la banconota - numero 56 - dicembre 2008
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La rivista periodica del Gruppo Banco DesioTRANSCRIPT
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N. 56 - Dicembre 2008
StrategieBrera, il quartiere dal profumo antico
Finanza e Investimenti2008: l’anno dei record negativi
L’opinioneFondi comuni immobiliari:com’è cambiata la normativa fi scale
CostumeLa “fi nanziera” del re, le “borse” di Gladstone
ItinerariIl Monferrato: buon vino, buon cibo e non solo
Nuove tecnologieOggi la tv viaggia via cavo telefonico
Luca Manzoni eRosa Maria Cassata
Nuncas, un’aziendaattenta ai valori etici
Sommario
3
la Banco nota
Nuova Serie
N. 56 - Dicembre 2008
Direttore Responsabile:Luigi Gavazzi
Comitato di Direzione:Riccardo Battistel, Luigi Gavazzi,Alberto Mocchi, Marco Sala, Umberto Vaghi
In Redazione:Alessandra Monguzzi
Collaboratori:Enrico Casale, Giovanni Cec ca tel li, Grazietta Chiesa, Alessandra Monguzzi,Marco Piazza, Francesco Ronchi
Impaginazione:Diego Poletti
Testi, fotografi e e disegniRiproduzione vietata copyright ©. Tutti i diritti di riproduzione in qual-siasi forma, compresa la messa in rete, che non siano espressamente per fi ni personali o di studio, sono riservati.Per qualsiasi utilizzo che non sia individuale è necessaria l’autorizzazione scritta da parte di Il Sole 24 ORE Business Media. Qualsiasi genere di materiale inviato in Redazione, an-che se non pubblicato non verrà in nessun caso restituito.Nel caso la rivista sia pervenuta in abbonamento o in omaggio, si rende noto che i dati in nostro possesso sono impiegati nel pieno rispetto del D.Lgs. 196/2003. I dati trasmessi a mezzo cartoline o questionari presenti nella rivista, potranno venire utilizzati per indagini di mercato, proposte commerciali, o l’inoltro di altri prodotti editoriali a scopo di saggio. L’inte-ressato potrà avvalersi dei diritti previsti dalla succitata legge.In conformità a quanto disposto dal Codice di deontologia relativo al Trattamento di dati personali art. 2, comma 2, si comunica che presso la nostra sede di Milano, via Patecchio 2, esiste una banca dati di uso re-dazionale. Gli interessati potranno esercitare i diritti previsti dal D.Lgs. 196/2003 contattando il Responsabile del Trattamento sig. Maurizio Bal-lerini ([email protected]).Dichiarazione PrivacyAi sensi dell’art. 10 della L. 675/1996, le fi nalità del trattamento dei dati relativi ai destinatari del presente periodico, o di altri dello stesso edi-tore, consistono nell’assicurare una informazione tecnica, professiona-le e specializzata a soggetti identifi cati per la loro attività professiona-le.L’Editore, titolare del trattamento, garantisce ai soggetti interessati i diritti di cui all’art. 13 della suddetta legge.
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Costo copia: € 2,00
La Banco nota
4 Brera, il quartiere dal profumo antico
8 2008: l’anno dei record negativi
12 Fondi comuni immobiliari: com’è cambiata
la normativa fi scale
16 Le origini delle Offi cine Reggiane
18 Crema: storia e preistoria
20 Monterotondo, la battaglia sbagliata
22 Nuncas, un’azienda attenta ai valori etici
26 La “fi nanziera” del re, le “borse” di Gladstone
30 Il Monferrato: buon vino, buon cibo e non solo
34 Oggi la tv viaggia via cavo telefonico
p. 4
p. 12
I più sentiti I più sentiti auguri auguri
di buone feste di buone feste a tutti i lettoria tutti i lettori
Strategie
4 La Banco nota
di Alessandra Monguzzi
Spesso, per citare una grande città, basta
richiamarne una zona o un quartiere
famoso: Soho per Londra, il Greenwich
Village per New York, la Ginza per Tokyo... e Brera
per Milano. Un quartiere, questo, che nella città
lombarda occupa un posto di rilievo, sia perché
è collocato ai margini del centro, e dunque fa-
cilmente raggiungibile da qualsiasi altra parte
della metropoli, sia perché nell’immaginario
collettivo rappresenta (rappresentava?) la zona
della trasgressione: qui si concentravano infatti
alcuni dei ritrovi più frequentati dal popolo della
notte: per citarne alcuni, il Giamaica, il Tombon, il
Due, e qui ancora oggi si raggruppa una miriade
di bar, di baretti, di ristoranti chic e di trattorie
più alla mano dalle più diverse frequentazioni in
caccia del suo profumo antico. Di giorno, invece,
Brera rimane al centro di una fascia cittadina ad
alta concentrazione lavorativa: a sud corrono
infatti le vie dell’Orso e Monte di Pietà (poche
centinaia di metri la dividono da piazza della
Scala), mentre a nord il quartiere tocca le vie
Pontaccio e Fatebenefratelli, che poi vogliono
dire via Solferino, via San Marco, via Moscova,
corso di Porta Nuova e corso Garibaldi, tutte
importanti per l’economia dell’intera città.
Un quartiere, meglio una zona, quella di Brera
con il suo circondario, che trasuda storia ad ogni
passo e dove ogni portone ed ogni negozio
avrebbero una propria vicenda da raccontare.
E dove sorgono istituzioni che illuminano ben
più di quelle vie. Basti citare - partendo proprio
Brera, il quartiere Brera, il quartiere dal profumo anticodal profumo antico
È questa una zona di Milano frequentatissima di giorno e di notte ed importante per l’economia
di tutta la città - Proprio qui, nella sua fi liale all’angolo fra via San Marco e via Moscova, il Banco
Desio off re alla clientela i servizi di Private Banking
Strategie
5La Banco nota
Nella pagina a fi anco, la
fi liale del Banco Desio di
via Moscova angolo via
San Marco a Milano, che
propone alla clientela
i servizi di Private
Banking.
Qui sotto, uno scorcio
dell’interno della fi liale
le vie Senato, Visconti di Modrone, Francesco
Sforza, Mulino delle Armi.
Fermiamoci un attimo proprio qui, in fondo
a via San Marco, per ammirare una delle opere
d’ingegneria idraulica del passato grazie a cui
era possibile superare la diff erenza di livello
esistente fra le acque del naviglio interno e
quelle del canale Martesana: la chiusa del Ponte
delle Gabelle, la cui costruzione, o perlomeno
l’ideazione, la tradizione popolare fa risalire a
Leonardo da Vinci.
Che il genio toscano all’epoca della realizza-
zione di questo tratto del naviglio facesse parte
del novero degli ingegneri di Ludovico il Moro è
certo, come è certo che si interessò ai problemi
dell’argomento, ma ciò purtroppo non basta
per attribuirgli la progettazione dell’opera, che
alcuni documenti dell’epoca - ci dice Wikipedia -
attribuiscono invece a Bartolomeo della Valle.
Risaliamo ora via San Marco in direzione di
Brera e, sull’angolo con via della Moscova, supe-
riamo il palazzo dove oggi si colloca una delle fi -
liali del Banco Desio in città, una sede prestigiosa
che off re alla clientela anche i servizi di Private
Banking. Poco più avanti, al semaforo successivo,
dal centro di Brera - la rinomata Accademia, da
cui sono usciti tanti degli artisti che hanno arric-
chito il panorama culturale cittadino, lombardo
e nazionale. Oppure, verso i Bastioni, il “Corriere
della Sera”, le cui pagine sono un punto di rife-
rimento per chi voglia un’interpretazione del
mondo che ci circonda.
Poi, per arricchire la rapida carrellata, come
non citare l’ospedale Fatebenefratelli, collocato
ai margini del quartiere e la cui origine risale al
1584 e a San Carlo, e il cui nome discende dal
fatto che i frati di San Giovanni di Dio, a cui fu
affi dato, quando questuavano dicevano “Fate
bene o fratelli a voi stessi”.
E come dimenticarsi del fatto che sempre la
stessa zona è stata per secoli toccata dalle acque
del naviglio Piccolo, come una volta si chiamava
la Martesana, canale progettato per portare le
acque del fi ume Adda fi no a Milano.
Il canale entrava in città nella zona dell’at-
tuale via Padova per arrivare poi alla fossa
dell’Incoronata e al laghetto di San Marco, e
per alimentare infi ne il naviglio interno, quella
sorta d’autostrada d’acqua che collegava la via
Fatebenefratelli con il sud della città attraverso
Strategie
6 La Banco nota
Un rapporto Un rapporto di fi duciadi fi duciaNell’aff annosa rincorsa all’innovazione fi nanziaria a tutti i costi,
alla sofi sticazione del servizio off erto e dei prodotti consigliati, il
Sistema ha perso la centralità e la semplicità delle esigenze del
cliente. L’obiettivo del Banco e dei suoi uomini private invece, oggi
come ieri, è sempre quello di soddisfare i clienti in maniera conti-
nuativa nel tempo, dove la solidità dell’azienda, la competenza,
la professionalità e l’umanità del private banker rappresentano
gli elementi che costituiscono le basi del rapporto.
La clientela private richiede una strategia mirata, anche in momenti
particolarmente tumultuosi come quelli odierni, che non si limiti
solo alla semplice off erta dei prodotti fi nanziari ma che scenda in
profondità, per far sì che il private banker venga percepito come
il corretto interlocutore.
Pertanto il vero valore aggiunto della relazione private deve essere
la semplicità, la fi ducia reciproca (cliente-private) e la chiarezza,
con l’off erta di servizi e/o di strumenti fi nanziari facilmente valu-
tabili e percepibili nella loro trasparenza e utilità.
L’antica chiusa del Naviglio in fondo a via San MarcoL’antica chiusa del Naviglio in fondo a via San Marco
La reception dei servizi di Private BankingLa reception dei servizi di Private Banking
Strategie
7La Banco nota
rendiamo omaggio ad uno dei già citati locali storici della Milano di notte,
quel Tombon de San Marc (si pronuncia “tumbun”) che era uno dei ritrovi più
frequentati dai viveurs dei secondi cinquant’anni del secolo scorso.
Se il Giamaica, grazie alla collocazione a pochi metri dall’Accademia, era
il naturale ritrovo di artisti e di aspiranti tali, e se al Due si davano appun-
tamento i più giovani, al Tombon si radunavano “tutti gli altri”, quelli che ci
stavano naturalmente, a partire dalle maestranze - gli operai, gli impiegati
e i giornalisti - del già citato quotidiano per fi nire agli studenti, ai gaudenti,
al popolo dei perditempo e a quello dei super impegnati di Milano per non
dire della Lombardia. Ora il Tombon si è rifatto il look, e non è più possibile
coglierne, già dall’esterno, l’antico profumo fatto di birre, di sigari e sigarette,
di superalcolici, di insalate e di panini consumati a profusione fi no alle ore più
piccole: il locale, inaugurato agli inizi degli anni sessanta, fu infatti fra i primi
ad ottenere il permesso di rimanere aperto dopo le 20 di sera.
Qui, appunto a qualsiasi ora della notte, come del resto in tutti gli altri
locali oggi diremmo cult della zona, era facile trovarsi trascinati in intermi-
nabili discussioni su un qualsiasi argomento, meglio se di taglio politico,
avendo per interlocutori a destra il rotativista del “Corriere” che attendeva la
mezzanotte per prendere servizio, e a sinistra il megadirettore galattico di
una multinazionale, di passaggio da Milano e venuto apposta a Brera dopo
la serata a teatro innanzi tutto per sentirsi libero, e poi magari per cogliere
appunto il profumo della città di notte.
Un profumo che, purtroppo, in Brera sembra essersi in parte consumato
con il volgere del millennio oppure trasferito verso altri lidi (ma i rotativisti
del “Corriere” hanno lasciato la zona molto prima...).
Come si presenta oggi il “Tombon“Come si presenta oggi il “Tombon“ La sede del “Corriere della Sera“, La sede del “Corriere della Sera“,
in via Solferinoin via Solferino
Finanza e Investimenti
8 La Banco nota
2008: l’anno 2008: l’anno dei record negatividei record negativi
Negli ultimi mesi la caduta dei corsi azionari e la crisi creditizia hanno raggiunto livelli
mai visti. I governi e le banche centrali hanno intrapreso manovre altrettanto eccezionali
I prezzi di azioni e obbligazioni societarie sono molto bassi, ma è ancora presto per fare
previsioni per il prossimo futuro
Il 2008 sarà ricordato come l’anno dei record
negli annali di storia economica e finanzia-
ria. Record di caduta dei corsi azionari, di
volatilità dei mercati, dell’ascesa e del crollo
del petrolio, di salvataggi delle grandi banche
e di manovre straordinarie volte a preservare il
funzionamento del sistema, ma anche record
di peggioramento sincronizzato del ciclo eco-
nomico internazionale.
Nell’ultimo anno e mezzo il sistema fi nan-
ziario internazionale ha iscritto nei bilanci
perdite per mille miliardi di dollari relativi a
svalutazioni di titoli in portafoglio e perdite su
crediti ed ha bussato alla porta degli azionisti,
dei governi e dei fondi sovrani raccogliendo
capitali per 900 miliardi. Nel frattempo il mer-
cato interbancario si è pressoché bloccato:
mai si era vista una situazione simile per un
periodo così lungo. Inizialmente era sembra-
to un problema di liquidità del sistema; poi le
Banche Centrali hanno inondato il mercato di
liquidità, prestando denaro a condizioni sem-
pre più vantaggiose e accettando in garanzia
anche titoli “rischiosi”.
La crisi dei mutui americani si è trasformata in
crisi di liquidità, poi in crisi di fi ducia ed infi ne in
una vera crisi del credito. I problemi di liquidità
e di deterioramento delle attività presenti nei
a cura dell’Uffi cio
Gestione Patrimoni
Mobiliari del Banco Desio
analisi al 27/11/2008
Finanza e Investimenti
9La Banco nota
bilanci di molte banche sono tuttora in corso;
inoltre in questi mesi sono stati davvero tanti
i colossi bancari e assicurativi salvati tramite
maxi aumenti di capitale, nazionalizzazioni o
aiuti vari da parte dei governi nazionali (Nor-
thern Rock, Bearn Stearns, Fannie Mae e Freddie
Mac, Aig, Merrill Lynch, Fortis, Dexia, Ubs, Credit
Suisse, Wachovia, eccetera) se non addirittura
falliti (American Home Mortgage Investment
Corp, Washington Mutual, ma soprattutto Leh-
man Brothers).
I governi e le banche centrali ci hanno messo
parecchio tempo, più dei mercati fi nanziari, a
valutare la gravità della situazione. Inizialmente
hanno messo in atto misure sparse, incomplete,
scarsamente defi nite e poco coordinate, man
mano sostituite da piani di una portata senza
precedenti, che oggi sembrerebbe suffi ciente
a scongiurare il pericolo di una crisi fi nanziaria
sistemica mondiale. Le misure sono principal-
mente volte a salvaguardare il sistema bancario;
mirano inoltre a favorire il credito ad imprese
e famiglie ed in ultimo a sostenere la crescita.
È diffi cile citare tutti i piani attuati o annun-
ciati, anche perché ogni giorno ne arrivano di
nuovi. Basti solo ricordare che le autorità ame-
ricane hanno ridotto i tassi uffi ciali dal 5,25%
all’ 1%; hanno fornito un’enorme liquidità al
sistema bancario prestando denaro in cambio
di titoli societari e cartolarizzazioni, nonché
comprando titoli emessi dalle “neo-naziona-
lizzate” agenzie Fannie Mae and Freddie Mac
ed obbligazioni garantite da mutui e da prestiti
vari; hanno organizzato il salvataggio di svariate
primarie banche e garantito i prestiti fi no a tre
anni emessi dalle banche americane. In Europa
misure analoghe sono state adottate per ga-
rantire i depositi interbancari e le obbligazioni
bancarie per gli istituti che ne fanno richiesta;
sono stati eff ettuati interventi di sostegno
fi nanziario e ricapitalizzazione alle banche in
diffi coltà, organizzati veri e propri salvataggi
sfociati talvolta in nazionalizzazioni; la Bce ha
ridotto il tasso di riferimento dal 4,25% al 2,50%
ed ha espresso l’intenzione di proseguire in tal
senso, mentre in Inghilterra e Svizzera i tagli
sono stati ancora più rapidi.
Sul fronte fi scale e della spesa pubblica, sono
stati annunciati vari piani a livello nazionale,
che dovrebbero mettere a disposizione circa
200 miliardi di Euro per i Paesi dell’Unione Eu-
ropea, tra incentivi fi scali alle imprese ed alle
famiglie, riduzione dell’IVA (in Inghilterra) ed
investimenti in infrastrutture. In America si do-
vrà attendere il 20 gennaio per l’insediamento
della nuova amministrazione Obama, ma è già
stato annunciato un imponente piano di ridu-
zione della tassazione sulle famiglie, di opere
pubbliche ed iniziative nel campo della ricerca
e dello sviluppo di fonti d’energia alternative.
Tanto sono imponenti e non convenzionali
le armi dispiegate in queste settimane, tan-
to impressionante è stato il peggioramento
congiunturale avvenuto in pochissimi mesi,
certifi cato dagli inquietanti dati sulla situazione
economica pubblicati a partire da settembre,
più o meno in coincidenza con il fallimento
di Lehman Brothers, vera pietra miliare per i
mercati e per il crollo della fi ducia. Non è chiaro
perché Lehman sia stata lasciata fallire, a dif-
Finanza e Investimenti
10 La Banco nota
ferenza di altre banche d’aff ari; forse perché
le potenziali perdite sarebbero state troppo
alte, forse per un errore di valutazione, o forse
perché non adeguatamente appoggiata presso
le alte sfere. Sta di fatto che in poco tempo i
consumi sono calati, sempre più aziende hanno
annunciato utili in calo, ridotto la produzione
e tagliato personale. Interi settori sono entrati
in profonda crisi, primo fra tutti l’automobi-
listico, dove società come General Motors e
Ford sono a rischio di fallimento, salvo possibili
aiuti pubblici. Negli Stati Uniti sono già stati
distrutti 2 milioni di posti di lavoro e tutto fa
temere un peggioramento nei prossimi mesi.
Il settore immobiliare resta in piena crisi, con
un numero elevato di case invendute, prezzi
in discesa e aumento dei pignoramenti per
mutui non onorati.
La contrazione di consumi e produzione
si sta verifi cando anche in Europa. Sul fronte
occupazionale il peggioramento è già preoc-
cupante in Gran Bretagna, Spagna e Irlanda,
mentre per Italia, Francia e Germania occorrerà
attendere ancora poco.
È possibile dunque che nel prossimo futuro
i tassi uffi ciali vengano tagliati in maniera si-
gnifi cativa, magari sotto il 2%, e che i Governi
integrino i piani già annunciati con interventi
più signifi cativi.
Anche in Asia la crisi sta facendo sentire i suoi
eff etti. Per questo il governo cinese ha annun-
ciato un piano d’investimenti in infrastrutture
ed abitazioni per circa 560 miliardi di dollari in
due anni che potrebbe essere accompagnato
da un ulteriore piano di stimolo fi scale. Inoltre
la Banca Centrale Cinese ha ripetutamente
ridotto il costo del denaro.
Il forte liberismo abbinato a scarsi controlli,
prestiti facili ed un eccessivo peso della fi nanza
sull’economia globale stanno facendo pagare
il conto tutto d’un botto e probabilmente ci
vorrà parecchio tempo perché il sistema si
normalizzi e si riprenda.
In America i consumatori dovranno passare
da una fase di oggettiva diffi coltà economica
ad una di maggiore oculatezza e cioè di mag-
giore risparmio e minore indebitamento. In
Europa è probabile che le cose vadano per le
Finanza e Investimenti
11La Banco nota
lunghe a causa del minore dinamismo che la
contraddistingue e della maggiore rigidità del
mercato del lavoro.
L’enorme impiego di capitali pubblici messo
in atto comporterà anche un trasferimento di
rischi dai bilanci privati a quelli pubblici ed in
eff etti il mercato sta già distinguendo gli Stati
solidi da quelli più fragili, attraverso un mag-
giore costo del debito pubblico. Inoltre i rischi
di una “cattiva spesa” e di creazione di nuove
bolle sono sempre in agguato, tanto più se
gli interventi non saranno accompagnati da
maggiore trasparenza e controlli sui mercati,
sugli operatori e sulle aziende. Per esempio
molte banche d’aff ari continuano a tenere fuori
bilancio importanti fette dei loro investimenti,
attraverso veicoli chiamati “Siv” (Structured In-
vestment Vehicle), che potrebbero costringerle
ad iscrivere nuove perdite nei bilanci, come
sta avvenendo da un anno a questa parte.
Qualcuno ha sentito alzarsi in coro le voci dei
politici per imporre una totale trasparenza in tal
senso? Un altro esempio riguarda l’effi cienza e
la trasparenza dei mercati: per anni le autorità
hanno imposto la concentrazione degli scambi
dei titoli azionari in mercati regolamentati (le
borse valori), ma recentemente si sta optando
per consentire la creazione di “borse private”
organizzate da singole banche d’aff ari o grup-
pi di banche. I recenti esperimenti sui mercati
obbligazionari non provano al momento che
ciò possa creare vera concorrenza, trasparenza
ed effi cienza.
Tornando ai mercati, l’unica certezza per
il prossimo futuro è che non è possibile fare
previsioni. Raramente nel corso della storia si
sono viste valutazioni così a buon mercato per
quanto riguarda l’azionario e le obbligazioni
societarie, ma queste stesse valutazioni erano
molto interessanti già a settembre, prima che
le borse crollassero di un ulteriore 20%. Prima
di poter tornare ad investire con un ragionevo-
le grado di confi denza e di serenità, occorrerà
probabilmente attendere non la fi ne della crisi
economica, ma quanto meno di poter avere
un’idea più concreta dell’entità della crisi.
Inoltre nei prossimi mesi i grandi acquirenti
potrebbero ancora latitare sui mercati “rischio-
si”: le banche saranno ancora impegnate a fare
pulizia nei bilanci, mentre la politica continuerà
a pressarle affi nché si sforzino nel concedere
più credito ai privati; i fondi d’investimento
tradizionali per ora sono costretti a vendere
per i riscatti e i fondi hedge stanno subendo in
aggiunta una restrizione repentina del credito;
in sostanza tutto il mondo economico e fi nan-
ziario sta riducendo la leva fi nanziaria.
Quanto ancora questo potrà durare, nessu-
no può dirlo. Certo è che si arriverà al punto
in cui i rendimenti dei titoli di stato saranno
così bassi e quelli potenzialmente off erti dalle
attività rischiose così alti (titoli societari ed
azioni in primis), che i gusti degli investitori
cambieranno. Mai come in questo periodo
è stato più vero che gli investimenti “rischio-
si” possono off rire un vero valore aggiunto
rispetto a quelli “sicuri”, ma solo per chi può
permettersi un orizzonte temporale lungo: i
mercati potrebbero restare in balia dei fl ussi
e della volatilità per diverso tempo ancora e
il complesso groviglio della situazione attuale
richiederà tempo per districarsi.
I Lions lombardi I Lions lombardi a congressoa congressoSi è svolto lo scorso 8 novembre
presso la Sala Convegni del Banco
Desio l’annuale Congresso d’Au-
tunno dell’International Associa-
tions of Lions Clubs, promosso dal
Distretto 108 IB1 Italy.
Alla presenza del governatore di-
strettuale Roberto Monguzzi, di
personalità del mondo lionistico,
del sindaco di Desio Giampiero
Mariani, e di oltre 250 delegati in
rappresentanza di 68 club della
Lombardia, Agostino Gavazzi,
presidente del Banco, ha dato
uffi cialmente l’avvio ai lavori del
consesso che si sono protratti per
tutta la giornata.
Nella foto, a destra il governatore
Roberto Monguzzi e Agostino Ga-
vazzi con sullo sfondo lo stendardo
dei Lions International.
L’opinione
12 La Banco nota
di Marco Piazza*
Fondi comuni Fondi comuni immobiliari: immobiliari: com’è cambiata com’è cambiata la normativa fi scalela normativa fi scale
Con scarsa tempestività - vista la grave
crisi dei mercati finanziari e anche di
quello immobiliare - il Governo ha
introdotto, la scorsa estate, una normativa
fiscale di maggior rigore per i fondi comuni di
investimento immobiliari italiani.
La conseguenza di più generalizzato inte-
resse, per il pubblico degli investitori, è l’ele-
vazione della ritenuta sui proventi del fondo,
dal 12,5% al 20%.
PROVENTI SOGGETTI A RITENUTA
La ritenuta si applica:
• sull’ammontare dei proventi distribuiti dal
fondo in costanza di partecipazione;
• nonché sulla diff erenza fra il valore di riscat-
to o di liquidazione delle quote e il costo di
sottoscrizione o d’acquisto, documentato
dal partecipante. Alcuni esempi:
Primo esempio:
il fondo immobiliare distribuisce un pro-
vento di 100 euro per ogni quota. La società
di gestione (o la banca, se le quote del fondo
sono negoziate in borsa) opera, all’atto della
distribuzione del provento, una ritenuta del
20%. Nei confronti delle persone fi siche, delle
società semplici, degli enti non commerciali
e degli enti esenti o esclusi da imposizione,
la ritenuta è a titolo d’imposta, cioè esaurisce
il rapporto tributario, senza che sia richiesto
alcun obbligo di dichiarazione dei redditi. Oc-
corre prestare attenzione al fatto che a volte il
fondo combina la distribuzione dei proventi,
con il rimborso del capitale originariamente
versato; pertanto, in questi casi, la ritenuta vie-
ne operata solo sul provento e non sulla quota
capitale, la quale, ovviamente, non è tassata in
capo all’investitore, ma deve essere sottratta
Il Governo ha elevato dal 12,5% al 20% la ritenuta sui proventi dei fondi comuni
di investimento immobiliari italiani - Vediamo cosa ciò comporta per gli investitori
L’opinione
13La Banco nota
dal costo di acquisto della quota, che risulterà,
quindi, corrispondentemente ridotto.
Secondo esempio:
l’investitore riscatta una o più delle proprie
quote investite nel fondo immobiliare oppure il
fondo viene posto in liquidazione, per cessazio-
ne del periodo d’investimento o per altre cause.
L’investitore riceve un corrispettivo di 1.200
euro per ciascuna quota. Il costo di sottoscrizio-
ne o di acquisto delle quote riscattate è 1.100
euro. La diff erenza di 100 euro è un provento
assoggettato alla ritenuta del 20% di cui si è
detto nel precedente esempio. Può accadere
che l’investitore abbia acquistato più quote in
epoche e prezzi diff erenti; ad esempio:
• 20 quote a 1000 euro
• 10 quote a 1.100 euro
e che riscatti solo una parte di esse; ad
esempio 15 quote, ottenendo un corrispettivo
unitario di 1.200 euro.
In questo caso, la legge concede all’inve-
stitore di stabilire in autonomia quali quote
considerare riscattate. Ovviamente, nel caso in
esame, preferirà considerare che le quote riscat-
tate siano tutte le 10 quote costate 1.100 euro
l’una, e solo 5 delle 20 quote costate 1.000 euro
l’una, così da minimizzare l’impatto fi scale.
DECORRENZA
DELLA MAGGIORE ALIQUOTA
Nel caso di rimborso delle quote (quindi
non anche nel caso di distribuzione di proventi
in costanza di partecipazione), continua ad
operarsi la ritenuta del 12,50 per cento fi no
a concorrenza della diff erenza positiva tra il
valore della quota risultante dall’ultimo rendi-
conto periodico redatto prima del 25 giugno
2008 e il costo di sottoscrizione o acquisto. In
altri termini, la parte di proventi maturata pri-
ma dell’aumento dell’aliquota resta indenne
dall’aumento. Di norma, l’ultimo rendiconto
è quello al 31 dicembre 2007. I fondi comuni
italiani, infatti, redigono rendiconti semestrali,
coincidenti con i semestri solari. Nell’esempio
sopra formulato, se a tale data il valore della
quota risultante dal rendiconto era 1.150, il
possessore sarà tassato al 12,5% su 150 euro
(diff erenza fra 1.150 e 1.000 euro) e al 20% su
50 euro (diff erenza fra 1.200 e 1.150 euro); se il
valore di rendiconto alla data del 31 dicembre
2007 era, invece, 1.250 euro, l’intero provento di
200 euro sarà tassato al 12,5%; mentre, infi ne,
se il valore risultante dall’ultimo rendiconto
era 900 euro, l’intero provento di 200 euro sarà
tassata al 20%.
Ma cosa succede se il valore di rimborso è
inferiore al prezzo d’acquisto della quota? La
diff erenza negativa è considerata minusvalenza
è può essere portata in deduzione di eventuali
successive plusvalenze realizzate su strumenti
fi nanziari soggette all’imposta sostitutiva del
12,5%.
Supponendo, quindi, che l’investitore sia
titolare di un portafoglio titoli diversifi cato,
comprendente, oltre ai fondi immobiliari anche
azioni quotate, obbligazioni, ecc.) e che tale por-
tafoglio sia affi dato in amministrazione ad una
banca, con opzione per il cosiddetto regime del
L’opinione
14 La Banco nota
“risparmio amministrato”, provvederà la banca
stessa a tenere memoria della minusvalenza
realizzata in occasione del riscatto della quota
e a compensarla con eventuali future plusva-
lenze derivanti dalla vendita, di altre quote di
fondi immobiliari (vedere sotto) o delle azioni
od obbligazioni.
Se invece, le quote del fondo immobiliare
sono in “regime dichiarativo”, la minusvalenza
troverà compensazione, in sede di dichiarazio-
ne dei redditi (quadro RT) con le plusvalenze
realizzate nell’anno e nei quattro successivi,
sugli strumenti fi nanziari tassabili al 12,5%.
Ricordiamo che la minusvalenza può avere
rilevanza, nell’ambito dei redditi diversi anche
in caso di rimborso di una quota non acquistata
sul mercato, ma sottoscritta all’emissione arti-
colo 67, comma 1 quater del Testo unico.
PLUSVALENZE
Può accadere che l’investitore, anziché
ottenere il riscatto della quota, la venda; ad
esempio, in borsa. In tal caso non consegue
un provento inquadrabile come “reddito di
capitale” e soggetto alla ritenuta del 12,5%,
ma consegue una “reddito diverso di natura
fi nanziaria” (plusvalenza).
La riforma non ha modifi cato l’aliquota
dell’imposta sostitutiva sulle plusvalenze, che
resta, pertanto, fi ssata al 12,5% per tutti i sog-
getti non esercenti imprese commerciali.
Solo, se oggetto della cessione sono i cosid-
detti “fondi immobiliari familiari” (rari casi di
fondi riservati a pochi investitori, fra i quali non
sono compresi, per legge, tutti i fondi quotati),
anche l’imposta sostitutiva sulle plusvalenze
sale al 20%.
La plusvalenza è data dalla diff erenza fra
il prezzo di cessione e il costo di acquisto o
sottoscrizione; non applicandosi l’articolo 45,
comma 1 bis del Testo unico (Assogestioni,
circolare 07/04/C, del 22 gennaio 2004, pag.
7), essa non deve venire depurata dell’incre-
mento di valore della quota risultante dal con-
fronto fra l’ultimo prospetto periodico prima
dell’acquisto o sottoscrizione e l’ultimo prima
della vendita, la quale, in caso di cessione, non
viene autonomamente tassata come “reddito
di capitale”.
Ciò premesso, è quindi possibile che, in
prossimità della distribuzione dei proventi
o della liquidazione del fondo, gli investitori
soggetti a ritenuta a titolo d’imposta (persone
fi siche non imprenditori, società semplici, enti
non commerciali) preferiscano cedere la quota
sul mercato; le naturali controparti saranno
contribuenti che subiscono la ritenuta a titolo
d’acconto (imprenditori individuali, nell’eser-
cizio d’impresa, società in nome collettivo e
in accomandita semplice, società di capitale
ed enti commerciali, stabili organizzazioni di
società ed enti non residenti) o non soggetti
a ritenuta (residenti in paesi white list di cui
al Dm. 4 settembre 1996; fondi pensione e
fondi mobiliari italiani o altri fondi immobiliari
italiani), o - per i motivi che vedremo oltre - in
regime di risparmio gestito.
FACCIAMO UN ESEMPIO
L’investitore ha acquistato, nel 2008, una
quota a 1.000 euro. Al momento in cui preve-
de il riscatto, il valore da prospetto (NAV) della
quota è 1.500 euro, mentre il prezzo di mercato
è 1.100 euro.
L’opinione
15La Banco nota
Banco DesioBanco Desio vittorioso a calcetto vittorioso a calcettoLo scorso sabato 15 novembre, presso
il Palaextra di Mariano Comense,
si sono affrontate in una partita
amichevole le squadre di calcetto del
Banco Desio - Parco Nord e del Sole 24
Ore Business Media. Il risultato fi nale
ha premiato la squadra del Banco, che
si è imposta per 7 gol a 5.
Nella foto, le due squadre, con i
giocatori del Banco Desio in maglia
rossa.
Se l’investitore riscatta la quota ottiene un
guadagno di 500 euro soggetto alla ritenta del
20%; se, invece vende la quota sul mercato,
ottiene un guadagno di 100 euro, soggetto
all’imposta sostitutiva sulle plusvalenze del
12,5%, a meno che non abbia minusvalenze
già realizzate che possano essere compensate
con la plusvalenza. E’ chiaro che, in questo caso
(che è il più probabile nelle attuali situazioni
di mercato) conviene riscattare la quota. Ove
invece lo spread fra il NAV e il prezzo di mer-
cato fosse meno marcato, potrebbe convenire
l’opposta soluzione.
IL RISPARMIO GESTITO
Per un difetto di coordinamento, la ritenuta
alla fonte sui proventi dei fondi immobiliari si
applica anche nei confronti dei contribuenti
in regime di risparmio gestito. In caso di rim-
borso della quota, la ritenuta è calcolata sulla
diff erenza fra il valore di rimborso e il prezzo
d’acquisto o sottoscrizione o, se successivo,
l’ultimo valore tassato nell’ambito del rispar-
mio gestito (Assogestioni circolare 55/06/C
del 22 maggio 2006, pag. 3). Consegue che
l’incremento di valore delle quote immesse in
risparmio gestito sarà tassato al 20% solo per
l’eventuale eccedenza rispetto al valore che
ha concorso a formare il risultato di gestione
al termine dell’anno precedente.
PRESUNZIONE DI RESIDENZA
Per motivi di cautela fi scale, è stata introdot-
ta una presunzione “relativa” (che cioè ammette
la prova contraria da parte del contribuente)
di residenza fi scale nel territorio dello Stato
delle società o enti non residenti se ricorrono
congiuntamente due diverse condizioni:
• hanno investito il loro patrimonio in misura
prevalente nelle quote di fondi immobiliari
italiani
• e se sono controllati, direttamente od indiret-
tamente, per il tramite di società fi duciarie o
per interposta persona, da soggetti residenti
in Italia.
Per quanto attiene alla nozione di controllo,
la norma fa espresso richiamo della nozione di
controllo prevista dal primo e secondo comma
dell’articolo 2359 del codice civile anche per le
partecipazioni possedute da soggetti diversi
dalle società. Scopo della norma è di evitare
che soggetti residenti in Italia siano invogliati
ad interporre società estere non soggette ad
imposta fra loro e i fondi immobiliari italiani, allo
scopo di conseguire redditi immobiliari di fonte
italiana in sostanziale franchigia d’imposta.
*Dottore commercialista e professore
di Economia e Tecnica degli scambi
internazionali presso
l’Università Cattolica di Milano
Nuove Filiali
16 La Banco nota
di Francesco Ronchi
Le origini delle Le origini delle Offi cine ReggianeOffi cine Reggiane
Come l’imprenditore Giuseppe Menada, direttore della SAFRE, riuscì a costituire una offi cina
meccanica specializzata nelle produzioni ferroviarie
Ai primi d’agosto 2008 il Gruppo Fantuzzi,
che dal 1994 aveva rilevato dall’Efim
le attività e il grande complesso pro-
duttivo delle Officine Reggiane, ha concluso
la vendita dell’area alla ex concorrente Terex,
multinazionale con sede nel Connecticut. La
vicenda viene seguita con grande attenzione a
Reggio Emilia, dove dal 2005 l’amministrazione
e il polo universitario locali hanno promosso
una serie d’iniziative culturali ed urbanistiche
con l’intento di conservare la memoria della
storica azienda meccanica, la prima della Pro-
vincia, che venne aperta nel 1901.
L’attenzione degli studiosi si concentra,
doverosamente, sul futuro dei complessi
residenziali, ormai anch’essi storici, sorti per
ospitare le famiglie degli operai ed operaie
delle Reggiane; che negli anni della II Guerra
Mondiale, prima dei bombardamenti del gen-
naio 1944, erano arrivati ad oltre 11 mila. Alla
vigilia del XX secolo Reggio contava poche
attività “industriali”: la latteria Faccioli e la Fab-
brica Spazzole Agazzani. La Cassa di Risparmio
deliberò un fi nanziamento a fondo perduto di
50 mila lire per chi avesse avviato una nuova
azienda. L’allora direttore della SAFRE (Soc. An.
Ferrovie di Reggio Emilia), Giuseppe Menada,
convinse l’ing. Policarpo Righi e il reggiano
Antonio Cuppini a partecipare col progetto
d’una offi cina meccanica.
Era la seconda metà degli anni ‘80, perio-
do in cui molti capitali s’indirizzavano verso
le costruzioni ferroviarie. Menada fu inviato
a Reggio per capire se fosse conveniente
costruire un collegamento tra Sassuolo (ai
piedi dell’Appennino) a Guastalla (sul Po), via
Scandiano, Reggio, Bagnolo e Novellara. Nel
1888 si costituì a Milano la SAFRE, fi nanziata
dalla Subalpina e dalla ben più grossa Banca
Generale di Genova. Menada divenne in pochi
anni un protagonista dell’economia locale. Ar-
chiviato il diffi cile periodo della crisi bancaria
del 1893-94, durante la quale crollò anche la
Banca Generale la SAFRE tornò rapidamente in
attivo, tanto da realizzare anche la diramazione
Bagnolo-Carpi.
Nuove Filiali
17La Banco nota
La fi liale del Banco Desio
di Reggio Emilia è
in Via Terracchini 1
Le costruzioni ferroviarie - Nell’autunno
del 1903 il nuovo governo Giolitti annunciò il
passaggio alla gestione diretta delle ferrovie
da parte dello Stato, che fu attuato nel 1905.
Pur non essendovi certezza sul destino delle
società di carattere provinciale (ad esempio
le Ferrovie Nord Milano mantennero la loro
autonomia) Menada comprese che era il mo-
mento di liquidare i soci e di concentrarsi sulla
produzione ferroviaria; dal dicembre 1904 la
Righi fu ricapitalizzata ed assunse una deno-
minazione analoga all’attuale. Ricordava nel
1906 il presidente: “Le Offi cine Reggiane han-
no modestamente iniziato con la costruzione
dei carri scoperti semplici, ....poi sono passate
ai carri merci, ai bagagliai,...sono giunte alla
costruzione di splendidi vagoni di terza classe
e stanno per tentare quelli di seconda classe,
per poi procedere, attraverso vagoni di pri-
ma classe, alla costruzione delle più perfette
vetture”.
Due erano gli ostacoli al suo programma: le
maestranze e i concorrenti. Sin dalle origini gli
operai si mostrarono molto sindacalizzati: era
stata massiccia nell’autunno 1904 l’adesione
allo sciopero generale voluto dai massimalisti.
Menada si dimostrò disponibile ad accettare
interventi di mediazione del socialista Luigi
Roversi, sindaco quasi ininterrottamente dal
1902 al 1917, ma ottenne anche una stazione
dei carabinieri in via F. Gioia, di fronte all’ingres-
so della fabbrica. La concorrenza era quella,
preventiva, della Ernesto Breda di Milano, il
maggior produttore italiano di locomotive.
Principale azionista della Breda era la Banca
Commerciale Italiana, la stessa che aveva fi -
nanziato Menada nel 1904. Tuttavia l’impren-
ditore piemontese fece valere i buoni rapporti
instaurati con uno dei massimi dirigenti della
Comit, Otto Joel, il quale proveniva dalla Banca
Generale. La Reggiane fu quindi autorizzata a
compiere il defi nitivo salto di qualità , ma con
forze proprie. Nel 1907 la tedesca Henschel
cedette la licenza sui disegni delle sue apprez-
zate “tre assi”; nel 1908 Menada, consapevole
dell’inesperienza delle maestranze reggiane,
acquisì la ditta di costruzioni ferroviarie No-
bili di Bologna, ed entrando nel capitale della
Metallurgica Ossolana si assicurò una fornitura
siderurgica diretta. Le prime quattro vaporiere
uscirono dalla Reggiane nel 1909; il rapporto
qualità/prezzo era tale che l’anno dopo le
Ferrovie dello Stato fecero un consistente or-
dinativo. L’impresa era avviata, e faceva ormai
parte della storia della città.
Nuove Filiali
18 La Banco nota
Crema: storia Crema: storia e preistoriae preistoria
La città lombarda conserva un ricco patrimonio di testimonianze del suo passato, sia quello
autentico, sia quello leggendario, legato all’ormai scomparso lago Gerundo
di Alessandra Monguzzi
Nell’antichità, la Lombardia non era quella
che conosciamo oggi: anche se non ne
rimane più traccia, la parte di pianura
compresa fra i territori di Bergamo e Cremona
era un grande acquitrino alimentato dalle ac-
que dei numerosi fiumi della zona, dall’Adda
all’Oglio, dal Serio al Lambro.
L’esistenza di questo acquitrino, a cui si è dato
il nome di lago Gerundo, sarebbe comprovata sia
dai sedimenti geologici, sia da alcuni riferimenti
contenuti in un testo di uno storico romano vis-
suto nel primo secolo d.C., Plinio il Vecchio.
Con il passare dei secoli i fi umi si scavarono i
letti defi nitivi, le acque del Gerundo pertanto si
ritirarono, lasciando emergere terre su cui anda-
rono a stabilirsi le prime popolazioni preistori-
che. In seguito, siamo già in epoca preromana,
in queste zone vennero a stabilirsi i Liguri e i
Veneti, i Celti e gli Insubri. Nel terzo secolo a.C. i
Romani assoggettarono la Gallia Cisalpina scon-
fi ggendo le varie tribù che l’abitavano e dando
vita alle prime colonie, quelle che sarebbero poi
diventate Milano, Pavia, Bergamo e Piacenza,
Lodi, Treviglio e Cremona.
Secondo quanto tramandano le cronache, la
città di Crema sarebbe sorta alcuni secoli dopo,
si dice esattamente il 15 agosto 570, quando per
sfuggire all’invasione longobarda gli abitanti
della zona, ancora ricca di acquitrini e paludi, tro-
varono rifugio in una località soprelevata, chia-
mata “isola della Mosa”. La difesa venne affi data
a due comandanti, Cremete e Fulcherio, dai cui
nomi discenderebbero appunto i due toponimi
Crema e Insula Fulcheria, il territorio posto fra i
Nuove Filiali
19La Banco nota
In apertura il Duomo di
Crema, dedicato a Santa
Maria Assunta
Il Banco Desio ha aperto
una fi liale a Crema, in
Via Cavour 13
fi umi Serio e Adda. Secondo altri studiosi sareb-
be avvenuto il contrario: dalle denominazioni
delle due zone deriverebbero i nomi dei due
condottieri, e per altri ancora Crema sarebbe
la semplice contrazione di Cremona.
Sia come sia, la zona e il nucleo primitivo
della città dovettero dapprima fare i conti con
i Longobardi e poi su su attraverso i secoli con
la dominazione dei Franchi di Carlo Magno, dei
signori di Milano, della Repubblica di Venezia,
di Francia e Austria.
Della preistoria di Crema e del periodo ro-
mano rimangono alcune testimonianze, quali
i resti di una villa conservati nel Museo Civico
cittadino, e vari manufatti, dalle primitive pie-
tre lavorate, asce e punte di freccia, ai reperti
in bronzo e in ceramica delle popolazioni pre-
romane. Interessanti i resti di alcune piroghe,
si pensa di periodo altomedioevale, utilizzate
per la pesca, per il trasporto delle merci, e come
mezzi di comunicazione in una zona solcata da
numerosi corsi d’acqua.
Ricche invece le testimonianze dei secoli
successivi: fra i luoghi di culto, basta citare il
Duomo, intitolato a Santa Maria Assunta, eretto
in stile gotico-lombardo fra il 1284 e il 1341, e i
cui interni sono stati completamente restaurati
a metà dello scorso secolo, e la basilica di santa
Maria della Croce, iniziata nel 1490, rotonda al-
l’esterno e dalla vasta sala ottagonale all’interno.
Senza dimenticare il Vescovado (1548) e, fra le
altre, le chiese dedicate a San Giovanni Battista
(1583), alla Madonna delle Grazie (1601), alla
barocca SS. Trinità (1737). Fra gli edifi ci pubblici,
da ricordare innanzitutto il Palazzo Pretorio (ora
Municipio), la cui costruzione inizia nel 1547, e il
Palazzo del Comune, di poco precedente (1525).
Della stessa epoca è il Torrazzo, adattamento di
una preesistente torre medioevale.
La città accoglie poi alcune splendide costru-
zioni gentilizie, da Palazzo Vimercati Sanseveri-
no, per secoli appartenuto alla famiglia che lo
ha eretto nel 1590, a Palazzo Benzoni (1627),
testimonianza dell’unico casato cremasco che si
insignorì in città. Da Palazzo Bondendi, ora Terni
de’ Gregori (1698), a Palazzo Bisleri, del 1840,
l’unico cittadino in stile neoclassico.
Rimangono poi alcune leggende, legate alla
fede, come i poteri miracolosi del Crocefi sso
custodito in Duomo, o risalenti all’antico lago
Gerundo. Lago che sarebbe stato popolato da
strani animali e da misteriose creature a forma di
serpente cui le popolazioni della zona diedero il
nome di draghi, magari per l’alito pestifero.
Favole? Forse no, se gli abitanti di Calven-
zano eressero 15 chilometri di mura alte tre
metri per difendersi dagli attacchi di un temi-
bile animale lacustre che viveva nei paraggi, e
a voler far risalire a queste bestie i reperti ossei
conservati in alcuni luoghi sorti attorno al Lago
Gerundo, quali una costola di 260 centimetri
appartenuta ad un animale catturato lungo il
fi ume Brembo, ed un’altra di 180, che sarebbe
quanto rimane di un drago del Gerundo ucciso
da un eroe locale.
Nuove Filiali
20 La Banco nota
di Francesco Ronchi
Monterotondo Monterotondo la battaglia sbagliatala battaglia sbagliata
Nell’ottobre 1867, la città fu il primo obiettivo di
Garibaldi nella sua spedizione per la conquista del
Papato - Fallita l’insurrezione di Roma, qui il Generale
decise di ripiegare
Tra le numerose questioni rimaste inso-
lute dopo l’improvvisa scomparsa di
Cavour nel 1861 v’era quella legata alla
sorte dello Stato Pontificio. Essa tornò attuale
all’indomani dell’ingloriosa vittoria del 1866
sull’Austria, quando l’alleato prussiano aveva
deciso di lasciare che fosse l’imperatore fran-
cese Napoleone III a ratificare il passaggio dei
territori promessi al Regno d’Italia.
Mentre nella capitale, Firenze, la cosiddetta
consorteria politico-fi nanziaria s’accordava con
i circoli economici veneti (esemplare il caso del
banchiere Giacomo Alvisi di Rovigo) a Roma il
Centro d’Insurrezione repubblicano contattò
il sessantenne Garibaldi, già comandante del-
l’esercito di volontari della Repubblica Romana
sconfi tto nel 1849 dalla coalizione austro-fran-
co-borbonica. Informato del fatto che il Centro
aveva promosso una raccolta di fondi per una
spedizione armata, nell’aprile del 1867 il gover-
no francese inviò una protesta formale; essa fu
tenuta in gran conto dal piemontese Urbano
Rattazzi, appena tornato alla presidenza del
Consiglio: nel 1862 egli aveva dovuto dimettersi
per le polemiche seguite all’impiego dell’eserci-
to contro i garibaldini in Aspromonte, e l’anno
seguente aveva sposato Maria Wise Bonaparte,
cugina dell’imperatore Napoleone III.
Rattazzi per alcuni mesi cercò d’illudere la
Sinistra che la Francia avrebbe forse accettato il
fatto compiuto se vi fosse stata una sollevazio-
ne “spontanea” di cittadini pontifi ci contro Pio
IX; ma in settembre il Generale, intervenendo
al Congresso per la Pace di Ginevra, si scagliò
contro il papato e dichiarò che intendeva met-
tersi a capo dei volontari raccolti da suo fi glio
Menotti, specialmente in Toscana. Allora Rat-
tazzi lo fece arrestare e il 24 settembre lo inviò
in domicilio coatto alla residenza sull’isola di
Caprera, sorvegliata da una piccola squadra
navale. Ma Garibaldi riuscì ad eludere la sor-
veglianza, ed esattamente un mese dopo si
trovava alla testa di circa cinquemila volontari
pronto ad attaccare le mura di Monterotondo,
difesa da 400 uomini e due cannoni.
L’irruente Menotti attaccò con una piccola co-
lonna porta S. Rocco, dove i garibaldini subirono
gravi perdite; essi decisero quindi d’occupare il
convento dei Cappuccini e di circondare la città,
Nuove Filiali
21La Banco nota
Monterotondo la battaglia sbagliata
La sede del Banco Desio
di Monterotondo è in
Via Salaria 201C, angolo
Via Papa Giovanni XXIII
che venne presa il giorno dopo. Intanto a Firen-
ze si consumava una lotta di potere tra Rattazzi
e il generale Enrico Cialdini, il quale mise ben
poco entusiasmo nell’ottemperare all’ordine
di fermare Garibaldi prima che s’estendessero
i combattimenti. Parigi infatti aveva consenti-
to a molti militari d’entrare nei ranghi (come
“volontari”) della Legione d’Antibo formata da
legittimisti francesi che intendevano riscattare
la sconfi tta di Castelfi dardo del 1860.
Tra i due litiganti il terzo a godere fu Luigi
Menabrea, che il 27 ottobre ottenne l’incarico
di formare un nuovo governo. Garibaldi, un po’
turbato dalla scarsa simpatia della popolazione
per la sua causa, dal 28 ottobre cominciò ad
inviare colonne armate in direzione di Roma.
Per la notte del 30 s’attendeva l’insurrezione
di Roma, che non avvenne. Vennero invece le
truppe pontifi cie, e dopo un breve scontro al
ponte Nomentano indussero il Generale a ri-
piegare verso Monterotondo; un buon numero
di avventizi, scoraggiati, decisero di tornare a
casa, come aveva consigliato in quella circo-
stanza Giuseppe Mazzini. Garibaldi nei giorni
seguenti riorganizzò i suoi uomini, cui con
ogni probabilità s’aggiunsero altri soldati fatti
passare per volontari, e nel pomeriggio del 3
novembre lasciò Monterotondo col grosso
delle truppe, in direzione di Tivoli. Intanto gli
zuavi pontifi ci, confi dando sull’apporto delle
due divisioni francesi sbarcate a Civittavecchia,
decisero d’attaccare la colonna garibaldina nei
pressi della vicina Mentana.
Lo scontro fu sanguinoso; nonostante la re-
sistenza di alcuni, stretti intorno ai due cannoni
presi a Monterotondo, il grosso dei volontari si
sbandò e iniziò a ripiegare su Monterotondo,
dove però mancavano viveri e munizioni suf-
fi cienti per poter resistere a lungo.
Così il giorno dopo Garibaldi sciolse uffi cial-
mente i volontari una volta raggiunto il confi ne
pontifi cio a Passo Corese, nei Monti Sabini. Lui
venne fatto tornare a Caprera; nei decenni se-
guenti i circoli politici che di Garibaldi avevano
fatto una bandiera avrebbero stravolto a loro
uso e consumo il senso di quella sfortunata
occupazione, tanto che a Mentana vennero
intitolate vie, piazze e monumenti, e nell’anno
1900 fu deciso d’attribuire una medaglia ai “li-
beratori di Roma”.
Cover Story
22 La Banco nota
Secondo la Nuncas la chimica deve rispettare l’ambiente
e l’uomo: ecco perché la sua missione è inquinare il
meno possibile. Sia con i suoi prodotti, sia con la sua
sede di Settimo Milanese, tra l’altro autonoma dal punto
di vista energetico
Chimica e ambiente: sembrano due ter-
mini irrimediabilmente inconciliabili.
Eppure c’è chi da anni lavora, giorno
per giorno, per affermare un nuovo concetto
di chimica più rispettoso del sistema naturale
e dell’uomo. Una chimica «amica» in grado di
non inquinare o, quanto meno, di inquinare il
meno possibile. È la Nuncas, un’azienda mi-
lanese che realizza prodotti per la cura della
casa. Il suo impegno per l’ambiente affonda
le radici in una storia pluridecennale che ini-
zia nel 1935 grazie all’idea di un imprenditore
intraprendente: Nunzio Cassata. Ne abbiamo
parlato con Luca Manzoni, attuale presidente
e amministratore delegato della Nuncas.
Com’è nata la Nuncas?
La Nuncas è nata nel 1935. È stata fondata
da Nunzio Cassata (il nome Nuncas deriva dalle
sue iniziali), il nonno di mia moglie Rosa Maria.
Nunzio Cassata era un commerciante che, a
seguito delle sanzioni imposte all’Italia dalla
Società delle Nazioni dopo l’invasione dell’Etio-
pia, dovette cessare l’attività di importazione
di pellami. Di fronte al crollo degli aff ari non si
perse d’animo e trasformò l’azienda in un’im-
presa di artigianato chimico. Il primo prodotto
fu il bianchetto per le scarpe e il cuoio bianco.
Allora si usava vestire di bianco e anche le
calzature dovevano avere quel colore. A ben
vedere già in quel prodotto era riassunta la
fi losofi a della nostra azienda e cioè la volontà
di rivolgersi a un consumatore esperto che
cura le proprie cose. Il bianchetto è rimasto in
produzione a lungo e ha trascinato il successo
dell’azienda. Nel frattempo il laboratorio in via
Camperio, prima sede della Nuncas, era diven-
tato insuffi ciente. Così si decise di spostare la
produzione in una cantina a livello strada in
via Monti a Milano.
di Enrico Casale
Un’azienda attenta Un’azienda attenta ai valori eticiai valori etici
Cover Story
23La Banco nota
Nella pagina a fi anco, la
sede della Nuncas,
la cui costituzione
risale al 1923
La Nuncas quando è passata da una
dimensione artigianale a una industriale?
Fino al dopoguerra, l’impresa ha mantenuto
una dimensione artigianale. La prima sede indu-
striale tout court fu quella di Bollate dove la pro-
duzione venne trasferita nei primi anni Sessanta
e da dove, nel 1985, sarebbe stata nuovamente
trasferita a Mazzo di Rho dove tuttora abbiamo
lo stabilimento. Fu Salvatore Pietro Cassata, su-
bentrato al padre Nunzio negli anni Cinquanta,
a far crescere l’azienda senza però cambiarne la
fi losofi a. Oggi come allora crediamo nella cura
artigiana, nell’impegno e nella passione nel fare
le cose, nella profonda conoscenza del mondo
della detergenza domestica, nella competen-
za nel ricercare soluzioni effi caci a problemi
di pulizia e cura della casa e della persona, nel
costruttivo utilizzo di un patrimonio di tecnica
ed esperienza acquisita negli anni. Noi vogliamo
rispettare alti standard qualitativi. Abbiamo uno
staff specializzato nell’attività di controllo della
qualità che sottopone a rigida verifi ca l’intero
processo di produzione: dalla selezione delle
materie prime e dei componenti, alle singole
fasi di lavorazione fi no al prodotto fi nito. Un
impegno che ci ha portato, nel giugno 2003,
all’ottenimento della certifi cazione ISO 9001-
2000. In breve ciò che contraddistingue la nostra
azienda è la ricerca dell’eccellenza e dell’inno-
vazione anche oggi che a gestire l’azienda è
la terza generazione della famiglia e inizia ad
aff acciarsi la quarta.
Quali signifi cati attribuite al concetto di
eccellenza?
La ricerca dell’eccellenza signifi ca che le for-
mule di base dei nostri prodotti sono tra le più
ricche esistenti in commercio perché quando
studiamo un prodotto non mettiamo limiti al
costo della formula: questa dev’essere la miglio-
re possibile e la più effi cace. La nostra azienda
è come un cuoco che per i suoi piatti sceglie
solo le migliori materie prime in commercio e
le mette insieme con sapienza per cucinare un
piatto eccellente. La Nuncas sceglie solo le ma-
terie prime biodegradabili, pure ed effi caci per
realizzare prodotti di grande qualità.
Cosa intendete per innovazione?
Per innovazione intendiamo la capacità di
capire in anticipo le esigenze del consumatore.
La ricerca e lo sviluppo garantiscono tale forza
innovativa grazie all’impegno e alla competenza
degli esperti del laboratorio chimico che testano
e sottopongono ad approfondite verifi che ogni
nuovo prodotto. Per esempio, per essere sem-
Il presidente e
amministratore delegato
Luca Manzoni
con la moglie
Rosa Maria Cassata
Cover Story
24 La Banco nota
pre innovativi anche nella particolare e delicata
categoria dei prodotti «insetticidi e disinfestanti
per uso domestico e civile», in Nuncas Italia è pre-
sente un’offi cina di produzione di presidi medico
chirurgici, autorizzata dal ministero della Sanità,
recentemente migliorata sia nella struttura che
nella impiantistica di produzione, così da garan-
tire igiene e ordine in tutti i processi. Il risultato
è che noi, che siamo una piccola azienda, siamo
copiati dalle grandi multinazionali.
La Nuncas è un’azienda italiana: voi tenete
molto alla vostra italianità?
Direi che l’italianità è una delle caratteristi-
che fondamentali della nostra azienda. Tutto
il mondo è concorde nel riconoscere all’Italia il
primato nell’arte del vivere, nell’uso di materiali
pregiati, nell’amore per la casa, nell’esperienza.
Questo patrimonio è fortemente espresso in
Nuncas attraverso la passione e la tradizione
nella fabbricazione di alta qualità e nella com-
petenza nel trattamento dei materiali pregiati.
Il nostro modello di impresa è molto simile
a quello delle aziende della moda. Abbiamo
cioè un nostro direttore creativo che cura sia gli
aspetti che riguardano la creazione del prodotto
e la sua immagine sia la fi losofi a dell’azienda.
Che le nostre scelte siano giuste è dimostrato
dai buoni risultati ottenuti sul mercato italiani
e su quello estero. Le nostre fi liali in Francia e in
Spagna, nate nel 2006, ci stanno infatti dando
le prime soddisfazioni.
Quali sono i vostri prodotti?
I nostri sono prodotti indispensabili per la
cura della casa e della persona. La gamma è
ampia: in listino abbiamo più di 200 referenze:
dalle cere ai detergenti per pavimenti, dai de-
tergenti per superfi ci a quelli per tessuti delicati
ai lucidanti per argento e materiali preziosi,
eccetera. Il marchio che ci contraddistingue è
Nuncas, che è anche quello più conosciuto e
riguarda tutti i prodotti per la cura e la pulizia
della casa (compresa la detergenza e la pulizia
dei tessuti). Abbiamo poi altri tre marchi: Livax,
nato nel 1952, che copre la gamma delle cere
per pavimenti e per mobili; Compagnia dei pro-
fumi, nato negli anni Novanta, che copre tutta la
gamma dei prodotti per la profumazione degli
ambienti e dei tessuti; Vittoria Verde, nato alla
fi ne degli anni Ottanta, che contraddistingue i
nostri prodotti per l’igiene e la cura della persona.
Questo marchio fa della ricerca della naturalità
il proprio principio ispiratore. Noi intendiamo
tutelare al massimo la pelle per evitare ogni ir-
ritazione. Il sottomarchio 0% contraddistingue
i prodotti nati per eliminare le sostanze nocive
per la cute.
La vostra è un’azienda rispettosa
dell’ambiente. Da che cosa nasce questa
vostra attenzione?
La Nuncas è un’azienda chimica e la chimica
è un settore importante per il sistema produt-
tivo nazionale e mondiale. Detto questo non
possiamo negare che le nostre lavorazioni
comportino rischi. Di questo ne siamo consci e
così cerchiamo di rispettare tutte le normative
che regolamentano il settore a livello italiano ed
europeo. Oltre a questo, negli anni abbiamo vo-
luto essere parte attiva nella difesa dell’ambiente
e lo abbiamo fatto in due modi. Innanzi tutto
partendo dai prodotti. Le nostre materie prime
sono attentamente selezionate dai ricercatori,
secondo criteri di atossicità e di alta qualità, per
eliminare tutto ciò che risulta essere pericoloso
o inquinante. I nostri prodotti detergenti sono
poi molto concentrati, per cui basta utilizzarne
dosi contenute per avere ottimi risultati. L’uti-
lizzo in piccole quantità immette nell’ambiente
La Nuncas è un’azienda
rispettosa dell’ambiente:
le materie prime che
utilizza sono selezionate
secondo criteri di alta
qualità
Cover Story
25La Banco nota
poco prodotto e quindi contribuisce a inquinare
meno. A ciò si aggiunge un’attenzione partico-
lare al packaging. Nuncas sta abbandonando
il Pvc (polivinilcloruro) per passare al Pe (polie-
tilene), una plastica più eco-compatibile e con
minor impatto sulla salute degli operatori che
lavorano il materiale ad alte temperature. Un
progetto questo premiato dalla Regione Lom-
bardia. Ma non ci fermiamo qui. Anche i cartoni
per le confezioni sono di carta riciclata.
Quali interventi avete posto in essere per
ridurre l’impatto ambientale?
Innanzi tutto siamo costantemente impe-
gnati nel progettare processi di produzione che
riducano al minimo emissioni, consumi e rifi uti.
È di esempio l’adozione nei nostri stabilimenti
di un impianto di evaporazione interno delle
acque refl ue che riduce notevolmente gli sprechi
d’acqua e quelli di energia.
Questa attenzione l’abbiamo avuta anche
nella realizzazione della sede di Settimo Mila-
nese che è la prima sede di un’azienda italiana
completamente autonoma dal punto di vista
energetico. Autonoma non signifi ca che ab-
biamo il pozzo di petrolio in giardino, ma che
produciamo in loco tutta l’energia che consu-
miamo. Come facciamo? Abbiamo installato un
campo di pannelli fotovoltaici che producono
la corrente necessaria per l’illuminazione, per
far funzionare la pompa di calore che serve
per dare fresco d’estate e caldo d’inverno e per
i computer. Abbiamo poi una serie di pannelli
solari che producono acqua calda. Abbiamo
infi ne realizzato una serie di accorgimenti (iso-
lamento delle pareti e delle condutture, colori
delle pareti, eccetera) che servono per eliminare
gli sprechi energetici. Abbiamo quindi messo
in campo tutto ciò che c’è di meglio e di più
avanzato sul mercato per far sì che la palazzina
uffi ci non emetta neppure un grammo di ani-
dride carbonica.
Questa sede però vi sarà costata molto più
di una sede normale...
È ovvio, però il costo maggiore è giustifi cato
dal fatto che non danneggiamo l’ambiente. Poi
credo che nel lungo periodo l’investimento avrà
un ritorno in termini di minori costi dell’energia
e di maggiore valore dell’immobile. Tutto questo
però richiede la volontà di fare un investimento
importante e di saper guardare avanti. Questa
sede è un simbolo della nostra coerenza: come
noi rispettiamo i nostri clienti dando loro prodotti
di massima qualità, lo stesso amore lo rivolgiamo
all’ambiente.
Come si svilupperà in futuro la Nuncas?
A prescindere dalla diffi cile situazione odierna
dei mercati mondiali, noi puntiamo a conquistare
uno spazio in Europa consolidando e crescendo
nei mercati francese e spagnolo e consolidando
il mercato italiano. Questo sempre nel rispetto
della nostra fi losofi a aziendale che non guarda
tanto al consumatore distratto, ma piuttosto a un
consumatore attento alla propria casa, ai propri
beni, ma anche ai valori etici delle aziende. Quei
valori di cui da sempre siamo i portatori.
Dal 2006 la Nuncas
dispone di fi liali in
Francia e Spagna
Società e Costumi
26 La Banco nota
Figura 1
Il futuro Presidente
americano Franklin D.
Roosevelt fotografato
nel 1900 in un
completo a tre pezzi,
o business suit
La “fi nanziera“ del re La “fi nanziera“ del re Le “borse“ Le “borse“ di Gladstonedi GladstoneDall’eleganza esclusiva alla confezione di massa: la
moda maschile dall’800 agli anni Trenta del XX secolo.
L’anglomania e l’infl uenza statunitenseL
’anglomania diffusa che caratterizzò l’ul-
tima parte del XVIII secolo tornò a farsi
viva dopo la metà dell’800, un periodo
in cui l’orgoglio nazionale britannico segnò
uno delle sue punte più alte. Intanto, l’amara
sconfitta subita dai francesi nella guerra franco-
prussiana del 1870 tolse alla Francia, atterrita
e demoralizzata, ogni velleità di rivincita sulla
tradizionale nemica d’Oltremanica, fosse pure il
miraggio di un ruolo predominante nella moda
maschile europea.
Il trionfo internazionale della Grande Espo-
sizione del 1851, voluta dal principe consorte
della regina Vittoria, il principe Alberto, dette
alla ricca borghesia e alla classe dirigente in-
glese la ferrea sicurezza sulla superiorità asso-
luta dei propri codici di riferimento, compresi,
ovviamente, quelli vestimentari. Già il secolo
XIX, passato il ciclone napoleonico, era stato
tutto impostato, per quanto riguarda la moda
maschile europea, sulle due forme-base sette-
centesche di tradizione inglese: l’abito a frac,
con o senza code - nato, come riding-coat, per
le cavalcate mattutine, tanto che nell’800 gli
inglesi lo defi niranno morning coat - e il “redin-
gotto” a falde, che oscillava da una lunghezza
fi no al polpaccio alle forme corte, strettissime
sui fi anchi, defi nendo la perfetta silhouette
dell’uomo romantico.
Fino al quarto decennio del secolo, si indos-
savano dei soprabiti, o surtout, alla francese,
che tendevano eff ettivamente a confondersi
con il redingotto, se non per certe soluzioni
ovatés, o con rifi niture in pelliccia, contro il
freddo. Il mondo dei soprabiti fu sconvolto,
nel 1838, dalla comparsa di una nuova forma
di Grazietta Chiesa
Società e Costumi
27La Banco nota
La “fi nanziera“ del re Le “borse“ di Gladstone
di surtout, il paletot, destinato a diffi cilissimi
esordi quanto a stabili successi. Originaria-
mente, con il termine inglese paltok veniva
indicato un rozzo giaccone di uso popolare,
usato soprattutto dalla gente di mare. Il mila-
nese “Piccolo Corriere delle Dame” ne salutò la
comparsa come “la moda più orribile, più sgra-
ziata, più ignobile che sia mai stata inventata...
Qual’è l’abito più di questo barbaro e informe,
che siasi mostrato in giro per la città?”. Ma non
era ancora spirato l’anno 1838 che le riviste di
moda ne registravano la vittoria “in onta a’ suoi
numerosi detrattori”.
Pochi anni più tardi, un altro elemento base
dell’abbigliamento maschile - a tutt’oggi non
completamente sconfi tto - ebbe a soff rire gli
stessi negativi commenti, che non risparmia-
rono mai le soluzioni “di confi denza” del vestire
cittadino. Nel 1857 fu la giacchetta a trovarsi
esposta alle critiche “modifere”, come si diceva
allora: “Specie di vestito che non è né marsina,
né redingotta... che appena copre le natiche,
che ha la forma di un sacco”. Non c’è che dire; la
società elegante, quella che ancora intendeva
confrontarsi con il modello aristocratico, disde-
gnava i riferimenti popolari cui rimandavano
questi elementi, ispirati proprio alla razionale
praticità degli abbigliamenti da lavoro. E dire
che, di lì a poco, i lions italiani saranno obbligati
ad accettare - e imitare! - un nuovo re, Vittorio
Emanuele II, che prediligeva la sua giacca “alla
cacciatora” anche in città!
Il fi glio, Umberto I, fu diverso dal padre e si
costruì un’immagine benevola ma severa, adat-
ta alla buona borghesia italiana che cercava,
nella famiglia reale, la “fi aba” della bella famiglia
e dei modelli da imitare. Come ci racconta Al-
fredo Oriani, il re veniva notato per l’uso molto
costante della “fi nanziera”, una lunga giacca
che giunge a coprire la parte superiore delle
gambe, sopra le ginocchia, spesso di tessuto
di lana nera, indossata sopra pantaloni della
stessa stoff a.
L’ultimo decennio dell’800 vide due novità
apparentemente poco eclatanti, destinate però
a lasciare una qualche impronta: la prima - i
risvolti in fondo dei pantaloni - si era andata
aff ermando lentamente, rispondendo alla pra-
tica esigenza di dover, poco elegantemente,
rovesciare all’insù l’orlo degli stessi tutte le volte
che pioggia o fango li mettevano a repentaglio;
ma prima dello spirare del secolo la rovescia
era già ormai entrata nel linguaggio sartoriale,
unendosi all’innovazione della piega centrale
stirata. Questa fu la pronta risposta alla tardi-
va “invenzione” della pressa per pantaloni che
liberò gli elegantoni tardo-ottocenteschi dalle
antiestetiche “borse” alle ginocchia, terrore di
ogni gentiluomo come del suo sarto.
L’aria stazzonata e un po’ sciatta fu, del resto,
una caratteristica tipicamente maschile nella
seconda metà dell’800; perfi no il grande Gla-
dstone, uno dei maggiori protagonisti della
politica britannica ottocentesca, veniva de-
scritto come se “fosse stato chiuso dentro una
valigia sulla quale poi qualcuno si fosse seduto”.
Questi (apparentemente) piccoli problemi ci
dimostrano come il mondo della moda avesse
già risposto alle sollecitazioni delle classi sociali
meno abbienti - artigiani, commercianti, piccola
Figura 2
1926, da sinistra:
costume da golf,
pantaloni di fl anella
con giacca, maglione a
motivi caleidoscopici
Società e Costumi
28 La Banco nota
e media borghesia - che non volevano più esse-
re escluse dalle novità cui potevano accedere i
ceti privilegiati. La produzione tessile aveva già
utilizzato, fi no dagli inizi dell’800, telai automa-
tizzati, e la vendita di tessuti al dettaglio aveva
già individuato, fi no dal secolo precedente, il
modo di rendere possibile l’esecuzione di abiti
in tempi brevissimi, grazie alla disponibilità di
mano d’opera a basso costo. L’industria della
confezione aveva, infatti, iniziato a funzionare
prima che la tecnologia fornisse strumenti più
adatti per una produzione rivolta alla vastissi-
ma domanda di moda, non esclusiva, a prezzi
accessibili.
Gli antichi regolamenti delle arti e mestieri,
con i loro statuti particolari e i loro privilegi
corporativi, erano stati aboliti dalla rivoluzione
francese con una sorta di deregulation, che non
era stata motivata dal progresso tecnologico,
a parte quanto detto a proposito della produ-
zione tessile, ma che causò la trasformazione
di operai qualifi cati, operai di sartoria, in lavo-
ratori “indipendenti”, disposti a lavorare per
conto terzi.
L’abbigliamento maschile fu il primo ad es-
sere prodotto serialmente; ne fu un esempio
Pierre Parissot, dettagliante di tessuti, che nel
1830 si lanciò nella produzione e nella vendita
al dettaglio di abiti maschili per una clientela
operaia, con il nome commerciale di “Belle
Jardiniére”.
Fino dall’inizio, dunque, l’humus più ri-
spondente alla nascente industria della “moda
pronta” fu la grande città, con il suo grande
mercato e il suo complesso e sofi sticato mec-
canismo di diff erenziazione sociale; il segreto
del ready-made risiedé, infatti, nel promuovere
ed ampliare l’eguaglianza della democrazia,
mantenendo in sé la diff erenziazione che è
l’essenza vera della società industriale. Le di-
versifi cate forme di consumo consentivano ai
lavoratori di dimostrare che essi partecipavano
alla nuova società e che non erano emarginati
come i poveri del periodo pre-industriale, senza
possibilità di miglioramento.
Gli ultimi decenni dell’800 apportarono,
quindi, grandi novità non tanto nell’”apparire”
maschile, ma sicuramente nella diff usione di un
apparire generalizzato in cui le diff erenze erano
date non più dalle forme, ma dalla qualità dei
materiali e del taglio. Tra le novità, la presenza
sempre più estesa del completo in tre pezzi - Figura 3
Tavola dalla rivista
americana
“Apparel - Arts”,
1934, vol.V - n.1,
“The Vacation wardrobe”
Figura 4
Una scelta di tessuti
tweed del famoso
negozio Gieves &
Hawkes, al n.1 di
Savile Row
Società e Costumi
29La Banco nota
giacca, pantaloni, gilet - eseguito nello stesso
tessuto, su cui, ovviamente, la confezione giocò
le sue carte migliori, (fi g.1) e nel paese - gli Stati
Uniti - dove la confezione raggiungeva qualità
e stile particolari, tanto da far giungere la sua
infl uenza anche nella vecchia Europa, soprat-
tutto tra le nuove generazioni.
Certo, non c’era l’eccellenza tradizionale della
sartorialità europea; ma la confezione americana
aveva assicurato un tono di informalità giovane
e gradevole, una leggerezza e una libertà in cui
il corpo si muoveva con assoluta spontaneità.
Nei primi decenni del ‘900, neppure il tragi-
co intervallo della prima guerra mondiale ap-
pannò il fascino del disinvolto modo di vestire
all’americana; anzi, anche gli storici della moda
inglese riconoscono, negli anni ‘20, la crescente
infl uenza americana assieme al grande interesse
per lo sport che fece accogliere anche in Italia,
in un regime politico non certo di anglofi lia, la
moda da golf, caratterizzata dai poco attraenti
calzoni “alla zuava” (fi g.2).
Molto di marca statunitense è il defi nitivo
abbandono degli alti colletti inamidati con il con-
seguente accoglimento di camicie a collo mor-
bido, di tessuti morbidi e , soprattutto, a disegni
colorati. Fitzgerald descrisse il protagonista del
suo principale romanzo, Gatsby, mentre mostra
alla donna amata le camicie del suo favoloso
guardaroba: a righe, a intrecci, a quadri, color
corallo, verde mela, lavanda, arancio pallido, di
fi ne batista, di fl anella leggera, di spessa seta
(fi g.3 ). Tra i ‘20 e i ‘30, con la massima diff usio-
ne in questo decennio, il completo in tre pezzi
- o business suit come ormai era defi nito dagli
anglosassoni - abbandonò il tessuto unito e si
rinnovò con un gioco di righe e di incroci, tra cui
incontrarono il maggior favore le righe “gessate”,
il pied-de-poul e l’invincibile “principe di Galles”,
di cui solo una seconda guerra mondiale riuscì
a mitigare il successo (fi g.4).
Nel tempo, questo successo può essere cal-
colato anche dalla regale denominazione che
lo identifi cò - principe di Galles -, altrettanto
verosimilmente attribuibile al futuro Edoardo
VII o al futuro Edoardo VIII e, dopo l’abdicazione,
futuro duca di Windsor. Se le diffi coltà sartoriali
legate al tessuto principe di Galles vennero ri-
petutamente indicate dalle maggiori riviste di
moda maschile - ancora nel 1939, “Adam” indi-
cava l’”arte” di raccordare i quadri come banco
di prova per i sarti di Savile Row -, l’eccentrica
fantasia riuscì ad emergere anche nella confe-
zione pronta (fi g.5).
Intorno al 1925, con l’avvento delle prime
rigature, si delineò nell’abito maschile quello
stile, geometrico e vigoroso, che ne costituì
il connotato essenziale per tutti gli anni ‘30:
l’imponente ampiezza delle spalle e l’evidenza
plastica del torso, create da solide imbottiture
e dai grandi risvolti a punta aperti nella giacca.
Era chiaro che l’ideale atletico dell’uomo forte
si andava imponendo, anche con sfumature
inquietanti: non tanto per la splendida muscola-
tura di Johnny Weismuller, campione olimpico e
primo Tarzan cinematografi co nel 1932, quanto
per certi exploit ginnico-militari che in quegli
anni suscitavano curiosità, provenendo dalla
Germania e dall’Italia.
Figura 5
Pagina da
“Apparel Arts”,
1936, vol.VI - n.III A
“Overseas wardrobe”
Alla scoperta di quella parte di Piemonte compresa fra Alessandria, Asti e Cuneo il cui centro
più importante, Casale, si fregia di alcuni tra i più bei palazzi nobiliari del barocco piemontese
Itinerari
30 La Banco nota
di Enrico Casale
Il Monferrato: Il Monferrato: buon vino buon vino buon cibo, e non solobuon cibo, e non solo
Qualcuno sostiene che la Toscana e, in
particolare, la zona del Chianti sia la
regione più affascinante d’Italia. Senza
nulla togliere alla Toscana, alla sua storia, alle
sue tradizioni, alla sua gente, c’è un’altra regione
che ha un fascino simile, una storia altrettanto
importante, tradizioni radicate. È il Monferrato,
quella terra, quasi tutta collinare, compresa tra
le province di Alessandria e Asti e che si estende
a sud fino all’Appennino ligure al confine con le
province di Genova e di Savona. È una terra di
vini, di buon cibo, di gente affabile. E non solo:
è un luogo da visitare, e dove soggiornare per
periodi più o meno lunghi.
La fertilità della terra e la favorevole posizione
per le vie di comunicazione tra il Mar Ligure e
la Pianura Padana, hanno fatto del Monferrato
una regione contesa e divisa dal Medioevo
all’età moderna. Nelle aree più favorevoli per il
controllo del territorio sorsero una serie notevole
di castelli, in gran parte espressione del sistema
feudale dei potenti marchesi di Monferrato: la
dinastia degli Alerami (X-XIV sec.) seguita da
quella dei Paleologi (XIV-XVI sec.).
Il dominio della regione venne conteso nel
tempo, oltre che dai Comuni e dalle Signorie
vicine, anche dalla Repubblica di Genova, dal
Ducato di Milano e dalla Casa dei Savoia. Nel
Cinquecento, con l’estinzione della dinastia dei
Paleologi, cessò l’autonomia del marchesato.
Il dominio del territorio fu tenuto dai Gonzaga
con alterne vicende in cui entrarono in scena,
oltre ai Savoia, anche le grandi potenze nazionali
europee, come la Francia e la Spagna. Con la
pace di Utrecht del 1713, il Monferrato passava
ai Savoia. La sua capitale, Casale Monferrato,
perdeva la supremazia, venendo spogliata di
importanti servizi e autorità. Dopo le guerre
napoleoniche e con la ricostruzione del Regno
Sabaudo, Casale e il Monferrato diventarono
Itinerari
31La Banco nota
Nella pagina a fi anco,
piazza Mazzini
a Casale MonferratoIl Monferrato: buon vino buon cibo, e non solo
rotative per la stampa. Casale poi è considerata
la capitale del cemento. Qui ha sede la multina-
zionale del cemento Buzzi Unicem.
Qui ha avuto sede anche uno stabilimento
della Eternit, ditta che produceva articoli di ce-
mento impastato ad amianto. Oggi la fabbrica è
chiusa, però Casale subisce ancora le conseguen-
ze delle lavorazioni. In tutta la città è presente un
alto tasso di amianto nell’aria, nell’acqua e nel
terreno, e molte persone continuano a soff rire
di malattie legate alla eccessiva esposizione
al pericoloso minerale. A Casale infi ne c’è una
fi orente industria del settore refrigerazione con
dieci aziende di primissimo livello. Il Monferra-
to casalese è una zona da visitare con calma e
attenzione. Al centro di questo territorio, c’è
ovviamente Casale, che è considerata la capitale
del Monferrato. Qui sorgono alcuni tra i più bei
palazzi nobiliari del barocco piemontese. A Ca-
sale è viva una piccola comunità ebraica che si
riunisce nella sinagoga barocca, tra le più belle
d’Europa, e tiene aperto un ricco museo di arte
ebraica. Poco distante dalla sinagoga, sorge il
duomo romanico con lo splendido nartece. In-
torno alla cittadina sorgono borghi che hanno
un fascino antico.
zone di frontiera e, dopo la sconfi tta di Novara,
resistettero a oltranza alle truppe austriache.
Il Monferrato può essere distinto in due aree
principali: il Basso Monferrato (delimitato a est
dai fi umi Po e Tanaro, a sud dalla valle del fi ume
Belbo e a ovest dai confi ni con Asti e Cuneo) e
l’Alto Monferrato (delimitato dalla Valle Bormi-
da e dall’Appennino Ligure). In questo articolo
ci occuperemo del Basso Monferrato la cui ca-
pitale è Casale. Questa zona dal punto di vista
dialettale, pur essendo in Piemonte, risente degli
infl ussi della lingua lombarda della Lomellina e
del Pavese, soprattutto nelle zone più vicine al
confi ne con la Lombardia.
Dal punto di vista economico è un’area che
ha saputo svilupparsi sia sul versante agricolo
sia su quello industriale. Nella zona pianeggiante
infatti viene coltivato il riso (come nelle vicine
province di Vercelli e Novara), ma nella zona col-
linare si producono ottimi vini: barbera, dolcetto,
grignolino, brachetto, malvasia, moscato.
L’industria conta su alcune aziende leader
nel loro settore a livello mondiale. Basti pensare
alla Bistefani, la celebre industria dei biscotti che
produce i deliziosi krumiri. Oppure alla Cerutti,
la più grande produttrice mondiale di macchine
Vignale Monferrato,
il paese della danza
Itinerari
32 La Banco nota
A pochi chilometri, c’è Terruggia, prima inse-
diamento romano poi feudo di diverse famiglie
nobiliari piemontesi. Presso l’oratorio di San
Grato è conservata la tela della Madonna con
i santi Giovanni Battista e Grato di Carlo Preda.
Proseguendo sulla statale per Asti, si incontra San
Giorgio, dominato dallo scenografi co castello,
dalla cui terrazza si gode uno dei più suggestivi
panorami monferrini. Andando oltre si incon-
tra Ozzano un tempo dominio degli Aleramo
e Paleologi. Qui si possono visitare il castello,
simile a una villa nobiliare, e la parrocchiale
di San Salvatore che ha un massiccio portale
rinascimentale.
A Treville, arroccata su una delle cime più alte
del Monferrato casalese, sorge la parrocchiale
dedicata a Sant’Ambrogio in stile barocco. Pas-
seggiando tra i fi lari si può raggiungere la pieve
di San Quirico, costruzione romanica, meta dei
pellegrinaggi della via Francigena. A Sala la pas-
seggiata al colle S. Francesco domina il paese e
off re una splendida vista sul Monferrato. Nella
chiesa di San Giacomo si trovano importanti
opere del Caccia e dell’Alberini.
A Camagna si entra nel Vignalese. Qui si può
vedere con l’imponente cupola della parrocchia-
le di San Eusebio e, sempre sulla stessa strada, si
può proseguire verso Conzano, defi nito il paese
dell’arte per le frequenti mostre in Villa Vidua.
Vignale invece è il paese della danza e ospita la
prestigiosa manifestazione internazionale che si
tiene solitamente a luglio e ad agosto. Arroccato
sulla collina e circondato da vigneti, tra le sue vie
si scorgono edifi ci e monumenti, tra cui Palazzo
Callori, nel quale ha sede l’Enoteca regionale, che
hanno fatto la storia del Monferrato. A Cuccaro
non è da perdere la strada interna che collega il
paese a Lu. La strada può essere percorsa a pie-
di, in bicicletta o a cavallo e off re una delle viste
panoramiche più suggestive del Monferrato.
Dopo aver lasciato Casale, se si imbocca la stra-
da della Mandoletta, si entra nella Valle Ghenza
e si incontra Rosignano, arroccato sul cucuzzolo
della collina ricoperta di boschi e vigneti. Il paese
ha una storia molto antica. La sentinella di Casale,
così era chiamata nel Seicento, conserva nel cen-
tro storico e nelle sue numerose frazioni chiese
e castelli, case nobiliari e alcuni belvedere che
meritano una passeggiata. Di fronte a Rosignano
sorge Cella Monte, il paese del tufo e della musi-
ca. Qui è interessante passeggiare tra le vie per
ammirare e scoprire gli infernot, specole vinarie
scavate nel tufo sotto le case, defi nite anche le
«catacombe» del vino.
Moleto invece è un antico borgo saraceno
di raro fascino, ormai abitato da pochissime fa-
miglie. Moleto è frazione di Ottiglio dove, nella
parte alta, si trova la chiesa di San Germano con
la facciata barocca che presenta ancora alcune
iscrizioni, una incisa su un blocco di tufo sull’uti-
lizzo nella costruzione della chiesa, iniziata nel
1761, di materiale del castello. Il vicino borgo di
Olivola è invece diventato famoso per i concerti
jazz: da non perdere la visita alla pieve romanica
di San Pietro. Infi ne Frassinello, nota per i due
castelli Sacchi Nemours e Lignano e per la cap-
pella di San Bernardo del Guala.
Provenendo da Torino si arriva nella Valcerrina
e nel Moncalvese. Il primo borgo che si incontra
è Murisengo dove vive l’imprenditrice dell’edito-
ria Inge Feltrinelli. Nelle vicinanze, Villamiroglio,
paese dove a maggio viene organizzata la Sagra
del pisello. Il borgo è stato fondato nel 1164, da
visitare la chiesa parrocchiale, di origine sette-
centesca, dedicata a San Filippo.
A Moncalvo d’Asti
si tiene un’importante
fi era del tartufo
Itinerari
33La Banco nota
La sinagoga barocca di
Casale, fra le più belle
d’Europa
A pochi chilometri, c’è Cerrina, con la CasaFor-
te gotica e le chiese delle frazioni di Piancerreto
e Montalero, dove si trova un antico castello di
origine longobarda e carolingia: notevoli nel
centro storico Casa Tornielli e le chiese di S.
Pietro apostolo e San Sebastiano e il santuario
di San Gottardo nella frazione Pozzengo. Nella
frazione Cantavenna, la produzione di una delle
più rare e piccole Doc: il Rubino.
Da non perdere una visita a Camino per uno
dei più bei castelli del territorio: torre risalente
al 1000 e la Sala delle Corne con trofei di caccia
provenienti da Venaria Reale e pregevole cera-
mica della scuola di Luca della Robbia. Visitabile
su prenotazione. Verso sud, a Madonnina di Ser-
ralunga, è d’obbligo salire fi no al Sacro Monte
di Crea, situato su una delle più alte colline del
Monferrato. Esso si snoda lungo la salita che
porta al Santuario mariano, e di lì procede lungo
un sentiero che, in un bosco di querce e frassini,
si inerpica tra le asperità di un friabile terreno
roccioso sino ad arrivare alla cappella del Para-
diso, posta alla sommità della collina.
Come gli altri Sacri Monti di Piemonte e
Lombardia, anche quello di Crea è situato in
un vasto parco naturale: in esso si realizza
quella suggestiva sintesi tra paesaggio, arte e
memoria storica, che ne costituisce la cifra in-
terpretativa. Proseguendo verso Asti si incontra
Moncalvo con i resti dell’antico maniero, sotto i
cui bastioni si gioca ancora a pallone elastico o
a tamburello, particolarmente noto per la sagra
del Bue Grasso e per la Fiera del Tartufo. Poco
lontano, all’interno, su un territorio collinare
si estende ad Alfi ano Natta, già possedimento
dei Marchesi del Monferrato e successivamente
feudo della famiglia Natta dal XVI secolo fi no
all’inizio del Novecento.
Da Moncalvo, infi ne, attraverso una deliziosa
passeggiata in auto tra le dolci curve delle col-
line, si sale a Casorzo, celebre per la eccellente
malvasia. La chiesa parrocchiale, costruita nel
1730, su disegno del Magnocavallo, presenta
una splendida facciata in cotto; nell’interno,
tra i numerosi quadri, due tele attribuite al
Moncalvo.
Nuove Tecnologie
34 La Banco nota
di Alessandra Monguzzi
Oggi la tv viaggia Oggi la tv viaggia via cavo telefonicovia cavo telefonico
Per completare il discorso fatto nei numeri
precedenti sulla televisione, occorre
parlare di un altro tema, quello delle
trasmissioni tv che arrivano nelle nostre case
non tramite un’antenna, quella tradizionale
dedicata ai segnali analogici e del digitale terre-
stre o quella a padella per i segnali da satellite,
ma tramite il doppino telefonico, il classico filo
del telefono per intenderci.
Perché si possa ricevere questo tipo di televi-
sione occorre disporre nelle nostre case di linee
telefoniche un po’ speciali, come quelle a fi bra
ottica tipiche di Fastweb, ma possono bastare
anche quelle tradizionali, appunto il doppino.
Spieghiamo allora che, in quest’ultimo caso,
per ricevere questa forma di tv il disporre di
una linea telefonica è condizione necessaria
ma non suffi ciente: infatti occorre anche che
su quel doppino viaggi oltre al segnale del
telefono anche quello ADSL, dedicato alla
trasmissione dati (il collegamento ad Internet
veloce, per intenderci).
Occorre poi disporre di un modem capace
di gestire quel segnale, ed in grado di smistarlo
al computer, per quanto riguarda i contenuti
Internet (la posta elettronica o quant’altro), o
all’apparecchio televisivo, per la componen-
te tv, componente che verrà trattata da uno
specifi co decoder, esattamente come accade
per il digitale terrestre o per i programmi via
satellite.
Rimandato ad altra occasione il discorso su
Fastweb, diciamo che la televisione via cavo è
fi no ad oggi fornita da Telecom Italia e, stando
alla pubblicità, da Infostrada. Tutte e due le
compagnie garantiscono la necessaria assisten-
za tecnica per predisporre l’impianto di casa
alle necessità del nuovo mezzo: un loro tecnico,
infatti, consegna tutto quanto necessario sia
per l’hardware che per il software, lo installa e
lo regola per la ricezione dei nuovi segnali.
Poi… non resta che impugnare l’ennesimo
telecomando ed incominciare a fruire della
nuova tv. Con qualche sorpresa. Infatti, il ser-
vizio tv di Telecom, Alice, gestisce i segnali
del digitale terrestre esattamente come fa la
nostra televisione di penultimo modello (non
tratta i canali a pagamento, per intenderci),
distribuisce i programmi di Sky Italia (ma bi-
sogna sottoscrivere il relativo abbonamento,
anche se se ne dispone già di un altro). In più,
ci aggiunge un discreto numero di programmi
su cui vedere, gratis o a pagamento, fi lm e con-
certi, serie tv ed approfondimenti giornalistici
dedicati ad alcuni specifi ci temi.
Non male come partenza. Anche se avrem-
mo preferito che, tra gli eventi acquistabili
singolarmente, fossero magari comprese le
singole partite del campionato di serie A: per
fruirne, adesso, bisogna sottoscrivere necessa-
riamente l’intero pacchetto Sky-calcio.
I segnali televisivi non arrivano più nelle nostre case solamente dal cielo o dallo spazio: I segnali televisivi non arrivano più nelle nostre case solamente dal cielo o dallo spazio:
oggi infatti possono viaggiare sulle fi bre ottiche e persino sui normali doppini del telefonooggi infatti possono viaggiare sulle fi bre ottiche e persino sui normali doppini del telefono
I segnali televisivi non arrivano più nelle nostre case solamente dal cielo o dallo spazio:
oggi infatti possono viaggiare sulle fi bre ottiche e persino sui normali doppini del telefono