa non è nobile rispetto alla borghesia delle mani e al sottoproletariato dei piedi, ma testa, mani e piedi hanno pari nobiltà perché appartengono alla persona.Così non si può educare sommando gli elementi di una materia a quelli di un'altra, ma collegando ad uno stesso contenuto le variabili di ciascuna materia. Ciascuno è un significante (cioè in grado di...) a cui l'educazione deve permettere di significarsi (effettuare ciò che si è in grado di fare), con tutte le variabili possibili, dando al movimento, all'immagine, alla parola, all'arte una forma simbolica universale che passa sempre attraverso l'interpretazione del corpo e della mente. Ogni possibilità espressiva e comunicativa deve quindi permettere una presa di coscienza di sé, l'organizzazione dei propri comportamenti, giusti rapporti con il mondo esterno e degli oggetti, nello spazio e nel tempo, rapporti socialmente validi con gli altri. (M. Gori, 1982)Così i contenuti culturali che verranno appresi saranno il risultato di scoperte reali vissute in prima persona, di modelli plurilinguistici che permetteranno all'alunno la discriminazione intellettiva, l'elaborazione critica personale di modelli culturali, politici, sociali precostituiti per poter rifiutare mitizzazioni retoriche imposte da bombardamenti psicologici martellanti.

12.13. UTILIZZAZIONE DI TUTTI I CANALI DELLA COMUNICAZIONE

Gli insegnanti si trovano ad affrontare, nella diversità delle situazioni personali, ritmi dello sviluppo psico-fisico a volte difficili, livelli di maturazione diversi, per cui è necessario che "eventuali difficoltà e ritardi vengano affrontati attraverso l'utilizzazione di tutti i canali della comunicazione oltre a quella verbale, per perseguire, attraverso una appropriata metodologia, una sostanziale equivalenza di risultati".Senza dubbio solo l'essere umano è dotato della capacità del saper parlare e scrivere. Tuttavia, nonostante questa meravigliosa caratteristica, se si ragiona in un'ottica educativa, devono essere ricercati, scoperti e utilizzati altri linguaggi affinché ogni alunno possa trovare il proprio canale di comprensione di sè stesso e di comunicazione con il mondo circostante. Se si continuerà a considerare linguaggi di serie A il linguaggio scritto e parlato e di serie B tutti gli altri linguaggi, facendo discriminazioni anche sul piano culturale, è indubbio che la scuola avrà come costante un aspetto essenzialmente autoritario, univoco.Di contro, la scelta di far scoprire e apprendere altri linguaggi è una scelta educante, democratica, che permetterà al bambino in difficoltà di trovare altri modi per esprimere la propria interiorità e di mettersi in comunicazione con il mondo esterno, attraverso le motivazioni e le stimolazioni che riceverà da un numero maggiore di proposte.L'opportunità di potersi esprimere con tutti i linguaggi possibili permetterà all'individuo in difficoltà di evidenziare le proprie possibilità, che la scuola (con le sue strutture) e gli insegnanti (con la didattica) sfrutteranno positivamente per ottenere migliori risultati di crescita, di maturazione e di conoscenza.

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CAP. XIII - SCUOLA: AMBIENTE EDUCATIVO DI APPRENDIMENTO

13.1. FUNZIONE DELLA SCUOLA E DEGLI INSEGNANTI

Il testo dei nuovi programmi qualifica la scuola elementare come "ambiente educativo di apprendimento", senza però fornire spiegazioni o semplicemente indicazioni per quanto riguarda l'aspetto organizzativo.Il compito principale della scuola è delineare percorsi che si adeguino alle capacità, ma che nello stesso tempo le sollecitino, le sostengano, le rafforzino per far sì che vengano raggiunti traguardi comuni o almeno simili.L'obiettivo prioritario deve essere costituito dal possesso degli strumenti di base e dall'acquisizione di livelli minimi uguali per tutti, e deve anche considerare il presupposto per l'acquisizione di risultati ulteriori, specifici di ciascuno. Per fare ciò l'insegnamento deve essere per quanto possibile individualizzato attraverso l'impiego di metodologie, strumenti e materiali adeguati.La preoccupazione di aiutare il processo formativo dell'alunno senza interventi che ne soffochino o ne forzino la spontanea fioritura e maturazione fa sì che l'insegnante cerca di muovere dal mondo concreto del fanciullo tutto, intuizione, fantasia, sentimento, tanto da far scaturire nell'alunno stesso l'interesse ad apprendere, le attitudini all'osservazione, alla riflessione. Si comprende dunque che lo scopo essenziale della scuola è quello di comunicare al fanciullo la gioia e il gusto di imparare a fare da sé, perché, anche fuori dalla scuola, sia in grado di autogestirsi.La scuola ha il compito più difficile, quello cioè di saper fare un sistema articolato e organico di tutte le esperienze didattiche presenti nel bambino, proponendo un sistema coerente ed operante di occasioni proponibili dall'alunno stesso.La scuola influisce sull'apprendimento dell'alunno attraverso la totalità delle sue dimensioni e delle sue caratteristiche sia formali (orari, calendari, esami, ...), sia personali (insegnanti, dirigenti, ...), sia strumentali (libri, sussidi, arredamenti, ...).Nanni dice che la scuola può adempiere alla sua funzione solo se si da "cultura", inteso con questo termine competenza generale e capacità di far fronte alle situazioni in cui si trova a vivere.Solo a scuola si può compiere quell'opera di critica, stimolazione, integrazione dei materiali provenienti dalle diverse agenzie, favorendo quell'identità personale e culturale che è alla base dei comportamenti responsabili.Per evitare pericolose disarmonie educative e squilibri è opportuno far compiere in maniera organica ma non esaustiva una molteplicità di esperienze, offrire una varietà di "assaggi" culturali di cui il fanciullo apprezzi e conservi il sapore così da far riemergere, nel corso dell'età evolutiva, al momento opportuno, le scelte più precise.Ciò che manca veramente ai bambini oggi è una dimensione "metacognitiva", cioè la capacità di riflettere sulle conoscenze, per organizzarle, renderle funzionali ai diversi scopi, collegarle e confrontarle in rapporto alla varietà dei problemi. Infatti il bambino che entra oggi nella scuola è ben più ricco e più colto del suo coetaneo di qualche decennio fa, perché è esposto direttamente ai condizionamenti dei mass-media; ha già cumulato un patrimonio di valori e di esperienze relative a comportamenti familiari, civici, morali, con i quali la scuola deve riuscire ad interagire. Poiché queste esperienze possono aver sollecitato in maniera diversa le capacità dei bambini, la scuola deve sapersi porre come momento di continuazione delle esperienze precedenti, rispetto alla conoscenza e al modo di acquistarla. La scuola deve intervenire per sottrarre casualità all'esperienza, dando un significato anche riguardo a ciò che è già stato acquisito, avviandoli alla riflessione sulle conoscenze. Questo processo educativo intrapreso nella scuola materna, potenziato dalla scuola elementare attraverso gli apprendimenti formativi di base, deve svilupparsi per tutto l'arco della scolarità obbligatoria e porre le premesse per l'educazione permanente.La scuola è il primo luogo dove il bambino si cimenta al di fuori dell'ambiente familiare, dove mette alla prova la sua capacità di adattamento e di socializzazione, dove impara che alla propria egoità vi sono dei limiti posti dall'autorità, alla quale bisogna assoggettarsi senza poter ricorrere alla protezione familiare, impara cioè ad affrontare da solo la realtà.Dai rapporti che instaura con l'educatore e con gli altri alunni ne derivano gli atteggiamenti e i comportamenti sociali. L'educatore viene allora chiamato a livello psicologico ad intervenire in modo:- Preventivo, impedire che il bambino venga rifiutato dal gruppo.- Curativo, per contrastare prima che si fissino tendenze e abitudini che socialmente si rifiutano.

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- Costruttivo, per favorire lo sviluppo e la prima maturazione degli individui.A livello pedagogico deve intervenire per:- conoscere i rapporti tra ruolo del bambino all'interno del gruppo, il suo comportamento, i risultati scolastici,- scoprire in quale misura la posizione sociale di ciascuno nel gruppo può essere sfruttata a vantaggio di tutti.La scuola e gli insegnanti hanno il compito, socialmente, professionalmente ed eticamente sancito, di promuovere lo sviluppo della persona, introducendola nel patrimonio culturale-sociale e ponendola in condizioni di superarlo.La cosa più errata è attribuire la condotta di uno scolaro alla sua volontà; prima di fare ciò, il docente dovrebbe mettere in discussione la legittimità delle sue pretese, chiedendosi se il bambino è in grado di fare ciò che si attende da lui.Il fanciullo nella scuola deve partecipare attivamente, deve avere ampie occasioni di iniziativa, di decisione, di responsabilità personale e di autonomia, deve avere consapevolezza delle varie forme di "diversità e di emarginazione", deve inoltre essere sensibilizzato a problemi quali: la salute, il rispetto dell'ambiente, l'igiene.Una scuola che voglia essere luogo educativo per l'apprendimento, oltre ai luoghi dell'azione, deve prevedere luoghi per la memoria (documentazione), deve facilitare una professionalità programmata, che permette di avere a disposizione e prendere in esame modelli di programmazione educativa, organizzata e didattica. Tutto ciò per dimostrare che, specialmente a livello scuola elementare, una esperienza senza successiva elaborazione ha uno scarso effetto di reale apprendimento; per fare ciò ci si può servire di gessi, lavagne, video-tape...La scelta della strumentazione non è un aspetto secondario, ma è necessario precisarlo fin dall'inizio, perché quando si effettuano delle ricerche, se non sappiamo come fare, si finisce per fare molta confusione. Di qui il largo uso di cartelloni murali di sintesi a costruzione progressiva, l'uso di schedari, ecc.

13.2. PROPORRE E STIMOLARE L'APPRENDIMENTO

L'apprendimento è un concetto che indica la costruzione di connessioni e di significati tramite l'intervento della coscienza; è qualcosa che sta nell'individuo e non nelle cose fuori di lui, comprende fattori soggettivi e motivazioni che implicano la conoscenza dello sviluppo intellettuale, della genesi del pensiero, della formazione del linguaggio.Il modo di proporre e di stimolare l'apprendimento nasce dal rapporto dell'insegnante con la cultura e con le istituzioni, dal suo rapporto con i programmi e con i contenuti che insegna. La scuola esige soprattutto la conoscenza del significato delle azioni che si compiono, perché i ragazzi non temono la fatica e lo sforzo, temono semmai la fatica priva di senso.Aiutare è il compito più difficile e insidioso di tutto il processo educativo perché può invadere e soffocare, offendere e lasciare nel più desolante abbandono. Aiutare non vuol dire impedire al ragazzo di provare emozioni e sentimenti, di vivere la sua affettività in modo pieno e di esprimerla nella scuola. La misura ottimale dell'aiuto è il risultato della competenza pedagogica combinata con la sapienza e con la sensibilità educativa.Il vero aiuto consiste nel rafforzare e valorizzare il proprio interlocutore, facendo in modo che egli esprima nuove energie, che esca dalla situazione di bambino bisognoso per assumere la posizione di chi sa dare aiuto a sè stesso. Per fare ciò bisogna che il rapporto tra l'alunno e l'interlocutore sia paritario. La critica che viene fatta deve investire sempre il risultato e mai la persona, perché il risultato si può cambiare, la persona può incontrare delle difficoltà che possono trasformarsi in difficoltà di apprendimento. La persona considerata nella completezza delle sue strutture fisiche, intellettuali, morali, religiose è veramente il centro della pedagogia e dell'educazione.L'educazione del fanciullo non è separabile dalla vita, tutto ciò che impara gli riesce dopo una ripetuta imitazione, con un numero sempre minore di "insuccessi ed errori". Ciò non vuol dire che i fanciulli devono essere abbandonati ai loro interessi spontanei, ma l'importante è ricollegarsi a questi interessi per impostare l'insegnamento. Il criterio reale di educazione consiste nel criticare il futuro, eliminando da esso tutto ciò che è vecchio e favorendo l'ingresso di ciò che è nuovo.

13.3. SCELTA DI MODELLI EDUCATIVI E DIDATTICI

Oggi le scelte di modelli educativi e didattici sono oggetto di attente considerazioni di studio; i principali modelli di

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sviluppo teorico per una formazione della persona con procedimenti adatti allo sviluppo dell'intelligenza sono 4:1) Uso di un modello o di una struttura concettuale che dovrà guidare l'indagine empirica. Il modello è concepito come sistema in cui elementi e relazioni sono coordinati ed in interazione reciproca.2) Sotto l'aspetto psicologico riscontriamo un procedimento ipotetico-deduttivo, che fa collegare logicamente dei postulati verificabili nell'esperienza.3) Un procedimento funzionale capace di mettere a confronto teorie e dati di fatto.4) Un procedimento induttivo, capace di favorire generalizzazioni e costrutti concettuali scaturenti da dati di fatto.Il metodo diventa procedimento, regola, strategia logica per raggiungere determinati risultati, specie nella scoperta della verità e nella sistemazione delle conoscenze. La metodologia diventa scienza, riflessione, parte della logica e si specifica in educativa quando attiene ai processi formativi della persona. La metodologia educativa si fonda sul presupposto che l'uomo sarà insostituibile nell'esercizio dell'immaginazione, della fantasia e della creatività, aspetti fondamentali della persona, per il suo modo di apprendere.

13.4. APPRENDIMENTO

Nella nozione profonda di apprendimento, è implicata la connotazione di "durata" e di "interiorità", ossia di una acquisizione duratura (ritenzione) ma insieme interiorizzata nella persona e nel comportamento. Perciò si debbono escludere dall'apprendimento sia la pura memorizzazione meccanica (rote learning: quando un apprendimento rimane appiccicato alla memoria, non tocca il nostro intimo e non è riconducibile all'esperienza, non ha alcuna utilità) sia la pura costruzione di sequenze di riflessi (S-R).L'apprendimento, implicando una mutazione o una trasformazione entro la struttura psichica del soggetto (struttura: un insieme di elementi fra loro solidali, sicché, fissata l'attenzione su uno di essi, è possibile richiamare alla memoria tutti gli altri e quindi possedere l'intera struttura), si caratterizza come una acquisizione di tipo assimilativo, per la quale determinati contenuti mentali o forme operative vengono interiorizzati provocando una ristrutturazione o riorganizzazione degli assetti dinamici del soggetto stesso. La persona, che ha veramente imparato nuovi moduli mentali (intellettivi, affettivi) o acquisito nuove modalità operative, ha tradotto e quindi immedesimato, nella propria personale struttura ciò che le era dapprima esterno o estraneo.Oggetti dell'apprendimento sono sia le strutture "cognitive" (non semplici nozioni di tipo informativo, bensì nuove forme di organizzazione conoscitiva e nuove capacità di svolgere processi mentali) sia le "abilità", o capacità permanenti o stabili di tipo operativo (manipolativo, costruttivo, produttivo, creativo). Mentre la "maturazione" consiste in un processo endogeno di sviluppo, soprattutto sul piano psicofisiologico, l'apprendimento è determinato da fattori estrinseci (ambientali, culturali, educativi) e presuppone l'intervento di diverse forme di interazione.La definizione più idonea e produttiva di apprendimento può essere la seguente: "processo di acquisizione assimilativa di cognizioni e/o di abilità, di origine interattiva" (R. Titone, Psicodidattica, La Scuola, Brescia 1977, p.29). Nell'apprendimento umano mentre la coscienza (o meglio l'Io cosciente) svolge una funzione essenziale di integrazione e di propulsione (motivazione), l'assimilazione implica una trasposizione terminale degli apprendimenti a livello di coscienza.

13.5. TASSONOMIA DEGLI APPRENDIMENTI

Una classificazione esauriente dei processi e delle forme di apprendimento, che possono aver luogo nell'uomo, non è possibile, quindi non ha significatività scientifica ma solo esplicativa:- Apprendimento neuropsichico: ha come effetto l'acquisizione degli automatismi, distinguendosi abbastanza nettamente dallo apprendimento razionale e formale; si svolge principalmente attraverso tre fasi:1) Associazione di immagini, specialmente motorie, secondo le leggi classiche della somiglianza, nel contrasto, della contiguità (nel tempo e nello spazio).2) Condizionamento: sia di tipo classico o riflessologico (Pavlov) che di tipo operante (Skinner).3) Procedimento per tentativo-errore: serie di tentativi per la soluzione di un problema pratico. Poiché queste forme

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di apprendimento sono legate sostanzialmente a basi di natura neurologica, le modificazioni del comportamento fisiopsichico hanno una base organica di cui il sistema nervoso centrale ne costituisce la parte preponderante, in quanto si tratta fondamentalmente di una modificazione del tessuto neuro-corticale. Attualmente la neurofisiologia concepisce il sistema nervoso come un meccanismo integrato, che funziona come un tutto coordinato, più che in segmenti isolati. La corteccia cerebrale sarebbe il centro organico dell'apprendimento. Da tener conto che la "mente cosciente", anticipa di 1/2 secondo le sinapsi (cervello fisico).- Apprendimento razionale: essendo esclusivamente umano, pur includendo una base neurologica, presenta caratteristiche essenziali. Nonostante talune somiglianze tra la soluzione intuitiva (insight) di alcuni animali superiori (le scimmie di Koechler) e l'intuizione risolutiva di problemi propri dell'uomo, l'apprendimento umano va al di là della strutturazione puramente percettiva o emotiva, e implica operazioni intellettive totalmente diverse e specifiche, che sfociano nel linguaggio, nella cultura, nello sviluppo morale, nel progresso tecnologico, nella storia, ecc. L'apprendimento razionale è pertanto un processo dominato dalla coscienza, che opera come agente di direzione e di controllo regolativo, caratterizzato dalla presenza essenziale del pensiero, soprattutto formale (raziocinante, attrattivo, generalizzante).Bastien (R. Titone, Op.cit., p.31) parla di "una trasformazione globale di tutta la personalità. Una modificazione interna essenzialmente dinamica, ove il pensiero riflesso tiene un ruolo dominante. Un cambiamento cosciente nel comportamento, che si adatta meglio alle situazioni nuove".Nella persona l'elemento discriminante dell'apprendimento è dato dalla riflessione intesa come operazione del giudizio e del raziocinio sui dati di una precedente concettualizzazione.Le leggi dell'apprendimento umano (Bastien) sono di notevole importanza ai fini delle applicazioni, generali e specifiche, che fanno parte della sostanza più profonda della psicodidattica:I. legge della totalità: è tutto l'uomo che partecipa allo sforzo e al lavoro di apprendimento con tutte le sue capacità (sensi, intelligenza, volontà, emotività, memoria, immaginazione, ecc.): con tutti gli antecedenti del comportamento, i suoi fondi di esperienza cristallizzata in disposizioni, atteggiamenti, attitudini, interessi, ecc., tutto finalizzato all'acquisto di una nuova potenza dinamica richiesta in un settore del comportamento, del pensiero, o della vita in generale.II. legge della globalità: la percezione, la comprensione e le reazioni comportamentali si dirigono a totalità significative, a complessi di realtà, non ad elementi frammentari; si coglie l'oggetto nel suo insieme, e soltanto in seguito lo si analizza: si reagisce ad una "situazione", non ad uno stimolo isolato come fosse autosignificativo.III. legge della motivazione: l'apprendimento, come operazione profonda, esige che l'obiettivo sia colto chiaramente come corrispondente ad un bisogno, che accende un interesse-valore; nel motivo sta la forma dinamogenetica dello sforzo di apprendimento.IV. legge dello sviluppo e della riorganizzazione: ogni nuovo acquisto non si aggiunge al precedente per mera giustapposizione, ma vi si inserisce unificandovisi, diventando funzione organica nel tutto; nessuna opposizione vi è dunque fra comportamento ereditario e comportamento acquisito, poiché l'uno è l'organica continuazione ed evoluzione dell'altro: tale sviluppo o evoluzione ha luogo attraverso un processo vitale di differenziazione (dalla conoscenza generale al particolare, dalle abilità generali a quelle specifiche), di integrazione (nuovi elementi vengono incorporati nella totalità e nell'unità dell'io), di precisazione (affinamento delle capacità così da ottenere in ogni operazione chiarezza e distinzione, economica ed armonica). (R. Titone, Op.cit., pp.31/32; Amidon E., Unter E., L'interazione verbale nella scuola, Angeli, Milano, 1971)L'apprendimento non è fine a se stesso, ma mezzo per giungere all'arricchimento e alla maturazione sia del pensiero riflessivo che delle potenzialità di auto-realizzazione della persona, in senso individuale e sociale.- Fattori dell'apprendimento e condizioni scolastiche: l'apprendimento dipende da fattori interni, (o soggettivi) e esterni, (o condizioni oggettive di natura interattiva); esso è sorretto da fattori primari, come la percezione e la comprensione, la motivazione, l'esercizio o applicazione, in armonia con le varie forme di interazione sociale e di contenuti culturali. a) Apprendimento come fenomeno cognitivo: apprendere qualcosa di nuovo è anzitutto effetto di una percezione e comprensione dell'oggetto (nozione o schema motorio o itinerario di ricerca), ma apprendere è un atto del soggetto totale nel suo concreto inserimento in una data situazione ed è anche una chiarificazione di tutte le condizioni

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soggettive e oggettive concorrenti in quella situazione.La chiarezza e le profondità percettive, variano tuttavia da situazione a situazione: sono minime nei condizionamenti riflessi, nella memorizzazione meccanica, nella ripetizione abituale per imitazione, negli apprendimenti per tentativo-errore, in molte abilità pratiche; diventano massime nella comprensione razionale di tutti gli elementi di una situazione problematica.Pertanto, da un punto di vista metodologico-didattico, l'apprendere per "condizionamento" può essere accettato solo a livello strumentale e come premessa per le forme superiori della conoscenza (la tavola pitagorica, le elementari operazioni aritmetiche, la capacità di scrivere rapidamente o ortograficamente, i fondamentali automatismi linguistici - fonetici e acustici -, ecc. rientrano in questa forma di apprendimento). Occorre evitare l'abuso e l'eccesso di tale esercizio, in quanto il vero apprendimento umano va oltre questo stadio. La funzione dell'educazione di base è piuttosto quella di offrire situazioni ricche di indizi e di stimoli per la soluzione di problemi, mezzi sussidi e tracce da cui l'allievo possa trarre un materiale stimolante su cui lavorare. È questo il senso della "libertà di apprendere e nell'apprendere", come è suggerito da Carl Rogers, fautore della pedagogia "non-direttiva".b) Apprendimento come attività finalizzata: la motivazione è il fattore dinamogenetico di ogni vero apprendimento. La sperimentazione psicopedagogica che si è preoccupata di definire il valore dei diversi motivi, la loro origine, la strategia educativa di sfruttamento, ha indicato come più validi i motivi intrinseci e profondi, ossia quelli funzionalmente connessi con l'attività personale e l'interesse profondo del soggetto. Sono stati valorizzati gli obiettivi immediati, concreti e precisi, sottolineata l'importanza di tener conto del livello di aspirazione dell'alunno. All'efficacia dell'apprendimento contribuiscono l'intenzione decisa e riflessiva di imparare, la chiara precisazione del compito da eseguire, la coscienza del proprio progresso, l'esperienza del successo. Nel gruppo la motivazione più profonda e duratura è quella che proviene dall'instaurazione di un vivo rapporto interpersonale, fatto di comprensione, di identificazione e di accettazione, tra insegnante e allievo e tra gli allievi stessi.c) Base esercitativa dell'apprendimento: la legge dello esercizio, formulata da Torndike, che si specifica nelle leggi subalterne dell'uso e del disuso (il primo favorevole alla ritenzione delle abitudini acquisite attraverso la ripetizione di atti, il secondo atrofizzante un'attitudine o un ambito corrispondente) e della priorità (i primi atti di un processo tendono in genere ad incidere maggiormente che non quelli posteriori), è una esemplificazione del principio generale secondo cui apprendere implica lo impiego di attività personali, e non un puro atteggiamento di ricettività, da parte del discente. La permanenza delle acquisizioni, nozionali o operative, dipende principalmente dall'uso costante delle medesime, in situazioni varianti ma significative. Nulla, dunque, e maggiormente contrario a tale principio di una concezione passivistica di una educazione indottrinante e condizionante.

13.6. CONDIZIONI OTTIMALI DELL'APPRENDIMENTO

L'apprendimento trae effetti positivi se considera le condizioni fondamentali sia di ordine fisiologico (normalità di salute generale, efficienza degli organi senso-recettori, equilibro ghiandolare, buona coordinazione muscolare, ecc.) sia di ordine psicologico (motivazione adeguata, tendenze favorevoli, interessi vivi, partecipazione personale attiva, adeguamento ai livelli di aspirazioni, ecc.); e se riesce ad applicare programmi e metodi all'attività dell'allievo così da garantirgli il perfetto funzionamento fisiologico e psicologico. Inoltre, poiché non si ha apprendimento senza motivazione personale, ciascuno dovrà essere guidato a prefissarsi una meta di valore personale e obiettivi precisi. Ciò richiede da parte dell'insegnante una profonda conoscenza della personalità del singolo, una comprensione "simpatetica" o "empatica") dei suoi bisogni e dei suoi interessi, l'unificazione e la concentrazione del programma (o dell'unità didattica) attorno ad uno scopo di concreta realizzazione.Usando metodi attivi, e per il programma dei contenuti, il principio della "correlazione", della "interdisciplinarità", e simili, occorre partire dall'esperienza dell'individuo, (materiale documentativo, attività spontanee, forme di espressione e di esplorazione della realtà interiore ed esteriore) procedendo dal concreto all'astratto, dall'azione al concetto.Poiché l'apprendimento si fissa e si approfondisce meglio quando nasce da un'attività emergente, da un problema sentito, è evidente che un insegnamento in forma problematica, offre maggiori garanzie di validità.

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Infine poiché ogni individuo è diverso dagli altri come struttura dinamica, ha un suo modo ed i suoi peculiari ritmi ed esigenze di apprendimento, le differenze individuali richiedono un insegnamento il più possibile individualizzato.Le metodologie moderne sviluppate negli ultimi decenni, per la formulazione e lo sviluppo del curricolo, integrano la matrice sociale dei contenuti del programma didattico, sulla matrice psicologica. Una programmazione didattica coerente deve operare su due coordinate: strutturazione oggettiva (definizione dei contenuti socio-culturali) e funzionalizzazione soggettiva (adattamento ai processi psichici dell'allievo).Infine è necessario ricordare il contributo della psicodidattica delle singole materie, coerente con la psicopedagogia dell'apprendimento.- Il "modello olodinamico" dell'apprendimento (R. Titone, Op.cit., pg.46/49).Un modello "passivo" dell'apprendimento e del comportamento è inevitabilmente troppo semplificante, riduzionistico e quindi mistificatorio, mentre un "modello attivo" è necessariamente complesso, articolato, irriducibile. La scelta a favore di un modello "attivistico" dell'apprendimento educativo implica quindi l'accettazione di una concezione integralistica e insieme dinamica del comportamento, nel senso già chiarito di strutturazione organica e gerarchica degli apprendimenti e di centralizzazione di questa gerarchia sul fulcro del concetto di struttura relazionale (cognitiva e motivazionale) della personalità.I concetti di base sono costituiti dalla nozione della multiplanarità della personalità e del comportamento (le operazioni hanno luogo a diversi livelli, ma funzionalmente dipendenti e gerarchizzati) e dal principio sistemico relazionale (interazione immanente dei vari livelli e dei vari fattori), che si può esprimere nella formula seguente:

P(ca)C(A)= -----------

Sil comportamento (C) e/o l'apprendimento (A) sono il risultato dell'attività, che si esplica nei processi cognitivi (c) e/o nei processi motori o automatizzati (a) in quanto informati (diretti, motivati, giustificati) dalla personalità (P) sulla base di un comune denominatore (S). P, c, a rappresentano tre livelli interagenti e integrati (almeno potenzialmente: la disintegrazione di un fatto costituirebbe lo stato patologico), in un equilibrio dinamico, sempre diveniente e mai del tutto stabile (l'educazione - come, per altro verso, la psicoterapia - deve tendere a renderlo sufficientemente stabile).

13.7. STRUTTURA PROFONDA DEL COMPORTAMENTO E DELL'APPRENDIMENTO

Una spiegazione adeguata del comportamento/apprendimento, nei suoi meccanismi più profondi, si può trovare nel postulare tre livelli gerarchici di operazioni: il livello tattico, estrinseco e per sua natura periferico (osservabile quindi e misurabile in tutte le sue manifestazioni); il livello strategico interiore o mentale, il piano proprio dei processi cognitivi; e il livello egodinamico massimamente intimo, personalizzato e unificato, vertice dinamico di tutte le operazioni umane, in quanto vigorosamente e squisitamente individuali.I tre piani si postulano a vicenda e, nella loro sintesi, sono in grado di spiegare tutti i fenomeni comportamentali specificamente umani. Le azioni esterne del soggetto sono ordinate in sequenze tattiche, a loro volta regolate e dirette da una strategia, ed infine unificate, controllate coscientemente e personalizzate dall'Io.Questa struttura triplanare diventa così anche la matrice tassonomica dei principali apprendimenti, che, pur integrandosi, si differenziano per livelli di operazioni.

13.8. TIPOLOGIA DEGLI APPRENDIMENTI

I. Apprendimenti tattici:a) Esecuzioni di tipo comunicativo (codificazione e decodificazione dei messaggi). b) coordinazioni e integrazioni dei circuiti senso-motori.c) Operazioni di feed-back (autocontrollo e autoregolazione). II. Apprendimenti strategici:

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d) Formulazione concettuale di regole. e) Processi di selezione (delle fasi o degli elementi operativi). f) Processi di programmazione (ordinamento sequenziale degli atti). g) Processi di autoregolazione cosciente (autocritica e autocorrezione). III. Apprendimenti ego-dinamici:h) Organizzazione della propria esperienza esistenziale. i) Formulazione di una visione del mondo. 1) Sviluppo di atteggiamenti personali. m) Sviluppo degli assetti affettivi. n) Sublimazione di pulsioni o tensioni (soluzione di conflitti). o) Maturazione delle capacità di scegliere o di decidere. p) Formazione del concetto di sé (auto-valutazione, livelli di aspirazione, ideali di condotta, ecc.). (L'eccetera è richiesto dal fatto che lo sviluppo del comportamento è un sistema aperto e dinamico).Coerentemente ad un concetto di "personalità aperta" (Allport), tutti i processi ego-dinamici sono di natura interattiva o relazionale; processi cioè insieme centripeti e centrifughi, rispetto all'Io, afferenti ed efferenti, finalizzati alla costante ricerca di un equilibrio fra l'Io ed il mondo.Una concezione di così largo respiro non può essere estranea all'insegnamento, se si comprende che insegnare non è soltanto un insieme di procedimenti tecnici per istruire, ma un sistema di rapporti interpersonali che incidono sulla strutturazione profonda della personalità dell'allievo.È quindi possibile suscitare apprendimento soltanto attraverso una ordinata programmazione didattica rispondente (e cioè motivante) alle necessità profonde di chi apprende.

13.9. LE TASSONOMIE

Sono classificazioni e/o repertori di obiettivi organizzati dal semplice al complesso. L'uso di questi strumenti è riferibile da un lato al grado di sviluppo psicologico dell'alunno e dall'altro alla scelta di contenuti e di attività.Area cognitiva: tassonomia di B.S.BloomLA CONOSCENZA- Acquisizione delle conoscenze. La conoscenza, come è definita qui, presuppone la capacità di richiamare alla memoria dei fatti particolari e generali, dei metodi e dei processi, oppure un modello, una struttura, un ordine. Per quanto riguarda la misura delle conoscenze, il comportamento di richiamare alla memoria non esige altro che di rievocare il materiale immagazzinato nella memoria.* Conoscenza dei dati particolari.* Conoscenza della terminologia. Es.: conoscere il significato di una serie di sinonimi.*Conoscenza dei fatti particolari. Conoscenza di date, avvenimenti, persone, luoghi, ecc.*Conoscenza dei mezzi che permettono l'utilizzazione dei dati particolari.*Conoscenza delle convenzioni. In ogni campo sono stati adottati gli usi, il linguaggio, le forme ed i metodi che meglio rispondono alle esigenze comuni e/o convengono di più ai fenomeni studiati. Queste forme o convenzioni si fondano per lo più su basi arbitrarie fortuite o sull'autorità degli esperti, ma facilitano le comunicazioni e assicurano un minimo di coerenza.*Conoscenza delle tendenze e delle sequenze. Conoscenza dell'evoluzione dei fenomeni che si svolgono nel tempo.*Conoscenza delle classificazioni.*Conoscenza dei criteri. Conoscenza dei criteri secondo i quali vengono giudicati o verificati i fatti, i principi, le opinioni, come pure il comportamento.*Conoscenza dei metodi.*Conoscenza delle rappresentazioni astratte.*Conoscenza dei principi e delle leggi.*Conoscenza delle teorie.

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13.10. ABILITÀ E CAPACITÀ INTELLETTUALI

Gli obiettivi presi in considerazione in questo paragrafo mettono l'accento sui processi mentali della preparazione e della riorganizzazione del materiale per ottenere un risultato particolare.L'alunno può dover prendere conoscenza di un materiale dato oppure ricordarsi di un materiale noto.- Comprensione. Si tratta del livello più elementare del capire. Questo modo di capire o apprensione intellettuale permette all'alunno di conoscere quel che viene comunicato senza stabilire necessariamente un rapporto fra questo materiale ed un altro, oppure coglierne tutto il significato.- Trasposizione. Esempi: abilità nel rendere in linguaggio corrente, delle espressioni stilistiche: metafore, simboli, ironia o iperbole; capacità di trasformare del materiale matematico verbale in enunciati simbolici e viceversa. - Interpretazione. Spiegazione o riassunto di una comunicazione. Mentre la trasposizione equivale a rendere obiettivamente il senso letterale di una comunicazione, l'interpretazione equivale a presentare il materiale, sia in una disposizione o in un ordine differenti, sia da un nuovo punto di vista.- Estrapolazione. L'estensione delle correnti e delle tendenze al di là dei dato presentati, allo scopo di determinare la portata, le conseguenze, i corollari, gli influssi ecc., che corrispondono alle condizioni descritte nella comunicazione originale. - Applicazione. Utilizzazione delle rappresentazioni astratte in casi particolari e concreti. Queste rappresentazioni possono prendere la forma sia di idee generali, di regole di procedimento o di metodi largamente diffusi, sia di principi, di idee, di teorie che si devono riconoscere e applicare. Es.: abilità nel prevedere l'effetto probabile della modificazione di un fattore in uno stato di equilibrio biologico.- Analisi. Separazioni degli elementi o parti costitutive di una comunicazione in modo da rendere chiara la gerarchia relativa delle idee e/o i rapporti fra le idee espresse.*Ricerca degli elementi. Es. Abilità nel distinguere i fatti dalle ipotesi.*Ricerca delle relazioni.*Ricerca dei principi di organizzazione. - Sintesi. La riunione di elementi e di parti allo scopo di formare un tutto. Quest'operazione consiste nel disporre e combinare i frammenti, parti, elementi, ecc. in modo da formare un piano o una struttura che prima non si distingueva chiaramente.*Produzione di un'opera personale. Es. Facilità nel raccontare un'esperienza personale in maniera interessante.*Elaborazione di un piano d'azione. Es. Abilità nel proporre dei metodi di verifica di ipotesi.*Derivazione da un insieme di relazioni astratte. Es. Capacità di fare delle scoperte e delle generalizzazioni matematiche. - Valutazione. Formulazione di giudizi sul valore del materiale e dei metodi utilizzati per uno scopo preciso. Giudizi qualitativi o quantitativi che stabiliscono fino a che punto il materiale ed i metodi corrispondono a criteri. Uso di una norma di apprezzamento. I criteri possono essere o proposti all'alunno o stabiliti da lui.*Criteri interni. Valutazione dell'esattezza di una comunicazione sulla base di elementi come il rigore, la coerenza e altri criteri interni. Es. Capacità di scoprire i sofismi nelle discussioni.*Criteri esterni. Valutazione del materiale sulla base di criteri dati o di cui ci si ricorda. Es. Capacità di confrontare un'opera con altre opere di cui sia noto il valore.

Area psicomotoria: tassonomia di HarrowLivelli______________________________________________________________- Movimenti riflessi Base di tutti i movimenti Non appresi.- Movimenti naturali Le combinazioni esistentio fondamentali. Combinazione di mo- saranno però utilizzati nei

vimenti riflessi. movimenti volontari

N.B. 1 e 2 non sono

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oggetto di obiettiviper l'educazione, al-meno nei casi normali.

____________________________________________________________________________- Capacità percettive. Normalmente l'inse- Si sviluppano sia - Capacità fisiche gnamento inizia a per maturazione

questo livello. che per apprendimentoInfatti in esperienze

di apprendimento: - stimolano le percezioni

- sviluppano le capacità fisiche

____________________________________________________________________________- Abilità motorie. A questo livello esiste Dipendono:

un continuum di abilità - dal controllo dei movimenti fondamentali;

- dall'efficacia della percezione; - dal livello di sviluppo delle capacità fisiche;

_____________________________________________________________________________- Comunicazione non verbale A questo livello esiste Quando il soggetto dispone

un continuum di di un repertorio di abilità mo- espressività torie, è pronto per la creazione di movimenti estetici.

Mimica spontanea Il 2 rappresenta il vertice non è oggetto di della gerarchia:espressione obiettivi attraverso danza, mimo... _____________________________________________________________________________

Area affettiva: tassonomia di G. De Landsheere*L'individuo risponde ad uno stimolo esterno1. È semplicemente ricettivo. È una specie di stato affettivo amorfo in cui il soggetto percepisce ciò che è bello, ciò che è brutto, i diversi sentimenti, senza reagire - un po' come uno specchio che non riflette l'immagine.Questo comportamento è difficile da distinguere dalla semplice cognizione che precede la facoltà di conservare nella memoria. Si osserva soltanto un certo risveglio dell'attenzione.Esempio: ascolta la musica, ascolta parlare gli altri. 2. Riceve e reagisce. L'individuo reagisce apertamente, sia con la ubbidienza, sia manifestando piacere, con la parola, con il gesto e con l'atteggiamento. A questo stadio non si osserva ancora un rifiuto esplicito, che indicherebbe una scelta deliberata. Per il professore di letteratura è il momento in cui gli alunni non hanno ancora il gusto abbastanza formato, per poter fare una scelta personale, in cui la loro sensibilità non è ancora abbastanza raffinata, perché siano in grado di fare da soli delle scoperte, ma in cui, messi in presenza di opere di valore, incominciano a sentirne la grandezza.3. Riceve e reagisce accettando o rifiutando. Ora l'individuo sa quel che vuole, o quel che gli piace, a condizione di essere messo in presenza delle persone o delle cose; si impegna.*L'individuo prende l'iniziativa4. Cerca spontaneamente di capire, di giudicare, di farsi delle idee personali. L'individuo prova dell'interesse, della curiosità, e quindi si istruisce senza bisogno di essere stimolato; ha sufficiente sensibilità per poter prendere un'iniziativa sentimentale, o anche, ha scoperto sufficientemente il significato dei valori, per scegliersi una filosofia o una religione.

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5. Agisce secondo le proprie opzioni. È lo stadio psicologicamente adulto, come l'ha definito P. Osterrieth.Per esempio, l'individuo vive in funzione delle proprie opzioni morali, sentimentali, estetiche, ma è capace anche di cambiare il suo comportamento alla luce di prove, di argomenti convincenti.Quest'ultima tappa dell'ascesa affettiva corrisponde alla valutazione nel campo cognitivo.

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CAP. XIV - I PROGRAMMI

14.1. COSA SONO I PROGRAMMI

I programmi sono la tipica espressione dei sistemi scolastici centralizzati. In Italia, l'ordinamento generale della scuola nei suoi livelli, è stabilito da leggi approvate dal Parlamento, le quali stabiliscono le finalità della scuola, i suoi criteri organizzativi, le dotazioni di mezzi e di personale, le prove d'esame, le condizioni di ammissione ecc.I programmi sono provvedimenti di tipo amministrativo, che dovendo tener conto dei mutamenti che interessano lo sviluppo dell'economia, della struttura sociale ecc., impegnano il governo ad apportare delle modifiche decise dal Ministero della Pubblica Istruzione. I programmi nazionali sono il "progetto", la "scelta deliberata", allorché rivedibile, per il funzionamento e la qualificazione specifica del pubblico servizio scolastico. L'elaborazione dei programmi nella scuola, costituisce uno dei momenti più importanti perché tocca contemporaneamente la sociologia, la psicologia, l'igiene. Essa presenta due aspetti distinti:- il contenuto generale- la ripartizione delle materie nel corso di studioOggi stiamo assistendo ad una revisione dei programmi causata da esigenze sociali nuove, che implicano la partecipazione ed il contributo di vari specialisti oltre a quella delle famiglie e degli alunni stessi.Se per un verso i programmi costituiscono un bilancio della cultura di cui la scuola si fa tramite, dall'altro costituiscono un bilancio preventivo, perciò va assicurato un loro costante aggiornamento. Mirando al conseguimento di traguardi essenziali per la formazione di base, i programmi non possono rinunciare alla normatività, in primo luogo aiutando gli scolari a conseguire gli strumenti fondamentali del sapere e a conoscere i principali aspetti dell'ambiente in cui si dovrà muovere, rapportare, esprimere.Il programma è l'enunciazione formale e ufficiale di un progetto la cui realizzazione è affidata agli operatori scolastici. Per rendere tale programma più consono alle molteplicità ambientali della realtà, gli operatori dispongono del "piano di lavoro" già previsto dai programmi del 1955, là dove si dice: "spetta all'insegnante in base alle accertate possibilità degli alunni, di formulare un suo personale piano di lavoro distribuito nel tempo, e che potrà aggiornare alla luce di una sempre più approfondita conoscenza della scolaresca".

14.2. A CHI SI RIVOLGONO I PROGRAMMI

I destinatari dei programmi sono l'opinione pubblica e gli operatori scolastici. Due sono i modi in cui i programmi vengono letti:1) Da parte dei non addetti ai lavori, per cercare di capire cosa avviene dentro la scuola.2) Da parte degli addetti ai lavori, per avere un indirizzo completo riguardo alle scelte da compiere sia sul piano culturale che su quello didattico. Le innovazioni che i programmi introducono nella scuola, investono il piano professionale (i modi di fare scuola) e quello culturale (si dovrebbe insegnare ad apprendere).Nella tradizione italiana, il programma costituisce un modello di allievo le cui caratteristiche sono medie; ciò poteva andare bene fino a che la scuola si rivolgeva a strati stretti della popolazione, ma da quando la scuola è diventata di tutti, questa classificazione non può più essere utilizzata. Oggi non si può far riferimento ad un allievo tipo, ma bisogna tenere presenti le caratteristiche di ciascuno per individuare le soluzioni più appropriate alle sue esigenze. In realtà nei programmi non si trova soltanto un modello di allievo e un modello di contenuto, ma anche dei riferimenti al ruolo generale che la scuola svolge nella formazione, e ai prodotti che dovrebbe assicurare.Con il tramonto dei programmi minuziosamente prescrittivi, riconosciuta la legittimità di diverse metodologie didattiche, l'indicazione del "come" dell'attività scolastica, è venuta a coincidere con la preoccupazione di fornire all'alunno una guida e un sostegno nei processi acquisitivi, adeguatamente differenziati. Questa direttiva non è casuale, perché i programmi devono costituire realisticamente la risposta alla domanda sociale e personale del fanciullo; risposta che si traduce in condizioni di organizzazione della scuola e dei suoi rapporti con la cultura e la

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società. I programmi devono mettere in evidenza le finalità generali della scuola, nonché i traguardi che dovranno essere perseguiti sia nell'area cognitiva che in quella socio-affettiva. In ogni caso, l'azione della scuola deve tendere alla padronanza di abilità e conoscenze, mirando all'esperienza ludica propria della scuola materna, per mettere ordine nelle sue rappresentazioni e tradurle nella lingua parlata e scritta, e negli altri codici della cultura.

14.3. COME SI ATTUANO I PROGRAMMI

In linea di massima ci sono due modi per applicare i programmi:1) quello che riprende il concetto di allievo tipo considerandolo una chiave interpretativa valida, non solo per la stesura del testo dei programmi, ma anche per l'impostazione dell'attività didattica;2) l'altro, quello di considerare il programma come riferimento generale sulla base del quale tempi e modi dell'attività didattica, vengono decisi autonomamente in base alle esigenze e alle caratteristiche dei singoli allievi.Riguardo a quest'ultimo punto, bisogna dire che lascia ampi spazi di libertà, e di conseguenza richiede una buona professionalità, una grande capacità di analisi e di decisione rispetto alle alternative possibili di valutazione degli effetti che le scelte potranno comportare sul piano della formazione.

14.4. IL TESTO DEI PROGRAMMI

Il testo dei nuovi programmi che a prima vista può sembrare poco fluido, con un lessico non sempre semplice ed accettabile ha come obbiettivo principale l'ispirazione democratica del documento e il rifugio dall'ideologia La scuola elementare viene vista come istituzione al servizio del fanciullo, pronta a rimuovere qualsiasi ostacolo di ordine sociale ed economico che può limitare di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impedendo il pieno sviluppo della persona umanaIl compito difficile di questi nuovi programmi è stato proprio quello di ritrovare una concezione dell'uomo, del fanciullo e dell'educazione che desse una risposta unitaria alle diverse visioni del mondo esistenti nella cultura della nostra società. I programmi del 1955 centravano il valore della persona umana, mettendo in ombra il pluralismo culturale che pure allora caratterizzava la nostra realtà sociale. Questo criterio di laicità non serve soltanto a tutelare dai rischi le pericolose ideologizzazioni, ma anche a garantire un modello di educazione, un'interiorizzazione del senso della democrazia, inteso non come tolleranza dell'altro, ma come solidarietà e complementarità.I nuovi programmi dovrebbero presentarsi soprattutto come un progetto fattibile di rinnovamento della scuola. È necessario superare il divario tra scuola "legale" e "reale", prendendo atto per il passato dell'esistenza, nei vecchi programmi, di uno scarto tra il previsto e l'attuato, e per il futuro, della necessità di distinguere il necessario dall'accessorio. I programmi devono costituire realisticamente, da un lato la risposta alla domanda sociale, e dall'altro alla domanda personale del fanciullo: risposta che si traduce in condizioni di organizzazione della scuola e dei suoi rapporti con la cultura e con la società.Il TESTO risulta strutturato da: 1) Una PREMESSA generale che individua i caratteri ed i fini della scuola elementare, ne scaturisce i "principi", ne dichiara la funzione, i compiti e i tratti organizzativi basilari:- necessita di una connessione con il sistema formativo extra-scolastico- garanzia del diritto all'istruzione e all'educazione per tutti da perseguire mediante itinerari individualizzati di apprendimento.- funzione della scuola intesa come "acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio"- rispetto della creatività personale2) Una parte più curricolare comprendente i PROGRAMMI veri e propri.

14.5. LA PREMESSA

La Premessa è un documento socio-politico-culturale nel quale entrano temi di organizzazione scolastica che puntualizzano e mettono a fuoco alcuni punti della relazione. Essa viene divisa in 11 paragrafi:

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1) finalità generali della scuola elementare 2) Scuola e sistema formativo 3) Continuità della "scuola di base" 4) Diversità ed uguaglianza 5) La scuola come ambiente per l'apprendimento 6) La formazione della convivenza democratica7) Educazione civica, sociale, morale8) Programma e Programmazione9) Organizzazione didattica10) La valutazione11) Alunni in grave difficoltà di apprendimento.Questi 11 punti possono essere poi raggruppati in tre sezioni:A) Parla degli aspetti generali della scuola elementare indicandone principalmente il rapporto con gli altri livelli della formazione scolastica di base.B) Parla degli aspetti pedagogici, quelli che caratterizzano le scelte di fondo relative alla formazione elementare, cioè l'uguaglianza, la scuola centro di apprendimento, formazione dei valori.C) Parla degli aspetti didattici relativi all'organizzazione dell'insegnamento, l'uso dei programmi, la messa a punto di strategie per la valutazione e l'impiego di mezzi specifici e di procedure per il trattamento di allievi portatori di handicap. La dimensione educativa è ampiamente presente ed in termini sostanziali tali, da rappresentare un utile punto di riferimento per la revisione della programmazione educativa che il collegio dei docenti è tenuto ad elaborare.Nella Premessa troviamo inoltre delle citazioni: - La scuola elementare nega di essere l'unico centro culturale-formativo accettando la collaborazione di altri istituti. - La scuola riconosce al bambino una presenza attiva nella società sulla quale si interroga, e vive le sue esperienze. - La scuola riconosce al bambino una sua cultura prescolastica. - Sulla esperienza pre-scolastica del bambino si deve innestare il suo compito formativo.Gli obiettivi contenuti nella Premessa sono:1) La scuola elementare ha per suo fine la formazione dell'uomo e del cittadino. 2) La scuola elementare ha per compito la promozione della prima alfabetizzazione culturale.3) La scuola elementare aiuta il fanciullo a superare i punti di vista egocentrici.4) La scuola elementare educa alla convivenza sociale, sollecita gli alunni a divenire consapevoli delle proprie idee e responsabili delle proprie azioni.5) La scuola elementare contribuisce alla formazione di un costume di reciproca comprensione.6) La scuola elementare concorre a sviluppare la creatività.7) La scuola elementare promuove l acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio.La scuola ormai è inserita in un sistema educativo policentrico che cerca le collaborazioni necessarie e postula una "continuità" dalla scuola materna alla media. A questo proposito la Commissione ha dedicato particolare attenzione alla scuola elementare, non più vista come una istituzione a se stante, ma come un "segmento" della Scuola di Base, posta al servizio dello sviluppo individuale visto come processo continuo. La famiglia viene indicata come sede primaria dell'educazione del fanciullo e quindi la scuola rispettando le scelte fatte dalla famiglia deve costituire un momento di riflessione aperta aiutando il bambino a superare i punti di vista egocentrici e soggettivi. Questa teoria invita la scuola a prendere atto delle "diversità" e ad impegnarsi per intervenire nei modi più opportuni e differenziati affinché non si trasformino in disuguaglianze sul piano civile e sociale.

14.6. I PROGRAMMI

I Programmi si articolano in 11 discipline suddivise al loro interno relativamente a finalità, obiettivi, contenuti e metodi. Lo scopo di ciò è fornire un modello di lettura e traduzione che garantisca l'equilibrio e l'unitarietà delle

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parti. Gli obiettivi dei nuovi programmi, interpretano l'accresciuta richiesta individuale e sociale di educazione linguistica. Nella scuola non si avranno più solo le tecniche tradizionali, lettura, riassunto; ma si opererà sulla natura dei vari testi e sul loro funzionamento diversificato. Ciò comporterà per chi insegna una maggiore competenza e una maggiore collaborazione instaurando un clima sociale capace di liberare in ciascuno le migliori energie professionali Tra le funzioni interne al sistema scolastico vanno comprese: - La Legittimazione dei valori che ispirano l'azione educativa degli insegnanti. - La Formazione per l'adeguamento delle competenze professionali richieste agli insegnanti, per la loro applicazione. - Il Contratto rispetto ai bisogni ed alla domanda educativa dell'ambiente di riferimento diretto "famiglie e alunni" e indiretto "agenzie educative extrascolastiche". - La Protezione in ordine delle aspettative, interne ed esterne al sistema scolastico, non pertinenti agli obiettivi del curricolo ed alla deontologia professionale degli insegnanti - Il Controllo dei risultati eseguito mediante l'accertamento degli standard curricolari previsti - Il Confronto fra colleghi della stessa unità scolastica ed ai più ampi scambi nazionali ed internazionali dell'Associazionismo professionale. - L'Organizzazione educazionale dell'unità scolastica, ordinata all'ottimizzazione delle strutture organizzative e del loro regolare adeguamento. - La Coordinazione delle risorse interne ed esterne, spazi e attrezzature a livello di unità scolastica ed ai vari gradi del sistema scolastico. - L'innovazione delle strutture e dei metodi di pianificazione, a livello periferico e centrale. Non vanno trascurate inoltre le funzioni esterne dei programmi nazionali, fra le quali sono da annoverare quelle importanti della partecipazione e dell'orientamento in direzione delle famiglie e degli altri soggetti interessati all'educazione scolastica, come gli alunni, a secondo dell'età e delle finalità della scuola. I nuovi programmi definiscono i compiti istituzionali della scuola elementare, ma consentono agli operatori di concentrarsi sugli aspetti professionali e didattici.Il profilo dell'insegnante non è tracciato in senso specialistico, ma competente e "polivalente", collegialmente responsabili per l'impostazione di un'azione educativa unitaria, perché non si avrà più una rigida ripartizione dei compiti, prendendo adesso in esame il sistema didattico a classi aperte. Si può dire che, ci può essere unità educativa nella nuova scuola elementare italiana se e nei limiti in cui, da parte di tutti, si trova il modo di rispettare e di tradurre nella pratica reale della scuola alcuni principi professionali comuni, quali: - il muovere dall'accettazione dell'alunno e della valorizzazione della sua esperienza; - l'educare ad una intelligenza ricca di risorse metodologiche, e nello stesso tempo capace di autonomia e progettualità; - il maturare lo spirito della comprensione e della compresenza civile come dovere morale. L'unità educativa non e garantita a priori, ma costituisce un tratto di qualità pedagogica da porre in atto attraverso lo svolgersi effettivo dell'azione educativa e didattica.Per quanto riguarda gli aspetti didattici, assumono un senso nuovo; si passa dalla precisazione del rapporto tra programma e programmazione ai problemi dell'organizzazione didattica e della valutazione, per poi concludere con il tema dell'handicap. Tutti aspetti che segnano un salto deciso rispetto al clima didattico del 1955.

14.7. IL MODULO

Il modulo è un itinerario didattico relativamente compiuto, utilizzabile in curricoli diversi, strutturato in modo che, attraverso contenuti-esperienze-situazioni di apprendimento disciplinare e/o multidisciplinare di ampiezza variabile, mediante una sequenza articolata di attività didattiche, si raggiungano in tempi flessibili, obiettivi ben identificati in termini di atteggiamenti, di conoscenze e di capacità. Ogni modulo è costituito da una serie di unità didattiche, e per evitare i rischi di una articolazione disaggregante e dispersiva, è necessario che siano indicate con chiarezza e precisione le mete del processo didattico, verificandone la coerenza in un sistema educativo unitario.

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14.8. I GRUPPI

I nuovi programmi prevedono una articolazione dei raggruppamenti degli alunni che comprende forme permanenti e stabili e forme temporanee e mobili, con raggruppamenti funzionali all'interno della classe e tra alunni di classi diverse, in un sistema didattico a classi aperte necessario anche per valorizzare "le esperienze e gli specifici interessi culturali degli insegnanti". Questa ipotesi deve essere compatibile con gli orari e le articolazioni dei compiti dei docenti. Il tipo di cultura è intesa come relazioni sociali, modo di rappresentare e spiegarsi la realtà. L'indagine si sposterà dal piano individuale a quello sociale e ambientale, ovvero alla ricerca di ciò che è comune anziché di ciò che caratterizza l'individuo. Prese queste indicazioni come punto di partenza, l'insegnante persegue due scopi: 1) mette l'alunno nelle condizioni di capire l'ambiente 2) lo aiuta a capire quali sono i problemi di tutti gli uomini. Nel primo ciclo sono consigliabili gruppi di lavoro tra ragazzi di diverse classi con lo scopo di sviluppare la socialità. Nel secondo ciclo sono consigliabili singoli docenti per una molteplicità di alunni, perché si tratta di attività progressivamente più specializzate. Fra i diversi tipi di gruppi che si possono formare, quelli all'interno della classe, sono risultati migliori per andare incontro alle esigenze individuali, quindi maggior tempo necessario per l'apprendimento e la possibilità di tempestivi recuperi. I nuovi programmi comunque confermano la centralità della classe come perno dell'organizzazione della scuola elementare italiana, e richiamano l'esigenza di flessibilità per tutte le scuole, mettendo in evidenza come raggruppamenti diversi dalla classe possano facilitare la socializzazione, la valorizzazione delle competenze dei docenti, e la "personalizzazione" dei percorsi individuali. La vita di gruppo presenta valori positivi come, sviluppo della socialità con insegnamento alla tolleranza, a conformare i desideri e le azioni a quelle del gruppo, a cooperare col gruppo rinunciando al suo egocentrismo in un particolare periodo evolutivo, ma non bisogna tralasciare i valori negativi, la socializzazione sottopone la personalità del fanciullo a notevoli sollecitazioni provocate da tensioni interiori, quindi è consigliabile che questi gruppi siano controllati da persone adulte competenti per evitare che questi sfocino in condotte antisociali. Infine si può dire che, i nuovi programmi non definiscono il tempo da dedicare alle diverse discipline, neppure indicativamente, onde evitare sbilanciamenti eccessivi, e definiscono l'articolazione dei compiti tra i docenti, così da prevedere il tempo necessario per tutte le attività. La distribuzione dei compiti deve tener conto di: a) Indicazioni dell'auxologia sulle capacità di lavoro scolastico degli alunni nelle diverse età.b) Le indicazioni della ricerca e dell'esperienza didattica nella scuola elementare che evidenziano la necessità di disporre di tempi non eccessivamente frammentati, per poter instaurare rapporti educativi e svolgere attività in modo integrato. c) I limiti entro i quali svolgere attività con raggruppamenti temporanei degli alunni in un sistema didattico a classi aperte. Da ciò risulta che: - ogni momento della vita della scuola è educativo ed in quanto tale, va programmato e gestito; - è necessario dedicare tempo adeguato a tutte le attività curricolari proposte dai programmi; - l'articolazione dei tempi di lavoro dei vari docenti non può essere atomizzata secondo modelli di scuola secondaria; - l'orario dei docenti in attività non di insegnamento, va utilizzato in funzione della didattica.

14.9. LA RELIGIONE

Nella bozza dei nuovi programmi è sorto il problema dell'insegnamento della religione, temporaneamente risolto in un capitolo a parte "Conoscenza dei fatti religiosi"; capitolo che, come tutti oramai hanno constatato, è stato profondamente discusso e non di rado rifiutato. La lettera di trasmissione al Ministro, riconosce alla famiglia il diritto ad avere per i figli un educazione religiosa, impartita facoltativamente secondo i principi della propria confessione, compito affidato a ministri della propria denominazione o a docenti da essa autorizzati.

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Le ragioni a sostegno di un capitolo di cultura religiosa crescono se dalla scuola vista sotto il profilo istituzionale passiamo a considerare quelle che sono le sue responsabilità di fronte al diritto educativo del singolo. Non bisogna infatti dimenticare che il sentimento religioso è un "sentimento maturo", che deriva da una complessità iniziale nella quale trovano posto, paure e timori, superstizioni e pregiudizi, senso di debolezza e bisogno di protezione.La Premessa ai nuovi programmi assegna all'intervento scolastico il compito di aiutare ogni alunno a liberarsi dall ignoranza, si che possa attivamente integrare con la cultura e sviluppare un proprio ideale di vita. È chiaro che se si vuole soddisfare questo compito bisogna offrire l'opportunità di un confronto anche con la dimensione religiosa, tanto più che tale confronto è di frequente postulato dagli stessi bambini.Per l'ambito disciplinare riservato alla religione, sono stati individuati tre precisi obiettivi: 1) la conoscenza degli elementi essenziali per la graduale riflessione sulla realtà religiosa nella sua espressione storica, culturale, sociale2) la conoscenza e il rispetto delle posizioni che le persone variamente adottano in ordine alla realtà religiosa3) la consapevolezza dei principi in base ai quali, viene assicurato nella scuola elementare lo svolgimento di specifici programmi di religione, nel rispetto del diritto dei genitori di scegliere se, "avvalersene o non avvalersene".

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CAP. XV - DAL PROGRAMMA ALLA PROGRAMMAZIONE.

Nel definire le 'linee del programma', si parte dal presupposto che, 'per attuare i suoi compiti, la scuola si organizza in modo funzionale rispetto agli obiettivi educativi da perseguire'.Dal momento che il significato e il valore dell'educazione è strettamente legato al creare sistemi di condizioni ambientali opportune, in cui le potenzialità di ciascuno possano estrinsecarsi, la scuola deve divenire sempre più centro comunitario aperto, interagente con l'ambiente sociale esterno."La molteplicità e la diversificazione dei problemi presenti nella scuola, impone un serio e faticoso lavoro di individuazione e di risoluzione delle maggiori difficoltà per elevare qualitativamente il sistema di valori (criticità, decisionalità, capacità di saper gestire nel migliore dei modi sè stessi) attraverso una definizione dinamica degli obiettivi e dei contenuti educativi e una acquisizione produttiva di conoscenze, abilità, capacità. Precisando obiettivi di intervento, si stabiliscono i legami tra problemi specifici e prospettive più ampie, si individuano direzioni di lavoro, si valutano difficoltà in rapporto alle necessità di impossessarsi di strumenti appropriati"(De Bartolomeis, 1982).La Scuola, nel rispetto delle linee programmatiche e delle normative prescritte dallo Stato, si struttura metodologicamente e didatticamente in vista di una fattiva applicazione e svolgimento (del programma stesso), tenendo in considerazione le esigenze e gli interessi degli alunni, la realtà socio-culturale in cui si opera. Con questa premessa, la legge n.517 istituisce la programmazione evidenziando di nuovo la centralità della funzione docente, l'importanza fondamentale della programmazione educativa e didattica, la funzione degli organi collegiali, l'area di competenza (i Programmi Ministeriali prescrivono chiaramente che "la programmazione didattica deve essere assunta e realizzata dagli insegnanti"), i tempi di realizzazione, le verifiche, le valutazioni.

15.1. UNITARIETÀ DELL'APPRENDIMENTO CULTURALE

"Il programma, necessariamente articolato al suo interno, mira ad aiutare l'alunno impegnato a soddisfare il suo bisogno di conoscere e di comprendere, a possedere unitariamente la cultura che apprende ed elabora". "I vari insegnamenti esprimono modi diversi di articolazione del sapere, di accostamento alla realtà, di conquista, sistemazione e trasformazione di essa, e a tal fine utilizzano specifici linguaggi che convergono verso un unico obiettivo educativo: lo sviluppo della persona nella quale si realizza l'unità del sapere.I vari linguaggi infatti concorrono, attraverso il processo di comunicazione e utilizzando contenuti, attività, strumenti specifici a seconda della disciplina, alla acquisizione di un sapere unitario. La cooperazione dei linguaggi dovrà consentire di perseguire per vie diverse gli obiettivi della programmazione educativa e di mettere a disposizione di altre discipline i contributi specifici dell'uno e dell'altro ambito.Riuscirà, pertanto, pedagogicamente e didatticamente utile programmare le interrelazioni delle varie discipline in vista di un approccio culturale alla realtà più motivato e concreto, volto all'acquisizione di un sapere articolato ed insieme unitario (si considerino ad esempio il contributo che l'educazione linguistica può dare alla comprensione dei termini scientifici e del linguaggio matematico; o, viceversa, il contributo che il metodo scientifico e le operazioni tecniche possono dare al chiarimento dell'espressione verbale; nonché gli esiti di chiarezza di pensiero e di capacità di espressione promossi dall'educazione artistica, dall'educazione musicale e dall'educazione fisica, attraverso i linguaggi non verbali a loro pertinenti)" (Programmi Ministeriali per la Scuola Media, 1979).

15.2. APPLICAZIONE E SVILUPPO DINAMICO DEL PROGRAMMA

"I programmi scolastici sono documenti molto generali, ma valgono come scelta di indirizzi formativi che ha una grande influenza sulla preparazione degli strumenti didattici, sui libri di testo, sulla pratica educativa, sul tempo da dedicare a questo o a quel settore del sapere ... anche se l'insistenza sulle capacità, sui bisogni, sulla creatività, sulla scoperta, sulla ricerca non deve scavalcare il problema di costruire una visione dell'insieme delle conoscenze e delle abilità che è indispensabile apprendere"(De Bartolomeis, 1982).

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In questa ottica la Scuola deve qualificarsi come un sistema educativo aperto nel quale essa sia uno dei momenti educativi accanto a una serie di 'atelier' o 'botteghe culturali', emanate dal decentramento amministrativo, controllate democraticamente, con diversi compiti e ruoli pedagogici, di tipo culturale, artistico, tecnico-scientifico, sportivo, che dovrebbero sorgere o continuare ad esistere con maggiore chiarezza e consapevolezza di funzione, e a cui sia riconosciuta dignità pedagogica (Convegno "Tempo libero", 1976)."La peculiarità del programma scaturisce dall'intento di aiutare l'alunno a penetrare il significato della lingua, ad avviare seriamente una preparazione scientifica, a cominciare ad elaborare una conoscenza attenta della vita umana e sociale nelle sue varie espressioni, ad interrogare criticamente quegli aspetti della realtà che più lo colpiscono"Per Macciò "bisogna voler sviluppare in ogni persona il desiderio di assumersi delle responsabilità sociali, di sentirsi personalmente responsabili dell'ambiente che ci circonda e ci rende liberi. Ma la volontà di prendere delle responsabilità non basta: occorre averne le capacità, sviluppare la propria competenza affinché la partecipazione di ciascuno sia più efficace. Sviluppare la cultura è educare e permettere lo sviluppo delle volontà e delle capacità di ciascuno" (Macciò, 1975).L'intervento educativo è un fatto complesso in cui gli aspetti di cultura riferibili alle materie sono solo una parte. L'elaborazione didattica delle materie di studio è solo una parte del piano educativo da realizzare. Questo riguarda anche gli aspetti relazionali degli studenti, includendo esperienze e mezzi non riferibili alle materie.

15.3. CARATTERISTICHE INNOVATIVE DELLA PROGRAMMAZIONE

Entrando nel vivo del commento alla parte della programmazione e organizzazione didattica, si nota che vengono messe subito in evidenza le caratteristiche fortemente innovative che la Programmazione didattica deve esercitare nella 'nuova' Scuola.Mentre prima termini come programmazione, sperimentazione, curricolo, ecc., erano appannaggio di un circolo ristretto di 'addetti ai lavori', in ambiti specialistici (università, scuole di sperimentazione, équipe di lavoro, commissioni di studio), ora, a pieno titolo, questa terminologia viene ad essere assimilata da tutti gli insegnanti, colorandosi di connotazioni ben più che propositive, assumendo proporzioni realistiche e operative.Se un grande passo è già stato compiuto, saremmo ottusi e superficiali se non riconoscessimo che ancora lunga è la strada da percorrere, che molte sono le difficoltà, le resistenze per intraprendere in modo consistente e unitario la via del rinnovamento.La programmazione educativa e didattica è senza dubbio un caposaldo del rinnovamento scolastico in tutte le sue forme. Lavorare seriamente per costruire una solida impalcatura programmatica significa definire i vari livelli di cui la programmazione si compone. Lavorare seriamente significa non isolare l'insegnante in questo gravoso compito, domandandogli tutte le responsabilità, ma coinvolgere le forze sociali e politiche del territorio, genitori, équipe di esperti, consulenti specializzati, ecc., con la consapevolezza che da tutto questo lavoro possono scaturire effetti generali molto significativi, a volte determinanti.La programmazione è la base di lancio per tutta una serie di ipotesi che scuotono l'ambiente scolastico dal grigiore, dall'immobilismo e dalla monotonia della routine giornaliera, fungendo da agente innovatore di una struttura che trova nella capacità di trasformarsi e modernizzarsi continuamente la sua vera efficacia formativa. Essa deve: a) potenziare la funzione educativa attraverso il raggiungimento di obiettivi prefissati e coordinati in modo razionale, sfruttando tutte le risorse disponibili; b) migliorare la ricerca e la sperimentazione; c) rendere più gratificante e produttivo il lavoro dell'insegnante; d) prescindere e fare aderire alla realtà socio-ambientale, ai bisogni dell'alunno, agli sbocchi pratici, le proposte operative; e) ricercare i collegamenti tra obiettivi a breve, a medio, a lungo termine, contenuti, mezzi e metodi, prerequisiti di conoscenze, capacità, abilità; f) instaurare maggiore dialogo e collaborazione fra gli insegnanti perché possano essere un gruppo omogeneo con obiettivi comuni.

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15.4. IL RUOLO DELL'INSEGNANTE NELLA PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA

"Spetta ai docenti collegialmente ed individualmente di effettuare con ragionevoli previsioni la programmazione didattica, stabilendo le modalità concrete per mezzo delle quali conseguire le mete fissate dal programma e la scansione più opportuna di esse"Secondo De Bartolomeis è indispensabile che gli insegnanti non agiscano separatamente, non restino chiusi nell'ambito della propria materia e non considerino lo studente solo per quella parte che riguarda l'apprendimento di essa; occorre che si costituiscano in un gruppo al fine di:- elaborare programmi e piani di studio- mettere a punto metodi- stabilire collegamenti per attività interdisciplinari- coordinare le parti teoriche e le esercitazioni pratiche e di laboratorio- collaborare nell'azione educativa- mettere a punto giudizi (valutazione) sugli studenti considerati globalmente e non secondo la parcellizzazione delle varie materie- impegnarsi collaborativamente nell'aggiornamento continuo in rapporto a concreti e particolari interventi innovativi (De Bartolomeis, 1982).Secondo Cives il lavoro di gruppo deve fondamentalmente articolarsi nei seguenti punti:1. programmazione educativa e didattica2. organizzazione e gestione sociale della scuola3. scelta dei libri di testo e dei sussidi didattici4. verifica periodica dello sviluppo della generale azione didattica5. coordinamento didattico6. programmazione, conduzione e verifica della ricerca educativa e della sperimentazione7. idem per l'aggiornamento dei docenti (Cives, 1978).

15.5. LA PROGRAMMAZIONE CURRICOLARE

"L'ampliamento delle opportunità formative offerte dal curricolo vanno tenute in considerazione sia con l'inserimento di nuove attività, sia con la valorizzazione degli insegnamenti tradizionali".Il curricolo, concepito come sviluppo degli intenti definiti nella programmazione, è indubbiamente il mezzo innovativo più valido.La mediazione esercitata dai curricoli è di fondamentale importanza nell'elaborazione sistematica dei programmi, alleggerendo notevolmente il compito programmatorio.L'esigenza del curricolo nasce dal bisogno di un'organizzazione delle materie, canalizzate verso obiettivi più generali e ampi, percorsi più lunghi e complessi di quelli di singole ricerche."Il curricolo differisce dai programmi e piani di studio perché in esso si specificano obiettivi, metodi di insegnamento/apprendimento, attrezzature, materiali e strumenti, e si cerca di rapportare tutto ciò alle capacità, conoscenze e motivazioni degli studenti in vista dell'attuazione.Il curricolo è sempre eccedente a ciò che si farà realmente. Spetta alla programmazione essere più aderente alle effettive possibilità. Il curricolo è la commutazione di indicazioni generali (programma) in uno strumento che ha bisogno di altri strumenti (programmazione) per affrontare i compiti pratici". (De Bartolomeis, 1982)È utile ancora precisare che i curricoli non vanno identificati con i programmi. Mentre i programmi danno indicazioni generali, i curricoli elaborano al loro interno attività di lavoro organizzate in modo razionale e sistematico.I nuovi programmi sono stati creati con il preciso intento e con il compito di favorire il rinnovamento e la costruzione di nuovi curricoli attraverso nuove aggregazioni problematiche, connessioni interdisciplinari, metodologie.

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Sempre secondo De Bartolomeis, "è necessario disporre di curricoli per passare dai piani generali di studi (Programmi Ministeriali) alla programmazione nelle singole scuole.Affrontare problemi curricolari significa collegarsi con la ricerca pedagogica e uscire dal generico riguardo a obiettivi, contenuti, attività, metodi, valutazione, esigenze organizzative e gestionali. Se ci si butta nella programmazione senza gli strumenti forniti, tra l'altro, da elaborazioni curricolari, si dà credito, con effetti disastrosi, alla autonomia didattica dei docenti. Un curricolo si distingue da un piano di studi perché include tutti i mezzi, quelli raggiungibili e controllabili, si intende, necessari per attuare processi educativi anche se non può arrivare alla specificità e alla determinatezza che sono proprie della programmazione.Dunque i contenuti si connettono in un programma e il programma si specifica come curricolo. Il curricolo non si limita a fissare contenuti: li determina come obiettivi (valutazione educativa), si preoccupa di collegare ai contenuti i metodi di insegnamento/apprendimento, materiali e strumenti didattici, prerequisiti in fatto di abilità, di conoscenze e di motivazioni". (De Bartolomeis, 1982)

15.6. LA CENTRALITÀ DELL'ALUNNO NEL PROCESSO EDUCATIVO

Affinché il programma possa essere svolto " muovendo dalle effettive capacità ed esigenze di apprendimento degli alunni", il concetto stesso dell'apprendere va esteso non solo alla determinazione e assimilazione dei concetti-base contenuti nelle singole aree disciplinari, ma allo sviluppo di altre capacità quali la disponibilità del singolo ad avere rapporti positivi con gli altri, l'imparare le regole esistenziali di comportamento, l'assecondare l'alunno nei suoi bisogni reali. "L'educazione deve essere attiva e strettamente collegata agli interessi e ai bisogni del ragazzo. Bisogna partire dal ragazzo considerato come un essere in divenire di cui conosciamo solo la situazione di partenza e non i traguardi che può raggiungere... L'educazione del bambino deve essere pensata in funzione della sua età e dei suoi interessi. Il compito dell'educazione è quello di insegnare a risolvere dei problemi nuovi e questo obiettivo può essere raggiunto solo se si tiene conto, combinandoli in maniera appropriata, di tre fattori indispensabili: la maturazione, l'esperienza personale, l'acquisizione sistematica e intelligente dei fatti". (Clausse, 1978)"La programmazione, nel quadro della prescrittività delle mete indicate dal programma, delineerà i percorsi e le procedure più idonee per lo svolgimento dell'insegnamento, tenendo comunque conto che i risultati debbono essere equivalenti qualunque sia l'itinerario scelto".Abbiamo avuto la netta sensazione che questa impostazione postuli un progetto di rinnovamento educativo-didattico che si innesta e si integra in logica conseguenzialità alla legge n° 517 e ai nuovi programmi per la Scuola Media del 1979, comprendendo organicamente i seguenti momenti: a) individuazione delle esigenze del contesto socio-culturale e delle situazioni di partenza degli alunni; b) definizione degli obiettivi finali, intermedi, immediati che riguardano l'area cognitiva, non cognitiva e le loro interazioni; c) organizzazione dei contenuti in relazione agli obiettivi stabiliti; d) individuazione di metodi, materiali e attività adeguati; e) sistematica osservazione dei processi di apprendimento; f) processo valutativo essenzialmente finalizzato sia agli adeguati interventi culturali ed educativi, sia alla costante verifica della propria azione didattica; g) continue verifiche del processo didattico che informino sui risultati raggiunti e servano da guida per gli interventi successivi.La programmazione potrà prevedere anche l'organizzazione flessibile e articolata delle attività didattiche (attività interdisciplinari, interventi individualizzati) nonché raggruppamenti variabili di alunni, anche di classi diverse, e utilizzazione di docenti specializzati nell'ambito consentito dalla legge n°517 (Programmi Ministeriali per la Scuola Media, 1979).Rispetto alla legge n°517, propositiva della programmazione, la premessa dei nuovi programmi per la scuola la prescrive, facendone il centro di riferimento, di raccordo metodologico-didattico di tutto il processo educativo. Ad esempio, prendendo in esame il testo di premessa dei precedenti programmi del 1955, si può notare che, mentre le indicazioni alla "sintesi concorde e spontanea di meditazione sui problemi dell'educazione e dell'insegnamento",

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alla "globalità e aderenza all'ambiente dell'alunno", agli "scambievoli richiami e integrazioni che sorgono dalle molteplici correlazioni sul piano dell'unità della cultura fra le materie che non possono sussistere isolate e indifferenti le une rispetto alle altre" erano prescritte in forma esortativa, nei nuovi programmi sono prescritte in forma metodologica.Ma la vera novità risiede nel principio che è la programmazione che si adatta all'alunno e non viceversa, che le cause di un insuccesso scolastico non sono da ricercarsi nell'allievo, ma nella programmazione didattica, che le verifiche partono dall'alunno per trasformarsi in valutazione del progetto ed autoverifica del metodo scelto dal consiglio di classe.

15.7. GESTIONE E SVOLGIMENTO DELL'ATTIVITÀ DI PROGRAMMAZIONE

È chiaro che l'efficacia e la consistenza della programmazione è strettamente condizionata dai problemi esistenti, da una buona gestione e organizzazione. Gestire e organizzare in modo corretto il processo di programmazione significa programmare all'inizio dell'anno scolastico, periodicamente durante tutto il corso dell'anno, revisionando, sostenendo e sviluppando contenuti, affrontando nuovi problemi e nuove esigenze. Per De Bartolomeis l'attività di programmazione implica che si abbia una visione d'insieme di un processo, che si rapportino costantemente gli scopi alle condizioni e ai mezzi.Più propriamente l'azione educativa viene programmata con riguardo:- ai contenuti espressi con obiettivi e unità significative- ai metodi e alle modalità del loro impiego- ai materiali e agli strumenti e alle modalità del loro impiego- alle caratteristiche dello spazio educativo- alle opportunità offerte dal mondo esterno- ai mezzi di verifica- all'evoluzione dell'attività verso nuovi obiettivi.Egli, nel definire gli elementi costituenti la programmazione, traccia un iter, dividendo il lavoro in cinque parti fondamentali:1) fase di avvio2) fase di passaggio alla programmazione3) programmazione nella specificazione di obiettivi e di mezzi4) realizzazione della programmazione5) verificaOgni parte viene divisa in sottofasi così strutturate in ordine di interventi:- prime misure organizzative perché gli insegnanti comincino ad agire come gruppoA) Fase di avvio:- dati conoscitivi sulla situazione della scuola- individuazione dei settori che richiedono interventiB) Fase di passaggio alla programmazione- limitazione del campo dei problemi- traduzione in obiettivi- previsione circa i mezzi per utilizzare opportunitàC) Programmazione nella specificazione di obiettivi e metodi - piani esecutivi particolareggiati- misure organizzative finalizzate ai nuovi interventi- attivazione delle misure da applicare al funzionamento ordinario della scuolaD) Realizzazione della programmazione- tentativi di innovazioni più avanzate- iniziative di aggiornamento- verifica lungo tutto il corso dell'attività

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E) Verifica- verifica finale (De Bartolomeis,1982).Per Bellanova un'ipotesi sequenziale di programmazione potrebbe essere così sintetizzata:- analisi della situazione di partenza- individuazione degli obiettivi cognitivi e comportamentali- contenuti della programmazione in relazione agli obiettivi cognitivi e comportamentali- metodologia della programmazione- gli strumenti del programma- la programmazione delle aree disciplinari e interdisciplinari- verifiche e valutazioneSe alla fine di questo processo gli obiettivi sono stati raggiunti, si passerà all'analisi di una nuova situazione di partenza seguendo lo stesso iter indicato; se invece gli obiettivi non sono stati raggiunti, si deve ritornare all'analisi della situazione di partenza. (Bellanova, 1982)Venturi, interrogandosi sul "cosa è e come si fa una programmazione", indica sei fasi su cui si deve articolare l'intervento programmatico:Fase prima: la situazione (tutta l'informazione necessaria, indispensabile a definire il contesto sociale, ambientale, economico, culturale nel quale vive l'allievo, si situa la scuola, l'insegnante. Tutta l'informazione pertinente e significativa per la stesura di un progetto di programmazione educativa e didattica corrispondente e calzante a bisogni culturali specifici) che comprende: - curricolo sociale: implicito- curricolo scolastico: esplicito- condizione di ingressoFase seconda: gli obiettivi (scopi e fini del processo educativo distinti in obiettivi generali, intermedi, operativi) che comprendono: - formulazione degli obiettivi generali- definizione degli obiettivi intermedi.Analisi degli obiettivi. Capacità.- descrizione degli obiettivi operativi.Analisi dei compiti. Abilità.Fase terza: i contenuti (le conoscenze, le capacità, gli atteggiamenti, i valori da apprendere) che comprendono: - scelta dei contenuti generali delle discipline- organizzazione dei contenuti in 'settori di contenuto' disciplina per disciplina e loro analisi- costruzione di un 'esame finale' per valutare le capacità acquisite- suddivisione dei 'settori di contenuto' in unità didattiche- tipologia delle attività- verifica dello 'scarto di informazione e scarto linguistico' delle unità didattiche- individuazione degli elementi nuovi di contenuto- interdisciplinarietà- costruzione di tests diagnostici di valutazione- preparazione di correttiviFase quarta: i metodi (riguardanti il momento specifico della mediazione didattica fra programma e programmazione e rivolti al modo della comunicazione e socializzazione della informazione, della sua immissione e partecipazione alla classe, alla sua gestione in vista di un orientamento, guida, controllo, intervento, stimolo) che comprende: - fase di orientamento generale- fase di animazione dell'unità didattica- fase di annotazione dell'animazione come evento educativoFase quinta: le verifiche (momenti di controllo ad ogni fase significante del lavoro) che comprendono: - somministrazione del Test diagnostico

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- verifica correttiva e/o autocorrettiva dei tests diagnostici- valutazione dei risultati- intervento correttivo di recupero e sostegno - controllo della fase di correzione- comunicazione dei risultati della valutazioneFase sesta: la valutazione (fase finale di tutto il processo educativo che:1. riassume quanto ha appreso lo studente nell'ambito del corso; 2. certifica le prestazioni di ciascuno; 3. classifica il rendimento di ciascuno rispetto agli obiettivi didattici;4. valuta la competenza della progettazione al perseguimento degli obiettivi fissati in partenza; 5. comunica le conclusioni e le socializza in vista della progettazione futura) che comprende: - somministrazione del Test per la 'valutazione finale'- certificazione correttiva o possibilmente autocorrettiva dei risultati del Test- classificazione dei risultati- valutazione finale e riassuntiva in termini di padronanza delle materie- valutazione finale riassuntiva in termini di rispondenza della progettazione agli obiettivi della programmazione (Venturi, 1980).

15.8. SEGUIRE IL PROGRAMMA O PROGRAMMARE

Il "programma" è tradizionalmente sinonimo di verticismo burocratico, di intervento centralizzato, un punto di riferimento uniforme e prescrittivo che offre agli insegnanti un implicito modello di conduzione del processo didattico imperniato sulla scansione logica e temporale dei contenuti. Con il termine "programma"si intende appunto un documento ufficiale concepito nella prospettiva di un processo educativo centrato in prevalenza sui contenuti da trasmettere agli allievi, cioè come codificazione normativa di uno standard culturale elitario rigidamente centralizzato al quale l'allievo è tenuto ad uniformarsi.La prima conseguenza del passaggio ad un'ottica programmatoria è il superamento di questa concezione educativa centrata sul "travaso dei contenuti", a favore di processi orientati al conseguimento di obiettivi formativi centrati sull'apprendimento dell'allievo. Quando oggi si parla di programmazione, si deve pensare ad un piano di insegnamento orientato ai fini dell'apprendimento, in cui l'accento non è più posto sulla capacità della istituzione di impartire insegnamento, bensì sulla idoneità a produrre apprendimento negli allievi. La naturale conseguenza di questo salto di prospettiva è la messa a punto e la realizzazione di interventi didattici non più prescritti verticisticamente, bensì conformati alle concrete situazioni degli allievi e dell'ambiente, investendo così la diretta responsabilità decisionale ed operativa degli insegnanti, come sottolinea efficacemente anche Scurati: "passare da una logica di tipo programmatico ad una di tipo curricolare vuol dire precisamente conferire legalità alla realtà, cioè elevare al rango di piena cittadinanza entro il sistema scolastico le scelte, gli orientamenti e le concrete attività che gli educatori ritengono opportuno intraprendere in base al loro giudizio professionale". (C. Scurati, Un nuovo curricolo per la scuola elementare, La Scuola Brescia 1977, p.17) È evidente che, seppur non radicale, il mutamento di prospettiva rispetto ai tradizionali "programmi da svolgere" è notevole, soprattutto per l'accento particolare posto sulla responsabilizzazione diretta degli insegnanti nella definizione degli obiettivi della propria azione educativa, i quali devono essere precisati sulla base della individuazione delle esigenze del contesto socio-culturale e delle situazioni di partenza degli allievi, oltre che alla luce delle finalità generali contemplate all'interno delle stesse indicazioni programmatiche. Si può quindi dire che la programmazione non è altro che l'adeguamento del programma alla realtà concreta dove ci si trova ad operare.La società è in continua e rapida evoluzione, nuove conoscenze vengono costantemente acquisite e le vecchie si dimostrano errate; lo straordinario aumento delle conoscenze presuppone una selezione ancora maggiore di quanto deve essere appreso, nonché una riconsiderazione del modo in cui l'apprendimento deve aver luogo. Dalla necessità di preparare gli allievi a rispondere alle esigenze di una società che cambia così rapidamente, deriva l'obbligo degli insegnanti di proporsi una più ampia gamma di obiettivi per guidare e dirigere le attività su una base razionale.

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A tal fine si accentua il bisogno di una attenta e precisa "programmazione" del lavoro.La programmazione è uno strumento di razionalizzazione del processo educativo, che significa prima di tutto evitare lo sperpero di risorse sia da parte dell'insegnante sia da parte degli allievi; in secondo luogo significa corrispondere alle istanze educative dei propri allievi.La programmazione si contrappone così al procedere con improvvisazione, con occasionalità, con faciloneria e richiede la costituzione di un progetto e di una strategia capaci di dare un senso alle varie occasioni ed ai vari interventi educativi.Secondo la Ballanti la programmazione è "anticipazione ipotetica di risultati, condizionata dal momento analitico iniziale, comunque legittimata da sicura scientificità e sperimentazione che costituiscono le idee guida dell'insegnamento che perde ogni carattere empirico e approssimativo" (G. Ballanti, Il comportamento insegnante, Armando Roma 1975). Programmare dunque significa conoscere a fondo le necessità degli allievi con cui lavoriamo e proporsi la realizzazione di determinati obiettivi. D'altra parte "non è possibile educare senza la previsione di uno scopo, di un obiettivo. Senza una intenzione educativa, senza una norma, l'educazione scompare" (L. Rosati, Programmazione, apprendimento, creatività, S.A.A. Editrice Roma 1983, p.23). Inoltre, sostiene ancora Rosati, "un insegnante che sa cosa sta cercando di fare, ha maggiori possibilità di riuscirvi rispetto a chi non lo sa o a sè stesso se non lo sapesse" (L. Rosati, 1983, p.24). È un principio di importanza decisiva per chi vuole cambiare, poiché l'attuale apparente casualità dei risultati negativi e positivi che si hanno dipende dalla scarsa consapevolezza degli obiettivi e dalla ancora meno chiara conoscenza delle condizioni in cui si sta operando da parte del docente e di tutti coloro che concorrono all'azione educativa.Solo l'acquisizione di questa consapevolezza può, ad esempio, rendere credibile l'ipotesi che nella scuola elementare i livelli di profitto raggiungibili al termine di un processo di apprendimento siano tra loro sostanzialmente omogenei indipendentemente dalle condizioni d'ingresso di ciascun allievo.Se è vera allora l'ipotesi della solo presunta casualità dei risultati, è necessario che l'insegnante, all'interno della programmazione, adotti un sistema di procedure di controllo e valutazione delle variabili in gioco e di periodica retroazione su di esse. Saper valutare significa verificare se l'intervento educativo ha condotto, sta conducendo o meno, in tutto o in parte, agli obiettivi fissati.La valutazione è verifica della programmazione in ogni sua fase ("valutazione periodica costante"), che può variare la formulazione o il grado degli obiettivi stessi oppure richiedere la modificazione dei metodi o degli strumenti utilizzati, vale a dire delle ipotesi operative formulate all'inizio e in seguito per risolvere i vari problemi di apprendimento, di formazione, di rapporto con i materiali.In tal senso gli insegnanti sono chiamati in prima persona, sia rispetto al proprio ruolo docente, sia rispetto alle proprie competenze professionali, a verificare l'adeguatezza del proprio operato agli scopi voluti. Necessari diventano la qualificazione dei docenti e il loro aggiornamento che richiedono perlomeno che l'insegnante possieda metodi e strumenti scientifici di costruzione progettuale, di analisi e verifica, oltre che conoscenze contenutistiche piuttosto buone che gli permettano di elaborare piani di attività invece di eseguirli secondo la codificazione della consuetudine.

15.9. LA PROGRAMMAZIONE COME MOMENTO QUALIFICANTE DELLA SPERIMENTAZIONE

Poiché non si può sperimentare senza programmare (programmare: insieme di operazioni specifiche direttamente legate al lavoro sperimentale), nell'ambito della programmazione educativa prendono consistenza progetti di sperimentazione.Un progetto di sperimentazione fallisce o raggiunge risultati irrilevanti se non affronta problemi di organizzazione, di gestione, di disponibilità di spazi, di materiali e di attrezzature. Perciò il progetto deve entrare nella programmazione educativa. La programmazione non solo costituisce il quadro generale della sperimentazione, ma essa stessa deve adottare procedure sperimentali.In ogni caso si fa programmazione se si adopera il metodo della ricerca: si individuano problemi, si elaborano ipotesi, si apprestano strumenti, si correlano mezzi a obiettivi, si fanno verifiche.

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Mentre il "programma"è un documento normativo, unico a livello nazionale per ogni grado e tipo di intervento, che accentua per sua natura costitutiva il momento centralistico dell'organizzazione degli studi e del percorso educativo, la "programmazione"consiste nell'elaborazione autonoma, a livello di singoli soggetti, di uno o più progetti educativo-didattici, che innova l'itinerario curriculare, sottolineando il momento di decentramento decisionale, coinvolgendo le istanze partecipative di base.Come osserva il Venturi "senza conoscenza di ciò che è una programmazione, i programmi si reggono sopra un vuoto". All'interno delle informazioni contenute nei programmi, emerge l'idea della programmazione come ciò che è concreto ed attualizza, rispetto al programma che rappresenta, l'astratto, utile solo in quanto dialetticamente ricollegato con l'intervento di programmazione didattica ed educativa. Di essa, sottolineandone il carattere di processo, il De Bartolomeis dice che "deve tendere ad una visione di insieme per collegare sempre gli obiettivi alle condizioni e ai mezzi, ma ovviamente non può affrontare tutti i problemi fin dall'inizio e nello stesso tempo". La programmazione non è un nuovo programma, un "curricolo" nuovo e più moderno, ma uno stile, un metodo nell'affrontare il lavoro di educare e il discorso della progettazione in campo educativo.Non può esistere un libro di programmazione valido per tutti, come non si può concepire la programmazione in un modo troppo rigido, trasformando così quello che dovrebbe essere uno strumento di aiuto in una gabbia che immiserisce la varietà e la fantasia del creato. Poiché la realtà della vita dell'uomo è più grande dei nostri progetti di incasellamento, non si deve nè pretendere di incasellare e numerare tutti, né irrigidirsi su scelte fatte, e magari, smentite dalla realtà. È importante lasciare spazio a ciò che può accadere, sapendolo collegare con il progetto a tempi lunghi che si ha in mente. Il discorso sulla programmazione è la preparazione di un itinerario, come aprire la strada ... che può andare in varie direzioni. È fondamentale per questo definire all'interno di quale quadro di riferimento si vuole mettere in atto la programmazione; da solo il discorso della programmazione è privo di senso compiuto, esso diventa utilizzabile solo all'interno di un progetto educativo.In Italia la programmazione, come attività specifica dell'insegnamento, è stata introdotta con la legge n° 517 del 4 agosto 1977.La motivazione più importante che legittima questa forma di innovazione nella pratica scolastica è quella di dare all'educazione la maggiore produttività possibile.In genere l'uso del concetto di programmazione viene limitato ai momenti che più direttamente riguardano gli insegnanti e che si possono riferire a problemi organizzativi generali a livello di scuola, alla preparazione di itinerari curricolari ed alla programmazione effettiva da svolgere nel corso dell'anno scolastico.Come innovazione ha suscitato molte domande, perplessità, approvazioni e disapprovazioni: "il problema essenziale delle innovazioni è quello di diventare delle tradizioni, per quanto possa apparire paradossale. Una innovazione deve potersi tradurre in organizzazione, in regola che fonda il funzionamento della istituzione e ne modella l'immagine presso l'ambiente di riferimento; deve "morire" in quanto "evento" e "vivere" come prassi quotidiana, come routine, trasformarsi nel non detto che tutti praticano e tutti si aspettano di vedere" ( Scuola come centro di ricerca e programmazione scolastica in Scuola Italiana Moderna, n°1 del settembre 1980) deve tradursi in criteri organizzativi. La programmazione non può essere ridotta ad una semplice prospettiva di innovazione didattica a prescindere dalle varie destinazioni per livello (distretto, collegio, consiglio di classe, ecc. ...).Troppo spesso si è identificato il rinnovamento del sistema educativo con la trasformazione delle modalità di lavoro che si svolge nella classe, indicando come soluzione ultima solo e sempre il recupero della professionalità docente.Allo stesso modo è stato dato allo stesso concetto di programmazione una interpretazione riduttiva. Comunque, al di là dell'interpretazione estensiva o restrittiva, il concetto di programmazione educativa riguarda la funzione di trasmissione ed elaborazione culturale che la scuola svolge e la necessità di analizzare, criticare, trasformare, pianificare i contenuti culturali proposti nelle istituzioni scolastiche in connessione con gli obiettivi generali e specifici dei livelli ed ordini di scuola, dei metodi di insegnamento, delle possibilità e dei materiali di apprendimento, della interazione didattica e sociale tra insegnanti e tra gli allievi stessi.La programmazione didattica di per sé non costituisce alcuna garanzia, anzi, può dar luogo a sostanziali fraintendimenti quando manchino adeguate informazioni e consapevolezza critica in base alle quali sia possibile

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rendersi conto dei motivi realmente innovativi, di cui questo discorso vuole essere portatore, sia dei limiti che può comportare quando ci si fermi ad esso o, peggio ancora, solo ai suoi aspetti formali più facili da cogliere.Il limite di fondo nel dibattito sulla programmazione sta dunque nel dare per scontato il richiamo alla necessità che l'organizzazione del lavoro educativo tenga conto della convergenza in essa di tutto ciò che, nel territorio, confluisce, sia in termini di ruoli e di competenze, che in termini di bisogni, istanze, esperienze.La parte iniziale, ma determinante, di un lavoro di programmazione non può che essere centrata proprio sulla potenzialità di questo scambio dialettico territorio-istituzione. Occorre attrezzarsi per una logica della responsabilizzazione senza più limitarsi alla condanna del tradizionale e indicare come prospettiva l'esigenza della programmazione, articolando il discorso nei suoi aspetti concreti che vanno dalle unità di base ai momenti centrali e dalle grandi direttrici ideali alle risposte che il singolo nel suo specifico esige.Il concetto di programmazione educativa "comprende necessariamente un punto di vista sull'educazione, una prospettiva nuova sul complesso di problemi educativi che si è arricchito in questi ultimi anni di molti apporti teorici e di molteplici interventi operativi". (Pontecorvo, La ricerca del curricolo: teoria e pratica dell'innovazione). Si tratta in sostanza di coordinare gli elementi espliciti della formazione che sono quelli più direttamente riferibili al bagaglio culturale (insegnamento, riferimenti generali di metodo, modelli di ricerca, ecc.) con quegli elementi formativi impliciti che sono mediati individualmente dal contesto sociale e che costituiscono le basi dell'interesse, della motivazione e in larga misura anche dell'informazione che i singoli acquisiscono a vari livelli (i problemi di politica locale, l'uso del territorio, gli elementi della tradizione culturale, ecc. ...).Interconnessione perciò tra curricolo e contesto socio-educativo, ma anche tra processo formativo e sviluppo dell'organizzazione complessiva dal punto di vista normativo, giuridico, amministrativo, ecc. La stessa accezione della voce programmazione, che non nasce certo dal campo pedagogico, ma da quello economico, riguarda preminentemente l'attività decisionale generale che viene prima dell'attività di elaborazione (progettazione) e della realizzazione.L'applicazione del concetto di programmazione educativa in un verso o nell'altro, in un modello o in un altro, non è legata al caso, ma allo sviluppo della riflessione didattica ed educativa che si è avuta in Italia negli ultimi anni.Nella programmazione educativa emergono e convergono bisogni e richieste dell'allievo, ma anche dell'ente locale, del genitore, dell'insegnante e del territorio.Non si può perciò ridurre il tutto ad un risveglio volontaristico degli insegnanti, alla necessità di programmare non più da soli il lavoro educativo per garantire efficacia educativa ai processi oggettivi di formazione, dignità e riqualificazione della propria professionalità. È opportuno invece che si lavori per l'individuazione, l'analisi prima, la messa in opera poi, delle condizioni materiali e strutturali che costringono tutti gli operatori coinvolti nella organizzazione dei processi formativi, a elaborarli e organizzarli in termini di progetto.Fuori da questa prospettiva resta una realtà quotidiana con soluzioni tecnocratiche ambigue, prive di qualsiasi quadro di riferimento che sappia andare al di là delle indicazioni specifiche e settoriali esclusivamente sul piano didattico.Ogni programmazione educativa deve inoltre porsi in rapporto con il territorio non solo in termini puramente sociologici e conoscitivi, ma soprattutto in termini di partecipazione costante che induca un cambiamento ed uno spessore politico nella situazione sociale in cui il soggetto si trova a crescere: cambiamento a cui partecipano tutti i soggetti sociali che concorrono materialmente all'apprendimento.

15.10. MOTIVI PEDAGOGICI DELLA PROGRAMMAZIONE

Programmare significa organizzare il lavoro in maniera tale da facilitare i processi di apprendimento, nel rispetto di una fase preliminare da esercitare in équipe (nella stesura di macroprogetti o microprogetti) che comporta la costruzione di "progetti" di lavoro.Perché una conoscenza sia appresa occorre che venga organizzata in sequenze (item) che hanno una progressione ottimale (non si può passare al punto successivo senza aver acquisito il punto precedente).Quindi programmazione significa organizzare i contenuti secondo progressioni ottimali rispondenti a quelle che sono le caratteristiche dell'apprendimento che per consolidarsi richiede la conoscenza dei prerequisiti.

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Tra i motivi pedagogici che richiedono la programmazione, vi è in primo piano la necessità di rendere l'insegnamento più adeguato ai bisogni dei singoli, in situazioni per tutti, ma diverse per ognuno (l'educazione deve essere adeguata ai bisogni del singolo).Un altro motivo è l'opportunità di avere una razionalizzazione dell'intervento educativo: molte volte abbiamo infatti uno spreco di energia educativa perché alcuni insegnanti, non programmando, svolgono delle attività che sono piacevoli e divertenti per i ragazzi, ma fini a se stesse. La programmazione evita di avere questi sprechi di energia.Un punto importante è l'autoverifica: la programmazione, infatti, richiede al docente una preparazione molto vasta e interdisciplinare, la sua disponibilità a rivedere le proprie teorie, assumere un costante atteggiamento di riflessione nel proprio insegnamento, modificare i propri sistemi di lavoro sulla base di necessità sempre nuove. Si può definire come un progetto educativo aperto che viene effettuato nelle singole realtà individuali e socioculturali.La programmazione porta l'insegnante a compiere un processo di autovalutazione e quindi di crescita nella propria professionalità, dato che è tenuto a verificare la buona efficacia del suo metodo e se certi obiettivi sono stati raggiunti, per capire se la strategia didattica è adeguata, e c'è quindi una continua sollecitazione per l'insegnante a migliorare il proprio insegnamento.Con la programmazione emerge la necessità di attingere alle diverse discipline e collegare intrinsecamente i diversi apporti in vista del raggiungimento degli obiettivi.Inoltre facilita l'impostazione e la realizzazione di un progetto interdisciplinare di équipe, cosa quest'ultima che induce a vedere nell'altro non un antagonista, ma un collaboratore da cui si può ricevere ed a cui si può dare.Il fatto di lavorare uno con l'altro rende, chi vi partecipa, capace di confronto, di verifica, di autocontrollo, di solidarietà; metodologia interdisciplinare vuol dire, perciò, in tal senso, "scuola di democrazia", non tanto per quello che si apprende quanto per come si lavora insieme.La programmazione è uno strumento che qualifica e rafforza gli interventi su realtà molto complesse in cui fattori diversi interagiscono. Analizzare situazioni, dare valutazioni quantitative e qualitative delle cose che vi si trovano, formulare obiettivi, indicare i mezzi da usare per raggiungerli, apprestare strumenti di verifica: questi sono alcuni elementi della programmazione.Lo scopo della programmazione è l'attuazione, scendendo il più possibile nei dettagli; ciò comporta notevoli incertezze sulle situazioni su cui si interviene e gli imprevisti che si presentano, rendendo inevitabili le approssimazioni e le riformulazioni come aggiustamenti.Con riferimento ai problemi educativi, programmazione significa azione dell'insegnante singolo, lavoro di équipe, esperienze che coinvolgono una varietà di bisogni e di mezzi e una molteplicità di realtà. La programmazione abbraccia tutti i problemi dell'istituzione e quindi anche quelli riguardanti la gestione e l'organizzazione: modalità di formazione e di attuazione delle decisioni, orario, turno, divisione dei compiti, rapporti tra le varie componenti, congruenza tra attività e locali, mutamenti della destinazione dei locali, attrezzature e materiali, mensa, servizio medico e psicologico, rapporti con le autorità locali e con gli enti locali.

15.11. ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

La programmazione è un insieme di operazioni volte a raggiungere determinati obbiettivi in maniera coordinata e con il migliore impiego di risorse di vario genere.La programmazione richiede che gli obbiettivi vengano definiti sempre insieme alle condizioni, ai mezzi e alle attività che servono a raggiungerli.Occorre dare consistenza a due tipi di programmazione: a) Programmazione iniziale: di solito il periodo a disposizione è troppo breve anche solo per fare un abbozzo di programmazione, si è privi di strumenti culturali e i metodi che si adottano non consentono una vera e propria collaborazione. E invece al "prima" bisogna dare tempo, spazio e supporti strumentali adeguati per scendere nei particolari, fare scelte, stabilire connessioni tra mezzi e obbiettivi, specificare attività. b) Programmazione successiva: la programmazione iniziale va sostenuta con revisioni e sviluppi continui. Di qui la necessità di riunioni periodiche strettamente legate allo svolgimento delle attività educative con lo scopo di acquisire gli strumenti per prendere posizione di fronte a nuovi problemi e a nuove esigenze.

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Perché si tratti proprio di programmazione è assolutamente indispensabile non limitarsi a definire obbiettivi generali e a indicare ambiti di contenuti. Bisogna, da una parte, precisare obbiettivi e scegliere contenuti e, dall'altra, stabilire mediante quali comportamenti e operazioni si realizza ciò che è stato programmato. Occorre perciò scendere in particolari per quanto riguarda condizioni, materiali, disponibilità di spazi, di attrezzature, di strumenti, la struttura dell'orario, i criteri per organizzare e svolgere il lavoro di gruppo, le modalità di reperimento e di utilizzazioni di eventuali consulenti o esperti esterni.Certo programmare è difficile, ma ancora più difficile è riuscire a mettersi in una situazione che consenta di programmare.Il "come si programma" deve essere preceduto dal "come si riesce a realizzare quel mutamento di atteggiamenti e di condizioni che è preliminare rispetto alla vera e propria attività del programmare".

15.12. TIPOLOGIE DELLA PROGRAMMAZIONE

La programmazione si può anche definire come un insieme di esperienze e di conoscenze che vengono ordinate in modo tale che ogni allievo possa apprenderle con facilità e con gioia.L'idea che veicola la programmazione è questa: una conoscenza viene appresa con facilità quando esistono attività pre-requisite; un apprendimento è facilitato proprio perché si collega con uno precedentemente acquisito e la nuova conoscenza si rapporta con la precedente per ragioni di somiglianza, di integrazione, di sviluppo.Tutto il sapere è organizzato secondo un'idea di progressione ottimale. Da qui deriva la necessità di tassonomizzare gli obiettivi didattici. Per tassonomizzazione si intende una classificazione gerarchica (dal basso in alto, dal facile al difficile, dal semplice al complesso) degli obiettivi didattici.A) Programmazione centrata sulle materie ("Subject curriculum"): è quella che si può indicare come impostazione tradizionale dei programmi. I tratti che la caratterizzano sono: esistenza di "materie" distinte e classificabili in un ordine accademico preciso; esistenza di un programma predeterminato che l'allievo deve seguire; obiettivo fondamentale è la trasmissione dell'eredità culturale consolidata nelle discipline in modo da consentire la educazione generale dell'intelligenza.B) Programmazione centrata sull'attività dell'allievo ("activity curriculum"): è l'impianto di matrice attivistica in senso classico. Tratti salienti: il curricolo non è preordinato ma conseguente all'instaurarsi degli interessi degli allievi e delle situazioni-problema; gli allievi partecipano in una certa misura alla determinazione del curricolo; la metodologia privilegiata è quella della ricerca e del "problem solving"; il punto di riferimento più utilizzato è costituito dagli interessi e dai bisogni degli studenti; gli insegnanti devono essere preparati sul piano psico-pedagogico e didattico; occorre avere a disposizione strutture edilizie adatte ed abbondante materiale di lavoro; il raggruppamento degli allievi può avvenire sulla base di interessi e di attività; il contenuto è rappresentato fondamentalmente dall'analisi di problemi e processi sociali e di funzioni vitali.C) Programmazione centrata su punti focali ("core curriculum"): è il tipo di programmazione con il quale si cerca di tradurre in termini organizzativi l'esigenza della concentrazione dell'insegnamento e frammentazione delle nozioni. Tratti salienti: il curricolo viene organizzato intorno a centri-perno aventi caratteristiche di rilievo; le zone "core" devono essere seguite da tutti gli allievi; le abilità sono insegnate se risultano necessarie per analizzare i problemi; il tempo di insegnamento va articolato in blocchi di orario che consentano lo svolgimento compiuto delle attività; è necessaria una elevata flessibilità; occorre un abbondante materiale; gli insegnanti devono possedere preparazione culturale, sensibilità ed abilità psico-pedagogica; il metodo è prevalentemente quello del "problem solving".A seconda della considerazione pedagogica e della presupposta sistemazione, sono possibili altre tipologie; T. Taba distingue fra programmazione didattica mirante a preservare e conservare-trasmettere le conoscenze esistenti e quella che mira a trasformarle e migliorarle, e tipi di programmazione con fini di garantire il massimo sviluppo dell'individuo in quanto tale.Di notevole utilità concettuale è la tipologia proposta da P. W. Musgrave, che utilizza come punto di riferimento la natura sociologica dei curricoli distinguendo tra curricolo dipendente ("determined curriculum"), cioè

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assolutamente determinato dalle richieste del sistema sociale, e curricolo innovante ("determining curriculum"), cioè rivolto a formare personalità adatte al cambiamento della società.Molto opportuna è, infine, la distinzione che viene fatta da sir J. Eccleston fra curricoli ad orientamento tradizionale e curricoli ad orientamento futuristico, identificando i primi in base alla visione immobilistica della cultura ed all'assunzione normativa del criterio della resistenza all'usura del tempo come principio di valore ed autenticazione, ed il secondo in base all'impiego dell'attualità come regola determinante sia dei principi metodologico-didattici della riscoperta personale, sia della ricerca diretta.La programmazione di tipo "core" rappresenta, infatti, un'ulteriore qualificazione di quelle di carattere attivistico, nelle quali inserisce una nota di maggiore organicità e minore occasionalità, condividendone sia l'idea ispiratrice che i più caratteristici passaggi attuativi.

15.13. LE FASI DELLA PROGRAMMAZIONE

Di fatto esistono molteplici livelli di programmazione curricolare: si può andare da un curricolo elaborato da un insegnante, in relazione ad una sola unità didattica da svolgersi in un intervallo temporale limitato, fino ad una programmazione più vasta ed articolata, elaborata collegialmente dall'intero staff degli operatori e relativa ad un intero ciclo trimestrale, o annuale, o pluriennale.In tutti questi casi l'elaborazione di un curricolo si presenta sempre come un processo sequenziale, articolato in una serie logica ed integrata di fasi costituenti "la programmazione di occasioni di apprendimento volte a produrre certi cambiamenti negli alunni e l'accertamento del grado in cui essi hanno avuto luogo" (Termine usato per la prima volta da Francis Bobbit nel 1920 in 'Come si costruisce il Curriculum'). Il curriculum risponde all'esigenza di liberare il programma dalle informazioni inutili; esso è di per sè un progetto educativo in cui tutte le operazioni sono in rapporto strettissimo.La struttura di un curriculum, delineata dal Nicholls nella cosiddetta "struttura povera", comprende quindi cinque punti essenziali: l'analisi della situazione di partenza degli alunni, con una valutazione iniziale di conoscenza, la definizione degli obiettivi, l'organizzazione dei contenuti, il metodo e il materiale adottato ed, infine, le verifiche intermedie e finali sul lavoro svolto. A- Fase d'avvio- Prime misure organizzative: la programmazione implica mutamenti di abitudini, un uso diverso di tempo, il desiderio di sperimentare la volontà di collaborazione. S'impone la necessità di organizzare in modo del tutto nuovo il proprio lavoro, di riuscire ad avere rapporti collaborativi.- Dati conoscitivi sulla situazione: la programmazione può incidere con efficacia sia su piani di lavoro e su metodi, sia su esigenze pratiche se ha un saldo fondamento in conoscenze sufficientemente precise circa il terreno d'intervento.- Individuazione dei settori che richiedono interventi: non ci vuole molto ad elencare una lunga serie di problemi, difficile è orientarsi, stabilire priorità, decidere cosa fare e quali mezzi usare. Occorre quindi fare una lista di problemi e difficoltà per poi distinguere campi e livelli di intervento.B- Fase di passaggio alla programmazione L'abbondanza dei problemi emersi impone alcune operazioni affinché la programmazione possa essere efficace.- Limitazione del campo dei problemi- Traduzione in obiettivi- Inventario delle opportunità: è essenziale verificare se ci sono cose favorevoli su cui contare: leggi, istituzioni, collaborazione dei genitori o di altre persone, ecc.C- Programmazione nella specificazione di obiettivi e di metodiSi tratta di precisare i compiti nei riguardi degli obiettivi, di stabilire con quali mezzi saranno adoperati e con quali metodi .La programmazione, per quanto debba essere precisa, deve svilupparsi nella direzione di:- previsioni circa i mezzi per utilizzare opportunità- piani esecutivi particolareggiati

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- misure organizzative necessarie per l'attuazione.D- Realizzazione della programmazioneLe operazioni attuative, mentre da un lato guardano agli obiettivi, dall'altro devono affrontare numerosi problemi particolari, difficoltà impreviste, o si servono di facilitazioni o di opportunità che si presentino nel corso del lavoro.- Attivazione delle misure da applicare al funzionamento ordinario della istituzione. La scuola si dà certe regole organizzative e le segue.- Tentativi di innovazioni più avanzate. Sulla base del funzionamento ordinario della istituzione si potrà muovere verso innovazioni con spiccato carattere sperimentale. - Iniziative di aggiornamento.E- VerificaAppartiene a tutte le fasi della programmazione e serve per sapere come proseguire, quali modifiche apportare, di quali nuovi strumenti fornirsi.- Verifica lungo tutto il periodo. Si valutano l'impostazione, l'avvio, l'ipotesi, i primi risultati, la natura delle difficoltà.- Verifica finale. Il suo scopo è di avere una visione d'insieme, di cercare di capire veramente ciò che si è realizzato, a quali altre cose bisogna volgersi per sviluppare l'innovazione.A prima vista, questa elencazione delle fasi dello sviluppo curricolare può offrire, forse, un'immagine distorta della programmazione, intesa erroneamente come un processo lineare, statico e rigidamente paralizzato.Tuttavia non è così: va rilevato anzitutto che le varie fasi ed i vari elementi del curricolo, in realtà, sono strettamente legati gli uni agli altri da un vincolo di interdipendenza reciproca e qualsiasi mutamento all'interno di uno solo di essi può influenzare tutti gli altri e di conseguenza l'intero processo.Un altro elemento fondamentale che coinvolge profondamente l'insegnamento può essere definito l'elemento "trasparenza" della programmazione: l'insegnante non deve gestire privatisticamente il lavoro di programmazione, ma esplicitare a se stesso, ai genitori e agli allievi ciò che significa fare scuola, regolando la sequenza sui livelli di partenza e sui risultati effettivi.L'ipotesi educativa e la conseguente programmazione non possono essere frutti di componenti isolate, ma devono fondarsi sul coinvolgimento di tutti e sulla loro fiducia.Con l'aiuto delle tassonomie si definiscono gli obiettivi che possono essere educativi e disciplinari e che devono essere sempre esplicitati e "contrattati" con gli allievi, in modo che sappiano con chiarezza dove tendono con la loro applicazione, ed è bene farne partecipi anche i genitori in modo che possano collaborare nell'azione educativa.Nella definizione degli obiettivi va tenuto presente che il pieno raggiungimento degli obiettivi avviene per tappe scaglionate nel tempo. Ogni fase ha un valore proprio ed il suo raggiungimento dovrà essere valutato con criteri interni allo stadio evolutivo, quindi prevede una giusta gradualità nel raggiungimento degli obiettivi.Gli obiettivi didattici specifici devono essere articolati in obiettivi concreti e particolareggiati.Va ricordato, inoltre, che, al di là dell'immagine che può derivare dall'elencazione sommaria delle sue fasi, la programmazione educativa consente un ampio margine di flessibilità e di interrelazione fra i suoi vari elementi. Ciò viene fatto rilevare anche da Nicholls: "In pratica non c'è passaggio diretto da un'attività a quella successiva e così via fino alla valutazione. Vi è invece un continuo avanti e indietro. Per esempio, nell'esaminare i contenuti ci si riferisce costantemente allo studio precedente degli obiettivi e a quello successivo dei metodi, e nell'esaminare i metodi si fa costante riferimento ai contenuti e agli obiettivi, così come avviene nel caso della valutazione.La necessità di questa spola lungo il ciclo è indizio delle relazioni molto strette fra gli aspetti del curricolo" (A. e H. Nicholls, Guida pratica all'elaborazione di un curricolo, Feltrinelli Milano 1975, pp. 115-116). Dagli obiettivi si passa alla scelta e strutturazione dei contenuti in unità didattiche, che consiste nell'individuare con precisione quali tipi di "esperienze" verranno condotte e vissute dagli allievi nel corso del periodo prefissato.Quindi si organizzano i contenuti; si scelgono e si organizzano dei metodi ed infine si fa la verifica.A qualunque livello venga fatta la programmazione, segue sempre gli stessi criteri: progettazione, realizzazione, valutazione. È importante anche stabilire in che misura e in quali forme si attuerà l'interdisciplinarità: la definizione dei tempi, modi e quantità, influirà sulla suddivisione temporale delle parti della programmazione.

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1-ANALISI DELLA SITUAZIONE INIZIALEPrima di stabilire gli obiettivi dobbiamo vedere che cosa sono e che cosa sanno fare i ragazzi che ci troviamo di fronte: che tipo di insegnamento hanno avuto, che possibilità hanno da un punto di vista sociale, culturale, motorio, se hanno esperienze particolari, come si muovono, come hanno il senso della propria corporeità, ecc.Quindi per impostare una corretta programmazione è essenziale assumere piena consapevolezza della "situazione di partenza" della classe intesa come conoscenza: - degli alunni singolarmente- delle relazioni che si stabiliscono tra i ragazzi, e tra essi e gli insegnanti- delle situazioni ambientali, socio-familiari e socio-culturali.Tale conoscenza degli alunni può essere ottenuta con l'aiuto dei genitori e degli insegnanti precedenti tramite colloqui, questionari, tests, osservazione diretta.Dovremo porci perciò la domanda "chi educo?" e dare una risposta che non investa solo l'aspetto psicologico, ma tutta la "storia del ragazzo", ossia:a)- conoscenza dell'ambiente familiare nei suoi vari aspetti, quindi composizione della famiglia, professione dei genitori, condizioni economiche, grado di istruzione dei familiari, tipo di educazione ricevuta, rapporto tra genitori, tra genitori e figli, occupazione del tempo libero, ecc.b)- conoscenza della salute e dello sviluppo fisico; atteggiamento dell'allievo rispetto al suo stato di salute, alle eventuali disarmonie ed alla funzionalità degli apparati sensori, malattie o fatti che possono influire sull'andamento scolastico; come hanno il senso della corporeità, orientamento del proprio corpo nello spazio e nel tempo…c)- conoscenza delle condizioni scolastiche ed extrascolastiche in cui l'alunno vive e compie il suo lavoro: quindi struttura dell'ambiente, strutture all'aperto, ecc.Si dovrà perciò vedere che cosa sono e che cosa sanno fare i ragazzi e quali sono le strutture, le possibilità che l'istituzione e l'ambiente esterno possono offrirci. Con l'aiuto del materiale raccolto si dovranno definire le capacità motorie dell'allievo (pre-requisiti).2-DEFINIZIONE DEGLI OBIETTIVISi passa poi alla definizione degli obiettivi; si stabiliscono quelli generali, finali, intermedi e immediati.Gli obiettivi devono essere descritti in termini di condotte o attività, perciò è importante esprimere bene le attività osservabili consigliando di evitare l'uso di parole generiche. Va tenuto presente che nella definizione degli obiettivi deve essere considerata una duplice prospettiva: quella evolutiva e quella differenziale. Considerare gli obiettivi da una prospettiva evolutiva vuol dire tener conto del fatto che il raggiungimento pieno degli obiettivi si compie per tappe nel tempo. Devono tener conto anche delle caratteristiche e della situazione di ognuno: dalle differenze che un diverso ambiente culturale può indurre e induce quasi abitualmente nello sviluppo del pensiero e del linguaggio, alla maturazione affettivo-emotiva, al sorgere e al potenziarsi degli interessi, alla capacità di socializzare, ecc. Il problema della definizione degli obiettivi investe tutta la comunità educativa.Gli obiettivi si diversificano in base a diverse aree o dimensioni della persona: cognitiva, affettiva, psicomotoria (Bloom), secondo il concetto della gradualità dei livelli di apprendimento degli alunni. Bloom ha messo sullo stesso piano questi tipi di obiettivi stabilendoli prima dei contenuti.Tra le tassonomie più conosciute troviamo quella del Bloom. In essa gli obiettivi si basano su tre aspetti che Bloom ha messo sullo stesso piano: cognitivo, affettivo, psicomotorio, e tali obiettivi sono ordinati per gradi.Ciascun obiettivo può essere diviso in:- operativo: indica uno scopo preciso che si intende raggiungere mettendo in moto una serie di operazioni programmate nel campo dell'insegnamento-apprendimento;- comportamentale: definisce una certa modificazione di comportamento che si vuol raggiungere al termine di un preciso periodo di apprendimento;- descrittivo concreto: descrive, con termini concreti, un'abilità, una prestazione che si ritiene essere sintomo e verifica che il processo di apprendimento ha raggiunto il suo scopo.Tipi di obiettivi:- generali: (es. capacità di pensiero astratto, sviluppo di valori ed atteggiamenti ad essi ispirati). Sono termini di una programmazione educativa generale;

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- disciplinari: (es. senso del tempo, organizzazione spaziale);- interdisciplinari: risultati specifici di un lavoro disciplinare coordinato di più discipline;- transdisciplinari: risultato di una convergenza di apprendimenti programmati in modo indipendente, per cui il ragazzo acquisisce determinate capacità logiche, critiche, creative.

3-SCELTA DEI CONTENUTIRimangono sempre in relazione intima con gli obiettivi. Il valore di un contenuto sta nella sua disponibilità ad essere distribuito in operazioni, cioè nella sua praticabilità operativa. I criteri di scelta dei contenuti sono i criteri di viabilità degli obiettivi: sono questi a dover passare. Sono quindi gli obiettivi che programmano i contenuti.4-VERIFICHE PERIODICHE DEL GRADO DI EVOLUZIONE DEI PRE-REQUISITISegue la fase della scelta e organizzazione dei metodi perché, dopo aver organizzato i contenuti, ci si deve chiedere dove e come si fanno queste esperienze e quindi spazi, tempi e modi di trattare, di organizzare il lavoro, il materiale che mi serve, ecc.La verifica consiste nel riprendere la situazione iniziale e valutare i progressi ottenuti, verificare in questo modo se la strategia didattica da noi adottata è adatta oppure no, e strutturare in questo caso percorsi di recupero.Ogni punto di verifica e di valutazione porta a costruire ed a scoprire nuove situazioni e nuovi problemi, da cui occorre riprendere il cammino: possiamo perciò definire la programmazione come un percorso a spirale che porta sempre più avanti le sue mete.L'insegnante dovrà avere, oltre alla disponibilità al cambiamento, la convinzione che è necessario tener presente ciò che si è rilevato nella fase iniziale. Accettare livelli di partenza diversi vuol dire accettare anche tempi differenziati di crescita culturale e formativa.L' insegnante deve sempre avere la possibilità di effettuare il feed-back, cioè controllare se tutto va bene ed eventualmente correggere. Il feed-back lo troviamo nell'istruzione programmata e soprattutto nella sperimentazione, perché ci si trova davanti a situazioni sempre diverse.Il confronto che la valutazione stabilisce suppone la rilevazione dei dati di fatto, delle situazioni e dei risultati, perciò deve essere non approssimativa e raccogliere ciò che è pertinente, e deve essere accurata.La rilevazione da usare nelle ricerche non potrà essere fatta, comunque, ad uso esclusivo del singolo insegnante, esercitando una critica costruttiva e rigorosa sui metodi e strumenti in uso.Le prove o i tests dovranno basarsi su alcuni punti come:1- scelta dello stimolo: valutare ciò che agisce sulla personalità che vogliamo conoscere;2- validità: cioè una valutazione in cui si può cogliere quello che si intende valutare realmente;3- fedeltà: valutazione effettuata sempre allo stesso modo, non è quindi inficiata da soggettivismi;4- funzionalità: è una valutazione ottenuta in maniera pratica ed economica, ed è espressa con chiarezza.

Schede-guida per la progettazione educativa:Cosa voglio ottenere Quali mezzi utilizzo Che cosa faccio io Cosa fanno gli alunni Osservazione processo

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CAP. XVI - COME SI PROGRAMMA

16.1. PROGRAMMA E PROGRAMMAZIONE A CONFRONTO

Si parla spesso di passaggio da una "cultura del programma" a una "cultura della programmazione". Se infatti possiamo intendere per programma un insieme di direttive e di indicazioni redatte da esperti in sede ufficiale derivante da esigenze di unitarietà e insieme di prescrittività necessarie a garantire "base nazionale "alla formazione scolastica, la programmazione si propone come momento di storicizzazione, interpretazione dei programmi alla luce di situazioni particolari, analizzate dalla comunità educativa locale. "Una delle più rilevanti connotazioni di cambiamento dal '55 ad oggi, la si può additare proprio nel completo mutamento del concetto di programma. La politica, l'economia, la ricerca didattica, hanno messo in circolazione un'accezione del tutto nuova: programma non è tanto una raccolta di prescrizioni indicative e di traguardi normativi, quanto la redazione di un concreto piano di azione compiuto dagli operatori coinvolti in una situazione rispondente ai dati fornita dall'analisi della situazione stessa." La nota dolente della scuola italiana, scuola del "Programma", è sempre stato il suo distacco dalla società: essa è rimasta fino ai nostri tempi "congelata nel ruolo di istituzione chiusa o poco permeabile ai suggerimenti e alle richieste che le vengono dall'esterno. La portata etica del valore della scuola sembra attualmente attestarsi (....) sui valori di una cultura impermeabilizzata, discriminante e selezionante su criteri riproduttivi, dentro la logica della lezione, del libro di testo, della valutazione in termini nozionistici degli apprendimenti." Il passaggio ad una cultura di programmazione segna appunto una nuova visione della dialettica scuola-società, cultura, dove "il programma non è qualcosa di definitivo, fisso, perenne, e la programmazione, come sua attuazione effettiva e concreta, vive lo stesso dinamismo che vive la scuola, che vivono gli utenti del servizio scolastico, sempre nuovi, sempre diversi, che vive la società che cammina politicamente e culturalmente, economicamente e tecnologicamente, in un processo uniformemente accelerato nel tempo." La naturale conseguenza di questo salto di prospettiva, è la messa a punto e la realizzazione di interventi didattici non più prescritti verticisticamente, bensì conformati alle concrete situazioni degli allievi e dell'ambiente, investendo così la diretta responsabilità decisionale ed operativa degli insegnanti, come sottolinea efficacemente anche Scurati, "passare da una logica di tipo programmatico ad una di tipo curricolare vuol dire precisamente conferire legalità alla realtà, cioè elevare al rango di piena cittadinanza entro il sistema scolastico le scelte, gli orientamenti e le concrete attività che gli educatori ritengono opportuno intraprendere in base al loro giudizio professionale.È evidente che, seppur non radicale, il mutamento di prospettiva rispetto ai tradizionali programmi da svolgere è notevole, soprattutto per l'accento particolare posto sulla responsabilizzazione diretta degli insegnanti nella definizione degli obbiettivi della propria azione educativa, i quali devono essere precisati sulla base della individuazione delle esigenze del contesto socioculturale e delle situazioni di partenza degli allievi, oltre che alla luce delle finalità generali contemplate all'interno delle stesse indicazioni programmatiche.Si può quindi dire che la programmazione non è altro che l'adeguamento del programma alla realtà concreta dove ci si trova ad operare.Proprio grazie alla flessibilità della programmazione didattica, si possono individuare percorsi diversi, più adeguati alle esigenze venutesi a creare, per raggiungere gli obbiettivi finali.Come diceva la relazione Fassino: "gli obbiettivi dovranno essere perseguiti sia nell'area cognitiva che in quella socio-affettiva"; tanto che nei nuovi programmi, la scuola elementare viene pensata e organizzata al servizio delle "diversità" individuali.I programmi risultano orientati per le scelte organizzative, per la flessibilità e per la unitarietà dell'impostazione educativa e curricolare, cioè:- realizzare con gradualità il passaggio della pluralità dei docenti dalla scuola materna alla media, caratterizzando progressivamente l'articolazione dei compiti dei docenti in direzione disciplinare;- prevedere diverse modalità di lavoro, salvaguardando:1) L'unitarietà dell'impostazione educativa attraverso una adeguata programmazione.

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2) L'articolazione dell'impianto curricolare previsto dai programmi, evitando una eccessiva frammentazione dei compiti.3) Coordinamento tra attività didattiche di sostegno e di didattica differenziata, con l'attività didattica generale.- operare con un gruppo massimo di tre insegnanti, con un massimo di 50 alunni.I nuovi programmi della scuola elementare segnalano le linee di tendenza dell'odierno sistema formativo, il passaggio da un sistema culturale di massa ad un sistema culturale personalizzato. Accanto ai vecchi mass-media troviamo l'informazione computerizzata, capace di mettere a disposizione del singolo in qualsiasi momento, risposte fortemente personalizzate, perché ritagliate su registri logici e linguistici del soggetto stesso. L'aspetto negativo di questo sistema è l'isolamento, e su questa base alla scuola è stato assegnato il compito dello sviluppo della socialità e dell'apprendimento.I caratteri istituzionali della nuova scuola elementare che influenzano gli aspetti organizzativi sono:1) Autonomia di proposta educativa e di interazione con la famiglia ed extra-scuola.2) Continuità educativa e flessibilità funzionale.3) Finalizzazione esplicita e quindi programmazione e valutazione continua.

16.2. COME SI SVILUPPA LA PROGRAMMAZIONE NELLA SCUOLA

Il concetto di programmazione è stato introdotto nella scuola con i decreti delegati del 1974, che prevedendo lo sviluppo della gestione democratica, e quindi la partecipazione di tutte le componenti sociali allo sviluppo delle strutture educative, hanno introdotto l'esigenza di utilizzare e valorizzare tutte le risorse ad esse riferibili, sia fisiche, sia umane, sia professionali.Entrando nel vivo del commento alla parte della programmazione e organizzazione didattica, si nota che vengono subito messe in evidenza le caratteristiche innovative che la programmazione didattica deve esercitare nella nuova scuola. Mentre prima termini come programmazione, sperimentazione, curricolo ecc., erano appannaggio di un circolo ristretto di "addetti ai lavori" in ambiti specialistici, (università, commissioni di studio) ora a pieno titolo questa terminologia viene ad essere assimilata da tutti gli insegnanti, colorandosi di connotazioni ben più che propositive, assumendo proporzioni realistiche e operative.Oggi si ammette che per intendere appieno il significato di programmazione è necessaria una nuova concezione della cultura, della scuola, dell'educazione e dei loro rapporti. Non è più possibile non dare il giusto peso al campo del cognitivo, che propone la necessità di ipotesi curricolari che tengono conto delle esigenze della società scientifica attuale, delle sue tendenze, del rapporto che esiste fra scienza e tecnologia, fra formazione scolastica e sbocchi professionali.Quando si parla di programmazione, si deve pensare ad un piano di insegnamento orientato ai fini dell'apprendimento, in cui l'accento non è più posto sulla capacità dell'istituzione di impartire insegnamento, bensì sull'idoneità a produrre apprendimento negli allievi.La programmazione è uno strumento di razionalizzazione del processo educativo, che significa prima di tutto evitare lo sperpero di risorse sia da parte dell'insegnante, sia da parte degli allievi; in secondo luogo significa corrispondere alle istanze educative dei propri allievi.La programmazione si contrappone così al procedere con improvvisazione, con occasionalità, con faciloneria e richiede la costituzione di un progetto e di una strategia capaci di dare un senso alle varie occasioni ed ai vari interventi educativi.Secondo la Ballanti la programmazione è "anticipazione ipotetica di risultati, condizionata dal momento analitico iniziale, comunque legittimata da sicura scientificità e sperimentazione che costituiscono le idee guida dell'insegnamento che perde ogni carattere empirico ed approssimativo." Programmare dunque significa conoscere a fondo le necessità degli allievi con cui lavoriamo e proporsi la realizzazione di determinati obbiettivi. D'altra parte "non è possibile educare senza la previsione di uno scopo, di un obbiettivo. Senza una intenzione educativa, senza una norma l'educazione scompare." Inoltre, sostiene ancora Rosati, "un insegnante che sa cosa sta cercando di fare, ha maggiori possibilità di riuscirvi rispetto a chi non lo sa o a se stesso se non lo sapesse."

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È un principio di importanza decisiva per chi vuole cambiare, poiché l'attuale apparente casualità dei risultati positivi e negativi che si hanno, dipende dalla scarsa consapevolezza degli obbiettivi e dalla ancora meno chiara conoscenza delle condizioni in cui si sta operando da parte del docente e di tutti coloro che concorrono all'azione educativa.La programmazione non è un nuovo programma, un "curricolo" nuovo e più moderno, ma uno stile, un metodo nell'affrontare il lavoro di educare e il discorso della progettazione in campo educativo.Non può esistere un libro di programmazione valido per tutti, come non si può concepire la programmazione in un modo troppo rigido, trasformando così quello che dovrebbe essere uno strumento di aiuto in una gabbia che immiserisce la varietà e la fantasia del creato. Poiché la realtà della vita dell'uomo è più grande dei nostri progetti di incasellamento, non si deve né pretendere di incasellare e numerare tutti, né irrigidirsi su scelte fatte, e magari, smentite dalla realtà. È importante lasciare spazio a ciò che può accadere, sapendolo collegare con il progetto a tempi lunghi che si ha in mente. Il discorso sulla programmazione è la preparazione di un itinerario, come aprire una strada...che può andare in varie direzioni. È fondamentale per questo definire all'interno di quale quadro di riferimento si vuole mettere in atto la programmazione; da solo il discorso della programmazione è privo di senso compiuto, esso diventa utilizzabile solo all'interno di un progetto educativo.In genere, l'uso del concetto di programmazione viene limitato ai momenti che più direttamente riguardano gli insegnanti e che si possono riferire a problemi organizzativi generali a livello di scuola, alla preparazione di itinerari curricolari ed alla programmazione effettiva da svolgere nel corso dell'anno scolastico.Come innovazione ha suscitato molte domande, perplessità, approvazioni e disapprovazioni: "il problema essenziale delle innovazioni è quello di diventare delle tradizioni; per quanto possa apparire paradossale , una innovazione deve potersi tradurre in organizzazione, in regola che fonda il funzionamento della istituzione e ne modella l'immagine presso l'ambiente di riferimento; deve "morire" in quanto evento, e "vivere" come prassi quotidiana, come routine, trasformarsi nel non detto che tutti praticano e tutti si aspettano di vedere, deve tradursi in criteri organizzativi." La programmazione non può essere ridotta ad una semplice prospettiva di innovazione didattica a prescindere dalle varie destinazioni per livello (distretto, collegio, consiglio di classe ecc.). Troppo spesso si è identificato il rinnovamento del sistema educativo con la trasformazione delle modalità di lavoro che si svolge nella classe, indicando come soluzione ultima solo e sempre il recupero della professionalità docente.Allo stesso modo è stato dato al concetto di programmazione, una interpretazione riduttiva. Comunque, al di là dell'interpretazione estensiva o restrittiva, il concetto di programmazione educativa riguarda la funzione di trasmissione ed elaborazione culturale che la scuola svolge e la necessità di analizzare, criticare, trasformare e pianificare i contenuti culturali proposti nelle istituzioni scolastiche in connessione con gli obbiettivi generali e specifici dei livelli ed ordini di scuola, dei metodi di insegnamento, delle possibilità e dei materiali di apprendimento, della interazione didattica e sociale tra insegnanti e tra gli allievi stessi. La programmazione didattica di per sè non costituisce alcuna garanzia, anzi, può dar luogo a sostanziali fraintendimenti quando manchino adeguate informazioni e consapevolezza critica in base alle quali sia possibile rendersi conto dei motivi realmente innovativi, di cui questo discorso vuole essere portatore; sia dei limiti che può comportare quando ci si fermi ad esso, o peggio ancora, solo ai suoi aspetti formali più facili da cogliere.Il limite di fondo nel dibattito sulla programmazione sta dunque nel dare per scontato il richiamo alla necessità che l'organizzazione del lavoro educativo tenga conto della convergenza in essa di tutto ciò che, nel territorio, confluisce, sia in termini di ruolo e di competenze, che in termini di bisogni, istanze, esperienze.La parte iniziale, ma determinante di un lavoro di programmazione, non può che essere centrata proprio sulla potenzialità di questo scambio dialettico territorio-istituzione. Occorre attrezzarsi per una logica della responsabilizzazione senza più limitarsi alla condanna del tradizionale e indicare come prospettiva l'esigenza della programmazione, articolando il discorso nei suoi aspetti concreti che vanno dalle unità di base ai momenti centrali, e dalle grandi direttrici ideali alle risposte che il singolo nel suo specifico esige.Il concetto di programmazione educativa "comprende necessariamente un punto di vista sull'educazione, una prospettiva nuova sul complesso di problemi educativi che si è arricchito in questi ultimi anni di molti apporti teorici e di molteplici interventi operativi."

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Si tratta in sostanza di coordinare gli elementi espliciti della formazione che sono quelli più direttamente riferibili al bagaglio culturale (insegnamento, riferimenti generali di metodo, modelli di ricerca ecc.), con quegli elementi formativi impliciti che sono mediati individualmente dal contesto sociale e che costituiscono le basi dell'interesse, della motivazione e in larga misura anche dell'informazione che i singoli acquisiscono a vari livelli (i problemi di politica locale, l'uso del territorio ecc.).Interconnessione perciò tra programmazione e contesto socio-educativo, ma anche tra processo formativo e sviluppo dell'organizzazione complessiva dal punto di vista normativo, giuridico, amministrativo ecc. La stessa accezione della voce programmazione, che non nasce certo dal campo pedagogico ma da quello economico, riguarda preminentemente l'attività decisionale generale, che viene prima dell'attività di elaborazione (progettazione) e della realizzazione. L'applicazione del concetto di programmazione educativa in un verso o nell'altro, in un modello o in un altro, non è legata al caso, ma allo sviluppo della riflessione didattica ed educativa che si è avuta in Italia negli ultimi anni. Nella programmazione educativa emergono e convergono bisogni e richieste dell'allievo, ma anche dell'ente locale, del genitore, dell'insegnante e del territorio. Ogni programmazione educativa deve porsi in rapporto con il territorio non solo in termini puramente sociologici e conoscitivi, ma soprattutto in termini di partecipazione costante che induca un cambiamento ed uno spessore politico nella situazione sociale in cui il soggetto si trova a crescere: cambiamento a cui partecipano tutti i soggetti sociali che concorrono materialmente all'apprendimento.La programmazione, nel quadro delle mete indicative del programma, delineerà i percorsi e le procedure più idonee per lo svolgimento dell'insegnamento, tenendo conto che i risultati devono essere equivalenti qualsiasi sia l'itinerario metodologico scelto, inoltre deve essere assunta e realizzata dagli insegnanti come sintesi progettuale e valutativa del proprio operato.Il momento programmatorio, non si risolve nella programmazione didattica, ma comprende anche problemi scolastici quali, metodologie di insegnamento e apprendimento, procedure valutative e questioni relative all'organizzazione-gestione della scuola e alla rete dei rapporti che essa istituisce con la realtà circostante. Le suddette richieste, mentre propongono una realtà scolastica di tipo nuovo, sono anche fonte di ostacoli, confusioni, situazioni contraddittorie, come accade quando si intraprende la strada del cambiamento e della innovazione.Indipendentemente dalla programmazione prevista, vi sono dei preliminari che devono essere espletati; generalmente vengono divisi in tre ambiti:1) modello pedagogico di riferimento nella proposta educativa;2) il quadro istituzionale che fa da sfondo;3) la proposta curricolare relativa ai programmi scolastici o alle indicazioni per ogni grado della scuola di base.Il termine programmazione, di solito si presenta affiancato a quello di pianificazione; insieme denotano due livelli di un medesimo processo finalizzato al conseguimento di determinati obbiettivi:- livello politico, relativo alla scelta di obbiettivi generali di breve, medio e lungo periodo; - livello strategico, relativo alla determinazione dei mezzi e delle risorse capaci di realizzare quegli obbiettivi.Inizialmente l'idea di programmazione legata a pianificazione ha dato luogo a paure e incertezze, poi scomparse con l'ingresso di questo sistema anche nella politica e nella economia.La programmazione nella scuola si sviluppa a due livelli:- Comunitario informale, si sviluppano i rapporti interpersonali, e le situazioni comunicative e collaborative per operare insieme;- Formalizzato, partecipativo, gestionale in cui agiscono gli organi collegiali secondo le loro competenze e poteri istituzionali.Questi due livelli interagiscono fra di loro e si collocano all'interno di un circuito comunicativo in cui le persone, secondo le loro funzioni e i loro ruoli, riescono a mettere in comune idee, problemi, competenze, tutto nell'ambito di un "disegno preordinato" dei programmi nazionali.Programmare vuol dire dare risposte ad una serie di interrogativi, per fare ciò è necessario partire dall'analisi della situazione, che prende in considerazione elementi quali:- alunni,

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- famiglia,- la scuola e le sue risorse,- i problemi di gestione, - i rapporti fra gli elementi gia' considerati.L'attività programmatoria deve riconoscere la situazione in cui gli alunni sono collocati, perché il segno educativo di essa deve esprimersi in un rapporto positivo tra interno ed esterno, tra individuo ed ambiente, tra scuola e società,I compiti della programmazione sono:A) definire mete di sviluppo, utilizzo di risorse e mezzi, interventi coordinati a livello del territorio con la famiglia e gli altri organismi pubblici.B) Stabilire momenti adatti a consentire una frequente valutazione a scopo formativo, in corso di apprendimento.C) Accertare le abilita' di base degli alunni.D) Colmare eventuali ritardi delineando percorsi individualizzati.E) Procedere al potenziamento dei percorsi.F) Organizzazione e arricchimento di un ambiente per l'apprendimento.G) La coerente ed equilibrata organizzazione del calendario/orario settimanale.H) Migliorare la ricerca e la sperimentazione.I) Raccogliere in maniera sistematica informazioni relative allo sviluppo dei quadri di conoscenza, della disponibilità ad apprendere.L) Ricercare collegamenti fra obbiettivi a breve, medio e lungo termine, contenuti, mezzi e metodi.M) Introdurre per tempo modificazioni o integrazioni.La programmazione deve essere fatta secondo criteri di:- Realtà: conoscenza puntuale della situazione concreta in cui si fa scuola.- Razionalità: procedimento scientifico nell'analisi delle variabili assegnate.- Socialità: disponibilità alla collaborazione durante la programmazione, la conduzione e la verifica dell'attività didattica.- Pubblicità: diffusione della programmazione per la ricerca del consenso da parte degli alunni e delle famiglie.- Congiunturalità: modificazione anche automatica del programma per evitare inefficienza formativa.- Articolazione: possibilità di calare e radicare il programma generale nelle situazioni culturali territoriali specifiche pur salvando l'omogeneità e l'unità culturale. - Specificità: concretezza di discorso didattico applicato ai singoli alunni, delle singole classi, delle singole scuole.- Integralità: raccordo interdisciplinare, ma anche interpersonale.- Sostanzialità: controllo della efficacia e della efficienza dell'azione didattica, verifica della produttività per sfuggire al dispersivo e all'insignificante.- Continuità: organicità e sistematicità dell'intervento educativo-didattico.- Collegialità: garanzia di ricchezza dei contributi naturali e culturali di ogni membro del team-teaching. La programmazione non avrà durate obbligatorie, ma seguito di verifiche "in itinere" o al termine di fasi formali del calendario scolastico, sarà regolata nel ritmo, nella qualità, nelle strumentazioni, in un perenne processo di autoregolazione.Se un grande passo è già stato compiuto, saremmo ottusi e superficiali se non riconoscessimo che ancora lunga è la strada da percorrere, che molte sono le difficoltà e le resistenze per intraprendere in modo consistente e unitario la via del rinnovamento.La programmazione educativa e didattica è senza dubbio un caposaldo del rinnovamento scolastico in tutte le sue forme. Lavorare seriamente per costruire una solida impalcatura programmatica, significa definire i vari livelli in cui la programmazione si compone. Lavorare seriamente significa non isolare l'insegnante in questo gravoso compito, demandandogli tutte le responsabilità, ma coinvolgere le forze sociali e politiche del territorio, genitori, équipe di esperti, consulenti specializzati, ecc., con la consapevolezza che da tutto questo lavoro possono scaturire effetti generali molto significativi, a volte determinanti.

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La programmazione è la base di lancio per tutta una serie di ipotesi che scuotono l'ambiente scolastico dal grigiore, dall'immobilismo e dalla monotonia della routine giornaliera, fungendo da agente innovatore di una struttura che si trova nella capacità di trasformarsi e modernizzarsi continuamente.

16.3. IL RUOLO DELL'INSEGNANTE NELLA PROGRAMMAZIONE EDUCATIVA E DIDATTICA

Il fatto che "la programmazione didattica deve essere assunta e realizzata dagli insegnanti anche come sintesi progettuale e valutativa del proprio operato", impone un nuovo ruolo della professionalità docente. Infatti, "solo se si è in possesso di professionalità e la si esercita collaborativamente, si è in grado di decodificare e utilizzare curricoli in direzione della programmazione che richiede non solo un elevamento qualitativo della competenza disciplinare, psico-pedagogica e didattica, ma anche un'estensione delle competenze ad altri campi.Gli insegnanti sono insostituibili collaboratori sia della ricerca pedagogica, sia della costruzione di curricoli, per cui occorrono conoscenze riguardanti ordinamenti e funzioni di istituzioni non scolastiche, di servizi con cui la scuola entra in rapporto. L'insegnante è un organizzatore di cultura, di comportamenti e di rapporti, è quindi capace di fare piani, di procedere sistematicamente, di scegliere i mezzi adatti a raggiungere obbiettivi chiaramente definiti." ( De Bartolomeis, 1982)L'autoverifica è un punto importante della programmazione: infatti, richiede al docente una preparazione molto vasta ed interdisciplinare, la sua disponibilità a rivedere le proprie teorie, assumere un costante atteggiamento di riflessione nel proprio insegnamento, che sia sempre pronto a modificare i propri sistemi di lavoro sulla base di necessità sempre nuove. Si può definire come un progetto educativo sempre aperto che viene effettuato nelle singole realtà individuali e socioculturali. La programmazione porta l'insegnante a compiere un processo di autovalutazione e quindi di crescita nella propria professionalità, dato che è tenuto a verificare la buona efficacia del suo metodo e se certi obbiettivi sono stati raggiunti, per capire se la sua strategia didattica è adeguata e c'è quindi una continua sollecitazione per l'insegnante a migliorare il proprio insegnamento.Con la programmazione emerge la necessità di attingere alle diverse discipline e collegare intrinsecamente i diversi apporti in vista del raggiungimento degli obbiettivi. Inoltre facilita l'impostazione e la realizzazione di un progetto interdisciplinare di équipe, cosa quest'ultima che induce a vedere nell'altro non un antagonista, ma un collaboratore da cui si può ricevere ed a cui si può dare. Il fatto di lavorare uno con l'altro, rende chi vi partecipa, capace di confronto, di verifica, di autocontrollo, di solidarietà ; metodologia interdisciplinare vuol dire, perciò, in tal senso, "scuola di democrazia" non tanto per quello che si apprende quanto per come si lavora insieme.La programmazione prevede nuovi stili di lavoro, una nuova mentalità e una competenza reale che rovesci il ruolo dell'insegnante della scuola attuale. Programmare insieme richiede:- la consapevolezza dei propri convincimenti in relazione ai compiti educativi;- la consapevolezza delle proprie capacità e dei propri limiti; - atteggiamento di apertura e di disponibilità al lavoro in comune;- chiarezza nell'esposizione delle proprie esigenze e delle proprie difficoltà professionali;- flessibilità delle proprie opinioni in vista degli obbiettivi da raggiungere.Dunque "spetta ai docenti collegialmente ed individualmente di effettuare con ragionevoli previsioni la programmazione didattica, stabilendo le modalità concrete per mezzo delle quali conseguire le mete fissate dal programma e la scansione più opportuna di esse."Secondo De Bartolomeis, è indispensabile che gli insegnanti non agiscano separatamente, non restino chiusi nell'ambito della propria materia e non considerino lo studente solo per quella parte che riguarda l'apprendimento di essa; occorre che si costituiscano in un gruppo al fine di:- elaborare programmi e piani di studio- mettere a punto metodi - stabilire collegamenti per attività interdisciplinari - coordinare le parti teoriche e le esercitazioni pratiche e di laboratorio

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- mettere a punto giudizi (valutazione) sugli studenti considerati globalmente e non secondo la parcellizzazione delle varie materie- impegnarsi collaborativamente nell'aggiornamento continuo in rapporto a concreti e particolari interventi innovativi (De Bartolomeis 1982)Secondo Cives, il lavoro di gruppo deve fondamentalmente articolarsi nei seguenti punti:1) Programmazione educativa e didattica2) Organizzazione e gestione sociale della scuola 3) Scelta dei libri di testo e dei sussidi didattici 4) Verifica periodica dello sviluppo della generale azione didattica 5) Coordinamento didattico 6) Programmazione, conduzione e verifica della ricerca educativa e della sperimentazione. (Cives 1978)Con i nuovi programmi si dà molta importanza alla preparazione metodologica degli insegnanti: "la pedagogia, nel prospettare esigenze di rinnovamento educativo, ha messo in risalto, con rinnovato vigore specie dal secondo dopoguerra in avanti, la fondamentale importanza della preparazione metodologica degli insegnanti. Questa esigenza, accolta nei documenti ufficiali della nostra scuola, ribadita in innumerevoli convegni e corsi di aggiornamento, teoricamente riconosciuta come indispensabile, anche a causa del perdurare in molti docenti di una concezione pedagogica sostanzialmente ispirata alla scuola tradizionale, spesso tuttavia non riesce a suscitare propositi ed iniziative per approfondimenti del problema del metodo didattico che potrebbero apportare notevoli vantaggi al rinnovamento della nostra scuola pur compiuti isolatamente o a piccoli gruppi." P. Bartolini e G. Cavallini, dopo aver rilevato che negli ultimi anni si è verificata una vera e propria esplosione di interesse per i problemi educativi, sottolineano tuttavia che "sono ancora diffusi due tipi di pregiudizi sull'educazione: che si tratti di un atto spontaneo, e che riguardi soprattutto i contenuti di apprendimento." Essi mettono però immediatamente dopo in evidenza che "tali tipi di pregiudizi non persistono in genere nella nostra società ma sono duri a morire anche fra coloro che per motivi professionali dovrebbero esserne immuni, primi fra tutti gli insegnanti." Questa considerazione è seguita poi, dalle caratteristiche che i due autori attribuiscono agli indicati pregiudizi: "dal primo punto di vista, si è convinti che educare non costituisca un problema, che lo sappiano fare tutte le persone equilibrate ed istruite, dunque che non richieda una particolare competenza o una preparazione specifica. Così, moltissimi si sentono 'maestri' in quest'arte, quasi per virtù innata, o per il semplice fatto di essere degli adulti. Dal secondo punto di vista, e con particolare riferimento al mondo della scuola, si è convinti che il fatto educativo sia costituito essenzialmente dal suo aspetto contenutistico. L'unica cosa importante è trasmettere un determinato sapere o indurre talune abitudini comportamentali." È inevitabile allora che si chieda all'insegnante non tanto di essere preparato dal punto di vista pedagogico, quanto che conosca la propria disciplina.L'apprendimento, qualsiasi esso sia, è concepito come un processo di accostamento progressivo a un obbiettivo o ad una meta, di ampliamento organico e sistematicamente contessuto di acquisizioni nuove e sequenziali. "La figura e il ruolo dell'insegnante, in questa organizzazione didattica, assumono un rilievo del tutto particolare e vengono definiti secondo dimensioni fino ad ora non specificatamente considerate. L'insegnante viene ad essere liberato dalle incombenze più rudimentali e reso disponibile per un lavoro più qualitativo e incidente, in cui confluiscono insieme le connotazioni di programmatore e di direttore dei processi di apprendimento, attuati mediante prestazioni di elevata qualificazione professionale. Colui che insegna cessa di essere depositario e trasmettitore di un determinato complesso di contenuti culturali e motori o psicomotori e assume il ruolo di una vera e propria variabile degli itinerari di acquisizione e di azione dello scolaro, svolgendo in essi un compito di ordinamento, di programmazione e di assistenza individualizzata."

16.4. L'ORGANIZZAZIONE DIDATTICA

Spetta all'insegnante in base alle accertate possibilità dei singoli alunni, formulare un suo personale piano di lavoro, distribuito nel tempo, potendolo eventualmente aggiornare alla luce di una sempre più approfondita conoscenza

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della scolaresca, consentendo l'adozione di quei procedimenti attivi che spronano il fanciullo nell'operosa ricerca e nell'approfondimento della consapevolezza di quanto viene imparando.Tali considerazioni ci portano a rifiutare proposte pedagogiche pianificanti nelle quali tutti sono uguali tra uguali, affermazione certamente valida sul piano umano, ma massificante la personalizzazione delle proposte (insegnanti) e delle risposte (allievi), per cui è forse più corretto affermare che ciascuno è diverso tra uguali. "La persona non ha bisogno di un'alternativa, ma di essere aiutato a scoprire e a conoscere tutte le alternative possibili, attraverso la sua diretta partecipazione, senza fare ideologia, ma accettando e verificando tutte le ideologie, per interpretare e risolvere ciascuna problematica in termini di creatività operativa prima e produttiva poi, ed infine emergente, perché solo a lui come persona spetta la decisione di scegliere criticamente, cogliendo situazionalmente la risposta che ritiene più giusta, in una dimensione agonistica esistenziale, sempre rispettosa di sé, della natura e degli altri. In tal modo la persona recupera il suo ruolo all'interno di una dimensione etica universale, considerata nella sua effettiva integralità e funzionalità." (Gori, 1982)

16.5. LA DIVERSIFICAZIONE DEGLI INTENTI EDUCATIVI

Il fatto che "possano essere previste nell'arco dell'anno anche scansioni diverse, sia per rispettare i ritmi di crescita individuale degli alunni, sia per consentire una verifica e una frequente valutazione a scopo formativo in corso di apprendimento da raccordarsi con quella consuntiva terminale", è un segno tangibile della mentalità divergente, democratica e progressista con cui sono stati stesi i nuovi programmi ministeriali. L'eterogeneità della conformazione territoriale e geografica del nostro paese, ha condizionato non poco l'evoluzione storica selezionando incroci di razze, popoli che hanno prodotto e determinato massime variabili caratteriali, comportamentali e culturali. È evidente come in un progetto pedagogico completo le scelte educative, le verifiche e le valutazioni debbano derivare a prescindere da questi fattori, rispettando interessi, difficoltà e ritmi di crescita individuali diversificati."La realtà dell'alunno va dall'individuale (situazione di partenza o di ingresso differenziata sul piano sociale, economico, culturale, ambientale) al sociale (situazione di arrivo non differenziata nel possesso delle capacità cognitive, affettive, psicomotorie, sociali, che consentono la partecipazione effettiva allo sviluppo e modifica del mondo) passando attraverso la aderenza alle caratteristiche psicologiche di una fase evolutiva nella quale si sviluppano non solo processi di astrazione ma anche capacità sociale di reciproca relazione e collaborazione." (Venturi, 1982)Questa impostazione "ha bisogno di più ampio respiro, di tempi larghi, e ci porta fuori dagli schemi di una scuola fatta di lezioni- interrogazioni, domande-risposte; ha anche bisogno di essere concepita non come scuola rigida o organizzatissima secondo orari ferrei, bensì come una struttura flessibile, pronta ad interpretare e recepire i mutamenti della realtà, pronta a trasformarsi secondo nuove esigenze, nuovi bisogni, in continuo scambio di interazione con la realtà sociale." (Tancredi, Torelli, 1976)

16.6. L'UNITARIETÀ DELL'INSEGNAMENTO

Nell'organizzazione didattica della scuola è riaffermato il principio dell'unitarietà dell'insegnamento, "che costituisce la caratteristica educativo-didattica peculiare, assicurata sia dal ruolo specifico dell'insegnamento che dall'intervento di più insegnanti sullo stesso gruppo di classe o per gruppi di classi diverse organizzati in un sistema didattico a classi aperte."Mentre la scuola, generalmente in contrasto con le affermazioni di principio sull'unità della persona umana, ha continuato a privilegiare questo o quel linguaggio, adoperando un sistema di simboli aprioristicamente codificato e quindi imposto come verità indiscutibile, affidandosi quasi totalmente alla professionalità più o meno elevata del singolo docente, questa nuova impostazione ci dà l'idea di come oggi l'educazione, essendo diventata un fenomeno assai complesso, vada verso un modo di concepire la funzione pedagogica non più anacronisticamente come un fatto del singolo insegnante, ma come lavoro di équipe, attraverso un team-teaching organizzato e strutturato. (Gori 1982).

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Tutto questo attraverso una "integrazione dell'attività didattica dei vari insegnanti, operando in raccordo secondo una programmazione via via puntualizzata sia in rapporto allo sviluppo delle attività curricolari e complementari e integrative, sia di materia e materia all'interno della stessa classe, sia dei vari gruppi interclasse, sia delle ricerche e iniziative implicanti più classi parallele o non, sia della sperimentazione di forme di insegnamento a gruppo, cioè svolto da più insegnanti contemporaneamente presso gli stessi alunni." (Cives, 1978)

16.7. LE CLASSI APERTE

Le classi aperte sono un elemento strutturale della scuola, con cui si supera la classe intesa come monade chiusa in se stessa. La classe aperta può attuarsi mediante la programmazione di attività verso cui i docenti liberamente si indirizzano, oppure tramite la gestione di laboratori, attività di ricerca da attuarsi per interesse orizzontale e verticale.Essa può essere intesa anche come un momento di recupero o correzione di determinate carenze presenti nella comunità, realizzato con attività differenziate e individualizzate comprese entro piani di lavoro generale." (A.A.V.V., 1976)"L'esperienza scolastica condivisa con ragazzi di altre classi e ambienti sociali, può servire da scambio e arricchimento reciproco se contemporaneamente muta la struttura e la articolazione della scuola, per cui non è più presente un modello culturale, quello della classe media impersonato dal maestro, ma esiste un confronto tra diversi modelli in cui ogni ragazzo reca il proprio apporto e può fruire delle esperienze e del bagaglio culturale dell'altro. Deve esistere una integrazione degli alunni di più classi tra loro attraverso lo scambio di esperienze, la realizzazione di classi aperte, la formazione di gruppi misti elastici interclasse, tali da consentire libere scelte da parte degli alunni, e realizzazioni di programmi particolari di recupero, di opzione specifica, di sviluppo." (Tancredi-Torelli, 1976)

16.8. IL LAVORO DI GRUPPO

Il lavoro di gruppo modifica profondamente i processi di apprendimento e unisce l'iniziativa culturale alla socializzazione. "Occorre che penetri nella scuola lo spirito democratico del lavoro di gruppo, orientato a produrre deliberazioni, conoscenze, azioni, maturazioni realmente condivise e frutto della partecipazione intellettuale-affettiva di ciascuno, con l'apporto della propria competenza, non prevaricato da alcuno, ma al servizio degli altri, come entro il gruppo ciascuno è assistito dagli altri nel proprio personale crescere entro la costruzione comune." (Cives, 1978)Secondo Bertolini,"gli uni e gli altri, studenti e insegnanti, da passivi fruitori di una cultura unilaterale, preconfezionata e perciò morta e mortificata, debbono trasformarsi in attivi costruttori di cultura, in un continuo, dialettico, spregiudicato dialogo con la comunità intera cui appartengono." (Bertolini, 1975)Perché questa immagine di scuola democratica si possa fondare sulla dimensione comunitaria, sul decidere e fare insieme, "essenziali sono la collaborazione e il lavoro collegiale e altresì le modalità di raggruppamento permanente e temporanee degli alunni" (D.P.R. 104/1985).

16.9. L'INTERVENTO INDIVIDUALIZZATO

"L'organizzazione didattica utilizzerà, inoltre, attività didattiche di sostegno e di didattica differenziata per aree di intervento specifico, coordinate all'attività didattica generale" Tutto questo ci rimanda direttamente a considerare che "solo la individualizzazione degli itinerari di apprendimento garantiscono sia il diritto allo studio, sia proficui processi di apprendimento e di auto-orientamento, che è poi la finalità conclusiva di un processo educativo" (Venturi, 1980)Bertolini afferma che "la scuola di domani non dovrà e non potrà più essere il luogo dove si trasmette una cultura, la cultura ideologicamente classificata, ma uno dei luoghi, ovviamente privilegiati, in cui si fa cultura da parte di tutti, con il contributo di tutti. E poiché fare cultura...significa non eludere le realtà individuali ed ambientali di chi

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costituisce, ma al contrario significa affrontarla direttamente per analizzarla e comprenderla in tutta la sua complessità e se del caso, in tutta la sua conflittualità; per codificarla in un sistema di segni comprensibili a tutti coloro che appartengono al gruppo, allo scopo di sostituire ai tradizionali rapporti di dominanza e subordinanza una generalizzata capacità di affrontare e risolvere i problemi esistenziali di tutti; questa scuola di domani dovrà partire dalla realtà autentica dei ragazzi, dei loro genitori, della comunità sociale cui appartengono e dagli avvenimenti vicini e lontani che via via si susseguono e di fronte ai quali essi si trovano." (Bertolini, 1975)

16.10. TIPOLOGIE DELLA PROGRAMMAZIONE

L'idea che veicola la programmazione è questa: una conoscenza viene appresa con facilità quando esistono attività pre-requisite, un apprendimento è facilitato proprio perché si collega con uno precedentemente acquisito e la nuova conoscenza si rapporta con la precedente per ragioni di somiglianza, di integrazione, di sviluppo.Tutto il sapere è organizzato secondo un'idea di progressione ottimale. Da qui deriva la necessità di tassonomizzare gli obbiettivi didattici. Per tassonomizzazione si intende una classificazione gerarchica (dal facile al difficile, dal semplice al complesso) degli obbiettivi didattici. La programmazione può presentare diverse impostazioni corrispondenti a differenti linee di pensiero:A) Programmazione centrata sulle materie (subjet curriculum): è quella che si può indicare come impostazione tradizionale dei programmi. I tratti che la caratterizzano sono: esistenza di "materie" distinte e classificabili in un ordine accademico preciso; esistenza di un programma predeterminato che l'allievo deve seguire; obbiettivo fondamentale è la trasmissione dell'eredità culturale consolidata nelle discipline in modo da consentire l'educazione generale dell'intelligenza. B) Programmazione centrata sull'attività dell'allievo (activity curriculum): è l'impianto di matrice attivistica in senso classico. Tratti salienti: il curricolo non è preordinato ma conseguente all'instaurarsi degli interessi degli allievi e delle situazioni-problema; gli allievi partecipano in una certa misura alla determinazione del curricolo; la metodologia privilegiata è quella della ricerca e del "problem solving"; il punto di riferimento più utilizzato è costituito dagli interessi e dai bisogni degli studenti; gli insegnanti devono essere preparati sul piano psico-pedagogico e didattico; occorre avere a disposizione strutture edilizie adatte ed abbondante materiale di lavoro; il raggruppamento degli allievi può avvenire sulla base di interessi ed attività; il contenuto è rappresentato fondamentalmente dall'analisi di problemi e processi sociali e di funzioni vitali. C) Programmazione centrata su punti focali (core curriculum): è il tipo di programmazione con il quale si cerca di tradurre in termini organizzativi l'esigenza della concentrazione dell'insegnamento e frammentazione delle nozioni. Tratti salienti: la programmazione viene organizzata intorno a centri perno aventi caratteristiche di rilievo; le zone "core" devono essere seguite da tutti gli allievi; le abilità sono insegnate se risultano necessarie per analizzare i problemi; il tempo di insegnamento va articolato in blocchi di orario che consentono lo svolgimento compiuto delle attività; è necessaria un'elevata flessibilità; occorre un abbondante materiale; gli insegnanti devono possedere preparazione culturale, sensibilità ed abilità psico-pedagogica; il metodo è prevalentemente quello del "problem solving".A seconda della considerazione pedagogica e della presupposta sistemazione, sono possibili altre tipologie; di notevolo utilità concettuale è la tipologia proposta da P.W. Musgrave, che utilizza come punto di riferimento la natura sociologica dei curricoli distinguendo tra curricolo dipendente (determined curriculum), cioè assolutamente determinato dalle richieste del sistema sociale, e un curricolo innovante (determining curriculum), cioè rivolto a formare personalità adatte al cambiamento della società.Molto opportuna è, infine, la distinzione che viene fatta da Eccleston fra programmazione ad orientamento tradizionale e programmazione ad orientamento futuristico, identificando la prima in base alla visione immobilistica della cultura ed all'assunzione normativa del criterio della resistenza all'usura del tempo come principio di valore ed autenticazione, ed la seconda in base all'impiego dell'attualità come regola determinanti sia dei principi metodologico-didattici della riscoperta personale, sia della ricerca diretta.

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La programmazione di tipo "core" rappresenta, infatti, un'ulteriore qualificazione di quelle di carattere attivistico, nei quali inserisce una nota di maggiore organicità e minore occasionalità, condividendone sia l'idea ispiratrice, che i più caratteristici passaggi attuativi.

16.11. ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO

Così la programmazione è un insieme di operazioni volte a raggiungere determinati obbiettivi in maniera coordinata e con il migliore impiego di risorse di vario genere. La programmazione richiede che gli obbiettivi vengano definiti sempre insieme alle condizioni, ai mezzi e alle attività che servono a raggiungerli. Occorre considerare due tipi di programmazione:A) Programmazione iniziale: di solito il periodo a disposizione è troppo breve anche solo per fare un abbozzo di programmazione, si è privi di strumenti culturali e i metodi che si adottano non consentono una vera e propria collaborazione. E invece al "prima" bisogna dare tempo, spazio e supporti strumentali adeguati per scendere nei particolari, fare scelte, stabilire connessioni tra mezzi e obbiettivi, specificare attività.B) Programmazione successiva: la programmazione iniziale va sostenuta con revisioni e sviluppi continui. Di qui la necessità di riunioni periodiche strettamente legate allo svolgimento delle attività educative con lo scopo di acquisire gli strumenti per prendere posizione di fronte a nuovi problemi e a nuove esigenze.Perché si tratti proprio di programmazione, è assolutamente indispensabile non limitarsi a definire obbiettivi generali e a indicare ambiti e contenuti. Bisogna da una parte precisare obbiettivi e scegliere contenuti e dall'altra stabilire mediante quali comportamenti e operazioni si realizza ciò che è stato programmato. Occorre perciò scendere in particolari per quanto riguarda condizioni, materiali, disponibilità di spazi, di attrezzature, di strumenti, la struttura dell'orario, i criteri per organizzare e svolgere il lavoro di gruppo, le modalità di reperimento e di utilizzazione di eventuali consulenti o esperti esterni.

16.12. L'ELABORAZIONE DI UN CURRICOLO

Il termine curricolo viene utilizzato con il significato ampio di progetto scolastico che privilegia un raccordo organico tra teoria e pratica, attraverso percorsi didattici programmati. Un progetto curricolare ha senso solo se costruisce o si propone all'interno di una situazione data, ponendo l'accento sulla coscienza critica e sulla non casualità che devono accompagnare sempre il processo di organizzazione-valutazione-strutturazione di un curricolo.Al curricolo si perviene non soltanto attraverso la competenza professionale e culturale, ma anche attraverso le attività di programmazione che mettono in gioco tutte le risorse per definire obbiettivi, strategie didattiche e valutative, selezionare fra i contenuti culturali e i metodi di apprendimento. Ma la ragione più importante è che il curricolo comporta un lavoro attivo di progettazione da parte dell'insegnante (come singolo o in gruppo)."Gli insegnanti hanno bisogno di stabilire molto chiaramente quel che cercano di realizzare con i loro allievi, per decidere poi il modo in cui pensano di farlo e per stabilire infine in quale misura i loro tentativi sono riusciti." Il curricolo viene concepito come sviluppo degli intenti definiti nella programmazione; la mediazione esercitata dai curricoli è di fondamentale importanza nell'elaborazione sistematica dei programmi, alleggerendo notevolmente il compito programmatorio. L'esigenza del curricolo nasce dal bisogno di un'organizzazione delle materie, canalizzate verso obbiettivi più generali e ampi, percorsi più lunghi e complessi di quelli di singole ricerche."Il curricolo differisce dai programmi e piani di studio perché in esso si specificano obbiettivi, metodi di insegnamento-apprendimento, attrezzature, materiali e strumenti, e si cerca di rapportare tutto ciò alle capacità, conoscenze e motivazioni degli studenti in vista dell'attuazione. Il curricolo è sempre eccedente a ciò che si farà realmente. Spetta alla programmazione essere più aderente alle effettive possibilità. Il curricolo è la commutazione di indicazioni generali (programma) in uno strumento che ha bisogno di altri strumenti (programmazione) per affrontare i compiti pratici." (De Bartolomeis, 1982)

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I nuovi programmi sono stati creati con il preciso intento e con il compito di favorire il rinnovamento e la costruzione di nuovi curricoli attraverso nuove aggregazioni problematiche, connessioni interdisciplinari e metodologie.Sempre secondo De Bartolomeis, "è necessario disporre di curricoli per passare dai piani generali di studio (programmi Ministeriali) alla programmazione nelle singole scuole. Un curricolo si distingue da un piano di studi perché include tutti i mezzi, quelli raggiungibili e controllabili, si intende, necessari per attuare processi educativi, anche se non può arrivare alla specificità e alla determinatezza che sono proprie della programmazione.Dunque i contenuti si connettono in un programma e il programma si specifica come curricolo." (De Bartolomeis, 1982)L'espressione "elaborazione di un curricolo", è abbastanza nuova nel linguaggio didattico, benché venga oggi sempre più usata. L'attività che questo termine implica è stata svolta da sempre da un piccolo numero di insegnanti e oggi viene a poco a poco riconosciuta come facente parte della responsabilità personale di tutti gli insegnanti."Per elaborazione di un curricolo si intende la programmazione di occasioni di apprendimento volte a produrre certi cambiamenti negli alunni e l'accertamento del grado in cui essi hanno avuto luogo. Ciò comporta, secondo lo "Schools Council's Working Paper" numero 10, quattro fasi:- l'attento esame, basato su tutte le fonti disponibili di conoscenze e di opinioni fondate, degli obbiettivi dell'insegnamento sia a livello di particolari materie sia del curricolo generale;- l'elaborazione e l'uso sperimentale, nelle scuole, di quei metodi e materiali ritenuti più adeguati al raggiungimento degli obbiettivi concordati dagli insegnanti;- l'accertamento del grado in cui il programma elaborato ha effettivamente raggiunto i suoi obbiettivi; questa fase del processo può anche provocare nuove riflessioni sugli obbiettivi stessi; - la fase finale è pertanto il feed-back (effetto retroattivo) di tutte le esperienze compiute, intese come punto di partenza per ulteriori ricerche.Quest'ultimo punto indica che l'elaborazione del curricolo è un processo ciclico e che è effettivamente utile concepirlo in questo modo:

metodi e materiali -------› obbiettivi

accertamento -------› feed back

Così intesa, l'elaborazione del curricolo appare un'attività senza alcun punto di partenza, come un processo senza fine. Allo scopo di una discussione, in questo processo, il punto di partenza deve, però, essere fissato e bisogna indicare una particolare sequenza di fasi, ma nella situazione pratica non è necessariamente così." Secondo alcuni autori, la funzione del curricolo nella scuola elementare è di compiere due operazioni:- dare le direzioni generali alle specifiche esperienze di apprendimento;- integrare in un piano accettabile gli obbiettivi della scuola e quelli della comunità.La tematica del cambiamento curricolare si colloca, a nostro avviso, proprio all'intersezione di quelle che possono essere le forze traenti centrali del progresso pedagogico e scolastico del nostro tempo: la forza della socializzazione e quella della scientificizzazione.Conoscere la situazione, prevedere le conseguenze, non fallire nell'intervento, questa è una tipica sequenza dalla quale discende che:a) ogni gesto, ogni passo, ogni decisione è in funzione di un progetto;b) ogni ricerca, ogni aiuto dato agli operatori si misura in base all'efficacia dell'intervento da essi ispirato;c) l'azione da intraprendere sarà rigorosamente collocata in funzione della rappresentazione delle conseguenze. Si tratta di un processo di revisione a breve scadenza.Molto resta da fare per definire il sistema di funzioni proprio ad un curricolo nazionale; tra quelle interne al sistema scolastico vanno comprese:- la legittimazione dei valori che ispirano l'azione educativa degli insegnanti;- la formazione per l'adeguamento delle competenze professionali richieste agli insegnanti per la loro applicazione;

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- il contratto rispetto ai bisogni e alla domanda educativa dell'ambiente di riferimento diretto (famiglie e alunni), e indiretto (agenzie educative extrascolastiche);- la protezione in ordine alle aspettative, interne ed esterne al sistema scolastico, non pertinenti agli obbiettivi del curricolo; - il controllo dei risultati eseguito mediante l'accertamento degli standard curricolari previsti, condotto a livello locale e territoriale ulteriore. Riguardo agli elementi del curricolo, A. e H. Nicholls osservano: "Gli insegnanti tendono ad essere persone pratiche, molto preoccupate di fare progressi nel loro lavoro di insegnamento agli alunni. Questo atteggiamento li ha portati a interessarsi prevalentemente di due soli aspetti dell'elaborazione del curricolo e precisamente quelli relativi al metodo e al contenuto. I cambiamenti che hanno avuto luogo, di conseguenza, hanno riguardato il contenuto e il metodo, benchè in tali cambiamenti siano impliciti gli obbiettivi. Per quanto importanti siano questi due aspetti dell'apprendimento e dell'insegnamento non dovrebbero essere considerati separatamente dagli altri due aspetti del programma: gli obbiettivi e la valutazione. Questi quattro aspetti sono strettamente interconnessi e i mutamenti in ciascuno di essi possono influenzare tutti gli altri." A questo punto è necessario osservare che il cambiamento dovrebbe essere programmato e introdotto su una base valida e razionale, secondo cioè un procedimento logico; cosa che non si è verificata per la maggior parte dei cambiamenti che hanno già avuto luogo. La ragione di questa deficienza risiede nel fatto che le conoscenze e le capacità necessarie per intraprendere l'elaborazione di un curricolo in passato, nel corso di addestramento iniziale di un insegnante, non venivano sviluppati. Perciò gli insegnanti devono acquisire una conoscenza, una capacità e una esperienza sufficienti a prendere un certo tipo di decisioni che consentiranno loro di fare questo.L'esposizione riguardante l'elaborazione di un curricolo si conclude con una considerazione che riveste notevole valore: essa "riguarda l'importanza che in passato è sempre stata assegnata all'insegnamento trascurando conseguentemente l'apprendimento e ciò forse per il fatto che gli atti di insegnamento sono osservabili e possono essere valutati in base a criteri certi, mentre invece l'apprendimento non può essere osservato, ma solamente inferito dall'osservazione del comportamento.""Da molti anni a questa parte -viene affermato- siamo stati esortati a fornire agli alunni occasioni di partecipazione attiva all'apprendimento... Non bisogna credere però, che in questo tipo di situazione l'insegnante fornisca semplicemente materiali o strumenti e poi aspetti che abbia luogo l'apprendimento: il suo ruolo è piuttosto positivo e attivo, inteso a facilitare l'apprendimento."

16.13. LE FASI DELLA PROGRAMMAZIONE

L'elaborazione di un curricolo prevede una serie logica di passaggi che possono essere sintetizzati nel modo seguente:- analisi della situazione - determinazione degli obbiettivi- selezione dei contenuti - scelta e organizzazione metodi e attività- scelta e organizzazione materiali e strumenti - strutturazione di sequenze si apprendimento - realizzazione (attuazione degli obbiettivi)- verifiche misurazioni e valutazioneTale suddivisione non va intesa come parcellizzazione né come un procedimento fisso anche se le fasi sono strettamente legate ed interdipendenti: "in pratica non vi è un passaggio diretto da un'attività a quella successiva e così via fino alla valutazione. Vi è invece un continuo avanti e indietro. Per esempio, nell'esaminare i contenuti, ci si riferisce costantemente allo stadio precedente degli obbiettivi e a quello successivo dei metodi, e nell'esaminare i metodi si fa costante riferimento ai contenuti e agli obbiettivi, così come avviene nel caso della valutazione. La necessità di questa spola lungo il ciclo è indizio delle relazioni molto strette tra gli aspetti del curricolo."

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16.13.1. Analisi della situazione

Parlare di programmazione significa riferirsi ad una situazione ipotetica che si dovrebbe verificare in un contesto scolastico reale, nel "concreto" di ciascuna situazione educativa. Si tratta pertanto di enucleare ed organizzare il complesso integrato delle condizioni, attività, esperienze e realtà che si determinano in un particolare momento, in una particolare scuola, in funzione delle caratteristiche ed esigenze educative specifiche, manifestate da una particolare popolazione di individui, in un particolare contesto ambientale.L'esigenza di consapevolezza razionale delle condizioni di partenza del processo educativo, assume rilievo nella analisi della situazione intendendo appunto con essa "la raccolta e la valutazione della totalità dei dati relativi a ciascuna delle variabili implicate nel processo educativo scolastico." Tartarotti prende in considerazione sei variabili che debbono essere considerate in questa fase:- ambiente extrascolastico- struttura ed organizzazione della scuola - insegnante- ambiente familiare dell'alunno- gruppo classe - alunno È auspicabile che la valutazione iniziale prenda in esame i dati sulla situazione degli utenti. Il Venturi propone l'analisi del:- Curricolo sociale implicito: esso concerne le informazioni dipendenti dalla formazione culturale del bambino, riferite alle sue condizioni d'ingresso. Queste rilevazioni riguardano:a) variabili proprie delle condizioni d'ingresso del bambinob) variabili descrittive a livello di contesto familiare. Questa rubrica permette di focalizzare i bisogni culturali del bambino.c) variabili descrittive a livello di ambiente socio-culturale.- Curricolo scolastico esplicito: concerne la formazione culturale del bambino, ciò che ha o non ha appreso in istituti educativi frequentati prima del suo ingresso a scuola. Le rilevazioni riguardano:a) variabili descrittive a livello generale della scuola come istituto regolatore di leggi, programmi, norme amministrative, stato giuridico del personale docente, politica scolastica, storia della scuola, professionalità degli insegnanti.b) variabili descrittive a livello della singola scuola: durata di permanenza degli allievi nella scuola, tasso di abbandono, di ripetenza, strutture edilizie, risorse didattiche, ecc.c) variabili descrittive degli allievi che frequentano la scuola: comportamento sociale, atteggiamento verso la scuola, verso l'apprendimento, verso il lavoro individuale e collaborativo, interessi scolastici ed extrascolastici, conoscenze ecc.- Scarto d'informazione culturale e linguistica e condizione di ingresso: contiene l'informazione che misura lo scarto e la distanza a) tra l'informazione ampia della cultura nazionale e l'informazione ristretta della cultura ambientaleb) tra il codice linguistico elaborato della cultura e il codice linguistico ristretto della socio-culturaQuesto consente un orientamento per una programmazione che, sul piano disciplinare organizza i contenuti in rapporto agli obbiettivi.

16.13.2 Determinazione degli obbiettivi

Gli obbiettivi possono essere correttamente determinati, come espresso dalla relazione Fassino (20-3-82) quali "prestazioni effettive del fare, dell'essere e del sapere adeguatamente accertabili."I caratteri che contraddistinguono un obiettivo, secondo Venturi, sono i seguenti:- gli obiettivi sono scopi o fini

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- gli obiettivi non sono tali se non sono verificabili. Se non sono verificabili sono declamazioni retoriche, cioè parole vuote- gli obbiettivi, per essere verificabili, devono essere collegati a capacità del soggetto - in quanto capacità, devono essere verificati nelle "cose da fare", cioè "performance", atteggiamenti da assumere, conoscenze da enunciare o applicare, che siano osservabili.Secondo Pellerey, "l'errore più frequente è quello di confondere l'obbiettivo con quello che noi insegnanti abbiamo intenzione di fare. Ciò significa centrare l'attenzione più sul comportamento dell'insegnante che su quello dell'allievo. Un secondo errore è costituito dalla tendenza a descrivere l'obiettivo in termini di processo di apprendimento più che di prodotto o risultato dello stesso. Un terzo errore comune è indicare soltanto il contenuto o argomento di studio." È necessario tabulare gli obiettivi generali della scuola elementare così come sono stati tabulati nella premessa generale. La tabulazione comporta le seguenti operazioni: 1) distinguere e separare le frasi che, ciascuna per suo conto, indicano un obiettivo generale;2) interpretare le singole frasi-obiettivo usando le quattro categorie comportamentali e cioè specificando, se gli obiettivi sono cognitivi, affettivi, sociali, psicomotori, oppure se ne contengono insieme più di una; 3) quantificare il tipo di obiettivi, contando quante volte ciascuno compare nel totale degli obiettivi esaminati;4) graduare i tipi di obiettivi cognitivo, affettivo, sociale, psicomotorio, secondo il numero di frequenza.Tutte queste operazioni fatte dal Collegio dei Docenti, hanno lo scopo di leggere le intenzioni dei programmi e di interpretare il Progetto Educativo Nazionale a livello delle quattro capacità di base.È necessario tabulare anche i bisogni culturali specifici-ambientali dello spazio territoriale e sociale di intervento della scuola per rendere preciso tutto il processo di programmazione.Gli obiettivi generali sono stabiliti dai nuovi programmi per ciascuna disciplina, come strutture acquisite permanentemente, come quadri di padronanza: - dell'informazione della realtà e comprensione del mondo umano naturale e artificiale; - degli interessi; - della partecipazione;- della gestione del proprio corpo. Gli obiettivi specifici sono i comportamenti finali programmati in serie di comportamenti specifici intermedi. Questi comportamenti trovano riscontro nei livelli di capacità delle categorie comportamentali:1) sul piamo delle operazioni mentali significa avere la capacità di comprendere, di conoscere, di applicare, di analizzare, di sintetizzare, di valutare;2) sul piano delle operazioni affettive significa possedere la capacità di recezione, risposte, valorizzazione, organizzazione, caratterizzazione, mediante un sistema di valori;3) sul piano della socialità significa disposizione e capacità di ricevere dagli altri, partecipare con gli altri, collaborare a progetti comuni, condividere idee e proposte, socializzare;4) sul piano della psicomotricità significa essere capaci di padroneggiare capacitÖ percettive (visiva, uditiva, tattile), qualità fisiche (forza, scioltezza, resistenza, agiltà), movimenti di destrezza, comunicazione espressiva non verbale.Nonostante il tentativo compiuto da alcuni di ricondurre tutti gli obiettivi curricolari alla sola dimensione osservabile in termini comportamentali, sembra necessario mantenere la distinzione tra obiettivi educativi e obiettivi didattici. Gli obiettivi educativi riguardano "la crescita della persona umana nella sua totalità, sono l'orizzonte educativo entro il quale ci si muove, sono valori." Nei Nuovi Programmi per la scuola elementare, tali obiettivi sono formulati nella Premessa. La individuazione degli obiettivi educativi per una determinata realtà scolastica presuppone il riferimento ai seguenti ambiti:- deontico-morale (visione della vita, valori)- istituzionale (compiti affidati dalla scuola, dalla Costituzione e dalle varie norme)- psicologico (condizioni di sviluppo, apprendimento, motivazioni)- sociologico (aspetti economici, socio-culturali)- esistenziale (aspetti relativi alle condizioni degli utenti e alla domanda educativa da loro avanzata)

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Avendo gli obiettivi educativi un contesto di riferimento ed un'estensione temporale abbastanza vasti e quindi un grado di verificabilità assai limitati, la ricerca curricolare più specificatamente è diretta verso obiettivi didattici.L'obiettivo didattico può essere definito come "intento formalizzato con una definizione che descrive il cambiamento che ci si prefigge di realizzare in un allievo: definizione di come un allievo dovrebbe comportarsi quando ha completato con successo un'esperienza di apprendimento". È la descrizione di una capacità, abilità, atteggiamento che l'allievo dovrebbe esibire. L'obiettivo didattico si raggiunge nel contesto di specifiche discipline o di specifiche aree disciplinari. "Ma per essere valido e pertinente l'insieme degli obiettivi didattici deve essere incluso in quello più vasto degli obiettivi educativi. Gli obiettivi educativi sono linee guida, orientamenti di fondo, principi d'azione che devono informare l'azione didattica e quindi possono essere raggiunti e colti mediatamente nel contesto delle materie scolastiche." Invece gli obiettivi didattici debbono portare avanti i traguardi disciplinari e interdisciplinari realizzando, insieme a questi, gli scopi cui sono finalizzati gli obiettivi educativi. Parlare di obiettivi significa dunque riferirsi a ciò che l'insegnante intende porre come ipotesi di traguardi didattici centrati sull'apprendimento del discente, quale "processo che produce una modificazione relativamente stabile nel comportamento di un individuo a seguito delle esperienze e delle situazioni da esso affrontate." (Piaget 1967) Se quindi l'apprendimento costituisce la modificazione avvenuta nel comportamento del discente l'obiettivo didattico rappresenta quella serie di enunciati relativi ai risultati di tali modificazioni.Per comportamento intendiamo ciò che l'allievo mostra di sapere fare in modo visibile. Si manifesta la tendenza a scindere e a far correre su binari paralleli le diverse capacità cognitive, motorie, affettive, sociali che intervengono nel manifestarsi di un comportamento. In realtà, i comportamenti "non rivelano solo le operazioni motorie (come un soggetto maneggia gli oggetti) ma anche cognitive (come elabora, manipola, gioca con le idee, simboli, rappresentazioni ecc.) e anche le operazioni affettive (come elabora interessi, partecipazioni, valori ecc.) e anche operazioni sociali (come elabora e produce ruoli, relazioni, interferenze ecc.)." Per formulare gli obiettivi educativi e didattici della programmazione bisogna tener conto:a) dell'informazione ottenuta dal censimento sulla situazione socio-ambientale-culturale-economica del contesto geografico-antropologico-linguistico nel quale si collocano e agiscono gli istituti culturali da cui il bambino riceve le prime istruzioni, prima di entrare a scuola;b) dell'informazione riguardante le condizioni di ingresso del bambino in rapporto: alle sicurezze sul piano affettivo-psicologico, alle abilità di base, al rapporto con la famiglia.Sulla base di queste informazioni, l'insegnante dovrebbe fondare la programmazione su competenze acquisite:- nel campo disciplinare: discipline di cui è insegnante;- nel campo pedagogico didattico: sulle fasi dell'età evolutiva e sui processi di apprendimento legati all'età.Deve tenere conto inoltre:- degli obiettivi educativi formulati dalla Premessa per le discipline;- degli obiettivi educativi formulati dalla scuola come suo specifico progetto educativo;- degli obiettivi educativi formulati a livello di struttura scolastica di base che si colleghi alla materna e alla media.Concludendo, si può dire che la sequenza per definire traguardi e obiettivi è:1) ricavare dal testo dei programmi delle discipline gli obiettivi generali;2) verificarne l'adeguatezza, - con le indicazioni date dalla situazione, - in relazione agli obiettivi educativi nazionali, - in relazione al progetto educativo specifico della scuola;3) scegliere gli obiettivi per ciascuna disciplina.

16.13.3. Selezione dei contenuti

All'interno degli obiettivi abbiamo i contenuti che costituiscono il vero problema in quanto, per essere efficaci devono organizzarsi su due movimenti:- in dietro: verso il punto di cultura del bambino;

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- in avanti: verso un processo di apprendimento che, cattura il "ciò che sa" del bambino e ne fa la base di una organizzazione del sapere progressivamente differenziato.Questa esigenza riguarda tutte le discipline e si preoccupa di:- innestare l'informazione sulla base che ha già, in modo graduale e costruttivo, secondo la capacità degli alunni;- predisporre l'ingresso alla scuola media, dove le discipline sono già in partenza distinte.Come per gli obiettivi, così anche per i contenuti bisogna operare a ritroso dai grandi temi generali alla scoperta delle componenti minimali di informazione, sulle quali operare costruttivamente."Per contenuti si intendono gli oggetti culturali-educativi, materiali e concettuali: figurativi, simbolici, semantici, comportamentali, che portano l'informazione, operando sui quali si manifestano i comportamenti, le capacità, le abilità, che realizzano gli obbiettivi in termini di informazione/formazione." Ogni disciplina è la raccolta organizzata e strutturata di "oggetti culturali-educativi", sostanzialmente omogenei allo spazio di competenza della disciplina stessa, che ha un proprio campo d'applicazione che consente una verifica continua, ma non esclude rapporti con le altre discipline. I contenuti non sono gli obiettivi, sono i mezzi che gli obiettivi scelgono, infatti i risultati si verificano sugli obiettivi.Un errore frequente nel modo di fare programmazione è quello di subordinare l'obiettivo agli argomenti da svolgere: "sono gli obiettivi che rimandano ai contenuti e mai viceversa. Così anche i risultati di un progetto educativo si verificano e si misurano sugli obiettivi raggiunti dagli alunni e non sulla quantità degli argomenti svolti. (...) I criteri di scelta dei contenuti sono i criteri di viabilità degli obiettivi: sono questi a dover passare. Sono le regole stradali degli obiettivi che programmano i contenuti." Il bambino che arriva alla scuola elementare ha già compiuto complesse elaborazioni, ha già strutture organizzatrici delle proprie esperienze. Nella scelta dei contenuti è quindi determinante cominciare da ciò che il bambino già sa. Questo perché il bambino conosce a partire da una motivazione che costituisce una ragione interna all'apprendimento. "L'aggancio a ciò che il bambino già sa non è l'astuzia di un inganno; è un modello di proposizione e trasmissione dei contenuti: o questi sono motivanti, e perciò il bambino è piacevolmente spinto a collegarli a ciò che già sa, o non sono motivanti e cioè estranei alla sua esperienza, non entrano nel gioco delle acquisizioni funzionali alla sua esistenza, e allora il bambino li respinge, li lascia cadere." I contenuti sono motivanti non solo quando si innestano alla sua esperienza, ma quando sono ulteriormente esperibili fuori dalla scuola, e quando lo impegnano e lo coinvolgono totalmente, a livello di tutte le componenti esistenziali (deontiche, conoscitive, d'atteggiamento e comportamentali). Un contenuto quindi deve:- essere motivante- insegnare qualcosa- innestare la cultura scolastica con quella del bambino - far conseguire gli obiettivi programmati- esercitare insieme la cognitività, l'affettività, la socialità, la motricità- strutturare ulteriormente l'esperienza conosciuta del bambino- trasformarsi in esperienza di vitaPer aiutare l'opera di selezione dei contenuti, quindi, si possono osservare alcuni criteri:- Congruenza (i contenuti devono essere correlati e funzionali agli obbiettivi)- Pertinenza (i contenuti devono ripetere l'esperienza umana, partendo dall'ambiente in cui si opera e si vive)- Validità (devono essere veri, autentici, attuali)- Significatività (devono essere scelti i contenuti più significativi ed esponenziali) - Interesse (devono essere capaci di motivare profondamente l'animo)- Apprenditività (devono tenere conto della possibilità degli alunni legata ai livelli di età, di maturità, di apprendimento) - Gradualità (i contenuti devono disporre secondo una scala crescente dal facile al difficile, dal noto all'ignoto, dal vicino al lontano).Per effettuare la scelta dei contenuti bisogna prendere in considerazione alcune domande a titolo orientativo:- quali abilità di base il bambino possiede ?- quali tipi di linguaggio già conosce?

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- le risorse del territorio, quali contenuti propongono ? - quali contenuti si innestano su ciò che ha già ?- la programmazione dei contenuti valgono le seguenti domande:- poiché si tratta di un processo formativo, in quale sequenza i contenuti vanno proposti ?- poiché si tratta di un'istruzione, come debbono essere predisposti, preordinati i contenuti degli obiettivi perché siano acquisiti ?- poiché si tratta di un apprendimento, come mettere il ragazzo in modo che le due culture, la sua e quella della scuola, si innestino?

16.13.4. Scelta e organizzazione metodi e attività

Il problema pedagogico del "come", del modo migliore per insegnare, è antico ed ha sempre animato e messo a confronto le più svariato correnti pedagogiche, nella ricerca di un "metodo unico".Oggi si fa strada il concetto del valore relativo del metodo didattico che "deve essere funzionale al fine e al contenuto pena uno spreco di energie mentali o un massimo sforzo per un minimo rendimento." Secondo Venturi "il metodo riguarda il modo di presentare agli alunni i contenuti programmati tradotti in operazioni visibili e verificabili secondo gli obiettivi didattici e disciplinare, secondo li condizioni d'ingresso e in vista dei comportamenti in uscita su cui misurare il progresso." In esso si estrinseca la creatività dell'insegnante, cui compete trovare, nell'animazione dell'insegnamento/ap-prendimento, l'aggancio tra psicologia dello studente e cultura della società, tra contenuti di apprendimento e condizioni di apprendimento nell'età evolutiva, ecc.Secondo Pellerey, le tre strutture che devono essere messe in connessione nell'atto dell'apprendimento, sono:a) la struttura conoscitiva dell'alunno, o matrice cognitiva, intesa come l'insieme delle rappresentazioni interne dei concetti, dei principi, delle regole, dei procedimenti, delle capacità intellettuali, degli atteggiamenti e degli stati emotivi da lui posseduti e relazionati;b) la struttura della conoscenza da acquisire, nei suoi concetti-chiave, nei suoi principi organizzativi, nelle regole di verifica ecc.;c) l'insieme delle operazioni che l'alunno deve mettere in atto per elaborare gli elementi della conoscenza alla sua matrice cognitiva e viceversa.Un metodo didattico potrebbe quindi intendersi come il modo particolare di facilitare questa organizzazione in maniera che essa risulti produttiva sul piano dell'apprendimento. Il suo ruolo è quindi quello di creare condizioni che consentano le operazioni necessarie all'elaborazione del contenuto d'apprendimento alla struttura conoscitiva dell'alunno.

16.13.5. Selezione materiali e strumenti

La scuola assiste ad una vere e propria esplosione di programmi didattici proposti sul mercato della comunicazione di massa, soprattutto attraverso il mezzo audiovisivo. Ed essa, volente o no, non può rimanere indifferente, ma viene condizionata in quanto spesso gli insegnanti si lasciano "guidare" dal curricolo proposto sul mercato. Pur tenendo nella dovuta considerazione il proliferare di queste novità didattiche, occorre sempre tener presente che "la chiave iniziale per la scelta dei mezzi è la considerazione dei compiti d'apprendimento, cioè agli obiettivi dell'apprendimento." Non ha quindi senso parlare di mezzi e materiali "migliore": occorre sempre tener presente la relazione che intercorre tra le caratteristiche e le modalità di impiego di tale mezzo e gli obiettivi didattici che con esso intendiamo raggiungere.

16.13.6. Strutturazione delle sequenze di apprendimento

Una volta definita la progettazione e l'articolazione globale dell'intervento didattico, è spesso necessario procedere in via ulteriore alla sua più particolareggiata strutturazione sequenziale: si tratta, in ultima analisi, di organizzare

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l'intero progetto d'istruzione in una serie articolate di sequenze implicanti ciascuna il conseguimento di un obiettivo didattico, attraverso una successione articolata di piccoli passi.Di fatto, nelle sequenze didattiche adottate nella scuola tradizionale:- l'obiettivo era spesso inconsistente o coincidente col contenuto;- le unità didattiche, ossequiosamente conformate al dettato dei programmi, erano anch'esse centrate su contenuti uguali per tutti gli alunni;- la verifica rappresentava uno strumento d'indagine fiscale preposto unicamente ad un'equa distribuzione dei meriti (e dei demeriti) degli alunni (unici responsabili dei risultati conseguiti);- la valutazione avveniva con lo scopo di accertare e certificare il grado con cui gli alunni si erano adeguati alle opportunità educative loro offerte.Nella scuola dell'obbligo questi caratteri appaiono inconciliabili con le istanze educative che in questi anni hanno guidato il processo di sviluppo della scuola di base, in riferimento alle sue finalità di progresso sociale. L'istanza fondamentale è quella di rimuovere, con interventi educativi differenziati ed individualizzati, le condizioni di svantaggio culturale, con la prospettiva di assicurare a ciascuno gli strumenti culturali essenziali per un inserimento reale nella vita sociale e produttiva. Lo scopo di favorire il massimo sviluppo delle potenzialità individuali di cui ciascuno è portatore, può trovare concretizzazione in un modo nuovo di fare scuola che predispone la massima adattabilità e flessibilità degli itinerari educativi in funzione dei risultati via via conseguiti.

16.13.7. La verifica

La verifica è il momento della raccolta sistematica di informazioni allo scopo di accertare l'effettivo raggiungimento di un obiettivo. È quindi il momento di misurazione:"è il momento cruciale di tutta la programmazione: le verifiche documentano se è fondata o no: e, se fondata, in che misura gli obbiettivi stabiliti come prevedibili, sono stati raggiunti." La premessa esplicita gli scopi della verifica che vengono riferiti a quattro gruppi:1) Gli alunni: sulla disponibilità ad apprendere e sulla maturazione del senso di sé; 2) La programmazione: per permettere agli insegnanti di introdurre per tempo quelle modificazioni o integrazioni che risultano opportune; 3) I docenti: l'attività di valutazione e di verifica deve consentire agli insegnanti di valutare l'approfondimento della loro "preparazione psicologica", culturale e didattica; 4) La famiglia e la scuola: la comunicazione dei risultati deve documentare quanto la scuola ha fatto o si impegna a fare per lo sviluppo del singolo.Per assicurare la continuità dello sviluppo individuale sulla base delle esperienze precedenti, la scuola è impegnata a conoscere e valorizzare le attitudini individuali, le conoscenze acquisite da ogni alunno e le sicurezze raggiunte sul piano affettivo, psicologico, sociale; per poter programmare percorsi di apprendimento e poter effettuare delle verifiche in "itinere".I gestori delle verifiche sono dunque i docenti e gli alunni, questi ultimi hanno il diritto di conoscere la propria posizione rispetto agli obiettivi raggiunti o da raggiungere e devono poter integrare o modificare i procedimenti qualora si fossero dimostrati carenti o improduttivi.La fase della verifica è condizione indispensabile per assicurare l'efficienza e l'efficacia della programmazione, perché ne è condizione indispensabile.La verifica si articola strutturalmente in tre momenti:A) La scelta dell'oggetto da sottoporre ad accertamento costituisce il primo passo da compiere per effettuare il controllo scolastico;B) Scelto l'oggetto si presenta l'esigenza del raggiungimento da parte dello scolaro;C) Il risultato dell'accertamento viene interpretato e viene formulato un giudizio nei suoi confronti, che può essere di sufficienza oppure no.- La prima fase del controllo scolastico, riguarda l'individuazione dell'oggetto del controllo.

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- La seconda fase del controllo scolastico, riguarda l'acquisizione di informazione intorno all'oggetto stesso.- La terza fase del controllo scolastico, è un atto di valutazione espresso sui risultati dell'informazione, intorno all'oggetto di controllo.Per quanto riguarda invece i tempi delle verifiche, si hanno:- verifiche di ingresso - verifiche di processo - verifiche sommativeEsse si differenziano sui tempi di esecuzione: - La prima è fatta una volta all'anno, a settembre e serve per verificare i prerequisiti;- La seconda è fatta più volte durante l'anno, tante quanto sono le tappe intermedie. Serve per accertare il rendimento degli allievi durante il processo di istruzione/apprendimento. Possono essere:a) diagnostiche, per accertare eventuali lacune;b) di sondaggio, per misurare il livello massimo di profitto e quindi le differenze di rendimento tra gli allievi; c) formative, per misurare le abilità e le capacità raggiunte con i processi di apprendimento al fine di accertare il livello minimo di padronanza.- La terza ed ultima fase viene fatta a fine anno e risulta dalla somma dei risultati complessivi raggiunti dagli allievi al termine di un ciclo formativo.Le verifiche di processo dovendo essere catalogate, abbisognano di strumenti per una raccolta sistemica e continuativa riguardo a:1) Sviluppo dei quadri di conoscenza e di abilità;2) Alla disponibilità ad apprendere;3) Alla maturazione del senso di sé, di ogni alunno.Per gli strumenti si dice che:1) Saranno vari ma precisi per verificare solo quello che è stato integrato;2) In alcuni casi sarà utile rifarsi a prove oggettive (test, ecc.).La scelta dell'oggetto, dipende dall'oggetto che nella lezione specifica è stato proposto e animato. Per esempio, se l'obiettivo è la capacità espressiva delle proprie emozioni, solo questa deve essere controllata. Allora, tanto meglio è stato animato l'oggetto, più precisa è stata la sua presentazione in termini comportamentali, tanto più facile sarà l'individuazione dell'oggetto. Il secondo momento del controllo, è dato dalla serie di operazioni che costituiscono la misurazione educativa.Questa fase, comprende tutte le operazioni concrete dell'accertamento ed è da considerarsi distinta dalla valutazione e ad essa precedente.

16.13.8. La misurazione

La misurazione scolastica è pressoché indiretta, poiché pretende di effettuare la misurazione attraverso il comportamento esterno del ragazzo. Un altro limite è da misurarsi nell'artificialità delle situazioni in cui viene sollecitato il comportamento, oggetto di controllo, rispetto alla realtà (ansie, tensioni, paure...).Per gli insegnanti, gli errori di misurazione nascono da:- Stereotipia: si tende a dimenticare solo gli errori degli alunni bravi;- Effetto alone: si fa influenzare da caratteristiche dell'alunno, quali potrebbero essere: bel portamento, sguardo franco, dizione gradevole... Con ciò non si vuole affermare che tutti gli insegnanti si fanno influenzare, ma che purtroppo questo è un atteggiamento diffuso.Come si costruisce un test di profitto ?1) Occorre sapere con esattezza cosa si vuole verificare; 2) Sapere a quale livello di acquisizione il contenuto dell'istruzione deve e può essere verificato (il livello è indicato dai livelli delle tassonomie comportamentali, per esempio conoscere, comprendere, applicare, valutare, analizzare).3) Conoscere il tipo di test che si vuole fare (per i test di profitto sono: di predisposizione a inizio anno; di padronanza, diagnostiche, di sondaggio, durante l'anno).

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Poi bisogna decidere: - quanto deve essere lungo; - quanti items devono essere assegnati per ogni contenuto di apprendimento;- quanti items devono essere assegnati per ogni livello tassonomico di capacità dei singoli contenuti.Logicamente, nella scelta, influisce l'età degli scolari. Le fasi della misurazione sono:A) Stimolazione: nella scuola è indispensabile creare stimoli e provocazioni perché si manifestino i comportamenti richiesti. Di qui, la necessità di costruire e poi somministrare degli stimoli adatti allo scopo, cioè capace di mettere in moto comportamenti che non si manifesterebbero.B) Registrazioni dei comportamenti di risposta agli stimoli utilizzati. Questa operazione è compiuta dallo stesso scolare quando si tratta di compiti scritti. Nei colloqui, nelle discussioni, nelle interviste, negli esami orali, la registrazione è compiuta da chi li conduce, subito dopo, a memoria.C) Lettura: è la fase conclusiva del processo di misurazione; la fase in cui si constata quali comportamenti, atteggiamenti, caratteristiche, si sono manifestate rispetto agli obiettivi della misurazione. È il momento in cui si raccolgono i dati utili per la valutazione di un aspetto della situazione educativa.Per la verifica del rendimento scolastico, si usano diversi tipi di esercizi:1) Esercizi di evocazione: si tratta per l'alunno di ricordare un nome, un fatto, una data; riempendo così uno spazio vuoto.2) Esercizi di discriminazione: si presentano sotto la forma di una serie di proposizioni, delle quali alcune esprimono il vero e altre il falso.3) Esercizi di scelta multipla: tra diverse risposte deve scegliere quella esatta.4) Esercizi di associazione o di adattamento: associare a due a due elementi che presentano fra di loro una relazione e che sono stampati in due serie parallele.

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CAP. XVII - LA VALUTAZIONE

17.1. COSA SI INTENDE PER VALUTAZIONE

La valutazione, tema di grande interesse e di massima importanza, focalizza dibattiti aperti ed estremamente vivaci, anche se spesso contrastanti.La ricchezza e la variabilità di opinioni, di esperienze, di dati su un argomento, studiato e scandagliato a fondo da diversi autori e scuole di pensiero, comporta una difficoltà implicita al tentativo di dare una definizione organica e sistematica ad un concetto già di per sé molto complesso e delicato.Secondo i programmi ministeriali "al fine di assicurare un'effettiva valutazione dei punti di partenza e di arrivo, delle difficoltà riscontrate e degli interventi compensativi attuati, gli insegnanti devono raccogliere in maniera sistematica e continuativa informazioni relative allo sviluppo dei quadri conoscenza e di abilità, alla disponibilità ad apprendere, alla maturazione del senso di sé di ogni alunno".Per Venturi "la valutazione d'ingresso non prognostica, serve a verificare se lo studente possiede le capacità, abilità, tecniche di base necessarie per iniziare il ciclo di insegnamento/apprendimento; l'informazione raccolta serve a organizzare il recupero precoce su abilità, capacità e/o tecniche rispondenti ai bisogni precisi degli studenti: tenendo conto cioè della loro situazione (curricolare e ambientale) di partenza" (Venturi, 1980).Per De Bartolomeis è fondamentale "l'attività di osservazione che mira a raccogliere e a valutare informazioni riguardanti il comportamento degli studenti nelle occupazioni educative a scuola e fuori; informazioni necessarie per apprestare e realizzare interventi che interessano problemi connessi sia al profitto nelle varie materie, sia ai rapporti interpersonali (ad es. atteggiamenti aggressivi, insicurezza, timidezza, incapacità a collaborare, esibizionismo, ecc.).La valutazione si realizza concretamente come "un insieme di operazioni interne al processo di apprendimento e di produzione e alle esperienze di socializzazione; è quindi un'esigenza del carattere problematico del lavoro di ricerca, della presa di coscienza dei fattori che la influenzano" (De Bartolomeis, 1976)."La valutazione è la fase finale di tutto il processo educativo. Vale la pena ripetere che nel processo curricolare, tre volte si incontra la "valutazione": ad inizio come "valutazione d'ingresso"; durante il ciclo e per unità didattica come "valutazione formativa", in fine di ciclo e a sua conclusione come "valutazione finale e riassuntiva". Tutte e tre si incaricano di cercare informazioni per organizzare altre operazioni. La terza misura un risultato e lo riassume. Solo le prime due sono formative. La terza è una certificazione di risultati sul piano didattico-educativo: valuta il risultato di un ciclo nello studente e nella programmazione.La valutazione: 1) riassume quanto ha appreso lo studente nell'ambito del corso; 2) certifica le prestazioni di ciascuno; 3) classifica il rendimento di ciascuno rispetto agli obiettivi didattici, data la situazione di partenza e non in confronto ai suoi compagni; 4) valuta la competenza della progettazione al perseguimento degli obiettivi fissati in partenza; 5) comunica le conclusioni e le socializza in vista della progettazione futura" (Venturi, 1980).Essa è una raccolta di informazioni che devono essere articolate "in forma sintetica, secondo criteri che assicurino un positivo confronto dei livelli di crescita individuali e collettivi" (D.P.R. 104/1985).Nella quantificazione del rendimento scolastico di ciascuno, va tenuto presente non solo l'aspetto intellettivo e culturale in sé, ma anche le caratteristiche emotive, le condizioni socio-ambientali in cui sono avvenuti determinati processi.Solo in questo modo si potrà parlare di valutazione 'obiettiva', consapevoli del fatto che la sfera affettiva, i condizionamenti esterni esercitati dalla famiglia, dall'ambiente, dalla società sono sempre determinatamente influenti sul soggetto."Le modalità e gli strumenti della raccolta di informazoni saranno differenti e sempre pertinenti al tipo di attività preso in considerazione: in alcuni casi sarà utile rifarsi a prove oggettive, in altri a forme di registrazione proprie dell'esperienza didattica meno formalizzata" (D.P.R. 104/1985).Secondo Hudson "nella scelta degli strumenti di valutazione ci si rifà ad alcuni criteri fondamentali: 1) validità: con lo strumento si deve poter evidenziare quello che lo studente deve saper fare; 2) attendibilità: lo strumento scelto saggia la capacità di una persona rispetto ad una determinata area di attività e di obiettivi; 3) esercitazione del feed-

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back: lo strumento deve comportare un effetto di ritorno sul corso degli studi e sull'insegnamento, che potrà essere sia positivo che negativo" (Hudson, 1978).La valutazione, considerata per lungo tempo ( e sovente lo è ancora) come il naturale epilogo del processo educativo, è stata sempre ritenuta un momento fondamentale, ma per molti aspetti estraneo al processo dell'insegnare-apprendere, in quanto rivolto essenzialmente a sanzionare e certificare i livelli di rendimento degli allievi.Le critiche mosse da più parti nei confronti della valutazione non intendono contestare l'ovvia necessità di questo tipo di controllo, bensì vogliono reagire a quei caratteri che fanno della valutazione una sorta di sentenza o di etichettamento definitivo e irrevocabile.La riflessione pedagogica contemporanea tende sempre più a riconoscere alla valutazione un carattere di centralità nel processo di insegnamento-apprendimento, non solo per l'esigenza di accertare i livelli e le forme di apprendimento degli allievi, ma anche e in primo luogo come elemento insostituibile in grado di consentire la raccolta e l'analisi di tutte quelle informazioni necessarie all'educatore per affrontare con efficacia quell'articolato complesso di processi decisionali relativi alla programmazione ed alla realizzazione dell'intervento didattico.Da puro strumento di discriminazione sociale e culturale, per molti aspetti avulso dalla situazione educativa, la valutazione è venuta via via caratterizzandosi come momento integrante ed essenziale del processo didattico. Quindi non più un procedimento selettivo, bensì una forma di intelligenza pedagogica, cioè una ragione di conoscenza e di valorizzazione, attraverso una serie di interventi liberatori e generativi, del potenziale educativo che ciascuno custodisce (L. Rosati, Proposte didattiche per la scuola elementare in Scienze pedagogiche e didattiche, pag. 91).

17.2. LA VALUTAZIONE DA PARTE DEGLI INSEGNANTI

La valutazione è lo scopo di ogni verifica, è il giudizio che si dà alla misurazione, in relazione a:- una situazione sulla quale si fanno previsioni e dalla quale si programma;- una tappa di percorso intermedio;- traguardi o risultati finali.La valutazione ha due versanti:1) quello che riguarda l'apprendimento dell'alunno;2) la capacità degli insegnanti di effettuare interventi tempestivi per superare le difficoltà nel corso della programmazione."La valutazione - secondo Kerr - è raccolta di informazioni da usare per prendere decisioni circa i programmi da svolgere." L'affermazione è precisa, decisa e inequivocabile. La valutazione, in altre parole serve per guardare avanti, non tanto per giudicare il passato, quanto piuttosto e soprattutto per progettare il futuro, cioè le linee direttrici, le revisioni, i correttivi cui adeguare la programmazione curricolare e la programmazione di unità didattiche che sono il vero oggetto di valutazione. In questo contesto si inserisce pure la valutazione dell'alunno cioè il controllo dell'incidenza e della funzionalità o meno delle esperienze di apprendimento che la scuola gli ha intenzionalmente fornito ai fini della sua formazione e promozione intellettuale, sociale, umana.La critica di diversi gruppi sociali e professionali di pressione sulla scuola ha avuto come punto chiave il rifiuto dei sistemi tradizionali di valutazione rivolti soprattutto all'alunno. Essi sono stati visti come strumenti attraverso i quali l'insegnante si faceva garante dello status quo punendo con voti bassi e bocciature chi rendeva meno, senza tenere conto che il più delle volte il basso rendimento era semplicemente conseguenza di un background socioculturale svantaggiato. In altre parole la scuola si limitava a sanzionare e riprodurre la curva normale di distribuzione dei talenti, delle attitudini, delle capacità, rendendo così assai discutibile l'efficacia e la produttività del suo intervento nelle forme e nei modi indicati dal dettato costituzionale. Alla critica sono seguite diverse prese di posizione:

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- abolizione di ogni forma di valutazione: comportamento che, mentre di fatto non elimina la selezione degli alunni, finisce per non sottoporre l'attività didattica ad alcun controllo e ad alcuna verifica generando comportamenti spontaneistici;- voto di gruppo: può riprodurre la situazione appena descritta o essere una forma di contestazione ai sistemi tradizionali se accompagnato dalla elaborazione di schede e strumenti analitico-sintetici di valutazione: è questa la strada imboccata anche dal dettato legislativo che abolisce i voti."Lungo questo cammino evolutivo è maturata anche nella coscienza professionale del corpo docente, la convinzione che per valutazione debba intendersi il controllo di un certo comportamento didattico nella sua complessità (non riferito soltanto all'alunno) per misurarne e vagliarne l'efficacia in relazione alla programmazione curricolare e alla programmazione di unità didattiche elaborate (obbiettivi da raggiungere, contenuti adeguati, esperienze di apprendimento funzionali)." (Tinelli 1977)"L'atteggiamento in negativo nei confronti della valutazione tradizionale era giustificato quando essa si traduceva nelle bocciature e nell'emarginazione degli alunni più svantaggiati. Era giustificato anche quando, pur non bocciando più, o quasi, è continuata a sopravvivere, di fatto, l'emarginazione occulta, cioè la scarsa considerazione personale, la poca stima, la insufficiente gratificazione nei confronti degli alunni promossi amministrativamente, ma bocciati interiormente dal maestro o forse anche dai compagni più fortunati... Il problema della valutazione diventa un fattore da riconsiderare in positivo: come verificare se la programmazione curricolare e la programmazione di unità didattiche erano state ben impostate e se gli obiettivi proposti sono stati raggiunti o no... Allora la valutazione-verifica sarà tanto più facile e possibile quanto più saranno stati stabiliti con chiarezza e precisione gli obbiettivi... Nella programmazione di gruppo, gli insegnanti devono stabilire il criterio di verifica nel momento stesso in cui stabiliscono gli obiettivi, cioè prima dell'attuazione pratica dell'intervento didattico." (34)In poche parole, la valutazione serve per controllare o meno l'efficacia del currricolo nella sua complessità e per intervenire introducendo tutti i correttivi che si rendessero necessari: se non avviene apprendimento è perché qualcosa nella progettazione e nella realizzazione dell'esperienza didattica non ha funzionato, non - o solo - "perché l'alunno non ci arriva: probabilmente si sono proposti obiettivi troppo ambiziosi o si sono messe in opera sequenze ed esperienze mal congegnate." (35)Nei Nuovi Programmi, la valutazione occupa un posto di rilievo tra i compiti affidati alla capacità progettuale degli insegnanti. Ad essi si chiede:- assicurare un'effettiva valutazione dei punti di partenza e di arrivo, dei processi, delle difficoltà riscontrate, e degli interventi compensativi attuati; - raccogliere in maniera sistematica e continuativa, informazioni relative allo sviluppo dei quadri di conoscenze e abilità, alla disponibilità di apprendere, alla maturazione del senso di sé.Per De Bartolomeis, fondamentale è "l'attività di osservazione che mira a raccogliere e a valutare informazioni riguardanti il comportamento degli studenti nelle occupazioni educative a scuola e fuori; informazioni necessarie per apprestare e realizzare interventi che interessano problemi connessi sia al profitto nelle varie materie, sia ai rapporti interpersonali (atteggiamenti aggressivi, insicurezza, timidezza, incapacità a collaborare, esibizionismo ecc.)." La valutazione si realizza concretamente come "un insieme di operazioni interne al processo di apprendimento e di produzione, alle esperienze di socializzazione; è quindi un'esigenza del carattere problematico del lavoro di ricerca, della presa di coscienza dei fattori che la influenzano." (De Bartolomeis,1976)"La valutazione: - riassume quanto ha appreso lo studente nell'ambito del corso;- certifica le prestazioni di ciascuno;- classifica il rendimento di ciascuno rispetto agli obiettivi didattici data la situazione di partenza e non in confronto ai compagni;- valuta la competenza della progettazione al perseguimento degli obiettivi fissati in partenza;- comunica le conclusioni e le socializza in vista della progettazione futura." ( Venturi, 1980)Essa è una raccolta di informazioni che devono essere articolate "in forma sintetica, secondo criteri che assicurino un positivo confronto dei livelli di crescita individuali e collettivi." ( D.P.R. 104/1985)

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Nella quantificazione del rendimento scolastico di ciascuno, va tenuto presente non solo l'aspetto intellettivo e culturale in sé, ma anche le caratteristiche emotive, le condizioni socio-ambientali in cui sono avvenuti determinati processi.Solo in questo modo si potrà parlare di valutazione "obiettiva", consapevoli del fatto che la sfera affettiva, i condizionamenti esterni esercitati dalla famiglia, dall'ambiente, dalla società, sono sempre determinatamente influenti sul soggetto.La valutazione è insita nel fatto educativo, è necessaria sia a chi vuole realizzare una riflessione scientifica su questo fatto, sia a chi vuole fare esperienza di educatore.1) Valutazione come guida all'azione degli educatori: insegnanti, genitori e alunni devono conoscere se il loro operato è giusto e se avanzano verso gli obiettivi prefissati.2) Valutazione come strumento per la ricerca, per la scienza dell'educazione: per stabilire quali sono i contenuti, i metodi, i fattori più efficaci, per fare un bilancio delle innovazioni.3) Retroazione della valutazione sull'apprendimento: una valutazione continua ed puntuale aiuta ad apprendere più in fretta e meglio.4) Valutazione nella formazione della personalità: se è fatta in modo autoritario o irrazionale, provoca ansia e tensione che logora lo scolaro, lo fa rendere meno, lo fa essere meno se stesso, incide sulla autenticità del rapporto e delle motivazioni. La valutazione deve contribuire a far acquistare fiducia in se stessi, a sapersi accettare, a saper vedere ed affrontare i propri problemi.5) Valutazione, senso critico e autocontrollo: aiutare l'alunno a prendere coscienza del modo in cui lavora ed a maturare il senso critico;è il passo obbligato verso la autovalutazione, l'acquisizione delle capacità di autoregolarsi, caratteristica essenziale dell'uomo.6) Valutazione e insegnanti: gli insegnanti ne devono trarre argomento per la verifica dei loro programmi, dei loro metodi, della loro azione personale, dell'organizzazione didattica.7) Valutazione e innovazione: si valuta per cambiare, far progredire istituzioni, metodi e persone.8) Valutazione come fatto pubblico, comunitario: rilevare con esattezza le situazioni, stabilire delle diagnosi, identificare i fattori positivi e negativi, emettere ipotesi, previsioni e progetti."La valutazione dunque si pone come modalità di cambiamento caratteristico di un'altra scuola, che voglia assicurare agli alunni attraverso un'istituzione individulalizzata, la padronanza e la uguaglianza delle possibilità contro ogni possibile forma di selettività e di svantaggio spesso collegate a situazioni esterne che determinano abbandoni precoci o ritardi." (L. Rosati, Proposte didattiche per la scuola elementare…)."Il complesso delle osservazioni sistematiche effettuate dagli insegnanti nel corso dell'attività didattica, costituisce lo strumento privilegiato per la continua regolazione della programmazione, permettendo agli insegnanti di introdurre per tempo quelle modificazioni e integrazioni che risultassero opportune" (D.P.R. 104/1985)Secondo Tinelli (1977), la raccolta di informazioni per prendere decisioni sulla programmazione avviene:- prima della programmazione curricolare e serve per decidere quali obbiettivi, contenuti, esperienze sono possibili;- durante la realizzazione del curricolo, unità didattica dopo unità didattica: si dice anche valutazione formativa perché serve per regolarsi sulla forma da dare ai passi ulteriori;- dopo, cioè alla fine del processo curricolare, quando si tirano le somme di quanto si è andato progressivamente costruendo ed elaborando e si dice anche, per questo, valutazione sommativa."La comunicazione dei risultati di tale attività di valutazione ai soggetti interessati deve documentare anche quanto la scuola ha fatto e si impegna a fare in ordine allo sviluppo del singolo e del gruppo. L'attività di programmazione e di verifica deve consentire agli insegnanti di valutare l'approfondimento della loro preparazione psicologica, culturale e didattica anche nella prospettiva della formazione continua. " (D.P.R. 104/1985)La vera forza della valutazione non risiede tanto nel potere esecutivo e giudiziario, ma in quello legislativo. In altre parole, il processo di verifica parte dall'alunno per evolversi dinamicamente in valutazione ed eventualmente in modificazione del progetto ed autoverifica del metodo scelto.Anche se per un bisogno intrinseco si stabiliscono procedure, si delineano parametri valutativi, in realtà non può esistere un quadro di riferimento rigido e prefissato per valutare.

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Gli insuccessi degli alunni non devono essere stigmatizzati e colpevolizzati, ma devono far riflettere sulla reale adeguatezza degli obiettivi stabiliti e sulle modalità di sviluppo e di gestione degli stessi.È evidente come in tal senso la valutazione acquisti di diritto un ruolo e un potere propositivo, gestionale e di controllo di tutta la programmazione educativa e didattica.Venturi rinforza il concetto espresso quando afferma che "la valutazione formativa serve a verificare l'unità didattica durante il suo processo in termini di cambiamenti osservabili e acquisiti o no rispetto alla situazione di partenza verificata; l'informazione raccolta serve anche in questo caso a organizzare forme tempestive di recupero su capacità, abilità e tecniche necessarie allo studente per proseguire nell'informazione. La valutazione riassuntiva valuta e misura il risultato finale del processo in rapporto alla situazione iniziale e di partenza; misura le capacità, le abilità e le tecniche acquisite.Questa misurazione è un giudizio; ha la funzione di riassumere quanto è stato appreso dallo studente rispetto a ciò che ci si aspettava che apprendesse e pertanto certifica le performance di ciascuno studente nell'ambito del corso e le classifica in rapporto a ciò che è stato appreso dal singolo e non in rapporto al rendimento degli altri studenti. La funzione delle tecniche di valutazione del processo educativo non è selezione, ma recupero, sostegno, integrazione. Se istruzione non è selezionare, la valutazione è il metodo scelto per verificare che questa soluzione non avvenga: proprio perché interviene immediatamente, tempestivamente, nel bisogno culturale con il recupero educativo" (Venturi, 1980)Un cattivo risultato non serve ad altro che a percorrere retroattivamente le tappe della programmazione per trovare il "guasto" che ha inceppato il processo. Il valutato, allora, non è più solo l'alunno, ma tutto il sistema scolastico che si autovaluta dando così anche esempio agli alunni di una capacità di autovalutazione come modalità di crescita e maturazione della personalità.

17.3. LE FUNZIONI DIDATTICHE DELLA VALUTAZIONE

Affrontando il tema complesso della programmazione, il processo didattico deve essere finalizzato, e cioè teso al conseguimento di determinati risultati. Questi scopi riguardano una serie di modificazioni che, attraverso gli interventi didattici, gli insegnanti intendono produrre nel comportamento, nelle conoscenze, nelle abilità e negli atteggiamenti dell'allievo. Tali modificazioni rappresentano ciò che viene definito come apprendimento, mentre con il termine di obiettivi didattici si riferisce ad una serie di enunciati previsionali relativi ai risultati di tali modificazioni. L'intero processo didattico è teso al raggiungimento di questi obiettivi, ma tale processo implica anche una serie continua ed articolata di scelte didattiche concernenti gli strumenti, le procedure e gli itinerari più idonei per conseguire efficacemente i risultati sperati.La validità e l'efficacia del processo di insegnamento-apprendimento dipenderanno pertanto in notevole misura dalla qualità delle informazioni sulla base delle quali l'insegnante compie le proprie scelte didattiche.In questo senso la valutazione assume il giusto significato di accertamento sistematico finalizzato alla messa a punto e controllo delle procedure didattiche, la validità delle quali è misurabile sulla base della loro efficacia nel condurre i diversi allievi al conseguimento di livelli omogenei di apprendimento attraverso itinerari educativi flessibili e differenziati. Il momento del controllo, quindi, non può e non deve costituire un elemento fine a se stesso, non va inteso cioè come un giudizio "retrospettivo" che si limita a prendere atto di processi già compiuti, bensì deve rispondere soprattutto all'esigenza di controllare i processi nel loro svolgersi, soddisfacendo l'esigenza di disporre di dati attendibili per elaborare, verificare, correggere e riformulare il proprio progetto educativo. Quest'ultimo diviene in tal modo il vero oggetto della valutazione: "valutare gli allievi è utile solo se i dati che si ricavano possono essere immediatamente utilizzati per la ristrutturazione dei processi didattici." (B. Vertecchi, La valutazione del curricolo nel Mastery Learning, Orientamenti pedagogici, 1975, pp. 11-30)La raccolta di dati circa il comportamento e l'apprendimento degli allievi, acquista un preciso significato educativo solamente se essa risponde a precise finalità pedagogiche e didattiche, cioè se produce informazioni utili per soddisfare una serie di esigenze didattiche che possiamo schematicamente ricondurre a tre gruppi fondamentali.

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A) Prima dell'intervento didattico: acquisire preventivamente una conoscenza accurata degli apprendimenti già padroneggiati dagli allievi in virtù delle attività didattiche ad essi offerte in precedenza, stabilire in quale misura ciascun allievo è in possesso dei prerequisiti generali e specifici ritenuti necessari per intraprendere il nuovo processo di apprendimento; determinare, quantitativamente e qualitativamente, le differenze individuali all'interno del gruppo al fine di predisporre le corrispondenti alternative didattiche in termini di itinerari e di procedure.B) Durante l'intervento didattico: conoscere sistematicamente il grado di progresso e le difficoltà incontrate dagli allievi a livello di ciascuna tappa del percorso di avvicinamento agli obiettivi perseguiti; chiarificare ed adattare gli obiettivi stessi alla luce dell'attività svolta e dei dati emersi; controllare continuamente la reale efficacia e validità delle procedure, degli strumenti e dei metodi adottati al fine di potervi apportare tempestivamente tutte le necessarie modifiche; verificare le modalità con cui gli allievi rispondono alle stimolazioni ed alle opportunità didattiche che vengono loro offerte; differenziare i trattamenti didattici e individuare le procedure alternative più adeguate sulla base dei risultati forniti dagli alunni a livello di ciascuna tappa intermedia dell'itinerario didattico.C) Al termine dell'intervento didattico: accertare il grado di raggiungimento degli obiettivi per i quali il processo didattico era stato progettato; verificare la reale validità e svolta; determinare l'efficacia e la validità dei metodi, dei contenuti, degli strumenti e degli itinerari adottati per il conseguimento degli scopi prefissi ed in funzione della loro adeguatezza alle caratteristiche degli alunni.A questi tre gruppi di esigenze didattiche corrispondono altrettanti tipi fondamentali di valutazione: la valutazione diagnostica, la valutazione formativa, la valutazione sommativa.1) La valutazione diagnostica. Corrisponde a quella particolare attività di verifica, condotta al momento di intraprendere un nuovo processo di insegnamento-apprendimento, destinato ad accertare la dimensione di quelle variabili relative al comportamento e all'apprendimento dell'allievo che sono direttamente implicate in tale processo e la cui conoscenza è finalizzata a produrre informazioni utili su cui fondare le scelte circa la programmazione e la realizzazione dell'intervento didattico.2) La valutazione formativa.Indica quel tipo di accertamento sistematico che accompagna costantemente il processo didattico nel suo stesso svolgersi, al fine di fornire tempestivamente le informazioni circa l'apprendimento dell'allievo necessarie ad adattare in modo efficace l'azione didattica alle sue esigenze individuali e ad attivare, ove si renda necessario, le opportune procedure didattiche compensative. Non si tratta di una sorta di anticipazione della valutazione finale, ma la sua funzione fondamentale è piuttosto quella di consentire un controllo sistematico delle varie tappe di avvicinamento agli obiettivi intermedi o finali e di mettere l'insegnante in condizione di valutare in qualsiasi momento l'efficacia degli interventi educativi e degli itinerari di apprendimento che egli ha programmato, suggerendo le eventuali modifiche da apportare al processo in corso. Si tratta dunque di un tipo di valutazione che segue passo passo l'intero sviluppo del processo di insegnamento-apprendimento, il quale, in tal modo, assume le proprietà di un processo dinamico ed autoregolativo.Si può ritenere, infatti, che la "valutazione svolge in maniera ottimale le sue funzioni quando è continua, cioè quando accompagna il processo educativo e quello di apprendimento per guidare e motivare quanti vi operano, in forme diverse, e per fornire loro di continuo una verifica sicura e puntuale." (L. Calonghi, Valutazione, La Scuola, Brescia, 1976, p. 107) Questo tipo di valutazione acquista particolare rilevanza all'interno del "Mastery Learning" (apprendimento per padronanza), cioè di quell'insieme di procedure di educazione individualizzata teorizzate e sperimentate da Bloom, Carrol e collaboratori. Secondo i promotori del Mastery Learning è possibile, se si migliorano le qualità dell'attività educativa, far sì che la maggior parte degli allievi ottenga risultati di alto livello, corrispondente a quello di solito ottenuto da una ristretta minoranza.A tal fine gli insegnanti devono "programmare la cosrtuzione di una serie di test di controllo in itinerari attraverso i quali non si mira a formulare delle classificazioni di livello (dare voti ecc.), ma piuttosto a depistare i punti non compresi e le lacune presentate dagli allievi....Gli insegnanti, difatti, rappresentate le padronanze cognitive degli alunni, predisporranno gli itinerari di apprendimento alternativi, svolti per gruppi di livello, per facilitare il

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recupero di quanti hanno perduto il passo." (L. rosati, Proposte didattiche per la scuola elementare, in Scienze pedagogiche e didattiche)3) La valutazione sommativa.È quella attività di verifica, condotta al termine di un processo didattico temporalmente definito o di un elemento significativo di esso, la quale riguarda la sintesi finale dei vari apprendimenti specifici prodotti nell'allievo, cioè il grado di conseguimento di quegli obiettivi finali o intermedi per i quali l'intero processo didattico (o un suo elemento particolare) è stato progettato e realizzato. Tutte le verifiche intermedie condotte sistematicamente nel corso dello sviluppo del processo didattico (valutazione formativa) dovranno confluire in una valutazione globale del processo stesso basata sulla analisi della somma degli effetti finali da esso prodotti (valutazione sommativa).Questo tipo di accertamento conclusivo deve consentire soprattutto una determinazione della validità degli obiettivi perseguiti e un'analisi dell'idoneità degli itinerari e delle soluzioni adottate a livello didattico

17.4. STRUMENTI DELLA VALUTAZIONE

Per quanto riguarda gli strumenti di valutazione è in atto un ampio dibattito. Sono senz'altro finiti i tempi in cui si guardava ai test e alle prove docimologiche con l'attesa fiduciosa di trovare una soluzione "oggettiva e scientifica" al problema della valutazione. Consci di ciò, al test e all'intervista si aggiungono l'osservazione anticipata, l'autoanalisi e autovalutazione dei partecipanti a tutti i livelli dell'esperienza curricolare. Certamente si può ritenere acquisito il principio che per i vari tipi di obiettivi esistono diversi tipi di strumenti di valutazione. "Ad esempio, sinteticamente: per verificare- capacità di ricordare informazioni, si ricorre a questionari oggettivi; - capacità di socializzazione, si ricorre a discussioni di gruppo, sociogrammi ecc.- capacità di partecipazione professionale, si ricorre a prove pratiche......Dunque è necessario l'impiego di molteplicità di strumenti a seconda di chi e che cosa si vuole valutare;...le diverse prove forniscono dati grezzi: cosa l'alunno fa e cosa sa fare, come si comporta. I dati costituiscono i fotogrammi di una pellicola: grazie al loro coordinamento è possibile ricavarne un significato. Il precedente è un dato analitico; si tratta poi di fare sintesi. La scheda di valutazione ministeriale crediamo possa essere proficuamente usata proprio con questa funzione di sintesi e interpretazione collegiale. A questo momento segue sempre la formulazione di giudizi ovvero la presa delle decisioni necessarie per proseguire: dove si è mancato ? In che misura ? Perché ? Come correggere l'intervento ? Ovvero, come modificare la programmazione ?" (41)Come si può rilevare, la valutazione non dovrà essere un mezzo repressivo e di controllo in mano al docente, una misurazione cioè quantitativa dell'alunno senza possibilità di appello, ma il docente, nell'atto di giudicare, rimette in discussione il proprio operato. Si stabilisce così attraverso la valutazione, un confronto tra i risultati ottenuti e gli obiettivi prefissati.

17.5. COME VALUTARE COSA

Valutare vuol dire conoscere: l'insegnante che cerca di valutare il ragazzo cerca di conoscere il suo potenziale.Per conseguire un'adeguata valutazione occorre però avere dei punti di riferimento che aiutino l'insegnante nella sua ricerca, che possono essere così schematizzati:- situazione di partenza,- un insieme organico di azioni per giungere a ...- una situazione d'arrivo alla meta.a) - I fini e la situazione di partenzaLa valutazione deve dirci in che misura ci si approssima alla meta ultima e quando si raggiungono le tappe intermedie; deve anche evidenziare ed analizzare la situazione di partenza considerando tutta quella serie di dati che sono propri dell'ambiente in cui si opera.b) - Un insieme organico d'azione per giungere a ...

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Per decidere circa l'influsso di un fattore o di un gruppo di fattori che concorrono al raggiungimento del risultato finale occorre organizzare una programmazione i cui elementi possono essere riassunti nel seguente schema:OBIETTIVI DELLA FORMAZIONE- obiettivi generali- obiettivi intermedi- obiettivi operativiSCELTA DEI CONTENUTI- esercitazioni varie (relative alla materia d'insegnamento)METODO OPERATIVO- autoritario o permissivo- analitico- ecc. ...c) - Situazione d'arrivo alla metaSi usa la valutazione per verificare la correttezza della programmazione, per intervenire con forme di recupero nei casi in cui il risultato fosse negativo ed effettuare un'ulteriore programmazione nel caso in cui fosse positivo.Una corretta valutazione impegna tutti (alunni, insegnanti, genitori) ed è strettamente legata all'educazione ed ai suoi problemi.La valutazione è insita nel fatto educativo, è necessaria sia a chi vuol realizzare una riflessione scientifica su questo fatto, sia a chi vuol fare esperienza d'educatore.1 - Valutazione come guida all'azione degli educatori: insegnanti, genitori, alunni devono conoscere se il loro operato è giusto e se avanzano verso gli obiettivi prefissati.2 - Valutazione come strumento per la ricerca, per la scienza dell'educazione: per stabilire quali sono i contenuti, i metodi, i fattori più efficaci, per fare un bilancio delle innovazioni.3 - Retroazione della valutazione sull'apprendimento: una valutazione continua e puntuale aiuta ad apprendere meglio e più in fretta.4 - Valutazione nella formazione della personalità: se è fatta in modo autoritario o irrazionale, provoca ansia e tensione che logora lo scolaro, lo fa rendere meno, lo fa essere meno se stesso, incide sull'autenticità del rapporto e delle motivazioni. La valutazione deve contribuire a far acquistare fiducia in se stessi, a sapersi accettare, a saper vedere ed affrontare i propri problemi.5 - Valutazione, senso critico e autocontrollo: aiutare l'alunno a prendere coscienza del modo in cui lavora ed a maturare il senso critico; è il passo obbligato verso la autovalutazione, l'acquisizione delle capacità di autoregolarsi, caratteristica essenziale dell'uomo.6 - Valutazione e insegnanti: gli insegnanti ne devono trarre argomento per la verifica dei loro programmi, dei loro metodi, della loro azione personale, dell'organizzazione didattica.7 - Valutazione e innovazione: si valuta per cambiare, far progredire istituzioni, metodi e persone.8 - Valutazione come fatto pubblico, comunitario:- rilevare con esattezza le situazioni;- stabilire delle diagnosi, identificare i fattori positivi e negativi;- fare delle prognosi, emettere ipotesi, previsioni, progetti."La valutazione dunque si pone come modalità di cambiamento caratteristico di un'altra scuola, che voglia assicurare agli alunni, attraverso una istruzione individualizzata, la "padronanza" (mastery) e la uguaglianza delle possibilità contro ogni possibile forma di selettività e di svantaggio spesso collegate a situazioni "esterne" che determinano abbandoni precoci o ritardi". (L. Rosati, Proposte didattiche per la scuola elementare…)"Il complesso delle osservazioni sistematiche effettuate dagli insegnanti nel corso dell'attività didattica, costituirà lo strumento privilegiato per la continua regolazione della programmazione, permettendo agli insegnanti di introdurre per tempo quelle modificazioni e integrazioni che risultassero opportune" (D.P.R. 104/1985).Ancora secondo Tinelli (1977), la raccolta di informazioni per prendere decisioni sulla programmazione curricolare avviene:

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PRIMA della programmazione curricolare: va sotto il nome anche di analisi della situazione e serve per decidere quali obiettivi, contenuti, esperienze sono possibili;DURANTE la realizzazione del curricolo, unità didattica dopo unità didattica: si dice anche valutazione formativa perché serve per regolarsi sulla forma da dare ai passi ulteriori;DOPO, cioè alla fine del processo curricolare, quando si tirano le somme di quanto si è andato progressivamente costruendo ed elaborando e si dice anche, per questo, valutazione sommativa."La comunicazione dei risultati di tale attività di valutazione ai soggetti interessati (famiglie e scuole) deve documentare anche quanto la scuola ha fatto e si impegna a fare in ordine allo sviluppo del singolo e del gruppo. L'attività di programmazione e di verifica deve consentire agli insegnanti di valutare l'approfondimento della loro preparazione psicologica, culturale e didattica anche nella prospettiva della formazione continua" (D.P.R. 104/1985).La vera forza della valutazione non risiede tanto nel potere esecutivo e/o giudiziario, ma in quello legislativo.In altre parole, il processo di verifica parte dall'alunno per evolversi dinamicamente in valutazione ed eventualmente in modificazione del progetto ed autoverifica del metodo scelto.Anche se per un bisogno intrinseco si stabiliscono procedure, si delineano parametri valutativi, in realtà non può esistere un quadro di riferimento rigido e prefissato per valutare.Gli insuccessi dell'alunno non devono essere stigmatizzati e colpevolizzati, ma devono far riflettere sulla reale adeguatezza degli obiettivi stabiliti e sulle modalità di sviluppo e di gestione degli stessi.È evidente come in tal senso la valutazione acquisti di diritto un ruolo e un potere propositivo, gestionale e di controllo di tutta la programmazione educativa e didattica.Venturi rinforza il concetto espresso quando afferma che "la valutazione formativa diagnostica serve a verificare l'unità didattica durante il suo processo in termini di cambiamenti (in capacità, abilità, tecniche) osservabili e acquisiti o no rispetto alla situazione di partenza verificata; l'informazione raccolta serve anche in questo caso a organizzare forme tempestive di recupero su capacità, abilità, tecniche necessarie allo studente per proseguire nell'informazione. La valutazione riassuntiva valuta e misura il risultato finale del processo in rapporto alla situazione iniziale e di partenza. Misura le capacità, le abilità, le tecniche acquisite. Questa misurazione è un giudizio. Ha la funzione di riassumere quanto è stato appreso dallo studente rispetto a ciò che ci si aspettava che apprendesse e pertanto certifica la performance di ciascuno studente nell'ambito del corso e le classifica in rapporto a ciò che è stato appreso dal singolo e non in rapporto al rendimento degli altri studenti. La funzione delle tecniche di valutazione del processo educativo non è selezione, ma recupero, sostegno, integrazione. Se istruire non è selezionare, la valutazione è il metodo scelto per verificare che questa soluzione non avvenga: proprio perché interviene immediatamente, tempestivamente, nel bisogno culturale con il recupero educativo" (Venturi, 1980). La vecchia impostazione autoritaria che riconosceva all'insegnante il potere di distribuire voti bassi e bocciature, senza considerare che nella maggioranza dei casi lo scarso profitto era conseguenziale ad un handicap socio-culturale, ha portato negli anni '70 a una pesante contestazione, portata avanti da numerosi gruppi sociali.Alla critica, all'accusa e alla contestazione "sono seguite diverse prese di posizione distruttive e/o propositive quali: abolizione di ogni forma di valutazione: comportamento che, mentre di fatto non elimina la selezione degli alunni, finisce per non sottoporre l'attività didattica ad alcun controllo e ad alcuna verifica, generando comportamenti spontaneistici" (Tinelli, 1977). In questo momento storico, mediando posizioni estremizzate, "è maturata nella coscienza professionale del corpo docente la convinzione che per valutazione debba intendersi il controllo di un certo comportamento didattico nella sua complessità (non riferito solo all'alunno) per misurarne e vagliarne l'efficacia in relazione alla programmazione curricolare e alle programmazioni di unità didattiche elaborate (obiettivi da raggiungere, contenuti adeguati, esperienze di apprendimento funzionali)" (Tinelli, 1977).

17.6. LA VALUTAZIONE COME INFORMAZIONE RETROATTIVA

Un tratto comune che caratterizza i tre tipi di valutazione (diagnostica, formativa e sommativa) è costituito dal fatto che in ogni caso gli accertamenti sono finalizzati ad avere immediati riflessi sulle decisioni circa la progettazione, la realizzazione, il controllo e la convalida dei processi didattici.

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Bisogna sempre tener presente che la messa a punto di una programmazione non è altro che un sistema assai complesso ed articolato di ipotesi didattiche che, come in ogni procedimento di sperimentazione, devono essere confermate, confutate o ridefinite attraverso un processo sistematico di verifica."Ogni metodo scientifico, ogni ricerca, ogni operazione compiuta per risolvere un problema si conclude con il momento della verifica. E poiché il lavoro, qualsiasi lavoro, è una successione di operazioni, il momento del controllo o della verifica è necessario per passare da un'operazione all'altra. Se l'operazione, al momento della verifica, si rende conto dello scarto tra l'effetto voluto e quello raggiunto, torna indietro e si corregge.Se non vi è scarto si procede oltre. Egli rinforza il suo comportamento. Infatti ripete le stesse operazioni che lo hanno condotto al successo o, tutt'al più, le varia per renderle meno faticose o meno costose in fatto di energia.Egli perfeziona così le sue tecniche operative e consegue risultati sempre migliori" (D. Izzo, La valutazione, Le Monnier Firenze 1976, pag. 43).Questo tipo di processo è sostanzialmente fondato sul concetto cibernetico di feed-back (retroazione); ad ogni operazione compiuta consegue una "informazione retroattiva" (il feed-back) che ci informa degli effetti sortiti dalla nostra azione e che ci pone pertanto in condizione di valutarne l'efficacia e di apportare tutte le eventuali modifiche necessarie.In caso contrario la nostra attività educativa non può che risolversi in un vero e proprio procedere alla cieca, con il rischio evidente di non sapere mai a che punto ci si trova e dove si andrà a finire.In sintesi, le funzioni svolte dall'attività di valutazione possono essere così riassunte:"1) Funzione diagnostica: una buona parte degli insuccessi scolastici spesso sono dovuti alla carenza di informazioni nel momento di ingresso nella scuola o di passaggio da una unità all'altra. Occorre definire la popolazione e la situazione scolastica per la quale il sistema viene concepito in modo che la programmazione curricolare e la programmazione di unità didattiche siano adeguate;2) Funzione predittiva: avere informazioni per poter dire quale potrà essere lo sviluppo del curricolo scolastico di ogni alunno in modo tale da poter fornire elementi per un orientamento nella scuola e, conseguentemente, nella vita;3) Comunicazione univoca dell'esito del processo didattico: le ideologie e altri fattori influiscono in genere in modo molto consistente sulle valutazioni di tipo intuitivo; occorre allora rendere chiara la valutazione definendo in modo assai preciso gli scopi, in modo tale che essa possa riferirsi a parametri precisi;4) Funzione di razionalizzazione di un giudizio: spesso il valore di un alunno o di un curricolo sono costruiti sulla base di intuizioni; occorre invece riferirsi a qualcosa di più preciso, magari quantitativo.La valutazione serve per controllare o meno l'efficacia del curricolo nella sua complessità e per intervenire introducendo tutti i correttivi che si rendessero necessari: se non avviene apprendimento è perché qualcosa nella progettazione e nella realizzazione dell'esperienza didattica non ha funzionato, non, o solo, perché l'alunno non ci arriva: probabilmente si sono proposti obiettivi troppo ambiziosi o si sono messe in opera sequenze ed esperienze mal congegnate". (Tinelli, 1977)In conclusione vogliamo fermare l'attenzione sul concetto di verifica, strumento fondamentale per una corretta valutazione, momento di controllo indispensabile ad ogni fase significante del lavoro degli insegnanti e dei processi di apprendimento degli alunni. È indispensabile di tanto in tanto, da parte dei docenti, la revisione critica dei propri atteggiamenti e del proprio bagaglio culturale, per conoscere e saper individuare con esattezza come procede l'apprendimento per poter intervenire correttamente e tempestivamente sulla programmazione rendendola più adeguata possibile alla situazione.

17.7. CONDIZIONI DI UNA VALUTAZIONE ATTENDIBILE

La validità e l'efficacia dell'attività didattica sono largamente subordinate alla qualità delle informazioni sulla base delle quali il docente assume le decisioni importanti riguardo alla programmazione, alla realizzazione ed all'adeguamento dei propri interventi. La precisione e l'attendibilità dei dati forniti dalla valutazione dell'apprendimento divengono in questa prospettiva un'esigenza fondamentale.

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A tale riguardo la ricerca docimologica ha offerto un contributo importante sul piano della impostazione obiettiva dei rilevamenti.I requisiti fondamentali che un accertamento valutativo deve soddisfare per essere giudicato attendibile e preciso sono la validità e la fedeltà. Una definizione generale del concetto di validità è, ad esempio, quella offerta da Gattullo, il quale afferma che "è valida la misurazione educativa il cui oggetto si identifica o è collegato con gli scopi perseguiti dal processo educativo" .(M. Gattullo, Voti, test, schede, La Nuova Italia, Firenze, 1978, p. 79)Per 'validità' si intende, dunque, il grado di corrispondenza tra ciò che un certo strumento valutativo effettivamente misura e ciò che, mediante il suo uso, intendiamo misurare.Per 'fedeltà' (o attendibilità) di una valutazione si intende, invece, la precisione, la stabilità e l'univocità con cui essa è in grado di misurare un certo comportamento dell'alunno.In altri termini una prova valutativa può essere ritenuta tanto più fedele quanto minore è, sui risultati da essa offerti, l'incidenza di errori casuali di misurazione e di variabili legate al giudizio soggettivo di colui che compie il rilevamento.

17.8. STRUMENTI E TECNICHE DI VERIFICA

Gli strumenti di verifica del profitto sono: schede di osservazione, le interviste, i colloqui, la riflessione parlata, i questionari e i test.Tra esse ha assunto una posizione di preminenza la pratica del "testing", una serie strutturata di tests sostenuta soprattutto dall'introduzione e dalla diffusione dei così detti tests oggettivi di profitto, conosciuti anche con l'originario termine anglosassone di "achievement tests". Una delle principali ragioni addotte a favore del ricorso alla pratica del testing è rappresentata soprattutto dalla sua obiettività: l'attribuzione dei punteggi, infatti, non è messa in discussione da variabili estranee legate al giudizio soggettivo dell'esaminatore.A questo requisito si aggiunge anche il vantaggio della uniformità del rilevamento, nel senso che la misurazione del profitto avviene in condizioni rigorosamente controllate e quasi stabili con tutti i soggetti ed in differenti situazioni.Queste prove standardizzate di profitto, messe a punto da apposite équipe di studiosi, costituiscono la versione dei più classici strumenti di misurazione psicometrica e in tal senso esse possono essere ricondotte a quella categoria particolare di procedure e d'indagine che va sotto il nome di tests normativi.Si tratta in pratica di reattivi concepiti allo scopo di classificare con precisione la prestazione dell'allievo rapportandola alla "norma", cioè alla prestazione fornita dal gruppo a cui appartiene, o addirittura ponendola in relazione alla distribuzione standardizzata dei punteggi ottenuti da un vasto campo di oggetti sul quale il test è stato preventivamente tarato.

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CAP. XVIII - LA SPERIMENTAZIONE

18.1. PERCHÉ LA SPERIMENTAZIONE

"Il dubbio è il principio della scienza, chi non dubita nulla non scopre nulla; chi non segue nulla è cieco e tale rimane" (Paul Hasard). Anche se per sperimentare si abbandona il certo per andare alla ricerca di un'altra risposta più adeguata ai nuovi problemi, ciò non significa negare la tradizione, ma recuperarne gli aspetti positivi per riutilizzarli in un contesto nuovo, attenti a verificare il risultato.A seconda delle procedure di ricerca che si adoperano e degli scopi che si perseguono, sperimentare o ricercare può significare che i problemi, per essere risolti, richiedono nuove conoscenze e nuove operazioni che vanno acquisite per arrivare a risultati e verificarne il peso, il significato, la validità.Ma prima dell'uso di procedure sistematiche, di tecniche e di strumenti particolari, va sottolineata la relazione problemi-reazione dell'individuo in funzione del risultato.Sulla base di caratteristiche comuni si distingue tra "ricerca fondamentale" e "ricerca applicata". Tale distinzione non è gerarchizzabile poiché è necessario che ogni ricerca applicata partecipi criticamente dei risultati della ricerca fondamentale.Tutti i tipi di ricerca possono essere ricondotti alla sperimentazione, se essa da una parte cerca di procurare dati conoscitivi e di arrivare a spiegazioni, passando per problemi e con procedure di prima mano, e dall'altra effettua attività rivolte a interventi e a prodotti innovativi.Ambiti della sperimentazione:a) Esperimento in senso stretto: esso è caratterizzato dal vigore, dalla sistematicità e dalle verifiche più scrupolose, ma questi elementi non spiegano tutte le sollecitazioni e tutti i meccanismi dell'esperimento, poiché non sono che parte della complessa ricerca in cui l'esperimento è immerso. L'esperimento viene attuato all'interno di una ricerca più vasta e dinamica, presenta incertezze e approssimazioni.Poiché la ricerca non è standardizzata, non lo è l'esperimento che, pur avendo procedure specifiche, presenta molteplici antecedenti e complesse fasi preparatorie.b) Investigazione controllata: si tratta di una deliberata ricerca di occasioni in contrasto fra loro, nelle quali il fenomeno si manifesta, e nel successivo esame dei fattori discriminanti, per accertare se le variazioni di questi fattori sono in relazione a differenze nei fenomeni; tanto i fattori quanto le differenti manifestazioni del fenomeno sono scelti per un'attenta osservazione in quanto si presume che fra essi sussista una relazione.c) Innovazione pianificata, sistematica, controllata: queste caratteristiche non operano da sole, ma si realizzano positivamente se riescono ad attirare tutti i poteri mentali che permettono la pianificazione, la sistematicità ed il controllo.d) Tentativo poco rigoroso, ma con carattere d'urgenza: si effettua quando si presentano difficoltà in cui svolgere il tentativo, che è però urgente avviare per la rilevanza dell'innovazione.Non vuol quindi dire avventato o irresponsabile ed avere effetti nocivi, ma garantire un apprezzabile miglioramento della situazione.e) Ricerca sul campo: in relazione all'assunzione di dati forniti da altri, si instaura un contatto diretto con i problemi presenti in situazioni, eventi, persone, mediante strumenti di osservazione, questionari, interviste, ben strutturati in rapporto ai problemi e ai mezzi di ricerca con i quali si opera sul campo.

18.2. LA METODOLOGIA SPERIMENTALE IN PEDAGOGIA

La sperimentazione pedagogica, come metodologia educativa, deriva dalla razionalizzazione di tutta l'attività didattica, che sostiene e anima le forze affettive e creative, cercando di impedire il loro deteriorarsi in manifestazioni improduttive.È quindi un percorso educativo nel quale si tiene presente che la libertà di chi educa deve sincronizzarsi con la libertà dell'educando. Il ripetersi dei tentativi consiste nell'approccio scientifico ai problemi educativi ispirandosi ai sistemi axiologici oggettivamente definiti ed alla teleologia.

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Esso ricerca la soluzione dei problemi "mediante l'inserimento dei fattori che appaiono come opportuni e necessari per conseguire i risultati educativi nei quali si ha l'incremento qualitativo della personalità".La sperimentazione in educazione definisce l'itinerario più opportuno per raggiungere l'interiorità dell'educando, riducendo gli errori che è possibile compiere durante l'attività didattica ed educativa.Essa vuol fare della coscienza dell'educando una sorgente normativa senza turbarla e distrarla: una perfetta educazione secondo natura, che favorisca lo sviluppo delle attitudini individuali, la socializzazione, la civilizzazione e l'istruzione dell'individuo, imponendo all'educatore l'esercizio costante di un "esprit experimental".L'intervento educativo si manifesta attraverso l'analisi della situazione iniziale nel quadro dell'antropologia pedagogica per rilevare il potenziale educativo proprio di ogni soggetto su cui inserire il fattore di trattamento e, successivamente, impegnarsi nella costruzione di una situazione finale del processo educativo, nella quale possa essere evidenziato un cambiamento qualitativo della situazione dell'educando che presenti un reale passo avanti verso i fini dell'educazione.L'atteggiamento della metodologia sperimentale in pedagogia si differenzia dall'atteggiamento positivistico e da quello idealistico che hanno caratterizzato la storia della pedagogia: nel primo il metodo è normativo, deriva dall'analisi scientifica delle leggi del comportamento umano, che sul piano didattico-educativo valgono come norme; l'educatore applica le norme.Nell'atteggiamento idealistico il metodo è il maestro impegnato in un'opera di intuizione e riflessione per poter cogliere quello che nel rapporto educativo appare necessario.Il primo è troppo determinista e non ha la possibilità di cogliere l'autenticità del processo educativo; il secondo incorre nei rischi dell'improvvisazione e del soggettivismo. Invece l'atteggiamento sperimentale sfrutta le conoscenze offerte dall'antropologia pedagogica per comprendere i problemi iniziali con oggettività e poter quindi definire il fattore educativo che appare più consono alla soluzione del problema.Prende così forma una nuova funzione: la valutazione educativa come possibilità di conoscere e individuare le necessità che pongono urgenze precise sul piano educativo.Anche la pedagogia, come le altre scienze, deve ricercare sicurezza nelle sue affermazioni che le siano coessenziali.Spesso vengono formulati giudizi ipotetici validi nella misura in cui è attendibile l'ipotesi alla quale si reggono. La validità di un'affermazione pedagogica proviene dalla considerazione della persona e dei fini per i quali deve essere educata; va ricercata nel collegamento tra antropologia pedagogica, metodologia educativa e teleologia pedagogica, perciò rende possibile considerare il caso individuale. Nasce quindi l'esigenza di una valutazione dei contenuti della pedagogia, che andranno assunti dall'antropologia pedagogica, che legittima e sostiene tutta la struttura della pedagogia con i seguenti criteri:-"Funzionalità psicologica e congruenza auxologica- puntualità sociologica e storica- tensione axiologica e ideale - efficienza operativa".Il primo criterio rappresenta ciò che è richiesto alla pedagogia affinché favorisca l'atto educativo.Il secondo criterio, riferito alla puntualità, significa tempestività delle prese di posizione, iniziative, decisioni, abbandono del tradizionalismo e del conformismo, conforto delle forze umane positive che agiscono nella storia e nella società nel momento educativo come elementi al servizio della libertà dell'uomo.Il terzo è la tensione axiologica e ideale che sottolinea come una pedagogia strutturata sulla natura e sull'uomo non può smarrirsi nei labirinti dell'esistenziale e nella teoricità astratta ed accademica.Se come fine dell'educazione viene preso "l'uomo di coscienza", la guida nella costruzione delle persone sarà la coscienza, con la successiva verifica critica dei valori educativi.L'ultimo criterio riguarda l'efficacia operativa ed è riferibile alla metodologia educativa, che ponendosi tra l'antropologia e la teleologia pedagogica, costituisce il punto di congiunzione che dà unità a tutta la struttura della pedagogia.La sperimentazione pedagogica adopera i metodi propri delle scienze sociali ed ha in più l'obbligo di mirare a interventi innovativi mediante tutte le altre scienze. Essa, applicata al lavoro nell'ambito della progettazione e realizzazione di ricerche volte a innovare più o meno radicalmente, spinge a individuare livelli, stabilire relazioni

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tra elementi conosciuti, effettuare la ricognizione di situazioni particolari, utilizzare per la pianificazione degli interventi, nel modo più pertinente, i risultati della ricerca pedagogica avanzata.

18.3. FUNZIONI DELLA SPERIMENTAZIONE

Il gioco delle distinzioni e delle relazioni va individuato sia tra le varie forme scientifiche della ricerca, che tra le sue varie funzioni in riferimento ai problemi educativi.Le diverse funzioni devono influenzarsi reciprocamente.a) Metodo di apprendimento e di produzione adoperato in collaborazione da insegnanti e allievi: è la ricerca che caratterizza i processi educativi, ciò che gli insegnanti e gli allievi fanno insieme, i loro rapporti, in base ad un piano educativo, con persone diverse dagli insegnanti.L'attività ha caratteristiche di ricerca perché precisa problemi e lavora su di essi per arrivare a spiegazioni e a soluzioni o oggetti, appartenenti all'ambito delle tecnologie o delle arti visuali.b) Attività svolta dagli insegnanti per preparare e realizzare innovazioni educative: gli insegnanti sentono la necessità di rivedere l'organizzazione del lavoro educativo, di modificare obiettivi e metodi.c) Ricerca specialistica nel campo delle scienze dell'educazione: è il necessario quadro di riferimento per tutti gli altri livelli di ricerca a cui offre conoscenze e orientamenti.

18.4. SPERIMENTAZIONE: LINEE DI METODOLOGIA EDUCATIVA

a) Lezione: ogni lezione rientra in un quadro preesistente, fa parte cioè di un procedimento graduale, deve rispettare certi limiti di orario, rispondere alle esigenze pedagogiche e possedere determinate qualità.I limiti estremi posti alla sua durata ne caratterizzano il ritmo e l'importanza; deve unire l'interesse all'efficacia, i dati concreti e precisi ai punti interrogativi, che motiveranno le lezioni successive, gli apprendimenti e la formazione mentale; essa provoca l'attività degli allievi e instaura un clima di collaborazione e di dialogo tra essi e l'insegnante; deve avere una forma chiara, precisa e lineare per rappresentare un valido modello da cui gli allievi si lascino influenzare e guidare.b) Autoeducazione: dall'altra parte della lezione ben preparata e costruita dall'insegnante, sia dal punto di vista formale che contenutistico, vi sono le attività che partono dal soggetto. La pratica delle libere attività fa leva sulla capacità creativa del soggetto che favorisce il suo sviluppo generale, poiché porta a porsi dei problemi o a sfruttare i rapporti con l'ambiente per avviare il proprio processo educativo. Ma, anche nell'autoeducazione, l'opera dell'insegnante è sempre necessaria perché, pur non essendo la forma immediata del sapere, ritorna ad esserlo in un secondo tempo, come risposta alle domande dei soggetti.La personalità pedagogica dell'educatore ha un peso rilevante sulla riuscita o sull'insuccesso di queste tecniche. D'altra parte, esse hanno bisogno di determinate condizioni favorevoli (ad esempio la disponibilità di materiale adatto). c) Insegnamento individualizzato e programmato: lo studio delle tecniche pedagogiche può vertere sul binomio individuo-gruppo.Ad un estremo troviamo le tecniche del lavoro individualizzato (schede, teaching machines, ecc.), all'altro il lavoro di gruppo e l'insegnamento collettivo, anche se queste due tecniche non possono essere poste sullo stesso piano.La pratica di un insegnamento attivo e il rispetto dei ritmi di apprendimento privilegiano tecniche che favoriscono il lavoro individualizzato, esigenza a cui corrisponde, ad esempio, il sistema delle schede.Le schede autocorrettive permettono al soggetto di iniziarsi a certe attività e di controllare da sè il livello raggiunto mediante continue applicazioni; il numero degli esercizi è grande e le prove vengono presentate secondo un ordine di difficoltà.Le schede e le teachings machines consentono la realizzazione di un valido insegnamento su misura, che rispetta i ritmi individuali di apprendimento.Il vantaggio dell'insegnamento programmato è quello di poter far lavorare contemporaneamente allievi di diversa preparazione, di facilitare il recupero e di consentire ai migliori di arrivare fin dove le loro forze lo permettono.d) Il

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lavoro di gruppo: il gruppo si compone di parecchi soggetti che si occupano di un medesimo compito e che lavorano ognuno secondo le proprie possibilità individuali. L'équipe, essendo un gruppo differenziato, non è il semplice risultato del suo frazionamento in quattro o cinque sotto-gruppi: essa cerca di avere delle attività proprie, una sua disciplina interna, e i compiti di ogni membro possono, se necessario, venire esattamente stabiliti. Il lavoro di gruppo si differenzia dal lavoro collettivo perché viene determinato e organizzato da tutti i membri, basandosi sulla solidarietà e sulla cooperazione. Il lavoro di gruppo può nascondere qualche pericolo, che un buon insegnante riesce subito a scoprire. Infatti, se è utile che il gruppo abbia una sua gerarchia interna e che ogni membro impari a organizzare e dirigere il lavoro comune, non bisogna che il leader sopporti da solo il peso di una simile responsabilità, mentre gli altri si liberano da ogni impegno. Senza arrivare a questo caso limite, ci possiamo trovare di fronte ad un'altra forma di deviazione, consistente nell'eccessiva specializzazione dei singoli membri: in questo caso il lavoro di sintesi viene semplicemente sostituito dalla giustapposizione delle varie attività; ogni componente si isola nel proprio compito e non profitta del contributo degli altri.

18.5. ELEMENTI DELLA SPERIMENTAZIONE

Ogni progetto sperimentale di ricerca comporta un piano di lavoro che si può suddividere nelle seguenti fasi:a) Situazione di partenza: si tratta di analizzare la situazione in cui si lavora nei suoi vari aspetti per valutare le cose positive da sviluppare e prendere coscienza delle cose negative da eliminare. Oggetto di analisi saranno contenuti, metodi, tipo di organizzazione e di gestione, struttura dell'orario, disponibilità di spazi e di attrezzature, ecc.- Visione d'insieme del funzionamento della struttura- Piani di lavoro ed eventuali tentativi di sperimentazione- Obiettivi: verificare se gli obiettivi coincidono con lo svolgimento tradizionale dei programmi o sono il prodotto di una nuova elaborazione.- Metodi- Valutazione: criteri e procedure si configurano diversamente a seconda degli obiettivi, della programmazione, delle attività, dei metodi. - Comportamenti: sono da valutare non solo quelli riguardanti mansioni specifiche degli insegnanti, di altri esperti, ma anche se esiste o no la collaborazione continuativa, quali problemi vengono trattati in forma collaborativa.- Ritardo e difficoltà di apprendimento: l'attenzione deve concentrarsi su ciò che si è in grado di offrire in fatto di opportunità di esperienze.- Rapporti con l'esterno: non basta elencare le varie realtà esterne, occorre rilevare le influenze che i rapporti hanno sui piani educativi, sui problemi trattati, sul funzionamento della struttura.b) Fase di passaggio al piano sperimentale: l'analisi precedente fornisce dati indispensabili per una prima individuazione dei problemi più urgenti; si tratta quindi di mettere in relazione intenti e proposte di mutamenti con le condizioni ed i mezzi necessari per passare all'attivazione.- L'analisi della situazione mette in luce l'esigenza di produrre mutamenti.- Delimitazione del campo della sperimentazione: identificare il problema e definirlo con esattezza, cioè individuare una situazione problematica da cui nasce l'esigenza di una conoscenza migliore della situazione a cui si vuol porre riparo.- Esame di ricerche precedenti per individuare elementi utili: le idee sulla sperimentazione devono essere originali, ma vengono sviluppate con maggiore efficacia se arricchite da un attento studio di quanto altri ricercatori hanno scritto sul medesimo argomento. Partendo da un'idea generale, occorre poi leggere quanto più possibile, per sapere come gli altri ricercatori hanno affrontato lo stesso problema.- Ripresa dell'analisi della situazione "locale" a cui è destinato l'intervento: questa ripresa è indispensabile per tentare di precisare i problemi.c) Piano sperimentale: i dati analizzati, i problemi emersi, la scelta di un particolare campo, vengono utilizzati prima per un abbozzo di piano e poi per un piano più preciso e dettagliato che, nel corso della sperimentazione, di fronte a nuovi eventi, dovrà essere ancora modificato.

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- Definizione di analisi dettagliata degli obiettivi: all'inizio sono generici, ma si precisano nel corso della sperimentazione.- Ipotesi: si prefigura la strada da percorrere per raggiungere gli obiettivi.- Abbozzo di piano: abbozzo perché il piano sperimentale, nella sua prima formulazione, risente dello stato precario degli obiettivi e non può essere preciso e dettagliato.- Piano di sperimentazione: è il disegno sperimentale che, in rapporto agli obiettivi, tende a precisare metodi, strumenti materiali, misure organizzative.Nel piano dovranno essere indicati:1-Gli obiettivi, le innovazioni che si intendono realizzare per risolvere particolari problemi, rimuovere difficoltà.2-Gli insegnanti e i contenuti implicati al fine di realizzare unità interdisciplinari.3-Gli esperti che prendono parte alla sperimentazione: medici, psicologi, sociologi, consulenti vari.4-I materiali, gli strumenti e i metodi necessari per condurre la sperimentazione.- Piano dettagliato di attuazione: questo piano comporta l'indicazione di gradi, fissare priorità. Anche il piano di attuazione non può essere determinato tutto in una volta. Solo se il lavoro di gruppo impegnato nella sperimentazione è molto avanzato, si possono fissare dettagli in fatto di fasi e di metodi.d) Realizzazione del piano: abbiamo il piano, ma un piano che sembra chiaramente definito ha bisogno, nella fase dell'avvio della realizzazione, anzi in tutto il suo corso, di essere modificato, in misura più o meno rilevante, al fine di cercare di renderlo rispondente alle esigenze concrete.e) Verifica: è facilitata dal fatto che gli strumenti valutativi vengono adoperati lungo tutto il corso della sperimentazione, dall'inizio al suo compimento.- Documentazione della sperimentazione: va fondata su dati avviati, su materiali prodotti, sempre tenendo presente la loro congruenza con le ipotesi e gli obiettivi che hanno guidato il lavoro. Bisogna sollecitare una verifica dall'esterno su ciò che effettivamente è stato realizzato.- Stesura della relazione e pubblicità dei risultati: lo scopo non è solo di esporli alla verifica, ma anche di tentare di estendere la loro influenza al di là del campo specifico in cui sono stati ottenuti.Non ci si aspetta che risultati di una particolare sperimentazione vengano direttamente e immediatamente utilizzati in situazioni nuove. Queste inevitabilmente hanno caratteristiche peculiari, e perciò, per trarre profitto da sperimentazioni precedenti è indispensabile ricorrere a nuove sperimentazioni.- Proiezione dei risultati nel futuro: ciò che è veramente nuovo crea le condizioni per riprendere e sviluppare la sperimentazione. Questa deve affermarsi non come l'eccezione, ma come la regola di un organismo che ha l'obbligo di essere vitale, per corrispondere sempre meglio alle finalità di un servizio.

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CAP. XIX - OBIETTIVI PER UN CURRICOLO NELLA SCUOLA ELEMENTARE

Presentiamo di seguito gli obiettivi introdotti dai programmi della scuola elementare italiana con D.P.R. 104/85, per indicare le mete da raggiungere nei percorsi didattici possibili. L'individuazione degli obiettivi è il nodo cruciale di tutta la programmazione, alla cui logica spesso l'insegnante non si adegua. Sostanzialmente emerge la difficoltà di convertire le finalità in obiettivi e gli obiettivi in attività. L'auspicio che ci si pone con la presentazione degli obiettivi di tutte le aree disciplinari della scuola elementare è quello di fornire uno strumento di consultazione per la stesura della programmazione didattica e per la sua costante valutazione attuativa nel corso dei processi didattici intrapresi dagli insegnanti. In particolare, deve essere messo in rilievo che è possibile l'applicazione di questa raccolta di obiettivi nell'ambito della pedagogia dell'handicap, ove gli insegnanti curricolari e di sostegno si trovino a progettare piani educativi individualizzati.La Premessa ai Nuovi Programmi dell'85 ha definito la scuola elementare come agenzia educativa che promuove "l'acquisizione di tutti i fondamentali tipi di linguaggio" intesi come opportunità di simbolizzazione, espressione, comunicazione. Tale impostazione valorizza non più soltanto il codice verbale, ma si apre a quelli che fino ad oggi poco potevano interagire all'interno del progetto formativo della scuola italiana (linguaggio mimico-gestuale, iconico, musicale...). In particolare, riguardo al rapporto tra codice verbale e corporeo-motorio, possiamo affermare che, se il primo primeggia per possibilità di comunicare anche sfumature del pensiero con un continuo arricchimento dei vocaboli, il secondo presenta maggiormente caratteristiche di universalità, poiché i significanti sono più spesso riconducibili ai significati. Inoltre: "la disinvoltura, la naturalezza e la spontaneità dell'espressione gestuale e mimica suppongono una riconciliazione dell'essere con il suo corpo, troppo spesso trascurato dal nostro sistema di formazione intellettuale e verbale" (Le Boulch, 1975, Armando Roma).

19.1. LINGUA ITALIANA

Il pregio maggiore dell'impianto epistemologico del programma relativo alla lingua italiana è, da una parte, l'aderenza alle nuove acquisizioni intorno a natura, finalità e leggi del funzionamento del sistema linguistico e, dall'altra, la conoscenza dei meccanismi relativi ai processi di apprendimento del bambino. Nel programma viene sovente sottolineato il ruolo centrale della lingua che, per sua stessa natura- è presente in tutte le discipline e ne facilita l'apprendimento,- favorisce l'accesso ai linguaggi non verbali,- è l'unica area disciplinare che riflette su se stessa (funzione metalinguistica) e sugli altri linguaggi per scoprire e analizzare le regole di funzionamento dei vari sistemi."Sono proprio le capacità d'uso e scelta cosciente dei vari codici, la capacità di riflettere sulle loro valenze e funzioni distinte, la capacità di dominarli quindi coscientemente (consapevolezza metalinguistica) che possono contribuire alla "formazione linguistica" come sviluppo autocontrollato della competenza comunicativa. In altre parole, l'alunno non solo sa usare lo strumento linguistico, ma soprattutto possiede le ragioni di un uso appropriato e delle scelte pertinenti alle situazioni di comunicazione" (R. Titone in AA. VV., I Programmi della scuola elementare: dalla teoria alla pratica, op. cit., p. 60).Lo sviluppo e l'esercizio delle capacità linguistiche non va mai proposto e perseguito come fine a se stesso, ma collocato in stretto rapporto con una corretta socializzazione, con lo sviluppo psicomotorio, con la maturazione ed estrinsecazione di tutte le capacità espressive e simboliche.Essa "non è una semplice registrazione di esperienze, ma uno strumento di codifica della realtà in quanto organizza i dati dell'esperienza in un sistema organico di concetti. Ancora, è una costruzione, mediata dal pensiero, che si organizza in forma autonoma e creativa nei confronti della realtà che intende rappresentare. Infine, è una creazione di carattere personale, che deve però realizzare un certo accordo tra i rapporti che governano l'esperienza e quelli che governano l'espressione linguistica" (C. Scurati-P., Calidoni, op. cit., p. 64).Il Programma individua una perfetta concordanza tra concetto di lingua e obiettivi della scuola elementare."I compiti della scuola elementare in questo campo sono i seguenti: a) fornire all'alunno mezzi linguistici adeguati alle operazioni mentali di vario tipo quali..: simbolizzazione,

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classificazione, partizione, seriazione, quantificazione, generalizzazione, astrazione, istituzione di relazioni (temporali, spaziali, causali, ecc.); b) potenziare la capacità dell'alunno di porsi in relazione linguistica con interlocutori diversi per età, ruolo, status, ecc. e in diverse situazioni comunicative, usando la lingua nella sua varietà di codici, di registri e nelle sue numerose funzioni; c) offrire mezzi linguistici progressivamente più articolati e differenziati per portare ad un livello di consapevolezza e di espressione le esperienze personali;d) promuovere le manifestazioni espressive del fanciullo e il suo approccio al mondo della dell'espressione letteraria; e) avviare l'alunno a rilevare che la lingua vive con la società umana e ne registra i cambiamenti nel tempo e nello spazio geografico, nonché le variazioni socio-culturali... per attivare in lui la capacità di pensare storicamente e criticamente. " (D.P.M. 104/85, III Parte, Lingua italiana)Obiettivi:Ob. Gen. L.I. 1 - Conseguire la capacità di usare il codice verbale in modo sempre più significativo, senza trascurare i codici ad esso complementari grafico, pittorico, plastico, ritmico-musicale, mimico-gestuale.Ob. Sp. L.I. 1 - Acquisire la consapevolezza che esistono diversi codici.Ob. Sp. L.I. 2 - Acquisire la consapevolezza che ciascun codice offre specifiche opportunità rappresentative.Ob. Sp. L.I. 3 - Acquisire la consapevolezza che il codice verbale è particolarmente comodo per formare un numero illimitato di messaggi a partire da poche unità fonetiche, morfemiche, lessicali, ecc.Ob. Sp. L.I. 4 - Acquisire la consapevolezza che il codice verbale favorisce l'accesso agli altri codici e consente la riflessione su questi e su di esso.Ob .Gen. L.I. 2 - Conseguire la capacità di comunicare correttamente in lingua nazionale, a tutti i livelli, dai più colloquiali e informali ai più elaborati e specializzati.Ob. Sp. L.I. 1 - Sapersi esprimere oralmente per comunicare in maniera compiuta argomenti noti od interessanti (entro il 1° anno di Sc. Elem.).Ob. Sp. L.I. 2 - Saper utilizzare la lingua nelle forme colloquiali richieste dai problemi della vita quotidiana.Ob. Sp. L.I. 3 - Rendersi conto dei diversi punti di vista riscontrabili in situazioni comunicative.Ob. Sp. L.I. 4 - Essere consapevoli della varietà di forme in cui il discorso si realizza in rapporto a contesti interattivi differenti (amici, genitori, familiari, insegnanti, ecc.).Ob. Gen. L.I. 3 - Assicurare una buona competenza nell'uso della lingua scritta (lettura e scrittura).Ob. Sp. L.I. 1 - Saper leggere (entro il 1° anno di Sc. Elem.).Ob. Sp. L.I. 2 - Comprendere e ripetere i significati dei testi scritti(d'uso quotidiano, letterari, ecc.).Ob. Sp. L.I. 3 - Saper ricercare e individuare informazioni nei testi scritti .Ob. Sp. L.I. 4 - Saper raccogliere informazioni dai testi scritti.Ob. Sp. L.I. 5 - Leggere a voce bassa un testo e comunicarne il contenuto in modo sempre più aderente alle intenzioni comunicative per dimostrare di averlo compreso.Ob. Sp. L.I. 6 - Seguire una descrizione, un resoconto, un racconto.Ob. Sp. L.I. 7 - Cogliere e ripetere i dati essenziali di una descrizione, resoconto, racconto, ecc. con proprie parole.Ob. Sp. L.I. 8 - Sapersi inserire opportunamente nelle situazioni comunicative ricorrenti.Ob. Sp. L.I. 9 - Saper riconoscere i diversi punti di vista.Ob. Sp. L.I. 10- Descrivere ordinatamente fasi di attività a lui familiari.Ob. Sp. L.I. 11- Saper apprezzare l'efficacia linguistica dei vari tipi di scrittura.Ob. Sp. L.I. 12- Leggere a voce alta testi noti con uso appropriato delle pause per dimostrare di aver compreso il contenuto.Ob. Sp. L.I. 13- Saper scrivere (entro il II anno di Sc. Elem.).Ob. Sp. L.I. 14- Saper scrivere testi semplici per utilità personale (prendere nota, prendere appunti).Ob. Sp. L.I. 15- Saper scrivere per comunicare a distanza con interlocutori diversi.Ob. Sp. L.I. 16- Saper scrivere testi semplici con elaborazioni di carattere personale.

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Ob. Sp. L.I. 17- Scrivere in modo ortograficamente corretto (lessico e punteggiatura).Ob. Sp. L.I. 18- Scrivere in modo sintatticamente corretto.Ob. Sp. L.I. 19- Saper raccogliere informazioni da testi (parlati e scritti).Ob. Sp. L.I. 20- Saper registrare informazioni e dati.Ob. Sp. L.I. 21- Saper organizzare informazioni e dati.Ob. Sp. L.I. 22- Saper registrare istruzioni.Ob. Sp. L.I. 23- Saper organizzare istruzioni.Ob. Sp. L.I. 24- Saper esprimere impressioni.Ob. Sp. L.I. 25- Saper esprimere valutazioni.Ob. Sp. L.I. 26- Saper produrre testi descrittivi.Ob. Sp. L.I. 27- Saper produrre testi narrativi.Ob. Sp. L.I. 28- Saper produrre testi argomentativi.Ob. Sp. L.I. 29- Leggere testi letterari per attivare i processi interpretativi.Ob. Sp. L.I. 30- Riflettere sui contenuti delle parole e sulle loro relazioni nel testo (somiglianze e differenze, gradazioni di significato, passaggio dal generale allo specifico, passaggio dallo specifico al generale).Ob. Sp. L.I. 31- Comprendere il significato di una parola nuova a partire dal significato di quelle note e del relativo contesto.Ob. Sp. L.I. 32- Arricchire il lessico fondamentale con termini delle varie discipline.Ob. Sp. L.I. 33- Collegare il lessico del dialetto a quello della lingua.Ob. Sp. L.I. 34- Saper rielaborare il testo (parafrasare, trasporre, riscrivere in contesto diverso, riordinare gli argomenti).Ob. Sp. L.I. 35- Riconoscere gli idiomi regionali dell'italiano entro un testo parlato.Ob. Sp. L.I. 36- Individuare le diversità tra idiomi regionali e pronuncia standard dell'italiano.Ob. Sp. L.I. 37- Notare le concordanze tra parole di un contesto per organizzare schemi morfologici (flessioni, modificazioni, ecc.).Ob. Sp. L.I. 38- Individuare le strutture sintattiche fondamentali a partire da una riflessione sull'uso concreto della lingua orale e scritta (soggetto, verbo, compl. oggetto ecc.).Ob. Sp. L.I. 39- Individuare il mutamento di significato delle parole nel corso della storia, anche in riferimento alle introduzioni lessicali di lingue straniere.

19.2. LINGUA STRANIERA

Le finalità della lingua straniera sono quelle della educazione linguistica già indicate. Nel quadro di una educazione linguistica globale la lingua straniera, scelta sulla base di indicazioni della comunità sociale, concorre ad:"a) aiutare ed arricchire lo sviluppo cognitivo con un altro strumento di organizzazione delle conoscenze; b) permettere al fanciullo di comunicare con altri attraverso una lingua diversa dalla propria; c) avviare l'alunno, attraverso lo studio linguistico, alla comprensione di alcune culture e di altri popoli." (D.P.M. 104/85, III Parte, Lingua straniera)Al termine della scuola elementare, l'alunno deve essere in grado "di sostenere una facile conversazione e una breve lettura che si riferisca ad esperienze concrete di vita quotidiana." (D.P.M. 104/85, lll Parte, Lingua straniera)Obiettivi:Ob .Gen. L.S. 1 - Conseguire la capacità di usare il codice verbale in modo significativo, senza trascurare i codici ad esso complementari grafico, pittorico, plastico, ritmicomusicale, mimico-gestuale.Ob. Sp. L.S. 1 - Acquisire la consapevolezza che esistono diversi codici. Ob. Sp. L.S. 2 - Acquisire la consapevolezza che ciascun codice offre specifiche opportunità rappresentative.Ob. Sp. L.S. 3 - Acquisire la consapevolezza che il codice verbale è particolarmente comodo per formare un numero illimitato di messaggi a partire da poche unità fonetiche, morfemiche, lessicali, ecc.Ob. Sp. L.S. 4 - Acquisire la consapevolezza che il codice verbale favorisce l'accesso ad altri codici e consente la riflessione su questi e su di esso.

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Ob .Gen. L.S. 2 - Conseguire la capacità di comunicare correttamente in lingua straniera a livello colloquiale.Ob. Sp. L.S. 1 - Sapersi esprimere oralmente per comunicare in maniera compiuta messaggi semplici.Ob. Sp. L.S. 2 - Saper utilizzare la lingua straniera nelle forme colloquiali richieste dai problemi della vita quotidiana.Ob. Sp. L.S. 3 - Rendersi conto dei diversi punti di vista.Ob. Sp. L.S. 4 - Essere consapevoli della varietà di forme in cui il discorso si realizza in rapporto a contesti interattivi differenti (amici, genitori, insegnanti, estranei, ecc.).Ob .Gen. L.S. 3 - Assicurare una buona competenza nell'uso della lingua scritta (lettura e scrittura).Ob. Sp. L.S. 1 - Saper leggere facili testi.Ob. Sp. L.S. 2 - Comprendere e ripetere i significati di testi d'uso quotidiano.Ob. Sp. L.S. 3 - Saper ricercare, individuare e raccogliere una informazione da un testo scritto.Ob. Sp. L.S. 4 - Leggere a voce bassa un facile testo e comunicarne in lingua madre il contenuto (in modo sempre più aderente) per dimostrare di averlo compreso.Ob. Sp. L.S. 5 - Seguire una breve descrizione, un semplice resoconto,un breve racconto.Ob. Sp. L.S. 6 - Cogliere e ripetere con le proprie parole i dati essenziali di una descrizione, resoconto, racconto, ecc.Ob. Sp. L.S. 7 - Inserirsi opportunamente nelle situazioni comunicative ricorrenti.Ob. Sp. L.S. 8 - Descrivere ordinatamente le azioni delle fasi di una attività familiare.Ob. Sp. L.S. 9 - Leggere a voce alta testi noti con uso appropriato delle pause per dimostrare di aver compreso il contenuto.Ob. Sp. L.S.10- Saper scrivere facili testi.Ob. Sp. L. S. 11- Saper scrivere brevi testi per comunicare a distanza con interlocutori madrelingua.Ob. Sp. L.S.12- Saper scrivere testi semplici con elaborazioni di carattere personale.Ob. Sp. L.S.13- Scrivere in modo ortograficamente corretto (lessico e punteggiatura) .Ob. Sp. L.S. 14- Scrivere brevi testi in modo sintatticamente corretto.Ob. Sp. L.S. 15- Saper raccogliere informazioni tra loro collegate da testi scritti e parlati.Ob. Sp. L.S. 16- Saper esprimere impressioni.Ob. Sp. L.S. 17- Saper esprimere valutazioni.Ob. Sp. L.S. 18- Saper produrre testi descrittivi.Ob. Sp. L.S. 19- Leggere e comunicare i contenuti di testi semplici per attivare i processi interpretativi.Ob. Sp. L.S. 20- Riflettere sui contenuti delle parole e sulle loro relazioni nel testo (somiglianze e differenze, gradazioni di significato, passaggio dal generale allo specifico, passaggio dallo specifico al generale).Ob. Sp. L.S. 21- Comprendere il significato di una parola nuova a partire dal significato di quelle note e del relativo contesto.Ob. Sp. L.S. 22- Arricchire il lessico fondamentale con termini delle varie discipline.Ob. Sp. L.S. 23- Saper rielaborare il testo (parafrasare, trasporre, riscrivere in contesto diverso, riordinare gli argomenti).Ob. Sp. L.S. 24- Notare le concordanze tra parole di un contesto per organizzare schemi morfologici (flessioni, modificazioni, ecc.).Ob. Sp. L.S. 25- Individuare le strutture sintattiche fondamentali a partire da una riflessione sull'uso della lingua scritta (rapporti tra soggetto, verbo, compl. oggetto ecc.).

19.3. MATEMATICA

"L'educazione matematica contribuisce alla formazione del pensiero nei suoi vari aspetti: di intuizione, di immaginazione, di progettazione, di ipotesi e deduzione, di controllo e quindi di verifica o smentita. Essa tende a sviluppare, in modo specifico, concetti, metodi, atteggiamenti utili a produrre le capacità di ordinare, quantificare, misurare fatti e fenomeni della realtà e a formare le abilità necessarie per interpretarla criticamente e per intervenire

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consapevolmente su di essa." (D.P.M. 104/8 5, 111 Parte, Matematica) Gli obiettivi della matematica sono articolati in funzione dei seguenti Temi matematici:a) - ProblemiOb. Sp. M/a 1 - Tradurre problemi elementari espressi con parole in rappresentazioni matematiche scegliendo le operazioni adatte, trovare le soluzioni e interpretare correttamente i risultati.Ob. Sp. M/a 2 - Attribuire un significato a rappresentazioni matematiche date.Ob. Sp. M/a 3 - Individuare situazioni problematiche in ambiti di esperienza, formularne e giustificarne le ipotesi di risoluzione con strumenti aritmetici e logici.Ob. Sp. M/a 4 - Individuare situazioni problematiche in ambiti di studio, formularne e giustificarne le ipotesi di risoluzione con strumenti aritmetici e logici.Ob. Sp. M/a 5 - Risolvere problemi con procedimento e soluzione unici.Ob. Sp. M/a 6 - Risolvere problemi con possibili soluzioni diverse ma ugualmente accettabili.Ob. Sp. M/a 7 - Individuare i dati mancanti per risolvere un problema, introdurli per poi risolverlo.Ob. Sp. M/a 8 - Riconoscere i dati sovrabbondanti di un dato problema, eliminarli per poi risolverlo.Ob. Sp. M/a 9 - Riconoscere i dati contraddittori di un dato problema.

b) - AritmeticaObiettivi del primo e secondo annoOb. Sp. M/b 1 - Contare in progressione verificando con attività manipolatoria e percettiva.Ob. Sp. M/b 2 - Contare in regressione verificando con attività manipolatoria e percettiva.Ob. Sp. M/b 3 - Confrontare raggruppamenti di oggetti rispetto alla loro quantità e indicare se essi hanno lo stesso numero di elementi, oppure di più o di meno.Ob. Sp. M/b 4 - Leggere i numeri naturali almeno entro il cento, esprimendoli sia in cifre che a parole.Ob. Sp. M/b 5 - Scrivere i numeri naturali almeno entro il cento, sia in cifre che a parole. (Ob. per prima e seconda classe.)Ob. Sp. M/b 6 - Confrontare i numeri sino a cento usando i simboli di uguale (=), maggiore (>) e minore (<).Ob. Sp. M/b 7 - Disporre i segni dei numeri sulla linea dei numeri in modo corretto.Ob. Sp. M/b 8 - Eseguire con precisione e rapidità semplici calcolimentali di addizioni e sottrazioni.Ob. Sp. M/b 9 - Raggruppare oggetti due a due contando per due, tre a tre contando per tre, e così via.Ob. Sp. M/b l0- Calcolare con l'aiuto di quantità adeguate di oggetti, in collegamento reciproco, il doppio/la metà, il triplo/il terzo, il quadruplo/il quarto, ecc.Ob. Sp. M/b l1- Eseguire addizioni e sottrazioni almeno entro il cento, anche con l'ausilio di opportune concretizzazioni e rappresentazioni.Ob. Sp. M/bl 2- Eseguire moltiplicazioni e divisioni (con moltiplicatori e divisori di una cifra), almeno entro il cento, anche con l'ausilio di opportune concretizzazioni e rappresentazioni.Obiettivi del terzo, quarto e quinto anno:Ob. Sp. M/b13- Leggere i numeri naturali e decimali, espressi sia in cifre sia in parole, traducendoli nelle corrispondenti somme di migliaia, centinaia, decine, unità, decimi, centesimi, ecc.Ob. Sp. M/b14- Scrivere i numeri naturali e decimali, sia in cifre sia in parole, anche sotto dettatura, comprendendo: . il valore posizionale delle cifre, . il significato e l'uso dello zero, . il significato e l'uso della virgola.Ob. Sp. M/b15- Confrontare e ordinare i numeri naturali e decimali, utilizzando opportunamente la linea dei numeri (ad esempio, mediante sottograduazioni).Ob. Sp. M/b16- Scrivere una successione di numeri naturali partendo da una regola data.Ob. Sp. M/b11- Scoprire una regola a partire da una data successione di numeri.Ob. Sp. M/b17- Intuire e saper usare la proprietà commutativa e associativa nella addizione e nella moltiplicazione,

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anche per agevolare i calcoli mentali con opportune strategie e approssimazioni.Ob. Sp. M/b18- Intuire e saper usare la proprietà distributiva del prodotto rispetto alla somma, anche per agevolare i calcoli mentali con opportune strategie e approssimazioni.Ob. Sp. M/b19- Intuire e saper usare la proprietà invariantiva nella sottrazione e nella divisione, anche per agevolare i calcoli mentali con opportune strategie e approssimazioni.Ob. Sp. M/b20- Eseguire per iscritto le quattro operazioni aritmetiche con i numeri naturali e decimali, comprendendo il significato dei procedimenti di calcolo.Ob. Sp. M/b21- Moltiplicare e dividere numeri naturali e decimali per dieci, cento, mille, comprendendo il significato di queste operazioni.Ob. Sp. M/b22- Calcolare, in relazione reciproca, multipli e divisori di numeri naturali, e riconoscere i numeri pari.Ob. Sp. M/b23- Trovare le frazioni che rappresentano parti di adatte figure geometriche, con particolare attenzione alle suddivisioni decimali.Ob. Sp. M/b24- Trovare le frazioni che rappresentano di insiemi di oggetto o di numeri, con particolare attenzione alle suddivisioni decimali.Ob. Sp. M/b25- Data una frazione, trovare la parte corrispondente in figure geometriche, in insiemi di oggetti o in numeri, con particolare attenzione alle suddivisioni decimali.Ob. Sp. M/b26- Confrontare e ordinare le frazioni più semplici, utilizzando opportunamente la linea dei numeri (ad esempio, con graduazioni successive).Ob. Sp. M/b27- Confrontare e ordinare sulla linea dei numeri gli interi relativi, facendo riferimento, se necessario, ad esperienze personali (ad esempio, l'uso del termometro).Ob. Sp. M/b28- Rispettare l'ordine di esecuzione di una serie di operazioni (espressione), interpretando il significato della punteggiatura e comprendendo l'ordine stesso.Ob. Sp. M/b29- Costruire una espressione usando adeguata punteggiatura per il rispetto dell'ordine di esecuzione.c) Geometria e misura.Obiettivi del primo e secondo annoOb. Sp. M/c 1 - Localizzare oggetti nello spazio, prendendo come riferimento sia se stessi, sia altre persone e oggetti e usare correttamente i termini: davanti/dietro, sopra/sotto, a destra/a sinistra, vicino/lontano, dentro/fuori.Ob. Sp. M/c 2 - Effettuare spostamenti lungo percorsi che siano assegnati mediante istruzioni orali o scritte.Ob. Sp. M/c 3 - Descrivere verbalmente o per iscritto dei percorsi eseguiti da altri, anche ricorrendo a rappresentazioni grafiche appropriate.Ob. Sp. M/c 4 - Riconoscere negli oggetti dell'ambiente i più semplici tipi di figure geometriche, piane e solide.Ob. Sp. M/c 5 - Denominare correttamente i più semplici tipi di figure geometriche, piane e solide.Ob. Sp. M/c 6 - Individuare simmetrie in oggetti e figure date; realizzate e rappresentate graficamente simmetrie mediante piegature, ritagli, disegni, ecc..Ob. Sp. M/c 7 - Confrontare e misurare lunghezze, estensioni, capacità, durate temporali, usando opportune unità, arbitrarie o convenzionali, e loro successive suddivisioni.Obiettivi del terzo, quarto e quinto anno:Ob. Sp. M/c 1 - Riconoscere in contesti diversi, denominare, disegnare e costruire le principali figure geometriche piane; costruire, con tecniche e materiali diversi, alcune semplici figure geometriche solide e descriverne alcune caratteristiche, come, nel caso di poliedri, numero dei vertici, degli spigoli, delle facce;Ob. Sp. M/c 2 - Riconoscere l'equiestensione di semplici figure piane mediante scomposizioni e ricomposizioni;Ob. Sp. M/c 3 - Misurare e calcolare il perimetro e l'area delle principali figure piane, avendo consapevolezza della diversita concettuale esistente tra le due nozioni;Ob. Sp. M/c 4 - Trovare il volume di oggetti anche irregolari con strategie e unità di misura diverse, avendo consapevolezza della diversità concettuale esistente tra la nozione di volume e quella di area della superficie di una figura solida;Ob. Sp. M/c 5 - Individuare, in situazioni concrete, posizioni e spostamenti nel piano (punti, direzioni, distanze, angoli come rotazioni); rappresentare tali situazioni anche con l'uso di reticolati a coordinate intere positive, di mappe, di cartine, ecc.

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Ob. Sp. M/c 6 - Usare correttamente espressioni come: retta verticale, orizzontale, rette parallele, incidenti, perpendicolari; disegnare, con riga, squadra e compasso, rette parallele e perpendicolari, angoli e poligoni.Ob. Sp. M/c 7 - Riconoscere eventuali simmetrie presenti in una figura piana e classificare triangoli e quadrangoli rispetto alle simmetrie stesse;Ob. Sp. M/c 8 - Realizzare, anche con l'uso di materiale concreto e con disegni, la corrispondente di una figura geometrica piana sottoposta ad una traslazione, ad una simmetria assiale, ad una rotazione, ad un ingrandimento o impicciolimento in scala.Ob. Sp. M/c 9 - Conoscere le principali unità internazionali e pratiche per la misura di lunghezze, aree, volumi/capacità, pesi; saperle usare correttamente per effettuare stime e misure.Ob. Sp. M/c 10 - Scegliere, costruire e utilizzare strumenti adeguati per effettuare le misurazioni.Ob. Sp. M/c 11 - Passare da una misura espressa in una data unita ad un'altra ad essa equivalente, limitatamente ai casi più comuni e con aderenza al linguaggio corrente anche in riferimento al sistema monetario;Ob. Sp. M/c12 - Effettuare misure: di ampiezze angolari (in gradi), di durate (in ore, minuti primi e secondi); operare con tali unità in casi problematici reali.d) LogicaObiettivi del primo e secondo annoOb. Sp. M/d 1 - Classificare oggetti, figure, numeri ... in base ad un dato attributo e, viceversa, indicare un attributo che spieghi la classificazione data;Ob. Sp. M/d 2 - Individuare tutti i possibili casi di combinazioni di oggetti e di attributi, in contesti problematici concreti e particolarmente semplici;Ob. Sp. M/d 3 - Scoprire e verbalizzare regolarità e ritmi in successioni date di oggetti, di immagini, di suoni, viceversa, seguire regole - proposte oralmente o per iscritto per costruire tali successioni;Ob. Sp. M/d 4 - Rappresentare con schematizzazioni elementari (ad esempio, con frecce) successioni spazio-temporali, relazioni d'ordine, corrispondenze, riferite a situazioni concrete. Obiettívi del terzo, quarto e quinto anno:Ob. Sp. M/d 1 - Classificare oggetti secondo due o più attributi e realizzare adeguate rappresentazioni delle stesse classificazioni mediante diagrammi di Venn, di Carroll, ad albero, con tabelle, con schede a bordo perforato...;Ob. Sp. M/d 2 - Usare correttamente il linguaggio degli insiemi nelle operazioni di unione, di intersezione, di complemento, anche in relazione alla utilizzazione dei connettivi logici e con applicazioni alle classificazioni aritmetiche, geometriche, naturalistiche, grammaticali, ecc.e) Probabilità, statistica, informatica. Obiettivi del primo e secondo anno:Ob. Sp. M/e 1 - Usare in modo significativo e coerente, in situazioni problematiche tratte dalla vita reale e dal gioco, le espressioni: forse, è possibile, è sicuro, non so, è impossibile, ecc.Obiettivi del terzo, quarto e quinto annoOb. Sp. M/e 1 - Compiere osservazioni e rilevamenti statistici semplici; tracciare diagrammi a barre, istogrammi, aerogrammi....; calcolare medie aritmetiche e percentuali, usando, se ritenuto opportuno, calcolatrici tascabili; viceversa, interpretare rappresentazioni e calcoli fatti da altri;Ob. Sp. M/e 2 - Confrontare in situazioni di gioco le probabilità dei vari eventi mediante l'uso di rappresentazioni opportune;Ob. Sp. M/e 3 - Rappresentare, elencare e numerare tutti i possibili casi in semplici situazioni combinatorie; dedurne alcune elementari valutazioni di probabilità;Ob. Sp. M/e 4 - Tracciare e interpretare diagrammi di flusso per la rappresentazione di convenienti processi.

19.4. SCIENZE

Finalità generale della educazione scientifica e l'acquisizione da parte del fanciullo di conoscenze e abilità che ne arricchiscano la capacità di comprendere e rapportarsi con il mondo e che, al termine della scuola dell'obbligo, lo pongano in grado di riconoscere quale sia il ruolo della scienza nella vita di ogni giorno e nella società odierna e

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quali siano le sue potenzialità e i suoi limiti.L'educazione scientifica si propone come obiettivi fondamentali:a) lo sviluppo di atteggiamenti di base nei confronti del mondo, come la tendenza a porre proprie domande, o a coglierle nel discorso degli altri come motivazione all'osservazione e alla scoperta; l'intraprendenza inventiva, soprattutto per quanto riguarda la formulazione di ipotesi e spiegazioni; l'abitudine a identificare entro situazioni complesse singoli elementi ed eventi e l'attenzione alle loro relazioni; l'esigenza di trovare criteri unitari per descrivere e interpretare fenomeni anche assai diversi; l'autonomia del giudizio, accompagnata da disponibilità a considerare le opinioni altrui ed a confrontare queste e le proprie con i fatti; il rispetto consapevole per l'ambiente;b) L'acquisizione di abilità cognitive generali quali, per esempio, la capacità di analisi delle situazioni e dei loro elementi costitutivi, la capacità di collegare i dati dell'esperienza in sequenze e schemi che consentano di prospettare soluzioni ed interpretazioni e, in certi casi, di effettuare previsioni, la capacità di distinguere ciò che è certo da ciò che e probabile, la capacità di formulare semplici ragionamenti ipotetico deduttivic) la crescente padronanza di tecniche di indagine, da quelle di tipo osservativo, sino all'impiego in situazioni pratiche del procedimento sperimentale:d) lo sviluppo di un rapporto sempre più stretto e articolato tra il "fare" ed il "pensare". 389. Il fare, inteso come attività concreta manuale e osservativa, e riferimento insostituibile di conoscenze sia per le scienze della natura, sia per lo sviluppo di competenze tecnologiche.Tutti questi obiettivi, in parte comuni ad altre aree disciplinari, vanno perseguiti attraverso lo svolgimento di attività e l'acquisizione di conoscenze riguardanti aspetti fondamentali sia del mondo fisico sia del mondo biologico, considerati nelle loro reciproche relazioni e nel loro rapporto con 1'uomo. Il possesso di tali conoscenze può essere considerato come un ulteriore obiettivo collegato ai precedenti da uno stretto rapporto di interdipendenza.ObiettiviGli obiettivi delle scienze verranno attuati con attività di indagine idonee a consentire agli alunni di esercitarsi nell'uso di procedimenti scientifici del: . osservare, . misurare, . classificare, . impostare relazioni spazio-tempo, . elaborare e interpretare dati,. individuare e separare variabili, per acquisire, al termine della scuola elementare, la capacità di farne consapevole impiego in situazioni concrete. Prendendo spunto da problemi relativi alla loro vita di ogni giorno gli alunni saranno sollecitati ad intraprendere attività di indagine al fine diOb. Gen. Sc.1 - Acquisire conoscenze di base relative agli esseri viventi, ivi compreso l'uomo, loro strutture e funzioni, nonché loro interazioni e rapporti con l'ambiente; Ob. Gen. Sc. 2 - Acquisire conoscenze di base relative al mantenimento e alla difesa della salute; Ob. Gen. Sc. 3 - Acquisire conoscenze di base relative alla Terra e al suo posto nell'Universo; Ob. Gen. Sc. 4 - Acquisire conoscenze di base relative alla gestione delle risorse naturali; Ob. Gen. Sc. 5 - Acquisire conoscenze di base relative ai materiali e alle loro caratteristiche.Allo scopo di presentare i contenuti della educazione scientifica in una forma che faciliti la loro utilizzazione nell'insegnamento, si farà riferimento ad attività che verranno organizzate e svolte nelle classi della scuola elementare con diverso grado di approfondimento, avvalendosi della definizione di sequenze e correlazioni didattiche delineabili con la programmazione, anche nella prospettiva interdisciplinare. Le attività da svolgere mirano a conseguire obiettivi intermedi raggruppati per nuclei tematici di contenuto: fenomeni fisici e chimici; ambienti e cicli naturali; organismi: piante, animali, uomo; uomo e natura; uomo-mondo della produzione.a) Fenomeni fisici e chimici (esperienze con la materia nei suoi vari aspetti):Solo se gli alunni proporranno tentativi esplicativi sarà compito dell'insegnante valutare l'opportunità di approfondimenti sui fenomeni fisici e chimici, da effettuare comunque in forma adeguata alle capacità dell'alunno di scuola elementare.

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È particolarmente indicato l'uso di materiali naturali ed artificiali raccolti nel corso delle attività di esplorazione dell'ambiente o di impiego comune nella tecnica. A partire dalla osservazione delle proprietà si potranno anche stimolare riflessioni sulla scelta dei materiali in relazione alle loro utilizzazioni.Ob. Sc/a 1 - Esaminare i singoli materiali, il modo in cui si comportano quando si interviene su di essi, quel che succede se si mettono insieme solidi con liquidi, liquidi con liquidi, polveri con liquidi, gas con liquidi.Ob. Sc/a 2 - Realizzare esperienze attive di separazione di componenti da miscugli (per setacciatura, filtrazione, decantazione, evaporazione, con calamite, ecc.).Ob. Sc/a 3 - Osservare i diversi stati della materia e realizzare esperienze di trasformazione (acqua: ghiacciata, liquida, in vapore).Ob. Sc/a 4 - Realizzare delle reazioni chimiche particolarmente evidenti (comparsa di colorazioni, sviluppo di gas, ecc.), limitando l'uso di simboli e formule e mettendo in risalto la possibile tossicità e pericolosità di alcuni prodotti o reazioni.Ob. Sc/a 5 - Osservare e realizzare delle combustioni, collegate con le trasformazioni di vari materiali provocate dal loro riscaldamento e raffreddamento.Ob. Sc/a 6 - Osservare e realizzare esperienze di ottica con le osservazioni del comportamento della luce (mediante giochi con specchi, con luci e ombre, con prismi, ecc.).Ob. Sc/a 7 - Osservare e realizzare esperienze di acustica a partire dai fenomeni di produzione di rumori e di suoni.Ob. Sc/a 8 - Osservare e realizzare esperienze di elettricità e magnetismo con la costruzione di circuiti elettrici con lampadine e pile.Ob. Sc/a 9 - Distinguere fra isolanti e conduttori in base a prove dirette ed esperienze con calamite (sono di particolare importanza perché connesse con aspetti tecnologici della società moderna).Ob. Sc/a 10 - Osservare e realizzare esperienze sul movimento e sull'equilibrio, con oggetti di varie forme per affrontare i concetti di velocità, variazione della medesima, forza, baricentro, ecc.Ob. Sc/a 11 - Osservare ed utilizzare apparecchi di uso comune nella vita pratica, illustrandone i principi elementari di funzionamento meccanico, termico. elettrico) e le cautele di sicurezza.b) Ambienti e cicli naturaliL'esplorazione dell'ambiente naturale nel territorio in cui si trova la scuola comprenderà, oltre agli aspetti più strettamente biologici, le seguenti attività da integrare con l'insegnamento della geografia:Ob. Sc/b 1 - Realizzare osservazioni sull'assetto geologico attraverso l'esame in loco degli affioramenti e la raccolta e caratterizzazione di campioni di rocce, minerali e fossili.Ob. Sc/b 2 - Esaminare i vari tipi di terreno ed effettuare la rilevazione delle loro caratteristiche, anche in confronto a quelle tipiche delle ghiaie, sabbie e argille.Ob. Sc/b 3 - Raccogliere dati sulla situazione delle acque (acque superficiali stagnanti e correnti; acque sotterranee e sorgive; acqua marina) anche in relazione a problemi di approvvigionamento idrico.Ob. Sc/b 4 - Realizzare osservazioni dirette, rilevazioni e riflessioni sul clima e sui fenomeni atmosferici con particolare riguardo al ciclo dell'acqua (in natura, nel paese o in città, in casa);Ob. Sc/b 5 - Effettuare delle rilevazioni sulle caratteristiche del paesaggio e le opportune considerazioni sulla sua evoluzione e sui fattori che la determinano (dilavamento, alluvioni, frane, interventi dell'uomo..) anche attraverso semplici esperienze.Ob. Sc/b 6 - Individuare e riconoscere le singole piante e gli animali presenti nell'ambiente.Ob. Sc/b Ricostruire ecosistemi (anche attraverso rappresentazioni grafiche) con le più evidenti relazioni degli organismi fra loro e con l'ambiente fisico. Si porrà particolare attenzione alle catene alimentari; ai rapporti di predazione e alle difese; adattamento all'ambiente per la sopravvivenza, e alla riproduzione.Ob. Sc/b 7 - Realizzare l'osservazione e la ricostruzione schematica dei grandi cicli ambientali relativi a: le piante e la luce, l'aria, l'acqua, il terreno; rapporti tra animali e piante; esseri viventi come produttori, consumatori, decompositori.Ob. Sc/b 8 - Realizzare osservazioni sulle trasformazioni periodiche degli ambienti durante i cicli stagionali, e compiere rilevazioni quantitative di condizioni e parametri che variano durante l'anno: temperatura, umidità, piovosità, lunghezza del giorno.

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Ob. Sc/b 9 - Realizzare osservazioni e considerazioni sul movimento apparente del sole e le sue variazioni nell'arco dell'anno attraverso esperienze: di studio delle ombre e costruzione di meridiane, di misura del tempo, studio del movimento e delle fasi della luna, studio del cielo stellato e del movimento apparente delle stelle.Ob. Sc/b 10 - Studio sull'orientamento e conoscenza pratica dei sistemi di riferimento per l'esplorazione ambientale oltre che geografica.c) Organismi: piante, animali, uomo.Ob. Sc/c 1 - Confrontare e, ove possibile, raccogliere e conservare materiali naturali da esaminare per riconoscere le somiglianze e le differenze relativamente a: forme, comportamenti, nutrizione, ambienti caratteristici, riproduzione, ecc.Ob. Sc/c 2 - Effettuare raggruppamenti e classificazioni di vari organismi (alberi, arbusti, animali che camminano, volano, nuotano, domestici e selvatici, ecc.).Ob. Sc/c 3 - Realizzare l'osservazione particolareggiata di singoli esseri per distinguere le diverse parti che compongono un organismo vivente (le parti del corpo negli animali e nell'uomo; parti delle piante) e mettere in evidenza i più evidenti rapporti fra strutture e funzioni. (Si potrà mettere in risalto come, pur nella varietà dei viventi, siano presenti caratteristiche comuni).Ob. Sc/c 4 - Realizzare osservazioni e trarre considerazioni su come i diversi organismi siano adatti ai differenti ambienti, in risposta ai bisogni fondamentali della vita, non solo a livello di strutture e funzioni, ma anche di comportamento.Ob. Sc/c 5 - Condurre osservazioni sulla anatomia funzionale del corpo umano dando particolare risalto alle caratteristiche peculiari (la stazione eretta, la mano, lo sviluppo cerebrale, le attività percettive) avvalendosi anche dell'uso di modelli (e - per confronto - della pratica di dissezioni su animali usata a scopo alimentare).Ob. Sc/c 6 - Realizzare delle osservazioni sulle differenze tra gli individui, tra individui di diversa età, tra i due sessi, che consentiranno di svolgere considerazioni sulla riproduzione, l'accrescimento e lo sviluppo, la maturità e l'invecchiamento.Ob. Sc/c 7 - Raccogliere dei dati sulle abitudini alimentari, mettendoli a confronto con quelli desumibili dalle diete.Ob. Sc/c 8 - Confrontare i fabbisogni di fattori nutritivi per le varie età.Ob. Sc/c 9 - Individuare la caratterizzazione dei cibi in base ai principi nutritivi che contengono.Ob. Sc/c 10 - Individuare le norme di comportamento connesse con una adeguata educazione alla salute (comprendenti le norme alimentari, le norme igieniche, i fattori nocivi da evitare, ecc.).d) Uomo-natura.Lo studio dell'intervento umano sull'ambiente e strettamente collegato con i temi dell'area storico-geografica. Alcuni aspetti di tali temi possono essere approfonditi dal punto di vista delle scienze fisiche, chimiche e naturali. L'uomo ha infatti esplorato l'ambiente per conoscerlo adattandosi ad esso o piegandolo alle proprie esigenze. A tal fine ha costruito strumenti che gli hanno permesso di superare la soglia delle naturali capacità percettive e di estendere le sue possibilità di azione e di trasformazione, attraverso l'uso di materiali diversi e di nuove fonti di energia.Ob. Sc/d 1 - Realizzare osservazioni sulle modificazioni indotte nel paesaggio (in particolare della regione): dalle pratiche agricole e da altri interventi dell'uomo.Ob. Sc/d 2 - Realizzare osservazioni e raccolte di dati sugli effetti degli insediamenti umani e delle attività industriali sull'ambiente naturale.Ob. Sc/d 3 - Individuare i fenomeni nocivi e pericoli presenti nell'ambiente umano e indicando esempi di modalità di prevenzione.Ob. Sc/d 4 - Raccogliere informazioni sulle possibilità offerte dalla tecnologia per la tutela dell'ambiente e per la previsione, la prevenzione e gli interventi relativi alle calamità naturali.Ob. Sc/d 5 - Acquisire la consapevolezza dei vantaggi e degli svantaggi che ogni intervento umano comporta per maturare un atteggiamento positivo di rispetto dell'ambiente che non dovrà comunque essere confuso con uno sterile rifiuto del progresso tecnologico.e) Uomo-mondo della produzione.Ob. Sc/e 1 - Entrare in rapporto con la circostante realtà costituita dal mondo della produzione, dei prodotti e dei

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problemi ad esso connessi e della realtà tecnologica, per promuovere l'abitudine alla osservazione, alla riflessione, all'intervento tecnico.Ob. Sc/e 2 - Realizzare delle attività operative e d'intervento tecnico in cui l'alunno, con metodo induttivo, sia condotto gradualmente dall'osservazione, all'analisi, alla concretizzazione dell'intervento e alla verifica degli effetti conseguenti ad esso.Ob. Sc/e 3 - Promuovere un primo approccio alla conoscenza della cultura tecnologica con la quale l'alunno dovrà progressivamente misurarsi a partire dalla scuola media di I° grado.

19.5. STORIA

L'insegnamento della storia richiede il puntuale e continuo riferimento alla concreta realtà nella quale il fanciullo e inserito ed esige che il docente realizzi un'adeguata scelta ed una funzionale organizzazione dei contenuti dell'apprendimento storico.Finalità St. 1 - Stimolare e sviluppare nei fanciulli il passaggio dalla cultura vissuta, assorbita direttamente dall'ambiente di vita, alla cultura come ricostruzione intellettuale.Finalità St. 2 - Acquisire coscienza dei significati della storia come: .realtà del passato, .memoria collettiva o insieme di tradizioni culturali che incidono sul presente, .ricerca storiografica che, pur collegandosi alla memoria collettiva, tende a superarla per rinnovare il rapporto tra presente e passato.Finalità St. 3 - Promuovere le capacità di ricostruzione del passato muovendo dal presente e individuando, anche il riferimento ad informazioni su avvenimenti e personaggi del passato, le connessioni tra passato e presente.Finalità St. 4 - Promuovere la capacità di usare in modo via via più produttivo i procedimenti della ricerca storica, sia la capacità di comprendere in modo sempre più approfondito il fatto storico stesso.Finalità St. 5 - Stimolare progressivamente un'agile capacità critica assumendo le conoscenze storiche in modo non dogmatico.Obiettivi:Ob. Gen. St. 1 - Avviare il fanciullo a costruire la propria identità culturale con le presa di coscienza della realtà in cui vive.Ob. Gen. St. 1 - Avviare il fanciullo alla costruzione di elementari atteggiamenti e strumenti conoscitivi essenziali per la comprensione dei fenomeni storici e sociali.Obiettivi specifici:Ob. Spec. St. 1 - Superare la percezione di sé come perno e misura della realtà per avviarsi a sentire se stesso partecipe di un processo che ha radici e dimensioni che lo travalicano.Ob. Spec. St. 2 - Acquisire la consapevolezza che ogni giudizio e ogni discorso storico devono avere la loro fondazione nella ricerca e nella conoscenza delle fonti e nel rigore metodologico.Ob. Spec. St. 3 - Maturare gradualmente la coscienza che la ricostruzione del fatto storico è il risultato di un complesso di operazioni tecniche e scientifiche progredienti nel tempo ed attivate dagli interessi culturali e civili del ricercatore.Ob. Spec. St. 4 - Acquisire la concezione del tempo storico: apprendere la cronologia del tempo, intesa quale strumento convenzionale indispensabile per ordinare e memorizzare gli eventi del passato;Ob. Spec. St. 5 - Acquisire la concezione del tempo storico: apprendere la periodizzazione, intesa quale strumento per delimitare e interpretare i fenomeni storici complessivi;Ob. Spec. St. 6 - Acquisire la concezione del tempo storico: mediante la crescente consapevolezza che i problemi con i quali l'uomo si e dovuto confrontare si sono presentati in modi diversi ed hanno avuto soluzioni diverse in rapporto alle condizioni generali, ovvero ai "quadri di civiltà", che hanno caratterizzato i vari periodi della storia umana.Obiettivi per il primo annoOb. Spec. St. 1 - Osservare l'ambiente in cui il fanciullo si muove per avviarlo ad una prima sistemazione delle "cose" nello spazio.

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Ob.Spec. St. 2 - Rilevare che alcune "cose" che condividono uno stesso spazio non sono nella medesima relazione per quanto riguarda il tempo.Ob. Spec. St. 3 - Distinguere il prima dal dopo ed il lontano dal vicino sono degli obiettivi fondamentali da conseguire per introdurre ad uno studio dei fatti Storci.Ob. Spec. St. 4 - Promuovere l'acquisizione delle coordinate spazio-temporali.Ob. Spec. St. 5 - Ricostruire e narrare eventi che sono avvenuti in determinate località e in un certo periodo di tempo.Ob. Spec. St. 6 - Osservare concretamente la successione di generazioni.Obiettivi per il secondo annoOb. Spec. St. 1 - Individuare con gli alunni alcuni passaggi significativi nel processo di cambiamento storico delle realtà a loro più vicine (la città o il paese, i mestieri, gli strumenti di uso quotidiano e le più diffuse tecnologie, le forme di organizzazione sociale, produttiva, culturale, religiosa) rimanendo nel campo di indagine esperibile direttamente dagli alunni medesimi, ma non escludendo la ricerca di documentazioni significative anche nel passato più lontano.Ob. Spec. St. 2 - Guidare l'alunno alla ricostruzione storica del suo ambiente di vita.Obiettivi per il terzo, quarto e quinto annoOb. Spec. St. 1- Avviene lo studio che progressivamente porti il fanciullo dalla interpretazione della storia del suo ambiente di vita alla storia dell'umanità e, in particolare, alla storia del nostro Paese.Ob. Spec. St. 2 - Porre peculiare attenzione ai momenti di promozione e trasformazione delle civiltà, colti nel tessuto di una periodizzazione essenziale, fissando cronologicamente i più rilevanti avvenimenti civili, sociali, politici, religiosi di cui sono stati protagonisti popoli, personalità e forme di organizzazione sociale, che nel tempo hanno contraddistinto l'evolversi della società umana.Ob. Spec. St. 3 - Pervenire ad una visione sufficientemente articolata dei momenti significativi della storia, connettendoli in un quadro cronologico a maglie larghe.Ob. Spec. St. 4 - Approfondire i fatti, gli avvenimenti, personaggi che hanno contribuito a determinare le caratteristiche civili, culturali, economico-sociali, politiche, religiose della storia d'Italia, con specifico riferimento al processo che ha condotto alla realizzazione dell'unità nazionale, nonché alla conquista della libertà e della democrazia.

19.6. GEOGRAFIA

La geografia rileva e interpreta i caratteri dei paesaggi geografici, studia i rapporti tra l'ambiente e le società umane, elabora e propone modelli di spiegazione dell'intervento degli uomini sul territorio. L'ambiente è considerato come risultante delle interazioni che si verificano tra tutte le sue componenti. Opportuna attenzione viene offerta ai modi ed agli effetti della esperienza degli uomini sul territorio.Finalità Ge. 1 - Far emergere la consapevolezza che le decisioni di intervento sul territorio dovranno essere riferite: . ai bisogni degli uomini; . alle esigenze della biosfera, . alle esigenze del regno animale e di quello vegetale.Finalità Ge. 2 - Promuovere e rafforzare progressivamente la responsabile attenzione del fanciullo al problema ecologico.Finalità Ge. 3 - Elaborare i vari aspetti del concetto di spazio geografico: . lo spazio FISICO come condizione e come risultato dell'intervento dell'uomo sul pianeta; le possibilità, i vincoli, i problemi che pone, le trasformazioni che subisce; . lo spazio RAPPRESENTATIVO come espressione di sistemi di valori (i luoghi di incontro e di scambio, di celebrazione sacra e profana, di sede dell'autorità, ecc.); . lo spazio PROGETTATO come campo di azioni possibili o ipotesi di intervento (insediamenti, utilizzazione del suolo, comunicazioni, pianificazione territoriale); . lo spazio CODIFICATO convenzionalmente dalla cartografia e da modelli rappresentativi che utilizzano i

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linguaggi scientifici. Finalità Ge. 4 - Elaborare un concetto di "paesaggio geografico" inteso come costruzione di sintesi controllabili dei modi utilizzati dagli uomini per interagire con la natura e dei rapporti culturali, economici e sociali operanti nelle società stesse e fra società diverse.Obiettivi generali:Ob. Gen. Ge. 1 - Acquisire la capacità di orientarsi e collocarsi nello spazio vissuto dagli uomini utilizzando le conoscenze e gli strumenti concettuali e metodologici necessari per la comprensione dell'interazione uomo-ambiente.Ob. Gen. Ge. 2 - Acquisire uno specifico modo di osservare l'ambiente ed un linguaggio appropriato per descriverlo e per rappresentarlo.Obiettivi Specifici:Ob. Spec. Ge. 1 - Acquisire la capacità di rappresentare mentalmente lo spazio, padroneggiando le nozioni di: . punto, . sistema di riferimento, . posizione relativa, . percorso e spostamento. Ob. Spec. Ge. 1 - Acquisire la capacità di osservare un ambiente e scoprirne gli elementi costitutivi fisici e antropici. Ob. Spec. Ge. 2 - Realizzare osservazioni, indagini e rappresentazioni su elementi ambientali prossimi: . la strada, . la casa, . gli spazi della scuola, . i percorsi abituali, . i luoghi di vacanza, . ecc.Ob. Spec. Ge. 3 - Acquisire la capacità di mettere in relazione fra di loro gli elementi di un ambiente, evidenziando le diverse funzioni ed i vari rapporti che essi hanno anche con un più vasto contesto.Ob. Spec. Ge. 4 - Acquisire la capacità di utilizzare gli elementi fisici e antropici osservati nell'ambiente vicino, per passare all'osservazione, sia pure indiretta, di ambienti diversi, descrivendoli in modo via via più analitico e differenziandoli secondo i loro caratteri geografici.Ob. Spec. Ge. 5 - Enucleare e correlare tra loro gli aspetti geograficamente significativi del territorio in cui sono state effettuate le ricognizioni: i caratteri fisici e naturali, gli elementi artificiali, e attività economiche, sociali e culturali, .gli spazi utilizzati e trasformati a seguito di attività economiche, sociali e culturali.Ob. Spec. Ge. 6 - Sviluppare le capacità di rappresentare lo spazio, muovendo dalle conoscenze che l'alunno possiede sul suo ambiente di vita.Ob. Spec. Ge. 7 - Acquisire la capacità di utilizzare mezzi diversi di descrizione linguistica e di rappresentazione grafica.Ob. Spec. Ge. 8 - Acquisire la capacità di costruire e di interpretare, a livelli crescenti di difficoltà, mappe e carte diverse per contenuto e scala, imparando a scegliere quelle più adeguate agli obiettivi, ad orientarsi su di esse e a confrontare le informazioni che offrono con quelle desumibili da altre fonti.Ob. Spec. Ge. 9 - Costruire schemi di riferimento e chiari di lettura dei "paesaggi geografici'', considerando i rapporti fra: . l'ambiente e i diversi modi di utilizzarne le risorse, . la flora e la fauna potenziale e quella introdotta dalle coltivazioni e dagli allevamenti, . le coltivazioni, gli allevamenti e le abitudini alimentari, . le forme fisiche e gli insediamenti, . le vie di comunicazione, . ecc.Ob. Spec. Ge.10 - Acquisire la capacità di ricercare l'informazione geografica, imparando a raccogliere, selezionare

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e controllare i dati presenti in atlanti, libri, periodici, annuari statistici, ecc., relativi ad ambienti direttamente o indirettamente conosciuti o che si vogliono conoscere.Ob. Spec. Ge.11 - Acquisire la capacità di comprendere e di porre in rapporto fra di loro i vari fenomeni geografici: . evoluzione della configurazione fisica, geologica e tettonica, . fenomeni climatici, piogge, venti, ecc.; . insediamenti etnici, urbani e rurali, densità della popolazione e flussi migratori, . utilizzazione del suolo (allevamento e pesca, agricoltura), . utilizzazione del sottosuolo (minerali, fonti energetiche, ecc.), . insediamenti industriali ed attività economiche, . evoluzione della configurazione politica di una regione.Ob. Spec. Ge.12 - Acquisire la capacità di localizzare sulle carte geografiche i fenomeni studiati.Ob. Spec. Ge.13 - Confrontare ambienti diversi (utilizzando anche riferimenti ad ambienti naturali tipici di varie zone della Terra) e soprattutto dalla comprensione della ampiezza del sistema di relazioni che coinvolgono e condi-zionano ciascun ambiente o paesaggio per evidenziare i problemi e le soluzioni adottate dalle diverse popolazioni,Ob. Spec. Ge.14 - Effettuare attività di ricerca geografica con particolare riferimento: . al territorio e alla società italiana, alle sue trasformazioni. . ai suoi paesaggi fondamentali (le pianure, le zone costiere, le zone alpine e appenniniche), ai suoi problemi e ai suoi squilibri interni (città-campagna, Nord-Sud, zone sviluppate - zone depresse), . ai più stretti ed evidenti rapporti internazionali, in particolare con i paesi del Mediterraneo e dell'Europa.Ob. Spec. Ge.15 - Usare in modo appropriato degli strumenti cartografici e di rappresentazione convenzionale.Ob. Spec. Ge.16 - Approfondire i rapporti che la moderna società industriale intrattiene con il territorio e special-mente: alle modalità di sfruttamento delle risorse naturali e ai relativi problemi di conservazione e protezione dell'ambiente; .ai caratteri fondamentali del paesaggio industriale e urbano; .alle relazioni significative che legano la città alla campagna, l'attività industriale a quella agricola, le zone di sviluppo a quelle del sotto sviluppo.

19.7. STUDI SOCIALI

La scuola elementare si propone la finalità di porre le basi per la formazione del cittadino e per la sua partecipazione attiva alla vita sociale, politica ed economica del Paese.Ob. Gen. Ss. 1 - Fornire gli strumenti per un primo livello di conoscenza dell'organizzazione della nostra società nei suoi aspetti istituzionali e politici, con particolare riferimento alle origini storiche e ideali della Costituzione.Ob. Gen. Ss. 2 - Sollecitare l'alunno al confronto con gli altri, per elaborare uno spirito critico ed abitudini di con~ivenza civile e democratica.Obiettivi specifici:Ob. Spec. Ss. 1 - Elaborare delle regole di convivenza valide per tutti gli alunni del gruppo classe, da rispettare nelle varie situazioni: . di gioco, . di studio, . di trasferimento da un ambiente all'altro, . ecc.Ob. Spec. Ss. 2 - Favorire atteggiamenti di disponibilità alla verifica, impostando indagini d'ambiente (ad esempio: la famiglia, la scuola, il quartiere, il paese, le attività presenti nella comunità, il Comune, ecc.) per cominciare ad individuare i fattori rilevanti dell'organizzazione sociale e le loro dinamiche interrelazioni.Ob. Spec. Ss. 3 - Avviare all'acquisizione di strumenti per la comprensione del sistema economico, scegliendo contenuti e modalità di lavoro adeguati alle capacità degli alunni.Ob. Spec. Ss. 4 - Avviare all'acquisizione di strumenti per la comprensione della organizzazione politica e sociale, scegliendo contenuti e modalità di lavoro adeguati alle capacità degli alunni.Ob. Spec. Ss. 5 - Prendere in esame elementi relativi alla organizzazione politica nazionale ed internazionale (con particolare riguardo all'Europa comunitaria) e al sistema giuridico che la regge.

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Ob. Spec. Ss. 6 - Far acquisire conoscenza riflessa delle regole e delle norme della vita associata, in particolare di quelle che consentono processi democratici di decisione.Ob. Spec. Ss. 7 - Far acquisire consapevolezza del significato della legge anche in funzione della comprensione dei fondamenti del sistema giuridico propri di uno stato di diritto.Ob. Spec. Ss. 8 - Studiare i caratteri fondamentali della nostra Costituzione, per individuare i diritti ed i doveri portanti del nostro sistema democratico (diritti di libertà, eguaglianza e giustizia sociale, principio e organizzazione della rappresentanza, ecc.) aperto al confronto ed alla trasformazione.

19.8. EDUCAZIONE RELIGIOSA

La scuola riconosce il valore della realtà religiosa come un dato storicamente, culturalmente e moralmente incarnato nella realtà sociale in cui il fanciullo vive. La scuola elementare persegue la seguente finalità:Finalità Re. 1 - Consentire all'alunno un rapporto consapevole e completo con l'ambiente partendo dall'esperienza religiosa da lui comunque acquisita.Obiettivi:Ob. Spec. Re. 1 - Promuovere la conoscenza e il rispetto delle posizioni che le persone variamente adottano in ordine alla realtà religiosa;Ob. Spec. Re. 2 - Promuovere la consapevolezza dei valori religiosi nella vita dei singoli e della società.Ob. Spec. Re. 3 - Pron1uovere la conoscenza degli elementi essenziali per la graduale riflessione sulla realtà religiosa nella sua espressione: . storica, . culturale, . sociale.Ob. Spec. Re. 4 - Promuovere il rispetto e la garanzia della libertà di coscienza dei cittadini.Ob. Spec. Re. 5 - Promuovere il rispetto e la garanzia del pluralismo religioso.Ob. Spec. Re. 6 - Promuovere la consapevolezza che lo Stato si impegna ad assicurare nelle scuole lo svolgimento di specifici programmi di religione. 19.9. EDUCAZIONE ALL'IMMAGINE

L'introduzione dell'educazione all'immagine nei Nuovi Programmi della scuola elementare segna un'importante apertura della scuola a una realtà oggettiva non più ignorabile: la televisione, il cinema, il fumetto, il cartellone pubblicitario, le odierne forme di comunicazione obbligano all'interpretazione dei codici iconici la cui chiave di lettura è determinante per una comprensione non superficiale. La "vastissima fioritura di immagini che caratterizza la nostra epoca è il risultato di modernissime tecnologie, ma è anche il rispecchiamento di una società e costituisce il linguaggio che dobbiamo apprendere a decifrare. Un'educazione all'immagine si propone di rendere trasparente l'immagine e di far vedere , al di là di essa, la società di cui siamo membri e che, nelle immagini stesse, si appalesa svelando le sue verità e le sue menzogne" (S. Pezzetta in AA. VV., Maestri anni 90, p. 607).La problematica della decodificazione del messaggio iconico assume particolare rilevanza nei soggetti in età evolutiva. Infatti, "se gli adulti sono ancora così stranamente vulnerabili agli incantesimi dell'immagine, i bambini ne sono soggiogati. Per loro la distinzione tra status segnico e oggetto reale si precisa molto lentamente"( S. Pezzetta, op. cit., p. 608).Il messaggio iconico suscita quindi maggiore attenzione rispetto a qualunque altra forma di comunicazione: tale potere suggestivo è dovuto alla peculiare modalità di elaborazione dell'immagine figurativa, la quale "suscita direttamente l'immagine mentale, mentre la visione della scrittura, ossia l'immagine grafica, suscita l'immagine sonora, e questa evoca l'immagine mentale. Con altre parole, per passare dalla parola scritta all'immagine mentale, è necessaria la mediazione dell'immagine sonora; l'immagine figurativa, al contrario, non ha bisogno di mediazione: la sua azione è diretta. Questo spiega perché guardare le figure sia più facile che leggere le parole stampate e assistere ad un film meno faticoso che leggere un libro" (S. Pezzetta, op. cit., p. 614).Il bambino

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di oggi riceve una sovrabbondanza di stimolazioni iconiche da una realtà esterna che certo non esprime intenzionalità educativa, ma che tuttavia produce una azione formativa con il grave rischio che egli assuma il ruolo passivo del "consumatore di un mondo di rappresentazioni prodotte dall'esterno" (D'Aquanno in AA. VV., I programmi della scuola elementare: ..., op. cit., p. 166).In questo contesto l'alfabetizzazione iconica ha la specifica funzione di "mediazione" tra bambino e mondo delle immagini. Essa si propone di far "capire il loro messaggio e le intenzioni di chi lo trasmette, di assicurare il dominio su di esse, una difesa dalla loro egemonia. Prende in considerazione i procedimenti con cui sono realizzati e a questo scopo non si limita a fare leggere, ma si prefigge anche di farle produrre" (S. Pezzetta, op. cit., p. 612).Occorre sottolineare che quest'area entra a far parte di una scienza più generale del linguaggio, inteso come "sistema di codici capaci di conservare, trasmettere, elaborare l'informazione. In questo caso, l'informazione visiva" (D'Aquanno, op.cit., p. 166). La scuola elementare dovrà fornire l'iniziale alfabetizzazione, per avviare i preadolescenti all'acquisizione di sempre più complessi sistemi grammaticali e sintattici. Tale alfabetizzazione dovrà prendere l'avvio dalle "unità elementari di cui questo universo iconico si compone. Esse sono (... ) i segni, quasi "lettere" di un alfabeto visivo. Tale processo dovrebbe proseguire con lo studio delle relazioni che vengono a prodursi tra le diverse unità elementari quando si costituiscono in "strutture di significato", parole nella lingua delle immagini" (D'Aquanno, op. cit., p. 107)L'immagine è un messaggio affidato a una pluralità di segni non riducibili a un solo codice: ad esempio, l'immagine filmica o televisiva e, nel contempo, parola, immagine, suono. L'immagine è una sequenza di segni, suoni, forn1e, ecc., con la quale si intende comunicare qualcosa. L'immagine si delinea come una rappresentazione della realtà.Per rendere comprensibile l'immagine e, quindi, assumerla in funzione educativa. si deve essere in grado sia di decodificare i codici utilizzati (parola, suono, movimento; forma, colore; ecc.), sia di interpretarne il contesto comunicativo. Finalità E.I. 1 - Conseguimento della competenza espressiva e comunicativa.Ob. Gen. E.I. 1 - Essere capaci di tradurre in un messaggio la propria esperienza.Ob. Gen. E.I. 2 - Conoscere i vari sistemi di segni propri dell'ambiente culturale in cui si vive.Ob. Gen. E.I. 3 - Scoprire che le immagini hanno un significato e che egli, progettando e realizzando sequenze di hllnlagini, anche con l'utilizzazione di tecniche e media diversi, promuove la sua conoscenza dei linguaggi iconici.Ob. Gen. E.I. 4 - Guidare il fanciullo a leggere e produrre le immagini.Ob. Gen. E.I. 5 - Conoscere, esprimere e comunicare la ricchezza del vivere umano attraverso: . i sistemi di segni, . le forme, . le raffigurazioni, . i colori, . il movimento, . ecc.Ob. Gen. E.I. 6 - Distinguere le immagini che derivano dalle attività del disegnare, dipingere, modellare, incidere, dalle immagini che rimandano alle tecnologie dei mezzi di comunicazione di massa, quali telecamera, cinepresa, macchina fotografica, ecc.Ob. Gen. E.I. 7 - Favorire la consapevolezza sia del potenziale ideativo-creativo proprio dell'intenzionalità comunicativa, sia del limite imposto dalla struttura del mezzo tecnologico.In questa prospettiva, l'educazione all'immagine si affianca all'educazione linguistica, all'educazione musicale, all'educazione motoria, ecc., in quanto l'immagine. come la lingua verbale, il suono Ob. Spec. E.I. 3 - Avvicinare alla varietà dei beni culturali, con particolare riferimento a quelli presenti nell'ambiente, di residenza ed in particolare alle opere di scultura e pittura, di arte decorativa, del teatro, del cinema, ecc.Ob. Spec. E.I. 4 - Incentivare la maturazione del gusto estetico, in modo da rendere sempre più ricca la comprensione del "messaggio" dell'opera d'arte.Ob. Spec. E.l. 5 - Sollecitare l'alunno ad esprimere e comunicare i contenuti dell'esperienza razionale e affettiva.

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Ob. Spec. E.I. 6 - Stimolare le attività espressivo-comunicative relative a:. esperienze vissute (per esempio, giochi, eventi quotidiani, avventure, viaggi, feste, cerimonie familiari, religiose e tradizioni locali): . storie di persone, . stolie di personaggi reali, . storie di personaggi immaginari, . vicende di protagonisti di storie lette ascoltate, viste, inventate, . storie di animali, . aspetti dell'ambiente.In questo ambito e indispensabile fare ricorso a una varietà di materiali e di procedimenti, nonché a una serie di contatti e di itinerari guidati. Per i procedimenti, bisogna evitare il tecnicismo, e tener presenti gli obiettivi che di volta in volta si volta si vorranno perseguire, la natura dei mezzi utilizzati e il loro grado di rispondenza sia ai livelli di sviluppo del fanciullo che alla natura degli argomenti presi in considerazione. A titolo indicativo si elencano una serie di attività da realizzare in vista di obiettivi specifici e che, entro certi limiti, implicano una intrinseca articolazione temporale, rispondente ai procedimenti di figurazione del fanciullo. Sul piano del metodo occorre superare la tendenza al non intervento nell'attesa di un prodotto infantile che dovrebbe manifestarsi in modo del tutto spontaneo.Sequenza di Attività:- Modellare sabbia, creta, cere e paste di vario tipo, ecc., per favorire la percezione tridimensionale, il contatto diretto con la materia. la coordinazione delle braccia, delle mani, delle dita. - Disegnare e dipingere, per favorire opportunità di espressione e, implicitamente, il riconoscimento e la riproduzione delle forme e dei colori, la coordinazione occhio-mano, lo sviluppo del senso estetico.- Utilizzare materiali di vari provenienza per realizzare collages, stampe, composizioni e costruzioni.- Incidere materie diverse (per esempio, vegetali, linoleum, ecc.) e rilevare impronte da varie superfici.- Collegare l'immagine e la parola mediante la realizzazione di fumetti per aiutare il fanciullo a superare difficoltà di verbalizzazione, ad acquisire migliori strutturazioni spazio-temporali per cogliere le differenze tra discorso diretto e discorso indiretto (preparazione di fumetti sulla base di scalette predisposte in precedenza).- Osservare le immagini fotografiche per interpretarne il significato e per avviare al riconoscimento dei campi, dei piani, delle diverse angolazioni e di altri elementi composith7i quali il bianco e il nero, il colore, le luci.- Fotografare oggetti e situazioni da differenti angolazioni, in bianco e nero e a colori, in posa o istantanea, per confrontare modi diversi di rappresentare la realtà, collegandoli alle personale esigenze di espressione e comunicazione.- Costruire sequenze con disegni, fotografie e diapositive, raccontando storie e documentando ricerche, anche per acquisire una migliore strutturazione spazio-temporale.- Conoscere il mezzo cinematografico per comprendere i messaggi, intuire i significati delle inquadrature e delle sequenze e conoscere le fasi di lavorazione.- Produrre films a passo ridotto, collegati all'esigenza di comunicare ed esprimersi.- Conoscere la produzione televisiva per avviare a una lettura selettiva dei programmi e ad una prima conoscenza delle peculiarità tecniche e comunicative del mezzo televisivo.- Avviare, quando ciò sia possibile, alla conoscenza e all'uso della telecamera e del videotape.

19.10. EDUCAZIONE AL SUONO E ALLA MUSICA

Se l'importanza della musica era stata sottolineata dagli studi e dalle sperimentazioni più recenti, nella scuola elementare è ancora residua una concezione riduttiva e scarna dell'educazione musicale relegata al "canto corale all'unisono di facili motivi".I Nuovi Programmi recepiscono i significati che vanno assumendo suono e musica come "simboli custoditi nella cultura e riscontrabili nell'azione investigativa del bambino nella natura. La loro matrice umana è evidente non appena si rileva l'ordine e la sistemazione che essi hanno avuto dall'attività dell'uomo che ha voluto disporli,

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graduandoli secondo regole che ne rendono intelliggibili i significati. È quanto voler affermare che suono e musica ci sono: sono nella cultura quando l'uomo li ha colti e classificati nella natura; sono nella produzione creativa e originale dell'uomo che ha inteso conservarli e trasmetterli da generazione in generazione, pure con modifiche la cui ragione e la cui entità riescono esplicite ad una lettura verticale e trasversale documentaristica. Ma suono e musica hanno anche assolto una funzione spirituale nel corso dell'umanità: hanno voluto rappresentarne la sensibilità estetica, l'arte contemplativa del bello quali andavano emergendo nel tessuto composito del creato" (M. Gori, L. Ermini, Educazione al suono e alla musica, ed. Adica Educa 1989, p. 85 ). In una realtà ove l'evento sonoro pervade in forma sempre più dilatata e complessa l'esistenza degli individui, la proposta programmatica si orienta verso la "formazione, attraverso l'ascolto e la produzione, di capacità di percezione e comprensione della realtà acustica e di fruizione dei diversi linguaggi sonori" (cit. prog. '85).Ed ancora una volta "la totalità dell'ambiente che circonda il bambino diventa preziosa fonte d'informazione e formazione sonora e, come per ogni disciplina il punto di partenza didattico è l'esperienza del bambino, così pure per la musica è necessario partire da una ricognizione degli elementi costitutivi del mondo circostante, naturalmente indagato nel suo profilo sonoro. Tale prospettiva diventa così una prima fase d'analisi di tutta la realtà dal punto di vista della sua acusticità. Qui si aprono innumerevoli possibilità operative che vanno dall'esplorazione della scuola come mondo sonoro, alla mappa sonora della propria abitazione e della propria città, paese o quartiere, per ricostruire alla fine una sorta di vocabolario sonoro atto a riprodurre gli oggetti secondo progetti narrativi e descrittivi di più ampia portata" (I. Montiglio in AA. VV., Maestri anni 90, op.cit., p. 650).L' attività didattica dovrà procedere, come specificato dai programmi, secondo l'orientamento Bruneriano del "fare": "l'operatività degli alunni è una componente indispensabile di tutte le attività, dalle più semplici alle più complesse, sia nella fase di ascolto (percezione, selezione, strutturazione dei suoni) che in quella dell'analisi, della registrazione, della notazione e produzione vocale e strumentale dei suoni" (cit. progr. '85).Alcuni principi metodologici (C. Scurati-P. Calidoni, op. cit., pp.134/135):a) operatività e partecipazione attiva: ogni attività realizza "concrete ed autentiche esperienze d'incontro con la musica" e la valorizzazione delle capacità autonome di produzione musicale, vocale-corporeo-gestuale;b) aderenza all'ambiente (naturale, urbano, rurale): l'individuazione di fonti sonore (strumenti musicali, mezzi meccanici, mezzi di registrazione del suono) indirizza le operazioni di percezione, analisi, categorizzazione ...c) valorizzazione dell'esperienza: utilizzazioni della produzione musicale spontanea del bambino (conte, filastrocche) o acquisita (canti ...) per il conseguimento di una conoscenza riflessa;d) gradualità e processualità: dall'apprendimento pratico-manipolativo delle strutture alle rappresentazioni iconiche e simboliche delle stesse;e) dal concreto all'astratto: nel duplice significato di uso materiale del suono e del linguaggio musicale e di aderenza a ciò che è psicologicamente vicino e significativo per il bambino.Nell'ottica di una didattica interdisciplinare, è d'obbligo sottolineare lo stretto rapporto educazione musicale-educazione motoria: "i fenomeni acustici sono parte integrante della realtà in cui il bambino si muove: la loro ricezione, identificazione, manipolazione sta alla base di ogni forma di linguaggio musicale. È solo facendone esperienza "corporea" che il bambino potrà impossessarsi del suono individuandone la causa e l'origine: è solo manipolando che potrà analizzare le caratteristiche specifiche, è solo attraverso l'interpretazione motoria che potrà interiorizzarne i diversi ritmi" (M. Gori, L. Ermini, op.cit., p.28). Il complesso mondo dei suoni, costituito dalla realtà acustica "naturale" e prodotto dalle culture e dalle tecnologie, ha sempre avuto un ruolo di primo piano nella vita del fanciullo e in modo particolare nel processo cognitivo. Oggi, con la diffusione delle diverse forme di comunicazione audiovisiva, esso assume certamente una rilevanza formativa e informativa notevole.L'educazione al suono e alla musica ha i seguenti obiettivi generali:Ob. Gen. E.S.M. 1 - Formare le capacità di percezione e comprensione della realtà acustica. attraverso l'ascolto e la produzione.Ob. Gen. E.S.M. 2 - Formare le capacità di fruizione dei diversi linguaggi sonori, attraverso l'ascolto e la produzione.Ob. Gen. E.S.M. 3 - Sviluppare attività di esplorazione, conoscenza e apprendimento dei fenomeni acustici:

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. della natura,

. della civiltà urbana,

. della civiltà contadina.Ob. Gen. E.S.M. 4 - Sviluppare attività di esplorazione, conoscenza e apprendimento dei fenomeni acustici relativi alla produzione musicale dei popoli dei differenti paesi ed epoche storiche.Ob. Gen. E.S.M. 5 - Realizzare con i fanciulli concrete e autentiche esperienze d'incontro con la musica.Sviluppare l'operatività degli alunni in tutte le attività, dalle più semplici alle più complesse, sia nella fase dell'ascolto (percezione, selezione, strutturazione dei suoni) che in quelle dell'analisi, della registrazione, della notazione e produzione vocale e strumentale dei suoni.Obiettivi:a) Percezione e comprensione Ob. Int. E.S.M. 1 - Formazione e sviluppo della capacità di percezione e comprensione della realtà sonora nel suo complesso (che significa conoscere e riconoscere i vari linguaggi sonori).Ob. Spec. E.S.M./a 1 - Sviluppare la capacità di attenzione nell'ascolto e nell'analisi guidata dei suoni (di qualsiasi tipo: ambientali e musicali o collegati a spettacoli e a comunicazioni audiovisuali) per organizzare l'esperienza sensoriale uditiva.Ob. Spec. E.S.M./a 2 - Sviluppare la capacità di percezione di suoni e rumori ambientali e la loro distinzione in ordine alla: . fonte, . lontananza-vicinanza, . durata, . intensità, . altre caratteristiche (altezza e differenze timbriche);Ob. Spec. E.S.M./a 3 - Sviluppare la capacità di distinzione e selezione dei suoni e dei rumori prodotti da: . esseri umani, . animali, . eventi naturali, . strumenti musicali, . oggetti meccanici.Ob. Spec. E.S.M./a 4 - Sviluppare la capacità di ascolto di materiale musicale che stimoli il riconoscimento delle caratteristiche formali-strutturali dei brani proposti (ritmo, altezza ed intensità dei suoni, linea melodica, fraseggio, armonia);Ob. Spec. E.S.M./a 5 - Sviluppare la capacità di ascolto di materiale musicale che stimoli il riconoscimento della funzione: . della voce umana, . degli strumenti musicali, . delle caratteristiche timbriche degli strumenti musicali.Ob. Spec. E.S.M./a 6 - Sviluppare la capacità di ascolto di brani che propongono musica dei diversi popoli relativa agli aspetti della loro vita (cerimonie religiose, vita familiare, attività di lavoro, feste popolari, ecc.). Ob. Spec. E.S.M./a 7 - Sviluppare la capacità di ascolto di brani di musica delle diverse epoche e di vario stile, anche in rapporto al teatro, al cinema, alla danza.Ob. Spec. E.S.M./a 8 - Sviluppare la capacità di ascolto di brani di musiche tipiche (melodramma, spiritual, jazz, ecc.).Ob. Spec. E.S.M./a 9 - Evidenziare le caratteristiche integrate dei materiali sonori musicali relative a: durata, altezza, intensità, timbro, forma-struttura, organizzazione ritmica, organizzazione melodica e organizzazione armonica.b) Produzione[Le diverse attività che verranno di seguito indicate includono il rapporto della realtà sonora con altri eventi e linguaggi (parola. gesto, immagine).]

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Ob. Int. E.S.M. 2 - Formazione e sviluppo della capacità di produzione e uso dei diversi linguaggi sonori nelle loro componenti comunicative, ludiche, espressive.Ob. Spec. E.S.M./b 1 - Sviluppare la capacità di produrre suoni musicali, suoni indistinti e sequenze ritmiche con la voce.Ob. Spec. E.S.M./b 2 - Sviluppare la capacità di produrre suoni musicali, suoni indistinti e sequenze ritmiche con tutto il corpo.Ob. Int. E.S.M. 3 - Stimolare il fanciullo ad usare ed analizzare i suoni che e già capace di produrre con la voce e Coll il corpo.Ob. Spec. E.S.M./b 3 - Usare ed analizzare la voce che parla: analisi della formazione delle vocali e consonanti, analisi del modo di produzione dei suoni vocali (funzione dei polmoni, del diaframma, delle corde vocali).Ob. Spec. E.S.M./b 4 - Usare ed analizzare la voce che gioca: parlare, leggere, parlare e leggere con o senza uso delle corde vocali (è evidente l'utilità di questi giochi in rapporto alla pronuncia delle parole).Ob.Spec. E.S.M./b 5 - Usare ed analizzare la voce che canta nei giochi individuali e di gruppo: differenze tra voce parlante e voce cantante:Ob. Spec. E.S.M./b 6 - Eseguire dei canti collegati: . alla gestualità, . al ritmo, . al movimento di tutto il corpo e di parti di esso, . ai diversi suoni che il corpo può produrre, (battere le mani, i piedi, ecc.).Ob. Spec. E.S.M./b 7 - Ricercare ed esplorare i diversi tipi di timbri vocali: . nello uso della voce in campo musicale, . nelle diverse attività umane (funzioni oratorie, cerimonie, recitazioni teatrali, sistemi di informazione, cinema, TV. ecc.):Ob. Spec. E.S.M./b 8 - Ricercare e analizzare i diversi modelli espressivi, spontanei o progettati, della voce (grido, pianto, riso, ecc.; canzonetta, opera lirica ecc.);Ob. Spec. E.S.M./b 9 - Organizzare dei giochi vocali sulla imitazione di suoni e rumori: . della realtà naturale, . degli strumenti musicali,. di altri oggetti.Ob. Spec. E.S.M./b lO - Favorire il riconoscimento e la distinzione dei suoni, a partire dai modi di produzione dei medesimi c on strumenti tradizionali e moderni.Ob. Spec. E.S.M./b 11 - Sperimentare parzialmente modi e forme della produzione musicale realizzata con strumenti tradizionali e moderni.Ob. Int. E.S.M. 4 - Apprendere l'uso di strumenti che consentano al fanciullo una immediata gratificazione.Ob. Spec. E.S.M./b 12 - Sperimentare ed analizzare dei suoni e dei timbri diversi ricavabili dalla percussione di oggetti (metallici, di legno, di pietra, cavi e pieni). Ob. Spec. E.S.M./b 13 - Analizzare altri modi di produrre suoni: . strofinando, . agitando oggetti, . ecc.Ob. Spec. E.S.M./b 14 - Ricercare ed analizzare i diversi modi utilizzati per produrre: . suoni musicali, . famiglie di strumenti (strumenti a fiato, a percussione, ad arco, a corde pizzicate, ecc.), realizzando anche piccoli strumenti con materiali poveri.Ob. Spec. E.S.M./b 15 - Ricercare ed analizzare i moderni sistemi per la produzione dei suoni e per la loro diffusione, amplificazione e trasformazione (microfono, amplificatore, giochi con suoni elettronici, televisione, strumenti musicali elettrici ed elettronici). Anche la sola radio può consentire un interessante confronto tra suono prodotto manualmente e suono elettronico amplificato.Ob. Spec. E.S.M./b 16 - Eseguire giochi musicali con strumenti a percussione per:

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. riprodurre le forme di ritmi più facili,

. comprendere il valore degli accenti, delle pause, anche in relazione alle difficoltà dell'esecuzione concertata di brani musicali;Ob. Spec. E.S.M./b 17 - Eseguire brani musicali, con strumenti di facile uso, collegati a: . rappresentazioni gestuali e n1imiche, . forme di teatro danzato, . elaborazione di altri progetti e attività di spettacolo (teatro delle marionette e dei burattini, teatro delle ombre, realizzazione di audiovisivi). c) Interpretazione grafica del materiale sonoro e notazione musicale: Ob. Int. E.S.M. 5 - Sviluppare la capacità crescente di interpretare graficamente la produzione sonora sino a giungere ad una iniziale conoscenza operativa della notazione musicale.Ob. Spec. E.S.M./c 1 - Sviluppare la capacità di simbolizzare i suoni ed i rumori con l'intenzione di forme spontanee di notazione;Ob. Spec. E.S.M./c 2 - Sviluppare la capacità di registrazione grafica, mediante segni convenzionali, della durata e delle caratteristiche di un evento sonoro musicale ed extramusicale;Ob. Spec. E.S.M/c 3 - Sviluppare la capacità di lettura della notazione musicale, sia in ordine al canto che alla esecuzione strumentale, con l'adozione di sistemi facili.

19.11. EDUCAZIONE MOTORIA

Il paragrafo relativo all'educazione motoria, se da un lato rivela una nuova visione di quest'area disciplinare sulla base di una concezione unitaria della persona umana e del suo processo di sviluppo e maturazione, dall'altro presta il fianco a numerose critiche, tanto da poter essere considerata come un vero e proprio "anello debole" dell'intero impianto del testo programmatico stesso. Nel considerare gli aspetti positivamente innovativi, primo fra tutti appare proprio il termine "educazione motoria", che si distacca in modo definitivo da quella che fino ad oggi era stata per le scuole di ogni ordine e grado l' "educazione fisica". Occorre innanzitutto riconoscere come le parole abbiano uno spessore semantico che viene progressivamente determinandosi in rapporto allo sviluppo della cultura sociale, come pure ai contesti motivazionali di riferimento. Il termine educazione fisica, come pure quello ancora più riduttivo di "ginnastica", potrebbe in effetti dar luogo ad un pericoloso equivoco derivante dall'arbitraria separazione tra l'aspetto senso-percettivo-morfologico-funzionale da un lato, e dall'altro i vari aspetti e le dimensioni dello sviluppo della personalità umana: come se il corpo umano fosse una sorta di macchina che funziona per conto proprio indipendentemente dalla sfera psichica e mentale del soggetto e dalla sua esperienza affettiva e socio-relazionale. Da questa concezione dicotomica sono derivati sul concreto piano dell'esperienza e della prassi scolastica due errori fondamentali: da un lato, il tecnicismo addestrativo della ginnastica e dello sport che mira a risultati e prestazioni specializzate e, all'opposto, la riduzione dell'attività motoria a puro momento ricreativo, quasi un intervallo tra periodi di apprendimento curricolare, più impegnativi e più importanti. Nei Nuovi Programmi l'attività motoria viene invece considerata e proposta come vera e propria attività educativa e di apprendimento, sulla base di una concezione unitaria, integrale e integrata della personalità umana, nelle sue dimensioni "morfologico-funzionale; intellettivo-cognitiva; affettivo-morale; sociale (cit. Prog. '85).La corporeità e il suo dinamismo funzionale ed espressivo non sono visti come aspetti a sé stanti nell'uomo, ma come condizioni di essere nel mondo e di rapportarsi con l'universo naturale e sociale. Pertanto l'educazione motoria si prefigge il sano e corretto sviluppo funzionale dell'organismo, la padronanza, il controllo e il coordinamento della motricità, collegata intimamente ai processi di acquisizione e di elaborazione della conoscenza, dello sviluppo linguistico e logico-matematico, della comunicazione intersoggettiva. Si può ricordare al riguardo la psicologia genetica di Piaget, secondo cui le operazioni logico-formali si costruiscono a partire dalle operazioni concrete e queste, a loro volta, si strutturano sulla base di esperienze senso-percettive e motorie. Opportunamente, nei Programmi, l'attività motoria viene finalizzata alla "presa di coscienza del valore del corpo, inteso come espressione della personalità e come condizione relazionale, comunicativa, espressiva e operativa" (cit. Prog. '85) in una visione adeguata della sostanziale unità psico-fisica dell'uomo.

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"L'uomo, e il suo cervello, in quanto coordinatore della vita organica e psichica, opera come un tutto in cui le funzioni analitiche e sintetiche si integrano reciprocamente e non possono fare a meno le une delle altre. La legge che governa l'agile movimento della nostra mano o quello delle corde vocali e delle labbra non è sostanzialmente diversa da quella che atteggia la danza e l'accompagna con la musica, o dalla misura che si svela nei mirabili intrecci della natura vegetale o animale" (M. Laeng, op. cit., p. 10).Negli ultimi periodi si è parlato molto spesso di "educazione psicomotoria", introdotta per scopi terapeutico-riabilitativi in Francia nel 1935 per merito di E. Guilmain e diffusasi in Europa ad opera di Picq e Vayer, di Lapierre e Aucouturier. Essa pone come principio fondamentale l'unità della persona umana e fa costante riferimento alle basi neurofisiologiche del comportamento motorio e dell'apprendimento. È grazie ad essa che è stata ad esempio analizzata la correlazione tra gli apprendimenti della lettura e scrittura e l'organizzazione dello schema corporeo, fra l'acquisizione delle nozioni spazio-temporali e lo sviluppo dell'orientamento lateralizzato. Il suddetto termine non è però menzionato nel testo programmatico: si è preferita la più semplice denominazione di "educazione motoria". Ci sono motivazioni che giustificano questa scelta. In primo luogo il termine di psicomotricità può apparire in un certo senso pleonastico, se si considera che non può darsi una motricità se non su base psichica, non rappresentando mai essa un puro meccanismo. La motricità è sempre e comunque l'espressione di funzioni e dinamismi che si realizzano entro determinate condizioni psichiche, sensoriali, percettive,emotive, cognitivo-intellettuali e socio-relazionali. D'altro canto, la recente diffusione nelle scuole materne ed elementari della teoria e prassi psicomotoria non sempre è avvenuta con sufficiente preparazione sul piano scientifico e metodologico-didattico generando in molti casi una moda superficiale che ha condotto a schematismi ed irrigidimenti tecnicistici. Nel testo vengono implicitamente accolti alcuni contributi fondamentali della teoria psicomotoria come, ad esempio, per quanto riguarda gli obiettivi e attività concernenti la rappresentazione dello schema corporeo, l'affermazione della lateralità, il consolidamento della dominanza, l'acquisizione degli schemi topologici. La seconda parte del testo programmatico, relativa ad obiettivi e contenuti, ha dato adito al maggior numero di critiche, anche perché per molti aspetti si pone in aperto contrasto con la visione organica e globale illustrata nella parte che la precede. Tale sezione del testo viene illustrata nel seguente schema:

EDUCAZIONE MOTORIAObiettivi generali Sezioni di contenutoPromuovere lo sviluppo delle capacità relative alle funzioni sensopercettive

Funzioni sensopercettive

Consolidare gli schemi motori posturali e dinamici Schemi motori posturali e dinamiciSviluppare comportamenti relazionali Comportamenti relazionaliCollegare la motricità alla comunicazione gestuale e mimica, drammatizzazione, rapporto tra movimento e musica

Comunicazione gestuale e mimica

OBIETTIVI DISCIPLINARI GENERALIObiettivi Sezione SettorePromuovere… Funzioni sensomotorie Percezione, conoscenza e coscienza del

corpo (visiva, uditiva, tattile, cinestesica)

Consolidare… Schemi motori posturali e dinamici Coordinazione oculo-manuale e segmentaria

Sviluppare… Comportamenti relazioni Organizzazione spazio-temporaleCollegare… Comunicazione mimo-gestuale Coordinazione dinamica generale

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OBIETTIVI SPECIFICIObiettivi dicapacità

Settore Segmento Rif. Obiettivi generali

Ob. 1 Integrare Coordinazione dinamica generale

Capacità coordinative Esprimere

Ob. 2 Conseguire Conoscenza del corpo Dominanza Manipolare oggettiOb. 3Consolidare

Conoscenza del corpo Lateralità Manipolare oggetti

Ob. 4 Favorire Coscienza globale e segmentaria del corpo

Esperienze di esplorazione e scoperta

Toccando indicando esami-nando, manipolando, ecc., il corpo e gli oggetti e le loro varie parti

Ob. 5 Favorire l'impiego di

Gesti efficaci Destrezza nella precisione e regolarità

Ob. 6 Favorire l'acquisizione di

Nozioni spaziali Concetti di: vicino-lontano, sopra-sotto, avanti-indietro, alto-basso, corto-lungo- grande-piccolo, destra-sinistra, ecc.

Spostandosi o meno, rife-rendosi ad altri, riferendosi ad oggetti, guidando gli altri

Ob. 7 Favorire l'acquisizione di

Nozioni temporali Concetti di: prima-dopo, adesso, contemporanea-mente, successivamente, prima di, dopo di, insieme, lentamente, velocemente, ecc.

Ob. 8 Favorire la Padronanza del corpo Coordinazione Manipolare oggettiOb. 9 Favorire la Consapevolezza del corpo-

segnoEspressione corporea Rilevare i significati delle

proprie: posizioni, espres-sioni del volto, sguardo, gesti, ecc.

Ob. 10 Favorire la Consapevolezza del corpo-segno

Interpretazione corporea Rilevare i significati delle proprie: posizioni, espres-sioni del volto, sguardo, gesti, ecc.

Ob. 11 Favorire la Comunicazione del corpo-segno

Comunicazione corporea Rilevare i significati delle proprie: posizioni, espres-sioni del volto, sguardo, gesti, ecc.

La critica più frequente che viene rivolta a questa impostazione è il peccare di meccanicismo: gli obiettivi non risultano in effetti molto diversi da quelli dell'educazione fisica tradizionale: cambia solo la formulazione. Inoltre essi sembrano ricondursi nell'ambito di un modello analitico dell'attività motoria. "Nel programma di educazione motoria l'impianto culturale si rivela assai povero, i riferimenti al destinatario sono ricalcati su un'immagine di bambino che è assai poco sincronizzata con il bambino reale di 6-11 anni, il formalismo esasperante delle attività, al di fuori dei quadri contenutistici, rischia di tradursi in artificialismo settorializzante: è a suo modo legittimata l'attuale situazione di gravissima carenza di strutture fisico-sportive a livello di scuola elementare. Insomma, viene psicologizzato un corpo nell'impossibilità (o nella non volontà?) di accettarne la complessa interazione psicofisica" (Maragliano-Vertecchi, op.cit., p. 71). Le indicazioni didattiche correggono le indicazioni di obiettivi e contenuti poiché raccomandano forme di attività ludiche polivalenti, "il che provoca una situazione ambigua: se l'insegnante si attiene agli obiettivi (...) interpreta i programmi in termini di esercizi specifici. (...) Se fa riferimento alle indicazioni didattiche (attività ludiche, giochi

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motori spontanei) si pone la domanda: "come intervenire?". Rischia così di non prendere sul serio l'educazione motoria e di lasciare i bambini ai loro giochi. La psicologia insegna che, quando la situazione è ambigua, la tendenza generale è mettersi da parte ( ... ) e ne deriverebbe un gran danno perché l'attività motoria è il principio dinamico di ogni sviluppo" (P. Vayer, Grammatica e sintassi dell'educazione motoria in AA. VV., I nuovi programmi della scuola elementare, op.cit., pp. 280/281).La scuola elementare favorisce le attività motorie e di gioco-sport, nell'ambito di una educazione finalizzata alla presa di coscienza del valore del corpo come:. espressione della personalità,. condizione relazionale, comunicativa, espressiva,. condizione operativa. Nel promuovere tali attività essa, mentre considera il movimento, al pari degli altri linguaggi, totalmente integrato nel processo di maturazione dell'autonomia personale, tiene presenti gli obiettivi formativi da perseguire in rapporto a tutte le dimensioni della personalità: - morfologico-funzionale; - intellettivo-cognitiva; - affettivo-morale; - sociale.Finalità E.M.1 - Promuovere lo sviluppo delle capacità relative alle funzioni senso-percettive cui sono connessi i procedimenti di ingresso e di analisi degli stimoli e delle informazioni.Finalità E.M.2 - Consolidare e affinare, a livello concreto, gli schemi motori statici e dinamici indispensabili al controllo del corpo e alla organizzazione dei movimenti;Finalità E.M.3 - Concorrere allo sviluppo di coerenti comportamenti relazionali mediante la verifica, vissuta in esperienze di gioco e di avviamento sportivo, dell'esigenza di regole e di rispetto delle regole stesse sviluppando anche la capacità di iniziativa e di soluzione dei problemi;Finalità E.M.4 - Collegare la motricità all'acquisizione di abilità relative alla comunicazione gestuale e mimica, alla drammatizzazione, al rapporto tra movimento e musica, per il miglioramento della sensibilità espressiva ed estetica.(Le finalità indicate concorrono allo sviluppo delle caratteristiche morfologico-biologiche e funzionali del corpo e allo sviluppo della motricità in senso globale e analitico.)Obiettivi:Ob.Gen. E.M. 1 - Compiere e inibire movimenti globali o segmentari del corpo ed assumere atteggiamenti o posture: . dinamici (del camminare, correre, saltare, afferrare, lanciare, strisciare, rotolare, arrampicarsi, ecc.); . posturali (nel flettere, inclinare, circondurre, piegare, elevare, estendere, addurre, ruotare, oscillare, ecc.).Ob.Gen. E.M. 2 - Ampliare il più possibile il repertorio di schemi motori e posturali, in ciascuna fase dello sviluppo.Ob.Gen. E.M. 3 - Sviluppare la capacità di movimento intenzionale in un rapporto continuo con l'ambiente.Ob.Gen. E M. 4 - Educare i meccanismi di percezione, coordinazioneselezione ed esecuzione presenti in qualsiasi azione motoria intenzionale. a) Percezione, conoscenza e coscienza del corpo.Ob. Int. E.M. 1 - Sviluppare le capacità di percezione visiva, uditiva, tattile e cinestetica, mediante l'analisi, la selezione e la sintesi delle informazioni acquisite toccando, esaminando, indicando, usando le varie parti del corpo, giocando e manipolando gli oggetti, Ob. Spec. E.M./a 1 - Favorire la graduale costruzione dello schema corporeo, inteso come rappresentazione dell'immagine del corpo nei suoi diversi aspetti: globale e segmentario, statico e dinamico.Ob. Spec. E.M./a 2 - Integrazione dell'immagine del corpo con gli aspetti: . relazionali, . emotiviti . affettiviti . motivazionali, per una completa consapevolezza corporea.

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b) Coordinazione oculo-manuale e segmentaria.Ob. Int. E.M. 2 - Promuovere le capacità coordinative deputate: . alla scelta o organizzazione dello schema di movimento, . alla direzione attuativa del movimento significativo, . al controllo ed alla regolazione del gesto.Ob. Spec. E.M./b 1 - Sviluppare la capacità di coordinazione oculomanuale e segmentaria con attività manipolative semplici di: . piccoli oggetti, . attrezzi di gioco.Ob. Spec. E.M./b 2 - Apprendere le modalità per affermare la lateralità per il consolidamento della dominanza cerebrale.Ob. Spec. E.M./b 3 - Favorire la regolarità, la precisione, la fluidità dei gesti-motori fini.Ob. Spec. E.M./b 4 - Favorire la regolarità, la precisione, la fluidità degli apprendimenti grafici.c) Organizzazione spazio-temporale.Ob. Int. E.M. 3 - Promuovere in ogni alunno, il controllo del comportamento motorio finalizzato.Ob. Spec. E.M./c 1 - Attuare giochi di esplorazione dell'ambiente per la costruzione ed l'organizzazione dello spazio fisico-geometrico.Ob. Spec. E.M./c 2 - Attuare ed organizzare la partecipazione in giochi con regole, per costruire ed organizzare lo spazio relazionale.Ob. Spec. E.M./c 3 - Favorire l'intuizione della successione temporale delle azioni organizzando la partecipazione dei compagni nei giochi con regole: . su schemi liberi, . su schemi prestabiliti, . senza attrezzi, . con attrezzi, . in forma individuale, . in forma collettiva.Ob. Spec. E.M./c 4 - Favorire l'orientamento nello spazio.Ob. Spec. E.M./c 5 - Favorire l'acquisizione di concetti spaziali: . vicino/lontano, . sopra/sotto, . avanti/dietro, . alto/basso, . corto/lungo, . grande/piccolo, . sinistra/destra, . ecc.Ob. Spec. E.M./c 6 - Favorire l'acquisizione di concetti di concetti temporali: . prima/dopo, . contemporaneamente/insieme, . ecc.Ob. Spec. E.M./c 7 - Favorire l'acquisizione di concetti relativi alle strutture ritmiche: . piano/forte, . lento/veloce,. ecc.d) Coordinazione dinamica generale.Ob. Int. E.M. 4 - Controllare il movimento finalizzato ad una motricità sempre più ricca ed armoniosa: . sul piano dell'espressione, . sul piano dell'efficacia.

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Ob. Spec. E.M. 1 - Collegare i gesti fondamentali del gioco-sport, attraverso situazioni di gioco e di attività via via più complesse.Attività:Le attività motorie devono essere praticate in forma ludica, variata, polivalente, partecipata. Compito dell'insegnante sarà di programmare e suggerire i giochi più idonei al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Si farà inizialmente riferimento (6-7 anni) a tutta la vasta gamma di giochi motori frutto della spontanea e naturale motricità dei fanciulli, attingendo sia all'esperienza vissuta, sia alla più genuina tradizione popolare, utilizzando giochi simbolici, d'imitazione, di immaginazione, ecc. Il gioco è quindi sempre da sollecitare e gestire in tutte le sue forme e modalità (d'invenzione, di situazione, dei ruoli, di regole, ecc.). Nella seconda fascia d'età (8-11 anni) il raggiungimento di congruenti livelli di autonomia e legato alla ricchezza delle esperienze educative vissute, alla ampiezza della base motoria, al complesso delle capacità coordinative acquisite. In una prospettiva realmente formativa, acquistano in tal senso rilevanza tutte le attività polivalenti (percorsi, circuiti, ecc.) ed i giochi di squadra con regole determinate dagli alunni o assunte dall'esterno (quattro porte, mini-basket, minivolley, minihandball, ecc.), ovvero attività sportive significative (preatletica: corse, salti, lanci; ginnastica: agilità, ritmo; esperienze di nuoto, ecc.) per cogliere i veri significati sociali e culturali dello sport.

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CAP. XX - L'AMBITO ANTROPOLOGICO

Storia, geografia, studi sociali si ritrovano unite nei Programmi in un'area che ha come oggetto di studio gli uomini e le diverse società attraverso il tempo e lo spazio, nel passato e nel presente, considerati sotto il profilo sociale, politico, economico, culturale.Si evidenzia uno stretto legame tra queste tre aree: la configurazione geografica può condizionare i mutamenti storici e viceversa; le condizioni politiche sono talvolta le conseguenze, tal altra le anticipazioni di fenomeni economici, tecnologici, ecc. In questa visione globale i fenomeni della realtà, passata, presente, futura, possono essere letti non in modo settoriale, ma all'interno di un sistema organico i cui elementi sono interdipendenti tra loro.STORIAL'impostazione offertaci dai Nuovi Programmi apre la strada ad una didattica interdisciplinare che ha come fulcro l'uomo costruttore ed organizzatore della realtà. Il grande obiettivo interdisciplinare espresso dal Documento è di condurre l'alunno attraverso la presa di coscienza e l'analisi della cultura "vissuta, assorbita direttamente dall'ambiente di vita, alla cultura come ricostruzione intellettuale" in cui l'indagine sull'uomo nel suo ambiente, nella sua organizzazione sociale, nel tempo e nello spazio, trovi spiegazione attraverso "idee sintetizzatrici interdisciplinari che riconducono ad unità le molteplicità delle conoscenze come unitaria è l'esperienza umana" (A. Valdambrini, Nella prospettiva socio-antropologica in AA. VV., I nuovi programmi della scuola elementare, op. cit., p. 217). L'ambizioso progetto conduce, se non ad un ripudio, ad un energico ridimensionamento di quanto fino ad oggi era ritenuto componente essenziale della didattica della storia, la dimensione contenutistico-espositiva e mnemonica.Il carattere ripetitivo caratterizzato da una cognizione sterile di date, nozioni, aneddoti, in una didattica centrata sui grandi avvenimenti determinati dai grandi eroi, mal si adegua al vissuto del fanciullo. "Si è compreso che il bambino, che all'inizio dell'età scolare ha un atteggiamento prevalentemente egocentrico, può prendere possesso del mutamento della realtà con la quale interagisce e riuscire pian piano, attraverso prove concrete e continue ristrutturazioni, a superare l'irreversibilità temporale man mano che diventa protagonista attivo nella conquista cognitiva dell'ambiente che lo circonda. Ma egli può divenire cosciente della realtà in cui vive, a storicizzarne il passato, solo confrontando problemi e concetti che trae dalla vita reale, rapportata per comparazione analogica o per contrasto a luoghi e tempi diversi e mai rimandando alla pura memoria contenuti riferiti al passato, avulsi dal suo mondo e lontani dalle sue motivazioni. È chiaro che una storia così intensa incentra la sua azione su di un metodo nuovo" (A. Valdambrini, op. cit., p. 216). Per rispondere alle specifiche esigenze del fanciullo è quindi necessario un cambiamento di prospettiva che sposti l'obiettivo da una storia politico-diplomatica a una storia che recuperi "l'istanza di significatività, rispetto al soggetto che ricostruisce la propria identità culturale, per quanto embrionalmente", con la necessità di "scegliere tematiche in modo rappresentativo dal complessivo itinerario della storia degli uomini" (C. Scurati-P. Calidoni, op. cit., p. 107).Dalla lettura del testo programmatico possiamo riconoscere come struttura portante il metodo della ricerca storiografica. Il bambino, all'interno della sua esperienza, si pone delle domande rivolte ad una realtà che non è mai a sè stante: "Tutto intorno a noi è storicamente divenuto: gli attrezzi di cucina, l'orologio, le posate, il mobilio, la casa stessa; le strade, gli edifici, le piazze, il modo di vestire, la lingua, le istituzioni, i mestieri e le professioni, le idee e comportamenti. È su una realtà che il bambino può esperire che bisogna porre domande significative. Sono domande sulla trasformazione e mutamento di cose, oggetti, istituzioni, mestieri, ecc. che il bambino vede e può osservare, che occorre soddisfare" (D. Antiseri, Teoria e pratica della ricerca nella scuola di base: domande pedagogiche, risposte epistemologiche, La Scuola Brescia 1986, p. 148).Solo partendo dalla lettura della "geografia della sua storia" (A. Valdambrini, op. cit., p. 218) il bambino impara a interrogare la sua vita e quella degli altri; ricercando le somiglianze e i contrasti tra la "sua" storia e quella della sua società potrà meglio cimentarsi nello studio dei tratti di altre culture e società. Al fine di una costruzione dei grandi quadri sociali in cui si è svolta la vita degli uomini, si dovrà impostare la ricerca su quei "problemi con i quali l'uomo si è dovuto confrontare: procurarsi i beni necessari per vivere, spostarsi da un luogo ad un altro, organizzarsi socialmente, comunicare con i propri simili, raccogliere e conservare le conoscenze (cit. Relazione

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Fassino). Siffatti problemi "si sono presentati in modi diversi ed hanno avuto soluzioni diverse" per le più svariate ragioni, e si vedrà come la loro soluzione dà proprio origine ai differenti quadri delle grandi società. In questa ricostruzione il ragazzo viene avviato al superamento di un concetto di tempo vissuto o soggettivo per giungere al concetto di tempo storiografico che permette la vera e propria ricostruzione storica. In questa "gli eventi vengono esaminati nel loro evolversi (successione, durata, trasformazioni lente e risoluzioni); vengono collocati nello spazio e confrontati con altri eventi (contemporaneità, interazione, rapporti tra fenomeni, differenze); vengono cronologicamente determinati e situati nella linea del tempo; vengono periodicizzati, cioè raggruppati e visti come fenomeno globale che ha dato un'impronta ad un'epoca" (V. Zamborlini, Didattica della storia in AA. VV., Maestri anni 90, Le Monnier 1991, p. 414). Una didattica formativa deve permettere ai bambini la costruzione del loro sapere storico, attraverso un approccio per problemi, proposta di ipotesi, controllo di queste sulla base del materiale vagliato, poiché "se il sapere storico viene narrato i bambini non lo costruiscono". (D. Antiseri, op. cit., p. 152)

GEOGRAFIANegli ultimi anni la geografia, da scienza fondamentalmente descrittiva, statica, ha assunto caratteri sempre più dinamici, e pertanto di interconnessione con le altre discipline. Una suggestiva immagine di quest'area ci è suggerita da M. Laeng: "che cos'è infatti la geografia se non lo studio della terra come dimora dell'uomo? (...) Virtù e difetti della geografia dipendono dalla sua natura essenzialmente relazionale (...) che vuol dire rete di rapporti causali esplicativi, sistema di concetti interpretativi, interdisciplinarità nella considerazione inseparabile di dati fisici ed aspetti antropici".Ci si presenta una geografia come "scienza di sintesi" radicata nelle sue fasi fisico-naturalistiche, ma nel contempo sviluppata come "ecologia dei sistemi viventi" (AA. VV., I nuovi Programmi della scuola elementare, op. cit., pp. 221/222) in rapporto al suolo, alle acque, al clima; la relazione tra uomo e ambiente non si delinea a senso unico bensì in un rapporto di "circolarità" (G. Petter, Psicologia e scuola primaria, Firenze ed. Giunti 1987, p. 309). Vengono con ciò sottolineate sia l'attività modellatrice dell'uomo nei confronti dell'ambiente, sia le opportunità ed i limiti che le componenti "non antropiche" pongono all'uomo condizionandone l'esistenza. Gli insegnanti vengono invitati "a non spiegare la geografia, ma a farla" (W. Bendazzi, Storia e Geografia in AA. VV., I Programmi della scuola elementare, Armando 1986 Roma, p. 129 ). L'attività del bambino che si appresta a fare geografia dovrà essere equivalente in tutto e per tutto all'attività del geografo, sperimentando in prima persona le problematiche in cui incorre l'esperto nell'esercizio della sua professione. Chiaramente tutto questo avverrà nel rispetto delle specificità didattiche richieste dal fanciullo in questa particolare fase dell'età evolutiva, "in cui la conoscenza dei rapporti spaziali si libera dal "realismo" inteso Piagetianamente, sviluppando gradualmente le capacità di operare su dati che non sono immediatamente contenuti nella realtà che sta sotto gli occhi. Si tratta di una fase delicata di coordinamento delle percezioni spaziali e di acquisizione di un metodo scientifico di analisi della realtà" (E. Draghicchio, in AA.VV., I Nuovi Programmi della scuola elementare, op. cit., p. 179).Da un punto di vista metodologico, occorre che la geografia divenga esplorazione e studio dello spazio ambientale, nelle sue interrelazioni, cioè, come espresso dal testo programmatico, attività di ricerca ambientale e di ricostruzione di paesaggi geografici vicini e lontani. Essa deve diventare "geografia-vita" (…) partendo dall'esperienza diretta del bambino, dal suo vissuto: "già l'immediato intorno al soggetto, che comincia dal corporeo per estendersi allo spazio prossimo, se non è ancora geografia, è già però inizio di quelle capacità di coordinamento che sono alla base della stessa geografia. Quando il bambino cerca di costruire mentalmente la mappa del percorso da casa-scuola e viceversa è già geografo in nuce; invitandolo a disegnare su carta l'immagine già concepita, è farlo diventare geografo di fatto. Quando la mappa disegnata viene ricollocata all'interno di carte a scala via via più elevata, essa diventa consapevolezza geografica matura" (S. Zamborlini, op.cit., p. 442). L'itinerario didattico attraverso l'osservazione e problematizzazione di paesaggi geografici "significativi" (dallo spazio prossimo a quello via via più remoto) dovrà prevedere l'organizzazione di "situazioni di apprendimento nelle quali gli alunni siano avviati alla utilizzazione delle conoscenze e degli strumenti concettuali e metodologici che il

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geografo mette in opera, e siamo condotti alla costruzione progressiva dei primi schemi di riferimento e delle prime chiavi di lettura dei paesaggi geografici" (W. Bendazzi, op. cit., p. 132).I quattro diversi concetti di spazio di pertinenza dell'area geografica (fisico-rappresentativo-progettato-codificato) emergeranno da una base unica, che è lo spazio "vissuto" del bambino in un processo di ricerca che lo vede come attore principale della propria formazione.

STUDI SOCIALILo studio dell'uomo nel tempo e nello spazio trova in questa terza sezione dell'area antropologica necessaria integrazione con l'osservazione delle forme di vita associata tipiche della specie umana. La ricerca sociologica assume importanza determinante per la comprensione della struttura e della dinamica dei fenomeni sociali che sono vissuti dal fanciullo e ai quali dovrà un domani partecipare come cittadino. Viene ribadito "il ruolo che in questo momento la scuola gioca nella ricostruzione del legame tra compiti educativi e finalità socio-politiche. Nel proporsi come struttura in grado di raccordare i diritti individuali con le esigenze di una società profondamente in trasformazione, la scuola deve favorire il pieno sviluppo della persona nel rispetto delle possibilità delle diverse visioni del mondo. È tempo ormai che l'uomo che ha preso coscienza della vita come partecipazione impari a vivere come protagonista reale. Per questo, ancora una volta, la scelta è educativa" (C. Volpi, Studi sociali in AA. VV., I Programmi della scuola elementare, op. cit., p. 145). L'itinerario metodologico dovrà condurre alla "conoscenza riflessa delle norme e regole della vita associata" (cit. Nuovi Programmi) attraverso l'esperienza diretta del bambino. Egli ha una conoscenza vissuta a livello intuitivo del mondo dei "grandi". Il "problema educativo della scuola" consiste nel reintrodurre il bambino "in quel mondo in cui egli già vive emotivamente e intuitivamente per le nuove vie della conoscenza ragionata" (R. Laporta, Il bambino e la società sotto il segno dell'esperienza in AA. VV., I Nuovi Programmi della scuola elementare, op. cit., p. 196). Il bambino dovrà svolgere una vera e propria ricerca sociale, attraverso attività motivate che partano da problemi concreti evitando dogmatismo e moralismo.

AMBITO MATEMATICO-SCIENTIFICOLa motivazione epistemologica che giustifica l'accorpamento in un unico ambito è perché entrambe tendono "a sviluppare la capacità di percepire i problemi e di dare spiegazioni rigorose alle soluzioni".MATEMATICA E FORMAZIONE DEL PENSIEROLa ricerca epistemologica e psicopedagogica (su cui ha avuto lungo peso la crisi della teoria Piagetiana sulla genesi del numero nel bambino), nonché la diversa domanda di formazione matematica dell'odierna società tecnologica hanno allargato e reso complessa l'architettura del concetto di matematica. I Nuovi Programmi recepiscono queste istanze profilando una educazione matematica che contribuisce "alla formazione del pensiero" sviluppando la capacità di "ordinare, quantificare, misurare fatti e fenomeni della realtà e formare le abilità necessarie per interpretarla criticamente e per intervenire su di essa" (cit. Programmi '85).La matematica diventa quindi strumento di lettura del reale, sul quale poi intervenire produttivamente. L'anima di un tale progetto sta nell'organizzazione di situazioni problematiche la cui soluzione preveda forme rappresentative ed elaborative di tipo matematico. "Il bambino tende a porre domande, ad analizzare situazioni problematiche, a mettersi nelle condizioni per "spuntarla" nei confronti di questioni a prima vista insormontabili. Quella sorta di "testardaggine" nel cercare soluzioni, la naturale propensione alla ricerca di risposte, di "perché" possono costituire fertile terreno di semina per interessi nel campo della matematica" (B. D'Amore in AA. VV., I Programmi della scuola elementare, op. cit., p. 80)."Educare alla matematica significa in primo luogo abituare a porsi problemi significativi, a tradurli in rappresentazioni matematiche adatte, a controllarne la risolubilità, a trovare e interpretare correttamente e validamente le soluzioni più adeguate" (M. Pellerey, Una matematica di base per il cittadino di domani in AA. VV., I nuovi programmi per la scuola elementare, op.cit., p.108). Troppe volte (anche per l'influenza delle teorie di Piaget) è stata considerata causa dell'insuccesso nelle operazioni matematiche una limitazione logico-intellettuale. Varie ricerche (es. Engelmann, Hughes, ecc.) hanno dimostrato quanto importante sia produrre apprendimenti "significativi" partendo dalla realtà esperienziale del bambino e

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superando quel formalismo che ha caratterizzato per molto tempo l'insegnamento delle competenze matematiche nella scuola elementare. Possono essere innestate tutta una serie di abilità (es. algoritmiche), "altrimenti si rischia di far apparire solo le sovrastrutture della matematica, e non la matematica" (B. D'Amore, op. cit., p. 98). Queste interazioni possono e devono essere altresì presenti anche con le altre aree disciplinari. Ad esempio, per l'attività di misura i Programmi mettono in risalto che "possono essere misurati sia gli aspetti della realtà fisica direttamente esperibili (lunghezze, tempi ...), sia aspetti della realtà economica e sociale (produzione, migrazione, variabilità delle nascite)".

PER UNA MENTALITÀ CRITICO SCIENTIFICAL'inserimento delle scienze come area autonoma rappresenta una delle innovazioni principali rispetto al tradizionale curricolo elementare. I Programmi del '55 difatti, contemplando un insegnamento unitario di storia, geografia, scienze, relegavano quest'ultima disciplina ad un ruolo secondario. La rivisitazione epistemologica e pedagogica ha condotto ad una riconversione del ruolo della stessa come fattore primario di conoscenza della realtà, e quindi della cultura, del pensiero, della storia umana.Diventa riduttiva una concezione "contemplativa" del rapporto con il reale (come espresso dai Programmi Ermini), di una "natura "bella e buona" per finire nell'inganno di un falso ecologismo; è invece aspetto peculiare della educazione alla scienza imparare a capire come l'uomo non sia spettatore inerte ed estaticodella natura, ma coinvolto nei suoi processi" (Ceccarelli, Grimellini, in AA.VV., I programmi della Scuola elementare, p. 206).Una impostazione ecologicamente cosciente delinea un nuovo ruolo dell'attività tecnica che "esce dal limbo delle attività manuali e pratiche strumentali di altre discipline, o all'organizzazione del materiale in classe. Il "fare ragionato" e il "sapere sperimentato" si fondono nell'attività scientifica, che oggi è considerata strumento di conoscenza e trasformazione della realtà attraverso l'applicazione tecnologica. Si potrebbe dire che così si è data dignità scientifica al fare e si sono poste le premesse affinché non solo si insegnino, ma si "facciano" scienze" (C. Scurati-P., Calidoni, op. cit., p. 97).I contributi epistemologici più recenti hanno dimostrato le lacune dell'idea di scienza come induzione. Il metodo delle scienze naturali, secondo la tradizionale concezione, consisterebbe nell'indurre leggi generali a partire da osservazione di fatti: esso presume la mente umana non un qualcosa di attivo, ma come un recipiente, una TABULA RASA, su cui si riflettono i fatti del mondo. Il primo a condurre a fondo la critica dell'induttivismo e ad elaborare una teoria della scienza alternativa, nota come razionalismo critico, è stato K. Popper.La prima confutazione è di ordine metodologico: non si può procedere all'osservazione, alla raccolta ed elaborazione di dati, se non si possiede già una teoria che faccia da guida, che deve preesistere alla fase empirica e non succederle. La nostra mente non è tabula rasa, ma una TABULA PLENA: siamo un VORVERSTANDNIS, vale a dire una "memoria biologico-culturale, siamo tutt'altro che la tabula rasa di cui parlò Bacone. La tabula rasa è una mente vuota, e una mente vuota non vede niente. Ed è certo che noi non ammiriamo Newton per la sua mente vuota o perché osservò mele cadere: noi ammiriamo Newton per quello che la sua testa riuscì a concepire, per la teoria o congettura che egli seppe creare con la sua tabula non rasa (... ). Interpretare senza pre-giudizi è come voler guardare senza occhi" (D. Antiseri, op. cit., p. 17).Una seconda confutazione è di tipo logico: l'induzione empirica non esiste. Nulla, infatti, autorizza a generalizzare i dati raccolti dato un certo numero di ricorrenze, per quanto alto esso sia, non è mai lecito inferirne la generalizzazione. Il Popper propone una nuova teoria epistemologica "fallibilista" che concepisce la conoscenza come essenzialmente congetturale o ipotetica, cioè come conoscenza fallibile o smentibile di principio. L'Antiseri ci offre una sintesi organica del discorso fallibilista: "una teoria, per poter passare nel corpus delle teorie scientifiche, deve poter venir controllata di fatto; ma perché una teoria possa venir controllata di fatto, essa deve poter essere controllabile di principio; e una teoria è controllabile di principio se da essa sono estraibili

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conseguenze che descrivono osservazioni possibili di fatti ed eventi dell'universo. E siccome questi fatti ed eventi possono accadere o non accadere, una ipotesi è controllabile se, pur potendo venir confermata, può venir anche falsificata" (D. Antiseri, op. cit., p. 39).I Programmi di scienze risentono sensibilmente di questa nuova visione del progresso scientifico proponendo una didattica che parte dai "problemi": "problemi pratici o problemi teorici, da controversie, da idee in difficoltà; da supposizioni falsificate ad opera di fatti "brutali", da osservazioni problematiche. Questa partenza che si effettua dai problemi motiva l'apprendimento e l'insegnamento delle teorie scientifiche. Suscita, cioè, l'interesse nei ragazzi. È il fondamento della motivazione. Qualsiasi altra partenza, sia che prenda l'avvio dalle formule o dalle "osservazioni", è una falsa partenza. La partenza dai problemi è il primo antidoto contro quel tipo di nozionismo costituito da teorie o da osservazioni che si offrono come risposta a nessuna domanda" (D. Antiseri, op. cit., p. 111).

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BIBLIOGRAFIA GENERALE

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