la formazione nel ccnl chimici

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GIUSEPPE CATALANI 28/03/2016 FORMAZIONE E CCNL DEI CHIMICI Gli aspetti della formazione La formazione come opportunità per i soggetti che siedono al tavolo della contrattazione quale contributo positivo alle relazioni industriali e allo sviluppo dell’impresa quale soggetto collettivo in una società che tende al proprio sviluppo economico e sociale. Istruzioni ai delegati per il I Congresso dell’Internazionale (1866) Karl Max “A nessun genitore e a nessun datore di lavoro può venir dato dalla società il permesso di usare del lavoro di fanciulli o di adolescenti, se non a patto che quel lavoro produttivo sia legato con l’istruzione. ]…] “produrre uomini di pieno e armonioso sviluppo”, contribuendo alla formazione di un uomo onnilaterale”

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GIUSEPPE CATALANI 28/03/2016

FORMAZIONE E CCNL DEI CHIMICI Gli aspetti della formazione

La formazione come opportunità per i soggetti che siedono al tavolo della contrattazione quale contributo positivo alle relazioni industriali e allo sviluppo dell’impresa quale soggetto collettivo in una società che tende al proprio sviluppo economico e sociale.

Istruzioni ai delegati per il I Congresso dell’Internazionale (1866) Karl Max “A nessun genitore e a nessun datore di lavoro può venir dato dalla società il permesso di usare del lavoro di fanciulli o di adolescenti, se non a patto che quel lavoro produttivo sia legato con l’istruzione. ]…] “produrre uomini di pieno e armonioso sviluppo”, contribuendo alla formazione di un uomo onnilaterale”

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Sommario Introduzione 2 Formazione Continua 3 Il C.C.N.L. dei Chimici 4 Formazione come strumento per le relazioni industriali 7 Formazione come vantaggio competitivo per l’azienda 9 Formazione come opportunità professionale 12 Conclusioni 13 Bibliografia 15

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FORMAZIONE E CCNL CHIMICI Gli aspetti della formazione

INTRODUZIONE

Lo sviluppo di una società è legato alla sua capacità di cogliere le opportunità che il contesto in cui è inserita gli offrono. Le opportunità sono il frutto delle attività che i suoi componenti attuano. Le attività sono il lavoro manuale e intellettuale svolto, risultato di una attività intellettiva che i componenti esprimono nel corso della loro esistenza e sviluppo. L’attività intellettiva è figlia dell’esperienza, intesa come sperimentazione ed analisi. Non esiste sperimentazione senza analisi ne analisi senza sperimentazione. Volendo semplificare questo “Teorema”, indicando con formazione l’insieme delle attività sperimentali e di analisi, sostituendo i termini dell’equazione e semplificandola, possiamo affermare che:

Formazione uguale Sviluppo

Questo assunto regola qualsiasi sistema economico e sociale che si sia prefissato come obiettivo, in modo più o meno consapevole, la sua evoluzione. Il sistema lavoro è l’insieme di risorse economiche ed umane indirizzate al raggiungimento del profitto. Il profitto può essere visto come guadagno immediato o come “rendita”, ossia un profitto periodico. Il primo tende all’esaurimento delle risorse, il secondo ad un loro mantenimento nel tempo, ossia ad una oculata utilizzazione. Con il termine oculata si intende un uso non distruttivo delle risorse, ossia un impiego che ne consenta una utilizzazione multipla, ovvero un loro accrescimento che possa creare nuove o migliori opportunità di utilizzo (impiego virtuoso). La rendita è quindi il risultato di un utilizzo virtuoso delle risorse. “Utilizzo virtuoso” significa avere risorse disponibili ed evolute (migliori, ossia sviluppate). Pertanto possiamo dire che:

Rendita uguale Sviluppo

Sostituendo otteniamo che:

Rendita uguale Formazione

Ogni formazione sociale (azienda) si pone come obiettivo la sua durata nel tempo e per raggiungere questo obiettivo ha necessità di risorse economiche e finanziarie. Il raggiungimento di questo obiettivo è l’utilizzo di strumenti meccanici ed umani ai quali affidare le attività necessarie alla sua sopravvivenza, ovvero al suo sviluppo. Una società che si proietta nel tempo tende a garantirsi una rendita e quindi pone in essere tutte le strategie necessarie affinché le sue risorse non si distruggano, anzi si accrescano e migliorino. Queste strategie non possono esimersi dall’attuare azioni tendenti al mantenimento dell’efficienza e miglioramento degli strumenti che gli consentono di garantirsi la rendita necessaria.

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Se per una macchina il miglioramento è collegato al concetto di automazione (miglioramento – evoluzione - delle sue caratteristiche), per la risorsa umana il miglioramento è legato alla sua Formazione quale condizione per la sua evoluzione positiva. Ecco perché la formazione è un elemento indispensabile al sistema azienda affinché essa possa confrontarsi con le sfide a cui quotidianamente e sottoposta, sfide che se nel passato erano principalmente intra-nazionali, oggi sono inter-nazionali. Questi due sistemi (azienda – risorsa umana) si completano a vicenda, uno non esiste senza l’altro, ed è dalla loro integrazione che nascono e si concretizzano le opportunità. La competitività è sempre stata una condizione per garantirsi la sopravvivenza, ovvero per assicurarsi un futuro. Questo concetto è valido sia a livello di azienda che a livello di singola risorsa (lavoratore). Pertanto la formazione è l’investimento necessario per l’evoluzione della società nella sua accezione generalista che trova, nel sistema azienda e nel sistema individuo la sua espressione specialistica. Nelle pagine successive si cercherà di confermare i presupposti sopra esposti attraverso: la lettura dell’evoluzione del C.C.N.L. dei Chimici ed una analisi delle motivazioni a sostengono della positività degli investimenti in formazione, sia da parte del sistema azienda che da parte della singola risorsa e delle organizzazioni che la rappresentano. Il tutto in una ottica di virtuosismo in termini personalistici e collettivistici, che trovano il loro momento di confronto nel sistema delle relazioni industriali.

FORMAZIONE CONTINUA (Lifelong learning)

Il nostro paese, in base ai dati OCSE, ha una scarsa scolarizzazione di base e questo deficit deve essere colmato, anche in attuazione a quanto dettato dagli obiettivi della UE in termini di soggetti adulti in formazione. Leggendo quanto scaturisce dall’indagine condotta da ISFOL nell’ambito del PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) (Di Francesco, 2014) evidenziamo questi dati (24 i paesi analizzati):

- La partecipazione a programmi di formazione aumenta e consolida le competenze (partecipazione degli adulti ai programmi di formazione media OCSE 52% Italia 24%

- L’attività lavorativa migliora le competenze - La disoccupazione di lunga durata > 12 mesi influenza negativamente il livello di

competenza - Si evidenzia negli over 50, la tendenza a frequentare programmi formativi

E’ evidente che la vita lavorativa si è via via allungata ed è conosciuto il fatto che un lavoratore dipendente giunto ai 45 anni è “vecchio” (Frigo, 2004, p. 11), a meno che questi non presenti particolari competenze. Diviene evidente la necessità di “reinventarsi” aggiungendo, a quella che è la propria conoscenza acquisita con il lavoro, anche attività formative formali. Da non dimenticare l’influenza positiva che questa ha nella sfera del personale, infatti contribuisce a migliorare il proprio grado di soddisfazione.

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Altro aspetto che investe la necessità di formazione è la mobilità all’interno del sistema Europa. Certamente non è un aspetto generalizzabile, ovvero la mobilità è una opportunità per chi ha un certo livello di competenze di base, diversamente rimane una chimera. Questo è motivato dal livello tecnologico del sistema produttivo ove, anche l’attività più semplice è tendenzialmente automatizzata o comunque necessita di entrare in contato con la tecnologia. L’impossibilità di usare questo strumento riduce le possibilità di impiego, anche se questo è tanto più vero, quanto più la mobilità si rapporta ad attività in forma di lavoro dipendente. La necessità per il sistema impresa è quella di vedere innalzarsi il livello delle competenze, ovvero aumentare il livello medio di scolarizzazione. Per fare ciò è giocoforza necessario investire in formazione e questo compito risiede sia nel soggetto pubblico, che deve adeguare la formazione alle esigenze del mondo del lavoro, ma anche nelle imprese le quali devono maturare la consapevolezza che il loro ruolo, in questo contesto, è attivo.

IL C.C.N.L. DEI CHIMICI Evoluzione

Se il passato vede il lavoro come “arte” o “mestiere” in cui si sviluppa e si esaurisce il percorso formativo, elemento qualificante della professione, lo sviluppo industriale demolisce questa architettura trasformandola in una utilizzazione meccanica della forza lavoro. La formazione passa da apprendimento di mestiere (intero processo di produzione), ad apprendimento di singole operazioni di un processo produttivo. Gli anni ’70 vedono il riconoscimento del diritto allo studio (Statuto dei Lavoratori) ed a metà dello stesso decennio si assiste all’introduzione del congedo delle 150 ore. Gli anni ’80 sono contraddistinti da una attività sindacale che non facilita la professionalizzazione dei lavoratori, anzi tende ad esprimere una certa contrarietà ritenendola interessante solo per le aziende. “La cultura sindacale in questi anni resta lontana sia dall’idea della crescita professionale come interesse condiviso tra lavoratori ed impresa sia dai temi dell’apprendimento lungo tutto l’arco della vita.” (Frigo, 2004, p. 25)

Tecnologia è sinonimo di lavoratori più scolarizzati, capaci di confrontarsi con le nuove tecniche di produzione. La necessità di frenarne l’estromissione dalle aziende spinge a rivalutare la valenza della formazione. L’anno ’93 vede la sottoscrizione del primo accordo in cui si dichiara la necessità di incentivare la formazione. In modo più o meno incisivo, nella successione dei contratti analizzati (1994-2016), la questione della formazione è sempre presente. Questa viene vista inizialmente come strumento di riqualificazione, ovvero come strumento di adeguamento della professionalità in un contesto produttivo in evoluzione. Il progresso tecnologico, legato al concetto di competitività che si estrinseca nella capacità dell’impresa di contrastare l’evoluzione negativa dei costi, è un elemento non evidenziato, ovvero non viene sottolineato il suo impatto potenzialmente negativo in termini di occupazione. La formazione rimane, per due dei rinnovi considerati una voce nel coro, (analisi e informazione dei dati da parte del neocostituito Osservatorio Nazionale – 1994 -).

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Accordo settembre 1996: “La riforma della formazione professionale si propone di potenziare gli interventi formativi nel corso della vita, secondo le indicazioni europee, e di rafforzare i legami con la formazione scolastica prefigurando un percorso duale di avvicinamento della scuola al lavoro. L’attuazione di queste guidelines sarà frenata da ritardi specifici […] ma risente in generale di controversie fra diversi orientamenti politici e sindacali perduranti fino ad oggi, circa il ruolo reciproco dell’istruzione scolastica e della formazione professionale” (Treu, 2009, p. 97). Con il C.C.N.L Chimici del 2002, questa voce acquista una sua dignità trovando la sua autonoma collocazione (Parte VI). Vengono presi in considerazione i suoi risvolti in relazione a: organizzazione del lavoro, inquadramento, occupazione e tecnologie, opportunità in termini di occupazione femminile, sicurezza e ambiente di lavoro, mobilità, flessibilità, cultura di impresa (partecipazione coinvolgimento). In questo rinnovo si parla di “formazione continua”, “patto formativo”, si riconferma il diritto allo studio e l’apprendistato assume una veste maggiormente formativa. Viene istituito l’Organismo bilaterale per la formazione chimica (OBC) con compiti di informazione, promozione, assistenza, attestazione e realizzazione di moduli formativi sia per i destinatari dei corsi, che per i formatori e si costituisce il fondo interprofessionale per la formazione continua (Fondimpresa finanziato con lo 0,3% del monte salari).

Il salto di qualità è evidente, almeno in termini di proposizione e con il rinnovo del 2012 si dà più voce alla formazione, che trova una sua ulteriore affermazione nel Capitolo II Welfarchim Parte I “Responsabilità sociale dell’impresa” (Federchimica, 2012, p. 24). La formazione diviene indice di qualità delle risorse umane e delle relazioni industriali; “formazione […] strumento […] per la qualità delle relazioni industriali […] utile anche a garantire l’esigibilità delle norme del CCNL, la certezza delle regole e la coerenza e eticità dei comportamenti a tutti i livelli […] e non risponde solo a esigenze aziendali ma anche a esigenze del lavoratore.” (Federchimica, 2012, p. 41).

Sulla base di queste dichiarazioni viene proposta l’istituzione del delegato alla formazione. Ulteriore novità è la comparsa dell’apprendistato professionalizzante definito come strategico e strumento idoneo per l’ingresso nel mondo del lavoro e dell’apprendistato di alta formazione e ricerca come strumento per alte professionalità e per l’innovazione di impresa. Le novità che fanno capolino con l’ultimo rinnovo sono: “realizzare un significativo investimento formativo sulla qualità degli attori sociali aziendali funzionale allo sviluppo di relazioni partecipative e alla realizzazione di una contrattazione aziendale effettivamente correlata all'andamento economico e alla produttività dell'impresa e adeguata a sostenere la competitività e l'occupazione”. (Federchimica-Sindacati, 2016, p. 2) “nell'ambito della RSU sarà identificato il delegato alla formazione che seguirà, in modo particolare, la tematica della formazione continua e la definizione dei piani condivisi di formazione” (Federchimica-Sindacati, 2016, p. 4) “la partecipazione ai progetti formativi previsti dalla norma contrattuale sull'Investimento per la formazione, sarà concordata a livello aziendale”. (Federchimica-Sindacati, 2016, p. 4)

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“[…] personale aziendale e per le RSU è stato previsto il seguente percorso formativo obbligatorio…… omissis…. Il primo modulo […] rivolto a tutti i componenti delle RSU delle Organizzazioni sindacali stipulanti il CCNL ed aperto anche a funzioni aziendali. I contenuti […] incentrati sui temi delle Relazioni industriali del settore, della rappresentanza, del CCNL e della contrattazione aziendale. Il secondo modulo, rivolto alle RSU elette [……] sarà realizzato direttamente dall'azienda,…… omissis. I contenuti del modulo aziendale riguarderanno il business e l'organizzazione dell'azienda, la "cultura aziendale" declinata secondo le esigenze del momento: ...omissis…. (Federchimica-Sindacati, 2016, p. 6)

Ora la formazione come strumento competitivo non solo in ambito produttivo, ma anche nelle relazioni industriali (R.I.). Si è maturata la consapevolezza della necessità di rapporti qualitativi tra i soggetti che siedono al tavolo della contrattazione, e ciò è tanto più vero quando più il confronto è decentrato e si esaurisce in azienda. Il superamento del monopolio delle organizzazioni sindacali, siano esse dei lavoratori che datoriali, nella specificità della definizione dei contratti, obbliga le parti ad elevare la loro formazione; necessaria è la conoscenza delle regole del gioco e la consapevolezza dei limiti reciproci, in una fase della vita aziendale che contribuisce a definirne la sua competitività. Rimane ora da verificare quanto queste dichiarazioni e “prescrizioni” trovino effettività nella realtà quotidiana. Riportiamo di seguito un estratto tratto dal Report Nazionale su Contrattazione 2° Livello anni 2009 . 2011 comparto chimico (Cisl-Femca, 2012), in cui prendiamo in considerazione l’elemento formazione. L’analisi è fatta su un gruppo di 157 accordi integrativi aziendali, di questi 35 hanno preso direttamente in considerazione l’elemento formazione, altri 30 hanno considerato la formazione all’interno dell’ambito “sicurezza e ambiente” (imposta per legge) e 10 la hanno considerata come “diritto allo studio” nell’ambito dell’argomento “Responsabilità Sociale”. Non è possibile analizzare i dati scomposti in relazione al solo comparto chimico farmaceutico (101 contratti) e per dimensione aziendale (59 da 0 a 100 addetti).

Prendendo comunque il dato generale si ha una incidenza del (75 su 157) 47,7% di contratti che in qualche modo considerano la formazione quale elemento degno di considerazione. Certamente il dato dedicato indica un basso interesse a questo aspetto che in realtà è strategico (35 su 157 pari al 22,2%). Gli argomenti presi in considerazione all’interno di questa percentuale sono così distribuiti.

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Figura 1 Fonte: Femca Cisl comparto chimico Anni 2009 – 2011

Possiamo notare che la formazione professionalizzante è stata espressamente considerata (valutazione fatta considerando le voci specifiche nel grafico) in (2+5+8) 15 accordi pari al 42,8% sull’argomento specifico (su 35 accordi) che diviene 9,5% sul totale degli accordi. Da considerare anche l’8,5% come formazione alle RSU (di cui è obbligatoria l’erogazione ma non la contrattazione) che diviene 1,9% sul totale. Questi dati si confermano anche “dall’indagine europea CVTS II realizzata da EUROSTAT (e da Istat per l’Italia) sulle imprese con 10 dipendenti e più: solo il 24% delle imprese italiane, ha dichiarato di aver contribuito a mettere propri lavoratori in formazione, contro una media europea del 47%. L’Italia risulta al terzultimo posto nell’Europa dei 15 e al quintultimo posto nell’Europa a 25.” (Frigo, 2004, p. 13)

FORMAZIONE COME STRUMENTO PER LE RELAZIONI INDUSTRIALI La gestione economica dei conflitti

“All’inizio degli anni ’50 si diffuse in Italia la dottrina americana delle -human relation- […] con l’obiettivo di superare l’alienazione del lavoratore […]. Nel Milanese soprattutto, alcune delle aziende più importanti organizzarono dei veri e propri corsi di preparazione riservati a dirigenti e capi per addestrarli a ottenere la massima collaborazione da parte dei […] dipendenti. Ad esempio, tra il giugno del ’54 e il maggio del ’55 il giornale aziendale – La ferriera – pubblicò […] il contenuto delle lezioni sulle relazioni umane nell’impresa […] presso le acciaierie Falck, alle quali parteciparono 865 persone fra dirigenti, impiegati ed appartenenti alla categoria speciale” (Belli, 1993, p. X).

Quanto riportato lo si può leggere in due modi, il primo come occasione formativa e di sviluppo, il secondo come mezzo di gestione “occulta”, rimane il fatto che è stata una sperimentazione.

Nel rinnovato C.C.N.L le parti firmatarie hanno evidenziato la necessità di una formazione specifica per i soggetti a cui è demandata la contrattazione di 2° livello. Da quella che è l’esperienza personale di chi scrive, seppur non vasta, quanto disposto è frutto di una realistica valutazione di scarsa conoscenza e quindi capacità di svolgere una proficua attività di contrattazione a livello aziendale.

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Le carenze sono evidenti da ambedue le parti, non sempre in modo uguale. Questo fatto è spesso fonte di incomprensione, ovvero di scontri che portano a comportamenti estremi. Sappiamo che al tavolo sono di fronte soggetti che, apparentemente, hanno interessi contrastanti, ma che una analisi più puntuale evidenzia distanze meno ampie di quelle che, nella logica comune, appaiono. Certamente deve essere rivisto il punto di vista, ovvero considerare che il confronto/conflitto ha un punto di partenza comune ravvisabile nell’interesse legittimo, di ambedue le parti, di procurarsi il necessario per sopravvivere. Non possiamo affrontare la questione che definisce il termine “necessario” né “sopravvivere” in quanto non ci sono gli spazi per farlo. Il raggiungimento di questo interesse è il risultato delle interazione dei due soggetti (impresa-lavoratori), ossia di come questi si rapportano all’organizzazione interna in quanto tale e di come questa si proiettata nell’ambiente esterno in cui si trova ad operare. I due soggetti possono essere rappresentati come un’unica entità con due “anime”, che possono, o meglio devono, cooperare al raggiungimento di quello che è l’obbiettivo comune, l’interesse che si riconosce nell’azienda come unità collettiva e non come rappresentazione di interessi specifici. Proprio questa impostazione non può prescindere dalla conoscenza che, scevra da preconcetti che spesso vengono alimentati da interessi personalistici provenienti da diverse fonti, non è la negazione delle responsabilità/libertà o delle attribuzioni ricadenti sulle singole parti che si confrontano, ma è il riconoscimento delle problematiche che investono le stesse quando si muovono da sole nell’ambito delle proprie attribuzioni. Riassumendo e semplificando, il confronto tra le parti non può prescindere dalla conoscenza del sistema in cui l’entità azienda, sia come insieme che come singoli componenti, vive e quali le regole che la governano. Quindi la formazione quale strumento che consente la comprensione dei termini, ossia il loro significato sia “letterale” che “sostanziale”. La formazione come mezzo per la creazione di regole di confronto reciprocamente comprensibili e quindi assimilabili in quanto capite. Il tutto finalizzato a rendere i rapporti aziendali meno conflittuali. In tutto questo vi è un elemento che deve far parte del percorso formativo, ossia l’assunzione di responsabilità. Questo elemento è altrettanto importante; l’assunzione di un impegno e la consapevolezza che questo deve essere portato a termine all’interno delle regole che governano le relazioni, siano esse interpersonali che industriali, è determinante al buon fine di qualsiasi attività intrapresa. Infatti questo è evidenziato nel “Patto formativo”, lo è nella disposizione di una compartecipazione ai costi della formazione tra azienda e lavoratore, ma ancor di più deve essere uno dei capitoli fondamentali quando si passa a quella specifica formazione che ha come fine, il miglioramento delle R.I. Le parti sedute al tavolo della contrattazione prendo impegni precisi, nell’ambito del mandato ricevuto ovvero in base alle regole che ne definiscono l’ambito di autonomia contrattuale. Impegni nei riguardi di coloro che rappresentano e verso la controparte e quando questi impegni sono sottoscritti, devono essere mantenuti. Questo aspetto determina la valenza e il grado di successo degli accordi, pertanto è necessario che sia chiara la portata del concetto di assunzione di responsabilità.

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Questa opportunità, contenuta nel rinnovato contratto collettivo, presenta però un rischio intrinseco che può portare al fallimento di questa iniziativa. Una parte può vedere in questa una diminuzione di autonomia decisionale o comunque un vincolo, mentre l’altra può pensare che gli sia stata attribuita una competenza che non possiede. Speriamo che le esperienze, la buona volontà, ovvero la formazione porti ad una reale comprensione della portata positiva di questo accordo.

FORMAZIONE COME VANTAGGIO COMPETITIVO PER L’AZIENDA Opportunità di sviluppo legata alla ricerca

Se la formazione intesa come conoscenza delle dinamiche aziendali e di contesti extra aziendali è, come detto nel capitolo precedente, un elemento indispensabile per delle R.I. qualitativamente migliori, ovvero strumento necessario alla composizione dei conflitti in quanto aiuta la comprensione delle problematiche che investono le parti, spostando il discorso a quella che è la formazione professionalizzante, questa può essere vista in una duplice veste. Quale elemento di costo o quale elemento di miglioramento della competitività. Se mi è permesso l’accostamento; come è fondamentale preservare l’efficienza di una macchina, è indispensabile mantenere l’efficienza della risorsa umana. La risorsa umana ha una sua specifica valenza che non si trova nelle macchine, queste, infatti, sono prive di intelletto. Questa caratteristica, che è riscontrabile in qualsiasi essere umano, può presentarsi più o meno sviluppata ma comunque sia, è una risorsa e lo scopo di una azienda è il suo “sfruttamento” virtuoso. L’evoluzione, che ha permesso all’essere umano di non estinguersi, è il risultato della elaborazione delle sue esperienze. Orbene il sistema azienda è un ambiente in continua trasformazione, le dinamiche a cui deve adeguarsi presentano una ampia volatilità che costringe, nella generalità dei casi, a risposte in tempi di medio breve periodo. Ci si dimentica che queste situazioni sono comunque generate da altri individui e quindi il vero confronto non è tra entità astratte, ma tra soggetti pensanti, che hanno una propria capacità intellettiva. Come può una azienda pensare di confrontarsi con tali soggetti, se non pone in campo risorse adeguate? A questo punto la domanda è: quale è l’elemento che fa la differenza? Sicuramente una risorsa umana capace di capire, analizzare, discriminare, sintetizzare, generare, applicare. Queste attività sono una caratteristica di qualsiasi processo vitale e siccome l’azienda è un processo “vitale”, queste attività sono ad essa indispensabili. L’apertura ai mercati internazionali con mentalità diverse da quella del contesto europeo ed italiano in particolare, pongono sul tavolo questioni di non poco conto, in termini di lavoro. Le produzioni di massa, che nel tempo sono transitate dal concetto di: quantità a basso costo e qualità standard, a quantità e qualità su misura, impongono un approccio ai processi produttivi molto diversi. La necessità di confrontarsi con realtà in cui il lavoro ha un costo notevolmente minore, impone strategie di massimizzazione delle rese senza ricorrere allo sfruttamento unico (distruttivo) delle risorse.

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Ecco che ricerca e flessibilità divengono termini essenziali e conseguentemente le competenze che derivano dai processi formativi, acquistano rilevanza. La scolarizzazione di base ha visto un suo innalzamento temporale e ciò permette di avere una forza lavoro potenzialmente migliorata. Sappiamo che questo non è sufficiente in quanto, la partita si gioca in una quotidianità che evolve velocemente. Quindi la formazione deve fare i conti con questo sistema lavoro, pertanto è necessaria la volontà delle istituzioni a prendere atto della realtà, che chiede maggiore “concretezza” da parte di chi entra in azienda. D’altro canto l’azienda, che è una specificazione dell’istruzione “generalista”, deve rendersi conto che questa sua specialità richiede un suo impegno formativo diretto. La questione è il rischio insito nella formazione, infatti l’elevazione del livello culturale comporta due problemi: uno di carattere “sindacale”, l’altro legato ad un possibile aumento del turn-over, ovvero alla perdita di personale specializzato dopo averne sostenuto i costi per la sua formazione.

Il problema “sindacale” si estrinseca nella possibile coesione da parte dei lavoratori attorno agli argomenti che sono o possono essere oggetto di confronto. D’altro canto questa è la funzione del sindacato, essere portavoce delle esigenze dei lavoratori, portavoce capace di comprendere quali i limiti delle richieste, al fine di soddisfare un elemento imprescindibile: la sopravvivenza del sistema azienda. Nel’52 “l’accanimento contro la stampa operaia aveva lo scopo primario di ostacolare la propaganda politico-sindacale nei luoghi di lavoro e di tacitare le denunce delle discriminazioni e delle disagiate condizioni di vita nei reparti […] principale obiettivo quello di allontanare dai luoghi di lavoro gli elementi sindacalmente e politicamente più attivi e favorire l’elezione di Commissioni interne più disponibili […] la crisi di rappresentanza […] accelerò l’introduzione di nuove strutture associative nelle imprese […] l’introduzione delle Sezioni diede origine ai bollettini informativi [….] erano delle tribune per le proposte rivendicative od organizzative dei sindacati […] I bollettini Fiom […] erano più simili a dei volantini […] questa scelta editoriale […] risultava così funzionale […] alle mutate esigenze culturali dei lettori. L’immissione di nuovi operai non sindacalizzati – senza passato e senza radici nella società delle officine - aveva contribuito infatti a mutare la composizione sociale della classe lavoratrice: la figura dell’operaio specializzato altamente professionalizzato, politicamente cosciente e spesso con una discreta preparazione culturale, era andato mano a mano scomparendo. [….] Le vecchie Commissioni interne e le Sezioni aziendali di fabbrica non seppero sostanzialmente fornire risposte adeguate alle aspirazioni e alle problematiche di tale nuova classe operaia […] fu inevitabile il ricorso ad agitazioni spontanee, l’utilizzo di metodi di lotta più radicali e la ricerca di organismi alternativi di rappresentanza”. (Belli, 1993)

Dalla lettura di questo passo di storia possiamo trarre due conclusioni, la prima è che l’informazione diviene formazione quando le notizie trattate riguardano problematiche che investono la vita aziendale in quanto oggetto di analisi e di confronto, la seconda che un livello culturale adeguato, anche se a prima vista può essere considerato “ostile”, consente di gestire l’inevitabile, ovvero il ricorso a forme di conflitto esasperato.

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Il problema del turn-over è l’espressione di una forma di ego-centrismo e di miopia. L’azienda è un “centro” di interesse economico che può essere visto come espressione di un interesse personale o collettivo. Se andiamo a vederne la funzione all’interno di un sistema più ampio, quale è una società, sia essa anche nazione, possiamo vedere che è espressione di un interesse collettivo e mai personale. Certamente identificandola in una persona fisica essa assume una visone del tutto personalistica e questa visione è oggettivamente comune nella società. Se operiamo una segmentazione del sistema azienda possiamo individuare questi elementi:

- Azienda come fonte reddituale: l’attività dell’azienda genera reddito che è distribuito in relazione alle attribuzioni, competenze e responsabilità.

- Azienda come fonte esperienziale: le azioni poste in essere producono esperienze che sono frutto dell’attività del singolo ma patrimonio dell’azienda intesa come comunità.

- Azienda come fonte formativa: Le esperienze solo se analizzate (percorso di apprendimento formale/non formale/informale) generano conoscenza quindi elevano le competenze sia del singolo che dell’azienda

- Azienda come fonte di sviluppo: L’elevazione delle competenze consente di cogliere opportunità che diversamente sarebbero negate.

Queste funzioni hanno tutte carattere collettivo in quanto non sono appannaggio del singolo ma sono a disposizione nell’azienda quale collettività. Qualcuno potrebbe obbiettare che quanto evidenziato è vero solo in forma teorica, ma è un errore di logica. Il lavoro è l’espressione della capacità del singolo di confrontarsi con le problematiche che gli si pongono nello svolgimento di una qualsiasi attività. Questa capacità è frutto dell’esperienza e della capacità di trarre da questa gli elementi essenziali per soddisfare un bisogno personalistico che è il massimo rendimento con il minor sforzo. Questo principio è alla base di una qualsiasi attività umana, in quanto regola il ciclo naturale. L’azienda è il luogo in cui l’essere umano si confronta con quelle situazioni che gli consentono di produrre un reddito e per farlo avvia un processo di autoapprendimento. Tale autoapprendimento è il risultato di interazioni con il sistema e con i soggetti che lo compongono. Ciò comporta l’aumento delle competenze e quindi della capacità di confrontarsi con le problematiche e di offrire soluzioni. Ma ciò avviene attraverso un percorso di condivisione all’interno del sistema azienda, in quanto questo sistema si sviluppa proprio con il contributo di tutti coloro che ne fanno parte. Certamente le competenze acquisite singolarmente hanno per i due soggetti principali, azienda e lavoratore, due pesi diversi, ovvero l’azienda ha l’interesse ad una condivisione delle conoscenze in quanto elevano le competenze dell’azienda come comunità, il singolo ha una visione personalistica delle conoscenze in quanto ne elevano la sua competenza che incide sulla sua capacità contrattuale.

Exquire Giuseppe Catalani 11

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Quando una risorsa esce dal sistema azienda porta con sé le competenze acquisite, ma se esce significa che ha esaurito la sua capacità di essere elemento della comunità. Pertanto la sua permanenza non avrebbe comunque portato alla comunità nessun ulteriore vantaggio, anzi inciderebbe negativamente sul principio del massimo rendimento con il minor dispendio di energie. La sostituzione della risorsa immette nel sistema un soggetto nuovo, che può essere carente di competenza ma ha un elemento fondamentale nel processo di sviluppo della comunità azienda, l’interesse personale a fare esperienza e quindi la spinta alla sperimentazione. Senza sperimentazione qualsiasi sistema è destinato a scomparire. Altra obiezione che può essere avanzata è che l’uscita di competenze comporta una esposizione maggiore verso la concorrenza. Anche in questo caso vi è un errore di fondo che si ravvisa nella convinzione che il sistema azienda è un sistema statico. Un sistema statico è destinato a scomparire, non a causa della concorrenza ma solo in quanto esso ha deciso di non svilupparsi. Pertanto la fuoriuscita di competenze, se non si è deciso di fermare il processo virtuoso che attraverso la creazione di opportunità di autoapprendimento sviluppano la capacità dell’individuo di generare soluzioni e quindi nuove competenze, non è mai elemento negativo, ma è una opportunità positiva per entrambi i soggetti: azienda-comunità, singolo-lavoratore. Quando un sistema azienda non si identifica in comunità, ma si pone al centro del sistema in veste personalistica (ego-centrismo) ha una visione di breve periodo e quindi evidenzia la sua miopia che si manifesta nella convinzione che il suo sviluppo sia legato alle competenze acquisite, che devono essere custodite gelosamente, piuttosto che alla sua capacità di sperimentazione (ricerca) che vede nella condivisione delle competenze e quindi della creazione di percorsi formativi, il suo futuro.

FORMAZIONE COME OPPORTUNITÀ PROFESSIONALE Competenza come strumento di miglioramento del benessere

Sicuramente oggi più che in un passato recente, la gestione delle risorse umane ha riacquistato una sua importanza. Consapevoli che pur essendo questa una variabile a volte imprevedibile è sicuramente una risorsa fondamentale al raggiungimento degli obiettivi aziendali. Ma questa risorsa non è statica tende a muoversi all’interno del mondo del lavoro e questo movimento determina costi. Ogni risorsa ha un suo ciclo di vita ed anche la risorsa umana rispetta questa regola. CRESCITA MATURITA’ DECLINO, possiamo quindi parlare di “Human Resource Life Circle” (HRLC).

Il costo che l’azienda sostiene nella fase di crescita deve essere messo in relazione al contributo che la risorsa umana restituisce. In questa fase i due soggetti trovano un reciproco interesse, la risorsa esprime le sue qualità (soddisfazione, autogratificazione, motivazione non economica), l’azienda trae beneficio da questa autogratificazione, ovvero spunti di sviluppo. Naturalmente è nella fase di crescita che la risorsa umana esprime il suo massimo soddisfacimento e conseguentemente restituisce il massimo impegno.

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Nella fase di maturità la motivazione ha una intensità diminuita e questo rallenta la sua capacità di generare nuove opportunità. La tendenza alla staticità si manifesta con il raggiungimento di un “plateau”, in cui cominciano a fare capolino motivazioni diverse da quelle presenti nella fase di crescita, l’automotivazione fa riferimento ad elementi di natura economica. Declino significa perdita di interesse nell’azione propositiva, con conseguente perdita di coinvolgimento nelle attività prospettiche aziendali. Elemento di “benessere” per la risorsa umana è la sua motivazione non economica, ossia quello stato emotivo che gli permette di esprimere le sue qualità. La formazione, in questo processo, gioca un ruolo importante in quanto con la sua funzione educativa accresce il bagaglio esperienziale, consentendo l’elevazione delle competenze e quindi accrescendo le opportunità di esprimersi all’interno del sistema azienda. Ma la stessa elevazione delle competenze aumenta il “valore” intrinseco della risorsa umana, accrescendone l’interesse per il mercato del lavoro. Questo presenta una domanda variegata in relazione alle necessità e segue le regole generali della domanda ed offerta. La risorsa umana, che si presenta al mercato del lavoro, si offre alla domanda delle aziende e tra queste vi è anche la stessa azienda in cui la risorsa opera, a questo punto le regole della domanda – offerta, svolgono il loro ruolo. Per cui formazione significa maggiore opportunità di crescita delle competenze e quindi maggiore appetibilità per il mercato del lavoro, da cui si genera una maggiore opportunità di vedere migliorato il proprio benessere sia in termini di automotivazione (ricomincia il HRLC) che economico. In questo sistema le parti sociali possono giocare un ruolo nella “certificazione” delle competenze, (D’addio, 2016, p. 1) essendo questo un tema che assume importanza non marginale, soprattutto in un contesto che vede il mercato del lavoro allargare i propri confini.

CONCLUSIONI Istruzioni ai delegati per il I Congresso dell’Internazionale (1866) Karl Max “A nessun genitore e a nessun datore di lavoro può venir dato dalla società il permesso di usare del lavoro di fanciulli o di adolescenti, se non a patto che quel lavoro produttivo sia legato con l’istruzione. ]…] “produrre uomini di pieno e armonioso sviluppo”, contribuendo alla formazione di un uomo onnilaterale”.(uomo completo). (Percorso Tematico PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, p. 2)

Auguste Comte “lo studio teorico, pur prevalendo, è destinato a tradursi in tecnica, in strumento elaborato dall’uomo per la trasformazione e il dominio della natura. […] formazione professionale, […] è demandata all’esercizio concreto delle attività, a un “apprendistato” professionale che non implica insegnamento.” (Percorso Tematico PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, p. 3)

Herbert Spencer “Compito dell’educazione è formare cittadini adatti a vivere nel loro tempo. […]. Il sapere, sottolinea, non si trova solo nei libri, perché altrettanto importante è ciò che si apprende nelle vicende della vita.” (Percorso Tematico PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, p. 3)

Aristide Gabelli “sostituendo, […] l’insegnamento verbalistico, […], con un riferimento preferenziale ai fatti particolari, alla loro osservazione. “Cose e non parole” […] alle idee generali bisogna arrivare muovendo dai fatti particolari.” (Percorso Tematico PEDAGOGIA E SCIENZE DELL’EDUCAZIONE, p. 3)

Si è cercato di fornire una visione utilitaristica della formazione, indicando quali gli aspetti di vantaggio per i soggetti principali che partecipano alla contrattazione.

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Quindi formazione come strumento per la massimizzazione del profitto per entrambi i soggetti e da cui trae indirettamente vantaggio anche la società in cui questi operano. Ciò che mi appare poi nel concreto è che, nonostante le dichiarazioni di volontà che vengono espresse da più parti e quanto la contrattazione collettiva sancisce-indica, è evidente la difficoltà di comprendere quanto la formazione sia un elemento fondamentale per lo sviluppo. Lo si vede dagli scarsi investimenti in ricerca, dalla mancanza di reale collegamento tra scuola e impresa, che si manifesta non solo nel mancato utilizzo di strumenti o logiche che lo stesso legislatore ha previsto (es. l’apprendistato professionalizzante e di alta formazione mai partito e che pochi conoscono, la scarsa propensione all’applicazione del concetto “alternanza scuola-lavoro”), ma anche nel distacco evidente tra quella che è la necessità del mondo del lavoro e quella che è la logica formativa degli istituti ed enti di formazione formale. Sia in passato che nel presente vi è un uso distorto delle opportunità che il legislatore ha prodotto per facilitare il collegamento lavoro-formazione (contratti di formazione lavoro- stage – apprendistato, contratti di ricerca ecc.) e questo sicuramente non facilita. L’impressione che scaturisce dalle esperienze fatte da chi scrive, è che, per scarsa cultura o per volontà contraria, la formazione non è considerata un elemento importante nello sviluppo della società e conseguentemente nell’impresa. L’istruzione è una moneta a due facce, all’innalzamento culturale corrisponde maggiore difficoltà di gestione delle masse formate, in quanto aumenta dissenso e confronto. La storia remota, ma anche recente, ha sempre osteggiato il processo formativo di massa ma spesso è la stessa massa che non vuole aumentare il proprio livello culturale. Il processo formativo comporta fatica ma ciò che viene meno, quando si accetta la formazione, è la giustificazione, nei processi decisionali, della mancata assunzione di responsabilità delle scelte fatte, sia in nome proprio che in nome dei propri rappresentati. La “incapacità” di comprendere il significato degli accordi facilita la “manipolazione”, ovvero consente il non rispetto degli stessi negli elementi che possono risultare negativi, ossia ne consente un uso strumentale. La formazione è l’elevazione della coscienza intesa come capacità di comprendere, ed è questo che conduce all’autodeterminazione. Formazione non significa fornire nozioni, ma costruzione del processo logico che conduce alla comprensione delle nozioni che non sono il punto di arrivo ma bensì il punto di partenza.

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