la crisi - home - fraternità di romena 3 primapagina non fuggire, è solo crisi 4 6 quando la vita...

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1 Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XVI n° 1/2012 La crisi è o pportunità

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012

La crisi è opportunità

SOMM

ARIO

Primapagina3

Non fuggire, è solo crisi 4

Quando la vita ci chiede di saper aspettare6

Andare incontro all’onda10

Lavorare per vivere o lavorare per la vita? 8

Il primo passo di un lungo viaggio14

Più forti della crisi 12

La danza di Willy20

Ripartire dalla famiglia 18

Il nuovo anno della Fraternità 22

Nuovo libro di Luigi Verdi24

Calendario Veglia di Romena 26

Festa di Pasqua28

trimestrale Anno XVI - Numero 1 - Marzo 2012REDAZIONElocalità Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR)tel. 0575/582060

DIRETTORE RESPONSABILE:Massimo OrlandiREDAZIONE e GRAFICA:Raffaele Quadri, Massimo Schiavo, Luca Buccheri

FOTO:Massimo Schiavo, Giuditta Scola, Piero Checcaglini, Fiorenza Picozza

COPERTINA: Daniele Fattaccio

HANNO COLLABORATO:Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Luigi Padovese, Maria Tere-sa Marra Abignente, Wolfgang Fasser, Alberto Ottanelli

Filiale E.P.I. 52100 ArezzoAut. N. 14 del 8/10/1996

www.romena.ite-mail: [email protected]

Graffiti 29

“Nel corso della vita ho raggiunto la certezza che le catastrofi servono ad evitarci il peggio”. Christiane Singer alza i suoi occhi curiosi per indugiare su quelli spaesati di chi ascolta. Poi continua: “Sapete che cosa è il peggio? È aver trascorso la vita senza naufragi, è esser sempre rimasti alla superficie delle cose”. “Del buon uso delle crisi”, si intitola così quella conferenza poi divenuta un libro. Se potessi spingerei a forza tutto il testo dentro queste righe. “Nella nostra società – leggo ancora – tutta l’attenzione è concentrata a sviarci da ciò che è autentico. Viviamo la più gigantesca cospirazione di una civiltà contro l’anima”. In quest’epoca, secondo la scrittrice francese, la crisi diventa “l’unico ariete capace di sfondare le mura della fortezza in cui ci siamo rinchiusi”, l’unico modo per riconsegnarci a noi stessi, oltre ogni maschera.

Crisi e opportunità. Mi nego l’accento, non me lo sono guadagnato. Per me una crisi è un detonatore di ansia. E l’ansia, nelle crisi, si fa largo, ti lascia senza respiro.La mia è una fragilità molto comune; che sia personale, esistenziale, o sociale, la crisi oggi è pericolosa perché si gonfia di paure, e così perde di vista ogni orizzonte.Bisogna irrobustirsi. E Christiane ci aiuta, invitandoci a dare fiducia alla vita, accettandone anche il carico di sofferenze, senza anestesie: “Quando si è cominciato a capire che la vita è un pellegrinaggio, quando a una tappa di questo pellegrinaggio ci si guarda indietro, ci si accorge che le donne e gli uomini che ci hanno fatto soffrire su questa terra sono i nostri veri maestri, e che le sofferenze, le disperazioni, le malattie, i lutti sono stati veramente le nostre sorelle e i nostri fratelli lungo la strada”.

Ci è prezioso sapere che una crisi produce nuovi passi nel nostro cammino di vita. Ma il problema è quando ci sei dentro, quando la vivi. Noi, ci dice Christiane, di solito reagiamo in due modi: con lo sfogo, cioè con il gridare ciò che fino ad ora era represso, o con la ri-mozione, cioè semplicemente ingoiando rospi e avvelenandosi così corpo e anima. Eppure c’è anche una terza possibilità: “Sedersi in mezzo al disastro e divenire testimoni, svegliare in sé quell’alleato che altro non è se non il nucleo divino in noi”. Dentro un uragano esiste un punto, spiega la scrittrice, in cui niente si muove. Bisogna non fuggire, avere il coraggio di restare e trovare quel punto. Perché se lo si trova la vita si rove-scia, e quella situazione nella quale sentivamo di perderci, in realtà ci permette di ritrovarci, ma in un luogo diverso, con un punto di vista nuovo.Solo teoria? Alcuni anni dopo aver scritto questo testo, Christiane ha saputo che le restavano pochi mesi di vita. Da quel momento si è dedicata a congedarsi con tenerezza da tutto ciò che amava. Ogni giorno, finché le energie glielo hanno consentito, ha composto un libro-diario (“Ultimi frammenti di un lungo viaggio”), cucendo parole e vita in un unico ordito: “Co-loro che vedono nella malattia un fallimento o una catastrofe – scrive – non hanno ancora iniziato a vivere. Perché la vita comincia nel punto in cui si frantumano le categorie. Ed è uno spazio di immensa libertà”.

Il libro di Christiane non ci sta qui dentro. Possiamo però immaginare lei, voce calda, sguardo di luce, che ci legge la frase con cui lo conclude.È un verso di Rainer Maria Rilke: “E, di sconfitta in sconfitta, egli cresceva”.

Massimo Orlandi

PRIMAPAGINA

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di Luigi VerdiNon fuggire, è solo crisi

La parola libertà in ebraico, contiene la radice hfsh che vuol dire cercare. Un uomo è libero se continua a cercare. Le crisi, che sembrano bloc-carci, in realtà aprono spazi, rompono gusci di comodità e creano le condizioni per mettersi di nuovo in marcia, in ricerca. Sono questi momenti di vuoto, di sospensione, di attesa, che rinnovano il mondo. Non dobbiamo temerli, ma viverli. Ciò che ci deve preoccupare, oggi, non è la crisi in quanto tale, ma l’ìndisponibilità a viverla. Non ci fidiamo del futuro, dell’inedito che con-tiene, e ci abbarbichiamo al presente per tratte-nerlo.Questa crisi ha lo stato d’animo degli apostoli, che dopo le apparizioni di Gesù si rinchiudono nel cenacolo, intimoriti sul da farsi, o, peggio, di Giuda, appeso alla corda del contingente, del sicuro, incapace di guardare oltre. Il timore di perderci rallenta qualsiasi movimen-to di crescita. La vera crisi è dunque nell’assen-za di fiducia, nella cecità verso l’impossibile di oggi, che sarà possibile domani.Questa situazione può sbloccarsi solo riaprendo-ci al movimento naturale della vita, quel movi-mento del quale la crisi è parte, perché annullan-do le nostre sicurezze, ci apre al cambiamento.

FermatiIl primo movimento che ci occorre è in realtà un non-movimento. Una sosta. Shabbat, chiamano gli ebrei il giorno del riposo. È il giorno in cui si cancella ciò che si crede di sapere, in cui si abbandona quello che si crede di avere. Questa sosta è necessaria per liberarci dal condiziona-mento mentale di ciò che siamo, per aprirci gli occhi. Shabbat è il tempo liberato dalla costri-zione del fare, dai vincoli del già visto, già cono-sciuto; per questo ci permette di vegliare su ciò che non si vede, di andare al di là del visibile, di inventare nuove strade, di ricreare e ricrearsi.

Senza frettaChe passi subito, ci diciamo sempre. Ed è una frustrazione. Vorremmo trovare un immediato

benessere per uscire dalla crisi, scoprire quel farmaco che possa cancellare il male. Ma la fretta è il demone della felicità senza sforzo e ci porta a non affrontare i problemi che stanno dietro le crisi e che, rimossi troppo velocemente, sono come veleni non smaltiti.La fretta non permette alle ferite di guarire, ane-stetizza solo la parte dolente, nega il vissuto, ci priva del diritto alla convalescenza. Chi si rialza troppo in fretta da una malattia sa che è destina-to a ricadute.Quello che ci serve è altro: accogliere con fidu-cia e abbandono le domande che ci salgono dal cuore e dal mistero della vita degli uomini.

Guarda dentroIl nostro punto di partenza è il luogo da cui vor-remmo fuggire. Il nostro quotidiano. È nel groviglio d’ogni giorno, nel piccolo fram-mento che ci è stato affidato che si nasconde il senso della nostra esistenza. Dare valore al quo-tidiano ci permette di toccare la vita, di starci dentro senza scappare e di amarla.Occorre uno sguardo profondo che faccia legge-re la realtà e porti alla luce ciò che sta dentro, e un cuore attento e duttile, così agile da poter ve-dere fra i crepacci del presente il fiore che nasce.

Riprendi il camminoNella vita noi non avanziamo per colpi di volon-tà, ma per scoperta di tesori:“Dov’è il tuo teso-ro, là sarà anche il tuo cuore”. Occorre quindi metterci fiduciosamente in cam-mino, consapevoli che la vita ha dinamiche di resistenza, ma che queste non ci devono bloc-care. In tutti noi c’è la capacità di ribellarsi e affrontare questa realtà. Non siamo di fronte a forze contro cui è impossibile combattere. È an-cora possibile recuperare la densità del presente e restituire all’esistenza la sua misura.E allora dobbiamo avere il coraggio di percor-rere strade che nessuno ha ancora percorso, di pensare idee che nessuno ha ancora pensato. La crisi del mondo non deve trascinarsi dietro la crisi della nostra speranza.

Quando un uomo esce dall’abisso, non ripete parole di altri, non intona vecchie canzoni. Uscire dal baratro è nascere. Ogni nascita è novità.

Foto di Giuditta Scola

Ermes Ronchi

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Quando la vita ci chiede di saper aspettaredi Pier Luigi Ricci

La crisi è sempre opportunità? Non è detto, non è scontato. È una questione di fede: la fede che un significato ci sia, anche quando proprio non riesci a vederlo.

Ripensando alla mia vita, non credo di essere riuscito sempre a far tesoro dei miei momenti di crisi. A volte l’ansia è rimasta per un bel pezzo e con lei i sensi di colpa, il rammarico, la paura. E la crisi è riuscita a lasciare il segno.Riconoscere questo mi è stato utile, per potermi dire di nuovo che se desidero che la crisi diventi opportunità tutto questo dipende da me e non dalle circostanze.Allora mi sono chiesto quale sia stata la risor-sa o l’atteggiamento che nel tempo, a volte, mi abbia permesso di compiere quel passo. Perché per fortuna quel passaggio qualche volta sono riuscito a farlo accadere. Le cose migliori sono nate da lì, dai momenti di difficoltà, subito dopo la bufera e oggi posso dirlo, anche grazie alla crisi. Ho cambiato direzione, ho aperto strade nuove, ma quel che più conta sono diventato migliore, un po’ meno sicuro, ma anche certa-mente meno orgoglioso e più saggio. Non credo che per far questo bisogna essere bravi o intel-ligenti o così forti da piegare gli eventi. Credo si tratti di una disposizione del cuore e della mente. Forse più si è disarmati e impreparati più si può andare avanti.Se la crisi si impossessa di te, se mentre la rac-conti senti che non esiste altro e mentre parli di lei parli di te, allora arriverai a farci l’abitudine, a vestirti di lei e tutt’al più a trovare qualche buona soluzione.Ma l’opportunità che ti aspetta non è mai rap-presentata dalla semplice soluzione del proble-ma, è qualcosa di più, è qualcosa di altro. Sta in un’altra pagina della tua vita.

Hai mai provato a guardare le tue cose da fuori, a raccontarle come se tu fossi a distanza? Ti ac-corgeresti che tu sei altro dalla crisi e scopriresti che essa è un pezzetto di qualcosa di più gran-de e che vista così, che vista da lì, essa ha un significato. Rappresenta una parte della strada, un pezzetto di vita che forse ti doveva proprio

accadere e che potrebbe servirti. Ogni tanto nella vita appare un bivio. È un istante in cui devi decidere.Puoi rinchiuderti in te stesso, maledire la situa-zione in cui ti trovi e rafforzare l’idea di essere sfortunato. Ed allora comincerai ad andare in basso. Se tu invece cominci a dire che ciò che stai vivendo ha un senso, anche se non sai quale possa essere questo senso e questa utilità, allora ricomincerai a vivere e a salire. Quel passo è decisivo. Poi il senso verrà e lo capirai. Ma in quel momento serve solo un atto di fede.

Ho capito a mie spese che non servono le fughe, le maschere: una crisi è una crisi e fa star male, nasconderla ti riporta indietro.Ma il solo riconoscere che esiste un significato, il solo dire questa cosa a sé stessi fa scattare qualcosa che basta. È una passività carica di consapevolezza e di fiducia, è una passività, ma basta. A volte gli esseri umani riescono a fare delle cose meravigliose, come trasformare una crisi in opportunità, proprio diventando passivi e più calmi, smettendo di opporre resistenza.Il significato è un dono ed arriva, come tutti i doni, quando gli pare.Tu puoi cercarlo, ma arriva quando è il momen-to e dalla direzione che vuole. Il significato arri-va da fuori, anche se poi lo devi far tuo. Arriva come un dono da un incontro inaspettato che ti rassicura, da un fatto che ti sorprende, da una parola, una frase che ti chiarisce. Chiedi il significato di ciò che ti sta accadendo e che ti fa male, se credi, a Dio, alla tua anima o a chi vuoi te. Ma è l’atteggiamento che conta. Puoi essere fuori dal labirinto, quando ancora ne sei dentro, se sei ancora libero di lasciarti sorprendere ed emozionare da qualcosa che an-cora non c’è, ma che già ti sta aspettando. E an-che se questo atteggiamento dipende solo da te, ricordati però che non potrai fare tutto da solo.

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Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile.

E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile.

Francesco d’Assisi

Foto di Fiorenza Picozza

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Al centro delle crisi di questo tempo, c’è una parola: lavoro: il lavoro che non c’è. Il lavoro che non dà certezze. Il lavoro nel quale, spesso, non ci riconosciamo. E allora forse questa crisi è proprio l’occasione per ripensare il rapporto tra la nostra vita e il lavoro. E per trovare nuove strade.

Lavorare per vivere o lavorare per la vita? di Luigi Padovese

Ieri sera ho visto l’anteprima di un bellissimo film francese, “Le nevi del Kilimangiaro” di Robert Guèdiguian. Un film sulla perdita del lavoro, della dignità, sulla vita di un operaio sindacalista che, a 50 anni, perde il posto e deve confrontarsi anche con chi è più “povero” di lui, mettendo in crisi valori in cui ha creduto, insieme alla moglie, per una vita. È però an-che un film di grande speranza. Partendo dal licenziamento e da una “violenza” subita (viene rapinato da un giovane ex collega con minori diritti e tutele di lui), ritrova in questo percorso la voglia di vivere e di riaffermare l’umanità, la solidarietà, l’apertura verso l’altro. La ritro-va sia con la forza e la tenerezza del rapporto che lo lega alla compagna di una vita sia con i valori di onestà e giustizia in cui ha sempre creduto. Non nega i sentimenti che prova nei momenti difficili, di rabbia, di depressione, di rivalsa, di smarrimento; li affronta, ne entra in contatto, anche con l’aiuto della moglie, degli amici, dei figli.La crisi personale che attraversa diventa un’oc-casione per rinsaldare e ampliare le sue rela-zioni, per aprirsi agli altri, accettando di aiutare e di farsi aiutare, non accetta la “seduzione” di fare la vittima, di restare passivo, ma prende l’iniziativa, assume le proprie responsabilità.Partendo da questo film possiamo riflettere sulla crisi e sul lavoro, guardando al lavoro come uno dei luoghi della nostra vita dove si può generare soddisfazione, benessere, crescita, ma dove si può incontrare anche disagio, sofferenza, crisi. Quando si attraversa la stanza buia della crisi è difficile riconoscere e cogliere le opportunità di cambiamento presenti.Cosa possiamo fare per uscire da questa “trap-pola”, che appare senza via d’uscita? Come possiamo trasformare un momento di crisi in

una ricerca attiva di una nuova consapevolez-za personale? Quello della crisi può essere un tempo in cui è possibile riconoscere l’essenziale, ciò che ci sta davvero a cuore, un tempo in cui possiamo trovare il coraggio di potare cose inu-tili, abitudini che ostacolano, situazioni che non hanno sbocco. Fare spazio, dunque, al “nuovo”. Il protagonista del film riesce a dare la giusta prospettiva agli eventi, dimostrando, con le sue scelte che il coraggio vero è conoscere le proprie paure e continuare a camminare, nono-stante la fatica di rimanere fedeli a ciò in cui si crede. La speranza che traspare dal film si fonda, così, sul coraggio. Un coraggio che viene visto come: saper vedere e farsi carico della propria vita, delle proprie scelte; saper esprimere con-cretamente coerenza tra idee e pratica, capacità di amare e di aprirsi agli altri, indipendenza di giudizio e di scelta; riuscire a ricordare sempre quello che si è stati, ma anche quello che si può diventare. La strada proposta appare così a por-tata di mano occorre guardare l’altro, a partire dalle cose semplici, legate al proprio quotidiano, dedicare spazio al pensiero, rimettersi in discus-sione, piuttosto che rimanere chiusi in se stessi, nel proprio presunto fallimento, nel torto subito.Nei momenti importanti della nostra vita, in-trecciando crisi e opportunità, sempre ci trovia-mo di fronte ad una scelta: “siediti e aspetta” oppure “alzati e cammina”…Nel trovare la “nostra” risposta dobbiamo, però, ricordare che non siamo “mendicanti” di fronte alla vita, siamo solo “mendicanti di luce”, per illumina-re e riconoscere il senso che abbiamo dato alla nostra vita e per intravedere il sogno e la dire-zione da seguire, per andare oltre e procedere nel nostro cammino.L’interruttore della luce è dentro di noi, ricor-diamoci di accenderlo!

La bellezza è una respirazione più ampia che per entrare in noi inizialmente ci soffoca.

Christian Bobin

Foto di Piero Checcaglini

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Andare incontro all’ondadi Maria Teresa Marra Abignente

Che cosa possiamo fare quando monta la tempesta della crisi? Come possiamo gestirla affinchè non sia distruttiva? Maria Teresa ci porta in mare aperto, per ricevere un prezioso insegnamento…

Una vita come un unico panorama, con un solo paesaggio che non cambia alle stagioni. Una vita tutta in pianura, senza salite che fanno rompere il fiato e senza discese che accelerano. Una vita senza mani che tremano, senza occhi che si spalancano, senza voci che si spezzano. No, non mi piacerebbe una vita così. Eppure quando immaginiamo la nostra vita futura, la sognamo in questo modo: perfetta come un cerchio, senza fratture, senza ostacoli che interrompano il nostro placido corso. Eppure quante volte, guardandoci alle spalle, abbiamo capito che i momenti di difficoltà o di sofferenza ci sono serviti? E quante volte abbiamo benedetto quel che in un primo momento ci sembrava essere una disgrazia, qualcosa che avremmo fatto volentieri a meno di vivere, ma che non abbiamo potuto scansare e che, una volta attraversata e solo dopo (e spesso molto dopo), si è rivelata essere una ricchezza?

I momenti di smarrimento sono così: sembrano non avere senso, anzi sembrano quasi che il senso ce lo facciano perdere, ci disorientano, ci confondono, e stravolgono le nostre misere e timide certezze. E viviamo questo tempo annebbiati e soffocati, doloranti e disperati. Eppure in momenti come questi qualcosa matura, così come in questo periodo invernale i germogli si gonfiano sotto la scorza nuda e infreddolita della terra: la lenta attesa della primavera non può fare a meno di questo tempo. Noi invece, razionali ed intelligenti come siamo, non sappiamo attendere, ed è forse questa la terribile seduzione di questo secolo: illuderci che ogni cosa, anche il nostro maturare, sia possibile subito, senza travaglio. “Travaglio” sì, cioè quel dolore convulso e intenso che prepara la nascita e che segue una sua andatura inarrestabile.C’è una sapienza infinita nell’attesa, la stessa del grembo che lievita e quindi della vita.

C’è la sapienza di chi si sente incompiuto e spera, di chi abbraccia con il presente anche il futuro, di chi questo futuro lo sente già innestato nella sua vita, pronto a sbocciare, anche se a fatica, anche se con sofferenza.

Ma come vivere una condizione di crisi, di fragilità, di debolezza con il cuore orientato verso il futuro, quando sembra invece che tutto crolli, che tutto si incendi senza lasciare altro che cenere?Chi ha un po’ di esperienza del mare sa che quando arriva un’onda, una di quelle grosse, di quelle che improvvisamente ti si parano innanzi, non serve scappare perché l’onda è più veloce, ti inseguirà e ti raggiungerà alle spalle: dobbiamo invece andarle incontro, vincendo il terrore che può assalirci, lasciarci sollevare e poi farci trasportare fino a riva. Solo così non ci farà male, o ce ne farà molto meno. Puntare la prua verso l’onda, nonostante i brividi di paura, andare incontro a ciò che in quel momento sembra più forte con gli occhi bene aperti e con il cuore tremante, vivere lo spasimo di quell’attesa.La crisi somiglia proprio a quel momento, quando l’onda sopraggiunge e noi siamo tentati di fuggire o di restare paralizzati. È l’attimo in cui sembra che tutto sia ormai finito, quando viene la tentazione di lasciarsi sopraffare. È anche l’attimo in cui non resta altro che abbandonarsi, perché finalmente capiamo che non siamo perfetti e invincibili, che qualcosa in noi, come un’onda, come un germoglio, si sta gonfiando per donarci il nuovo, per aprirci un altro panorama, per metterci in una nuova prospettiva.Bisogna viverlo questo momento, bisogna andargli incontro ad occhi aperti. Su quella riva, dove l’onda ci porterà ci sono, chissà, tesori inaspettati: di certo ad attenderci ci sarà la nostra vita, resa più intensa e forte da una tempesta. E da un’onda che ci ha accompagnato.

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E se la speranza nascesse proprio dal disincanto? E se dalle rotture nascesse il nuovo?

Franco Barbero

Foto di Fiorenza Picozza

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Più forti della crisi Conversazione con Roberto Mancini*

Nei tuoi libri usi con molta forza questa espres-sione: “crisi di civiltà”. È un’espressione mol-to forte, drammatica: quali sono i caratteri di questa crisi di civiltà?

La crisi attuale non è soltanto un dissesto sorto dalla crisi dei mutui negli Stati Uniti, o dalle as-sicurazioni e dalle banche. Non è qualcosa come un temporale, per il quale ci si chiede semplice-mente: quando passerà? Questa crisi rappresenta il capolinea, anche se non si può neanche dire che sia l’ultima fase, di un sistema che non ha fondamenti di giustizia e che quindi naturalmen-te produce crisi. Questo andamento traumati-co non è eccezionale, non è un’anomalia. È nell’ordine naturale della logica di questo sistema di vita e della civiltà che ha realizzato. Quando noi utilizziamo la parola globalizzazione di-ciamo che questo modello di economia non è solo una dimensione della vita, ma pretende di essere la dimen-sione complessiva della vita. Non è quindi un’ideologia. Semmai ha trionfato tra le ideologie, ma ha trionfato in maniera così radicale che è diventato sistema globale entro cui siamo immersi.Così, per esempio, parliamo di persone come “costo del lavoro” oppure come “esuberi”. E se sei un esubero in una società concepita come un mercato vuol dire che non sei solo disoccupato, ma che sei fuori dalla società. Oppure parliamo di “risorse” che detto alle persone non è un com-plimento, eppure noi lo diciamo agli stranieri, ai giovani, pensando di essere gentili. Risorsa lo posso dire a un martello, a un microfono, a uno

strumento, non a una persona. Ma perché questo sistema entra in crisi? Perché rovescia il rapporto tra strumenti e fini: non riconosce la dignità delle persone, non rico-nosce la dignità delle relazioni, non riconosce la dignità del mondo naturale. Lo strumento si perverte quando diventa il fine, il soggetto e gli uomini diventano strumento. E così abbiamo una politica del potere per il potere, un’economia del denaro per il denaro. Un’altra cosa che dovremmo riconoscere non è tanto la crisi, ma lo specifico di questa crisi, che non accetta critica e non ha memoria: quella che

dal 2008 chiamiamo crisi, gli altri popoli in Asia, in Africa, in America latina la conosco-no da decenni, da secoli, an-che in forme più cruente. Che il mondo stia in piedi sulla base della competizio-ne, ma possa rifondarsi solo sulla base della giustizia, cioè che ci siano condizioni di vita adeguate per tutti, questa è una verità elementare. Ci vorrebbero persone profeti-camente lucide come Aldo

Capitini ed Ernesto Balducci per ricordarci che la storia respira a intervalli e procede in modo imprevedibile. Non siamo ancora arrivati a un vero ordine mondiale, a un ordine di convivenza davvero umano. Dovremmo anzitutto recupera-re la memoria di tutti quelli che già sono stati travolti da questo modello di società che ora tra-volge anche noi.Stiamo cercando delle soluzioni che esasperano le cause che hanno prodotto la crisi. È come se fossimo sotto un grande ricatto e anziché chie-derci; come si fa a spezzare la spirale di questo ricatto? Noi stiamo lì a dire: che cosa vuole il

“Dobbiamo svegliarci e dire che vogliamo governare la nostra storia, la nostra vita, perché sia capace di futuro e non sia un’infelicità organizzata”. Un filosofo sapiente e appassionato ci invita a leggere in profondità le due parole di fondo che dominano l’orizzonte presente: la parola crisi e la parola cambiamento.“

*Filosofo, è docente di filosofia teoretica all’Università di Macerata.

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ricattatore? Come possiamo compiacerlo ancora di più? È come una collettiva sindrome di Stoc-colma in cui ci siamo affezionati al sequestratore.

Dalla parola crisi trasferiamoci al termine che ne consegue, che quasi ne deriva. Cambiamen-to. Tu spesso parli di “antropologia della con-divisione, di economia relazionale”: è da qui, dalla riscoperta del fare le cose insieme, che parte il cambiamento?

Il cambiamento è un processo che richiede diversi passaggi: il primo è proprio il risveglio, il rico-noscere che il modo di sopravvivere a cui siamo indotti e la logica dominante non sono adeguati. Il mondo sarà cambiato non dalle persone che si sa-crificano nel senso moralistico, ma dalle persone che conservano in se stesse la fedeltà alla felicità e perciò si prendono cura della felicità degli altri. Non siamo nati per soffrire o far soffrire, per morire o far morire. Quando un figlio viene generato il primo atto creativo, qualunque sia, inizia con un sogno. Vedi, desideri e ami la cosa che nascerà prima ancora di vederla. Il rapporto con il sogno non è l’astrazione, ma l’essere uma-no ha due possibilità di rapporto con la realtà, lo elabora il rapporto con la realtà. A volte la felicità sarà affrontare la sofferenza insieme, non è il privilegio, né la fortuna. Piut-tosto, la felicità è una vita sensata condivisa. Quando uno sta dentro a questa prospettiva ve-ramente si risveglia. Dicevano i greci antichi: “solo i desti hanno un mondo comune”. Il secondo passo è creare zone franche nel tes-suto della quotidianità, zone liberate che siano una parrocchia, un posto di lavoro, la famiglia, la scuola, dove contano più le persone che il de-naro, il potere, il merito, la colpa, le prestazioni,

l’utilizzo, l’interesse, dove contano le persone.Il terzo passaggio consiste nell’incidere sugli stili di vita e cioè su come noi pensiamo e orga-nizziamo l’esistenza quotidiana.Questo non basterà. Dovremo anche recuperare il buon funzionamento di quelle leve della vita so-ciale che sono la politica, l’economia, l’educazio-ne, l’informazione. Abbiamo bisogno di persone che facciano politica o economia, o educazione oppure informazione secondo questo spirito. Il cambiamento parte da noi, ma non si esauri-sce dentro la microsfera della nostra quotidia-nità, chiede di attivare cambiamenti che siano politici, sociali, economici, educativi, culturali. Più persone sono capaci di vedere l’alternativa e di vedere che questo sistema non è necessario, e più sarà possibile realizzare il cambiamento. Oggi la grande carenza è che non abbiamo né nell’economia né nella politica persone che credono nel cambiamento, al massimo raziona-lizzano il presente. Occorre iniziare a dire e a praticare un’alternativa al modo di organizzare la società. Un’alternativa che sia testimoniata, abitata, sperimentata. L’attraversamento del deserto dell’angoscia comporta la scoperta o il ritrovamento di un senso per vivere, di una speranza di vita che non è solo per me, perché la incontrerò nel bene e nell’esistenza dell’altro. Le cause che ostacolano il vero cambiamento non sono materiali, non sono economiche, sono tutte di ordine culturale. L’impossibilità di cam-biamento risiede anzitutto nello sguardo e nel cuore chiuso; se si riapre il cuore si accende lo sguardo. Bisogna cominciare a costruire l’alter-nativa da noi, noi siamo la nostra responsabilità. Dire “io”, secondo Emmanuel Lévinas, significa dire “eccomi”.

L’intervista è un estratto dalla conversazione che potete trovare nel libro Ricominciare dalla crisi. Il libro, delle edizioni Romena, contiene gli incontri del ciclo “Le parole e il silenzio” con Silvia Ronchey (storica), Pier Luigi Celli (ex direttore della Rai), Vandana Shiva (scienziata ambientalista), il nostro Wolfgang Fasser e, naturalmente, Roberto Mancini.

LE PARoLE E IL SILENzIo vol. 5Ricominciare dalla crisi

ISBN 978-88-89669-44-0 € 10,00

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Il primo passo di un lungo viaggiodi Wolfgang Fasser

C’è qualcosa che possiamo fare quando le difficoltà ci stringono e la mente non trova strade. Wolfgang indica un percorso concreto. Che già oggi possiamo iniziare.

Immaginate un uomo che cammina su una corda sospesa nel vuoto. È una condizione nel-la quale possiamo sentirci anche noi quando, per un disagio, una crisi, una malattia, sentia-mo la nostra vita appesa a un filo e avvertiamo che è diventato tanto difficile non solo andare avanti o indietro, ma addirittura non cadere. E allora che cosa si può fare? Esattamente quello che deve fare un uomo sospeso nel nulla: bi-sogna ritrovare un equilibrio. Se ristabiliremo una giusta armonia dentro di noi, comincere-mo da subito a star meglio. Sono quattro a mio avviso, gli elementi di vita semplici, quotidiani, umani, che ci possono per-mettere di rimetterci in equilibrio, da subito.

Muoversi all’aria apertaIl primo punto è dedicarsi al nostro corpo. Diamogli luce, aria, movimento. Non serve nient’altro che aprire la porta di casa e uscire. Una bella passeggiata al mattino fa circolare il sangue, ci fa scoprire il mondo, ci fa sentire la forza che abbiamo dentro; e poi, con una bella sudata, gli ormoni circolano meglio. Quante persone si muovono solo dentro un’au-to o in treno. E invece, basta una passeggiata fuori: fa bene al nostro corpo quanto alla no-stra mente. Non esiste una palestra che possa proporci qualcosa di più ricco.

Abitare le relazioni Oggi troppo spesso le relazioni hanno un ruolo di secondo piano. Vengono dopo il la-voro. Secondo le statistiche un babbo vede i figli mediamente per appena venti minuti al giorno. Si corre per mille motivi, ma manca il tempo relazionale. La settimana scorsa un prete pugliese, don Luigi, mi diceva: “Se vogliamo essere davve-ro vicino ai giovani, dobbiamo perdere tem-po con loro”. Ha ragione. Quest’idea di non perdere tempo per le relazioni non ci fa bene. Così come non ci fa bene l’isolamento. Vivere relazioni positive, alimentare l’amicizia ci nu-tre, ci spinge e ci protegge.

Riscoprire il nostro compito nella societàLa cultura economica di quest’epoca ha asso-ciato il lavoro al suo compenso, ai soldi con cui viene retribuito. E invece lavoro è il compito che svolgiamo nella nostra società. Dobbiamo ricordarci che ognuno ha un compito, ognuno di noi, anche se disoccupato, può contribuire alla società. E il suo impegno non deve essere per forza un qualcosa di monetizzabile. Artu-ro Paoli ci dice che la cosa più importante è “amorizzare il mondo” immettere dinamiche di amore nel mondo. E questo è un compito che spesso svolgono gli anziani. Ma ognuno di noi ha un suo compito. Ricono-scerlo ci fa sentire il valore della nostra pre-senza nella comunità umana.

Attingere alle nostre fonti vitaliBisogna risalire alle sorgenti di ciò che ci dà forza, energia, di ciò che alimenta i nostri so-gni, la nostra fantasia. In una parola bisogna cercare, in profondità, il senso profondo per cui viviamo. Una vita che non trova senso spinge verso il basso, è come una spirale che va giù. Se si attinge alle fonti della vita si trova più forza per affrontare le difficoltà.In Uganda, quando è dilagata l’epidemia dell’Aids, si è vista questa cosa: mentre gli uo-mini, ammalati, nel giro di pochi anni moriva-no, le loro mogli, sieropositive, continuavano a vivere senza ammalarsi. Eppure il virus era lo stesso. Qual era la differenza? Che le donne avevano un senso fortissimo della loro vita, il cui scopo era quello di creare un mondo per i loro figli. Questo dava loro talmente forza da rendersi più resistenti alla malattia.

Quando ci sentiamo bloccati, immobilizza-ti da una difficoltà si può partire da qui. Si può cominciare subito, È tutto gratis, e ogni giorno è buono per farlo. E se la montagna dei problemi ci sembra immensa, ricordiamo che ogni viaggio, anche il più lungo, comincia dal primo passo. Camminando, dice un proverbio sudamericano, si apre cammino.

Foto di Piero Checcaglini

Gridare dal fondo dell’abisso è rialzarsi dall’abisso. E il grido è l’inizio di una liberazione.

Sant’Agostino

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Foto di Massimo Schiavo

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No, non lasciate chiusele porte della notte, del vento, del lampo, quelle del mai veduto.

P. Salinas

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“Uno dei segnali più decisivi della crisi di una civiltà è la sua incapacità di stabilire un metodo con cui rapportarsi col mondo, con le cose, con gli altri popoli, uomini, culture – in una parola: con la realtà”. Lo scrive lo scrittore Luca Doni-nelli e in queste poche parole sembra di leggere la descrizione perfetta della situazione nella quale stiamo vivendo. Crisi economica, crisi di valori, crisi istituzionale, crisi spirituale, crisi della famiglia. Non c’è speranza, dunque? Oppure, cambiando la prospettiva e il modo di rapportarsi con la realtà, possiamo trovare, all’interno della crisi, le potenzialità per uscirne?Giro la domanda a Bruno Volpi, presidente e fon-datore dell’associazione “Mondo di Comunità e Famiglia – MCF”, nata 30 anni fa dall’esperienza del primo condominio solidale di Villa Pizzone a Milano. Bruno è stato ospite a Romena nei mesi scorsi per parlare di una “alternativa possibile”.

Bruno, in che modo una vita familiare basata sull’accoglienza, sull’apertura, sulla condivisio-ne può diventare una risposta alla crisi?“Di fronte alla crisi si può reagire in diversi modi: c’è chi si lascia andare, e si abbandona

alla rassegnazione. Oppure c’è chi d’istinto, al grido di “si salvi chi può”, tenta di risollevare le proprie sorti a discapito degli altri e comunque da solo. O ancora, c’è chi può essere indotto a delegare altrove le possibili soluzioni: allo Stato, alla Chiesa, a qualche altra istituzione. Ed infine c’è chi invece, di fronte ad un momento critico, inizia a percorrere strade nuove, a cercare solu-zioni alternative. Una “minoranza creativa” che coglie la vera opportunità insita in ogni crisi: quella di inventare una cosa che prima non c’era. La proposta di MCF è questa. Una alternativa possibile – non certo l’unica - all’organizzazione “normale” della vita, del lavoro e della famiglia che permetta a tutti di essere felici e, di conse-guenza, di rendere felici gli altri.

Ma come si fa, nel nostro piccolo e concretamen-te, a lottare contro un sistema che sembra troppo forte e pervasivo per ammettere eccezioni?Il primo passo è ammettere di aver bisogno degli altri. Capire che se “così non va”, dobbiamo salire il primo gradino e iniziare a coltivare il desiderio di cambiare. E questo non vuol dire cambiare il mondo, ma noi stessi. Il mondo è quello che è,

Ripartire dalla famiglia

C’è un luogo inatteso dove può iniziare un cammino per andare oltre gli spazi soffocanti della crisi: è la famiglia. Bruno Volpi ci racconta l’esperienza delle comunità di famiglie: piccole realtà familiari che entrano in contatto, si aiutano, sperimentano concretamente un modo alternativo, liberante, di vivere.

di Alberto ottanelli

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ed il problema è starci, amarlo, non cambiarlo. Non è detto che un altro mondo sia possibile. Ma un altro modo si. Non dobbiamo cercare deleghe, ma essere convinti che abbiamo le risorse per farcela. E la prima risorsa, la nostra risposta, è la famiglia.

Ma come può una famiglia superare le piccole e grandi crisi che la vita pone sul suo cammino? Può farlo se non è da sola. Da solo non ce la faccio, ma insieme a una comunità si. E la fa-miglia è di per sé già una piccola comunità. La nostra proposta è quella di creare delle reti tra famiglie, delle comunità di comunità, nelle quali tutti - anche i singoli, anche chi la famiglia l’ha persa o chi dalla famiglia è stato tradito – possano vivere la “fami-liarità”. Familiarità vuol dire avere qualcuno che ti aspetta, qualcuno che ti pensa, qualcuno che ti ama per quello che sei, comunque sei. Qualcuno che ti aiuta a superare tutte le crisi.

Puoi raccontarci quali sono i passi da fare per mettersi in cammino?Riconoscere di avere bisogno degli altri, noi per primi, è l’inizio del cammino. A quel punto noi proponiamo l’ingresso in un “gruppo di condivisione”, ovvero un gruppo di persone che periodicamente si ritrova per parlare ed ascoltare i bisogni ed il vissuto di tutti e di ciascuno, con l’obiettivo di un profondo discernimento perso-nale, e della scoperta della propria vocazione personale e familiare. Il passaggio successivo è la nascita di una “comunità territoriale”, una realtà più profonda nella quale le famiglie sono legate da un patto di solidarietà reciproca. Un legame intimo che le porta a condividere, nelle modalità che esse stesse stabiliscono, anche le risorse economiche, nell’ottica dell’auto e mutuo aiuto. Le “comunità residenziali”, che noi chiamiamo “condomini solidali” rappresentano un patto ancora più radicale, nel quale si sceglie di condi-videre la vita e l’abitazione, pur nel rispetto degli spazi, dei tempi e delle vocazioni di ogni singola famiglia. È chiaro che questo può avvenire solo

se c’è una fiducia reciproca, che è coltivata anche dallo strumento della cassa comune, nella quale confluiscono le risorse economiche di tutti e dalla quale tutti attingono secondo i propri bisogni. In questo modo non esiste più il ricco e il povero, ma tutti hanno il necessario. Sembrano cose grandi, ma sono possibili. E da questa impostazione che rivoluziona lo stile dell’abitare possono nascere esperienze che cam-biano anche l’organizzazione del lavoro, come è successo in molte delle nostre comunità, che hanno dato vita a cooperative ed imprese sociali. Questo porta ad una riflessione sul “come” usia-mo i soldi. E la nostra risposta è quella “economia del dono” che rigenera sempre nuove risorse.

Da qui l’accoglienza ai bisogni degli altri, la sobrietà nello stile di vita, l’apertura delle nostre case a chi viene a bussare, la carità come stile di vita.

Quando racconti della tua espe-rienza di vita, citi sempre una frase che è stata detta a te e a tua moglie Enrica quando siete partiti per un periodo di volontariato in Africa. La frase era: “Fate quello

che siete capaci di fare. Non vi mancherà mai niente”. Come si può concretamente impostare la propria vita sulla “professione di fede” che è implicita in quella frase?È vero, la fede aiuta, ma quello che è importante è avere voglia di mettersi in discussione. Mettersi al lavoro insieme ad altri, rovesciare il tavolo e mettere in pista le opportunità di cambiamento che ogni crisi offre. Capirle e coglierle. Non bisogna scoraggiarsi. San Paolo, nella lettera ai romani, ce lo ricorda con delle parole bellissime: “La tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori”. Per tradurlo in termini più chiari: la crisi è la tribolazione; davanti ad essa dobbiamo avere la pazienza di reagire con una virtù provata, ovvero con qualco-sa di nuovo, virtuoso e concreto. Questo produce speranza, e la speranza non delude, perché la via alternativa è, davvero, possibile.

di Alberto ottanelli

xx jj

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“Ogni gesto che compio silenziosamente re-sta racchiuso all’interno del mio corpo. Io lo so di muovermi benissimo. Solo che voi non lo vedete. Ma sono un gran ballerino, credetemi”.Il passo di danza di Willy è fatto di palpebre e guance: le prime giocano con gli occhi, le seconde fanno da quinta al suo sorriso. Non serve altro, nemmeno la musica: solo mettersi a sedere. E guardare.

Sono passati quasi trent’anni da quando William Boselli scopre di aver un ospite inatteso che si aggira malefico nel suo cer-vello. La freschezza dei suoi diciott’anni si misura con la sfida a quel perfido angioma che lo stuzzica, che lo fa barcollare. Che lo mette al tappeto.Non si può restituire la bellezza e l’armonia dei propri movimenti proprio nel cuore della

loro efficienza. Ma a Willy accade proprio questo. Prima le gambe, poi, gradualmente, le mani. Che la sua vita sia un distillato di sofferenza? Willy non lo pensa mai, anche se qualche indizio pesa. “Sapete cosa signi-fica sentire la pipì e non potersi alzare per pisciare?” No, non lo sappiamo. Lui sì. Gli indizi peggiori della sua condizione di tetra-plegico non riguardano le corse nei prati o le nuotate al largo. Ma gli esercizi più scontati per noi, che si fanno tabù per lui.Eppure. C’è un “eppure” che all’inizio è piccolo, ma che poi prende forza. Eppure indica la presenza di una via d’uscita, di un pertugio apparentemente secondario in quella selva intricata di dolore. Eppure è il segno che ci si può fare, che ci si può pro-vare. Solo che quella parola non puoi pro-nunciarla da solo. Ci vuole l’affetto di una famiglia, di babbo e mamma, delle sorelle,

Si può ballare anche non potendo muovere né le gambe né le mani. Si può far festa alla vita, anche quando si avrebbero mille motivi per lamentarsene. Si può. Il nostro incontro con William Boselli, con la sua storia, con il suo mondo pieno di amici. Con la sua leggerezza. La leggerezza di un ballerino.

di Massimo orlandi

La danza di Willy

xx jj

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ci vuole l’abbraccio convinto e non com-passionevole degli amici. Ci vuole amore, amore a più non posso per la vita, per gli al-tri, per tutto. Eppure. Eppure Willy ce la fa. Sentitevi addosso il brivido che Willy non può avvertire. Ma avete letto bene: ce la fa.

Immaginatelo ora nella nostra pieve, Willy. Immaginatelo che ci racconta la sua storia, che ci fa ridere, che ci commuove. La vita è bella, ci dice. Bella, sì, anche quando la guardi e non la puoi toccare con le mani, anche quando non puoi, fisicamente, correr-le incontro. E tutto questo Willy non solo lo dice, te lo fa respirare. Per la sua leggerezza, per la sua autoironia, perchè di tutto quello che abbia-mo, e molto di questo lui non può assapo-rarlo, lui sa cosa conta veramente. “La cosa più importante è sapere vivere tutti i giorni. Guardate che non è bello stare in ‘carroz-za’, io stavo bene anche senza, però cerco di vivere in maniera piena e particolare quello che mi viene dato. Ogni anno festeggio vo-lentieri il mio compleanno perchè è un anno in più che ho vissuto. E così oggi essere qua con voi per me è una vittoria, un regalo”.Il racconto di Willy scorre come acqua fre-sca sulle noste vite spesso inutilmente attor-cigliate. Lui che ha dovuto fare i conti con quasi tutte le nostre paure, ora sa come ge-

stirle. Lui che ha dovuto gestire mille limiti, invece che sprofondarci li ha circoscritti.In nessun incontro come in questo sento pronunciare tante volte la parola fortuna. Fortuna i genitori, che non lo hanno mollato un istante, fortuna gli amici che riempio-no la sua vita, fortuna anche la tecnologia domotica grazie alla quale nella sua stanza può scrivere, rispondere al telefono, cambia-re il canale alla tv. Ma Willy è ancora più semplice e schietto delle cose che diciamo di lui. “La rinuncia più grande? È quella all’autonomia. Sono sempre stato abituato fin da ragazzo a muovermi con molta liber-tà. All’inizio il dover chiedere è stato molto faticoso. Poi mi sono adeguato. D’altra par-te che potevo fare?”Su Internet c’è un sito che parla di Willy e gli assomiglia. Il sito (www.wtkg.it) è po-polato di volti, di frasi, di saluti, è come es-sere nella sua camera e guardare le pareti e vederle animate di ricordi vivi, di persone. È un luogo festoso, vibrante di vita: il saper vivere di una persona non dipende dai suoi limiti, ma da come ci si muove, a partire da essi. “È vero, non ho ballato – dirà Willy alla fine dell’incontro di Romena – però spero di aver lasciato un buon ricordo e un sor-riso”. Già, il sorriso. Il suo passo di danza migliore.

C’è un “eppure” che all’inizio è piccolo, ma che poi prende forza.

Un filo sottile collega tutto il cammino della fraternità nel nuovo anno di at-tività che per noi, lo sapete, inizia con il periodo Pasquale. Il filo è quello della creazione di spazi di accoglienza, di incontro, di condi-visione. Nel libretto allegato a questo giornalino troverete raccolte tutte le opportunità di incontro che abbia-mo cercato di confermare e, laddove possibile di rafforzare. Troverete il programma dei corsi, le attività dei gruppi, i viaggi, le iniziative delle re-altà e delle figure legate alla fraterni-tà. Noterete come abbiamo cercato di approfondire l’attenzione sulle attività de La domenica di Romena e del Tem-po di Fraternità, cioè di quegli spazi

di accoglienza libera a cui ciascuno, quando vuole, può partecipare. Questo cammino di accoglienza ha sempre più bisogno dei giusti spazi in cui calarsi. Per questo continuano i la-vori nella vicina fattoria. Lo diciamo con orgoglio: sta diventando un luogo bellissimo. Contiamo entro l’estate di cominciare a poter fruire dei primi ambienti completati: il punto ristoro, la nuova libreria, l’atrio nel quale co-

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Il nuovo anno della Fraternità

3

2012 - 2013

minceremo ad ambientare gli incontri domenicali in attesa dell’auditorium. È un’impresa che ci riempie i pensieri (le spese sono enormi, l’impegno esorbi-tante), ma anche il cuore: perché la fat-toria sembra impregnarsi della stessa atmosfera calda, semplice, vera della nostra pieve. Sembra fatta apposta per abbracciarla, e per abbracciare tutti voi quando vorrete, ci auguriamo pre-sto, poterne fruire. E allora, cominciamo con gioia il cam-mino nel nuovo. Come diceva l’Abbé Pierre: “Tutti insieme, continuiamo!”

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NUOVO LIBRO di Luigi Verdi

preghiere a RomenaPrefazione

GIANFRANCO RAVASI

“Il Dio invocato in queste pagine è quello

della consolazione e della compassione,

della ricerca della pecora perduta. È il

Dio che, in silenzio, “cammina accanto

a me”.

Sono solo alcune delle parole che il

Cardinale Gianfranco Ravasi dedica al

nuovo libro di don Luigi Verdi, Preghiere

a Romena. La prefazione del Cardinale,

che qui vi anticipiamo, apre il cuore e

la mente alla lettura di queste preghiere

nate nella nostra Pieve, ispirate dai volti

e dalle storie di chi è passato da qui.

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Come diceva l’antica tradizione giudaica, do-vremmo essere capaci di comporre «un canto ogni giorno, un canto per ogni giorno». È un po’ quello che fa don Luigi Verdi con queste preghiere sboccia-te nell’incantevole paesaggio toscano di Romena, ove egli vive con una fraternità abituata a cantare le stagioni, i mesi, i cicli liturgici, la storia umana. «Dio viene attraverso crepe di luce», come la colom-ba del Cantico dei cantici che amava «le fenditure della roccia» (2,14). In esse il mistero si svela e si cela al tempo stesso, ammiccando con le sue epifa-nie di luce. Infatti, «il vento di Dio ha trovato miriadi di varchi» per aprirsi una strada e giungere fino a noi; questo soffio divino invade e pervade i «cro-cevia furiosi» delle vicende umane, i crocicchi delle strade attraversati da uomini e donne ora distratti, ora festosi, ora sconsolati.

A tutti don Luigi ricorda la sua esperienza, vissu-ta al calore del roveto ardente della Rivelazione di-vina: «Abbiamo visto che non è il dolore / che annul-la la speranza, / non è il morire, / ma l’essere senza conforto». È per questo che il Dio invocato in queste pagine è quello della consolazione e della com-passione, della ricerca della pecora perduta, come canta una delle prime poesie oranti. È il Dio che «in silenzio, / cammina accanto a me / e mi insegna ad ascoltare, / a guardare, ad attendere, a capire». È il «Dio che è un bacio / che prepara alla lotta, / come una strada apre il mio sorriso».Illuminati, riscaldati, abbracciati dal Signore, indos-

siamo i paramenti della festa: «Rivesto il mantello della giustizia… Getto il mantello del lutto, / ridoni loro abito di gioia». Ci mettiamo, così, in marcia ver-so l’orizzonte della verità, della fedeltà, dell’amore, della profezia, del Regno, accompagnati da tante fi-gure evangeliche che s’affacciano in queste pagine, dal Battista a Maria, dai Magi a Pietro, dalla Mad-dalena a Tommaso fino a Giuda. «Destati! È l’ora di andare. / Andare lasciando il nostro peso alla terra, / affidandoci a quella forza e a quel coraggio / che traversano i piedi / e al custode dei cammini e guar-diano del fuoco».

Le preghiere di don Verdi stilisticamente amano la ripetizione, come accade nelle melopee d’Orien-te, ma anche come si ha nella dolce reiterazione del rosario e nello stesso linguaggio degli innamorati. Diventano, così, simili a un caleidoscopio le cui tes-sere di base sempre uguali si trasfigurano in mille iridescenze sempre diverse. Egli è consapevole che ormai abbiamo davanti solo «parole contorte e ma-cerie», un po’ come suggeriva già il biblico Qohelet: «Tutte le parole sono logore e l’uomo non può più usarle» (1,8).È per questo che ha deciso di «far riposare le parole ferite» e di intonare un “canto nuovo”, come invita il Salterio. E alla fine quello che si compie con queste preghiere affidate al lettore è espresso da don Luigi in modo folgorante: sarà «un pugno di luce lanciato in faccia al mondo».

Card. Gianfranco Ravasi

Entra con i tuoi occhi spalancati di bambino che amano le lampade che dondolano nel cuore degli uomini.

Entra quando il dolore non vuole sorpassie toglimi l’istinto di dare forma, che io torni a creare oltre i dubbi dell’esperienza oltre i dubbi non risolti.

Entra e snoda i quattro venti perché mi sciolgano dal fuoco di passione che mi ha lasciato predadelle mie conquiste.

Entra e forza i miei mutismi, il mio essere trascinato quando mi rimetto in fila per abitudine più che per fiducia.

Entra

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endicanti di luceM

VEGLIA dI ROMENA

ROVERETO 19 marzo 2012Parrocchia di Santa Caterina - Frati Cappuccini ore 21,00VERONA 20 marzo 2012Parr. San Nicolò all’Arena - P.zza San Nicolò, 13 ore 21,00IMOLA 21 marzo 2012Convento dei Cappuccini, via Villa Clelia, 10 ore 21,00

BOLOGNA 22 marzo 2012Chiesa S.M. della Misericordia, p.zza di Porta Castiglione ore 21,00

È dall'abbaglio della resurrezione che quest'anno ci lasceremo indicare la strada

per dare sapore al vivere di ogni giorno.

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BRINDISI 16 aprile 2012Chiesa San Vito Martire - via Sicilia 10 ore 20,30

GALATONE (LE) 17 aprile 2012Santuario Madonna delle Grazie ore 20,30

BARI 18 aprile 2012Chiesa di San Marcello - L.go D.F.Ricci,1 ore 20,30

NOCI (BA) 19 aprile 2012Parrocchia S. Maria della Natività - p.zza Plebiscito, 16 ore 20,30ALTAMURA 20 aprile 2012Chiesa San Sabino - Loc. Fornello ore 20,30

POTENZA 7 maggio 2012Chiesa di Sant’Anna - via Dante 104 ore 19,00

SALERNO 8 maggio 2012Parrocchia Gesù Redentore - Pastena ore 21,00

NAPOLI 9 maggio 2012Istituto Maria Ausiliatrice -via Cimarosa - Vomero ore 21,00

CAMPOBASSO-ISERNIA 10 maggio 2012Santuario Maria SS. Addolorata - Castelpetroso (IS) ore 21,00

FONDI (LT) 11 maggio 2012Monastero San Magno - Fondi ore 21,00

PERUGIA 23 maggio 2012Chiesa di Santo Spirito - via Parione,17 ore 21,00

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Festa di Pasqua

Cominciamo subito dicendovi grazie. Grazie per averci a iutato, negl i ultimi devolvendo il 5 per mille della dichiarazione dei redditi alla Fraternità di Romena. Il vostro aiuto è stato prezioso, ha sostenuto in maniera molto significativa tutte le nostre attività.

Anche in questi momenti non facili per l’economia personale e familiare di tutti, vi chiediamo di sostenerci ancora.

5x1000… Grazie!

Giovedì 5 Aprile: ore 21

Lavanda dei piedi Venerdì 6 Aprile: ore 21

Veglia al Crocifisso Sabato 7 Aprile: ore 22.30

Veglia e Messa di PasquaDomenica 8 Aprile: ore 16.30

Messa di Pasqua

Lunedì 9 Aprile: Festa della Fraternitàore 10: ritrovo, apertura degli stand

ore 11: Santa Messa officiata dal Vescovo di Fiesole

ore 13: Pranzo comune

ore 15: Spettacolo per bambini della “Compagnia

delle Arti di Romena” musica con i “Vallesanta Corde”

ore 17.30: Don Luigi presenta il nuovo programma di

attività della Fraternità per il 2012-2013

Gli aggiornamenti sulla festa e sul programma li potrete trovare sul sito www.romena.it

Il programma

Il cinque per mille non è un costo aggiuntivo nella dichiarazione dei redditi: se lo destinate alla Fraternità, ci aiuterà in maniera fondamentale nel proseguimento delle attività e nei lavori di ristrutturazione della fattoria, grazie ai quali presto avremo nuovi spazi di accoglienza a disposizione di tutti.

Il codice di Romena è92040200518

E grazie ancora!

È la nostra festa del cuore. Ed è anche il momento per raccontarci del nostro cammino e delle prossime tappe che vogliamo scandire insieme.

a festa di Romena di quest’anno propone questi ingredienti nel contesto di sempre: uno stare insieme semplice e festoso.

Il programma si sviluppa dal giovedì santo seguendo il percorso di avvicinamento alla Pasqua, con la lavanda dei piedi del giovedì, la veglia del venerdì e la messa di notte del sabato e del pomeriggio della domenica.Il lunedì mattina si comincia con la messa del Vescovo di Fiesole Mario Meini. Poi il pranzo comunitario negli spazi della fraternità e nel pomeriggio le animazioni per bambini, uno spazio di musica e animazione per gli adulti.

Alle 17.30 in pieve don Luigi e i collaboratori della fraternità parleranno del camminodi Romena, dei suoi progetti e dei suoi sogni.

L

Quando fai la dichiarazione dei redditi (730, Unico)

porta con te questo codice e consegnalo al tuo

commercialista o al caaf. Destinerai il 5 per mille

delle tue imposte a Romena SENZA ALCUN COSTO

AGGIUNTIVO.

Se non fai dichiarazione dei redditi MA RICEVI IL

CUD PUOI COMUNQUE DEVOLVERE IL TUO 5 PER

MILLE senza alcun costo aggiuntivo.

5 per mille in aiuto alla Fraternità di romena

12

2012

Romena ha il codice

92040200518

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a sofferenza struggente ormai si è attutita,non so da quando,non è più sempre presente,alle volte riaffiora,

non violenta come prima,ovattata dal tempo, più silente.Mi resta il tuo ricordo. Ti penso e mi capita (è una fortuna) di sognarti; in sogno sei di nuovo viva e una rinnovata tenerezza mi rimane al risveglio.Alle volte sei lontana, poi, mi capita quando cam-mino solo o sono solo in macchina, ti sento vici-na, sei lì in macchina con me; vorrei abbracciarti ma mi accontento di sentirti solo vicina. Il destino ha voluto così.Niente più i tuoi sorrisi, il tuo agire, la tua presen-za gioiosa, le tue giovani lotte, le tue ire, la gra-zia dei tuoi movimenti, i tuoi colori tenui e caldi, i tuoi sentimenti forti e accattivanti, i tuoi impegni femministi, la tua visione di vita pregna di verità e amore.Diversi anni sono passati da quella terribile notte che a noi ha sconvolto la vita e a te l’ha tolta. Sulla nostra famiglia è piombata una scure e da allora non è stata più la stessa: una famiglia monca, una famiglia ferita.Ma il nostro soffrire è stato poca cosa rispetto a quello che hanno fatto a te. Spero sempre che tu almeno non ti sia accorta di niente e che non abbia sofferto. Il tempo ha aiutato il nostro dolore, quello fisico intendo, resta l’amarezza di quello che hanno fatto a te, mentre felice correvi la vita.La natura era stata benigna con te e tu trasmet-tevi agli altri questi tuoi doni, da sempre, quasi intuissi della brevità della tua vita. Ora non sei più fisicamente con noi ma tu, così come quando c’eri fisicamente, ci rendi più uniti e più attenti l’un l’altro e di questo ti ringrazierò sempre. Un padre alla figlia che non c’è più.

Ercole

risi…Questa parola evoca scenari di disperazione, solitudine, rabbia, impo-tenza dai quali vorremmo fuggire, ma

possiamo noi scappare dalle inevitabili maree della vita? Arrivano inaspettate e spazzano via vecchie certezze a cui tutti noi ci abbarbichiamo per combattere la fatica del quotidiano cammino. Ho imparato che opporsi graniticamente non serve, forse il valore della crisi sta nell’accoglie-re quella ritrovata nudità che ci rende bisognosi degli altri, nell’accettare quella fragilità che ci fa umili, capaci di ascoltare e di vedere con uno sguardo nuovo quello che ci circonda.Solo così potremo accorgerci di altri in faticoso cammino,per costruire insieme reti solidali capa-ci di affrontare il nuovo che spaventa,portando nelle scialuppe dei nostri cuori solo picco-li semi di speranza… E in questa notte in ospedale,accanto a mia madre che dorme agi-tata, il mio cuore è colmo di gratitudine per chi in questi giorni difficili mi è stato vicino con affetto e stupore, per quella serenità e forza che non sono mie, ma che vengono alimentate da quell’Amore che mai ci abbandona anche nei momenti più bui.

a parola crisi significa cambiamento, secondo la sua etimologia greca. Tutto dentro di noi continuamente cambia e si

trasforma in ogni secondo della nostra vita, a par-tire da ogni nostra singola cellula, fino al moto del-le stelle, dei pianeti e al fluire dell’universo. Tutto è in continuo movimento, tutto scorre, tutto muore e si evolve, niente torna ad essere mai come prima. Tutto ciò di cui siamo fatti e che ci circonda è crisi, è cambiamento.Nel Buddismo è molto forte l’idea di non rimanere attaccati a niente e a nessuno, di riconoscere che

GRAF

FITI

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Maria Grazia De Angeli

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i sono due storie, nella Bibbia, che non mi stanco mai di rileggere; quella di Giuseppe, contenuta nel libro della Genesi, e quella di

Tobia, narrata nel libro omonimo.Giuseppe tradito dagli stessi fratelli. Giuseppe ogget-to di invidie e di gelosie. Giuseppe coperto di onori e poi gettato in prigione. Eppure Giuseppe tenace nella preghiera, costante nella confidenza e nel dialogo con Dio. Giuseppe, nonostante tutto, sognatore. Infine ria-bilitato, e a seguire l’incontro con i fratelli, ormai pentiti e risanati nel cuore.Tobia. Ecco l’uomo fedele, l’uomo retto, colui che non teme di sfidare l’ira dei potenti per compiere quegli atti di pietà che la coscienza gli impone: soccorrere i de-boli, seppellire i morti. Eppure anche su di lui, l’uomo giusto, sembra accanirsi un destino avverso: un inci-dente domestico, all’apparenza banale, lo priva della vista. Tobia il cieco, Tobia l’abbandonato da Dio, To-bia il deriso, perfino dalla stessa moglie: “Dove sono le tue elemosine? Guarda come sei ridotto!”. Nella cri-si e nell’avversità: Tobia il credente. Ed ecco che non tarda a manifestarsi anche su di lui la benedizione di Dio. Nelle vesti di un compagno di viaggio, un angelo affianca il figlio di Tobia in un cammino verso un luogo lontano e sconosciuto, al termine del quale il giovane incontrerà colei che diventerà sua sposa, e dal quale tornerà con un miracoloso unguento capace di sanare la cecità del padre.

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Elisabetta Persiani

nulla è nostro, tutto può arrivare e andarsene dalle nostre vite senza il nostro permesso o controllo: in questa ottica cercare di trattenere il passato o pre-tendere che niente cambi è solo energia sprecata.Di solito le crisi personali arrivano spesso dopo un cambiamento che noi percepiamo come negativo, come una perdita… ma quando riconosciamo, ac-cogliamo, accettiamo e cominciamo ad amare la naturale instabilità e povertà della nostra esisten-za… è allora che riconosciamo in ogni cambiamen-to l’energia calda della vita che si rinnova.E in quest’ottica vedere il bicchiere mezzo pieno di ogni cambiamento diventa un gioco bellissimo: Grazie alle storie che finiscono, perchè danno spa-zio a nuovi innamoramenti.Grazie alle crisi lavorative, perché danno spazio a idee creative e a nuovi sbocchi professionali.Grazie alla crisi economica mondiale, perché sta forzando i paesi sviluppati a rallentare i ritmi nevro-tici e distruttivi del capitalismo e porterà tutti noi a una vita più equilibrata e a un futuro più sostenibile.Grazie a sorella morte – come la chiamava S. Fran-cesco – e al grande e dolce mistero di nuova vita che porta con sé, da sempre.E ancora – senza stancarci mai – continuiamo a ringraziare, rivestiamo di gratitudine ogni nostro fallimento, ogni nostro dolore e torniamo a essere fiduciosi, come un bambino. Permettiamo al bruco di morire, perché nasca un’altra farfalla!Permettiamo a Dio di abbandonarci da soli sulla nostra croce, per poter poi resuscitare quando nes-suno se l’aspetta!Lasciamo che il nostro tempio venga distrutto, per-ché il Cristo lo possa di nuovo ricostruire!

i parla di crisi? Ah!Pane per i miei denti. Sono Chiara, ho 33 anni, 3 figli (1 di tre anni e 2 gemelli di 15

mesi).4 mesi fa mio marito mi ha ufficialmente annun-ciato che siamo in crisi, mentre ieri ha chiarito che se ne andrà di casa a breve, ma – ha detto – non ci sarà per me, ma per loro (i bimbi) sì. E vai.12 anni insieme, e oggi il fumo. Ha ripetuto che non è mai stato davvero bene con me, e che mi ha sposato solo perchè – pensava – sarei cambiata.Che si prova in questi momenti? Ci sei tu Gesù qui dentro? Mi dicono che sei più vicino, mi consigliano di cercare la “perla” nascosta in questa vicenda. Ma io non la vedo, non la trovo, non Ti trovo.Dalla crisi, se si riesce a uscire, si esce senz’altro più forti. “diventerò un maciste” ho detto ieri a mio marito.

Chiara

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Ma poi ci sei dentro alla crisi, e ti chiedi se mai ne uscirai, e a volte temo proprio di no. Poi penso ai miei cuccioli, e non posso abbattermi, e devo essere dolce per loro. La crisi non la posso scaricare su nessuno, la devo af-frontare. Ma che vorrà dire? Che sarà questo “arricciar-si” le maniche di cui parlano tutti? Oggi non so, ci sono dentro. forse un giorno troverò una risposta, un senso…

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PROSSIMO NUMERO: il giornale in uscita a Giugno approfondirà il tema: “RIABBRACCIAMO IL SOGNO CON LA REALTÀ”.

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Gloria Casati

Ci fa del bene rileggere le vicissitudini di questi per-sonaggi, forse perché abbiamo bisogno che la nostra storia somigli un poco alla loro.Abbiamo bisogno di sentirci dire che anche i nostri momenti di crisi, di dubbio, di difficoltà non sono il termine ultimo del nostro vivere. Anche noi vogliamo aggrapparci alla speranza che il buio che avvolge cer-ti periodi della vita è solo un capitolo e non è l’intera nostra storia. E che la nostra fedeltà, il nostro abban-dono nelle mani di un Padre, la nostra preghiera che, nonostante tutto continua, ostinatamente fiduciosa, non si perde come eco nel vuoto, ma è ascoltata e custodita e attende solo il tempo che le è stato asse-gnato per fiorire. Abbiamo bisogno di sapere che i nostri desideri, le at-tese che nascondiamo in quella zona segreta dell’ani-ma dove solo Dio ha accesso, non sono solo sogni, ma hanno il sapore del progetto, del miracolo, del “già scritto” da qualche parte anche se non ancora visto.Perché il nostro non è un Dio che si compiace del do-lore e della fatica, ma un Dio sempre schierato dalla parte della nostra gioia e della nostra felicità, anche quando dolore e fatica hanno la meglio e sembrano escludere qualsiasi altro orizzonte.Con questo sguardo, alternando sgomento ad entu-siasmo, trascinando zavorre o lasciandoci innalza-re da ali d’aquila, lasciamo che si scriva la storia di ognuno di noi e attendiamo che quando verrà posta la parola FINE, anche la nostra possa essere, per chi la leggerà, consolazione e speranza.

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Foto di Massimo Schiavo

L’autunno, spogliando i rami, lascia vedere il cielo.

Christiane Singer