la divina mimesis: variazioni novecentesche sugli incipit ... · 'la divina commedia'...
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La Divina Mimesis: variazioni novecentesche
sugli incipit danteschi
Antonio Maiorano
Perché l‟incipit
Riconoscibilità
Significatività
Icasticità
Snoopy cita l‟incipit di Paul Clifford (1830) di E. Bulwyer Litton
Nel mezzo del cammin
Sempre caro mi fu
Cantami o diva
Ei fu. Siccome immobile
Le donne i cavallier l’arme gli amori
Arma virumque cano
Canto l’armi pietose e ‘l capitano
Fino al momento precedente a quello in
cui cominciamo a scrivere, abbiamo a
nostra disposizione il mondo (...) il mondo
dato in blocco, senza né un prima né un
poi, il mondo come memoria individuale e
come potenzialità implicita (...). Ogni volta
l'inizio è quel momento di distacco dalla
molteplicità dei possibili: per il narratore è
l'allontanare da sé la molteplicità delle
storie possibili, in modo da isolare e
rendere raccontabile la singola storia che
ha deciso di raccontare"
Italo Calvino - "Appendice" alle "Lezioni
americane", in Saggi, Mondadori, v. 1, pp.
sgg.
CONTROCANTO A DANTE
Non nel mezzo, ma al limite del cammino La selva (la paura) ... dura ... ... oscura. La via
(la vita) smarrita. Nessun'acqua stellare sull'incaglio del nero. Nessun soffio d'ali. Che cosa mai può acquistare
cadenza, fra i simulacri d'alberi (di cattedrali?), se anche l'uomo ombra è fumo nel fumo - asparizione?
La morte della distinzione.
Del falso. Del vero.
È un terreno selvaggio.
Il piede incespica.
Il viaggio mai cominciato (il linguaggio lacerato) ha raggiunto il punto della sua incoronazione. La nascita.
(La demolizione)
Giorgio Caproni, Controcanto, da Il conte di Kevenhüller (1986)
Contro/Canto
Nel mezzo / Al limite
La selva / La
paura
La via / La vita
Asparizione = A(p)Sparizione
Per il poeta moderno non vi sono certezze.
Il viaggio verso la salvezza si tramuta in un incerto brancolare nell‟ombra,
nella nebbia, verso l‟ignoto, che appare più spaventoso alla sua fine.
Le parole di Dante diventano frammenti di frasi, il cui senso è continuamente
rettificato, concretizzato dalle parentesi.
Non c‟è luce di stelle, non c‟è guida.
La lacerazione del linguaggio è segno del disorientamento dell‟uomo
Virgilio lungo i binari
La nebbia che mi ricopriva
era vuota, era vera.
Ma io non sapevo se ombra
od uomo certo, era
lunga la figura nera
che su e giù andava – alzava
col braccio la lanterna
cieca, e scuoteva
dal cappotto il nevischio
e il fumo, mentre un fischio
la tenebra trapassava.
Giorgio Caproni
“Palo”
da “Il muro della terra”
Rifare Dante
Due volte Pasolini si propose di scrivere una versione
moderna della “Commedia”, lasciando il suo tentativo
entrambe le volte incompiuto:
“La mortaccia” (1959)
“La divina mimesis” (1963)
1922 - nasce a Bologna
dal 1928 la famiglia vive lunghi periodi a Casarsa
(in Friuli, paese materno), dove si stabilisce
definitivamente nel 1942.
1949 - è denunciato per corruzione di minorenni e
atti osceni, espulso dal PCI e sospeso
dall‟insegnamento.
1950 - si trasferisce a Roma con la madre.
dal 1954 - si rivela uno dei maggiori intellettuali
italiani: poeta, romanziere, regista, scrittore
impegnato.
1975 - è assassinato in circostanze misteriose a
Ostia
Pier Paolo Pasolini
Una vita difficile
PPP: un intellettuale poliedrico
Poesia: Le ceneri di Gramsci (1957),
Poesia in forma di rosa (1964),
Trasumanar e organizzar (1971)
Narrativa: Ragazzi di vita (1955), Una vita
violenta (1959), Petrolio (postumo,
incompiuto)
Cinema: Accattone (1961), Mamma Roma
(1962), Il Vangelo secondo Matteo (1964),
Edipo re (1967), Medea (1969), Il
Decameron (1971), Salò (1975)
Saggi e articoli: Scritti corsari (1975),
Lettere luterane (1976).
IDEE DI UN GRANDE INATTUALE
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
Io divoro la mia esistenza con un appetito insaziabile. Come finirà tutto ciò? Lo ignoro. [...] Sono scandaloso. Lo sono nella misura in cui tendo una corda, anzi un
cordone ombelicale, tra il sacro e il profano.
Io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di
difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…
Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale,
che però restava lettera morta. Le varie culture particolari (contadine, sottoproletarie, operaie) continuavano imperturbabili a uniformarsi ai loro antichi modelli: la
repressione si limitava ad ottenere la loro adesione a parole. Oggi, al contrario, l'adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata. I modelli culturali
reali sono rinnegati. L'abiura è compiuta. Si può dunque affermare che la «tolleranza» della ideologia edonistica voluta dal nuovo potere, è la peggiore delle
repressioni della storia umana. Come si è potuta esercitare tale repressione? Attraverso due rivoluzioni, interne all'organizzazione borghese: la rivoluzione delle
infrastrutture e la rivoluzione del sistema d'informazioni. Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni
distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d'informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione, il Centro ha assimilato a sé
l'intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e
concretezza. Ha imposto cioè - come dicevo - i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un «Uomo
che consuma», ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neolaico, ciecamente dimentico di ogni valore
umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane.
Prevedo la spoliticizzazione completa dell'Italia: diventeremo un gran corpo senza nervi, senza più riflessi. Lo so: i comitati di quartiere, la partecipazione dei
genitori nelle scuole, la politica dal basso... Ma sono tutte iniziative pratiche, utilitaristiche, in definitiva non politiche. La strada maestra, fatta di qualunquismo e di
alienante egoismo, è già tracciata. Resterà forse, come sempre è accaduto in passato, qualche sentiero: non so però chi lo percorrerà, e come.
..il fondo del mio insegnamento consisterà nel convincerti a non temere la sacralità e i sentimenti, di cui il laicismo consumistico ha privato gli uomini trasformandoli
in bruti e stupidi automi adoratori di feticci.
«La gente nuova e i sùbiti guadagni
orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni».
Inferno, XVI, 73-75
PASOLINI E LA SOCIETÀ DI MASSA
Pasolini sulla TV
La TV è falsità, è omologazione: stabilisce con chi la guarda
un rapporto da inferiore a superiore.
È uno strumento di massificazione e omologazione.
PASOLINI E DANTE
Dante “realista” e Dante “satirico”
Lo buon maestro cominciò a dire:
«Mira colui con quella spada in mano,
che vien dinanzi ai tre sì come sire: 87
quelli è Omero poeta sovrano;
l‟altro è Orazio satiro che vene;
Ovidio è ‟l terzo, e l‟ultimo Lucano. 90
Però che ciascun meco si convene
nel nome che sonò la voce sola,
fannomi onore, e di ciò fanno bene». 93
Così vid‟i‟ adunar la bella scola
di quel segnor de l‟altissimo canto
che sovra li altri com‟aquila vola. 96
Da ch‟ebber ragionato insieme alquanto,
volsersi a me con salutevol cenno,
e ‟l mio maestro sorrise di tanto; 99
e più d‟onore ancora assai mi fenno,
ch‟e‟ sì mi fecer de la loro schiera,
sì ch‟io fui sesto tra cotanto senno. 102 Commedia = Satira?
“La mortaccia” - 1
Il sonno! Mamma mia! Un sonno che proprio se la stava a fà sotto, pora Teresa: capirai, co' quella giornata ch'aveva
passato, n'aveva fatti pochi d'impicci!
Scese tutta sonno, coll'ossa rotte: imboccò il vicolo, che ci si vedevano dietro tutte le lucette della ferrovia, e più dietro
quelle del Quadraro, e più dietro quelle di Cecafumo, e più dietro quelle di Cinecittà: ma tutte sbattute, perse, perché era
notte alta e, da quando Marzano aveva preso Roma, a mezza notte, da quelle bande, c'era il coprifuoco.
Passò sotto l'archi, con tutti i fregi e le fregne di pietra del tempo dei Papi, andò oltre il funtanone, addossato a
quell'archi come un altare, e imboccò il Mandrione […]
Era quel montarozzo che sta sulla Tiburtina, dopo il Forte, prima di Tiburtino III, dove stava a abitare Peppe il Folle.
Era un montarozzo che sotto i ragazzi ci giocano al pallone, e sulle coste è tutto pieno di puncicarelli e fratte, e, arrivati
in pizzo, laggiù si vede l'Aniene, tra i canneti, e dall'altra parte Pietralata, e tutt'intorno le borgate più lontane, bianche
come spuma al sole.
« Ma indò me trovo, qua, vaff...! » pensava Teresa, che già parlava da sola, con uno spagheggio che tremava. Camminò
un po' lì nello spiazzo giallo, verso la gobba del monte: e si sarebbe messa a strillare, se non avesse avuto paura che
fosse peggio. Camminava camminava, tutta col culo stretto, pora creatura, senza sapere dove andare, quand'ecco che,
daje!, da dietro una gobba del monte si pararono, colla bava alla bocca, tre canacci lupi, abbaiando da torcersi i polmoni,
secchi allampanati, con le code dritte sulle cosce spelate e piene di rogna.
“La mortaccia” - 2
Poi piano piano, facendo finta di niente, sempre coi capelli dritti, fece qualche passo verso il monte, guardando i cani, e,
come quelli pareva che ancora sbranarla e divorarsela viva non ci pensassero, per il momento, cominciò a salire: ma non ce
la faceva, perché la scesa del monte era tutta una melma, ci si poteva sciare, e come puntava il piede per arrembarsi, questo
le scivolava e le tornava giù più in basso di prima.
Poi, verso sinistra, sentì una voce che la chiamava, che diceva: « Aòh. » Si voltò, con le mani a terra contro la fanga, a
pecoroni come si trovava, e guardò da quella parte. C'era un'ombra, un'ombra che non si capiva bene chi era. Stava ferma, e
guardava verso di lei. […]
Come s’accostò a Teresa le parve di riconoscere chi era. «Sì, sì, ma io a questo lo conosco! » […]
Era infatti un uomo non tanto alto di statura, secco, con la fronte sporgente, un naso a becco, e le labbra strette, che, si
capiva, non ridevano mai. […]
Ma come fu vicino, quello là la prese per un braccio, e, aiutandola a sollevarsi, le fece: « Vieni!», allora a Teresa venne una
tremarella e una soggezione che quasi si sturbava, perché l'aveva riconosciuto.
Muta come una cella, guardandolo quasi piangendo per la timidezza, gli andò appresso.
Una spiegazione espunta
… 'La Divina Commedia' illustrata, a fumetti, tutta ciancicata, che s'era fatta dare da
un cliente suo […]. Siccome Teresa era fin da ragazzina che sentiva parlare di questo
libro, se l'era fatto prestare, per levarsi una curiosità, e durante la giornata, battendo
sotto un sole che levava i sentimenti, s'era letto tutto l'Inferno. Era un libro gaiardo
proprio, mica so lo credeva, li mortacci sua! (e. 3)
Come si fu appennicata, cominciò d'acchito a sognare: mannaggia alla Divina
Commedia, aòh, e a chi gliela aveva data, quel martufagno tubercoloso morto di
fame zappaterra, lui e l'anima de li mortacci sua! Il so- gno che fece, l'incubo! A
trentacinqu'anni ancora non c'era arrivata, che non ne aveva manco trenta, ma era
come se n'avesse sessanta: altro che mezza foja s'era magnata, ormai! E, insomma,
dai questo dai quell'altro, in mezzo alla selva dei peccati ci stava, e ecchela là!
Veramente non era nella selva: era quel montarozzo. (e. 4)
Questi passi furono cancellati da Pasolini nel dattiloscritto
La chiave di lettura
Parodia/Abbassamento del modello/Rovesciamento alto-basso/Straniamento
Protagonista: una prostituta “smarrita”, che vive un “sogno/incubo”.
Ambiente: realistico: la realtà degradata delle borgate romane (l‟Inferno in terra), punto di partenza di un viaggio che si conclude al carcere di Rebibbia.
Guida: Dante (simbolo dell‟intellettuale civile in grado di comprendere la realtà?)
La divina mimesis - 1
Intorno ai quarant'anni, mi accorsi di trovarmi in un momento
molto oscuro della mia vita. Qualunque cosa facessi, nella
«Selva» della realtà del 1963, anno in cui ero giunto,
assurdamente impreparato a quell'esclusione dalla vita degli
altri che è la ripetizione della propria, c'era un senso di
oscurità. Non direi di nausea, o di angoscia: anzi, in quella
oscurità, per dire il vero, c'era qualcosa di terribilmente
luminoso: la luce della vecchia verità, se vogliamo, quella
davanti a cui non c'è più niente da dire.
La divina mimesis - 2
Ah, non so dire bene, quando è incominciata: forse da sempre. Chi può segnare il
momento in cui la ragione comincia a dormire, o meglio a desiderare la propria
fine? Chi può determinare le circostanze in cui essa comincia a uscire, o a
tornare là dove non era ragione, abbandonando la strada che per tanti anni aveva
creduto giusta, per passione, per ingenuità, per conformismo?
Ma come giunsi, in quel mio sogno fuori dalla ragione - di breve durata, e cosi
definitivo per il resto della mia esistenza (cosi almeno immagino) - ai piedi di un
«Colle», in fondo a quella orribile «Valle» - che mi aveva talmente riempito il
cuore di terrore per la vita, e per la poesia - guardai in alto, e vidi, lassù in cima,
una luce, una luce (quella del vecchio sole rinato) che mi accecava: come quella
«vecchia verità», su cui non c'è più nulla da dire. Ma che riempie di gioia il fatto di
aver ritrovata, anche se porta con sé, essa sì, realmente, la fine di tutto.
Le fiere: proiezioni di se stesso
Ma ecco che subito, dopo pochi passi di quel mio solitario e scoraggiato salire, eccola li, uscita dai ripostigli comuni della mia anima (che accanitamente
continuava a pensare, per difendersi, per sopravvivere - per tornare indietro!), eccola li, la bestia agile e senza scrupoli, cangiante come un camaleonte, cosi
che i suoi colori che cambiano sono sempre quelli di prima. I colori dell'esterno, prima di tutto: quelli trovati nascendo, e subito oggetto di un affetto
tremendo, che non vuol davvero vederli cambiare. E poi quelli dell'interno, a immagine e somiglianza - a causa dell'errore della lealtà infantile e giovanile -
di quelli del mondo. Il colore della purezza, soprattutto, dell'altezza morale, dell'onestà intellettuale - maledetti colori dipinti dall'illusione!
Cosi, la «Lonza» (in cui non ebbi, subito, difficoltà a riconoscermi), con tutti quei colori che le maculavano la pelle, non si muoveva da davanti ai miei occhi, come una madre-ragazzo, come una chiesa-ragazzo. Ma ecco farsi avanti, accanto alla «Lonza» il sonno e la ferocia riuniti insieme in una sola forma di «Leone»; che, benché spelacchiato, fetido di stallatico
bestiale, pigro, vile, prepotente, stupido, privo di altro interesse che non fosse il poltrire, solo, e il divorare, solo - aveva tuttavia la potenza di chi non sa il
male, essendo per sua natura soltanto bene ciò in cui tutto lui stesso consiste. Dal suo essere sonno e ferocia, egoismo e fame rabbiosa, il «Leone» traeva una
ispirazione a vivere che lo distingueva, con violenza addirittura brutale, dal mondo esterno. Che lo ospitava quasi tremando.
Ma dovevo riconoscermi ancora in qualcosa di ben peggio. Dal silenzio in cui si è - determinazione incontrollabile o fenomeno che a poco a poco si forma,
fuori dagli accaniti e ingenui ritratti che il figlio per tutta la vita offre di sé - venne fuori una «Lupa»: che si affiancò alle altre due bestie. I suoi connotati
erano sfigurati da una mistica magrezza, la bocca assottigliata dai baci e dalle opere impure, lo zigomo e la mascella allontanati tra loro: lo zigomo in alto,
contro l'occhio, la mascella in basso, sulla pelle inaridita del collo. E tra loro una cavità oblunga che rende il mento sporgente, quasi appuntito: ridicolo come
ogni maschera di morte.
E l'occhio secco in uno spasimo; tanto più abietto quanto più simile agli spasimi dei santi: un'aridità allucinata, che dove posa la sua luce pare si attacchi
come colla colata dalla pupilla fatta tonda, ora troppo diritta ora sfuggente; e in mezzo il naso, ingrossato nella pelle e nei buchi, sopra il labbro inferiore
quasi sparito, per consunzione: il naso umano della bestia, che fa di se stessa una cavia delle proprie brame divenute, incancrenendo, sempre più naturali.
VIRGILIO
E mentre rovinavo giù, giustamente ridicolo per la mia antica vittoria su un mondo cui io appartenevo senza nessuna ragione di ritenermene più alto, ormai privo dell'autorità della poesia, e fatto ignorante dalle lunghe frequentazioni oscurantiste, pratiche e mistiche, ecco che mi apparve una figura, in cui dovevo ancora una volta riconoscermi, ingiallita dal silenzio. Come la percepii - in mezzo a tutta quella solitudine, a quel dimenticatoio, a cui mi ero ridotto, gridai: «Pietà, per favore», come nei sogni, quando
ogni dignità va perduta, e chi deve piangere piange, chi deve chiedere pietà chiede pietà. «Guarda lo stato in cui mi trovo, guarda, anche se io non
so se sei una sopravvivenza o una nuova realtà!»
«Ah - fece, guardandomi, con una sottile ma non naturale ironia nei suoi occhi fatti per essere seri - hai ragione, sono un'ombra, una sopravvivenza
...
Sto ingiallendo pian piano negli Anni Cinquanta del mondo, o, per meglio dire, d'Italia ... » E qui sorrise ancora, ironico, leggermente nevrotico:
perché erano solo la serietà, o la passione, la possibile luce dei suoi occhi: occhi tiepidi e castani sotto lo zigomo pronunciato, la guancia magra e
infantile, la bocca dal brutto sorriso pieno di dolcezza: tirata dal ghigno dell'impaccio di chi deve farsi perdonare un'antica colpa. Cosi, con quel
sorriso che lo deformava, assomigliava un po' a un povero bandito scalcagnato e sporco. E disse: «Sono settentrionale: in Friuli è nata mia madre,
in Romagna mio padre; vissi a lungo a Bologna, e in altre città e paesi della pianura padana - come è scritto nel risvolto di quei libri degli Anni
Cinquanta, che ingialliscono con me ... » E qui ebbe un altro sorriso di sdentato - benché nessun dente gli mancasse. Ma quando il sorriso, bene o
male, fini di tirargli la bocca sull'ombra delle estremità infossate della chiostra giallastra dei denti, un'aria di ingenua nobiltà gli invase tutto il
volto.
«Sono nato sotto il fascismo, benche fossi quasi ancora un ragazzo quando cadde. E vissi a lungo a Roma, dove del resto il fascismo, con altro
nome, continuava...». Sorrise, sorrise ancora, come un colpevole, quasi volesse attenuare quello che aveva detto...
«Fui poeta, - aggiunse, rapido, quasi ora volesse dettare la sua lapide – cantai la divisione nella coscienza, di chi e fuggito dalla sua citta distrutta,
e va verso una citta che deve essere ancora costruita. E, nel dolore della distruzione misto alla speranza della fondazione esaurisce oscuramente il
suo mandato...» Mi guardò un momento, non più come si guarda una vittima da aiutare, ma uno scolaro, o un intervistatore: «È perciò - aggiunse -
che sono destinato a ingiallire così precocemente: perché la piaga di un dubbio, il dolore di una lacerazione, divengono presto dei mali privati, di
cui gli altri hanno ragione di disinteressarsi. E poi ... ognuno ha un momento solo, nella vita ... »
LA CHIAVE DI LETTURA
Divina Mimesis = „Imitazione della Divina Commedia‟, ma anche „Imitazione della Divina Commedia come opera realistica‟ (anche sul piano dei linguaggi).
Il viaggio del pellegrino diventa viaggio in se stesso.
Viandante: È il Pasolini degli anni Sessanta, incerto sul suo ruolo di intellettuale impegnato.
Guida: È lo stesso Pasolini degli anni Quaranta-Cinquanta, forte delle sue certezze e della sua visione politica comunista.
Le fiere: sono aspetti della personalità dello stesso Pasolini.
Ambiente: è la realtà contemporanea, dell‟Inferno neocapitalista. La Guida dichiara di non poter ai due Paradisi utopici (e distopici) della società capitalistica e di quella comunista
Immedesimazione tra Pasolini e Dante, ma anche consapevolezza dell‟impossibilità della visione saldamente ideologica di quest‟ultimo.
Bilancio esistenziale e intellettuale. Malinconia e nostalgia, ma anche consapevolezza della fine di una stagione..
ALTRI INFERNI
Ah, non stare più in piedi nel sapore di sale
del mondo altrui (piccolo-borghese, letterario)
col bicchiere di whisky in mano e il viso di merda,
- che mi dispiacerebbe solo non rappresentarlo
così com'è - prima che per me uomo si perda -
nella «divina mimesis », opera, se mai ve ne fu,
da farsi, e, per mio strazio, così verde,
così verde, del verde d'una volta, della mi joventud,
nel mondaccio ingiallito della mia anima...
Ma no, ma no, è aprile, sono più
fresco d'un giovincello che ama
per le prime volte... Getterò giù presto, in tono
epistolare, con chiose e parentesi, una buriana di «motivi accennati», di «eccetera», blasoni, citazioni, e soprattutto allusività (autoesortativi all'infinito e sproporzioni di particolari in confronto al tutto), la prima parodistica terzina fatta pagina magmatica del Canto I, con fretta di giungere prima della prima metà, là dove all'Inferno arcaico, enfatico (romanico, come il centro delle nostre città dal suburbio ormai per sempre spacciato) s'inserisce un inserto d'Inferno dell'età neocapitalistica, per nuovi tipi di peccati (eccessi nella Razionalità
e nell'Irrazionalità) a integrazione degli antichi. E lì vedrai, in una edilizia di delizioso cemento, riconoscendovi gli amici e i nemici, sotto i cartelli segnaletici dell'«OPERA incremento pene infernali», A: i troppo continenti: Conformisti (salotto Bellona), Volgari (un ricevimento al Quirinale), Cinici (un convegno di giornalisti del Corriere della Sera e affini): e poi: i Deboli, gli Ambigui, i Paurosi (individualisti questi, a casa loro); b: gli incontinenti, zona prima: eccesso di Rigore (socialisti borghesi, piccoli benpensanti che si credono piccoli eroi, solo per l'eroica scelta d'una buona bandiera), eccesso di Rimorso (Soldati, Piovene); eccesso di Servilità (masse infinite senza anagrafe, senza nome, senza sesso); zona seconda: Raziocinanti (Landolfi) gente che sta seduta sola nel suo cesso; Irrazionali dagli Endoletterari [De Gaulle] alle vestali di Pound teutoniche o italiote); Razionali (Moravia, rara avis, e le ali degli Impegnati neo-gotici) (Da Progetto di opere future, in Poesia in forma di rosa, 1964)
CONCLUSIONI
Per il tuo bene, ora, mi pare la cosa migliore condurti in un luogo che altro luogo non è che il mondo. Oltre,
io e te non andremo, perché il mondo finisce col mondo. Quanto alle prospettive della Speranza (per cui si
muore) e ai progetti di Colui che verrà, io sono prematuro alle loro leggi. Non sono dunque autorizzato a
condurti in quei due Regni: uno, appunto, sperato, l‟altro, progettato». (DM, CANTO I)
Nel restare
dentro l'inferno con marmorea .
volontà di capirlo, è da cercare
la salvezza. Una società
designata a perdersi è fatale
che si perda: una persona mai.
(da PICASSO, in Le ceneri di Gramsci, 1957)
Per chi è crocifisso alla sua razionalità
straziante, macerato dal puritanesimo, non ha
più senso
che un'aristocratica, e ahi, impopolare
opposizione.
La Rivoluzione non è più che un sentimento.
(da “Progetto di opere future” in Poesia in
forma di rosa, 1963)
Appendice… divertissement
Dante Today
Il sito raccoglie le realizzazioni
della cultura popolare ispirate a
Dante.
“Let it Go,” Dante’s Inferno Version (2014)
Una parodia della canzone del film
di
animazione Frozen ambientata nel
mondo della Commedia dantesca