la devianza. il modello teorico interazionista di l. zanellato (2010)

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  • 7/30/2019 La devianza. Il modello teorico interazionista di L. Zanellato (2010).

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    La devianza

    1. Introduzione

    In questi ultimi anni si affermato un orientamento critico verso i tradizionali modi di spiegare etrattare il problema della devianza.Tale orientamento nato sia dal contributo teorico di psico-sociologi come Lemert e Becker, siadall'autocritica fatta da una ristretta minoranza di psichiatri e psicoanalisti verso il ruolo ideologicodelle loro conoscenze e pratiche istituzionali. Da un punto di vista concreto questo ha contribuito arimettere in discussione concetti come quello di "normalit" e "patologia" ormai acquisitistabilmente alla pratica ed alla ricerca clinica. In questo orientamento non si pi cercato dispiegare o interpretare l'agire del deviante partendo dal tradizionale quadro concettuale basatosull'idea dell'esistenza di comportamenti normali e patologici, ma si cercato invece di capire cometale quadro concettuale, tradotto nella pratica, abbia per certi aspetti contribuito a costruire quantodiceva di voler spiegare e curare o correggere.Il modello teorico interazionista, di cui cercheremo in questo scritto di sviluppare alcune sueimplicazioni, ha innescato un vero e proprio salto di paradigma e lo sviluppo di una nuova area diricerca e di spiegazione del comportamento sociale, partendo, appunto, dallo studio degli aspettinormativi che caratterizzano l'interazione umana.Se si vuole infatti, comprendere pienamente il significato che sta alla base di unazione deviantecompiuta da un ragazzo e le sue difficolt a cambiare bisogna tener conto di tutti quei processiche producono e stabilizzano la sua identit deviante, nel contesto delle azioni e delle situazioni cherendono molte volte immodificabili le sue scelte di vita.La devianza, in quanto costruzione sociale, non un fatto in s, una propriet o una realtontologica che si insinua o permea la personalit del tossicomane o di ogni altro soggetto percepitocome deviante. La devianza lombra che ogni norma violata, e pubblicamente sanzionata, proiettasu certi comportamenti piuttosto che su altri. leffetto di un processo sociale di attribuzione che,date certe condizioni, porta allidentificazione con un ruolo (per esempio quello ditossicodipendente), con tutto quello che ne consegue. Ogni diversit, socialmente stigmatizzata, puessere rivestita dalle immagini prototipiche e stereotipiche che le conferiscono, di fatto, una serie ditratti e di attese negative considerati per lappunto devianti. Quindi deviante non chi devia da unanorma, in questi termini sarebbe una tautologia di scarso valore, ma chi incappa nelle norme chestigmatizzano una qualche sua trasgressione o diversit. Le norme contengono tutta una serie di

    processi di definizione, di linguaggio e di regole che di fatto costruiscono la percezione sociale deldeviante, ovviamente a seconda dei contesti, della cultura, dei momenti storici e delle leggi(Milanese, 1998).

    2. La concezione della devianza nella prospettiva interazionista

    E negli anni Sessanta che, negli Stati Uniti, nasce e si sviluppa un orientamento teorico che sioccupa dello studio dei comportamenti devianti, ad opera di studiosi come Becker, Erikson, Lemert,Scheff, Goffman e Matza.Tale prospettiva, nota come Labeling Theory (teoria delletichettamento), si richiama allacorrente filosofica, psicologica e sociologica dellInterazionismo simbolico ed caratterizzata da unsuperamento dei tradizionali paradigmi del correzionalismo e patologismo (nella versione siamedico-psichiatrica che sociologica) e dallimportanza attribuita ai processi di reazione e controllo

    sociale per la comprensione e lanalisi dei fenomeni devianti. In contrapposizione alle teoriestrutturali, interessate alleziologia della devianza, i labeling theorists propongono unaconcezione che si focalizza sul processo del divenire devianti, in cui giocano un ruolo

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    fondamentale i processi di attribuzione, di etichettamento e di stigmatizzazione che colpiscono lacondotta deviante.Avvalendosi di nozioni quali quelle di reazione sociale, stigma, mortificazione del s, devianzasecondaria, questi studiosi hanno infatti dimostrato come siano proprio le agenzie e le istituzionideputate a scopi assistenziali, riabilitativi e terapeutici a dar forma alla devianza, consolidandola in

    ruoli ed identit devianti.La condizione di devianza, infatti, resa oggettiva dai processi di definizione ed etichettamentooperati dalle varie agenzie sociali1, finisce con lacquisire un valore prescrittivo, inducendolindividuo stigmatizzato a fare della sua diversit un ruolo stabile e ad assumerla quale componentecentrale del proprio S.In questa prospettiva, i meccanismi di reazione e controllo sociale svolgono un ruolo fondamentalenella costruzione e stabilizzazione dellidentit deviante, e devono quindi essere tenuti in debitaconsiderazione se si vuole comprendere pienamente il fenomeno devianza e la tendenza allarecidiva comportamentale tipica degli individui etichettati come devianti (Milanese, 1998).In altre parole, la diversit diventa un dato socialmente significativo e viene tradotta (attribuita e

    prescritta) come carattere deviante. Questo, ovviamente, in relazione alle norme che regolano i

    contesti sociali e alle categorie cognitive da queste prodotte. Categorie che mentre definiscono laposizione sociale dell'individuo diverso, finiscono per prescrivergli identit e schemi d'azionecoerenti con tale definizione. In tal modo il ruolo di deviante tende a costruirsi in funzione delleazioni che ci si aspetta da esso e questo entro certe regole che la definizione degli episodidetermina.

    Ne consegue che le categorie di significazione, attraverso cui si d senso agli episodi, come aicomportamenti ed alle persone, non sono mai atti puramente descrittivi, in quanto contengono deglia priori, cio degli atti interpretativi socialmente organizzati e finalizzati. La condizione diindividuo deviante, resa oggettiva, secondo atti linguistici o atti sociali, tipizzata attraversocategorie giuridiche, mediche o del senso comune, finisce con l'assumere un valore prescrittivo, checome gi osservato, induce l'individuo stigmatizzato a fare della sua diversit un ruolo stabile e arappresentare la propria condizione di deviante come l'immagine pi rilevante del proprio S. Unameticolosa ricostruzione del significato che il deviante attribuisce alle proprie azioni, porta acomprendere i mutamenti nell'organizzazione dellidentit dopo che il contesto sociale gli haapplicato l'etichetta stigmatizzante. L'individuo deviante emerge, quindi, tramite un processo disignificazione e definizione che non una qualit intrinseca all'azione che compie. Ogni volta cheun gruppo, un'istituzione, addita un atto come deviante, esso rafforza l'autorit della norma violata eribadisce i significati in base ai quali l'individuo deve autopercepirsi e aderire a quelle regole chestabiliscono i mezzi e i valori della propria identit.Condizione, questa, che tende ad essere tanto pi incisiva quando esistono situazioni culturali,economiche, istituzionali, il cui apparato normativo rigido favorisce da un lato l'infrazione delle

    regole, dall'altro la costruzione di aree separate ma complementari di espressione e trattamento delladevianza.Il punto di vista interazionista non interessato alle "cause soggettive" del disagio o del conflitto(non le nega, le mette tra parentesi), in quanto fa oggetto della sua ricerca scientifica quello spazionormativo e regolativo che scaturisce dall'incontro e dalle definizioni delle situazioni sociali. L'areadi studio di tale orientamento gravita intorno, non ad un universo d'individui precostituiti, bens ai

    processi di costruzione sociale della realt e delle persone prodotti dall'interazione tra gli individuiall'interno dei contesti umani (Salvini, 1980).

    1 Significare qualcosa mediante lazione come significare qualcosa mediante il linguaggio. Daltra parte il

    comportamento sociale va concepito come un insieme di processi costituiti da azioni mediate da significati. Ne derivache i rapporti tra le persone non sono semplicemente forme dinterazione sociale, riscontrabili anche in altre specieviventi, ma anche forme dinterazione simbolica, in cui esiste una continua mediazione di significati che concorre aconsentire le diverse forme dinterazione (Berger e Luckmann, 1966).

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    La realt sociale non data, richiede sempre un consenso, un accordo; la mediazione continua diquadri di significato da parte di coloro che danno vita ad uninterazione. Altrettanto pu essere detto

    per le diverse istituzioni, come ad esempio la scuola, che di tale realt pilastro: anch'esse esistonoin virt di un accordo sul significato simbolico delle loro strutture e norme e anch'esse necessitanoda parte dei membri atti diretti o indiretti di convalida e di adesione alle rappresentazioni di realt

    sociale che ne derivano. Berger e Luckmann (1966) sostengono che il mondo istituzionale richiedesempre una legittimazione, cio delle pratiche e delle conoscenze attraverso cui possa esseregiustificato ed oggettivato e le cui regole possano essere inscritte in un ordine extraumano, cionaturale. Da ci si pu assumere che il carattere oggettivo della realt sociale risiede negli atti, negliepisodi ed eventi socialmente organizzati.In tale prospettiva appare chiaro che la conoscenza o il sapere quotidiano costruiti sul deviante, non

    possono che sedimentare categorie e concetti in qualche modo funzionali a tale compito pratico. Daci deriva il rapporto complementare tra le immagini della devianza e l'oggettivit che di riflesso larealt normativa ne trae. Questo perch le norme non hanno solo caratteristiche costrittive erepressive, ma principalmente costruttive e validanti la realt in cui si deve sviluppare l'azione2

    (Salvini, 1980).

    La certezza del deviante come di un oggetto naturalmente dato, ha esasperato, per esempio, laricostruzione ipotetica delle cause a partire dagli effetti. Questi ultimi vengono arbitrariamentedecretati come fatti empirici, perdendo di vista che essi sono ritagliati e resi significativi mediantegiudizi di valore. Questo ha favorito le teorie sulla devianza indirizzate a ricercare i nessi esplicativiin altrettanti "fatti causali" da isolare, ora nella costituzione dell'individuo, ora nella sua psiche, oranella sua biografia familiare. Fatti che molte volte vengono ad essere sostantivizzati, resi oggettivi,non tenendo conto del loro uso metaforico, ora convenzionale, ora di semplici aggettivazioni. Cos,

    per esempio, si enfatizza, attribuendo loro un potere che implicitamente sottende una causa certa,termini come: "immaturit", "personalit psicopatica", ecc. Da qui il passaggio ad un realismonominale per cui certi fatti acquistano una loro concreta obiettivit causale in quanto identificati conla parola stessa, cio con un atto linguistico di definizione. In tal modo i tratti "oggettivi" di uncomportamento o della personalit, preliminarmente estratti dal loro contesto e riportati nel contestodi chi li valuta, assorbono le intenzioni normative di questo, di un ruolo predisposto, nascondendodietro l'alibi della conoscenza oggettiva e neutrale, l'atto di reificazione che l'espediente linguisticoha escogitato.L'omosessualit, per esempio, pu essere considerata un reato, una malattia, un sintomo

    psichiatrico, un qualcosa la cui oggettivit viene rinforzata ove si riesca a definirla come unapropriet della persona, piuttosto che una espressione comportamentale. Quindi inserirel'omosessualit in una classe malattia" consente di dare per scontato un agente causale e riflettere,conseguentemente, una oggettivit che eclissa dalla parola l'implicito giudizio di valore. Un talegiudizio, tradotto in un dato di anormalit e di patologia, con il suo peso empirico, rientra in un pi

    vasto processo di costruzione e conferma di quadri di significato e quindi di categorizzazione dellarealt.L'ordine, uno dei possibili, dal momento che non ci pu essere societ senza un consenso intornoall'ordine che deriva dal senso comune, produce comunque un'organizzazione dello spaziosimbolico riferito a regole, norme e leggi che implicano sempre una valutazione di normalit socialeo meno dei suoi attori. I comportamenti devianti, rientrando in tale ambito di giudizio, non possonoessere considerati anomalie rispetto a leggi biologiche di adattamento e di funzionamento socialedell'uomo. Se le considerassimo in tal modo, accetteremo quella metafisica positivista checonfondeva e confonde tutt'ora, le norme prescrittive (sociali) con le norme costitutive (biologiche)dell'organismo. Due ordini di discorso, due piani di realt, che non possono e non dovrebbero essereconfusi. Se. la devianza un'attribuzione di significato sociale alla diversit e questa molte volte il

    2 Giddens (1976) rileva a tale proposito che la produzione della societ da parte degli agenti si regge sulla produzione disenso negli atti comunicativi. Tale senso poggia sullaccordo normativo che il linguaggio anticipa precostituendosignificati e regole per lazione.

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    riflesso della prima, se ne deduce che le norme sociali non possono essere ridotte a quellebiologiche3. Quindi ogni infrazione per prima cosa una rottura di una regola sociale. Solo nelcaso, peraltro limitato, di malattie neurologiche i due ordini regolativi sono soggetti ad intersecarsi.La confusione tra norme prescrittive e norme costitutive ha portato per esempio, ad attribuire unacompetenza diagnostica e peritale nel campo dei comportamenti devianti, alla psichiatria, alla

    medicina legale e allantropologia criminale, nella loro veste di discipline bio-mediche. Erroregrossolano da un punto di vista epistemologico, ove si consideri che l'atto deviante sempre eprioristicamente un'infrazione a "norme prescrittive" (quindi storiche, dettate da certi interessi eculturalmente relative, ecc.): difatti, l'atto deviante, non deriva dalla natura anomala dell'individuo,ma , in primo luogo, una valutazione di una condotta che a partire da questa, viene attribuita alla

    persona come sua caratteristica stabile (fisica, sociale e psicologica). L'impropria estensione delsapere dei tecnici delle discipline bio-mediche alle condotte devianti, ha finito per riflettersi sullanatura dell'oggetto. Come ha osservato giustamente Becker (1963), "giudicare se un atto sia o menodeviante dipende in parte dall'atto (cio se infrange o meno qualche regola), e in parte daltrattamento che gli viene riservato dal pubblico. Ossia da chi, quando, dove esso venga valutato".In tal modo il deviante, se definito malato e i suoi atti designati come sintomi, consolida in maniera

    rassicurante lo spessore quotidiano della normalit che ha infranto. Difatti se il deviante taleperch anormale rispetto ad un presunto ordine naturale ne consegue che la norma/moralit nonappartiene ai decreti umani, ma a quelli della natura. Ci consente di dedurre un processo dilegittimazione della norma esistente, delegandone per questo l'interpretazione ad una disciplina bio-medica. Ma questo ha anche qualche conseguenza sulla carriera del deviante, giustificando, il pidelle volte, una presa riabilitativa o terapeutica, che sottraendo alla volont dell'individuo la suaeventuale parte di responsabilit, meglio lo reintegra in un'autopercezione immodificabile diidentit deviante4.

    I contenuti essenziali della teoria interazionista della devianza possono essere cos sintetizzati:a) la devianza non una propriet intrinseca ai comportamenti, ma una propriet conferita a essidalla percezione sociale e/o dalle definizioni normative;

    b) la devianza una conseguenza dell'applicazione di etichette e sanzioni da parte di alcuni neiconfronti del trasgressore vero o presunto;c) occorre abbandonare la prospettiva sincronica (una o pi cause agiscono in un dato momento efanno "precipitare" l'atto deviante) per assumere una prospettiva "sequenziale": l'individuo percorreun cammino fatto di piccoli passi, ognuno dei quali condizione dello svilupparsi di unadeterminata nuova prospettiva che premessa di nuovi comportamenti;d) le motivazioni devianti non preesistono al comportamento, ma la messa in atto delcomportamento e le reazioni che esso provoca che consentono il maturare delle motivazioni alladevianza;

    e) sipu allora distinguere tra devianza primaria e devianza secondaria: la devianza primaria diffusa, poligenetica, di dimensioni non conoscibili, poco interessante; la devianza secondaria,quella che si manifesta a seguito della reazione sociale che colpisce il soggetto, deve essere il

    principale oggetto di interesse per la sociologia;f) alla devianza secondaria si perviene attraverso un processo, in cui gioca un ruolo importantel'interazione con gli altri e con le istituzioni di controllo;

    3 Quando si analizza il comportamento sociale delle persone basandosi sul modello delle scienze naturali, si effettua unerrore categoriale. Errore analogo a quello relativo al tentativo di comprendere le regole di un gioco servendosi diassunzioni fondate sulle regole di un altro.4 Nellottica interazionista luomo viene concettualizzati come un agente attivo e psicologicamente responsabile,guidato da intenzioni e da scopi, impegnato a dare un significato al suo agire e a progettare se stesso in relazione ad un

    contesto interpretativo (Fiora, Pedrabissi e Salvini, 1988). Luomo quindi, non pi pensato in termini deterministici,come un oggetto puramente reattivo, causato da fattori interni o esterni che siano, quanto piuttosto come un soggettocapace di autoregolarsi e di creare attivamente e intenzionalmente la propria realt e il proprio mondo, pur avendo ungrado variabile di consapevolezza in tutto ci (Salvini e Pirritano, 1984).

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    g) il deviante sviluppa in questo senso un percorso esistenziale che pu essere definito in termini diuna "carriera" nel cui ambito si apprendono tecniche, regole di comportamento, giustificazioni ematurano convinzioni, motivazioni, interessi, giudizi;h) il percorso della carriera porta, a causa del processo di etichettamento e dell'effetto di "profeziache si autoavvera", all'acquisizione dell'identit deviante e alla perdita delle normali opportunit di

    vita e di relazione;i) le norme che sono alla base della qualificazione di determinati comportamenti come devianti, nonrispecchiano affatto il sentire comune, non sono oggetto di un accordo universale, ma sonoespressione di un conflitto politico tra gruppi e rispecchiano gli interessi del gruppo dotato dimaggior potere;l) centrale quindi lo studio della formazione delle norme ossia della formazione dei criteri in baseai quali si definiscono devianti gli atti;m) anche l'applicazione delle norme non corrisponde a criteri oggettivi, ma espressione di scelte edi interessi delle agenzie preposte al controllo e al trattamento della devianza;n) il fatto che spesso si etichetti come deviante un innocente o che viceversa, e con maggiorefrequenza, non si individui l'autore di un comportamento deviante, mette in crisi tutte le certezze

    sull'esistenza di caratteristiche peculiari che distinguono i devianti dagli altri individui e sui fattorisolitamente ritenuti responsabili del loro agire;o) l'etichetta di outsiders viene applicata reciprocamente dai gruppi che si confrontano, anche se ledifferenze di potere producono effetti diversi, in quanto le definizioni ufficiali di ci che deviantesono strettamente correlate al grado di potere detenuto;

    p) un ruolo particolare giocano in questo processo di acquisizione di identit deviante le istituzionitotali e il loro potere inglobante che conduce i soggetti alla perdita dell'identit peculiare di cui sono

    portatori che viene sostituita dall'identit istituzionale. Vediamo ora pi da vicino alcuni dei puntisopra sintetizzati.

    3. Reazione sociale ed etichettamento

    La devianza una propriet conferita a determinati atti all'interno di un processo di "costruzione

    sociale": per questo la connotazione di deviante attribuita a un determinato comportamento

    relativa, modificabile nel tempo, frutto della definizione normativa di volta in volta prevalente.

    E' questo l'assunto centrale della visione costruzionista del fenomeno devianza, vista non comeentit naturale, ma come realt socialmente costruita: di conseguenza l'applicazione della qualificadi deviante a comportamenti diversi del tutto relativa e pu mutare nel tempo, nello spazio, e inrelazione ai soggetti che li mettono in atto, nonch alle circostanze in cui questo avviene.L'affermazione pi conosciuta di Erikson (1966), secondo il quale la devianza non una propriet

    inerente un tipo particolare di comportamento, bens una propriet conferita a quel comportamentodalla gente che viene in contatto diretto o indiretto con essa, propone come riferimento il gruppoche condivide i valori culturali e che, nel definire la devianza, mantiene i confini della propriaintegrit culturale. Altri, in primo luogo Becker, uscendo dall'ottica consensuale che caratterizzal'impostazione di Erikson, parlano invece di propriet conferita a determinati comportamenti da

    parte di soggetti chiaramente identificabili (gruppi, movimenti, istituzioni ecc. che assumono laveste di "imprenditori morali") i quali impongono alla collettivit il loro punto di vista ottenendo la

    promulgazione di una determinata legge, operando per darle applicazione o pi in generale facendoprevalere la loro visione delle cose e influenzando in tal modo l'opinione pubblica.Tutti comunque concordano nell'affermare che se la devianza non una propriet intrinseca,connaturata con certe forme di comportamento, ma viene ad esse attribuita da chi direttamente o

    indirettamente la constata, ne consegue che la variabile critica nello studio della devianza [ ... ] lasociet piuttosto che l'individuo che agisce (Erikson, 1977, p. 220), dal momento che il solomodo in cui un osservatore pu dire se un dato tipo di comportamento deviante o meno, [ ... ]

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    quello di apprendere qualcosa circa i valori culturali di coloro che vi reagiscono (Erikson, 1966, p.6).Le teorie interazioniste della reazione sociale presentano dunque come nucleo centrale laconvinzione che nessun atto intrinsecamente deviante, ma l'etichetta di deviante a renderlo tale.L'espressione di Becker (1987, p. 22) che meglio sostanzia questa posizione la seguente: I gruppi

    sociali creano la devianza istituendo norme la cui infrazione costituisce la devianza stessa,applicando quelle norme a determinate persone e attribuendo loro l'etichetta di outsiders. Da questopunto di vista, la devianza non una qualit dell'atto commesso da una persona, ma piuttosto unaconseguenza dell'applicazione, da parte di altri, di norme e di sanzioni nei confronti di un"colpevole". Il deviante una persona alla quale questa etichetta stata applicata con successo; uncomportamento deviante un comportamento che la gente etichetta come tale.E' evidente, in questo contesto, la relativit del concetto di devianza, data la sua dipendenza dalladefinizione sociale: atti saranno definiti devianti o conformi in societ o culture diverse, in epoche omomenti diversi nella stessa societ, a seconda delle circostanze in cui sono compiuti o del soggettoche li compie ecc. Sempre Becker (ivi, pp. 24-25), a questo proposito, cos si esprime: La misurain cui un atto verr considerato come deviante dipende anche da due altri importanti fattori: chi lo

    commette e chi si sente leso. E poco oltre: Lo stesso comportamento pu essere un'infrazionedelle norme in un certo momento, e non in un altro; pu essere un'infrazione se commesso da unacerta persona, ma non se commesso da un'altra; certe norme sono infrante con impunit, e altre no.La relativit della qualificazione di deviante applicata a una persona o a un comportamento puessere evidenziata guardando ai modi di reazione della gente e delle agenzie di controllo, maaffonda le sue radici nella diversa definizione normativa che di quel comportamento viene data inogni societ. Anche su questo punto centrale il contributo di Becker, il quale, dopo aver preso inesame i processi di fissazione dell'identit all'interno di carriere devianti, si propone di esaminarel'altra met dell'equazione: le persone che elaborano e fanno applicare le norme alle quali glioutsiders non si conformano (ivi, p. 97). L'origine delle leggi individuata nell'esercizio del poteree nella azione dei gruppi per tutelare ed estendere i propri interessi. Il processo di individuazionedei comportamenti devianti in questo senso un processo politico e si sostanzia nei due momentidella creazione delle norme e della loro applicazione da parte di agenzie che agiscono anch'essesulla base di precisi interessi e di una strategia piuttosto articolata.L'interesse per il ruolo centrale della norma positiva, della legge che fissa i confini tra lecito eillecito, creando in questo senso la devianza, porta a considerare il rapporto esistente tra norme,valori e struttura degli interessi. Nel ricostruire la "storia naturale" delle norme (Becker, 1987, p.102) si pu facilmente scoprire che il frequente riferimento a valori condivisi spesso cela le vereragioni che sottostanno alla promulgazione delle leggi. Esse infatti sono non di rado fruttodell'affermarsi in sede politica del potere di un determinato gruppo (gli "imprenditori morali")mosso da interessi precisi, che fanno riferimento ai valori come giustificazione, per cos dire

    nobilitante, delle proprie particolari visioni del mondo e di ci che utile e giusto: Una norma puessere creata semplicemente per servire l'interesse speciale di qualcuno, e successivamente puessere trovata una giustificazione in qualche valore generale (ivi, p. 105). Nel quadro della

    prospettiva interazionista il riconoscimento dell'importanza della definizione normativa sostanzialmente premessa per quelli che sono i principali oggetti di interesse: le modalit in cui siesprime la reazione sociale e istituzionale alla devianza e le conseguenze per gli individuietichettati.

    La reazione sociale al comportamento deviante si esprime a due livelli: quello informale, che si

    concretizza in processi di stigmatizzazione e marginalizzazione, e quello istituzionale, esperito dalle

    agenzie di controllo chiamate ad applicare le norme e dalle istituzioni (in primo luogo le istituzioni

    totali) incaricate del trattamento dei devianti.Al centro dell'attenzione di chi studia il tema della devianza non pi solamente il protagonista dicomportamenti non conformi, bens la relazione che si instaura tra protagonisti, altri attori sociali,

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    istituzioni di controllo. La devianza infatti concepita come un processo attraverso il quale imembri di un gruppo, di una comunit o di una societ:a)interpretano un comportamento come deviante;

    b) etichettano gli individui che si comportano in tal modo come devianti di un particolare tipo;c) riservano loro il trattamento considerato appropriato per tali casi di devianza (Kitsuse, 1983, p.

    150).

    Senso comune e reazione informale. Per gli interazionisti dunque parte integrante dello studiodella devianza l'attenzione alla maniera in cui, attraverso un'opera di interpretazione, gli attorisociali attribuiscono all'azione degli altri il significato di comportamento deviante, nonch il tipo direazione che da ci deriva, e di cui sono protagonisti, in primo luogo, le persone che circondanocolui che lo adotta. Si tratta di reazioni che sono espressione, in molti casi, del senso comune e simanifestano in contesti non ufficiali, ma che hanno conseguenze non di rado pi rilevanti di quelleche discendono dall'applicazione di sanzioni da parte delle agenzie istituzionali.Il modo in cui si concretizza la reazione sociale spesso identificabile con la nozione di"stigmatizzazione", un processo che conduce a contrassegnare pubblicamente delle persone come

    moralmente inferiori, mediante etichette negative, marchi, bollature, o informazioni pubblicamentediffuse (Lemert, 1981, p. 91). L'applicazione di uno stigma, inteso in senso generale, significal'evidenziazione di una determinata caratteristica (fisica o comportamentale) del soggetto, il qualeassume agli occhi degli altri una diversa connotazione. Ne discende una modificazione dei giudizi edegli atteggiamenti nei confronti di chi ne portatore: Un individuo che potrebbe facilmenteessere accolto in un ordinario rapporto sociale possiede una caratteristica su cui si focalizzal'attenzione di coloro che lo conoscono alienandoli da lui, spezzando il carattere positivo che glialtri suoi attributi potevano avere (Goffman, 1970, p. 20). In seguito a questa modificazione deigiudizi l'individuo perde il rispetto e la considerazione che le altre sue caratteristiche (le coordinateintatte della sua identit) gli avrebbero fatto accordare e che lui avrebbe ritenuto di dover ricevere.Le conseguenti reazioni dello stigmatizzato possono essere di diverso tipo, ma tendenzialmentesono caratterizzate dalla esigenza di adattarsi a una situazione di esclusione identificandosi concoloro che condividono lo stesso stigma.

    Nel gruppo di coloro che condividono lo stesso stigma, il soggetto compie un insieme di esperienze,una sorta di percorso di socializzazione, una carriera morale, in cui acquisisce ed elabora una seriedi competenze, di abilit, di motivazioni, di conferme, che gli consentono di sviluppare vere e

    proprie strategie di adattamento alla situazione. Berger e Berger (1977, p. 386), commentando ilcontributo di Goffman, precisano che la stigmatizzazione di un certo comportamento strettamentecorrelata al potere delle persone che elaborano la definizione di quel comportamento come deviantedi imporre tale definizione su altri: La stigmatizzazione un processo che un gruppo di genteimpone ad un altro gruppo. La definizione rester loro pi o meno attaccata" a seconda del potere di

    chi definisce.Nel caso dell'applicazione di uno stigma in seguito a comportamenti ritenuti devianti moltorilevante (Lemert, 1981) il senso di ingiustizia provato a volte da chi ne oggetto, soprattutto se

    percepisce incoerenza tra stigma e sanzioni, da un lato, e caratteristiche delle azioni compiute,dall'altro, o ancora tra stigma e sanzioni applicate in momenti o luoghi diversi per lo stesso fatto.Tale senso di ingiustizia, pu essere considerato fattore precipitante per alcune devianze secondarie.

    La reazione da parte delle agenzie di controllo e il loro contributo alla "creazione" della devianza.

    All'attenzione per le reazioni di tipo informale che si collocano nel contesto del senso comune, siaffianca quella per i processi di etichettamento da parte delle istanze ufficiali che operano avendocome riferimento le definizioni formali, espresse nelle scelte normative. I rapporti tra i diversi livelli

    sono complessi: Non solo il pensiero giuridico si presenta, per quanto concerne le categorie con lequali esso opera, come strettamente legato al senso comune, ma [...] tra i processi di definizioneformale e i processi di definizione e di reazione informale non data veramente soluzione di

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    continuit. Infatti, per un verso, le definizioni informali preparano talvolta le definizioni formali [...]e, per altro verso, i risultati concreti delle definizioni formali non sono dovute solamente all'azionedelle istanze ufficiali che essi provocano (Baratta, 1982, pp. 96-97).Anche nel campo della reazione istituzionale plausibile ritenere che la disposizione dei membridelle agenzie di controllo sociale a convalidare un'etichetta di devianza varier in base alla loro

    valutazione del grado di violazione della fiducia attribuita al deviante potenziale. Tuttavia vasottolineato che il processo di etichettamento una questione politica ed ideologica, dato che imembri delle agenzie di controllo rispondono pi a domande politiche che a casi di devianzasocialmente verificati (Denzin, 1983, pp. 244-245). Molto importante allora, come insegnaBecker (1987), lo studio delle motivazioni e dei comportamenti di coloro che sono chiamati adapplicare le norme. Se si analizza il modo in cui chi applica le norme si muove, appare infattievidente che ci troviamo in presenza di una questione complessa, non lineare, soprattutto non esentedalle influenze del sistema di interessi prevalenti. Perch una norma venga applicata, punendo ilsoggetto che l'ha infranta, occorre infatti che qualcuno prenda l'iniziativa, in modo che l'infrazionevenga posta all'attenzione della collettivit. Il prendere l'iniziativa strettamente correlato alvantaggio che si ritiene di poter ricavare e pi in generale a un complesso di fattori non

    riconducibili n solamente ai valori difesi dalla norma, n alloggettiva gravit del comportamentotrasgressivo. Le istituzioni, infatti, agiscono di solito selezionando tra i molteplici compiti loroaffidati dalla legge quelli che maggiormente consentono di valorizzare la propria funzione, gestendoattraverso un'opera costante di manipolazione dell'informazione la contraddizione tra il bisogno diaffermare i propri successi e l'esigenza di ribadire la propria indispensabilit a fronte della semprecrescente gravit dei problemi.Parlare di ricerca di vantaggi da parte delle istituzioni di controllo significa far riferimento a uncomplesso di esigenze ed esiti attesi, non solo di tipo materiale. Ad esempio, con A. K. Cohen(1969, p. 189), si pu ricordare che alla base delle differenti forme di reazione alla deviazione c'anche il bisogno di comunicare o di provare agli altri qualche cosa: Come la deviazione puesprimere o sostenere un ruolo, cos lo possono fare anche le reazioni alla deviazione. Lazione inqualsiasi ruolo, all'interno o all'esterno della struttura manifesta di controllo, contiene dei messaggiriguardanti chi occupa il ruolo e la sua adeguatezza al ruolo.L'insieme delle osservazioni svolte a proposito delle modalit di azione delle agenzie di controllo

    porta alla provocatoria conclusione che il controllo sociale "induce" alla devianza o la "crea". Sitratta di affermazioni che possono avere diverse interpretazioni, da quella che enfatzza il ruolodell'etichettamento formale nella definizione dell'identit deviante (la repressione delcomportamento deviante induce il trasgressore a continuare a comportarsi nel modo in cui statodefinito e a ripetere atti non conformi), fino alla pi ristretta e concreta (nell'operato quotidianodella polizia frequente l'attivit di provocazione, la sollecitazione a commettere reati attraversoagenti infiltrati o l'affermazione della propria autorit in modi che producono reazioni qualificabili

    come comportamenti devianti). (Berzano e Prina, 1995)

    4. Devianza primaria e devianza secondariaLe definizioni applicate agli individui contribuiscono a costruire o a modificare la loro identit.L'acquisizione dell'identit deviante avviene all'interno di un processo nel quale si pu distinguere

    devianza primaria e devianza secondaria.Il punto da cui si pu partire che l'espressione la devianza una realt socialmente costruita nondeve far pensare a una mera rappresentazione, poich da questa "costruzione" discendono

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    conseguenze reali. Parafrasando la famosa affermazione di W I. Thomas secondo cui se la gentedefinisce una situazione come reale, essa avr delle conseguenze reali, si pu affermare: Se unasociet definisce un certo tipo di condotta come deviante, allora coloro che la assumono dovrannosopportare le conseguenze di essere considerati devianti che a loro piaccia o meno (Berger eBerger, 1977, p. 370).

    Una delle pi rilevanti conseguenze messe in luce dagli autori qui esaminati quella dellaformazione dell'identit deviante. Questa forse la principale delle direzioni di analisi coltivatadagli studiosi americani che sono stati collocati sotto l'etichetta di labellists, proprio in virt delleradici di tale approccio nelle riflessioni dell'interazionismo simbolico e nel contributo di G.H. Meadsui processi che presiedono alla definizione del S nella relazione con gli altri significativi.Lattribuzione dell'etichetta di deviante a determinati comportamenti e a chi li pone in esserecontribuisce cio in maniera significativa a ridefinire l'identit personale e pubblica del soggetto, daun lato restituendogli unimmagine caratterizzata dai tratti di negativit che sono simbolicamenteassociati alla qualifica di deviante e, dall'altro, rendendo quantomeno pi problematico il suorapporto con il contesto delle relazioni e delle opportunit "normali".Il carattere processuale dell'acquisizione di un'identit deviante stato posto al centro

    dell'attenzione della prospettiva interazionista della reazione sociale, nell'opera di Lemert e in quellad Becker. Al primo dovuta la distinzione fondamentale tra devianza primaria e devianzasecondaria, al secondo la descrizione dettagliata (e dall'interno) delle carriere devianti.Perdevianza primaria si intende l'allontanamento pi o meno temporaneo, pi o meno importanteagli occhi di chi lo attua, da valori o norme sociali e/o giuridiche, attraverso un comportamento cheha implicazioni soltanto marginali per la struttura psichica dell'individuo; essa non d luogo ad unariorganizzazione simbolica a livello degli atteggiamenti nei riguardi del s e dei ruoli sociali(Lemert, 1981, p. 65). La devianza secondaria consiste, invece, nel comportamento deviante o neiruoli sociali basati su di esso, che diviene mezzo di difesa, di attacco o di adattamento nei confrontidei problemi, manifesti o non manifesti, creati dalla reazione della societ alla deviazione primaria.In realt le "cause" originarie della deviazione perdono di importanza e divengono centrali lereazioni di disapprovazione, degradazione e isolamento messe in atto dalla societ (ivi, pp. 65-66).Molto rilevanti, nel passaggio dalla devianza primaria a quella secondaria, sono gli effetti delcontrollo e della reazione sociale (ivi, p. 65):Vi un aspetto processuale della deviazione che non possiamo non riconoscere, dal momento che,

    a seguito di una ripetuta, costante deviazione o discriminazione negativa, qualcosa cambia nella

    "pelle" del deviante. E' un qualcosa che si viene a produrre nella psiche o nel sistema nervoso come

    conseguenza delle sanzioni sociali, delle cerimonie di degradazione, degli interventi "terapeutici" o

    "riabilitativi". La percezione, da parte dell'individuo, dei valori e dei mezzi, e la stima dei relativi

    costi si modificano in modo tale che i simboli che hanno la funzione di condizionare le scelte della

    maggior parte delle persone finiscono per non sollecitare quasi pi in lui determinate risposte, o

    anche per produrre risposte contrarie rispetto a quelle auspicate dagli altri .Aggiunge Lemert (ivi, pp. 65-6):Si presume che la deviazione primaria intervenga all'interno di un'ampia variet di contesti sociali,

    culturali e psicologici, e che tutt'al pi abbia delle implicazioni soltanto marginali per la struttura

    psichica dell'individuo; essa non d luogo ad una riorganizzazione simbolica a livello degli

    atteggiamenti nei riguardi del s e dei ruoli sociali. La deviazione secondaria consiste invece nel

    comportamento deviante o nei ruoli sociali basati su di esso, che diviene mezzo di difesa, di attacco

    o di adattamento nei confronti dei problemi, manifesti o non manifesti, creati dalla reazione della

    societ alla deviazione primaria. In realt le "cause" originarie della deviazione perdono di

    importanza e divengono centrali le reazioni di disapprovazione, degradazione e isolamento messe

    in atto dalla societ.

    (Berzano e Prina, 1995)

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    5. La carriera di devianteIn tema di carriere il contributo pi significativo certamente quello di Becker (1987). Il punto di

    partenza della sua analisi consiste nell'assunzione di un modello di interpretazione della devianza ditipo "sequenziale", che tiene cio conto del fatto che i modelli di comportamento si sviluppano

    secondo una sequenza, e nel contestuale rifiuto del modello "sincronico", quello che vede i varifattori ritenuti causali agire contemporaneamente e far "precipitare" improvvisamente ilcomportamento non conforme. L'analisi di Becker si rivela preziosa soprattutto per la capacit didescrizione dall'interno della carriera deviante, frutto di una metodologia fondata sull'osservazione

    partecipante e sulle interviste non strutturate ai protagonisti, attenta ai processi di progressivaacquisizione di una identit deviante, di lenta assimilazione delle motivazioni del gruppo con cui ilsoggetto si identifica, di apprendimento delle tecniche proprie di quel determinato comportamento,ma anche delle ragioni per cui lo si pu ritenere giustificabile.L'affermazione circa lo sviluppo di motivazioni devianti nel corso del processo di apprendimentonon sono le motivazioni devianti che conducono al comportamento deviante, ma, al contrario, ilcomportamento deviante che produce, nel corso del tempo, la motivazione deviante (ivi, p. 43),

    ribalta completamente le posizioni classiche circa il rapporto tra motivazioni e comportamenti,secondo le quali questi ultimi sono sempre conseguenza delle prime: qui l'ordine logico si inverte,nel senso che solo agendo, sperimentando le situazioni, confrontandosi con le reazioni sociali eistituzionali che si fissano negli individui le motivazioni alla messa in atto del comportamentodeviante. L'intuizione, di indubbio valore euristico, va tuttavia correlata al significato del termine"motivazione": se con esso indichiamo l'elaborazione cosciente dei significati dell'azione la

    posizione di Becker indubbiamente fondata, se invece lo interpretiamo nel senso di causa inqualche misura cogente, esterna all'individuo anche solo in termini di assenza di possibilit di sceltealternative, allora il discorso diventa necessariamente pi articolato e rimanda al rapporto trasoggettivit e condizionamenti oggettivi su cui si svilupper, come vedremo, il discorso dellacriminologia radicale e critica.Altri elementi rilevanti dell'analisi delle carriere devianti proposta da Becker (ivi, pp. 33) possonoessere cosi ricordati:a) posta la sostanziale "normalit" del provare l'impulso a compiere atti non conformi, occorreconcentrarsi sui motivi per cui una parte di persone decide di metterli in atto, mentre lamaggioranza riesce a controllarsi;

    b) la spiegazione da ricercarsi nel fatto che alcuni riescono a evitare l'impatto dei commitmentsconvenzionali, ossia del coinvolgimento nelle regole e negli stili di vita conformisti, o evitando diinvischiarsi in alleanze con la societ convenzionale o adottando quelle che Matza ha chiamato"tecniche di neutralizzazione" del concomitante impulso a conformarsi;c) il processo di lento abbandono dei commitments convenzionali legato da un lato all'interesse

    (ossia al modo considerato pi conveniente di raggiungere determinati obiettivi), dall'altro alleopportunit che si aprono o si chiudono nell'interazione del soggetto con l'ambiente;d) uno dei meccanismi che dall'esperienza casuale porta ad un modello pi consolidato di attivitdeviante sta nello sviluppo di motivi ed interessi devianti [ ... ]. Prima di praticare l'attivit su una

    base pi o meno regolare, la persona non ha idea dei piaceri che da essa derivano; li viene aconoscere nel corso dell'interazione con devianti con pi esperienza. Impara a prendere coscienza dinuovi tipi di esperienze e a pensarle come piacevoli [ ... ]. In breve, l'individuo impara a prendere

    parte ad una sottocultura organizzata attorno ad una determinata attivit deviante;e)la costruzione di un modello stabile di comportamento deviante fortemente influenzato dal fattodi essere scoperto ed etichettato pubblicamente come deviante, fatto che determina un drasticocambiamento dell'identit pubblica dell'individuo il quale si trova collocato nel contesto delle

    relazioni sociali con un nuovo status: posto che nello stesso individuo sempre evidente lacompresenza di una pluralit di status di rilevanza diversa, che nell'interazione possono subireprocessi di esaltazione e di messa in ombra (lo status principale pu diventare accessorio, mentre

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    emerge un tratto secondario), si osserva che l'etichettamento come deviante determina la messa traparentesi delle caratteristiche riconducibili allo status principale (ad esempio legate al fatto di esserestudente o professionista) e una enfatizzazione di quelle, spesso secondarie, riferibili alcomportamento deviante in quel momento ancora occasionale (ladro, consumatore di droghe ecc.);f) trattare una persona deviante per un aspetto come se lo fosse per tutti gli altri produce una

    profezia che si autodetermina, provocando la ristrutturazione dell'identit del soggetto nel sensoche tender a conformarsi all'immagine che ne ha la gente, anche per effetto dell'impossibilit dicontinuare a operare le scelte congruenti con lo status principale che possedeva in precedenza;g) ci potr determinare l'esclusione dalla partecipazione a gruppi convenzionali e la contestualecrescita del legame con coloro che condividono l'esperienza di stigmatizzazione;h) anche le misure poste in essere per il trattamento dei devianti contribuiscono a sviluppareconsuetudini illegittime, nella misura in cui esso nega loro i mezzi ordinari per proseguire con leconsuetudini della vita quotidiana come le altre persone;i) il passo finale della carriera consiste nell'entrare a far parte di un gruppo organizzato di devianti:ci consentir al soggetto di acquisire le razionalizzazioni e le giustificazioni (ideologiche e/o

    psicologiche) elaborate all'interno del gruppo e di affinare le tecniche per proseguire nell'attivit

    deviante con il minimo di disagio ed evitando il pi possibile le conseguenze spiacevoli derivantidal lavoro delle agenzie di controllo. (Berzano e Prina, 1995)

    6. Identit deviante e ruoli specialistici

    Un contributo fondamentale alla costruzione e stabilizzazione dellidentit deviante dato dallefigure professionali deputate alla riabilitazione, cura, o trattamento dei devianti (medici, psicologi,assistenti sociali, ecc.).Come evidenziano De Leo e Salvini (1978), infatti, la designazione di un atto come deviante nascein riferimento anche ad un ruolo specialistico: loperatore sociale proietta, in anticipo, suldestinatario del servizio, lelemento ideologico contenuto nel suo ruolo e nelle sue conoscenze equindi gli interessi e le competenze della sua professione. Esiste quindi un rapporto simmetrico trail ruolo delloperatore sociale e la costruzione delfatto e la tipologia dellatto deviante. (p.109). Ildeviante, dal canto suo, non deve mettere in discussione i valori delle istituzioni e il ruolo

    professionale dei tecnici destinati ad occuparsi di lui, accettando di far propria la concezione di s ela visione della realt che questi gli rimandano. Se questo non avviene, il rifiuto della ideologiaistituzionale o la violazione di queste regole possono essere utilizzati a riprova del giudizio

    burocratico che il deviante non si ravveduto, oppure che ancora malato (Lemert, 1972,p.97 tr.it.). proprio nellinterazione con tali figure professionali e allinterno dei contesti istituzionali di

    rieducazione, cura o trattamento che il soggetto perviene ad una stabilizzazione della propriaidentit deviante, portando a termine un processo che spesso ha un carattere di irreversibilit.Analogamente Prina (1982) rileva come anche nel caso della tossicodipendenza gli stessi servizisocio-sanitari, con la loro presa in carico, contribuiscano ad attuare un riconoscimento di status deltossicomane, sancendo una condizione a volte ancora incerta e facilitando cos un rafforzamentodella sua identit deviante. Il tossicodipendente, facendo proprie le attribuzioni degli operatorisocio-sanitari con cui interagisce e da cui dipende per lassistenza e la cura, impara a definirsi comeun malato, una vittima della societ, un individuo incapace di autodeterminarsi in quantocausato da eventi di varia natura (sociali, psicologici, familiari..).5

    5 Il tossicodipendente costituisce un caso emblematico di deviante in quanto esposto a tutti i processi simbolici,

    relazionali e affiliativi, sia sul versante del gruppo di riferimento che su quello della reazione sociale. Sotto questoaspetto la condizione giovanile tende ad esporlo, in misura maggiore di altri devianti, ai processi di emarginazione e aquelli correzionali, quindi a situazioni di estrema permeabilit psicologica per ci che riguarda la costruzione della suaidentit. (Passi, Salvini, 1982, p.54).

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    Lintervento correzionale-terapeutico ha quindi il risultato paradossale (Passi, Salvini, 1982) dirisocializzare lindividuo in base alle proprie esigenze funzionali, rendendolo totalmente dipendente

    per lautorappresentazione dalle categorie di definizione e valutazione normativo-istituzionali. Inquesto modo, sottraendo alla volont del soggetto la sua eventuale parte di responsabilit,lintervento riabilitativo o terapeutico lo relega in unautopercezione immodificabile di identit

    deviante. (Milanese, 1998).

    7. Identit deviante e rischi di recidiva

    Il processo di stigmatizzazione, ufficializzando la condizione di deviante come parte rilevantedellidentit personale ha due effetti principali:a) rendere oggettivo lesito di un giudizio morale;

    b) confermare e accrescere limportanza del ruolo trasgressivo nella vita dellindividuo e agli occhidegli altri, inducendolo ad una identificazione stabile con tale ruolo (De Leo, Salvini, 1978). Infatti:chi entra in una posizione trova gi, virtualmente, un s: egli non deve far altro che aderire alle

    pressioni che subir e trover un io bell fatto per lui. (Goffman, 1961, p.6 tr.it.).La stigmatizzazione, quindi, agisce in modo da far condividere al deviante il suo stereotipo6 come

    parte integrante e predominante della sua identit personale (Salvini, 1980), soprattutto nel caso diun adolescente. Infatti, pi la persona si trova in una condizione di inferiorit, maggiori sono le

    possibilit che la sua assenza di potere venga usata dagli altri a proprio vantaggio.Un ragazzo stigmatizzato per un suo comportamento deviante, deve confrontarsi con il ruolo che gli stato assegnato, rinforzando cos la sua definizione negativa.Lessere etichettato come deviante produce inoltre:

    1. una degradazione di status: lindividuo sar etichettato come violento, drogato,malato di mente, pedofilo e trattato di conseguenza;2. la possibilit di venire riconosciuto come quel tipo di persona;3. lacquisizione di specifiche conoscenze, competenze ed abilit potenzialmentetrasgressive ed eventualmente criminose;4. lacquisizione di una particolare visione del mondo, con un conseguentemutamento nella gerarchia dei valori (Lemert, 1972), e leventuale affiliazione ad unasottocultura deviante (Becker, 1963). Lisolamento e lautosegregazione caratteristica ditali gruppi, inoltre, contribuisce ad intensificare ulteriormente lo status deviante dei membriche ne fanno parte;5. laccettazione da parte del deviante del suo stereotipo come parte integrante della suaidentit. Il successo di questa risocializzazione agevolato dal vuoto cognitivo(Goffman, 1963) in cui il deviante, soprattutto se bambino o adolescente, viene a trovarsi

    riguardo al valore sociale della propria azione e presenza. Il deviante viene indotto cos adagire in modo non convenzionale essendo venute meno le attese di una sua condottanormale;6. la costruzione di modalit stereotipiche di percezione da parte dei soggetti cheinteragiscono con il deviante, i quali orienteranno i loro atteggiamenti e comportamenti inmodo da ottenere una conferma di tale identit;7. lo sperimentare i vantaggi secondari della propria identit negativa, sia in termini disolidariet da parte degli altri devianti che di assistenza e protezione da parte di alcunisettori della societ. Assegnando al deviante uno status ed un ruolo permanenti, infatti, siconferisce loro anche il diritto ad essere aiutati ed assistiti.

    6 La costruzione di uno stereotipo deviante (il drogato, lomosessuale, il ladro, ecc.) nasce elevando a significatosimbolico certi tratti comportamentali (stigmi), facendoli divenire parte integrante di un ruolo e attributi stabili dellapersonalit e delle sue rappresentazioni pubbliche (De Leo, Salvini, 1978).

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    Se laccedere ad uno status deviante implica in un primo momento il rifiuto e la riprovazionesociale, cos come penalizzazioni e restrizioni della propria libert, ci successivamente permette didivenire oggetto di interesse, attenzioni caritatevoli, comprensione e di ricevere anche aiutimateriali. Come nota Lemert: una descrizione del trattamento del deviante nella societ modernain termini di totale esclusione ed emarginazione non esatta, dato che spesso egli in modo alterno

    oggetto di punizione e di soccorso, di assistenza e di rifiuto (1972, p.289 tr.it.). Questo appareparticolarmente vero nel caso di alcuni tipi di devianza, quali la tossicodipendenza e lalcolismo,relativamente alle quali vige una ideologia della doppia morale (Lemert, 1972) in cui, al ripudiomorale e sociale, si affianca tutta una serie di interventi terapeutici finalizzati alla riabilitazione e alreinserimento sociale del drogato e dellalcolista.Nei confronti di questi devianti gli aspetti pisignificativi della reazione sociale sembrano essere proprio lambivalenza, la duplicit e ladiscontinuit.Bisogna inoltre considerare come le identit stigmatizzate possano rappresentare una soluzione ai

    problemi della vita dei devianti, garantendo loro una coerente autorappresentazione e ilconseguimento di determinate ricompense e soddisfazioni. Come rileva Lemert, se unastigmatizzazione efficace comporta delle penalizzazioni e riduce le possibilit di accesso ai mezzi

    convenzionali per procurarsi le soddisfazioni della vita, pu daltro canto fornire dei nuovi mezzi invista di certi fini che si cerca di conseguire (1972, p.104 tr.it.). Il deviante, quindi, pu utilizzare il

    proprio ruolo negativo in maniera strategica ed intenzionale.Se si vuole comprendere a pieno il problema della recidivit comportamentale dei devianti bisognaquindi tener conto di tutti quei processi che facilitano linsorgere e lo stabilizzarsi di un s deviantee di come il soggetto abbia organizzato tutta la propria identit e la propria vita intorno a delleattivit devianti.7Infatti, una volta che la devianza sia diventata un modo abituale di vita, il problema per la personadiviene quello dei costi che comporterebbe un cambiamento, piuttosto che quello dello status pielevato che sarebbe acquisito mediante la riabilitazione o il ravvedimento. (Lemert, 1972, p.119tr.it.). Tali costi vanno valutati soprattutto ed essenzialmente in termini di identit, ovvero delrischio di perdere i riferimenti culturali, autobiografici e cognitivi che danno stabilit e coerenzaalla rappresentazione di s. (Milanese, 1998).

    8. Considerazioni conclusive

    Il processo del divenire devianti, cos come analizzato nei paragrafi precedenti, non comunqueineluttabile, poich lascia adito a variazioni nella risposta degli individui.

    Nel processo che porta alla costruzione di una identit deviante e alla sua stabilizzazione, infatti,appare centrale il ruolo svolto dal soggetto quale attivo produttore e negoziatore di significati. Da

    questo punto di vista, non tutti coloro che vengono individuati ed etichettati come devianti siindirizzano verso uno stato di devianza consolidata, poich possono decidere di non volerintraprendere la strada deviante e tornare indietro (Becker, 1963; Lemert, 1972). Letichetta, quindi,non produce di per s la devianza e il deviante: lindividuo che, confrontandosi con i pregiudizi,gli stigmi e il bando nel corso della sua esperienza, costruisce attivamente le proprie azioni e scegliequale strada intraprendere. La soggettivit umana, infatti, implica sempre una progettualit aperta acontinue revisioni. Perfino quando ormai rassegnato alla attribuzione di uno status degradato, il

    7 Lemert, ad esempio, descrive cos la situazione del tossicodipendente: col passare del tempo, [il tossicodipendente]ha fatto penetrare le droghe in tutti o quasi i risvolti della propria vita [...] Dopo essere andato avanti cos per anni,attraverso innumerevoli situazioni sociali, la assunzione di droghe, la loro simbologia e gli stati emotivi ad esse

    concomitanti sono divenuti per lui [...] una seconda natura. Ci vuol dire che le droghe sono diventate, mediantelegami complessi e intersecantisi, quasi una tuttuno con le sue reazioni fisiologiche, psicologiche e sociali, chenellinsieme costituiscono un s supplementare. Allo stesso modo possibile discernere un s alcolista, [...] un sfalsario.. (1972, p.126 tr.it., corsivo aggiunto).

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    deviante pu cercare di neutralizzarne o di mitigarne limpatto mediante il controllodellinformazione e la diminuzione della visibilit della devianza (Goffman, 1963).Di fronte ai processi di stigmatizzazione e svalutazione sociale, il fatto che il soggetto passi da unacondizione transitoria di devianza ad una devianza organizzata dipende da vari fattori, tra i qualiappare centrale la motivazione a svolgere ruoli devianti e ad approfittare delle possibilit offerte da

    unostatus degradato (Lemert, 1972). Percepirsi e definirsi come deviante pu infatti permettere diottenere gratificazioni particolari e di attenuare in parte gli effetti della stigmatizzazione.Lindividuo, quindi, media e d vita allintero processo del divenire devianti, anche e soprattuttoquando si trova a confrontarsi con i pregiudizi, gli stereotipi e le diverse forme di attribuzione diidentit o di categorizzazione. Come ben espresso da Matza: il processo del divenire devianti ha

    poco senso, umanamente, se non si comprende lattivit filosofica interiore del soggetto man manoche questi attribuisce significato agli eventi e alle cose che lo circondano (1969, p.273 tr.it.).Dal punto di vista del soggetto, nel momento in cui si confronta con le varie manifestazioni dellareazione sociale, il problema principale se il proprio atto deviante debba essere considerato unaindicazione corretta di ci che egli , se cio egli siasostanzialmente un drogato, un criminale, unmalato di mente, ecc.. La questione dellidentit, quindi, si pone per il soggetto nei termini del

    rapporto tra ilfare e lessere. Se il soggetto decide che tale atto va considerato una indicazione dici che , d inizio ad un processo di riconsiderazione del s che lo porta a costruire il significatostesso della propria identit deviante, collaborando cos attivamente alla crescita e allo sviluppo ditale identit (Matza, 1969). In questo processo, quindi, la stigmatizzazione e lesclusione operatadai vari gruppi sociali, grossolana o ragionevole che sia, da sole non sono sufficienti a consolidareunidentit deviante che ha ancora il carattere di provvisoriet. Per comprendere come unidentit

    provvisoria possa stabilizzarsi, dobbiamo considerare la possibilit che il soggetto renda se stessooggetto, diventando testimone chiave contro se stesso (Matza, 1969, p.259 tr.it.) Il soggetto cio,riesaminando la propria identit provvisoria alla luce dellesperienza successiva, pu trarre dallaricorsivit del suo comportamento la conferma della propria identit deviante, determinando unasua stabilizzazione.Lindividuo, quindi, crea il significato dellidentit deviante con la sua stessa attivit anche sequesto strettamente collegato ai processi di etichettamento e significazione operati dalle agenzie dicontrollo sociale. Se lattivit deviante non viene stigmatizzata, infatti, improbabile che il soggettovi attribuisca grande importanza e collabori a costruire il significato della propria identit deviante.(Milanese, 1998).A scuola quindi, tenendo presente che la diversit, la devianza del ragazzo non solo una proprietdellazione da lui compiuta o della sua personalit, ma anche una conseguenza del fatto chelinsegnante applica delle regole di valutazione dettategli dal criterio di normalit/anormalit che ilsuo personale consenso allistituzione gli impone, per cercare di non innescare i meccanismi dietichettamento con tutte le conseguenze che sono state analizzate, linsegnante deve pensare al

    comportamento al ragazzo non nei termini di com, ma di che cosa fa intenzionalmente,evitando di identificarlo con il suo comportamento scorretto.Il problema va quindi valutato tenendo conto: a) della ricostruzione del significato e delle forme ditipizzazione in base alle quali l'insegnante attribuisce una connotazione di devianza o di malattiaalla personalit del ragazzo e alle sue azioni; b) della ricostruzione dell'intero episodio deviante allaluce dei significati che il ragazzo ha voluto attribuirgli; c) di rilevare lo scarto tra i due modi di"significare", tra i due sistemi di valore: quello del ragazzo e quello dellinsegnante; d) diindividuare i mutamenti che possono avvenire nell'identit del ragazzo in seguito all'immaginenegativa di s che gli rimandata.

    Bibliografia

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  • 7/30/2019 La devianza. Il modello teorico interazionista di L. Zanellato (2010).

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    VERIFICA

    Descrivere i processi che portano alla costruzione e al mantenimento di unidentit deviante.