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Anno XXXV 6 15 Giugno 2012 € 1,00 Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96 Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected] tel. 340.2684464 | fax 0831.524296 In caso di mancato recapito inviare al CDM di Brindisi per la restituzione al mittente previo pagamento Resi A Milano il VII Incontro Mondiale delle Famiglie Si è svolto a Milano, dal 30 maggio al 3 giugno, il VII Incontro Mondiale delle Famiglie sul tema “La famiglia: il lavoro e la festa”. L’incontro, al quale hanno preso parte centinaia di migliaia di famiglie, è culminato con la presenza di Papa Benedetto XVI. All’Incontro Mondiale hanno partecipato anche decine di famiglie del cammino neocatecumenale della nostra Diocesi. Le altre famiglie che non hanno potuto raggiungere Milano, si sono date appuntamento, sabato 2 giugno, presso la Basilica Cattedrale, per vivere la Veglia di preghiera con il Santo Padre attraverso la diretta televisiva. Speciale alle pagine 12-13 La lezione silenziosa di Melissa Angelo Sconosciuto N on è retorica, ma dal 19 maggio scorso, giorno in cui un vile attentato alla scuola “Morvillo Falcone” ha spezzato la giovane vita di Me- lissa Bassi e ne ha compromesse tante, tutti noi siamo cambiati. Noi a Brindisi, più di altri. E non è determinante sapere che, proprio mentre chiudiamo questo numero, uno dei presun- ti autori è stato fermato, accu- sato di «strage in concorso». La parola «concorso», nel decreto di fermo, dice che il gesto folle è stato compiuto assieme ad altri, anche se quel «qualcuno», non si sa ancora se abbia fattiva- mente o moralmente cooperato. «La strage di Brindisi» ha se- gnato per sempre noi contem- poranei, perchè - come è stato giustamente osservato - quanto accaduto rischia di divorare il futuro della società, con «la gente comune che vive nella paura del suo presente e non osa più sognare come sarà il suo domani». Ed in queste ore, pur sapendo che tutto quanto accaduto non è riconducibile a terrorismo o a criminalità organizzata, ma al gesto forse vendicativo di un 68enne, nulla cambia sul nostro interrogativo più profondo: cosa abbiamo co- struito noi per i nostri figli? La risposta più vera, più pro- fonda ce l’hanno data proprio quelli che dicono, anche con le loro t-shirt: «Noi non abbiamo paura». La reazione è stata la risposta a questo sentimento, ri- proponendo la coesione socia- le, quale coagulo delle reazioni interiori delle singole coscienze, provate dalla crisi è vero, ma obbligate a ritrovare la fiducia nella vita. Paura, fiducia... Non sono pa- role nuove nel nostro lessico di cristiani. «Non abbiate pau- ra!», lo ha detto più volte chi ci ha aperto gli orizzonti dell’oltre, facendosi riconoscere dai suoi proprio con queste parole ed alla paura ha sempre contrap- posto la nostra propria virtù cristiana: «Abbiate fiducia! Io ho vinto il mondo!». Questo surplus singolarmente cristiano ci obbliga ad atti concreti per «rifare il mondo». Solo con que- sto sforzo - il cui valore i giovani hanno già capito stando vicini tutti insieme, oltre le intempe- renze -, comprendiamo da che parte stare, ponendo sempre attenzione a quel capitale uma- no che ciascuno di noi è, e può mettere a disposizione. Soltanto un «mondo rifatto» confermerà che non è stata spezzata invano la vita di Melissa, che sulla sua silenziosa lezione non suonerà la campanella di fine ora. EDITORIALE Vita diocesana Vita di Chiesa Presunte apparizioni e rivelazioni. Nuove norme A pagina 16 Sport Scandalo calcio scommesse. Bruno Pizzul: sconfitta dell’etica A pagina 22 S olo l’aggettivo «folle» va aggiunto alla stra- ge, che Brindisi ha dovuto conoscere in quella tragica mattina del 19 maggio, quando alle 7.45 un ordigno è esploso davanti alla scuo- la «Morvillo Falcone» di Brindisi, provocando la morte della studentessa mesagnese Melissa Bassi ed il ferimento di altre sue compagne di studi, cinque delle quali in maniera grave. Nella tarda serata del 6 giugno successivo, in- fatti, con il fermo di un imprenditore 68enne salentino, si è capito che un gesto folle - con moventi che gli investigatori ancora cercano -, aveva provocato morte e distruzione oltre la fi- sicità delle persone e delle cose. In questa ventina di giorni è accaduto di tutto, nel silenzio operoso degli investigatori e degli inquirenti e nell’interesse e nella condivisio- ne apertamente manifestati dagli organi dello Stato. Si è pensato alla matrice terroristica. Si è con- siderata la possibilità di un gesto eclatante della criminalità organizzata che così rispon- deva all’anniversario di Capaci ed al passaggio della carovana della legalità in zone di terreni confiscati alle mafie. Sono finiti nel tritacarne mediatico (con gravi responsabilità dettate dal sensazionalismo) persone, storie, situazioni... Al centro, la giovane vita spezzata di una ra- gazzina che sentiva il proprio dovere di stu- dentessa e cinque sue compagne di studi che soffrono per la salute compromessa; una co- munità civile ferita per la morte assurda della giovane e per i traumi causati ad altre giovani, piegata dall’indice puntatole contro dalle rico- struzioni dei primi giorni di indagini giornali- stiche, tutte orientate ad avvalorare come tutto fosse avvenuto in un ambiente in cui l’acqua di coltura più consona è quella della omertà ma- fiosa, della zona grigia di una società collusa. Al centro, ancora, quelle migliaia di giovani - credenti e no - che storditi dall’evento, confusi, ma non allucinati, hanno reagito, sulle piazze e sui sagrati, con le lacrime, le urla e i silenzi, rivendicando un ruolo in nome del coraggio dimostrato a non chiudersi e ad andare avanti. «Melissa ora è l’angelo custode dei suoi geni- tori», ha osservato mons. Talucci nella omelia della messa esequiale: il suo senso del dovere farà sì che quanto decideranno le istituzioni locali per ricordarla, intitolandole luoghi di aggregazione e momenti di riflessione, diventi cartina di tornasole per tutti. Speciale alle pagine 2-5 A Leverano il Convegno diocesano delle Caritas parrocchiali A pagina 6 Convegno Catechistico Regionale Rinnovare l’Iniziazione Cristiana nelle Chiese di Puglia Ostuni 22-24 giugno 2012 Centro di Spiritualità “Madonna della Nova” La folle strage di Brindisi Nella foto di Mario Gioia il luogo dell’attentato costato la vita , il 19 maggio scorso, alla giovane Melissa Bassi

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Anno XXXV n° 6 15 Giugno 2012

€ 1,00Spedizione in A.P. - art. 2 - c.20 - L.662/96

Redazione: piazza Duomo, 12 Brindisi E-mail: [email protected]. 340.2684464 | fax 0831.524296

In caso di mancato recapito inviare al CDM di Brindisi per la restituzione al mittente previo pagamento Resi

A Milano il VII Incontro Mondiale delle Famiglie

Si è svolto a Milano, dal 30 maggio al 3 giugno, il VII Incontro Mondiale delle Famiglie sul tema “La famiglia: il lavoro e la festa”. L’incontro, al quale hanno preso parte centinaia di migliaia di famiglie, è culminato con la presenza di Papa Benedetto XVI. All’Incontro Mondiale hanno partecipato anche decine di famiglie del cammino neocatecumenale della nostra Diocesi. Le altre famiglie che non hanno potuto raggiungere Milano, si sono date appuntamento, sabato 2 giugno, presso la Basilica Cattedrale, per vivere la Veglia di preghiera con il Santo Padre attraverso la diretta televisiva.

Speciale alle pagine 12-13

La lezione silenziosa di Melissa

Angelo Sconosciuto

N on è retorica, ma dal 19 maggio scorso, giorno in cui un vile attentato alla

scuola “Morvillo Falcone” ha spezzato la giovane vita di Me-lissa Bassi e ne ha compromesse tante, tutti noi siamo cambiati. Noi a Brindisi, più di altri.E non è determinante sapere che, proprio mentre chiudiamo questo numero, uno dei presun-ti autori è stato fermato, accu-sato di «strage in concorso». La parola «concorso», nel decreto di fermo, dice che il gesto folle è stato compiuto assieme ad altri, anche se quel «qualcuno», non si sa ancora se abbia fattiva-mente o moralmente cooperato.«La strage di Brindisi» ha se-gnato per sempre noi contem-poranei, perchè - come è stato giustamente osservato - quanto accaduto rischia di divorare il futuro della società, con «la gente comune che vive nella paura del suo presente e non osa più sognare come sarà il suo domani». Ed in queste ore, pur sapendo che tutto quanto accaduto non è riconducibile a terrorismo o a criminalità organizzata, ma al gesto forse vendicativo di un 68enne, nulla cambia sul nostro interrogativo più profondo: cosa abbiamo co-struito noi per i nostri figli?La risposta più vera, più pro-fonda ce l’hanno data proprio quelli che dicono, anche con le loro t-shirt: «Noi non abbiamo paura». La reazione è stata la risposta a questo sentimento, ri-proponendo la coesione socia-le, quale coagulo delle reazioni interiori delle singole coscienze, provate dalla crisi è vero, ma obbligate a ritrovare la fiducia nella vita.Paura, fiducia... Non sono pa-role nuove nel nostro lessico di cristiani. «Non abbiate pau-ra!», lo ha detto più volte chi ci ha aperto gli orizzonti dell’oltre, facendosi riconoscere dai suoi proprio con queste parole ed alla paura ha sempre contrap-posto la nostra propria virtù cristiana: «Abbiate fiducia! Io ho vinto il mondo!». Questo surplus singolarmente cristiano ci obbliga ad atti concreti per «rifare il mondo». Solo con que-sto sforzo - il cui valore i giovani hanno già capito stando vicini tutti insieme, oltre le intempe-renze -, comprendiamo da che parte stare, ponendo sempre attenzione a quel capitale uma-no che ciascuno di noi è, e può mettere a disposizione. Soltanto un «mondo rifatto» confermerà che non è stata spezzata invano la vita di Melissa, che sulla sua silenziosa lezione non suonerà la campanella di fine ora.

editoriale Vita diocesana Vita di Chiesa

Presunte apparizioni e rivelazioni. Nuove norme

A pagina 16

Sport

Scandalo calcio scommesse. Bruno Pizzul: sconfitta dell’etica

A pagina 22

S olo l’aggettivo «folle» va aggiunto alla stra-ge, che Brindisi ha dovuto conoscere in

quella tragica mattina del 19 maggio, quando alle 7.45 un ordigno è esploso davanti alla scuo-la «Morvillo Falcone» di Brindisi, provocando la morte della studentessa mesagnese Melissa Bassi ed il ferimento di altre sue compagne di studi, cinque delle quali in maniera grave.Nella tarda serata del 6 giugno successivo, in-fatti, con il fermo di un imprenditore 68enne salentino, si è capito che un gesto folle - con moventi che gli investigatori ancora cercano -, aveva provocato morte e distruzione oltre la fi-sicità delle persone e delle cose.In questa ventina di giorni è accaduto di tutto, nel silenzio operoso degli investigatori e degli inquirenti e nell’interesse e nella condivisio-ne apertamente manifestati dagli organi dello

Stato.Si è pensato alla matrice terroristica. Si è con-

siderata la possibilità di un gesto eclatante della criminalità organizzata che così rispon-deva all’anniversario di Capaci ed al passaggio della carovana della legalità in zone di terreni confiscati alle mafie. Sono finiti nel tritacarne mediatico (con gravi responsabilità dettate dal sensazionalismo) persone, storie, situazioni...

Al centro, la giovane vita spezzata di una ra-gazzina che sentiva il proprio dovere di stu-dentessa e cinque sue compagne di studi che soffrono per la salute compromessa; una co-munità civile ferita per la morte assurda della giovane e per i traumi causati ad altre giovani, piegata dall’indice puntatole contro dalle rico-struzioni dei primi giorni di indagini giornali-stiche, tutte orientate ad avvalorare come tutto

fosse avvenuto in un ambiente in cui l’acqua di coltura più consona è quella della omertà ma-fiosa, della zona grigia di una società collusa.

Al centro, ancora, quelle migliaia di giovani - credenti e no - che storditi dall’evento, confusi, ma non allucinati, hanno reagito, sulle piazze e sui sagrati, con le lacrime, le urla e i silenzi, rivendicando un ruolo in nome del coraggio dimostrato a non chiudersi e ad andare avanti. «Melissa ora è l’angelo custode dei suoi geni-tori», ha osservato mons. Talucci nella omelia della messa esequiale: il suo senso del dovere farà sì che quanto decideranno le istituzioni locali per ricordarla, intitolandole luoghi di aggregazione e momenti di riflessione, diventi cartina di tornasole per tutti.

Speciale alle pagine 2-5

A Leverano il Convegno diocesano delle Caritas parrocchiali

A pagina 6

Convegno Catechistico RegionaleRinnovare l’Iniziazione Cristiana

nelle Chiese di PugliaOstuni 22-24 giugno 2012

Centro di Spiritualità “Madonna della Nova”

La folle strage di Brindisi

Nella foto di Mario Gioia il luogo dell’attentato costato la vita , il 19 maggio scorso, alla giovane Melissa Bassi

Primo Piano2 15 giugno 2012 Primo Piano 315 giugno 2012

“La vera notizia è che gli studenti si sono svegliati!”. È il messaggio lanciato da Brindisi, il 26 maggio scorso, dalle migliaia di giovanissimi giunti nella

nostra città da tutta l’Italia per prendere parte alla grande manifestazione nazionale “Io non ho paura”, organizzata una settimana dopo il tragico attentato davanti alla scuola “Morvillo-Falcone”. Portavoce e interprete di questi sentimenti, la diciassetten-ne ostunese Martina Carpani, studentessa presso il Liceo “A. Calamo” di Ostuni, presidente della Consulta provin-ciale degli Studenti, nonché Coordinatrice provinciale dell’Unione degli Studenti. Sono state giornate molto intense per la giovane Martina, chiamata a dare voce alle angosce, alle paure, alle speranze e alla voglia di cambiamento degli studenti italiani. Gior-nate trascorse a preparare grandi manifestazioni: quella per la legalità, organizzata a Brindisi poche ore dopo l’at-tentato; la grande manifestazione nazionale “Io non ho paura”; “Io non dimentico parte II”, assemblea di tutti gli studenti della Provincia, organizzata in modalità laborato-riale per discutere sulle proposte concrete da portare nelle scuole e nelle città al fine di promuovere i valori di legalità, democrazia, partecipazione e verità.Non è stato facile intervistare Martina Carpani, perché nonostante il grande movimento creatosi a Brindisi, cer-tamente imprevisto, la giovanissima rappresentante degli studenti non ha dimenticato, e lo ha più volte ricordato al cronista insistente, che il suo primo e più importante dovere è quello di studiare. Un altro bel messaggio, forse il primo vero germoglio di vita nuova nato dalle macerie dell’attentato. Per Martina il vero antidoto alla violenza e al terrore si chiama cultura.«Conoscere significa rigettare i modelli ne-gativi. La nostra, infatti, vuole essere una battaglia cultura-le che mira, per esempio, a creare con i giovani percorsi di formazione contro la violenza e l’individualismo».

A proposito di doveri….nel tuo discorso in piazza, il 19 maggio, hai richiamato i tuoi coetanei alle loro re-sponsabilità.

«Doveri e diritti sono dimensioni collegate tra di loro, per-ché uno studente che comprende quali sono i suoi dove-ri, per esempio vivendo in maniera attiva la scuola, ha più consapevolezza di quelli che sono i suoi diritti, soprattutto in ambito di partecipazione».

Poi hai invitato i tuoi coetanei a “tornare a scuola con uno spirito diverso”. Come far sì che alle parole segua davvero l’impegno quotidiano?

«Dobbiamo imparare a vivere la scuola in maniera diver-sa, non considerandola come un luogo noioso in cui si è obbligati ad andare solo per studiare. Dobbiamo provare a riempire la scuola di contenuti nuovi, per esempio valo-rizzando gli organismi di partecipazione già esistenti e, se necessario, chiedendone di nuovi. La scuola deve essere sempre più, per noi studenti, luogo fondamentale che ci forma per il futuro, dandoci quella coscienza critica che poi ci permetterà di vivere nella società».

Dallo stesso palco ti sei rivolta ai rappresentanti isti-tuzionali affermando che secondo te il fenomeno cri-minale è stato minimizzato. Cosa intendevi dire?

«La mia era una riflessione rivolta a tutta la società civile. Negli ultimi tempi abbiamo dato troppo per scontato che la mafia non esista più. Nel frattempo, anche a causa della nostra omertà, è successo che i fenomeni della criminali-tà si sono radicati tra le nuove generazioni e può darsi che tutti gli episodi accaduti di recente sul territorio possano essere legati da un unico filo conduttore».

Hai suggerito la ricetta per uscire da questa situazio-ne: “creare un fronte sociale comune per affrontare i problemi della nostra comunità”. Cosa pensi degli adulti?

«Abbiamo ribadito con forza, anche nel corso delle ultime assemblee provinciali, che nel nostro percorso è necessa-rio interfacciarsi col mondo degli adulti. La nostra è una battaglia che attraversa tutta la società, quindi non può essere combattuta solo da noi studenti, in solitudine, ma è necessario il contributo di tutti».

Martina, di cosa non devono aver paura i giovani di oggi?

«Non devono avere paura rispetto a quello che è successo davanti alla scuola “Morvillo-Falcone”, non devono avere paura di riprendersi lo spazio nella scuola, di portare avan-

ti i loro sogni, di parlare e di alzare la voce nel momento in cui accade qualcosa che tenta di modificare la coscienza collettiva. I giovani non devono aver paura di stare al cen-tro, di diventare cittadini attivi e protagonisti».

L’attentato a Brindisi e il ruolo dei giornalisti. In piaz-za avete usato parole molto forti nei loro confronti, invitandoli a tacere e ad ascoltare.

«Abbiamo espresso un parere negativo nei confronti di alcuni giornalisti che hanno strumentalizzato il dolore in maniera eccessiva e non abbiamo tollerato le interviste ai mafiosi. Abbiamo apprezzato, invece, il tentativo, da parte di altri, di raccontare il processo di riscatto e di rinascita che stiamo portando avanti nella nostra realtà».

Ti sei rivolta anche ai mafiosi invitandoli a tacere. Da dove prendi tutto questo coraggio?

«Non credo di essere un’eroina, credo piuttosto che sia ne-cessario dire la verità così come è. Se vogliamo trasmettere un messaggio, occorre essere prima di tutto coerenti con se stessi. Non accettiamo lezioni dai mafiosi che, più di ogni altra cosa, cercano il consenso sociale».

Il tuo pensiero per Melissa e per le ragazze ferite…«Spero che tutto possa andare per il meglio e che a settem-bre possano tornare a scuola. A Melissa, invece, a nome di tutti gli studenti, prometto che non la dimenticheremo e che ci impegneremo affinchè cose del genere non accada-no mai più».

Martina, cos’è per te la Speranza?«È la voglia di non arrendersi, è desiderio di riscatto, è cre-dere in un mondo più giusto che non contempli la violen-za, un mondo in cui ognuno faccia la sua parte per render-lo migliore».

Giovanni Morelli

Il piazzale davanti all’ingresso della “Morvillo-Falcone” pochi minuti dopo l’attentato © M. Gioia

l’intervista� Parla Martina Carpani, coordinatrice Uds

«La notizia é che gli studenti si sono svegliati»La paura si trasformi

in Speranza

L’attentato, compiuto il 19 maggio davanti alla scuola “Morvillo-Falcone” di Brindisi, obbliga tutti, credenti e non solo, a una seria e pacata ri-

flessione. È più che legittimo gridare con forza che non si può

morire nel modo in cui è accaduto alla povera Melissa Bassi. È più che comprensibile manifestare la propria rabbia verso colui, o coloro, che hanno osato tanto. Ma ai cristiani è chiesto di più, alla denuncia occorre far segui-re l’annuncio, i gesti concreti, la testimonianza personale e comunitaria.

Il sangue innocente della giovanissima Melissa non chiede vendetta, bensì giustizia. L’arcivescovo di Brindi-si-Ostuni lo sta ripetendo fin dal primo momento rivol-gendosi, anche attraverso i mezzi di comunicazione, agli autori dell’attentato, invitandoli a pentirsi e a costituirsi per recuperare quel briciolo di umanità e di dignità che, ne siamo convinti, è presente anche nel cuore degli as-sassini.

L’Italia, e Brindisi in particolare, ha attraversato periodi della propria storia persino più drammatici e violenti del tempo presente. Ma alle bombe, al terrore, alla destabi-lizzazione e agli attacchi continui alla democrazia, non possiamo e non dobbiamo abituarci.

Da questa tragica vicenda dobbiamo uscire tutti più forti e consapevoli del nostro ruolo di cristiani e di citta-dini impegnati nella costruzione del bene comune.

Dalle manifestazioni spontanee partite da Brindisi, e svoltesi nelle piazze di tutta Italia a poche ore dal tragico avvenimento, è emerso tutto il dolore, lo sdegno e il sen-so di frustrazione e d’impotenza. Persino le tensioni, ine-vitabilmente vissute nella piazza di Brindisi stracolma di giovani, consegnano a ciascuno, singoli e comunità, due messaggi ben precisi.

Il primo. La rabbia deve lasciare il passo all’impegno, a una rinnovata responsabilità verso se stessi e verso la comunità in cui si vive, anche da parte degli stessi giova-ni. A Brindisi lo ha ricordato con forza don Luigi Ciotti, fondatore di “Libera” che ha invitato tutti a “trasformare la paura in speranza”. Ecco il compito per i cristiani: af-frontare le croci quotidiane, piccole e grandi, con la fidu-cia che questa apparente sconfitta della nostra umanità è stata già vinta dalla risurrezione del Signore.

Il secondo messaggio. I giovani hanno bisogno di guide forti e autorevoli, di adulti coerenti e appassionati. Isti-tuzioni politiche, scuola, Chiesa e famiglia: tutti insieme devono porsi accanto alle giovani generazioni, valorizza-re i loro talenti, sostenerli nella fatica a crescere, aiutarli a riscoprire i valori fondamentali dell’amicizia, della soli-darietà e del rispetto per la vita. Ma soprattutto essere in-sieme con loro nella costruzione di quella grande civiltà dell’amore che, questa sì, è davvero in grado di rinnovare i nostri cuori.

Quando anche stavolta si spegneranno i riflettori e le telecamere, rimarrà il dolore inconsolabile dei genitori di Melissa, le paure dei ragazzi che proprio in questo pe-riodo si accingono a raccogliere i frutti di un anno scola-stico fatto d’impegno e sacrifici.

Ma resterà anche il dolore di una comunità che ha assi-stito impotente a questo sfregio alla vita.

Pian piano, lo si spera, si tornerà alla normalità di una vita quotidiana fatta, soprattutto qui al Sud, di fatica e sudore.

Per dirla con le parole di Benedetto XVI nel messaggio per la 46ª Giornata mondiale delle comunicazioni socia-li, rimarrà quel silenzio, “nel quale si apre uno spazio di ascolto reciproco e diventa possibile una relazione uma-na più piena”.

Giovanni Morelli

il messa�ggio� L’omelia dell’Arcivescovo ai funerali di Melissa Bassi

La vita non muore, l’anima vive in Dio

“La vita non muore. L’uomo può uccidere il corpo, ma l’anima, la persona, in attesa della resurre-zione totale, vive in Dio. E Melissa oggi vive, di-

viene l’Angelo della sua famiglia, come i suoi genitori sono stati i suoi angeli”. Questa è “la nostra speranza”. È quanto ha affermato mons. Rocco Talucci, arcivescovo di Brindisi-Ostuni, celebrando oggi, nella chiesa matrice “Tutti i Santi” di Mesagne, i funerali di Melissa Bassi, vittima dell’attenta-to compiuto sabato scorso davanti all’Istituto professiona-le “Morvillo-Falcone” di Brindisi. Ai funerali di Stato han-no partecipato, tra gli altri, il presidente del Consiglio, Mario Monti, il presidente della Camera, Gianfranco Fini, e diversi rappresentanti delle Istituzioni locali e nazionali. Terzo giorno di un cammino pesante e fiducioso. “Siamo al terzo giorno di un cammino pesante e fiducioso”, ha detto mons. Talucci: “Dal raduno di piazza a Brindisi, che ha sug-gerito pensieri di socialità e di legalità e sostegno dei diritti delle persone, e dei giovani in particolare, a partire dal rispet-to alla vita, siamo passati alla giornata domenicale, che ci ha visti riflettere nel silenzio e nella preghiera in tutte le parroc-chie della diocesi, confortati dal pensiero del Santo Padre, in-sieme a tanti vescovi e sacerdoti, il quale al ‘Regina Cæli’ ha rivolto alla nostra città e al nostro territorio parole di paterni-tà e di giustizia, assicurando la preghiera per i feriti e special-mente per la giovane Melissa. La domenica si è conclusa con una veglia di preghiera nel piazzale di questa chiesa matrice, che ha visto protagonisti i giovani nella luce della Parola di Dio la cui presenza si avverte forte nell’esperienza dell’amo-re”. Oggi, ha aggiunto l’arcivescovo, “siamo in questa chiesa e nella città di Mesagne, intorno ai resti mortali di Melissa, vit-tima innocente di un attentato che aveva la consapevolezza di uccidere, causando uno sconforto e una tristezza che toc-cano l’animo di tutti. Eleviamo anche una preghiera per i feri-ti perché abbiano tutti a superare questa tragica condizione”. “Di noi hanno bisogno i giovani”. “Ci stringiamo attorno alla famiglia” di Melissa, ha proseguito l’arcivescovo. “Sono nel dolore, ma anche nella speranza cristiana. La vicinan-za di Dio e la nostra sono oggi l’unico conforto possibile”. Mons. Talucci ha poi sottolineato che “la preghiera di suf-fragio è per Melissa. La riflessione è per noi, che continuia-mo a essere i pellegrini su questa terra, invitati come siamo a tenere in considerazione la nostra vocazione, la nostra chiamata che viene da Dio”. Per l’arcivescovo, “la chiama-ta di fede è quella di uscire dal buio del peccato e del male verso la luce della grazia e del bene: questa si chiama vo-cazione alla santità e investe tutti noi. Chi risponde di sì a questa chiamata costruisce un mondo nuovo, giusto, vero, buono, bello, degno dell’uomo, secondo il progetto di Dio”. Da qui l’invito a “tutti noi adulti a considerare la nostra vo-cazione e a comportarci in maniera degna di essa: siamo

modelli e testimoni di vita nuova per essere credibili e affi-dabili con il nostro esempio. Di noi hanno bisogno i giovani”. Un invito ai politici, ai genitori, ai giovani e ai sacerdoti. L’arcivescovo si è quindi rivolto ai “fratelli impegnati nella politica e nel sociale”: “Mirate al bene comune, quello pieno che vi fa impegnare nella promozione dello sviluppo e della solidarietà, della sicurezza e della tutela della vita, molto più e molto prima che nella riparazione dei danni”. Ai “fratelli geni-tori” mons. Talucci ha chiesto di sentirsi “chiamati a educare ai migliori valori i figli”. Un invito particolare l’arcivescovo l’ha rivolto ai “fratelli giovani”: “Mirate a quegli ideali che danno senso al presente e al futuro, guardate alla vostra speranza fi-dandovi di educatori che nella verità vogliono il vostro bene, senza strumentalizzazioni di comodo. Non maledite nessu-no per rabbia e abbiate fiducia, il mondo cattivo può essere sconfitto”. Infine, un invito ai “fratelli sacerdoti”: “Continuia-mo ad amare i giovani interpretandoli nelle loro vere esigen-ze, parlando loro con la verità che libera e cercando di ascol-tarli per capirli”. Questa, ha spiegato l’arcivescovo, “è la vera chiamata che può liberare tutti dalla paura verso la speranza, dai soprusi verso la legalità, dall’egoismo verso la fraternità”. Agli omicidi: “costituitevi”. “Anche per voi fratelli omicidi – ha detto mons. Talucci – c’è una chiamata a vita nuova. Nella vita di peccato non appartenete a pieno titolo né alla socie-tà degli uomini né alla comunità dei cristiani. Siete chiamati a una conversione sincera per recuperare una dignità a cui non potete rinunziare per sempre. Costituitevi: meglio una punizione della giustizia umana che rimanere in una falsa libertà, che diventa presto un’autocondanna e un’autodistru-zione, e così aprirvi alla Misericordia di Dio”. L’arcivescovo ha concluso l’omelia rivolgendosi a Melissa: “Tu, cara Melis-sa, sei volata in cielo: è stata la tua anticipata ‘ascensione’. I tuoi ideali umani sono scomparsi, ma tu sei nella luce, per la quale noi tutti preghiamo. Prega tu per i tuoi genitori e per i tuoi amici di scuola, bisognosi di riprendere con sicurezza, superando definitivamente ogni paura”.

La strage di Brindisi, atto vile che interpella ciascuno di noiI primi commenti

e le dichiazioni ufficialiLa dichiarazione dell’Arcivescovo. «L’attentato davanti alla scuola ‘Morvillo-Falcone’ di Brindisi crea turbamento e sconcerto in me e nell’intera comunità ecclesiale brindi-sina». Sono le prime parole del nostro Arcivescovo diffuse attraverso un comunicato dell’Ufficio Stampa della Dioce-si. «Appena conosciuto il fatto – ha aggiunto mons. Taluc-ci – sul posto è giunto il parroco della vicina chiesa dello Spirito Santo che ha subito fornito accoglienza e ospita-lità ai ragazzi. Sono vicino con la preghiera alla famiglia della giovane, innocente vittima dell’attentato, a tutte le famiglie dei ragazzi coinvolti, ai dirigenti e ai docenti e a tutti i giovani che sono figli della nostra comunità e di cui tanto ci occupiamo a livello educativo. Oggi è stato colpi-to proprio il luogo simbolo dell’educazione delle giovani generazioni. Brindisi non può più andare avanti in questo modo, perchè grande è il bisogno di pace vera in questa città. Brindisi è comunità operosa e accogliente e deve ritrovare la sua dignità. A voi, autori di questo grave atto, chiedo di pentirvi e di costituirvi. Questo attentato non può restare impunito, ma anche voi riprendetevi dignità umana e sociale». Le parole del portavoce del Papa. Un “atto orribile e vile”, che invita il Paese a reagire alla “provocazione”: questa la presa di posizione della Santa Sede alla notizia giunta da Brindisi. Le parole del direttore della Sala Stampa Vatica-na, padre Federico Lombardi: «Siamo sgomenti, e mentre preghiamo per le vittime e siamo vicini alle loro famiglie ci dobbiamo augurare che non solo la città colpita, ma tutto il Paese riesca a reagire con decisione alle tentazioni di violenza e alle provocazioni terroristiche».Il Regina Coeli di Domenica 20 maggio. “...Oggi devo purtroppo ricordare le ragazze e i ragazzi della scuola di Brindisi, coinvolti ieri in un vile attentato. Preghiamo in-sieme per i feriti, tra cui alcuni gravi, e specialmente per la giovane Melissa, vittima innocente di una brutale violenza e per i suoi familiari, che sono nel dolore”.Bagnasco all’Assemblea Cei. Nella la prolusione alla re-cente Assemblea Generale della Cei il card. Bagnsco ha af-fermato: “Altre minacce ci stanno insidiando e su di esse si sta puntando un’assidua vigilanza, insieme alla massima attenzione per prevenire e perseguire gli autori e i fian-cheggiatori di violenza. A Brindisi c’è stato un attentato mortale in cui ha perso la vita una giovane, Melissa Bas-si, e sono state ferite altre cinque allieve, tutte che stavano entrando a scuola per apprendere e prepararsi alla vita”.Il messaggio del presidente Napolitano. «Profondo do-lore per la perdita della giovane vita di Melissa, per le gra-vissime condizioni di Veronica e per le ferite riportate da altre ragazze dell’Istituto professionale intitolato a ‘Fran-cesca Morvillo-Falcone’”. È quanto esprime il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un “messaggio di cordoglio per le vittime dell’attentato”.Azione Cattolica. La presidenza diocesana dell’Azione Cattolica italiana, appena appresa la notizia dell’attenta-to, ha diffuso un comunicato nel quale, tra l’altro, si legge: “Ci uniamo a quanti credono nell’impegno educativo per costruire una società fondata sull’affermazione dei valori, del rispetto e della dignità dell’altro, e invitiamo tutti gli uomini di buona volontà a schierarsi, deponendo senti-menti di odio e vendetta, accanto a chi lotta e si impegna quotidianamente a costruire una civiltà giusta e pacifica. A chi cerca di imporsi soltanto con le armi, con le minacce e con la violenza l’Azione Cattolica di questa Chiesa dioce-sana ricorda che ogni uomo e ogni donna è nostro fratello, sorella e madre. In ogni vittima c’è il riflesso del proprio volto, ogni gesto di violenza lede e ferisce il proprio volto, anche quello di chi ha messo mano a tanta brutalità. ”.Agesci: Di “attacco meschino e inaudito” che “ha colpito dei giovani in un luogo di cultura” parla l’Agesci (Asso-ciazione guide e scout cattolici italiani), esprimendo una ferma condanna verso l’accaduto. “La risposta degli scout alla violenza è l’impegno. Ci impegniamo a educare al di-scernimento e alla scelta, perché una coscienza formata è capace di autentica libertà. Ci impegniamo a rifiutare de-cisamente tutte le forme di violenza. C’impegniamo a for-mare cittadini del mondo e operatori di pace”.UCIIM. Anche l’Unione Cattolica Insegnanti Medi, sezio-ne di Brindisi, per voce del suo presidente Salvatore Amo-rella, interviene per «esprimere completa e convinta soli-darietà alle vittime, auspicando “una pronta reazione da parte della cittadinanza tutta e della scuola in particolare, affinchè non si pieghi al ricatto del terrore e della paura, ma consideri prioritario continuare a lavorare ed impe-gnarsi per la promozione della cultura e della civile convi-venza, rafforzando l’introduzione di percorsi di educazio-ne alla legalità e di attenzione all’uomo-cittadino».

Martina Carpani © brindisinews.com

La manifestazione del 26 maggio © M.Gioia

La bara di Melissa Bassi © Sir

Don Ciotti e il Procuratore Grasso in preghiera © M.Gioia

Primo Piano4 15 giugno 2012 Primo Piano 515 giugno 2012

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Periodica Italiana

sei giorni dopo Tutte le Parrocchie della città si sono date appuntamento nei pressi del “Morvillo-Falcone”

La speranza dei giovani di Brindisi non è morta, marcia

È sempre molto difficile coniu-gare professionalità e umanità. Il mio giornale, Avvenire, ha

preferito che io, in quel disgraziato sabato, presidiassi Mesagne, la cit-tà di Melissa. Ho passato lunghe ore all’esterno di una casa caduta, moral-mente, in macerie. Ho visto un padre aggredito dalle telecamere. E per tut-to il giorno mi sono chiesto se fare o no quella sciocca domanda che tanti ascoltano in tivvù (“Come si sente in questo momento?”), se avvicinarmi o meno ad un uomo senza più forze e senza più voce. Ho preferito guar-dare a distanza, e solo quando non c’era possibilità di essere emulato o scavalcato dai colleghi, sono riuscito

ad accostarmi, non per chiedere con-to del dolore, ma per esprimere il mio cordoglio. Nella mia prima esperien-za da inviato su un luogo di dolore, le lacrime del papà di Melissa mi hanno profondamente scosso.

Ho tuttavia cercato, e trovato, nella stessa Mesagne, dei segni di speran-za. Una città che mi è parsa bellissi-ma, con Chiese stupende, comunità parrocchiali molto solide, presenti, rispettose del dolore eppure sincera-mente caritatevoli verso le famiglie vittime dell’agguato. Una città anche orgogliosa, fiera, decisa a difendere la discrezione della famiglia di Melissa, ma anche intenta a respingere pregiu-dizi mediatici e la rinnovata etichetta

di “Corleone della Puglia”. Certamente non una città omertosa, anzi.

Proprio nello sforzo di ascoltare la città ho trovato gli spunti per il mio ar-ticolo, concentrato su Melissa e le sue amiche. E dai racconti di persone a loro molto vicine, ho potuto riflettere su quanto, nel gioco della vita e della morte, i secondi, le frazioni di tempo, piccolissimi particolari contino più di ogni cosa. Una scarpa slacciata, una confidenza ad un’amica, un passo più veloce per arrivare prima in classe… Mi sembra tutto lì il non-senso di una storia ingiusta: una sfida dell’uomo a Dio, lanciata attraverso l’uso brutale di corpi e anime innocenti.

Marco Iasevoli

Dalla penna dell’inviato La speranza dei giovani di Brindisi non è morta. Tutt’altro. Lo dimostrano le decine di iniziative, più o meno spon-

tanee, che quasi quotidianamente vengono vissute in città per ricordare la giovane vitti-ma Melissa Bassi e le altre cinque studentes-se dell’Istituto “Morvillo-Falcone” coinvolte, loro malgrado, nell’attentato del 19 maggio scorso.

Tra gli eventi degni di nota rientra quello voluto e organizzato dai giovani delle par-rocchie di Brindisi che venerdì 25 maggio si sono dati appuntamento davanti alla scuola, luogo della tragedia, per gridare all’unisono che chi ha messo quelle bombe, seminando terrore, morte e distruzione, non è riuscito, però, a uccidere la speranza. Perché – come hanno più volte ripetuto i giovani intervenuti – “la speranza siamo noi, chiamati a farci co-raggio l’un l’altro, senza avere paura”.

Molto toccante è stata la testimonianza, tra le tante che si sono succedute, di alcuni rappresentanti degli studenti dell’Istituto, i quali hanno ringraziato i giovani del-le parrocchie brindisine per aver organizzato un momento di riflessione, invitando tutti “a rimanere sempre uniti per superare questo momento di dolore, proprio come avviene in una famiglia”. Con un accorato appello finale rivolto ai giornalisti e agli operatori dell’informazione che, in questi giorni, assediano luoghi e persone legate alla vicenda: “Ab-biamo bisogno di pace e di tranquillità, per cui non fateci più domande, perché non sappiamo cosa rispondervi, per spie-gare cose del genere non ci sono parole”. I giovani compagni di scuola di Melissa, infine, hanno voluto ringraziare il no-stro Arcivescovo per la sua presenza e le sue parole in queste giornate così difficili, ma hanno anche manifestato al pastore della Chiesa brindisina tutta la loro difficoltà e il loro disagio

a perdonare gli assassini di Melissa. Il momento di riflessione è stato aperto da don Angelo

Amico, giovane vice parroco nella parrocchia San Nicola di Brindisi, referente cittadino per la pastorale giovanile, il qua-le ha spiegato il senso del convenire come «un desiderio dei giovani brindisini di vivere un momento associativo pubbli-co nel segno della fede». E i ragazzi hanno risposto in massa – un migliaio le presenze registrate – indossando magliette bianche e portando fiaccole accese e striscioni con messaggi di vita e di speranza. E sul significato di speranza si è con-centrato l’intervento-testimonianza di don Raffaele Bruno, sacerdote della vicina diocesi di Lecce, impegnato al fian-co di don Luigi Ciotti nell’associazione “Libera”, cappellano presso il carcere del capoluogo salentino.

«Nonostante le tenebre che sembrano avvolgere i nostri

cuori, il sole tornerà a splendere presto», ha detto ai giovani il sacerdote, «perché la mor-te di Melissa deve ricordare a ciascuno quale meraviglioso dono è la vita”» Richiamando il brano evangelico nel quale i discepoli chie-dono a Gesù “dove troveremo il pane per sfamare tanta gente?”, don Bruno ha invitato i ragazzi a cercare la speranza insieme agli altri. «Il nostro deve essere un alfabeto del ‘noi’, ha detto ancora don Raffaele Bruno, da contrapporre all’alfabeto dell’ ‘io’ fatto di indifferenza, egoismo, regolamenti di conti, distruzione, morte...» «La nostra – ha ammo-nito il sacerdote - non può essere la gramma-tica dell’‘io’ tanto cara ai mafiosi che in que-sti giorni, promettendo di risolvere a modo loro la faccenda, si stanno facendo avanti per aprirci strade di speranza». Rivolgendosi loro ha detto: «Non abbiamo bisogno del vostro ‘ci penso io’, non vogliamo il vostro aiuto nel cercare la speranza».

Infine, richiamando il significato della manifestazione, don Raffaele Bruno ha consegnato ai giovani un impegno: «Melissa in un compito in classe aveva scritto che “l’uomo è l’unico essere vivente capace di riflettere su se stesso”. Ecco, riflettere su se stessi significa che abbiamo bisogno gli uni degli altri» E ha concluso: «A chi, in questi giorni, mi ha chie-sto come far sì che Melissa non sia morta invano, rispondo che è necessario stare insieme condividendo la fatica, ma anche la gioia del vivere quotidiano».

La manifestazione è proseguita con la lettura di pensieri e poesie in memoria di Melissa e si è conclusa con la preghiera del Padre Nostro, recitata all’unisono da centinaia di voci nel luogo dove l’odore acre della morte è stato già spazzato via dal profumo dolce della Speranza.

Giovanni Morelli

Lunedì 4 giugno il Ministro per la Cooperazione In-ternazionale e l’Integrazione, Andrea Riccardi, ha in-contrato un gruppo di studenti provenienti da tutte le

scuole secondarie di secondo grado di Brindisi. L’incontro, svoltosi nell’aula magna dell’Istituto “Giorgi”, è

iniziato con l’intervento del Dirigente Scolastico, Maria Lu-isa Sardelli, che ha salutato il Ministro Riccardi esprimen-do tutta la sua gratitudine anche verso le Istituzioni che rappresenta. La Preside ha inoltre chiesto di osservare un minuto di silenzio in onore di Melissa Bassi e dei numerosi morti provocati dal terremoto in Emilia.

All’incontro erano presenti il Prefetto di Brindisi, Nicola Prete, il Sindaco e il Vicesindaco di Brindisi, Mimmo Con-sales e Paola Baldassarre, l’Arcivescovo, Mons. Rocco Ta-lucci ed un rappresentante della Caritas diocesana.

Gli studenti hanno potuto porre alcune domande al Mi-nistro; prima di tutto è stato chiesto di chiarire il significato di paura e speranza, termini già noti al Ministro Riccardi, giacché il suo ultimo libro si intitola proprio “Dopo la pau-ra, la speranza”. Sono stati affrontati, inoltre, temi riguar-danti l’immigrazione, la religione, la crisi economica e il ruolo che Brindisi potrebbe assumere nel futuro; infine ci si è soffermati sull’importanza della presenza dei giovani in politica.

Il Ministro ha da subito chiarito che la speranza è rappre-sentata dai giovani che non devono avere paura: essa è in-fatti solo un momento iniziale, poi bisogna rispondere alla paura e crescere, ed è soprattutto quando si è insieme che cresce la speranza.

Sull’immigrazione il professor Riccardi non ha potuto che esprimere gratitudine verso una terra, come quella brin-disina, che ha sempre accolto numerosi immigrati. È stato sottolineato il fatto che accogliere deve essere un nostro in-teresse, anche per la sicurezza di tutti, perché non c’è gente di serie A e gente di serie B. In Emilia ci sono stati immigrati morti insieme agli italiani, perciò il Ministro ha voluto deli-neare l’importanza del dialogo, che a questo punto rappre-senta il principale problema legato all’immigrazione.

«Il vero modo per difendersi non è innalzare mura, ma costruire ponti» ha detto il Ministro per focalizzare l’atten-zione su quanto sia importante discutere di questi temi.

Riccardi ha poi proseguito parlando dei giovani: bisogna ridare centralità a loro, ma soprattutto alla scuola. Oggi, purtroppo, internet ha sostituito l’associazionismo giovani-le che sta diventando sempre più raro. Brindisi può riparti-re dai giovani, che però devono attivarsi in vari campi come quello della politica che ha bisogno e chiede disperatamen-te il loro aiuto: «stiamo assistendo infatti ad un invecchia-mento della politica e ad un abbandono del mondo poli-tico dei giovani, bisogna far comprendere a tutto il mondo ciò che questo tragico evento ha fatto capire a Brindisi che le istituzioni sono decisive per incarnare il bene comune».

Come risposta alla crisi economica, il Ministro ha parlato di unità, sottolineando la fortuna che abbiamo, come italia-ni, ad essere un Paese unito. Dobbiamo sempre cercare di essere uniti e di non rimanere soli, perché solo quando si è davvero soli è più facile sbagliare. Bisogna ripartire anche dalla religione. Per questo il Ministro Riccardi ritiene sia necessario un intervento dei cattolici in politica per risentir parlare di valori cristiani che di per sé sono importantissi-mi. Per esempio l’insegnamento ecclesiale ci dice che non si può cambiare il mondo senza cambiare se stessi e questo è solo uno dei tantissimi spunti di riflessione che la nostra religione ci può offrire. «Oggi la società ha bisogno di essere irrorata di valori e di ideali perché siamo diventati troppo materialisti: crediamo che un qualcosa non vale solo per-ché non ha un costo oggettivamente alto; una società così materialistica può essere “riparata” solo con la fede».

L’incontro si è concluso con il saluto del Ministro a tutti i ragazzi e col ringraziamento agli studenti del “Morvillo-Fal-cone”; la giornata si è chiusa con la canzone “I Cento Passi”, cantata da un gruppo di ragazzi del “Giorgi”, in onore delle vittime della mafia.

Prima di lasciare Brindisi, Riccardi ha ringraziato gli stu-denti per l’accoglienza e ha promesso di dare risalto alle idee dei giovani anche nei prossimi Consigli dei Ministri.

Il Ministro Riccardi si è poi recato presso le abitazioni del-le ragazze ferite nell’attentato del 19 maggio e presso la casa di Melissa Bassi.

Simone Solimeo

l’incontro Il 4 giugno il ministro Andrea Riccardi a Brindisi

La speranza cresce quando si è uniti

Un compito era l’oggetto della mia preoccupazione quel sabato mattina del 19 maggio. Si erano già fatte le otto meno un quarto. Percorrevo a piedi quel tra-

gitto, come tutte le mattine, passando davanti al “Morvillo-Falcone”. Come il mio fratellino. Un forte tonfo. “Sarà stata una bomba? No impossibile.”

Le immagini che avevo davanti agli occhi fecero svanire ogni dubbio: ragazzi a terra, vestiti anneriti e strappati, odore di pelle bruciata. Dieci minuti sarebbero bastati e ci sarei fi-nita anch’io sull’asfalto, o il mio fratellino!Che razza di mon-do è questo? Di tragedie ne ho viste tante, ogni giorno un or-rore nuovo, con tanto di carnefice e vittime. Perché proprio a casa mia? Nella mia terra, alla mia gente, alla scuola!

L’unico posto in cui sentirsi al sicuro, indipendente, libero di essere come sei. Proprio nel luogo dove si insegna a vive-re, trovi la morte?

Sedici anni. Melissa era quasi una mia coetanea. Ho visto quei libri aperti e sfogliati solo dalla forza del ven-

to, quegli zaini che poco prima erano il simbolo della giovi-nezza, della spensieratezza, dell’età dei primi amori, ma an-che della fatica e dell’impegno, quei vestiti senza corpi che un attimo fa amavano e sognavano progetti per il futuro, e non ho potuto frenare le lacrime e soprattutto il disgusto e la rabbia sia verso gli uomini sia verso Dio!

Perché non muove un dito e migliora le cose? È Dio, no? Può farlo, e allora che aspetta?Io credo in Lui e proprio per questo sono arrabbiata con Lui e mentre inveisco contro di Lui, mi rendo conto che in realtà sto pregando.

Prego soprattutto per quei poveri genitori! Sono ancora tanto giovane, ma un giorno anche il mio grembo forse ospi-terà una vita…Guardo mio padre e mia madre e vedo tutti i sacrifici che hanno dovuto affrontare per crescere me, i miei fratelli, senza mai farci mancare niente, pronti a privarsi per dare a noi. Loro si amano. Io sarò capace di amare? Sarò pronta alle rinunce?

Sicuramente anche Melissa si poneva le stesse domande, ma al contrario di me, non potrà più cercare e avere risposte.

Che sia opera di mafia o associazione terroristica o un paz-zo isolato questo non lo so, ma la giustizia deve fare il suo corso e noi dobbiamo essere uniti più che mai. Non nascon-do che ho paura ad uscire da casa adesso, ma sembrerà as-surdo: se sono in mezzo alla gente, a docenti, a studenti, mi sento forte!

Facciamo in modo che nessuno si senta solo o abbandona-to. Sentiamoci parte di un tutto, di una comunità, sentiamoci per una volta davvero Italiani. Dio ci ha dato la libertà, ma tocca a noi decidere cosa scegliere!

Sara De Virgilio

Quando si dice “scuola” non si pensa solo allo studio, alla fa-tica di alzarsi la mattina, alla

paura per le interrogazioni. C'è un altro lato. Quello della grande famiglia. Quel-la che si viene a creare in questo luogo di educazione. Quello dove docenti ed alunni passano la maggior parte del proprio tempo, forse più che in casa. Quel 19 maggio qualcosa di importante è stato colpito con l'attentato: il cuore di questa famiglia, la gioventù, i sogni, il futuro, i nostri alunni.

Essere docenti non è mai semplice, non si è freddi e distaccati svolgendo un semplice compito o un semplice servizio per guadagnare punteggio in una graduatoria “x”.

È una vocazione. Si vive per donare quello che si ha, per arricchire questi giovani simbolo del futuro, per infon-dere e rinforzare valori, il tutto all'inse-gna della parola “educazione”.

Quel giorno è come se avessimo per-so una figlia, come se quelle ragazzine fossero state nostre. Un dolore inde-

scrivibile, ma che da subito ha generato in noi tanta forza. Quella forza di non crollare, quella per correre in ospedale da loro, quella di essere da sostegno al rito funebre di Melissa, quello di torna-re in aula due giorni dopo e affrontare il tema con gli studenti.

A poche ore dall'esplosione ci siamo riuniti, non potevamo perderci. Acco-munati dalle lacrime sì, ma un sostegno l'uno per l'altro. Le prime parole del professor Nicola Serratì a tutti noi sono state: «Siamo colpiti, tutti parlano del nostro Istituto e mai nessuno avrebbe voluto che lo si facesse in questa occa-sione. È il luogo dove lavoriamo, dove trascorriamo interi giorni, lasciamo le nostre passioni e si intrecciano gli af-fetti tra di noi e soprattutto con i ragaz-zi che spesso vengono a manifestare le loro ragioni, i loro dubbi e le loro gioie quando ci sono. Vogliamo dire a tutti che siamo uniti, anche nel respingere le varie teorie, perché quello che è cer-to è che una delle nostre ragazze è stata portata via, quindi dobbiamo manife-

stare il nostro impegno anche tornando in maniera più agguerrita a sottolineare i valori di libertà».

A darci sostegno, anche il padre Arci-vescovo: «Vorrei lanciare un messaggio ai giovani affinché sappiano credere sempre di più e fermamente nella spe-ranza, perchè non solo i facinorosi a vincere. A voi la forza di saper credere sempre di più nell'opera di Dio. Io mi sento molto legato a voi. La vostra è una scuola-laboratorio dove non deve mai venire il dubbio di non aver lavorato abbastanza. Ci sono state delle vittime, ma il cammino e lo sforzo educativo non deve fermarsi, abbiamo una marea di giovani ai quali dare sostegno e spe-ranza. Tornando a scuola conterete i posti vuoti ma ci sono tutti i giovani che aspettano fiducia e speranza». Questo è quello che facciamo e continueremo a fare, donare ai ragazzi fiducia e spe-ranza, sostenendoli in questo difficile cammino.

Antonella Di Coste

La strage di Brindisi, atto orribile a cui bisogna reagire

Da una studentessa

Da una insegnante del Morvillo

Gli alunni della scuola primaria “Giovanni XXIII”di Ostuni, il 29 maggio alle ore 9.00, nel cortile del-la scuola, si sono riuniti per ricordare Melissa, la

studentessa morta a causa di un attentato presso l’Istituto “Morvillo-Falcone” di Brindisi. Ogni classe, dopo aver ri-flettuto sull’avvenimento che ha sconvolto tutta l’Italia, ha preparato dei messaggi, dei canti e dei cartelloni variopinti dedicati alla ragazza, divenuta simbolo della legalità e del-la speranza di tutti i giovani.

Alla manifestazione hanno preso parte il Dirigente sco-lastico, dott.ssa Raffaella Roma, il sacerdote della vicina parrocchia, don Paolo Zofra, le famiglie e le autorità loca-li: l’Assessore comunale alla pubblica istruzione, Vincenzo Palmisano e il Segretario comunale, dott.ssa Keti Narracci.

Le classi prime hanno preparato un fiore, simbolo della vita, sul quale ogni bambino ha scritto una parola signifi-cativa. Le classi seconde, invece, hanno realizzato dei cuo-ricini rossi, dove hanno scritto delle semplici frasi di affetto e di preghiera. Splendido il sole presentato dalle classi ter-ze, il cui messaggio era “Melissa luce di speranza per il no-stro futuro”. Altri messaggi di pace, giustizia, non violenza, amore sono stati condivisi dalle classi quarte e quinte.

Noi, alunni della 5ªC, abbiamo espresso così le nostre ri-flessioni: “A volte nella vita accadono cose molto tristi, tal-mente tristi che si fa fatica a credere che siano realmente accadute. Capita anche che una ragazza resti vittima della brutale stupidità di questo mondo. Il fatto che è accaduto a Brindisi è gravissimo. Di solito questi fatti succedono lì dove ci sono le guerre, noi siamo in Italia, un paese demo-cratico e civile eppure Melissa è morta mentre andava a scuola e aveva tutta la vita davanti a sé. Chi le ha rubato i sogni non capisce l’importanza della vita, che è preziosa. Tutta l’Italia percepisce il dolore dei genitori di Melissa e desidera che presto sia fatta giustizia. Noi dobbiamo impe-gnarci perché cose del genere non accadano mai più. Cara Melissa, prima avevi venti compagni di classe, adesso hai l’amicizia e l’affetto di tutti i bambini d’Italia, anche il no-stro. Ti abbracciamo e ti terremo sempre nei nostri cuori”.

La manifestazione si è conclusa, nella commozione dei presenti, con il lancio di festosi palloncini bianchi, affinché i nostri pensieri più belli raggiungessero il Cielo.

Gli alunni della 5ªC

Dagli alunni di scuola elementare

L’attentato del 19 maggio raccontato...

Non servono molte parole per stigmatizzare quanto è accaduto: rischiano di essere retoriche.Non serve neppure alimentare nel cuore desiderio

di vendetta.Dobbiamo ripartire da questo che è il male assoluto per ri-

badire il Bene della vita. La vita bella, sincera, spontanea, en-tusiasta dei nostri ragazzi.

La vita bella delle nostre scuole che sono il luogo dove, pur con tante difficoltà, si custodisce e si costruisce il futuro di un Paese Democratico, si costruiscono gli uomini e le donne liberi che assumono gli strumenti necessari per l’edificazio-ne di una società capace di valorizzare l’apporto di tutti.

La vita bella delle associazioni, dei gruppi, dei movimenti, delle parrocchie dove il valore dello “stare insieme” per un obiettivo comune, fa sviluppare in tutti, adulti e ragazzi, la voglia di metterci del proprio per il servizio del bene comu-ne.

Siamo chiamati a riaffermare il positivo, il futuro, la speran-za. Non una speranza qualunque, ma quella che nasce dalla consapevolezza che il valori del bene, della pace, della giu-stizia, della solidarietà, del prendersi cura gli uni degli altri sono più forti di qualunque follia omicida, di qualunque ma-fia, di qualunque terrorismo.

don Maurizio Tarantino

Dalle Caritas di Puglia

Il Ministro Riccardo tra gli studenti ©brindisinews.com

© Mino Elmo

Vita Diocesana6 15 giugno 2012

Riflessioni dalla tavola rotonda

Il 17 maggio scorso un gruppo di studenti dell’Istituto “Giorgi”, si è recato presso la sede della Caritas diocesa-na.

I ragazzi si sono messi subito all’ascolto delle testimo-nianze delle “colonne portanti” della Caritas. In particolare, quella di Adele Tundo, la quale ha raccontato la sua singo-lare esperienza di coordinatrice dei servizi e di “mamma” di tutti i visitatori del centro Caritas.

In questa particolare giornata, i ragazzi si sono messi in gioco partecipando in prima persona a tutte le fasi necessa-rie per il funzionamento della mensa.

Non è mancato il saluto dell’Arcivescovo che ha incorag-giato ed elogiato sia la preside del “Giorgi”, Maria Luisa Sar-delli, sia i docenti accompagnatori, Lucia Portolano, Letizia D’Amanzo e Patrizia Vantaggiato, sia i ragazzi stessi per la buona volontà mostrata nel prestare questo servizio, che può essere un trampolino di lancio per l’inizio di una vita

dedicata al volontariato e accompagnata da una dimen-sione più spirituale. Mons. Talucci ha sottolineato l’impor-tanza di considerare l’altro come il compagno di banco; il diverso, infatti, non è lo straniero, ma chi ci è accanto che , con la sua diversità, contribuisce all’arricchimento di cia-scuno.

Poco prima di mezzogiorno sono iniziate le attività della mensa: alcuni ragazzi si sono occupati di accoglienza; altri hanno predisposto i servizi in cucina e altri ancora hanno servito ai tavoli. Ognuno si è dato da fare e il risultato è sta-to molto soddisfacente: i ragazzi del “Giorgi” sembravano a proprio agio in quegli ambienti e in mezzo a quelle persone in attesa di vedersi riconosciuto un bisogno primario, quel-lo di mangiare. Dopo i servizi della mensa, è stato prepara-to un pranzo per gli opertatori Caritas, alla fine del quale si è potuto ascoltare la testimonianza diretta di due ragazzi, uno proveniente dall’Afghanistan e l’altro dallo Sri-Lanka,

che hanno catturato l’attenzione di tutti.Anche questa iniziativa, organizzata nell’ambito del pro-

getto “Tra sicurezza e nuove paure”, in collaborazione con l’ANSAS-INDIRE, di cui la Caritas di Brindisi è partner, mira alla formazione nelle giovani generazioni di una cultura ci-vico sociale che possa tradursi in cittadinanza attiva e par-tecipata.

Simone Solimeo

L’annuale convegno delle Caritas par-rocchiali si è concentrato su due obiettivi principali: celebrare i qua-

rant’anni di Caritas italiana, con uno sguar-do rivolto a quella diocesana; comprendere in che modo viene vista da fuori una realtà come la Caritas.

Durante il saluto iniziale, Mons. Taluc-ci, partendo dall’immagine che raffigura la “Madonna dei Pellegrini” del Caravaggio ri-portata sulla locandina, ha fatto notare come la Madonna con in braccio Gesù bambino, è una mamma che accoglie i pellegrini, che nella società non sono altro che i poveri, gli emarginati, i migranti e tutti coloro che si scontrano con le difficoltà quotidiane.

Subito dopo è stata proposta la lectio divina sul brano del Vangelo (Mc 6,30-44 ) “Si mise ad insegnare loro molte cose”, guidata da Rosa Morelli dell’Ufficio Catechistico dioce-sano.

Il Convegno è entrato nel vivo con la tavo-la rotonda: su “Quarant’anni di Caritas ed immagine di Chiesa” e “Quale immagine di Caritas negli anni, tra servizio alla persona e funzione pedagogica”.

Al dibattito, moderato da Salvatore Lic-chello, sono intervenuti: Anna Grazia Savi-na, Insegnante di Religione presso l’Istituto Comprensivo di Leverano; Daniela Bove, Coordinatrice del Servizio Assistenza do-miciliare ai Minori del Comune di Brindisi; Dino L’Abate, Responsabile Unitalsi di Loco-rotondo; Francesco Piccinin, giornalista del “Nuovo Quotidiano di Puglia”.

La dottoressa Bove ha esordito col dire che l’utente che si presenta presso i nostri uffici è una persona da rispettare e con la quale relazionarsi. L’intervento assistenziale, che rimane importante, deve essere sempre ac-compagnato da un progetto, necessario per innescare un cambiamento.

In particolare, per i minori è necessario re-alizzare percorsi educativi tanto per l’inte-ra famiglia, quanto per i ragazzi, per i quali

sarebbe opportuno sempre inserirli in un sistema di relazioni (oratori, gruppi scout, Unitalsi…). Il tutto ovviamente prevede una conoscenza dettagliata delle risorse territo-riali: ente locale, scuola, parrocchia, associa-zionismo devono necessariamente relazio-narsi tra loro. L’intervento di Daniela Bove si è chiuso con un invito a fare «scelte politiche, affinché si affermi la cultura dell’altro».

La professoressa Savina si è soffermata sul nuovo modello di scuola. Ha spiegato che con la nascita della figura del dirigen-te la scuola spesso viene considerata come un’azienda, il docente sembra essere il tecni-co della didattica, facendo saltare completa-mente l’alleanza educativa scuola-famiglia. Il suo intervento si è concluso con un’affer-mazione provocatoria: «Ci stanno educando ad essere soli».

L’intervento del giovane Dino L’Abate ha emozionato i presenti, soprattutto quando si è soffermato sul suo impegno nell’Unitalsi e di come, colpito da un viaggio a Lourdes, sia riuscito a coinvolgere altri giovani nell’aiuto ai disabili. Lo stesso, però, ha messo in evi-denza il rischio di essere autoreferenziali e quindi la necessità di approfondire la colla-borazione, specialmente con le istituzioni. L’Abate ha concluso il suo intervento eviden-ziando che la comunità, spesso, non conosce il valore e il servizio al territorio.

La testimonianza del giornalista Francesco Piccinin, infine, è stato molto realista. Ha af-fermato, senza mezzi termini, che sui gior-nali non c’è spazio per la persona, che l’edi-tore ha davanti un’azienda da far funzionare e l’organizzazione del lavoro è basata sulla notizia, non si pubblica se non attira il letto-re. Ha concluso sottolineando che mentre la politica ha bisogno di slogan la Caritas no: la Caritas è azione, sensibilità di una comunità di fronte ai bisogni.

Michele Guida

il 12 maggio� Presso la Bcc di Leverano il tradizionale convegno delle Caritas parrocchiali

La Chiesa che educa servendo carità

Nel corso del Convegno è stato ribadi-to il ruolo della Caritas, organismo pastorale che si impegna a sviluppa-

re la promozione di una cultura evangelica della carità che recuperi e traduca in termini visibili e comunitari le caratteristiche della carità di Gesù

La giornata, dedicata all'analisi delle attivi-tà e alle riflessioni sulla socialità del suppor-to umano, dopo una breve introduzione di Salvatore Licchello, ha avuto inizio con l'in-tervento di Mons. Arcivescovo.

Dopo la pausa pranzo, i lavori sono ripresi con due testimonianze su: “La Chiesa, co-munità educante. Per un'alleanza educativa parole-segni e azioni”.

La prima testimonianza è stata quella di Bruno Mitrugno, Direttore emerito della Ca-ritas diocesana, che a partire dalla sua tren-tennale esperienza, ha tracciato un percorso tra memoria, fedeltà e profezia. La proiezio-ne di un filmato ci ha fatto rivivere lo sbar-co di migliaia di profughi albanesi a Brindisi nel 1991, un evento passato alla storia anche grazie alla testimonianza, alla dedizione e al lavoro concreto di tutta la comunità diocesa-na, e della popolazione brindisina in parti-colare. In quelle settimane un ruolo di primo piano fu svolto da Mons. Settimio Todisco il quale dichiarò: «non mi aspettavo questo miracolo di solidarietà da parte dei brindisi-ni, un popolo ricco di valori etici e di pros-simità». Noi, che come comunità di Chiesa siamo chiamati ad educare, ad amare, a fare il bene e a perdonare, dobbiamo educare di più, formando le coscienze al senso sociale e all'impegno civico.

Questo deve portarci a creare un lavoro di rete che aiuti maggiormente i Centri di Ascolto Caritas a sviluppare un Osservatorio delle nuove povertà, per cercare di dare in-sieme delle risposte.

La seconda testimonianza è stata quella di don Maurizio Tarantino, Delegato Regionale delle Caritas di Puglia, che ha indicato alcu-

ne fondamentali prospettive sulla possibile Alleanza educativa tra Parrocchia e territo-rio. Don Maurizio si è riferito essenzialmente sulla parte educativa riservata alla famiglia, essendo piccola Chiesa domestica. I geni-tori devono essere coinvolti nel cammino di fede dei propri figli (Iniziazione cristiana) testimoniando, con la loro presenza, l'appar-tenenza ad una comunità educante, poiché, chi educa non si stanca mai di camminare con gli altri che vivono accanto a noi. Per questo bisogna aiutare i parroci e i catechisti nella loro azione educativa perché possano vivere il quotidiano con sobrietà, aiutando anche gli operatori Caritas a far comprende-re come la Carità sia l'anello di congiunzione tra la famiglia, la parrocchia e il territorio.

In una comunità multietnica come quella di oggi non devono esistere fratelli di serie "A" perché cattolici e fratelli di serie "B" perché di altre religioni, anche se la nostra società è insidiata da più parti. Piuttosto, dobbiamo essere testimoni credibili dell'Amore del Pa-dre perché dalla fede nasce la speranza e la carità per costruire una società più solidale e a misura d'uomo.

Animare un territorio significa portare la "Verità" nella vita del territorio rendendolo protagonista nel suo farsi casa accogliente, scuola di vita, luogo delle relazioni.

È urgente, allora, per le nostre Caritas par-rocchiali e diocesane darsi da fare, affinché nel futuro si cresca ancor più per creare in-frastrutture capaci di far circolare il bene re-lazionale presente nei nostri Centri di Ascol-to in quanto espressione di Chiesa. Il servizio di accompagnamento dei poveri passa, ne-cessariamente, attraverso reti di nuove rela-zioni che facciano funzionare i sostegni alle persone.

Il «nostro essere insieme» dentro il territo-rio, sarà condizione di vita da veri cristiani per una relazione più profonda e ricca di si-gnificato.

Giovanni Marangi

Testimonianze di carità

scuo�la e so�lidarietà� Studenti volontari presso la mensa Caritas

Tra sicurezza e nuove paure

L’Arcivescovo interviene alla tavola rotonda I referenti vicariali CaritasI partecipanti al convegno

Gli studenti del “Giorgi” impegnati nella mensa Caritas

Vita Diocesana 715 giugno 2012

È stato opportunamente intitolato “L’inquieto cercatore” il volumet-to presentato la sera del 28 maggio

scorso, dedicato al compianto don Giu-seppe Paladini, che raccoglie i ricordi di quanti hanno avuto modo di conoscerlo in profondità. Sottotitolo, “Don Giuseppe Paladini, l’uomo, il sacerdote, il maestro”, puntuale definizione di una personalità a tutto tondo, che ha lasciato un marchio indelebile nella nostra comunità di Leve-rano.

Dal lontano 1957, quando divenne primo parroco presso la Madonna della Consola-zione, poi dal 1982 al 1999, parroco della Chiesa Madre, successivamente dal 2006, anno in cui cominciò a celebrare la S. Mes-sa in casa, fino al maggio 2011, non ha mai cessato di essere pastore e guida per molti. Un inquieto cercatore, don Giuseppe, un prete “mai domo” che cercava Dio “per portarlo all’uomo”, quel Dio che spesso si nascon-de e non si fa trovare, ma c’è. “Signore, ti ho cercato e non ho saputo trovarti, volevo amarti e non sono stato capace di amarti, mi hai chiamato per servire e non sono stato capace di servirti”. (Ritagli d’anima). Tutto questo ed altro ancora è stato oggetto di riflessione nel primo anniversario della sua morte.

L’associazione V. I. T. A. e le comunità parrocchiali di Le-verano avevano programmato infatti, per l’occasione, mo-menti di preghiera, precisamente il 24 maggio, la celebra-zione eucaristica interparrocchiale presso la Chiesa Madre, e il 28 maggio presso la parrocchia Madonna della Consola-zione. La sera del 28, dunque, al termine della messa di suf-fragio, ci siamo ritrovati nella sala assembleare della Banca di Credito Cooperativo, tutti insieme, confratelli, familiari, amici per onorare la memoria del nostro don Giuseppe. La sala era gremita di gente; inizialmente è stato proietta-

to il video di un’intervista fatta a don Giuseppe dal gruppo di A.C. della parrocchia SS. Annunziata, in occasione del 140° anniversario di nascita dell’associazione. Dal filmato emerge tutta la passione del nostro per l’Azione Cattolica e l’impegno massimo profuso per essa nei lunghi anni del suo parrocato. Nei 15 minuti circa di intervista, egli parla dell’A.C. come “vita di Chiesa” e “base” del suo program-ma pastorale. Magistralmente don Giuseppe chiude il suo intervento consigliando ai soci di A.C. di ripartire dal Padre Nostro (invita a leggere S. Agostino, Lettera a Proba), pre-ghiera fondamentale in cui sono compendiate tutte le pre-ghiere della Bibbia e che indica la via per diventare cristia-ni autentici. Terminata la proiezione, cui i presenti hanno assistito in religioso silenzio, il moderatore Rocchino Ca-puto ha dato la parola dapprima a don Antonio Valentino, attuale parroco della SS. Annunziata, per il saluto iniziale accompagnato da un breve ricordo, subito dopo all’arcive-scovo mons. Rocco Talucci, che ha reso una toccante testi-monianza sul rapporto instaurato con don Giuseppe negli ultimi anni, e sul beneficio tratto dai sereni e profondi col-

loqui con lui. Poi è stata la volta del presi-dente della B.C.C. Lorenzo Zecca, che ha avuto parole di apprezzamento per l’inizia-tiva e le sue nobili finalità; del presidente del consiglio comunale, avv. Giovanni Biasi, anche lui plaudendo alla manifestazione, e del consigliere provinciale Cosimo Duran-te, il quale ha ricordato don Giuseppe edu-catore di giovanissimi e punto di riferimen-to per intere generazioni di leveranesi.

Ha preso quindi la parola Emilia Trama-cere, che ha illustrato le motivazioni da cui ha preso le mosse la realizzazione del vo-lumetto, e il criterio con cui sono state rac-colte le testimonianze. Tutti gli interventi sono stati, per così dire, suggellati dal finale di don Cosimo Posi, il quale, da “figlio spi-

rituale” di don Giuseppe, ha chiuso la serata in bellezza. Non poteva essere diversamente, dato l’intenso rapporto che li ha legati sin dal lontano 1994. Don Cosimo, visibilmente commosso, dopo aver dato ragione del titolo “L’inquieto cercatore”, con abile tocco ha delineato alcuni tratti peculiari della figura del suo “padre spirituale”: la ca-pacità di accoglienza , la sua predisposizione al dialogo, il suo stupirsi di tutto, e soprattutto il suo grande amore per la vita. L’applauso finale è scrosciato più forte e caloroso dei precedenti, che pure avevano vivacizzato la serata.

Da ultimo, il prof. Mario Muci, quale nipote più anziano di don Giuseppe, ha sentito il dovere di ringraziare tutti colo-ro che avevano contribuito alla felice iniziativa in memoria di “zio Pippi”. Rocchino Caputo ha concluso ringraziando i presenti e ricordando che le offerte raccolte, in seguito alla distribuzione del volumetto, saranno devolute per le neces-sità della missione dell’Ecuador, dove opera padre Antonio D’Agostino comboniano.

Ma. Tra.

“Dal Crocifisso Risor-to nasce la speranza”. Con questi versi, tratti

dall’inno del Convegno Ecclesiale di Verona e cantati all’inizio della cele-brazione eucaristica dell’11 maggio scorso, la nostra Chiesa diocesana ha accolto con gioia, nell’Ordine sa-cro, don Pierluigi Ruggiero, solerte al richiamo di quella voce intima che un giorno gli ha parlato e a cui lui ha voluto dire il suo “sì”.Un “sì”che è divenuto sempre più au-tentico e cosciente attraverso il tem-po di studi e discernimento, dappri-ma presso i padri dehoniani, poi nel Seminario di Molfetta. Con l’ordinazione diaconale, don Pierluigi esprime tutta la sua piena convinzione e disponibilità verso Dio, verso la Chiesa e verso tutti i fratelli in Cristo, lieto di offrire il suo servizio al prossimo, bisognoso della presenza di Dio, sia con l’assistenza pratica nelle tante necessità quoti-diane, sia nelle necessità spirituali.Non si può accedere al sacerdozio ministeriale senza essersi esercita-ti con profonda umiltà e letizia nel servizio a Dio e all’ascolto attento e accogliente dei fratelli. Gesù lo ha

detto chiaramente “Non sono venu-to per essere servito, ma per servire”. E il novello diacono lo ha compreso molto bene, tanto che nel discorso di ringraziamento, al termine della S. Messa, ha detto: “Rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al servizio della Chiesa di Dio”.Quella dell’11 di maggio è una data particolarmente carica di significa-to per il novello diacono, in quanto nello stesso giorno di alcuni anni fa, don Pierluigi ricevette per la prima volta Gesù nella Santissima Eucare-stia: due ricorrenze gioiose nella sua vita, chiaro presagio della sua totale consacrazione a Dio. La parrocchia Madonna del Pozzo di Ostuni, comunità di origine di don Pierluigi, insieme a quella di Santa Maria Assunta in Guagnano, comu-nità nella quale don Pierluigi svolge l’attività pastorale, augurano buon lavoro al neo diacono, assicurando la preghiera e il sostegno affinchè pos-sa essere sempre segno sacramenta-le della presenza dell’Amore di Dio in mezzo a noi.

Giovanfrancesco Memmo

ordinazione diaconale L’11 maggio

Il “sì” di don Pierluigi

presbiteri La sera del 28 maggio un evento particolare ha unito Leverano

Don Giuseppe Paladini, “l’inquieto ricercatore”

Solitamente nel Vangelo, ogni personaggio che viene guarito da Gesù, nonostan-

te gli venga detto di non dire a nessuno della guarigione (cfr. Lc 5,14), non riesce a trattenere la bella notizia che è quella di aver conosciuto Gesù ed essere stato guarito da Lui; proprio come un alunno che prende un buon voto a scuola e non riesce a tenerlo per sé e lo deve obbligatoria-mente gridare ai quattro venti.

Con il pellegrinaggio a Lourdes ho fatto esperienza di Dio nella mia vita, l’ho rimesso al primo posto ed ho imparato a donarmi con gratuità verso il fratello. È a causa di questa gioia che è pre-sente nel mio cuore, che sento il bisogno di condividere con tutti quest’esperienza e dire un grazie particolare a “La Nostra Fami-glia” che mi ha dato la possibilità di vivere questi giorni formativi di tale intensità.

Meditando sul brano del Van-gelo di Luca 5,17, “La guarigione di un paralitico”, mi rendo con-to di quanto siano importanti per il paralitico, gli uomini che lo accompagnano da Gesù. Da Lui non si arriva mai da soli, c’è sempre qualcuno che ci accom-pagna, che ce lo fa conoscere, qualcuno che prima di noi ha sentito parlare di Lui, lo ha già conosciuto, gli ha visto fare cose grandi e vuole farlo conoscere anche a noi.

In un primo momento pensavo fosse questo il mio compito du-rante il pellegrinaggio a Lourdes: fare il barelliere. Ma ad un tratto mi sono ritrovato nella situazio-

ne del tutto opposta: da accom-pagnatore ad accompagnato, da barelliere a paralitico, da cono-scitore della vita di Gesù ad un giovane che aveva ancora tutto da imparare. Pensavo di dover essere io a dare dei consigli agli altri, invece ho dovuto ricreder-mi ed ascoltare coloro che sen-za essere né preti, né consacrati, avevano veramente conosciuto Gesù nella loro vita e potevano accompagnare me “paralitico” incontro a Lui che mi avrebbe guarito e dato la possibilità di se-guire i suoi passi, perché venuto sulla terra è divenuto anche Via.

Durante la mia permanenza a Lourdes mi sono state dona-te diverse testimonianze che io custodisco gelosamente nel mio cuore grazie alle quali ho impa-rato che c’è chi soffre veramente nella vita, pertanto ora apprezzo sempre più il mio quotidiano e quanto il Signore mi dona ogni giorno a partire dal dono della vita e quello della vocazione che, pur sembrando doni scontati, sono da apprezzare al massimo.

Durante il viaggio ho incontra-to persone veramente provate dalle sofferenze della vita, ma che avevano ugualmente il sorri-so sulle labbra e che ogni giorno non erano stanchi di prendere la loro croce e seguire il Cristo. Molte di queste persone avevano imparato ad affidare a qualcuno, anche alla Vergine Immacolata di Lourdes, i loro dolori, per-ché avevano capito che il dolore non lo si può affrontare da soli, diventerebbe troppo pesante; esso si deve affidare a qualcuno

proprio come Gesù affida la sua croce al Padre. San Paolo nella lettera ai Romani 12,1 dice: “ vi esorto dunque, fratelli, per la mi-sericordia di Dio, ad offrire i vo-stri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale”.

Il pellegrinaggio vissuto si col-loca bene ed è provvidenziale al termine del mio cammino pres-so il Seminario Minore, che mi prepara ad una vita interamente spesa per gli altri, docile all’in-segnamento del Maestro e dei fratelli. Ringrazio di vero cuore “La Nostra Famiglia” che mi ha dato la possibilità di crescere culturalmente, umanamente e spiritualmente mediante questo pellegrinaggio e sono contento del legame che si è venuto a cre-are con le Piccole Apostole che sin dal primo momento mi han-no fatto sentire ben accolto ed in famiglia.

Auguro, a tutti coloro che non hanno mai fatto l’esperienza di Lourdes, di viverla quanto prima ed auguro anche a me di ritorna-re in questo luogo che è capace di ricaricarci di amore e carità e di donare pace e serenità, pro-prio come era la casa di Betania per Gesù.

Luca Tondo

lourdes Testimonianza di un seminarista

«Ho fatto esperienza di Dio»

Parrocchie & Associazioni8 15 giugno 2012

Come ogni anno la nostra comunità parrocchiale ha celebrato solenne-mente la festa di San Pietro Nolasco

Il triduo in preparazione alla Festa è stato predicato dal vice parroco, Padre Pasquale Agostino che ha illustrato la figura del Santo come risulta dagli scritti di Padre Francisco Zumel (1540-1607) filosofo spagnolo, supe-riore generale dell’Ordine della Mercede e professore di fisica e filosofia morale presso l’Università di Salamanca.

Padre Pasquale ci ha fatto conoscere meglio il nostro Padre fondatore presentandolo nel contesto storico in cui è vissuto e mettendo in risalto l’attualità della sua opera.

L’Ordine della Mercede, con l’opera reden-trice, nasce per affrancare i cristiani dalla schiavitù praticata dai mori musulmani in tanta parte della Spagna.

Pietro Nolasco e i primi mercedari hanno toccato il nervo più sensibile della storia: scoprono e si impegnano a curare la ferita più grave degli uomini che è la mancanza di libertà.

Pietro, per difendere la dignità dell’uomo e la sua libertà, si fa umile mendicante rac-cogliendo elemosine e utilizzandole per il riscatto. Rischia tanto, va a visitare e redimere gli schiavi in terra musulmana offrendo presenza affettiva, vicinanza personale, solidarietà cristiana. Consuma la sua vita in que-sta opera seguendo il vangelo là dove si dice che, per mez-zo di Gesù, Dio è venuto a visitare e redimere il suo popolo (Lc.1,68).

Le Costituzioni del 1272 affermano che Nolasco fondò nel 1218 l’Ordine della Vergine Maria della Mercede della reden-zione degli schiavi. Secondo una antica tradizione la Vergi-ne, Madre di Cristo Redentore, gli apparve manifestandogli il desiderio di istituire un ordine religioso, del quale Lei sarà “capo e fondamento”.

I mercedari vedono Maria come espressione radicale della loro “mercede”, della loro azione liberatrice. Maria sostiene e guida, sin dall’inizio, l’opera dei religiosi. Questo è, pertanto, il fine della Mercede: diffondere la buona novella attraverso la buona azione che realizza al servizio della liberazione de-gli oppressi.

Il Beato Giovanni Paolo II nel 1985, in una lettera al P. Gene-rale della Mercede, scrisse: “Ci piace costatare in quale pru-dente maniera, essendo frattanto profondamente cambiati i tempi e le condizioni della vita cristiana, l’Ordine dei Mer-cedari abbia rettamente saputo e fedelmente potuto adat-tare il disegno del suo fondatore di liberare i cristiani dalla vergognosa schiavitù del corpo, ad altri modi di liberazione degli uomini, dalle altre forme di schiavitù da cui essi sono, anche oggi, non meno oppressi: ci riferiamo all’ingiustizia e alla mancanza di riguardi per la dignità umana, ci riferiamo al peccato e all’ignoranza della verità evangelica”.

Papa Benedetto XVI, nell’udienza generale del 25 apri-le scorso, ha affermato come la vera carità cristiana debba sempre essere strettamente unita alla preghiera e alla con-templazione, per evitare il rischio di ridursi ad un semplice

attivismo. Pietro Nolasco è stato un grande esempio di carità unita indissolubilmente alla preghiera. Con i suoi ha svolto diverse attività. Insieme hanno camminato, sofferto, patito. Hanno raccolto denaro, tanto denaro per liberare gli schia-vi privati della libertà e allo stesso tempo hanno dimostrato che nulla avrebbero potuto fare senza la costante preghiera a Dio e alla Madre Celeste.

Nolasco è stato anche un grande esempio di umiltà: non ha mai messo se stesso al primo posto e ne è prova il fatto che non ha neanche dato il suo nome all’Ordine da lui stesso fondato.

Tutto ciò può apparire scontato e superfluo, ma non lo è. Oggi accade che la comunità parrocchiale spesso si dia da fare per far riuscire tutto al meglio. C’è il pericolo di mettere al primo posto “il fare” sacrificando spesso i momenti di pre-ghiera comune che sono i soli che consolidano i rapporti e danno la giusta carica nell’impegno quotidiano.

La sua vita è la dimostrazione che “per gli altri” ed “insieme agli altri” si può fare tanto se si vince l’egoismo personale o di gruppo.

Solo conoscendolo profondamente potremo amarlo ancor di più e riflettere su quanto preziosa sia quella libertà di cui noi godiamo, ma di cui, purtroppo, tanti popoli sono privi .

Nella Santa Messa solenne del 6 maggio, i nostri Padri, Gio-vanni, Arcangelo e Pasquale hanno rinnovato i loro voti sotto lo sguardo della Madonna della Mercede e di San Pietro No-lasco, alla presenza della comunità parrocchiale chiamata ad impegnarsi a sostenerli costantemente nella loro opera con affetto e amorevolezza.

Lucia Semeraro

san vito Festa a S. Maria della Mercede per San Pietro Nolasco

Libertà e dignità della persona

Descrivere l’esperienza del corso di preparazione al matrimonio ap-pena concluso non è semplice,

perché, come tutte le cose che segnano e arricchiscono l’animo di chi le vive, sem-bra quasi di non riuscire a trovare le giuste parole che possano fermare sulla carta la gioia e la serenità (nonché un pizzico di ti-more!) che questo momento ha infuso nei cuori di chi ne ha preso parte.

In dieci incontri abbiamo percepito la grandezza e l’importanza della scelta che abbiamo fatto, oltre al grandissimo e tena-ce impegno che la stessa richiederà sem-pre. Per questo grazie al prezioso aiuto del parroco don Lillino Ciraci, alla coordina-trice Maria Morelli dell’Associazione “La Missione”, agli esperti di settori differenti e di messaggeri dell’amore coniugale e di Dio.

Tutti insieme ci hanno insegnato che que-sti due sentimenti non possono e non devo-

no mai essere separati, perché quell’amore, che lega marito e moglie e che li sostiene, è sempre pensato e guidato da Dio stesso,

e che “… quando un uomo e una donna diventano uno nel matrimonio, non appa-iono più come creature terrestri, ma sono

l’immagine di Dio stesso” (San Giovanni Crisostomo).

Il ringraziamento di tutti noi che abbia-mo terminato questo itinerario va a coloro che in questi mesi ci hanno testimoniato il grande dono che Dio ci ha offerto unen-doci e consegnandoci l’uno nelle mani e nel cuore dell’altro, e ora, giunti al termine del corso, non possiamo non avvertire un po’ di malinconia, che però lascia maggio-re spazio alla grande gioia di aver vissuto un’esperienza eccezionale.

La nostra speranza è di costruire il nostro matrimonio a immagine e somiglianza di Dio e della Chiesa, affinché la nostra casa possa diventare “piccola Chiesa domesti-ca” e, se questo nostro progetto porterà buoni frutti, lo dovremo anche alle rifles-sioni che questo corso ci ha portati ad ap-

profondire». Mimma Specchia e Francesco Minetti

ostuni Testimonianza dal corso di preparazione al matrimonio a S.Maria Madre della Chiesa

Comprendere grandezza e importanza di una scelta di vita

Consulta del Laicato tra verifica e prospettive

Venerdì 25 maggio si è riunita la Consulta del Laica-to, per una verifica del cammino e dell’esperienza

dei “Dialoghi in Cattedrale 2012”, ma anche per pro-grammare il lavoro della stessa Consulta nell’anno della FEDE, che si aprirà il prossimo mese di ottobre. Si è ini-ziato l’incontro con una preghiera per Melissa e la sua famiglia, testimoniandoci anche cosa tale episodio ci aveva provocato. Si è quindi ripercorso il cammino dei “Dialoghi”; nel primo incontro di gennaio con il prof. Esposito sulla “Ragione Inquieta”: l’uomo desidera la verità più di ogni altra cosa, per cui occorre mantenere viva, in ogni uomo, tale insopprimibile domanda, segno indelebile del suo essere fatto a immagine di Dio. Nel secondo incontro a febbraio, con il prof. Cassano, si è parlato dell’Umiltà del male, sempre in agguato, esper-to conoscitore dei punti deboli della natura umana, per cui in ogni istante l’uomo può liberamente scegliere se “essere di Cristo” o seguire le proprie misure... come ci vengono propinate e servite dalla “mentalità comu-ne”, molto influente anche tra i cristiani. Quindi il terzo “dialogo” ad aprile, con mons. Fisichella, che ci ha par-lato della “Nuova Evangelizzazione”, richiamandoci alla responsabilità ed all’impegno personale di tutti i cristiani d’occidente in quest’epoca “dopo Cristo” e, per la prima volta, in molti ambiti, “senza Cristo”. La nuova evangelizzazione, oggi, non è un problema di nozioni o di “istruzione”, quanto di tenere viva la Fede, il deside-rio nella nostra vita, il legame con l’Origine e con il De-stino della nostra “ragione”; la conversione ed il nostro cambiamento personale e comunitario è la vera risposta alla tentazione di demandare ad un cambiamento poli-tico esterno ciò che può spettare solo a noi, mendicanti della grazia dello Spirito. Il prof. Amorella (UCIIM) si è compiaciuto dell’esperienza svolta, della partecipazione dei ragazzi delle scuole superiori e della scelta della Cat-tedrale che è la sede adeguata per tali incontri, come confermato da mons. Fisichella il 27 aprile. La prof. ssa Di Totero (AIMC) ha evidenziato come non si sia trattato di 3 incontri slegati ma di un vero e proprio “per-corso unitario”: dalla domanda sull’io, alla possibilità del male, alla responsabilità della “nuova evangelizzazione”; tale proposta va mantenuta da parte della Consulta, in conti-nuità, anche per non disorientare, cambiando continua-mente impostazioni. L’avv. Bonanno (LAF) ha sottoline-ato gli 80 km percorsi ogni volta, da Veglie, con piacere, in quanto :”ne è valsa la pena”, ottima la presenza dei ragazzi, anche se ha notato l’assenza di buona parte dell’ecclesialità. Il prof. Caputo (ACLI) ha sottolineato l’importanza dell’apertura alle scuole ed ai ragazzi in quanto la Chiesa la famiglia e la scuola devono collabo-rare all’educazione dei giovani. Si è quindi concordato all’unanimità di riproporre, da parte della Consulta dei Laici, per il prossimo anno della Fede, nella nostra Dio-cesi, sia un nuovo “per-corso” di “Dialoghi in Cattedrale” che la “Pentecoste Diocesana Unitaria” sulle Colonne Ro-mane come gesto missionario e di testimonianza verso la città da parte di tutti i movimenti e le aggregazioni laicali, coinvolgendo, in una ideale continuità, anche gli studenti delle superiori interessati al “per-corso” dei “Dialoghi in Cattedrale”.

Donato Caiulo

Il gruppo dei fidanzati con il parroco e gli animatori

La concelebrazione eucaristica

Un gruppo di parrocchiani con i sacerdoti

Giovani Talenti10 15 giugno 2012

l’intervista� Incontro con Ambrogio Colombo, giovane magistrato originario di Brindisi

Occorre educare i giovani al rispetto delle regole Protagonista di questo numero, per la rubrica “giovani

talenti”, è Ambrogio Colombo, giovane magistrato or-dinario, nato a Mesagne nel 1976, ma brindisino a tutti

gli effetti. Ambrogio Colombo ha conseguito il diploma presso il Liceo scientifico “Monticelli” di Brindisi, con il massimo dei voti e, successivamente, il diploma di laurea in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Lecce con votazione finale di 110/110 con lode. Abilitato all’esercizio della professione forense, Ambrogio Colombo ha collaborato in Brindisi con diversi studi professionali nel settore legale e della consu-lenza del lavoro e fiscale. Vincitore del concorso per esami a 350 posti di uditore giudiziario, è stato nominato magistra-to ordinario con Decreto Ministeriale 02.10.2009, prestando giuramento presso il Tribunale di Lecce e prendendo pos-sesso della sede il 26 ottobre 2009. Svolto il tirocinio dal 02 ottobre 2009 al 10 aprile 2011 presso gli Uffici giudiziari di Brindisi e Lecce, è attualmente destinato al Tribunale di Rossano Calabro (CS) con funzione di Giudice.Ha collaborato con la casa editrice DIKE Giuridica per la redazione “Manuale di diritto Processuale Amministra-tivo” di Francesco Caringella e Mariano Protto, edito nel 2011 (II ed. 2012), per la quale ha redatto il capitolo 2 - “La transazione e la conciliazione” - della parte VIII de-dicata a “Le Alternative Dispute Resolution”.

Giudice Colombo, perché ha scelto di intraprendere la strada della magistratura?

«Nos ad iustitiam esse natos, al di là della battuta di cicero-niana memoria, forse non si sceglie di entrare nella giustizia, è essa a scegliere te e ti fa fare delle scelte di vita.Non è retorico dire che una certa influenza l’ha avuta il fa-scino delle grandi e nobili figure di Colleghi (con la C maiu-scola) che hanno dato la vita per la Giustizia: Livatino, Galli, Scopelliti, Falcone e Borsellino … uno schizzo realizzato a mano dalla mia ragazza sulla base della nota foto che li ritrae insieme, campeggia (insieme ad una panoramica del porto di Brindisi) nel mio ufficio a Rossano.Aggiungo anche la costanza nello studio ed una grande pas-sione per le materie giuridiche (l’accesso in magistratura av-viene a seguito di un concorso pubblico difficile e selettivo: nel mio concorso, a fronte di 20.000 iscritti, solo 327 ammes-si agli orali e solo 300 vincitori nonostante i posti banditi fos-sero 350). Del resto passione e costanza nello studio restano sempre compagne del magistrato chiamato direttamente ad amministrare la giustizia e a risolvere le questioni che il calei-doscopio della vita quotidiana sottopone alla sua attenzione sussumendole ed inquadrandole nell’ordinamento e tradu-cendo i fatti umani in fattispecie giuridiche. Poi forse c’è un altro fattore: l’esperienza forense non mi appagava. Scriveva Jhering nel 1872: “non è infrequente il caso in cui l’avvocato, che rappresenta al cliente il lato azzardoso della causa di lui e lo sconsiglia dalla lite, si sentirà rispondere: costi quel che costi, ma la lite s’ha da fare”. Ebbene tali dinamiche non mi allettavano e le sentivo a me estranee.Con ciò non voglio sminuire l’alto ruolo e l’importanza dell’attività della classe forense nell’affermazione dei diritti violati nella fisiologia del sistema attraverso la domanda di giustizia di cui gli stessi si fanno latori presso l’Autorità Giu-diziaria».

Alla luce del contesto sociale nel quale viviamo, cosa si-gnifica ricoprire un ruolo come il suo? E quale realtà, dal suo punto di vista, deve affrontare un magistrato oggi?

«A questa domanda mi piace rispondere con le parole che lo scrittore ungherese Sandor Marai utilizza nell’opera Di-vorzio a Buda: “La legge, nella sua implacabile coerenza, appariva a volte debole e inadeguata di fronte all’arbitrio dei tempi. Egli, il Giudice, era costretto a riempire di con-tenuto moderno la parola della legge (...). Adesso va’ su e giudica! si diceva ogni tanto. E lui si piantava là in mezzo e giudicava, sempre in buona fede, nello spirito della leg-ge, in modo irreprensibile. Che mestiere!, pensava talvolta, esausto. Ma nello stesso momento levava la testa e diceva orgoglioso: sì, che mestiere! – gravoso e sublime, sovruma-no e degno di un essere umano!”.Ogni fascicolo racconta una storia, racconta di persone, racconta dell’esigenza dell’affermazione del diritto viola-to, di soprusi veri o presunti, dell’anelito di giustizia, dei piccoli e grandi drammi quotidiani.Quello che il magistrato (giudicante e requirente) non deve fare è spersonalizzare il fascicolo: occorre evitare che il lavoro del magistrato divenga mera routine burocratica pensando che i fascicoli siano solo fredde “carte”. Il magi-strato deve sempre pensare agli uomini e all’umanità che si cela dietro. In effetti è un mestiere (come dice Marai) dif-ficile, complesso, duro che non si esaurisce nell’attività in udienza che è forse quella più appariscente, ma richiede una continua applicazione, e tanto, tanto lavoro “oscu-ro” di studio, di preparazione, di redazione degli atti che all’esterno non traspare ma che è fondamentale ed assor-be il magistrato ben più degli orari di udienza e/o di fisica presenza in ufficio. In sostanza si è magistrati sempre non solo quando si indossa la toga».

Attualmente svolge il suo incarico presso il Tribunale di Rossano Calabro. Cosa ci può dire della sua esperienza in una terra così difficile?

«Sono arrivato a Rossano nell’aprile del 2011 insieme ad altri 3 colleghi destinati alla fun-zione di Giudice e ad una collega destinata alla funzione di Sostituto Procuratore del-la Repubblica. Tutti carichi di entusiasmo. Con alcuni di essi avevo condiviso parte del tirocinio svolto nel distretto della Corte di Appello di Lecce. Inoltre il Procuratore della Repubblica di Rossano è Leonardo Leone De Castris che, durante i suoi trascorsi a Brindi-si, ha lasciato il segno occupandosi di molte-plici e delicate inchieste. Insomma si è creata una sorta di enclave salentina.Da un punto di vista lavorativo abbiamo tro-vato una situazione difficile: prima del nostro arrivo il Tribunale negli ultimi anni aveva sofferto un lungo periodo caratterizzato da una forte carenza di organico (su 13 magi-strati in pianta organica erano rimasti in 5, di cui una collega in maternità). Questo si è tradotto in grandi numeri, grande carico di lavoro. L’esperienza che stiamo facendo è inoltre, per così dire, multitasking, e al di là delle difficoltà, è molto formativa a tutto ton-do. Tra l’altro, oltre al mio ruolo in materia ci-vile, ho anche svolto, sino a maggio, funzioni di Giudice Delegato ai fallimenti, esperienza che mi ha consentito di toccare con mano gli effetti della crisi che attanaglia l’Europa in una zona del Paese che già non versava in una situazione floridissima.Sono peraltro in corso alcuni importan-ti e delicati processi, di cui non mi occupo personalmente, a carico di esponenti della locale criminalità organizzata che potran-no fare luce su alcune vicende oscure delle ‘ndrine della zona».

Legalità e giustizia: è uno dei temi più rilevanti tra l’opi-nione pubblica e non solo. Secondo lei, quale senso è possibile e doveroso attribuire a questi due grandi valori, dai quali i giovani , in particolare, spesso si allontanano?

«In una congiuntura economica particolarmente difficile come quella attuale, che vede il nostro Paese arrancare nella competizione globalizzata dei mercati ed incapace di svilup-pare quella coesione e unità di intenti, necessarie a risolleva-re le sorti nazionali, la questione della legalità e della giusti-zia dovrebbe acquisire un’inevitabile centralità nel dibattito politico e culturale.Il tema della legalità assolve ad una funzione fondamentale: essa è alla base del vivere civile di ogni comunità, così come è importante che in uno Stato la Giustizia funzioni affin-ché sia garantito il rispetto delle regole. Nel nostro Paese, la giustizia è lenta e questo perché i magistrati italiani, pur essendo i più produttivi di Europa, hanno un carico di lavo-ro notevolmente superiore ai colleghi di altri Paesi europei e sono in proporzione meno numerosi (basta guardare dati pubblicati nel Rapporto della Commission européenne pour l’efficacité de la Justice CEPEJ), senza contare che il conten-zioso è inferiore solo a quello della Russia, che ha oltre il doppio degli abitanti rispetto all’Italia.Occorrerebbe affrontare seriamente i problemi della Giusti-zia italiana, partendo proprio da questi dati. Si tratta di un tema che attiene alla quotidianità che non può essere frutto di improvvisazione, ma deve essere oggetto di un lavoro pon-derato e non partigiano che sia preordinato esclusivamente a garantire il buon funzionamento del sistema mettendo in condizione i magistrati di operare nel migliore dei modi e non, come spesso accade, ai limiti dell’emergenza. Al di là di questo, è evidente comunque che la risposta dello Stato in termini di giustizia non basta. Purtroppo il modello che la società di oggi ci consegna indu-ce le giovani leve a crescere nella convinzione che furbizia e prepotenza possano essere il mezzo migliore per farsi strada nella società. L’idea di cercare una facile scorciatoia per ri-solvere i problemi, per raggiungere importanti traguardi, per diventare ricchi, potenti, felici.Da qualche anno a questa parte, si è visto l’evolversi conti-nuo ed imprevedibile di valori “sballati” e purtroppo la viola-zione continua delle regole produce una sorta di assuefazio-ne alla illegalità e alla immoralità.Parcheggiamo in seconda fila, usiamo il cellulare quando siamo al volante, non rispettiamo le precedenze quando stiamo in fila ad uno sportello, imbrattiamo l’ambiente, ci as-sentiamo dal lavoro anche se non siamo realmente ammala-ti, evadiamo le tasse, sofistichiamo gli alimenti, ci facciamo raccomandare, chiediamo e concediamo favori calpestan-do con noncuranza i diritti altrui. È facile urlare ad esempio contro la corruzione ed è difficile guardarsi dentro. Per dirla breve: chi non paga le tasse non ha il diritto di gridare se i

servizi pubblici non sono all’altezza.Non deve più passare il messaggio che è stupido essere giusti quando chi è ingiusto ottiene migliore giustizia. È necessario far sviluppare una cultura della legalità che non può che par-tire dall’educazione. Ed allora un ruolo di primo piano spetta innanzitutto alle famiglie e alla scuola. È necessario che sia-no formati cittadini consapevoli, sviluppando il senso civico dei giovani, e facendo loro comprendere come solo il rispet-to delle regole permette di esercitare la libertà individuale e che soltanto il rispetto della cosa pubblica e dell’interesse generale possono garantirci un’elevata qualità di vita.In tal senso fortunatamente si sta consolidando la prassi di organizzare degli incontri nelle scuole sulla legalità. Ricor-do che durante il mio tirocinio presso il Tribunale di Brindi-si, grazie all’impegno della locale sezione dell’ANM, le aule di giustizia furono aperte alle scolaresche, si pensi anche all’impegno profuso da personalità come Gherardo Colom-bo, ex magistrato che ha lasciato il suo incarico istituzionale per dedicarsi all’educazione e sensibilizzazione dei giovani sul tema della legalità.Il perseguimento di una maggiore legalità e di un maggiore rispetto delle regole è un compito arduo che richiede nel no-stro Paese una mutazione culturale, un progresso culturale che non sarà immediato. Per far sì che si progredisca occorre intanto che ogni singolo cittadino partecipi alla vita pubblica con maggiore impegno, che reclami i propri diritti e che, so-prattutto, assolva, in prima persona, ai propri doveri.Qualcosa inizia a muoversi nelle coscienze sociali ed è un bene: l’immediata risposta della città all’orrore e delle bom-be innanzi alla scuola “Morvillo-Falcone” mi ha fatto riempi-re di commozione ed orgoglio di essere figlio di questa terra. Esprimo tutta la mia solidarietà alle vittime ed alle loro fami-glie.È stata una ferita profonda per la città, e per chi come me ha da sempre vissuto a Brindisi, ma paradossalmente può costi-tuire il punto per una rinascita e per una ripartenza: è giunto il momento che ognuno di noi, ciascuno nel proprio ruolo, cominci a riflettere seriamente sulla congiuntura che la no-stra città ed il nostro Paese stanno vivendo».

È soddisfatto del suo percorso professionale compiuto finora?

«Ogni giorno c’è un motivo per essere soddisfatto: la soddi-sfazione di ripristinare un diritto violato, di “fare giustizia” nel concreto, di risolvere con giustizia e imparzialità le que-stioni.La più grande soddisfazione lo ho avuta quando, dopo aver depositato una sentenza la cui redazione mi aveva impegna-to a fondo, ho ricevuto i complimenti dell’avvocato della par-te soccombente: “Giudice, le sue motivazioni hanno convin-to anche me”. È stato un gesto di notevole onestà intellettuale da parte sua che mi ha ripagato del lavoro svolto».

Daniela Negro

Il giovane magistrato brindisino Ambrogio Colombo

La consapevolezza della complessità delle re-lazioni umane e la rapidità delle trasforma-zioni socio-culturali fanno ben compren-

dere quanto urgente sia, da un lato lo sforzo per costruire un sistema formativo, destinato ad indi-vidui sottoposti alle tante sollecitazioni del nostro tempo, e dall’altro quanto sia necessaria l’esplora-zione di un terreno comune su cui laici e presbite-ri si confrontino e si impegnino per reagire e argi-nare la crisi educativa dell’uomo contemporaneo. Prendendo atto delle difficoltà del nostro tempo, delle sue contraddizioni, dei suoi condiziona-menti, della sua tendenza a rimanere alla super-ficialità dei problemi, si avverte, infatti, l’esigenza di una “mutazione antropologica” in senso posi-tivo in cui l’uomo conquisti una visione più pro-fonda e integrale di sé stesso, della sua funzione e della sua capacità di stabilire punti di riferimen-to fondativi e condivisi sui quali famiglia e Chie-sa possano individuare strategie comuni per una fecondità educativa, condizione essenziale per la realizzazione del bene comune.

Determinante il ruolo della famiglia, quale cel-lula primaria da cui nasce ogni forma associativa, ma nel contempo, “luogo privilegiato di educazio-ne umana e cristiana”, quindi, “migliore alleata” per il magistero della Chiesa in funzione di una Pastorale familiare integrata.

In questa prospettiva e con l’intendimento di concentrare l’attenzione sul problema della for-mazione nella società contemporanea, la Confe-renza Episcopale Italiana ha dato corso alla XIV settimana nazionale degli studi sulla spiritualità familiare e coniugale con l’obiettivo di affrontare il tema “Presbiteri e sposi, sorgente di fecondità educativa per la comunità cristiana”.

Concetto focalizzante di tutti gli interventi è stato che la reciprocità e l’armonia tra la ministerialità sacerdotale e la ministerialità sponsale potenziano l’efficacia dell’azione educativa nell’accompagna-re fidanzati e giovani coppie a prendere posizione consapevole di fronte alle problematiche familiari e nell’inserirsi efficacemente fra le fratture sociali e nelle “situazioni di sofferenza” individuali e fa-miliari, sempre più visibili e più diffuse nei nostri giorni. Così la fecondità educativa di sposi e pre-sbiteri rivela il volto nuovo della Chiesa, la quale vuole insegnare a vivere una fede che non fugge dal mondo, ma che è ben radicata alla terra con la volontà di conformare le relazioni umane alla Pa-rola, educando “alla vita buona del Vangelo”.

Dal 27 aprile al 1 maggio quindi sono convenuti a Nocera Umbra, per iniziativa dell’Ufficio Nazio-nale per la Pastorale della famiglia, in rappresen-tanza di numerose Diocesi, compresa la nostra, da ogni zona del nostro Paese, coppie di laici cat-tolici con i responsabili degli Uffici diocesani, per confrontare le diverse esperienze, assumere co-noscenza del panorama culturale e spirituale del-le diverse Parrocchie, per individuare un terreno comune sul quale gettare un seme fecondo, per sollecitare la comunità educante a dare risposte valide ed alternative.

Il convegno avrà un seguito nel prossimo anno nel corso del quale ipotesi e riflessioni già raccolte nei laboratori, messe a confronto, arricchite, pun-tualizzate attraverso un’attività on-line durante tutto l’anno, daranno corso a confronti di opinio-ni, orientamenti, iniziative in funzione dell’attività educativa in seno alla comunità cristiana, in cui sposi e presbiteri, fedeli alla missione comunio-

nale basata sull’ascolto della Parola, ricerchino ed indichino la strada per la rigenerazione delle nostre comunità diocesane e parrocchiali.

Come è stato sottolineato frequente-mente da don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale Familiare della CEI, il Ministero dell’Or-dine ed il Ministero del Matrimonio, nella loro complementarietà, sono chiamati ad utilizzare energie diverse per la realizzazione di un obiettivo for-mativo comune, rimanendo ognuno nella propria specificità per scongiura-re il rischio di laicizzare il clero o di cle-ricalizzare il laico.

Durante gli incontri, aperti ogni giorno dopo un breve momento di preghiera, alla quale seguiva una lectio divina proposta dai coniugi Oreglia della Diocesi di Mondovì, sono state presentate varie relazioni sul tema centrale del convegno.

Alla presentazione introduttiva di don Paolo Gentili e dei coniugi Cioncolini, suoi collabora-tori, sul tema “Presbiteri e Sposi: fra memoria e profezia” è seguito nella giornata successiva l’in-tervento di Xavier Lacroix, docente di teologia morale all’Università Cattolica di Lione – facoltà di Teologia e Istituto di Scienze della famiglia, svi-luppando ampliamente il tema “Un corpo eccle-siale, un corpo sponsale: un unico Battesimo per la nuova evangelizzazione dell’Europa”, nel corso del quale, al di là di una visione limitata della fa-miglia, proponendo una comunità fondata sul-la condivisione, definisce “il matrimonio, come l’Eucarestia, il sacramento della vita donata” e, pone la “fides” al cuore del legame familiare e del-le relazioni genitoriali, ritrovando nell’ “agape” la donazione senza limiti per cui la famiglia diviene “luogo privilegiato” di nuova evangelizzazione.

“Ministerialità sponsale e ministerialità presbi-terale nell’orizzonte biblico” è stato l’argomento proposto da Paolo Merlo, docente dei corsi di Introduzione alla Sacra Scrittura ed Ebraico Bibli-co presso la Pontificia Università Lateranense di Roma: richiamando alla memoria alcuni esempi di collaboratori di S.Paolo nel suo servizio presso le prime comunità cristiane, ha presentato il “Sa-cerdozio comune quale risultato collaborativo e fecondo tra ministerialità sponsale e ministeriali-tà presbiterale”.

Ina Siviglia, docente di Antropologia teologica presso la Facoltà Teologica di Palermo, con la re-lazione “Dimensione sacerdotale e oblativa degli sposi”, ha polarizzato l’attenzione di tutti soffer-mandosi sul sacerdozio comune dei Cristiani e la “dimensione oblativa degli sposi”; ha presentato “l’analogia tra amore sponsale e amore trinitario” sostenendo che col matrimonio gli sposi diven-tano “soggetto uniduale”: pur rimanendo due, rappresentano l’unità di Dio nella storia. La cop-pia, per la relatrice, diventa paradigma di relazio-ne, metafora del Cristo sposo per la sua sposa, la Chiesa, prospettiva di una oblatività senza riserve e senza interruzioni, una sola “caro” agganciata alla storia con un cuore nuovo, piena di amore si-mile a quello di Cristo.

Sulla stessa linea si è mosso nella sua relazio-ne Padre Josè Granados, vicepresidente del pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, affrontando la tematica “Dimensione sponsale e generativa del Mistero

sponsale”, nella quale, di fronte alla crisi della pa-ternità nel mondo moderno, ha prospettato l’al-ternativa di una paternità sacerdotale e sponsale feconda per le comunità parrocchiali.

Con la sua relazione “Ordine e Matrimonio: per una ministerialità di comunione” S.E. Mons. Enri-co Solmi ha evidenziato la complementarietà tra presbiteri e sposi, i quali, se pur in ambiti separa-ti, titolari di “tria munera: munus regendi, munus docendi, munus santificandi”(tre doni: reggere, insegnare, santificare), offrono una mano tesa e un volto di Chiesa che tutti attendono.

“Figliolanza, sponsalità e genitorialità: una fami-glia che genera è una famiglia che educa” è stata la problematica presa in esame da Domenico Si-meone, docente di Pedagogia generale e sociale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, pre-sidente della Confederazione Italiana dei Consul-tori di ispirazione cristiana, con la quale si sono conclusi gli interventi.

Tutti partecipanti hanno continuato a riunirsi nei circoli di discussione per riflettere sulle pro-blematiche presentate e per offrire anche testi-monianza di esperienze presenti nella Diocesi di provenienza. In tutti i circoli di discussione si è riflettuto su come sposi e presbiteri possano ac-compagnare l’affettività di adolescenti e fidanzati, dare sostegno alla fragilità di famiglie segnate dal dolore o che vivono la separazione, come educa-re al bene comune e alla multiculturalità, come trasmettere la fede ai figli e proporre percorsi di iniziazione cristiana, come armonizzare lavoro e famiglia, come vivere i giorni della solennità e la festa del Signore.

Osservazioni, stimoli, modalità organizzative e procedurali, proposte e problematiche, emer-se nei circoli di discussione, coordinati da don Bernardino Giordano dell’Ufficio Nazionale per Pastorale della famiglia della CEI, sono stati poi sintetizzati dai tutor e dai loro collaboratori e pre-sentati a tutti partecipanti, fornendo una map-pa particolareggiata e complessiva della diverse Diocesi d’Italia, al fine di disporre un orizzonte pastorale, su cui tutti saranno chiamati nel corso di questo secondo anno a dare un ulteriore con-tributo personale di discussione e di riflessione.

Tra un incontro e l’altro non sono mancati alcu-ni momenti di partecipazione a rappresentazioni teatrali a cura di “Jobel teatro” per gli adulti e di percorsi di animazioni e di gioco per bambini e per adolescenti, organizzati da “Animatema di fa-miglia” e collegati ai percorsi formativi vissuti dai loro genitori e dagli altri partecipanti.

Giuseppe e Marua Carmela De Riccardis

nocera umbra Dalla Settimana nazionale di studi sulla spiritualità coniugale e familiare

Presbiteri e sposi, sorgente di fecondità educativaSepoltura

feti

Nella seduta dello scorso 29 maggio la

Giunta comunale di Mo-nopoli ha manifestato la volontà di individuare all’interno del cimitero comunale un’area desti-nata al seppellimento dei «bambini mai nati». La decisione fa seguito alle istanze delle Asso-ciazione per la Vita e alle esortazioni dell’Uffi-cio Famiglia e Vita della Curia Conversano - Mo-nopoli. La legge 285 del 1990 (Approvazione regola-mento di Polizia Mortua-ria) - ricorda una nota del Comune di Monopoli - prevede «la possibili-tà di seppellimento dei prodotti abortivi di pre-sunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settima-ne complete e dei feti che abbiano presumi-bilmente compiuto 28 settimane di età intrau-terina e che all’ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti».

«A richiesta dei genitori, nel cimitero - si legge ancora - possono essere raccolti con la stessa pro-cedura anche prodotti del concepimento di pre-sunta età inferiore alle 20 settimane». «I parenti o chi per essi sono tenu-ti a presentare, entro 24 ore dall’espulsione od estrazione del feto, do-manda di seppellimento alla unità sanitaria locale accompagnata da certifi-cato medico che indichi la presunta età di gesta-zione ed il peso del feto. I permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall’unità sani-taria locale».

Le famiglie della Diocesi presenti a Nocera Umbra

16 15 giugno 2012Vita di Chiesa

“Aiutare l’impegno dei Pastori della Chiesa catto-lica nell’esigente compito di discernimento del-le presunte apparizioni e rivelazioni, messaggi

e locuzioni o, più in generale, fenomeni straordinari o di presunta origine soprannaturale”. Questo - spiega il card. William Levada, prefetto della Congregazione per la Dot-trina della Fede, nella prefazione - l’obiettivo principale delle “Norme per procedere nel discernimento di presunta apparizioni e rivelazioni”, pubblicate il 29 maggio scorso dal citato dicastero pontificio. Il documento, preparato ol-tre trent’anni fa dalla stessa Congregazione, approvato da Paolo VI il 24 febbraio 1978 e poi emanato dal dicastero il giorno seguente, era stato inviato ai vescovi ed è rimasto fi-nora riservato, ma visto che oggi “i principali contenuti” di esso “sono di pubblico dominio”, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto “opportuno” pubblicarlo, in sei lingue. “La attualità della problematica di esperienze legate ai fenomeni soprannaturali nella vita e nella missio-ne della Chiesa - ricorda il card. Levada - è stata rilevata anche recentemente” dal Sinodo dei Vescovi sulla Parola di Dio, nell’ottobre 2008. “Preoccupazione”, questa, raccolta dal Papa nella “Verbum Domini”, che per la Congregazione è da accogliere “come invito a dare conveniente attenzio-ne a quei fenomeni soprannaturali, cui si rivolge anche la presente pubblicazione”.

“Il valore delle rivelazioni private è essenzialmente di-verso dall’unica rivelazione pubblica”, che “esige la nostra fede”, ammonisce Benedetto XVI nella “Verbum domini”. Secondo il Papa, infatti, “il criterio per la verità di una ri-velazione privata è il suo orientamento a Cristo stesso. Quando essa ci allontana da Lui, allora essa non viene certamente dallo Spirito Santo, che ci guida all’interno del Vangelo e non fuori di esso”. La rivelazione privata, cioè, “è un aiuto per questa fede, e si manifesta come credibi-le proprio perché rimanda all’unica rivelazione pubblica”: è “un aiuto, che è offerto, ma del quale non è obbligatorio fare uso”. “L’approvazione ecclesiastica di una rivelazio-ne privata - spiega il Santo Padre nel documento, punto di riferimento delle “Norme” pubblicate oggi - indica es-senzialmente che il relativo messaggio non contiene nulla che contrasti la fede ed i buoni costumi; è lecito renderlo pubblico, ed i fedeli sono autorizzati a dare ad esso in for-ma prudente la loro adesione”. “Una rivelazione privata può introdurre nuovi accenti, fare emergere nuove forme di pietà o approfondirne di antiche”, scrive il Papa nel testo citato, “può avere un certo carattere profetico e può essere un valido aiuto per comprendere e vivere meglio il Vangelo nell’ora attuale; perciò non lo si deve trascurare”.

Giudicare del fatto secondo criteri positivi e negativi” e, se è il caso, “permettere alcune manifestazioni pubbliche di culto o di devozione, proseguendo nel vigilare su di esse con grande prudenza”. Questa la procedura, consigliata nella Nota preliminare alle “Norme” in caso di presunte apparizioni e rivelazioni. Tra i “criteri positivi”, il documen-to elenca la “certezza morale, o almeno grande probabili-tà dell’esistenza del fatto, acquisita per mezzo di una seria indagine”, le “qualità personali del soggetto o dei soggetti” - tra cui “l’equilibrio psichico, l’onestà e la rettitudine del-la vita morale, la sincerità e la docilità abituale verso l’au-torità ecclesiastica”, la presenza nella rivelazione di una “dottrina teologica e spirituale vera ed esente da errore”, la “sana devozione”. Tra i “criteri negativi”, figurano l’ “errore manifesto circa il fatto”, gli “errori dottrinali attribuiti a Dio stesso, o alla Beata Vergine Maria, o a qualche santo nelle loro manifestazioni”, una “ricerca evidente di lucro colle-gata strettamente al fatto”, la presenza di “atti gravemente immorali compiuti nel momento o in occasione del fatto dal soggetto o dai suoi seguaci” e l’esistenza di “malattie psichiche o tendenze psicopatiche nel soggetto, che con certezza abbiano esercitato una influenza sul presunto fat-to soprannaturale, oppure psicosi, isteria collettiva”.

Il compito di “vigilare e intervenire” - si legge nelle “Nor-me” - spetta innanzitutto all’Ordinario del luogo. La Sede Apostolica “può intervenire, sia su domanda dell’Ordina-rio stesso, sia di un gruppo qualificato di fedeli, sia anche direttamente in ragione della giurisdizione universale del Sommo Pontefice”. “Se nascono in modo quasi spontaneo tra i fedeli un culto o una qualche devozione - è l’indicazio-ne della Santa Sede - l’autorità ecclesiastica competente ha il grave dovere di informarsi con tempestività e di procede-re con cura ad un’indagine”. Essa, inoltre, “può intervenire in base a una legittima richiesta dei fedeli per autorizzare e promuovere alcune forme di culto o di devozione”, pre-stando però “attenzione a che i fedeli non ritengano questo modo di agire come un’approvazione del carattere sopran-naturale del fatto da parte della Chiesa”. In presenza poi di “circostanze gravi”, per esempio “per correggere o preveni-re abusi, per condannare dottrine erronee, per evitare peri-coli di un misticismo falso o sconveniente”, l’autorità com-petente può - anzi “deve” - intervenire “motu proprio”. Nei casi “dubbi”, infine, che “non presentano alcun rischio per il bene della Chiesa”, l’Autorità ecclesiastica competente “si asterrà da ogni giudizio e da ogni azione diretta”, senza però cessare di “essere vigile per intervenire, se necessario, con celerità e prudenza”.

santa sede Pubblicato il documento inizialmente riservato ai soli vescovi

Norme sulle presunte apparizioni e rivelazioni

Il dramma della pedofilia ha scosso for-temente la Chiesa in questi ultimi anni. È stata forse la vergogna più umiliante e

difficile da accettare, perché si è abbattuta come una persecuzione – per lo più media-tica – tesa a screditare tutto l’operato di oggi ma anche di ieri. Difficile da comprendere, perché se la Chiesa ha subìto tante persecu-zioni, questa è stata addirittura provocata da comportamenti reali o presunti compiuti da alcuni sacerdoti. Una persecuzione, per così dire, che nasceva dall’interno. Come può es-sere accaduto questo? Se lo sono domanda-to con amarezza, prima, Giovanni Paolo II e, poi, il suo successore Benedetto XVI. Come è possibile che sacerdoti o religiosi abbiano commesso atti, che non solo risultano disgustosi, ma vanno direttamente contro il Vangelo e la sollecitudine di Gesù nei confronti dei più piccoli? Che amarezza.

Eppure, la Chiesa ha alzato la testa. Lo ha fatto per primo Benedetto XVI scegliendo la via della severità nei confronti di coloro che si sono macchiati di tali crimini. Ma non solo. I cultori dello scandalo sanno fermarsi solo a questo punto: cercare a tutti i costi il colpevole e coprirlo di vergogna con particolari scandalistici. Ma non conoscono la misericordia e la speranza. La Chiesa sa di aver davanti uomini, creati a immagine e somiglianza di Dio e, pertanto, con una dignità che, sebbene abbiano umiliato con il loro comportamento, rimane. Allora non basta punire, ma occorre anche curare, perché il soggetto non commetta più questi crimini e quindi non abbia a far soffrire e a soffrire.

Inoltre, misericordia e amore verso le vittime della pedofi-lia. In molti suoi viaggi il Santo Padre ha voluto personalmen-te incontrare coloro che hanno subìto tale violenza da parte di sacerdoti o religiosi. A essi ha detto chiaramente di prova-re vergogna e dolore, ma anche ha invitato alla speranza e ha mostrato il volto del Buon Pastore. Come non ricordare, poi,

la lettera scritta ai fedeli cattolici d’Irlanda? Benedetto XVI non ha nascosto nulla, ha indicato il modo per superare que-sta dolorosa crisi, anche attraverso la penitenza.

A distanza di alcuni anni appare, dunque, meglio l’iniziativa riformatrice di questo Papa, che è intervenuto personalmen-te e ha voluto che i competenti organi vaticani si adoperas-sero per aiutare i vescovi sparsi nel mondo sia ad affrontare i casi di pedofilia, sia a prevenirli. In questo spirito la Confe-renza episcopale italiana ha redatto le “Linee guida per i casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici”. Le indicazioni della Chiesa universale si declinano nel con-testo italiano in osservanza al regime concordatario.

Al di là dei necessari aspetti canonistici e giuridici, si ritro-va la linea pastorale del Santo Padre. Infatti, le Linee guida affidano al vescovo un ruolo che va ben oltre alle norme giu-ridiche, ponendolo – per così dire – in sintonia con le scel-te compiute in quest’ora difficile dal vescovo di Roma. Ecco, allora, che egli non è un semplice tassello dell’ordinamento giuridico, ma è colui che guida la Chiesa con amore di pa-dre. Senza mai venir meno ai suoi doveri di giustizia, si mo-stra esperto in umanità: ascolta la vittima e i suoi familiari,

s’impegna a offrire sostegno spirituale e psi-cologico. Con l’aiuto del Buon Pastore fascia le ferite e le guarisce.

Nello stesso tempo, si mostra attento e sol-lecito nei confronti dei suoi sacerdoti, curan-done la formazione permanente e aiutandoli nell’apprezzare e vivere la parola della Chie-sa sulla castità e sulla scelta del celibato. Qui, forse, è richiesto un impegno particolare a motivo del fatto che, se le motivazioni di fon-do restano le stesse, il modo di porle richiede attenzione a quanto è avvenuto in questi ulti-mi anni, in cui la visione della sessualità è ra-dicalmente cambiata nel senso peggiorativo. Alla proposta delle motivazioni, certamente, va aggiunto anche l’ingrediente della frater-

nità. Un presbiterio dove ci si riconosce fratelli alla presenza di un padre, il vescovo, è assolutamente essenziale.

Infine, le Linee guida invitano ad avere una speciale cura nel discernimento vocazionale, svolto con attenzione e re-sponsabilità. I candidati al sacerdozio e alla vita consacra-ta hanno bisogno in molti casi di tempi di formazione più lunghi rispetto al passato e di cammini personalizzati. Lo richiede una scelta definitiva come quella che intendono prendere, mentre intorno tutto grida al provvisorio. Non si può sottostimare nulla di quanto emerge negli anni della formazione, nella consapevolezza che le carenze non curate, riappariranno ben più evidenti negli anni del ministero. Gli educatori del seminario o i maestri dei novizi svolgono un incarico molto delicato, che richiede presenza continua tra i candidati negli anni della loro formazione.

Ancora una volta la Chiesa alza la testa e mostra il suo volto di maestra e insieme di madre. Nessuno può abbattersi, per-ché essa ha fiducia negli uomini e nel futuro.

Marco Doldi

chiesa e abusi sui minori Il ruolo affidato ai vescovi dalle Linee guida della Cei

Con la severità di un padre che corregge

Novità al femminile all’Osservatore Romano

Anche L’Osservatore Romano vara una novità “al femminile”: come scrive sul numero in edicola il 30

maggio il direttore Giovanni Maria Vian, «per la prima volta in una storia ultracentenaria, da oggi “L’Osserva-tore Romano” pubblicherà, nel numero dell’ultimo gio-vedì di ogni mese, un inserto femminile. Quattro pagi-ne interamente a colori, ideate e curate con passione e gentile determinazione da alcune colleghe, per allargare lo sguardo del giornale della Santa Sede a “donne, Chie-sa, mondo”». Le tre parole costituiscono il titolo della nuova rubrica «aperta a una realtà fondamentale nella tradizione cristiana e che vuole idealmente allargarsi a cerchie sempre più ampie». Vian richiama la crescente attenzione dei Papi verso l’universo femminile, citando Giovanni XXIII e Paolo VI che nel 1964 invitò, «con una decisione senza precedenti, alcune donne a prende-re parte al concilio Vaticano II» e, nel 1970, «proclamò dottori della Chiesa due sante come Caterina da Siena e Teresa d’Avila, seguito da Giovanni Paolo II che farà al-trettanto con Teresa di Lisieux nel 1997 e da Benedetto XVI, che ha deciso questa solenne definizione per una delle più grandi donne del medioevo, Ildegarda di Bin-gen». Il direttore riconosce anche che la valorizzazione della donna ha dovuto confrontarsi con «contraddizioni dovute nei secoli soprattutto ai contesti culturali e oggi a persistenti pregiudizi».

G.M.Vian, Direttore dell’Osservatore Romano

Attualità & Territorio 1715 giugno 2012

È in discussione in questi giorni al Se-nato il ddl di riforma del mercato del lavoro. Oltre 600 gli emendamenti

presentati. L’esame dell’Assemblea inizia do-mani. Il governo ha posto quattro questioni di fiducia su altrettanti capitoli (flessibilità in entrata, in uscita, ammortizzatori sociali e formazione). Su questi temi il Sir ha posto al-cune domande a Luigino Bruni, docente di economia politica all’Università di Milano-Bicocca.

Perché è importante parlare di benessere nel lavoro, proprio in tempo di crisi?

«Se non stiamo bene dove lavoriamo non stiamo bene mai. Non si può rimandare la felicità e il benessere al tempo libero o alla pensione. Si dà poca attenzione al lavoro, come se fosse un luogo neutrale dove si en-tra otto ore al giorno per avere un salario da spendere per essere felice. In realtà sappia-mo dagli studi e dalla prassi che se io non riesco a mettere la parte migliore di me nel lavoro, la vita non funziona. C’è troppo ma-lessere oggi nel mondo, perché la gente lavora male, nei luoghi sbagliati. Bisogne-rebbe capire qual è il modo migliore perché i lavoratori possano esprimersi, portando vantaggio a tutta l’azienda. Se siamo in crisi è perché abbiamo lavorato principalmente per massimizzare la crescita, i consumi, il reddito e non per realizzare un progetto di vita, che è lo scopo vero del lavoro. La crisi deve essere un’occasione per ripensare an-che questi temi».

Eppure, vista anche la discussione sull’ar-ticolo 18, sembra che tutto converga ver-so un abbassamento dei diritti e delle tu-tele...

«Tutto ciò è abbastanza triste. Il debito pubblico dimostra che non è più sostenibile un modello dove si crea lavoro solo per crea-re lavoro. In questo momento tutto serviva in Italia tranne una riduzione dei diritti lavora-tivi. Perché le leggi hanno un valore simboli-co. In un momento di fragilità e d’insicurezza delle famiglie, rendere più vulnerabile l’usci-ta dal mondo del lavoro è un segnale che au-menta la sfiducia. È una riforma che non ser-ve ora. Era da fare con più calma e dialogo,

ma non in momenti di crisi. Toccare l’artico-lo 18 è stata una scelta molto poco lungimi-rante perché è un messaggio simbolico che aumenta l’insicurezza delle persone. Sono però convinto che dobbiamo anche liberar-ci da una cultura degli ultimi decenni, frutto del capitalismo, per cui la motivazione del lavoro è l’incentivo monetario. Ci si dimen-tica che la vocazione più profonda dell’es-sere umano è lavorare bene, perché noi nel nostro lavoro mettiamo noi stessi. Se lavoria-mo male diventiamo noi malati. Dobbiamo riconciliarci con il lavoro come espressione di noi stessi. Certo, in un momento di crisi, è difficile poter immaginare un lavoro come espressione di sé, è vero. Bisogna creare le condizioni culturali, soprattutto a scuola, perché i giovani si rendano conto della fatica e della bellezza del lavorare, della creatività. Il lavoro va rimesso al centro del patto socia-le. Se ne parla molto ma è visto solo come un problema, un costo».

La flessibilità è un modello applicabile in Italia?

«Questo è un problema politico. Si potreb-be rendere più flessibile il lavoro in uscita ma anche in entrata. Ma io non credo sia un buon modello. Che mestiere fa un gio-vane, laureato in economia e commercio a 23 anni, se fa un anno di stage, poi lavora in ufficio, dopo due anni in un’assicurazione, poi in un’impresa commerciale? Cosa saprà fare questo giovane a 35 anni? Così avremo il paradosso di giovani molto più qualificati nel lavoro manuale, e laureati che non sanno far niente. Perché la flessibilità non produce competenze ma mancanza di qualificazio-

ne professionale. Un giovane ha il diritto ad avere tempo per apprendere una professione o un mestiere. La flessibilità, da questo pun-to di vista, è molto pericolosa. Non dimenti-chiamo che il modello Usa è molto in crisi. Perché un mondo che crea lavori superficiali – o una élite di superpagati creativi – sta per-dendo competenze. Gente che cambia lavo-ro venti volte nella vita alla fine non sa fare nulla. Dobbiamo riappropriarci dei mestieri, delle arti, dei lavori manuali. È una grande sfida civile, politica ed economica».

Giorni fa il governo ha detto che in Italia si potrebbero creare 128 mila posti di la-voro per i giovani beneficiando dei fondi europei. Secondo lei è possibile?

«Non si possono creare dal nulla centomila posti di lavoro, come si fa? È già fumo ideo-logico. Ci portiamo dietro questa idea me-dievale che il re crea occupazione. In questo modo diventano posti di lavoro insostenibili. Il lavoro si crea dalla base, dall’entusiasmo, dalla creatività. Il governo deve creare le pre-condizioni: ad esempio, far studiare meglio i giovani, fare scuole e università migliori, più infrastrutture. Ma non può creare lavoro. Dobbiamo riscoprire il lavoro che parte dalla gente: il grande modello è quello cooperati-vo. Siamo poveri ma siamo tanti. Ci mettia-mo insieme per risolvere i nostri problemi. Andare avanti con i fondi europei, regionali, ecc. è un giocattolo che si è rotto con que-sta crisi. Dobbiamo creare lavoro dal basso. Questo modello sarà anche il futuro per i giovani. Il governo deve solo rendere la vita dei giovani meno complicata».

Patrizia Caiffa

riforma del lavoro A colloquio con l’economista Luigino Bruni

«Bisogna creare lavoro dal basso»ACLIGianluca Budano, Presidente Regio-nale delle Acli, è il nuovo Respon-sabile Nazionale Welfare della me-desima associa-zione.Pier Paolo Napo-letano, invece, è stato confermato Responsabile Na-zionale della Fun-zione SviluppoAssociativo. Entrambi pugliesi, Budano e Napoletano sono stati eletti nei ri-spettivi ruoli nel corso del Consiglio Na-zionale delle ACLI tenutosi a Roma il 5 maggio u.s.

mesAgneAnche quest’anno la Parrocchia Ma-ter Domini, in col-laborazione con il Centro Sportivo Parrocchiale “Vir-tus Mater Domini”, organizza l’espe-rienza del Centro estivo (11 giugno-13 luglio). Lo slo-gan avrà per tema

“PassParTu-Di’ sol-tanto una parola”.

BAndIerA BLu Ad ostunILa Fee (Fondazio-ne per l’educazio-ne ambientale) ha assegnato ad Ostuni e alle sue spiagge la Ban-diera Blu 2012. La Città Bianca potrà fregiarsi del prestigioso riconoscimento assegnato in base a rigorosi control-li. La Bandie-ra Blu delle spiagge viene assegnata, infatti, per la qualità delle acque, della costa, dei servizi, misure di sicu-rezza ed educazione ambientale.

meetIng dI rImInIE’ stata presen-tata il 6 giugno a Roma la XXXIII edizione del Me-eting per l’ami-cizia fra i popoli. Nel presentare l’iniziativa, che si svolgerà a Rimini dal 19 al 25 ago-sto e che avrà per tema “La natura dell’uomo è rap-

porto con l’infinito”, i promotori hanno spiegato che “La questione del rapporto con l’infinito è questione antropologica, definisce appunto l’uomo in quanto tale, ne individua la natura religiosa come tensione continua verso un ‘oltre’ che sottende ogni movimento umano”.

sIrIAProseguono senza sosta, in Siria, gli scontri tra l’eser-cito regolare, fe-dele al presidente Bashar al Assad e i ribelli. Gli ultimi giorni hanno vi-sto, in particolare, un crescendo di violenza: stragi di civili, molte vittime sono donne e bam-bini, si sono consumate a Hula e Hama con un rimpallo di responsabilità tra le due parti. Per il governo si tratta di at-tentati terroristici, per l’opposizione, le stragi sono state perpetrate dall’esercito.

in Breve

Mercoledì 16 maggio Mons. Arcivescovo ha benedetto i locali della

Fondazione ANT, Delegazione di Brindisi, situati presso l’ex ospe-dale Di Summa, nominando al contempo don Maurizio Caliandro padre spirituale ANT.

Il Padre spirituale è una presen-za fondamentale all’interno della Delegazione ANT di Brindisi come aiuto e supporto non solo per i sof-ferenti assistiti da ANT e le famiglie che lo richiederanno, ma anche per gli operatori (medici, infermie-ri e psicologi) e per i volontari del-la Fondazione.

Franca Sergio, Delegata ANT di Brindisi, ha dichiarato: «Siamo onorati per la presenza di Mons. Rocco Talucci e grati per la sua di-

sponibilità a benedire i nostri lo-cali, che sono sede organizzativa per le attività di raccolta fondi e soprattutto per l’accoglienza delle richieste di assistenza».

Don Maurizio Caliandro ha affer-mato: «Essere accanto a chi soffre e a chi si prende cura di loro non può che essere un costante invito alla tenerezza a cui sento che que-sto servizio spirituale mi chiama. Il malato rappresenta per tutti una chiamata all’amore, quello concre-to fatto di cura e di amorevole pre-senza».

La Fondazione ANT, nata a Bolo-gna nel 1978 per iniziativa del Prof. Franco Pannuti, rappresenta la più ampia esperienza al mondo di as-sistenza socio-sanitaria domicilia-re gratuita ai Sofferenti di tumore.

brindisi L’impegno della delegazione ANT

A servizio dei sofferenti

Cultura & Comunicazione18 15 giugno 2012

IL PESCATORE DI SOGNI regia: Lasse Hallstrom

Alfred Jones è uno scienziato in-troverso e compassato che lavora presso il ministero della Pesca e dell’Agricoltura. Vessato da un superiore ottuso e da una moglie algida e in carriera, il dottor Jo-nes riceve una mail e una curiosa proposta: introdurre la pesca al salmone nello Yemen. Contatta-to da Harriet Chetwode-Talbot, funzionario commerciale che ge-stisce ricchezze e interessi di uno sceicco yemenita col vizio della canna ed estremamente religioso, Jones scoraggia il progetto e de-clina il lavoro, bollandolo come “assurdo”. L’intervento aggressivo e autoritario di Patricia Maxwell, portavoce del primo ministro bri-tannico, determinato a “pescare” buone notizie nel marasma me-diorientale, costringerà Jones ad accettare suo malgrado. Contagia-to molto presto dalla visionarietà e dalla spiritualità dello sceicco e dalla grazia di Harriet, il ragio-nevole esperto in scienze ittiche scoprirà nuovi orizzonti e troverà l’amore.Tratto da un romanzo di successo, “Il pescatore di sogni”, diretto da Lasse Hallstrom, è una commedia brillante con un cast inglese per-fetto: dal protagonista Ewan Mc-Gregor, che è credibilissimo nei panni dell’impacciato scienziato che vive solo a metà perché chiu-so nel suo piccolo mondo (noi che lo ricordiamo, invece, come la guida spirituale di Anakin Skywal-ker in “Star Wars”), a Kristin Scott Thomas, che veste i panni della cinica addetta stampa del primo ministro inglese, capace di mani-polare ogni notizia a proprio van-taggio. La pellicola, scritta dallo sceneggiatore Premio Oscar per “The Millionaire”, è al tempo stes-so una satira sul mondo della po-litica inglese (ma verrebbe da dire mondiale), con i politici e i loro

press agent disposti a tutto pur di deviare l’attenzione del pubblico dai problemi reali che assillano il Paese, ricca di battute efficaci e pungenti, e una non conven-zionale storia d’amore raccontata sempre con ironia e risate.Il regista svedese Hallstrom è fa-moso per i melodrammi d’amore che dirige, per fortuna in questo c aso, guidato da un’ottima sce-neggiatura, non eccede mai nel romanticismo e ci regala un pic-colo film romantico senza essere sdolcinato. Inoltre la pellicola ci racconta un bellissimo cammi-no interiore, quello compiuto dal protagonista: il quale parte da un rifiuto totale nei confronti del progetto dello sceicco, perché “scientificamente” impossibile, e arriva alla fede nello stesso, ab-bandonando le certezze razionali per aprirsi al Mistero che la vita ci riserva sempre.Il personaggio interpretato da Mc-Gregor si lascia attraversare dalla fede in qualcosa di più grande e imponderabile di lui e così fa-cendo trova anche il modo per cambiare totalmente la sua grigia vita. E trovare l’amore e una nuo-va, vera, ragione per esistere.

Pa.Da.To.

COSMOPOLISregia: David Cronenberg

Come si fa a trasportare all’inter-no di un film, che è azione, mo-vimento, la storia di un romanzo in cui il protagonista è chiuso in una limousine che attraversa le strade trafficate di New York (sen-za riuscire a scorrere nelle arte-rie ingolfate della Grande Mela) e parla, spesso filosoficamente, con una serie di personaggi che entrano ed escono dalla sua mac-china? Come può essere riportata su grande schermo una vicenda così “statica”, teatrale, complessa e piena di dialoghi? Sembra una sfida impossibile da vincere.David Cronenberg, uno dei re-gisti più innovativi della nostra contemporaneità, ha deciso di affrontarla di petto questa sfida e ha trasposto per il cinema “Co-smopolis” di Don De Lillo, roman-zo breve di qualche anno fa in cui il grande scrittore postmodernista racconta, appunto, la storia di un giovane multi-miliardario nella sua limousine in una giornata di traffico newyorkese. Tutto in un giorno, tutto praticamente in un unico luogo, tutto un susseguirsi di dialoghi o monologhi. Il libro di De Lillo è una grande metafora sul capitalismo moderno, quel-lo della borsa, della valutazione/svalutazione della moneta, quel cyber-capitalismo che Cronen-berg, da sempre attratto dalle tematiche riguardanti le nuove tecnologie e il capitale, deve aver trovato estremamente stimolante da raccontare.In una New York, la capitale della borsa di Wall Street, attraversata da insurrezioni (di anarchici che protestano contro i potenti), da funerali di improbabili celebrità (un rapper sufi) e dal corteo pre-sidenziale minacciato di attentati, una New York, dunque, sull’orlo dell’Apocalisse, infernale, invivi-bile, piena di sporcizia, violenza, povertà, si muove il nostro prota-

gonista, un genio del cyber-capi-tale, pieno di ossessioni (ha tante guardie del corpo, si fa visitare da un medico ogni giorno, controlla sempre sullo schermo l’andamen-to delle borse), che rappresenta la rapacità di un sistema economico in cui tecnologia e capitale vanno di pari passo e non son o più re-golati da alcun paletto etico. E il protagonista, nonostante i soldi, le donne, il successo, non è feli-ce, anzi sembra pericolosamente attratto verso l’autodistruzione. Che alla fine del romanzo e anche del film (anche se il film si chiu-de in una maniera più ambigua rispetto al testo scritto) lo porterà di fronte a un uomo che vuole uc-ciderlo, un suo ex-dipendente che è arrivato a odiarlo dopo essere stato licenziato. Una potente me-tafora, dunque, di un capitalismo autodistruttivo, che contamina non solo il mondo circostante ma anche chi lo gestisce. Un tema estremamente attuale, che tra l’altro anche altri film americani stanno affrontando in questo pe-riodo (basti vedere “Margin Call” che racconta la caduta di una grande banca nel crollo che ha coinvolto la realtà americana di qualche anno fa). Peccato che la sfida che ha deciso di affrontare il regista canadese non sia del tutto vinta: il film scorre lento, troppo lento, a volte sembra addirittura intopparsi, e i dialoghi, che nella pagina scritta hanno una grande valenza di pensiero, sono un po’ troppo semplificati. Per non par-lare dei personaggi, che a volte non hanno alcuno spessore o profondità. Nel complesso, però, c’è da dire che si respira la solita aria inquietante, tipica dei film di Cronenberg, che richiede sempre allo spettatore uno sforzo inter-pretativo per affrontare i temi mai banali che questo regista decide di porre all’attenzione del pubblico.

Paola Dalla Torre

comunicazioni sociali Convegno a Brindisi in vista della Giornata Mondiale

Silenzio e parola nell’informazioneInternet e minori

Gli obiettivi sono importanti: com-battere l'abuso e lo sfruttamento

sessuale dei minori, sviluppare contenuti online di qualità, creare un ambiente si-curo, sensibilizzare sui potenziali rischi e fornire gli strumenti e i sistemi necessari per proteggersi. Si presenta con queste promesse il nuovo piano dell'Unione eu-ropea per la tutela dei minori in Rete.I dati relativi alla navigazione dei più piccoli in Internet danno la misura del-le motivazioni che hanno spinto la Commissione europea (Ce) a redigere il piano: oggi il 75% dei minori accede re-golarmente al web e di questi un terzo attraverso la telefonia mobile. I bambini, infatti, iniziano le loro prime esperienze on-line in età sempre più precoce, la maggior parte attorno ai 7 anni (secondo i dati dell'Ue), e i pericoli che si nascon-dono dietro l'angolo sono sempre più evidenti, con problemi che scaturiscono in ogni dove in termini di sicurezza, pri-vacy, cyberbullismo e molto altro.Il semplice controllo non basta più, si tratta di mettere in campo strategie nuove per aiutare le nuove generazioni “native digitali”. È sull’educazione che si gioca la partita e, per questo moti-vo, la Ce ha elaborato il suo piano con l’obiettivo di garantire ai minori compe-tenze e strumenti che oggi sono ritenuti fondamentali per una presenza sicura nel vasto ecosistema digitale. La strada è tracciata, ora non resta che aspettare che i buoni propositi della Commissione si trasformino in fatti concreti.

Particolare importanza ha rivestito il convegno “Silen-zio e parola nella comunicazione e nell’informazione”, organizzato dalla sezione territoriale AIART (Associa-

zione spettatori onlus) in collaborazione con l’Ufficio dioce-sano per le Comunicazioni Sociali tenutosi a Brindisi, presso Palazzo Granafei-Nervegna, il 18 maggio scorso in vista della 46ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali.Nel convegno si è parlato dell’importanza del silenzio che deve precedere qualunque comunicazione, il silenzio che medita e riflette, richiamandosi alle parole del Santo Padre contenute nel tradizionale messaggio dal titolo “Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione”, a cui il convegno si è ispi-rato. Nel messaggio Benedetto XVI invita i cristiani, e in particolar modo gli operatori della comunicazione, ad una profonda riflessione sull’importanza di saper alternare la parola al silenzio. Scrive il Papa: “È necessario creare un ambiente propizio, quasi una sorta di “eco-sistema” che sappia equilibrare silenzio, parola, immagini e suoni. Il silenzio è prezioso per favorire il necessario discernimento tra i tanti stimoli e le tante risposte che riceviamo, proprio per riconoscere e focalizzare le domande veramente importanti. Educarsi alla comu-nicazione vuol dire imparare ad ascoltare, a contemplare, oltre che a parlare”.Nel corso del convegno, il presidente nazionale AIART, Luca Borgo-meo, ha ribadito l’importanza di un’associazione che si mette a di-sposizione degli utenti per le segnalazioni che portano a sanzioni molto gravi per coloro che violano il codice etico di autoregolamen-tazione dei messaggi televisivi, soprattutto dopo il passaggio al di-gitale terrestre che ha provocato una vera e propria moltiplicazione all’infinito di messaggi televisivi e, molto spesso, ad una vera e pro-pria “giungla informativa”.Il professor Francesco Bellino, docente di Etica della Comunicazio-ne, presso l’Università di Bari, ha richiamato i valori fondamentali della comunicazione che vedono nel silenzio la parte fondamentale.Il giornalista Francesco Roma ha portato la sua esperienza di infor-

matore cattolico che si sforza di svolgere la propria attività con cura e attenzione alla persona, caratteristiche ormai sempre più rare.Nelle conclusioni, l’Arcivescovo Talucci ha valorizzato il testo del messaggio del Papa ribadendo il contenuto educativo di una vera e propria missione, quella di informare, per la quale l’unico parametro di confronto deve essere sempre quello della verità.Nemmeno il tempo di metabolizzare e condividere le riflessio-ni emerse nell’interessante convegno, che il tragico attentato alla “Morvillo-Falcone” ha riproposto ancora una volta le distorsioni nell’informazione. Nonostante la tragedia, infatti, il diritto di crona-ca è stato sopraffatto per l’ennesima volta dalla voglia di clamore e sensazionalismo. Molte testate hanno divulgato il video che ritrae il presunto killer. Inoltre, quando dalla Questura è uscito un uomo che era stato interrogato dagli inquirenti, alcuni giornalisti lo hanno in-seguito fomentando un vero e proprio linciaggio da parte della gente comune.Sarebbe stato auspicabile, invece, un momento di silenzio e di rifles-sione, proprio ai fini del buon esito delle indagini e per il rispetto, al-meno questa volta delle vittime.Fortunatamente è intervenuto l’Ordine dei Giornalisti che sta valu-tando la possibilità di sanzionare comportamenti contrari alla deon-tologia professionale.

Daniela D’Alò

Libri 20 15 giugno 2012

Maria modello di dialogo con l’Islam

di Francesco Gioia

Preziose le pagine che l’Arcive-scovo Francesco Gioia, nostro

conterraneo, propone all’attenzio-ne della comunità cristiana, invi-tandola a riflettere sui lineamenti del dialogo con il mondo islamico attraverso Maria, la madre di Gesù,

a cui il cristiane-simo assegna un ruolo di estrema importanza nel dialogo con le re-ligioni. Nelle sue riflessioni in «Ma-ria modello di dia-logo con l’Islam» (Tau Editrice, 2012, pp. 60. Euro 5), il presule prende le mosse dal Con-cilio Ecumenico Vaticano II e dalla Dichiarazione sul-le relazioni della Chiesa con le reli-gioni non cristiane «Nostra Aetate», per definire da subito le linee essenziali dell’Islam, parlan-

do del fondatore Maometto, del Co-rano, dei cinque pilastri dell’Islam, della spiritualità islamica, che con-templa un Dio paziente, racchiuso nella formula «In sha’ Allàh», e che ha un aspetto «ascetico-mistico impressionante» ed al contempo «poco conosciuto».Quindi, «Dio è l’unico punto di rife-rimento per il credente musulmano – dice mons. Gioia -, ma a accanto a lui ci sono coloro che riflettono la sua santità. Cristo e Maria sono due di queste figure. L’uno e l’altra han-no una forte presenza nel Corano, che permette di stabilire un dialogo fruttuoso con i seguaci di Maomet-to». Per l’Islam Cristo non è Dio o fi-glio di Dio: è piuttosto un profeta e «un messaggero e un servo di Dio, chiamato Messia», mentre «la tradi-zione musulmana – osserva ancora – ha sempre proposto Maria come modello di ogni virtù. Maria – pro-segue – è l’unica donna che il Co-rano, per ben 34 volte, menziona con il proprio nome». Maria «eser-cita un fascino particolare sui mu-sulmani. È lei – dice – il modello di tutti i credenti per la sua fede asso-luta e per la sua perfetta “sottomis-sione” alla volontà di Dio». Non va dimenticato che nel Corano «Maria ha una decisa funzione cristologica, sottolineata dalla designazione pre-dominante data a Gesù come “figlio di Maria”», eppure «la “mariologia musulmana” è irrimediabilmente condizionata dalla esplicita nega-zione della divinità di Gesù Cristo fatta dal Corano». Come vuole il terzo, denso capitolo del libro, tut-tavia, Maria è Madre della Parola e modello di dialogo tra le religio-ni. C’è molta differenza, crediamo, tra l’«In sha’ Allàh» ed il «Fiat» che è alla base della nostra esperienza del Dio-con-noi, ma opportuna-mente mons. Gioia sottolinea come «attesa la perfetta somiglianza tra Maria e la Chiesa, si può corretta-mente considerare Maria “sacra-mento di dialogo”». «Maria per la sua intima partecipazione alla sto-ria della salvezza, riunisce per così dire e riverbera i massimi dati del-la fede», ci ricorda Lumen Gentium (65). «Solo in questo contesto teolo-gico – osserva mons. Gioia – Maria per i cristiani si pone come punto d’incontro nel dialogo ecumenico e nel dialogo interreligioso».

(a. scon.)

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o Le chiese cristiane. Identità ed evoluzione

di Jörg Ernesti

È un libro dal taglio fortemente divulgativo per acquisire una

conoscenza di base adeguata sulle diverse chiese cristiane e sul loro particolare modo di porsi su temi di notevole rilevanza, quello pub-blicato alcune settimane addietro dalle Edizioni Paoline nella collana

“Ecumenismo e dialogo”.“Le chiese cri-stiane. Identità ed evoluzione storica” di Jörg Ernesti (pp. 248, euro 25) è volu-me che mancava al pubblico ita-liano, che pure conosce l’autore per quella sua “Breve storia del l ’e cumeni -smo” (EDB 2010) che tanti con-sensi ha riscos-so e che si pone come momento divulgativo e qualificato ad un tempo su

questo argomento. Infatti, mentre in ambito tedesco e anglosassone l’analisi comparativa delle diverse Chiese cristiane vanta una lunga tradizione, in Italia questo meto-do non ha ancora avuto sufficien-te affermazione e queste pagine di Jörg Ernesti cercano di “fornire un contributo in questa direzione, nel-la consapevolezza che la reciproca conoscenza può costituire non solo la condizione per una pacifica con-vivenza, ma anche un ulteriore sti-molo per il dialogo ecumenico”.La storia dell’autore, del resto, è di per sé eloquente: tedesco, Jörg Er-nesti, compie gli studi a Paderborn, Vienna, alla Gregoriana a Roma e viene ordinato sacerdote nel 1993. Quattro anni dopo a Roma, egli ottiene il dottorato in storia della Chiesa antica e svolge l’attività di professore ginnasiale. Nel 2003 è libero docente in teologia ecume-nica all’università di Magonza, nel 2007 consegue il dottorato in teo-logia a Paderborn e dal 2007 è pro-fessore di storia della Chiesa e te-ologia ecumenica presso lo Studio Teologico Accademico di Bressano-ne, con una grande mole di pubbli-cazioni soprattutto in tedesco. In questo saggio, dunque, con no-tevole chiarezza espositiva, Jörg Ernesti fornisce al lettore italiano una conoscenza di base riguardo le diverse Chiese cristiane: dalla Chie-sa cattolica alle Chiese uniate, dalla Chiesa veterocattolica ai «variegati “universi” delle Chiese ortodosse e riformate», senza ovviamente trala-sciare i movimenti religiosi di origi-ne cristiana, operando la scelta di trattare solo quelli più noti e diffu-si a livello mondiale: mormoni, te-stimoni di Geova, avventisti.«Il metodo è appunto quello del-la comparazione delle diverse peculiarità su temi di particolare rilevanza visti nel loro sviluppo storico, come la costituzione e l’au-togoverno, la liturgia e la spiritua-lità, il rapporto Chiesa-Stato», han-no spiegato i recensori che hanno già presentato questo volume ed hanno considerato queste pagine particolarmente valide non solo per sacerdoti, studenti di teologia e di scienze religiose o insegnanti di religione, ma per tutti quelli che sono interessati alla storia religiosa e al dialogo ecumenico.

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o L’inferno mediorentaledi Michele Graduata

Dopo «Torti incrociati in Terra Santa» (Argo editrice, Lecce

2008), ecco ora - per gli stessi tipi e per lo stesso autore, Michele Gra-duata -, «L’inferno mediorientale» (pp. 318, euro 22) che risulta essere «una pacata, approfondita rifles-

sione sulle origini dell’attuale situazio-ne politica in tut-ta l’area del Medio Oriente», termine geopolitico che as-sume connotati di-versi a seconda delle epoche nelle quali si cerca di definirlo.«Per realizzare la sua ricognizione - hanno scritto i recensori -, l’autore parte da lontano, osservando sin dagli esordi della cultura e della poli-tica coloniale il con-fronto-scontro tra l’Occidente e i paesi mediorientali. Il per-corso storico che se-gue - si aggiunge - è

lungo e accidentato, culturalmente segnato dalla categoria principe del pensiero occidentale, la demo-crazia, nozione fondamentale per definire politicamente l’”altro”». Per intenderci, l’autore analizza questa nozione che di volta in volta «vie-ne piegata a raffigurare concrete fasi storiche, passando dalla de-mocrazia coloniale alla democrazia controllata a quella armata, spesso poco più che slogan buoni per giu-stificare il dominio occidentale nel-le aree mediorientali».E dunque, con una prefazione di Monica Rocco dal titolo «Medio Oriente: la democrazia possibile», lo studio di Graduata si articola in quattro capitoli, fino a giungere al mondo «cosparso di macerie» con le esperienze recenti di Iraq ed Afganistan, passando per il Nord Africa, l’Iran. «L’unico raggio di luce sembra venire dalle piazze tumul-tuanti del Nord Africa e di tutto il Medio Oriente dando vita ai movi-menti che abbiamo voluto definire primavera araba», scrive Ruocco, che aggiunge: «Molti “faraoni” sono caduti, altri probabilmente stanno per cadere, in un quadro comples-so che ci impedisce di vedere con chiarezza dove sia il nuovo e dove il vecchio, dove gli interessi popolari e dove quelli delle potenze ex colo-niali, anche se si sarebbe tentati di dire che sono finalmente comparsi i protagonisti in grado di chiudere positivamente il complesso puzzle mediorientale».L’analisi di Graduata si conclude, cronologicamente, con la prima-vera dello scorso anno: diverse questioni stanno conoscendo evo-luzioni che mesi addietro erano difficilmente prevedibili, ma il li-bro non è di quei pamphlet che si limitano alla cronaca. Il libro il suo compito lo ha già svolto quando nell’Introduzione esordisce col pro-verbio: «Nemico è colui del quale non si è ascoltata la storia» e speci-fica: «L’unico modo per orientarsi in questa regione dove tutti sparano e nessuno è disposto ad ascoltare le ragioni dell’altro, è quello di farsi guidare dalla convinzione che sol-tanto il dialogo consente non solo di conoscere e comprendere meglio le ragioni dell’altro, ma anche le proprie».

(a. scon.)

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Libri 2115 giugno 2012

La ricorrenza del primo centenario del-la fondazione del Pontificio Seminario Regionale Pugliese di Molfetta (1908-

2008) ha suscitato all’interno dell’Istituto Teologico Pugliese “Regina Apuliae” una ri-cerca, proposta dai Docenti dell’area storico-patristica, che è confluita in un libro a cura di Carlo Dell’Osso, Preti pugliesi del Nove-cento (Monopoli Edizioni Viverein 2012, pp. 338), con all’interno 181 schede biografiche di preti pugliesi.

Per la realizzazione del progetto si è guar-dato all’attuale configurazione geografico-ecclesiastica della Puglia, che comprende anche la provincia di Foggia, la quale fino al 1976 era parte della provincia ecclesiastica beneventana.

Quanto al concetto di “rappresentatività”, in base al quale sono state inserite le schede biografiche nel volume, sono stati tenuti pre-senti numerosi elementi: dalla spiritualità

all’attività pastorale, dai contributi accade-mici a quelli liturgico-musicali. Ne è risultato un ampio ventaglio di personalità che rendo-no conto dell’identità del clero della regione Puglia e che pongono in evidenza non solo la spiritualità e la religiosità, ma anche il so-strato umano culturale.

Nell’ottica ben precisa che preti impegnati possono essere il binario su cui far scorre-re in modo più incisivo e più mirato il treno dell’evangelizzazione, sono state messe in luce tante santità nel loro quotidiano vive-re che hanno saputo e sanno diffondere il profumo dell’amore di Cristo e del rispetto dell’uomo.

Non sono mancate figure della diocesi di Brindisi, che hanno esercitato il loro mi-nistero, pur sempre nella fragilità umana, incidendo nelle coscienze delle persone e nel tessuto socio-culturale delle proprie co-munità: don Elio Antelmi, don Daniele Ca-

valiere, don Giuseppe Cavaliere, don Vito dell’Anna, don Ercole Lavilla, don Andrea Melpignano, don Giacono Perrino, don Italo Pignatelli, don Luigi Spagnolo e don Anto-nio Zagà. E senz’altro altre figure andrebbero inserite in questa cattedrale di santità, che è minore solo perché non ha l’incenso dell’uf-ficialità. Attraverso la loro conoscenza ci si potrà convincere che la santità è alla portata di tutti ed è un dono che il Signore elargisce a piene mani: basta essere disponibili ad acco-glierla e gioiosi nel testimoniarla. Dovrebbe essere un’occasione pastorale conoscere, far conoscere ed approfondire le testimonianze e i messaggi di queste esemplari figure.

Questi preti hanno nel modo più comune tracciato la loro impronta su schegge di sto-ria umana e religiosa della Chiesa in genera-le e di quella locale.

Katiuscia Di Rocco

novità� Nel volume edito da “Vivere In” esempi del nostro presbiterio

Preti pugliesi del Novecento

Cittadella Editrice, nella collana “Studi e Ricerche” ha pubblicato alcune settimane addietro il volume “Il Dio planetario. Cri-stianesimo e religioni nel pensiero di Ernesto Balducci” (pp. 359, Euro 18), tesi di dotto-rato in teologia del nostro don Cosimo Posi. Lo studio, articolato in quattro capitoli, con un’appendice che pubblica scritti di Ernesto Balducci, Raimon Pannikkar e Antonio Bel-lo, reca la Prefazione di mons. Piero Coda, che pubblichiamo qui di seguito, con qual-che impercettibile taglio.

Lo stimolante saggio di Cosimo Posi che abbiamo tra le mani - dono op-portuno e prezioso - è attestazione

evidente non solo di un’empatia feconda col pensiero per tanti versi profetico di Er-nesto Balducci, ma anche del contributo e del messaggio, oggettivamente rilevanti, che da esso oggi possono venire a noi tut-ti. Contributo e messaggio - quello concer-nente la reinterpretazione del fatto cristia-no, nell’intelligenza e nella pratica, entro il contesto del pluralismo religioso e laico del nostro tempo - sinora in verità non adegua-tamente valutato e valorizzato, quando non con sufficienza troppo presto archiviato a motivo del linguaggio poco accademico e men che meno diplomatico di cui Balducci, per scelta e convinzione, sempre ha voluto far uso.

Balducci, in effetti, non è stato soltanto fi-gura rilevante del mondo cattolico nell’Ita-lia del secondo dopoguerra e della stagione travagliata ma entusiasmante del postcon-cilio, quale espressione originale di quel va-riopinto e promettente laboratorio fiorenti-no che ha conosciuto l’opera di personaggi come Giorgio La Pira, Lorenzo Milani, Divo Barsotti e tanti altri, ma è stato anche uno dei pionieri, in Italia, della teologia delle religioni. Se si pensa che bisogna giungere al 1973 per vedere pubblicata, nel nostro Paese, la prima opera integralmente im-pegnata attorno a questo tema: la Teologia delle religioni di V. Boublìk, appunto - il cui autore, pur non essendo italiano, insegna-va alla Pontificia Università Lateranense di Roma -, e che, tutto sommato, assai poche, anche se con contributi di rilevante spesso-re, sono state in seguito le voci italiane che ci è stato dato di ascoltare su questa decisi-va frontiera (penso, in particolare, a Pietro Rossano, a Luigi Sartori e ad Armido Rizzi), si può senz’altro convenire che l’apporto di Balducci si caratterizza, da un verso, per la precocità dell’intuizione e, dall’altro, per la vastità delle lezioni e degli stimoli che via via acquisisce e per l’originalità della pro-spettiva che via via viene elaborando.

La ricerca di Posi ha il grande merito di

offrire una ricostruzione documentata e rigorosa delle fonti, dei contesti, delle fasi e degli sviluppi che questa intuizione ha conosciuto nel percorso complessivo del pensiero di Balducci, venendo sempre più e sempre meglio a esprimerne una delle direttrici fondamentali. Del resto, l’empatia cui prima si accennava propizia una scrittu-ra fresca e coinvolgente che rende il saggio ampiamente accessibile e decisamente go-dibile. Ma, al di là di questi pur già signifi-cativi meriti, la puntuale e aggiornata ricer-ca esibisce un altro importante guadagno. Muovendo dalla pertinente osservazione, fatta valere da Luciano Martini, a proposito di un’irrisolta, ma alla fin fine quasi insupe-rabile e per questo intrinsecamente produt-tiva, tensione, nel pensiero di Balducci, tra la cristologia inclusivista (che, in un primo tempo, presuppone un’altrettanto inclusi-vista ecclesiologia) e il teocentrismo plura-lista, Posi individua e tratteggia la vertente teologicamente più appropriata di questa tensione che, al di là di alcune imprecisio-ni lessicali, mette al riparo la teologia delle religioni di Balducci dalle intemperanze che invece si possono a ragione addebitare a quella, ad esempio, di Hans Küng. Solo a un esame affrettato e superficiale, in effetti, le due posizioni potrebbero apparire analo-ghe e convergenti. Ciò che specifica la teo-logia delle religioni di Balducci è, in realtà, la sostanziale, e per questo non pedissequa, fedeltà all’attestazione biblica della rivela-zione e alla grande tradizione ecclesiale.

In questa luce si possono intravvedere, nella prospettiva in proposito appena ab-bozzata dall’ultimo Balducci prima della sua prematura scomparsa, due pertinenti direttrici di sviluppo cui, non a caso, si fa sempre più sensibile oggi la teologia del-le religioni. Si tratta, da un lato, di una più attenta ed esplicita correlazione della con-sapevolezza della centralità escatologica dell’evento di Gesù Cristo con l’universalità effusiva della presenza e dell’azione del suo Spirito, a sviluppo di quanto affermato dal Concilio Vaticano II in Gaudium et spes, 22, secondo cui «bisogna ritenere (l’espressio-ne è forte e precisa) che lo Spirito Santo dia a tutti la possibilità di venire associati, nel modo che Dio conosce, al mistero pasqua-le». E si tratta, d’altro lato, del richiamo, oggi più che mai opportuno, a quanto di inedito ancora vi è - dal punto di vista dell’appro-priazione del suo significato profondo e universale - nella rivelazione in Gesù Cristo del Deus absconditus verso cui s’indirizzano l’attesa e il desiderio di tutti i suoi figli. Que-ste due convergenti linee di ricerca, a ben vedere, indirizzano a una riconsiderazione di tutte le questioni, teoriche e pratiche, im-

plicate da una teologia delle religioni che tenga programmaticamente conto della sfi-da ineludibile espressa dall’esperienza della non credenza e insieme dall’istanza non più archiviabile di una matura laicità: nell’ottica di una rigorosa ed esistenzialmente persua-siva intelligenza trinitaria del Dio che una volta per sempre si è comunicato agli uomi-ni in Gesù Cristo.

In fin dei conti, da queste pagine si staglia a tutto tondo la ricca e impegnativa eredità che Balducci ci lascia perché la traffichia-mo con frutto: pensare e agire in grande e a nuovo, in fedeltà a Gesù Cristo e al di là della stagione della cristianità, inoltrandosi con fiducia nel mare aperto che oggi si apre, inedito e invitante, dinnanzi allo sguardo della famiglia umana.

Piero Coda

teologia� Don Posi su cristianesimo e religioni nel pensiero di P. Balducci

Il Dio planetario

ARCIDIOCESI BRINDISI – OSTUNIErogazione delle somme otto per mille

per l’anno 2011Per esigenze di Culto e Pastorale

Quadro A - esercizio del culto: Euro 130.000,00Quadro B - esercizio della cura delle anime Euro 350.000,00Quadro C - formazione del clero Euro 187.000,00Quadro D - scopi missionari Euro 10.000,00Quadro E - catechesi ed educazione cristiana Euro 20.000,00Quadro F - contributo Prom. Sost. Econ. Chiesa Euro 3.000,00Quadro G - fondo di garanzia anno 2010 Euro 81.280,17Totale erogazioni Euro 781.280,17

Quadro H – fondo di garanzia accantonato Euro 16.523,47 Totale 797.803,64

Per Interventi Caritativi

Quadro A - distribuzione a persone bisognose Euro 100.000,00Quadro B - opere caritative diocesane Euro 170.000,00Quadro C - opere caritative parrocchiali Euro 150.000,00Quadro D - opere caritative altri enti ecclesiastici: Caritas Diocesana Euro 64.198,90Totale erogazioni Euro 484.198,90

Brindisi, 30 maggio 2012 L’Economo Diocesano

don Sergio Vergari

Sport & Rubriche22 15 giugno 2012

calcio scommesse Intervista con il noto giornalista sportivo

Pizzul: È una sconfitta dell’eticaUno scandalo “devastante”, che arriva

addirittura alla formulazione di capi d’imputazione come “associazione

a delinquere” e che – per la prima volta in Italia – contiene “implicazioni anche di de-naro riciclato in Paesi lontani”. È l’ennesimo scandalo che ha travolto il mondo del calcio, con arresti di importanti giocatori di serie A, coinvolgimento di allenatori, perquisizioni in casa di presidenti, fino alle incursioni del-le forze dell’ordine nel ritiro della Nazionale di calcio a Coverciano, dove gli azzurri si al-lenavano in vista degli Europei. A descriver-lo in questi termini è Bruno Pizzul, storico telecronista e commentatore sportivo. Lo ab-biamo intervistato.

Come valutare quello che leggiamo sul “calcioscommesse”?

«Purtroppo si tratta di un’ulteriore confer-ma del momento di grave crisi, del deficit di carattere etico che caratterizza il nostro cal-cio. Ormai possiamo dire che si tratta di si-tuazioni ricorrenti, ma stavolta la sensazione è che siamo in presenza di qualcosa di anco-ra più grave. In precedenza, infatti, si trattava di aggiustamenti di partite, di accordi truffal-dini all’interno del movimento calcistico no-strano. Adesso si parla addirittura di associa-zione a delinquere con implicazione – ed è la prima volta in Italia – anche di riciclaggio di denaro in Paesi lontani. Quello a cui as-sistiamo è sicuramente un fenomeno molto inquietante, ferma restando la prudenza nel valutare la situazione e i suoi sviluppi».

Secondo lei si tratta di un fenomeno che si poteva prevedere?

«Questo che stiamo attraversando è certa-

mente un momento particolarmente diffici-le, ma direi che c’è stato un movimento qua-si anticipatorio dei fatti di questi giorni. Il Gip di Cremona, ad esempio, mentre ancora sta indagando, ha già parlato della necessi-tà di un’amnistia generale, che a suo avviso è l’unico modo per uscirne. Ma il lavoro di Cremona non è isolato: si sta lavorando an-che nei Tribunali di Napoli e di Bari, e siamo ancora alle prime avvisaglie...».

Quali conseguenze può avere lo scandalo che ha travolto i vertici calcistici, sui gio-vani che praticano questo sport?

«Noi tutti comprendiamo che in un mondo come quello di oggi, dove sono ormai caduti i valori fondamentali, è difficile individuare agenzie educative. Lo sport, se viene pratica-to in maniera giusta, può diventare anche un percorso educativo, se non altro perché inse-gna il rispetto delle regole e rappresenta un corretto approccio verso la legalità. Al di là dello stato di salute morale del nostro calcio

questa situazione dei nostri vertici calcistici, davvero devastante, non consente invece di utilizzare la pratica sportiva come un percor-so di crescita, per i giovani, non solo agoni-stica e tecnica, ma anche civile e morale».

Quali potrebbero essere, allora, le propo-ste per cercare d’invertire la tendenza?

«La prima risposta che mi viene, d’istinto, è: fermiamoci! Certo, fermare il calcio in Italia non è facile, ma c’è una corrente di pensiero, forse paradossale, che comincia a esprimersi in questo senso. Ed è un segnale da non la-sciare cadere. Sicuramente non ci aiuta, in questa direzione, il fatto che gli organi che stanno ai vertici del calcio, cioè la Federazio-ne e la Lega, siano caratterizzati da un tasso di litigiosità esasperato, perché concentrato solo sulle cose da fare per reperire risorse fi-nanziarie, scavalcando in questo modo tutte le regole del fairplay...».

M. Michela Nicolais

Mi ero ripromesso di trattare, in que-sto articolo, del “balzellometro” che

il Governo ci ha propinato, in particolare avrei voluto trattare dell’ex ICI, cioè l’IMU che rappresenta la patrimoniale dei pove-ri, ma, la situazione molto confusa del Pa-ese ci induce ad occuparci e preoccuparci soprattutto degli aspetti sociali, politici nonché delle tragiche vicende del terre-moto, pertanto ogni problema di caratte-re materiale viene in secondo piano. Sono ancora molto addolorato e frastornato per quanto è successo nella nostra Brindisi il 19.5 u.s., quindi, stante la situazione, sento il bisogno di offrire ai lettori solo alcune ri-flessioni su questo accadimento.

L’attentato di Brindisi è un attentato alla civiltà, all’insieme di quei valori che segna-no uno spartiacque decisivo tra la coesione e la dissoluzione della società. Siamo abi-tuati a pensare che la cosa meno edificante che possa accadere ai nostri figli che van-no a scuola è prendere un brutto voto. Che poi, in realtà, è un modo per crescere, per

maturare e cominciare ad assumersi quelle responsabilità che sono il sale di una vita improntata alla libertà e al rigore. Colpire l’innocenza che studia, sorride, socializza e apprende è l’essenza del crimine. E la cosa sconvolgente è che nei momenti in cui si intrecciano crisi economica e crisi politica scorre anche il sangue dei giovani, come se ci fosse un disegno per colpire chi incarna la speranza e il futuro. Il dolore che abbia-mo provato per l’attentato di Brindisi e per la morte della giovane Melissa ci riporta automaticamente alla memoria quel tragi-co periodo delle stragi di mafia, a partire da quella di Capaci del 1992 in cui perse-ro la vita Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e di cui proprio nei giorni scorsi si è ricordato l’anniversario. Tutto questo ci tocca come persone, come cittadini e come genitori. Non sappiamo se sia vera la pista criminale o se si tratti del gesto isola-to o addirittura che ci fosse un disegno per colpire proprio quel pullman che veniva da Mesagne. Certo è che sarebbe ancor più ag-

ghiacciante scoprire che alla base dell’atto criminale vi sia l’oscuro disegno di intimi-dire e colpire i giovani sin dalla tenera età, come se si volesse scardinare e sopprime-re il nostro futuro. I nostri giovani, tutta la società civile mesagnese e di tutta la pro-vincia ha reagito con forza, dandoci corag-gio e speranza che il male non prevarrà. Una società che si disarticola, che smar-risce la propria identità, che sperimenta nuove e più profonde solitudini è una so-cietà intrinsecamente violenta, che esibi-sce un ventre sociale inaridito e malsano, che sbriciola gli stessi elementi culturali e spirituali della democrazia. Come uomini e donne della CISL ed in particolare della CISL Pensionati, crediamo che non si debba sottovalutare o sminuire lo smarrimento di spirito collettivo che pare emergere sullo sfondo di questi atti riprovevoli. Occorre evitare che l’acuirsi della crisi italiana pos-sa precipitare nella violenza, come riflesso pervasivo in grado di inquinare i contesti interpersonali, familiari e sociali.

La CISL, sempre sensibile ai problemi del-la coesione della tenuta sociale, in tutte le sue piattaforme rivendicative, ha anteposto questi valori alla mera rivendicazione, cer-cando di cogliere innanzitutto gli elementi di rischio della disarticolazione sociale che la sua azione poteva produrre; purtroppo tali preoccupazioni non erano infondate. L’inspiegabile e tragica morte della giova-ne Melissa deve servire da monito affinché il fenomeno della violenza in tutte le sue manifestazioni sia sempre e comunque condannato e contrastato con determina-zione ed efficacia.

Vitantonio TaddeoSegretario generale

Fnp Cisl Brindisi

Serve davvero un sussulto di civiltà

Il Consiglio regionale della Puglia ha approvato a maggioranza il Program-

ma triennale per l’impiantistica sportiva e gli spazi destinati alle attività motorie e sportive (2012/2014).Gli investimenti saranno direzionati esclusivamente al recupero dell’esisten-te. «Abbiamo ritenuto che fosse im-portante in questa fase concentrare le energie sul patrimonio già esistente for-temente degradato. – ha detto l’assesso-re allo sport, Maria Campese – Così im-maginiamo di sostenere tutto il sistema sportivo».Quindi stiamo parlando di messa a nor-ma e in sicurezza degli impianti sportivi, al fine di favorire il pieno utilizzo allo svolgimento delle attività motorie, ricre-ative, sportive, in ambienti sani e sicuri, «in quanto i problemi esistenti sono le-gati più all’inadeguatezza e insicurezza strutturale che alla loro insufficienza numerica» – ha continuato l’assessore Campese.Il sostegno della Regione è indirizzato, al recupero dell’agibilità, della fruibilità e della funzionalità degli impianti spor-tivi esistenti con particolare riferimento all’adeguamento alle normative di sicu-rezza, alle norme igienico-sanitarie ed a quelle per l’eliminazione delle barriere architettoniche, nonché alle norme Coni per la funzionalità degli impianti sporti-vi.Le risorse saranno assegnate ad ogni singola provincia (35% suddiviso in parti uguali tra tutte le province); il rimanente 65% sarà ripartito sulla base della popo-lazione residente in ogni provincia cal-colata annualmente su base Istat.

Puglia nuovi fondi Per lo sPort

I Giochi della Gioventù si sono svolti, quest’ anno, nel ricordo di Melissa Bassi , vittima dell’attentato presso l’ Istituto

Professionale “Morvillo Falcone” di Brindisi.L’alone di tristezza che si avvertiva non ha condizionato lo spirito degli alunni che han-no partecipato con straordinario impegno a tutte le prove previste allontanando quella paura che poteva diventare un alleato dei criminali che hanno perpetrato il folle gesto.Il corteo è stato aperto da uno striscione, “Melissa è nel cuore di tutti”, seguito dal ban-dierone del Coni portato dagli atleti delle

società Marzial (titolo italiano a squadre ju-nior di taekwondo) e Dojo Dokko Do (titolo italiano a squadre junior di karate) e dalle bandiere dell’Italia e del Comitato Italiano Paralimpico. In successione sono sfilate le rappresentative delle scuole che hanno ade-rito (undici scuole per circa mille alunni), i giudici di gara, i tedofori (Davide Spinosa della Palestra Marzial Mesagne (Titolo Eu-ropeo Cadetti –taekondoo), Giada Poci della Società Dojo Dokko Do San Pietro Vernotico (Titolo Europeo Cadette –Karate) e Alessio Pepe Esposito della Polisportiva Centrosport

Brindisi (Titolo Italiano 100 m. juniores – Nuoto Salvamento).Hanno chiuso la sfilata la Compagnia di sbandieratori “Rione Castello” di Carovigno che non si è esibita in segno di solidarietà per le vittime dell’attentato.Prima dell’accensione del tripode è stato os-servato un minuto di raccoglimento per Me-lissa e, a seguire, l’Inno Nazionale.Il saluto delle Autorità è stato portato dall’Ar-civescovo, dal Prefetto, dal Sindaco, dal Di-rigente dell’Ufficio Scolastico Provinciale, dalla Presidente dell’UNICEF e dal Presiden-

te Provinciale del Coni. In tutti gli interven-ti è stata ribadita la filosofia della formula dei Giochi della Gioventù “Tutti protagoni-sti, Nessuno escluso” ed il ruolo dello Sport come promozione dell’uomo e rispetto per la legalità.Presenti, inoltre, il Comandante Provinciale dei Carabinieri, il Comandante del Coman-do Marina di Brindisi, il Comandante dei Vi-gili Urbani, l’Assessore allo Sport del Comu-ne di Brindisi con il Dirigente, il Presidente Regionale del CIP, il Consigliere Nazionale del Coni Giacomo Leone, il Consigliere Na-zionale della Federazione Pallavolo Claudio Scanferlato, il Coordinatore di Educazione Fisica dell’USP Massimo Monticelli e diversi rappresentanti provinciali delle Federazioni Sportive.

giochi della gioventù 2012 Il Coni provinciale traccia un bilancio

Gareggiare nel ricordo di Melissa

Le rubriche 2315 giugno 2012

«Le lentezze, gli scacchi, le prove sono inerenti al mistero della Croce e della Risurrezione di

Cristo. Solo la certezza di compiere l’opera di Dio ci deve sostenere. Solo essa darà la serenità indispensabile per portare avanti la nostra missione. Ogni giorno bisogna ricominciare da capo... Tutta l’opera del-la Chiesa viene da Dio, e a Lui deve con-durre. Essa non può realizzarsi senza la sua grazia. Si possono pur trasformare le strutture, ma è lo spirito che bisogna im-mettervi: e questo Spirito è dono di Dio. Se le tensioni sono inevitabili, la comunione nella fede, l’essere radicati nella Tradizio-ne vivente, la fedeltà all’insegnamento del Magistero restano sempre le garanzie indispensabili dell’unità, e sono al tempo stesso la sola via, in cui possa conservarsi e aumentare la confidenza verso la Chiesa». Sono parole di oggi, pronunciate dal Papa nell’attuale temperie? Sono parole profeti-che, che hanno esattamente 40 anni.

Era, infatti, venerdì 23 giugno 1972, quan-do Papa Paolo VI rivolse al Sacro Collegio dei cardinali un discorso che davvero val la pena di rileggere perché in queste pa-role rivolte a quanti «partecipano tanto da vicino alle fatiche apostoliche, alle gioie e alle prove dell’umile Vicario di Cristo», il cristiano trova molte risposte agli interro-gativi che tende a porsi circa la sequela e la testimonianza.

L’acutezza di Paolo VI faceva notare come, «nel momento che viviamo, la man-canza di fiducia verso la Chiesa è forte presso un certo numero di cristiani, e an-che di sacerdoti e di religiosi; sfiducia che giunge talora anche a una certa aggressivi-tà, ma che prende altresì, e più spesso, la forma di scoraggiamento e di disillusione». Andando a fondo nei “fenomeni negativi”, il pontefice notava un criticismo venuto «dal carattere arrischiato di certe iniziative che ignorano la Tradizione » e ancora «la mancanza di fiducia nella Chiesa originata dal convincimento che essa… rimarrebbe impigliata in istituzioni che hanno fatto il loro tempo». «Le reazioni negative a cui abbiamo accennato – proseguiva - sem-brano altresì aver di mira la dissoluzione del magistero ecclesiastico: sia equivocan-do sul pluralismo, concepito come libera interpretazione delle dottrine e coesisten-za indisturbata di opposte concezioni; sul-la sussidiarietà, intesa come autonomia; sulla Chiesa locale, voluta quasi staccata e libera, e autosufficiente; sia prescinden-do dalla dottrina, sancita dalle definizioni pontificie e conciliari». E ciò provocava «confusione e sofferenza delle coscienze, impoverimento religioso, defezioni do-lorose nel campo della vita consacrata…, indebolimento dell’ecumenismo, insuffi-cienza di barriere morali contro l’irrom-pente edonismo».

Un quadro “attuale” stilato 40 anni addie-tro. Però, allora, come ora bisogna essere «al servizio della giustizia e della verità», con la Chiesa che deve a tutto tondo im-pegnarsi nel suo ufficio «profetico», «che è non solo quello di annunciare la verità e la giustizia – diceva papa Montini -, ma di deplorare, di denunciare, di condannare le

colpe o i delitti, compiuti contro la giusti-zia e contro la verità», soprattutto perché la « Sede Apostolica,… è come una senti-nella posta sul monte, alla quale giungono i clamori degli oppressi, il gemito soffocato di chi neppure ha la libertà di gridare alti i suoi dolori, il lamento di chi si sente colpi-to nei suoi diritti o abbandonato nelle sue necessità». Leggeva i fatti, papa Paolo VI, affermando come la Santa Sede fosse «ben consapevole nel suo dovere di interpreta-re la “coscienza morale dell’umanità”, non solo quanto ai principii, ma anche per la concretezza della realtà».

Proprio perché “coscienza morale dell’umanità” la Sede apostolica avvertiva la responsabilità «di non accontentarsi di notizie non debitamente controllate, e la più piena e assoluta obiettività; cose, l’una e l’altra, non sempre facili a conseguirsi».

Insomma, disse Paolo VI, ma queste pa-role possono stare benissimo sulla lab-bra di ciascun suo successore: «La nostra preoccupazione è di servire l’umanità e la Chiesa in particolare; e la nostra speranza è che il prevalere di sentimenti di giustizia, e gli sforzi pazientemente compiuti, possa-no portare ai risultati che noi invochiamo. Non possiamo tuttavia tacere che questa speranza è posta non di rado a grave pro-va, quando si nota il perdurare di difficili tensioni». Ma c’erano e ci sono positivi ele-menti di fiducia, «perché la Chiesa è viva, la Chiesa è attiva, la Chiesa è giovane!», re-siste a «vedute parziali, per far riconciliare in una comune fedeltà alla Chiesa». Ora come allora dobbiamo ricordare che «la fi-ducia nella Chiesa, e la fiducia della Chie-sa in se stessa, si fonda sulle promesse e sui carismi divini che l’accompagnano; sul patrimonio di verità, trasmesso dalla Tra-dizione autentica; sulla sua struttura co-stituzionale e mistica; sulla sua capacità di ristabilire l’unità infranta dell’unica e uni-versale famiglia cristiana; sul valore e sulla nobiltà della sua azione pastorale, capace d’inserire nel tessuto della vita cristiana il rinnovamento ecclesiale; sulla sua missio-ne di segno e di strumento per l’umanità intera, aperta com’essa è al mondo di oggi e di domani».

(a.scon.)

1972: Paolo VI al Sacro collegIo

La volontà di dotare Brindisi di un te-atro risale al 1890 quando fu eletto sindaco Engelberto Dionisi (1890-

1895). Inaugurato il 17 ottobre 1903, il Ver-di ospitò diversi spettacoli quali cinema, prosa, varietà, operette, conferenze, comi-zi, fiere oltre feste e veglioni, come testi-moniano bene “i libri dei lavori effettuati” dalla Tipografia Ragione.

Nel 1912 l’impresario Francesco Sapo-naro voleva costruire un politeama che sarebbe stato un ampliamento del Verdi “con tre ordini di palchi, una vastissima platea, un grande loggione, sale di aspetto e da fumo” tale da ospitare “2000 persone”, ma il progetto si fermò. Durante la secon-da guerra mondiale venne danneggiato, nel 1956 il Prefetto Pasquale Pristipino ne comunicava l’inagibilità e dopo un sopral-luogo effettuato dai Vigili del Fuoco il 14 maggio dello stesso anno, il Commissario Prefettizio nell’ottobre 1955 appaltò il con-corso per la demolizione. I lavori vennero aggiudicati alla ditta Aurora Adriatica e l’impresa Nando Conte realizzò un proget-to di un cinema teatro al centro di un com-plesso edilizio a piazza Cairoli.

Nell’ottobre dell’anno successivo il Mini-stero dei Lavori Pubblici in accordo con il Consiglio dei Lavori Pubblici non ritenne possibile che le altezze fossero maggiori nei corpi di fabbrica prospicienti alla piaz-za ed il progetto fu rigettato.

Dopo le lezioni del 1961 l’Assessore ai la-vori pubblici, Giulio Caiati, chiese un nuo-vo progetto che fu realizzato dell’architet-to Nespega che aveva già portato avanti il piano urbanistico della città, dall’architet-to Fabrizio Bruno e Attilio Speccarelli. Nel 1963 il primo progetto non fu considerato idoneo perché non inserito in uno studio planovolumetrico. Dopo due anni fu ban-dito un concorso per creare un cinema teatro ed edifici a carattere commerciale. Nel febbraio 1966 la ditta CISET di Fran-co Fanuzzi offrì al Comune in progetto del “teatro sospeso”: una struttura in metallo alla base del teatro per preservare gli sca-vi ritrovati, dando un termine di 24 mesi in cambio della cessione dell’ex area del Ver-di.

Gli anni Settanta furono caratterizzati da un botta e risposta tra la CISET, il Co-mune di Brindisi e la Soprintendenza per i beni archeologici fino alla sospensione dei lavori nel 1974 a causa della morte del costruttore Fanuzzi. Gli eredi misero a di-sposizione il cantiere già dal 1976 ma per la ripresa dei lavori si dovette attendere il 1980 quando il Comune appaltò alla ditta Cocel Consorzio Costruttori Lombardi. Fu necessario un secondo contratto aggiunti-vo a causa dell’aumento dei prezzi secondo la perizia del geometra Siniscalco e l’archi-tetto Nespega. Furono evidenti da subito le difficoltà per la concessione dell’agibili-tà dei Vigili del Fuoco e la necessità di un locale ampio per i materiali di scena. Nel 1995 fu stilato un nuovo contratto per cui si prevedeva la perfetta agibilità nell’im-pegno specifico di accettare incondizio-natamente tutte le prescrizioni della So-printendenza. Il precedente contratto non ottemperò nello specifico e quindi non si

operò al collaudo. Dopo svariate relazioni tecniche i lavori continuarono e furono ul-timati nel 1996 ma solo nel marzo 2006 fu preso in consegna il nuovo teatro dal Co-mune ed il sindaco inaugurò il teatro Verdi che conservava ancora però i problemi di agibilità della struttura. Dopo una prima inaugurazione avvenuta il 12 novembre 2002, grazie alla tenacia dell’on. Mennit-ti, dal 2004 sindaco di Brindisi, il teatro tornò a vivere grazie alla istituzione della “Fondazione Teatro Verdi” con la quale si inaugurò la prima stagione teatrale con il direttore artistico Italo Annunziata e come ben testimonia la mostra perenne che si trova nel teatro stesso. Come ebbe a dire on. Mennitti: “Avanti e indietro nel tempo, la storia ritorna per mutare e tirare il suo sipario. E il nuovo Verdi, figlio di un lun-go travaglio, riemerge dalle ceneri di una comunità sonnolenta ed una vita nuova”. La città dell’acqua, del porto e dei castelli, la città del passaggio per il Mediterraneo aveva un’altra possibilità per costruire ed educare le giovani generazioni. Il teatro è, infatti, una conquista culturale sociale e politica: l’uomo che imita l’uomo, con le sue debolezze, i suoi sogni e le sue fanta-sie. Il teatro è vita. Il teatro è la massima espressione della società. Le rappresen-tazioni teatrali, come già nella pólis del-la Grecia classica, interpretano le idee, le vittorie, i problemi, le frustrazioni e la vita politica della comunità che le partorisce. Lo spettacolo teatrale non è dunque sem-plicemente un’occasione di divertimento e di evasione, ma anche un momento d’in-contro, di apprendimento e di approfondi-mento per tutti coloro che vi partecipano. E Brindisi si preparava a questo.

Katiuscia Di Rocco

1912: ProgettI dI teatro a brIndISI

Papa Paolo VI

Brindisi, vista aerea ©M. Gioia