la fraternità è la nuova frontiera del cristianesimo · nuti da noi per prendere tutto quello che...

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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 17 gennaio 2019 anno LXXII, numero 3 (3.977) La fraternità è la nuova frontiera del cristianesimo

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 17 gennaio 2019anno LXXII, numero 3 (3.977)

La fraternitàè la nuova frontieradel cristianesimo

L’Osservatore Romanogiovedì 17 gennaio 2019il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

ANDREA MONDAD irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

Redazionevia del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano

fax +39 06 6988 3675

Servizio fotograficotelefono 06 6988 4797 fax 06 6988 4998

[email protected] w w w. p h o t o .v a

TIPO GRAFIA VAT I C A N A EDITRICEL’OS S E R VAT O R E ROMANO

Abb onamentiItalia, Vaticano: € 58,00 (6 mesi € 29,00).

telefono 06 6989 9480fax 06 6988 5164i n f o @ o s s ro m .v a

C’è un’attesa mediatica eccessiva in vista della

prossima riunione convocata da Papa France-sco sul tema della protezione dei minori e de-gli adulti vulnerabili, come se si trattasse di unevento a metà strada tra un concilio ed unconclave. Un’attesa che rischia di far passarein secondo piano il significato ecclesiale di unincontro tra Pastori, tra i presidenti delle Con-ferenze episcopali di tutto il mondo, che insie-me al Successore di Pietro rifletteranno sul te-ma degli abusi.

È innanzitutto da sottolineare l’universalitàtipica della Chiesa cattolica che si riverberanell’incontro: la presenza degli episcopati ditutto il mondo, chiamati per la prima volta in-sieme ad affrontare questa dolorosissima piagache è stata ed è fonte di enormi sofferenze perle vittime e di contro-testimonianza evangelica,aiuterà ad accrescere la consapevolezza di tuttisulla gravità della crisi. Il fenomeno degli abu-si sui minori, le drammatiche esperienze dellevittime, le procedure da applicare di fronte al-

le denunce e le indicazioni per garantire unambiente sicuro ai bambini e ai ragazzi saran-no dunque esaminate con un’ottica non sol-tanto europea o statunitense.

L’obiettivo della riunione è molto concreto:far sì che ognuno di coloro che vi prenderan-no parte possa far ritorno al proprio paese

avendo assolutamente chiaro che cosa bisognafare (e non fare) di fronte a questi casi. Qualisiano i passi da compiere per tutelare le vitti-me, nel rispetto della verità e delle personecoinvolte, per far sì che mai più nessun casovenga coperto o insabbiato.

Bisognerà ovviamente attendere il dialogotra i vescovi e le proposte che verranno avan-zate per meglio chiarire o specificare alcuniaspetti particolari della normativa vigente inmateria. Con la consapevolezza che non sitratta di un “anno zero” della lotta agli abusiperché negli ultimi sedici anni molti passi si-gnificativi e concreti sono stati compiuti. Lenorme per agire sono state stabilite e inaspriteper volontà degli ultimi Pontefici e in talunicasi possono essere definite “e m e rg e n z i a l i ” p erla rapidità di azione che permettono nei con-fronti di coloro che si sono macchiati di que-sto delitto.

Ma le norme, le leggi, i codici, le proceduresempre più affinate e precise non bastano, non

Incontro tra Pastoricon l’obiettivodella concretezza

#editoriale

di ANDREA TORNIELLI

Verso la riunionesul temadella protezionedei minorie degli adultiv u l n e ra b i l i

potranno mai bastare se noncambiano la mentalità e il cuo-re di coloro che sono chiamatiad applicarle. Per questo Fran-cesco continua a indicare la viadella conversione. Per questo èimportante che ciascuno deipartecipanti all’incontro ascoltile testimonianze delle vittimesopravvissute e prenda esem-pio dalla testimonianza di Be-nedetto XVI e del suo Succes-sore, che negli ultimi dieci an-ni, in varie parti del mondo,hanno accolto le vittime, lehanno ascoltate, hanno piantocon loro condividendo la loros o f f e re n z a .

Nel recente discorso alla Cu-ria romana, Francesco, dopo

aver ribadito che anche soltanto un caso diabuso sarebbe «già di per sé una mostruosi-tà», aveva aggiunto che la riunione di febbraioservirà per cercare «di trasformare gli erroricommessi in opportunità per sradicare» la pia-ga degli abusi «non solo dal corpo della Chie-sa ma anche da quello della società».

L’Osservatore Romanogiovedì 17 gennaio 2019il Settimanale

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di ANTONIOZANARDI LANDI

«Nunc in Europa, id est in patria, in domo pro-pria, in sede nostra percussi cesique sumus».Ecco il grido di Enea Silvio Piccolomini, poidivenuto Papa con il nome di Pio II, dopo lacaduta di Costantinopoli davanti all’avanzataturca. “E u ro p a ” era allora un concetto nuovo,ripreso dall’antichità classica e reintrodotto daNicolò V, protettore di artisti e di letterati epromotore di studi e della ricerca. La cadutadi Costantinopoli offrì l’occasione al suo futu-ro successore per dare a un termine sino ad al-lora dotto e ricercato una valenza emotiva epolitica che perdura tutt’oggi. «Nunc in Euro-pa…» è una frase oggi attualissima, ma nonsono i turchi a minacciare il vecchio continen-te. Quello che è in grave pericolo oggi è l’ideastessa di Europa, la certezza di appartenere auna cultura e a tradizioni comuni e solidissi-me, la volontà di procedere sulla via dell’inte-grazione e di poter svolgere un ruolo da prota-gonisti a livello globale. Dopo decenni di pas-si avanti, con molti errori, calcoli sbagliati,previsioni non avverate, ma comunque conprogressi importanti sulla via di un’integrazio-ne fruttuosa e di una capacità di risposta co-mune alle grandi sfide della modernità e dellaglobalizzazione, qualcosa si è inceppato nellagrande macchina in cui i governi, le istituzionieuropee e i popoli avevano faticosamente im-parato a interagire. La crisi del 2008, i feno-meni migratori, il disastro mediorientale, il so-lo profilarsi di una quarta rivoluzione indu-striale, l’allargamento del divario tra i più e imeno favoriti, i social media... chissà. Solo glistorici potranno attribuire le percentuali dicausalità ai vari fattori che concorrono a ren-dere arduo e improbabile il percorso dell’inte-grazione europea.

Certo che qualcosa si è rotto negli equilibridel continente. Molti governi ricercano con-

senso tra gli elettori scaricando le responsabili-tà di ogni insuccesso su Bruxelles, sulle inverotalvolta elefantiache e lente burocrazie europeee sui governi che li hanno preceduti. In Italia,— per decenni il paese più europeista — le cri-tiche e l’ostilità verso l’Unione e molti deipartner è diventata un tratto dominante del di-battito politico. Senza ragioni? Purtroppo no.Le ragioni ci sono, e come. A iniziare dallascarsissima solidarietà nell’affrontare con un

approccio comune il grande problema dellemigrazioni in provenienza dall’Africa setten-trionale. I morti in mare, tante donne, tantibambini, sono stati più di diecimila. Come inuna guerra. È mai possibile, ci si chiede, cheancora oggi nel 2019 servano settimane per de-cidere la sorte di 49 persone respinte da tutti iporti dei paesi europei che si affacciano sulMediterraneo? Le ragioni per rimproverarequalcosa a Bruxelles e ad altri governidell’Unione sono tante e fondate, ma nondobbiamo considerare che il nostro interesse,di italiani e di europei, è quello di procedereinsieme verso il futuro perché, se non insieme,questo continente non avrà futuro.

Dal punto di vista nazionale il rischio piùgrave, che si sta avverando, è quello di un iso-lamento che le polemiche in materia migrato-ria, finanziaria e bancaria, le scelte di campotalvolta avventate, le offerte di solidarietà allecontestazioni extraparlamentari in altri paesi,finiscano per rendere effettivo e non recupera-bile nel breve termine. Un’Europa e paesi eu-ropei non amici renderanno ancor più proba-bili, comprensibili e rumorose le posizioni chegià vediamo ogni giorno profilarsi, con la finedi quella solidarietà che è stata e deve essere ilcollante più efficace del percorso europeo.Con una frase singolarmente appropriata, neigiorni scorsi a un’interessantissima conferenzaal Teatro Argentina «Roma verso l’E u ro p a » ,Andrea Giardina ha detto: «Dalla bancarottafinanziaria si puo’ uscire, prima o poi, dallabancarotta morale no». Credo abbia ragione.

B a n c a ro t t amorale

#ilpunto

Vari fattoric o n c o r ro n oa rendere arduoil percorsodell’i n t e g ra z i o n ee u ro p e a

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di GIUSEPPEFIORENTINO

«SLa solidarietàconviene a tutti

enza una via condivisa rischiamo di fare cade-re l’edificio europeo». Con questo appello allasolidarietà e al multilateralismo il presidentedel consiglio italiano, Giuseppe Conte, haconcluso ieri, lunedi 14, il vertice di Roma conil commissario dell’Ue alle migrazioni, Dimi-tris Avramopulos, e il ministro degli Interni,Matteo Salvini. Non è la prima volta cheesponenti del governo italiano si appellano al-la comune responsabilità dei paesi europei peraffrontare la questione delle migrazioni. Ma lerichieste sono puntualmente cadute nel vuotoe l’Italia è stata praticamente lasciata da solaad affrontare una vera emergenza, a partire daisalvataggi in mare.

Ora le condizioni sono cambiate e con lenuove politiche gli arrivi di migranti sono dra-sticamente diminuiti. Ma ciò nonostante l’Eu-ropa continua ad essere divisa soprattutto suiricollocamenti. Ne è stata una lampante dimo-strazione l’odissea di cui sono stati involontariprotagonisti i migranti raccolti al largo dellaLibia dalla Sea Watch 3 e dalla Sea Eye. Qua-rantanove persone, tra le quali due bambinipiccoli, sono stati costretti a restare per moltigiorni in balìa delle onde prima che un fatico-so negoziato consentisse di individuare i paesidisposti alla loro accoglienza e permettessequindi lo sbarco a Malta. Quarantanove mi-granti sono così riusciti, loro malgrado, a evi-denziare tutta la fragilità della coesione euro-p ea.

Intervistato prima di mettere piede sulla ter-raferma, un ragazzo sudanese soccorso dallaSea Watch 3 ha detto: «Gli europei sono ve-nuti da noi per prendere tutto quello che vole-vano. Noi siamo costretti ad affidarci ai traffi-canti di esseri umani per poi essere lasciati inmare». Sono parole drammatiche che, al di làdi ogni altra considerazione, potrebbero aiuta-re a mettere meglio a fuoco quel concetto disolidarietà a cui spesso i leader europei si ap-p ellano.

L’idea di solidarietà che attualmente va perla maggiore in Europa, e più in generale inoccidente, è probabilmente frutto di una visio-ne distorta. Una visione che tende ad averecome riferimento se stessi e non gli altri. Sicu-ramente a questo contribuiscono valutazionimeramente elettorali. Quale formazione politi-ca, in una stagione come quella che si sta vi-vendo in Europa, può fare dell’apertura edell’accoglienza i suoi cavalli di battaglia? Ep-pure puntare sulla chiusura può avere, oltre altornaconto elettorale, pericolose conseguenze.

Brexit. Puntare sulla solidarietà e sul multila-teralismo — come indicato da Papa Francesconel recente discorso al corpo diplomatico —non significa quindi lasciarsi andare al vagheg-giamento di vuoti ideali, ma operare concreta-mente, anche se a lungo termine, per una so-cietà più coesa al suo interno oltre che più ac-cogliente verso l’esterno. Dove ognuno possasentirsi cittadino a pieno titolo.

«Il carattere ambiguo e pericoloso dei di-scorsi populisti — ha recentemente sottolineatoil segretario del Dicastero per lo sviluppoumano integrale, monsignor Bruno-MarieDuffé — dipendono dal fatto che essi si appro-priano della paura e requisiscono le aspirazio-ni popolari a vantaggio di un potere che cercail controllo sociale e rifiuta le iniziative concre-te di solidarietà». Il rischio per l’Unione euro-pea, nata proprio dall’ideale di solidarietà persanare le ferite della guerra e che in nome del-la solidarietà aveva deciso di guardare ad estdopo la caduta del muro di Berlino, è quindiquello di perdere cognizione delle sue radici ein fondo della sua stessa ragion d’essere. An-che perché i discorsi e le scelte politiche cheignorano la solidarietà in nome del populismoalimentano la divisione e la polarizzazione, in-nescando spesso episodi di violenza contro chiè percepito come diverso o semplicementecontro chi non la pensa allo stesso modo.

L’assassinio del sindaco di Danzica, l’e u ro -peista Paveł Adamowicz, non è che l’ultimo diuna serie di attacchi a politici, tra i quali van-no annoverate l’aggressione avvenuta nei gior-ni scorsi a Frank Magnitz, esponente del parti-to di estrema destra Alternative für Deut-schland (anche se i contorni della vicenda nonsono del tutto chiari), e, andando indietro ne-gli anni, l’uccisione di Joe Cox, la deputata la-burista accoltellata a morte nelle roventi setti-mane che hanno preceduto il referendum sulla

L’E u ro p ae la questione

dei migranti

Migranti sbarcati nel portodi Malaga dopo essere statisoccorsi nel Mediterraneo( R e u t e rs )

#internazionale

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di GI A M PA O L OMAT T E I

«Nella mia vita non posso prescindere da Cri-sto». Un lungo silenzio, avvolto dal fumo del-la sigaretta, aveva come “p re p a r a t o ” le paroleche Fabrizio De André con schiettezza ci ave-va confidato, un anno prima di morire, duran-te un vivace colloquio sulla fede.

Non aveva «il dono della fede» (parole sue)ma possedeva certamente — lo ha detto di luianche il poeta Mario Luzi — una visione reli-giosa della vita. «Quale sarà la mano che illu-mina le stelle» ha scritto nella canzone Ho vi-sto Nina volare («un’estatica contemplazionedel mistero della creazione, in quella solitudi-ne che ti mette a contatto con l’Assoluto»),pubblicata in quel suo ultimo disco (An i m esalve, 1996) che si conclude con il brano Smi-surata preghiera: «Ricorda, Signore, questi servidisobbedienti alle leggi del branco».

De André ha saputo scrivere poesie e vestir-le di musica. Ha tentato, riuscendoci, di schie-rare i suoi versi dalla parte degli emarginati,dei poveri, dei perdenti agli occhi del mondo.«L’insegnamento di Cristo — ci disse inquell’intervista pubblicata poi nel libro An i m amia — mi ha spinto a scegliere di cantare lastoria degli uomini perdenti. Amo parlare dichi è pronto a pagare per difendere la propriadignità: Dio non si scorderà di loro».

I perdenti, era il suo pensiero, «sono le per-sone che più mi affascinano. Resto convintoche dietro ogni emarginato si nasconda un ve-ro eroe. Solo queste persone dimenticate rie-scono, come ci ricorda lo scrittore Álvaro Mu-tis, a “consegnare alla morte una goccia dis p l e n d o re ”».

In questi vent’anni De André è stato ricor-dato con analisi di ogni genere, alcune oppor-tune e altre, forse, meno. Il suo ricordo ci con-segna alcune considerazioni. È stato un uomo

provando a suscitare emozioni. Non il solo,ma non in numerosa compagnia.

Un’altra considerazione riguarda le tante la-crime versate in sua memoria. Sarebbe oppor-tuno — e utile — trasformarle finalmente in unimpegno a raccogliere l’eredità artistica di unautore come De André. Vent’anni fa è come seil “mosaico” della canzone avesse perduto una“tessera” della poesia, del poco rumore, dellamusica scritta senza svilirla con la moda.Quella “tessera” andrebbe sempre riempita con

la stessa voglia di fare musica, di fare poesia,di non essere cialtroni, di usare linguaggi nonda “audience” o da conto in banca.

I tanti discorsi sulla dignità culturale dellacanzone — ma perché avvitarsi in puntualizza-zioni se alcuni autori che cantano sono chia-mati poeti? — si rincorrono stancamente. An-che perché, quasi certamente, quella “tessera”finirà per riempirla chi avrà più capacità pub-blicitaria. L’arte, purtroppo, non c’entra nien-

Il disobbedientealle leggi del branco

Ve n t ’anni famoriva

Fabrizio De André

#culture

che ha scelto di fare della discrezione e del si-lenzio il suo modo di vivere. Una scelta para-dossale per un cantante. E persino “provo cato-ria” mentre si sta andando, e non solo nellamusica leggera, verso forme di comunicazionesempre più commerciali e rumorose. Ci sonosuoi colleghi che avvertono le agenzie promo-zionali anche quando aprono e chiudono la fi-nestra e pur di comparire non rispettano piùnulla. De André ha badato a raccontare storie,

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«Fino a diciotto anni tutti scrivono poesie; dopo,possono continuare a farlo solo due categorie dipersone: i poeti e i cretini». Lo scriveva BenedettoCroce e lo citava Fabrizio De André che«precauzionalmente» preferiva definirsi uncantautore. L’uomo con lo sguardo triste che sifaceva chiamare Faber è stato uno dei più grandichansonnier italiani, capace come pochi didescrivere quello che succede attorno alla rümenta,come chiamano a Genova la spazzatura. Raccontavaun mondo dove i buoni hanno perso, un ambito incui non avrebbe senso opporsi all’ingiustizia o farel’avvocato, come sarebbe accaduto a lui se Minanon avesse cantato La canzone di Marinella in primaserata garantendogli qualche entrata dalla Siae econvincendolo ad andare avanti.Affrancando la canzone di intrattenimento e dilargo consumo dal solo tema sentimentalistico, nondall’amore che è una cosa seria, De André assiemead altri si è inserito a pieno in quella tradizione cheparte dal teatro di rivista degli anni 1930-40 e trovaun momento di svolta negli anni Sessanta conModugno, seguito poi tra gli altri da Tenco,Ciampi, Jannacci, Gaber, Guccini, fino a Fossati eCapossela per citarne solo alcuni. Nessuno di questiprobabilmente vuole essere un poeta, per quellohanno tutti bisogno di poggiare i loro testi sutappeti sonori semplici e ripetitivi. Persino quellistonati come Paolo Conte, che ha acutamentelavorato proprio sulla sublime tensione generatadalla differenza costante tra il suono del pianofortee la sua intonazione incerta.

te. E la questione delle logiche promozionalicoinvolgeva e, forse, irritava De André.

Tanto che, proprio a proposito di “ufficistampa”, aveva un pensiero provocatorio:«Nessuno mi toglie dalla testa che Cristo hasalvato tutti e due i ladroni che stavano sullacroce accanto a lui, sì, anche quello cattivo.Ma forse il suo “ufficio stampa”, gli evangeli-sti, non ha voluto che si sapesse. Ecco così ri-badita anche l’attualità della mia vecchia can-zone Il testamento di Tito».

È un pezzo contenuto nel disco La buonanovella (1970) ispirato ai Vangeli apocrifi. E DeAndré lo raccontava così: «La buona novellacerca di raccontare l’uomo. Ho scritto quellecanzoni in pieno sessantotto e resto convintoche abbiano una carica rivoluzionaria. Ho vo-luto dire ai miei coetanei che le stesse nostrelotte le aveva sostenute Cristo, il più granderivoluzionario della storia. Mi accusarono diessere anacronistico perché parlavo di Gesùnel mezzo della rivoluzione studentesca i cuiobiettivi, per certi versi, non erano così lontanidal Vangelo: abolizione della classe sociale e

dell’autoritarismo, creazione di un sistemaegualitario. In più Lui ha combattuto per unalibertà integrale, piena di perdono. Sì, perdo-no e non potere».

De André ci ha lasciato canzoni sulle qualisi può discutere e anche non essere d’a c c o rd o .Ha scritto provocazioni con ironia e schiettez-za, intelligenza e cultura. Non ha avuto remo-re a parlare di morte, dolore, emarginazione.Non ha fatto calcoli di vendite quando hascritto in dialetto genovese. Generazioni di ita-liani sono cresciute cantando le sue canzonidiventate molto più che canzoni. La guerra diP i e ro , ad esempio, è ormai un inno controogni violenza.

E anche generazioni di cristiani hanno can-tato, e continuano a farlo, alcune sue splendi-de intuizioni. Come l’Ave Maria. Quando glie-lo ricordammo ci parve di scoprire un’emozio-ne dietro un sorriso e un filo di voce rauca,avvolto sempre nella nuvola del fumo di siga-retta: «Non ho il dono della fede ma nella miavita non posso prescindere da Cristo».

La denuncia dell’ingiustizia, dell’ipocrisia delpotere, la galleria delle miserie dei singolipersonaggi, la morte, tutto in De André è sempreassecondato da una struttura musicale subordinataalla resa del testo, mai predominante o invadente.Anche quando gli arrangiamenti sono articolaticome quelli che gli regalò la PFM, la musica restaancella della parola. L’unica raffinatezza che siconcede sono le armonie di derivazione modale checaratterizzano alcuni brani e creano un certostraniamento e un sentore vagamente antico.Forse è proprio in questo dettaglio che si puòrinvenire l’autentico spirito di un gruppo di artistiche non sono poeti in senso stretto e sembrano piùdei moderni trovatori. Quelli del medioevoinnalzarono a dignità culturale, letteraria e artisticala musica profana. Quelli di oggi non celebranol’amor cortese e la bellezza della natura, ma tentanodi descrivere, e qualche volta ci azzeccano, lamalinconia profonda del vivere contemporaneo.Una malinconia che lascia sempre tutto in sospeso,come i ballerini di Conte che «attendon su unagamba l’ultima carità di un’altra rumba», come ipiloti di Fossati, che non portano mai «pensieripesanti, che sarebbero già da soli tutto carico inpiù», o come gli impiccati di De André chemuoiono a stento «tirando calci al vento». Nonchiamiamoli poeti, magari ci rimettono, sono deigrandi eredi di una tradizione nobile e antica. Sonogli ultimi trovatori. (marcello filotei)

#culture

Gli ultimi trovatori Fiona Saiman, «Omaggioalla canzone di Marinella»(2014, particolare)

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di ROBERTORIGHETTO

Quando nel 2014 gli è stato attribuito il premioNobel per la letteratura, alcuni critici hannostorto il naso: non consideravano Patrick Mo-diano un grande scrittore, tutt’al più un racco-glitore di storie altrui. Ma se prendiamo inmano Dora Bruder, il suo romanzo più riusci-to, non possiamo che riconoscere di essere di-nanzi a un capolavoro. Certo, come ha scrittoAnna Foa proprio sulle pagine de «L’O sserva-tore Romano», si tratta di un racconto quantomai lontano dalla fiction, del faticoso percorsodi ricostruzione di una vita. Quella di una ra-gazza nata a Parigi nel 1926, figlia di un ebreoaustriaco e di un’ebrea ungherese. Tutto nascequando, nel 1988, l’autore rimane impressiona-to nel leggere, su una copia del «Paris Soir»del 31 dicembre 1941, questo annuncio: «PARI-GI Cercasi ragazza, Dora Bruder, 15 anni, m.1,55, viso ovale, occhi grigio-marrone, cappottosportivo grigio, pullover bordeaux, gonna ecappello blu, scarpe sportive marrone. Rivol-gersi ai sigg.ri Bruder, 41 boulevard Ornano,Pa r i g i » .

Da quel pezzo di carta ingiallito parte la ri-cerca di Modiano. Si reca più volte in boule-vard Ornano, in un quartiere che da giovaneaveva frequentato. Entra nell’edificio al nume-ro 41, che negli anni della seconda guerramondiale era adibito a hotel. Pian piano sco-pre che la famiglia Bruder vi aveva abitato findal 1937. Come suo solito, è affascinato dall’in-seguire la verità storica, che emerge pezzo perpezzo grazie agli uffici dell’anagrafe e agli in-contri con i vecchi residenti nella casa, fino arintracciare lontani parenti di Dora. E persinosue foto da bambina. Così scopre che nel 1940la ragazzina frequentava l’istituto religioso delSaint-Cœur-de-Marie, proprio lo stesso con-vento dove Hugo, nei M i s e ra b i l i , fa rifugiare Jean Valjean e Cosette.

Dora Bruder fugge (il registro del conventone reca traccia) e torna dalla madre, come ri-porta una nota del commissariato di Clignan-court del 17 aprile 1942. Il padre nel frattempoè stato arrestato. Così si giunge all’epilogo: il18 settembre dello stesso anno un convoglio diebrei parte per Auschwitz: nella lista vi sonoanche i nomi di Ernest Bruder e sua figlia Do-ra. Ha detto al riguardo Modiano in un’inter-vista a «Libération» dopo aver ricevuto il No-bel: «Ci ho messo molto tempo a identificarequesta ragazza. All’inizio non sapevo nemme-no che fosse ebrea. E mi sono accorto che erastata presa, deportata. Gli annunci sui giornalimi hanno sempre scosso, ne ho ricopiati unsacco».

L’inseguimento delle tracce di persone eluoghi è presente in quasi tutta l’opera di Mo-diano, come nel suo recente Ricordi dormienti,da poco pubblicato da Einaudi. Il protagoni-sta Jean scava nel suo passato per ritrovare ledonne che ha incontrato e che l’hanno fattocrescere: un’operazione nostalgia che coinvol-ge narratore e autore. Non è un caso che Ber-

nard Pivot, il grande critico letterario e divul-gatore televisivo, abbia definito il suo lavoro«un incredibile bric à brac della memoria, unbazar da archivista».

Ma dove nasce questa mania per il passato?Dalla sua stessa vicenda personale. Come siintuisce leggendo un altro suo formidabile ro-manzo, Perché tu non ti perda nel quartiere, tra-dotto in Italia da Einaudi nel 2015, Modianoha trascorso la sua infanzia e adolescenza qua-si sempre lontano dai genitori, che lo lasciava-no in custodia presso alcuni amici. Figlio diun ebreo italiano che durante l’o ccupazionetedesca un po’ vive in clandestinità un po’ fa

affari con gli stessi nazisti, e di un’attrice fiam-minga che sembra pensare solo alla carriera,assieme al fratello fu ripetutamente abbando-nato in case estranee e rivide i genitori solodopo aver compiuto diciassette anni. La lette-ratura l’ha salvato e gli ha permesso di andareavanti, mescolando ricordi e racconti e giun-gendo al suo stile inconfondibile: «Questo è ildovere di un romanziere: rendere giustizia allecose».

Il doveredi un romanziere

Nelle operel e t t e ra r i e

di PatrickMo d i a n op re m i a t o

con il Nobelnel 2014

#scaffale

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VENERDÌ 11Francesco sarà in Romania dal 31 maggio al 2giugno prossimi. Ne ha dato notizia il diretto-re ad interim della Sala stampa della Santa Se-de, Alessando Gisotti, il quale in una dichiara-zione ha specificato che il Pontefice, acco-gliendo l’invito del presidente, delle autoritàdello stato e della Chiesa cattolica locale, si re-cherà a Bucarest, Iaşi e Blaj, e presso il san-tuario mariano di Şumuleu Ciuc. Anche il lo-go del viaggio nel paese che viene definito il“giardino della Madre di Dio” ha un’i m p ro n t amariana, con l’invito all’intera comunità a por-si sotto il mantello protettore della Madonna.Un invito all’unità sottolineato dal motto cherecita: «Camminiamo insieme». Nei giorniprecedenti era stato reso noto il motto che ac-

compagnerà il viaggio del Papa a Rabat e aCasablanca, il 30 e il 31 marzo: «Servitore disperanza». Nel logo della visita in Marocco lacroce cristiana e la mezzaluna musulmana so-no riunite in un unico colpo d’o cchio.

S A B AT O 12Ricevuto in udienza fratel Enzo Bianchi,

fondatore della comunità di Bose, il quale harecato in dono l’icona «La Santa Comunione»raffigurante un giovane monaco che porta sul-le spalle un anziano.

D OMENICA 13Con Gesù che riceve il battesimo nel Gior-

dano «inizia un mondo nuovo, una “nuovac re a z i o n e ” di cui fanno parte tutti coloro cheaccolgono Cristo nella loro vita». Lo ha ricor-dato Francesco ai fedeli riuniti in piazza SanPietro per la recita dell’Angelus nella festa delbattesimo del Signore.

La piccolezza è libertàChi è piccolo – in senso evangelico – è leggero

e libero da ogni smania di appariree da ogni pretesa di successo

(@Pontifex_it, 12 gennaio)

«È di vitale importanza, per icristiani, scoprire e promuoverela conoscenza della tradizioneebraica per riuscire a comprenderepiù autenticamente se stessi.Anche lo studio della Torah èparte di questo fondamentaleimpegno». Lo ha scritto il Papanella prefazione al volume «LaBibbia dell’Amicizia. Brani dellaTorah/Pentateuco commentati daebrei e cristiani», a cura diMarco Cassuto Morselli e GiulioMichelini (Cinisello Balsamo,Edizioni San Paolo, 2019,pagine 361, euro 30), realizzatograzie al sostegno dellaConferenza episcopale italiana,che esce venerdì 18.

”L’Angelus in piazza

San Pietro

LUNEDÌ 14Un’ora di confronto e colloquio, poi insie-

me il pranzo a Santa Marta per un ulterioremomento di condivisione. Vatican News parlain questo modo dell’udienza privata di PapaFrancesco a cinque vescovi cileni del Comitatopermanente dell’episcopato, durante la quale ilPapa ha instaurato un dialogo franco e profi-cuo affrontando tante tematiche e che è servitoanche a fare il punto sul cammino della Chie-sa del paese latinoamericano nel 2018, a ottomesi dall’ultimo incontro del maggio scorso,quando i presuli furono convocati da France-sco per parlare del tema degli abusi sessuali.

MARTEDÌ 15«Riaffermare la nostra responsabilità comu-

ne per l’unità e l’integrità della fede cattolicaed esplorare nuovi mezzi e metodi per dare te-stimonianza del Vangelo in mezzo alle sfidedel nostro mondo contemporaneo»: è la dupli-ce consegna che il Papa ha affidato ai parteci-panti all’incontro dei presidenti delle commis-sioni dottrinali delle Conferenze episcopalidell’Asia con una delegazione della Congrega-zione per la dottrina della fede, apertosi aBangkok in Thailandia. Nello stesso giorno ilPontefice ha autorizzato la Congregazione del-le cause dei santi a promulgare i decreti ri-guardanti: il miracolo attribuito all’i n t e rc e s s i o -ne della beata svizzera Margarita Bays, delTe r z ’ordine di San Francesco (1815-1879); ilmartirio delle serve di Dio Maria del Carmen(al secolo Isabella Lacaba Andía) e 13 compa-gne francescane concezioniste uccise in odioalla fede in Spagna nel 1936; e le virtù eroichedi due serve di Dio: Anna Kaworek, cofonda-trice della congregazione delle suore polacchedi San Michele Arcangelo (1872-1936) e MariaSoledad Sanjurjo Santos (al secolo MariaConsolata), suora portoricana delle Serve diMaria ministre degli infermi (1892-1973).

#7giorniconilpapa

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GIOVEDÌ 10Caramelle al miele

Pregare per il prossimo, anche «per quellapersona che mi è antipatica»; non alimentare«sentimenti di gelosia e di invidia»; e, soprat-tutto, evitare il chiacchiericcio, perché il pette-golezzo è come le caramelle al miele, «che so-no anche buone», ma poi rovinano lo stoma-co. Sono questi i tre “segnali” indicati da PapaFrancesco all’omelia della messa del mattinoper discernere la capacità di una persona diamare gli altri e di conseguenza amare Dio.

Come di consueto il Pontefice ha infattipreso spunto per la sua riflessione dalla litur-gia della parola, privilegiando nella circostanzaodierna la prima lettura, tratta dalla prima let-tera di san Giovanni apostolo (4, 19 - 5, 4) incui l’autore «parla di mondanità, dello spiritodel mondo», dicendo «che “coloro che sonogenerati da Dio, sono capaci di vincere ilmondo”. È la lotta di tutti i giorni, — ha com-mentato il Papa — la lotta contro la mondani-tà, lo spirito del mondo». Infatti, ha aggiunto,«lo spirito del mondo che è bugiardo, è unospirito di apparenze, senza consistenza, non èveritiero» mentre «lo Spirito di Dio è veritie-ro». Di più: «Lo spirito del mondo — ha pro-seguito con immagini fortemente evocative — èlo spirito della vanità, delle cose che non han-no forza, che non hanno fondamento e che ca-dranno». Infatti lo spirito del mondo può of-frire soltanto «bugie, le cose senza forza».

E in proposito Francesco ha proposto unesempio tratto dalla vita quotidiana. «A Car-nevale — ha ricordato — c’è la tradizione di of-frire come dolci le crêpes: voi tutti le conosce-te. Ci sono alcune, in dialetto, che si chiama-no “le bugie”: sono rotonde», ma non “consi-stenti”, essendo “piene di aria”. E anche «lospirito del mondo è così: pieno di aria. Nonserve. Si sgonfierà. Ma nel frattempo lotta» e«inganna, perché è lo spirito della menzogna;è il figlio del padre della menzogna». Al con-trario, ha fatto notare il Pontefice, «l’ap ostoloha lo Spirito di Dio e ci dà, a noi, la via dellaconcretezza dello Spirito di Dio». Del resto«lo Spirito di Dio sempre è concreto: non vaper le fantasie, no. È concreto. Si fa questo, efa. E il dire e il fare, nello Spirito di Dio, è lostesso» insomma sono la stessa cosa: «è unaparola che “fa”, e se tu hai lo Spirito di Dio,farai. Farai sempre le cose, le cose buone», haassicurato il Papa. In questa linea fatta di«concretezza, — ha spiegato il Pontefice —Giovanni dice una cosa molto quotidiana»,forse addirittura ovvia, tanto «che la può direanche la vecchietta che abita accanto a noi».Appunto, una cosa “quotidiana”, ed è che «chinon ama il proprio fratello che vede, non puòamare Dio, che non vede». Difatti, ha chiaritoFrancesco, «se tu non sei capace di amare unacosa che vedi, come mai amerai una che nonvedi? Quella è la fantasia: ama questo che ve-di, che puoi toccare, che è reale. E non le fan-tasie che tu non vedi. “Oh, io amo Dio!”— sì,ma prova: prova ad amarlo in questo. Se tunon sei capace di amare Dio nel concreto, nonè vero che tu ami Dio». Anche perché «lo spi-rito del mondo è uno spirito di divisione equando si immischia nella famiglia, nella co-munità, nella società sempre crea delle divisio-ni: sempre. E le divisioni crescono» generando«l’odio e la guerra».

Ritornando quindi al brano giovanneo il Pa-pa ha allora evidenziato che l’apostolo va oltrequando afferma: «Se uno dice “io amo Dio” eodia suo fratello, è un bugiardo», cioè — ha ri-marcato Francesco da parte sua — «un figlio

dello spirito del mondo, che è pura bugia, pu-ra apparenza». Da qui l’invito all’a p p ro f o n d i -mento. «Questa è una cosa sulla quale ci faràbene riflettere: — ha esortato il Papa — io amoDio? Ma, andiamo alla pietra di paragone evediamo come tu ami il tuo fratello: vediamocome tu lo ami». E quali possono essere «i se-gnali, che io non amo il mio fratello? Comeposso accorgermi che io non amo il mio fratel-lo? Io sorrido, sì ... Ma si può sorridere intanti modi, no? Anche nel circo, i pagliaccisorridono e tante volte piangono, nel cuore».Ecco allora la necessità della domanda «comemai posso capire se io amo il mio fratello?». Enella risposta Francesco ha sviluppato «due-trecose che possono aiutarci. Prima di tutto: ioprego per mio fratello? Io prego per il mioprossimo? Io prego per quella persona che miè antipatica e che so che non mi vuole bene?Prego per quella persona? Primo: se io nonprego, non è buon segno; è un segnale che tunon ami. Ma, pregare anche per quello che miodia? Sì, anche per quello. Anche pregare peril nemico? Sì, per quello: Gesù l’ha dettoesplicitamente. Il primo segnale, domanda chetutti dobbiamo fare: io prego per le persone?Per tutte; concrete: quelle che mi sono simpa-tiche e quelle che mi sono antipatiche, quelleche sono amiche e quelle che non sono ami-che. Primo». Mentre il «secondo segnale:quando io sento dentro sentimenti di gelosia,di invidia e mi viene la voglia di augurarglidel male o non... è un segnale che tu non ami.Fermati lì. Non lasciare crescere questi senti-menti: sono pericolosi. Non lasciarli crescere»,ha ammonito.

Infine, «il segnale più quotidiano che ionon amo il prossimo e pertanto non posso di-re che amo Dio, è il chiacchiericcio». Con unaraccomandazione: «Mettiamoci nel cuore enella testa, chiaramente: se io faccio dellechiacchiere, non amo Dio, perché con le chiac-chiere sto distruggendo quella persona. Lechiacchiere sono come le caramelle di miele,che sono anche buone, una tira l’altra e l’altrae poi lo stomaco si rovina, con tante caramel-le... Perché è bello, è “dolce” c h i a c c h i e r a re ,sembra una cosa bella; ma distrugge. E questoè il segnale che tu non ami».

Avviandosi alla conclusione dell’omelia ilPapa ha perciò suggerito: «Ognuno veda incuor suo. Io prego, per tutti, anche per gli an-tipatici e per coloro che so che non mi voglio-no bene? Io ho sentimenti di invidia, di gelo-sia, gli auguro del male? E terzo, il più chiaro:io sono un pettegolo, una pettegola? Se unapersona lascia di chiacchierare nella sua vita,io direi che è molto vicina a Dio: molto vicina.Perché non spettegolare custodisce il prossi-mo, custodisce Dio nel prossimo». Insomma,ha ribadito il Pontefice, «lo spirito del mondosi vince con questo spirito di fede: credere cheDio sia nel mio fratello, nella mia sorella. Lavittoria che ha vinto il mondo è la nostra fede.Soltanto con tanta fede si può andare su que-sta strada, non con pensieri umani di buonsenso... non bastano, aiutano, ma non sonosufficienti per questa lotta». Perché «soltantola fede ci darà la forza di non chiacchierare, dipregare per tutti, anche per i nemici e di nonlasciar crescere i sentimenti di gelosia e di invi-dia». E in definitiva, ha concluso Francesco,«il Signore, con questo brano della prima let-tera di san Giovanni apostolo ci chiede con-cretezza, nell’amore. Amare Dio: ma se tu nonami il fratello, non puoi amare Dio. E se tudici di amare tuo fratello ma in verità non loami, lo odi, tu sei un bugiardo».

L’omeliadel Pontefice

#santamartaLo spirito del mondo

si vince con lo spirito di fede:credere che Dio sia proprio nel fratello

e nella sorella che mi sono vicini

(@Pontifex_it)

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Humana communitas(La comunità umana)

La comunità umana è il sogno di Dio fin daprima della creazione del mondo (cfr. Ef 1, 3-14). In essa il Figlio eterno generato da Dio hapreso carne e sangue, cuore e affetti. Nel mi-stero della generazione la grande famigliadell’umanità può ritrovare sé stessa. Infatti,l’iniziazione famigliare alla fraternità tra lecreature umane può essere considerata comeun vero e proprio tesoro nascosto, in vista delriassetto comunitario delle politiche sociali edei diritti umani, di cui oggi si sente forte ne-cessità. Per questo occorre crescere nella con-sapevolezza della nostra comune discendenzadalla creazione e dall’amore di Dio. La fedecristiana confessa la generazione del Figlio co-me il mistero ineffabile dell’unità eterna di “fare s s e re ” e di “voler bene” che sta nell’intimitàdi Dio Uno e Trino. Il rinnovato annuncio diquesta trascurata rivelazione può aprire un ca-pitolo nuovo nella storia della comunità e del-la cultura umane, che oggi invocano — come“gemendo per dolori del parto” (cfr. Rm 8, 22)— una nuova nascita nello Spirito. Nel FiglioUnigenito si rivela la tenerezza di Dio e la suavolontà di riscatto di ogni umanità che si senteperduta, abbandonata, scartata, condannatasenza remissione. Il mistero del Figlio eterno,fattosi uno di noi, sigilla una volta per tutte

questa passione di Dio. Il mistero della suaCroce — «per noi e per la nostra salvezza» — edella sua Risurrezione — come «primogenitodi molti fratelli» (Rm 8, 29) — dice fino a chepunto questa passione di Dio è rivolta alla re-denzione e al compimento della creatura uma-na.

Dobbiamo restituire evidenza a questa pas-sione di Dio per l’umana creatura e il suomondo. Essa fu fatta da Dio a sua “immagine”— “maschio e femmina” la creò (cfr. Gen 1, 27)— come creatura spirituale e sensibile, consa-pevole e libera. La relazione tra l’uomo e ladonna costituisce il luogo eminente in cui l’in-tera creazione diventa interlocutrice di Dio etestimone del suo amore. Questo nostro mon-do è la dimora terrena della nostra iniziazionealla vita, il luogo e il tempo nel quale possia-mo già iniziare a gustare la dimora celeste allaquale siamo destinati (cfr. 2 Cor 5, 1), ove vi-vremo in pienezza la comunione con Dio econ tutti. La famiglia umana è una comunitàdi origine e di destinazione, la cui riuscita «ènascosta, con Cristo, in Dio» (Col 3, 1-4). Inquesto nostro tempo, la Chiesa è chiamata arilanciare con forza l’umanesimo della vita cheerompe da questa passione di Dio per la crea-tura umana. L’impegno a comprendere, pro-muovere e difendere la vita di ogni essereumano prende slancio da questo incondiziona-to amore di Dio. È la bellezza e l’attrattiva delVangelo, che non riduce l’amore del prossimoall’applicazione di criteri di convenienza eco-nomica e politica né ad «alcuni accenti dottri-nali o morali che procedono da determinateopzioni ideologiche» (Esort. ap. Evangelii gau-dium, 39).

Una storiaappassionata e feconda

1. Questa passione ha animato l’attività dellaPontificia Accademia per la Vita fin dal mo-mento della sua istituzione venticinque annifa, da parte di San Giovanni Paolo II, dietro

La fraternitàè la nuovaf ro n t i e r adel cristianesimo

In una letteraalla Pontificiaaccademiaper la vitail Papa invocaun umanesimosolidaletra le personee i popoli

#copertina

Tecnologia e salute

La Pontificia accademia perla vita fu istituita daGiovanni Paolo II l’11febbraio 1994 con ilmotuproprio Vitae mysterium,su suggerimento del grandegenetista Jérôme Lejeune. Il18 ottobre 2016, c’è statol’aggiornamento dellostatuto voluto da PapaFrancesco, che le haimpresso ulteriore impulsocon un approccio piùinterdisciplinare, e indialogo e collaborazionecon diverse tradizionireligiose, ampliando gliorizzonti geografici eculturali. Da qui i recentistudi condotti dagliaccademici sul ruolo el’impatto della tecnologiasulla vita umana e la salute,la bioetica globale, inparticolare nell’a re amaterno-infantile; lequestioni legate allarobotica e all’intelligenzaartificiale; le neuroscienze;l’ingegneria genetica.L’Accademia ha unsito internet(www.academyforlife.va) edè costituita da 151 membri:45 ordinari, 88corrispondenti, 14 dellacategoria giovani accademicie 4 onorari. Tra questi,provenienti dai cinquecontinenti, medici escienziati (anche un premioNobel), teologi, docenti ericercatori nelle scienzefisiche, biologiche, naturalie umane.

St Global Nomad FoundationArt Studio, «Solidarietà»

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suggerimento del Servo di Dio e grande scien-ziato Jérôme Lejeune. Questi, lucidamenteconvinto della profondità e della rapidità deicambiamenti in atto nel campo biomedico, ri-tenne opportuno sostenere un impegno piùstrutturato e organico su questo fronte. L’Ac-cademia ha potuto così sviluppare iniziative distudio, formazione e informazione con l’obiet-tivo di rendere «manifesto che scienza e tecni-ca, poste al servizio della persona umana e deisuoi diritti fondamentali, contribuiscono al be-ne integrale dell’uomo e all’attuazione del pro-getto divino di salvezza (cfr. Gaudium et spes,35)» (GI O VA N N I PAOLO II, Motu proprio Vitaemysterium, 11 febbraio 1994, 3). Rinnovato slan-cio ha impresso alle attività dell’Accademial’elaborazione del nuovo Statuto (18 ottobre2016). L’intento è di rendere la riflessione suquesti temi sempre più attenta al contesto con-temporaneo, in cui il ritmo crescente dell’inno-vazione tecnoscientifica e la globalizzazionemoltiplicano le interazioni, da una parte, traculture, religioni e saperi diversi, dall’altra, trale molteplici dimensioni della famiglia umanae della casa comune che essa abita. «È urgen-te, perciò, intensificare lo studio e il confrontosugli effetti di tale evoluzione della società insenso tecnologico per articolare una sintesi an-tropologica che sia all’altezza di questa sfidaepocale. L’area della vostra qualificata consu-lenza non può quindi essere limitata alla solu-zione delle questioni poste da specifiche situa-zioni di conflitto etico, sociale o giuridico.L’ispirazione di condotte coerenti con la di-gnità della persona umana riguarda la teoria ela pratica della scienza e della tecnica nella lo-ro impostazione complessiva in rapporto allavita, al suo senso e al suo valore» (D i s c o rs oall’Assemblea Generale della Pontificia Accademiaper la Vita, 5 ottobre 2017).

Degrado dell’umanoe paradosso del “p ro g re s s o ”

2. In questo momento della storia la passio-ne per l’umano, per l’intera umanità, è in gra-ve difficoltà. Le gioie delle relazioni familiari edella convivenza sociale appaiono profonda-mente logorate. La diffidenza reciproca deisingoli e dei popoli si nutre di una smodata ri-cerca del proprio interesse e di una competi-zione esasperata, che non rifugge dalla violen-za. La distanza fra l’ossessione per il propriobenessere e la felicità dell’umanità condivisasembra allargarsi: sino a far pensare che fra ilsingolo e la comunità umana sia ormai in cor-so un vero e proprio scisma. Nell’EnciclicaLaudato si’ ho posto in luce lo stato di emer-genza in cui si trova il nostro rapporto con lastoria della terra e dei popoli. È un allarmeprovocato dalla poca attenzione accordata allagrande e decisiva questione dell’unità della fa-miglia umana e del suo futuro. L’erosione diquesta sensibilità, ad opera delle potenze mon-dane della divisione e della guerra, è in cresci-ta globale, con una velocità ben superiore aquella della produzione dei beni. Si tratta diuna vera e propria cultura — anzi, sarebbe me-glio dire di un’anti-cultura — dell’i n d i f f e re n z aper la comunità: ostile agli uomini e alle don-ne e alleata con la prepotenza del denaro.

3. Questa emergenza rivela un paradosso:come è potuto accadere che, proprio nel mo-mento della storia del mondo in cui le risorseeconomiche e tecnologiche disponibili ci con-sentirebbero di prenderci sufficientemente curadella casa comune e della famiglia umana,onorando la consegna di Dio stesso, proprioda esse, dalle risorse economiche e tecnologi-che, vengono le nostre divisioni più aggressivee i nostri incubi peggiori? I popoli avvertonoacutamente e dolorosamente, per quanto spes-

ripiegati su noi stessi. Il sistema del denaro el’ideologia del consumo selezionano i nostribisogni e manipolano i nostri sogni, senza al-cun riguardo per la bellezza della vita condivi-sa e per l’abitabilità della casa comune.

Un ascolto responsabile4. Il popolo cristiano, raccogliendo il grido

delle sofferenze dei popoli, deve reagire aglispiriti negativi che fomentano la divisione,l’indifferenza, l’ostilità. Deve farlo non soltan-to per sé, ma per tutti. E deve farlo subito,prima che sia troppo tardi. La famiglia eccle-siale dei discepoli — e di tutti gli ospiti checercano in essa le ragioni della speranza (cfr. 1Pt 3, 15) — è stata seminata sulla terra come«sacramento [...] dell’intima unione con Dio edell’unità di tutto il genere umano» (Lumengentium, 1). La riabilitazione della creatura diDio alla lieta speranza della sua destinazionedeve diventare la passione dominante del no-stro annuncio. È urgente che gli anziani creda-no di più ai loro “sogni” migliori; e che i gio-vani abbiano “visioni” capaci di spingerli a im-pegnarsi coraggiosamente nella storia (cfr. Gl3, 1). Una nuova prospettiva etica universale,

so confusamente, l’avvilimento spirituale — p o-tremmo dire il nichilismo — che subordina lavita a un mondo e a una società succubi diquesto paradosso. La tendenza ad anestetizza-re questo profondo disagio, attraverso una cie-ca rincorsa al godimento materiale, produce lamalinconia di una vita che non trova destina-zione all’altezza della sua qualità spirituale.Dobbiamo riconoscerlo: gli uomini e le donnedel nostro tempo sono spesso demoralizzati edisorientati, senza visione. Siamo un po’ tutti

#copertina

Robot e salute

«Roboetica. Persone,macchine e salute» è il temache verrà approfonditonell’ambito della prossimaassemblea generale dellaPontificia accademia per lavita — in programma dal 25al 27 febbraio nell’aulanuova del Sinodo — i cuicontenuti sono statipresentati martedì 15gennaio nella Sala stampadella Santa Sede da PaoloBenanti e Laura Palazzani.Sacerdote del terz’o rd i n eregolare francescano,Benanti insegna teologiamorale ed etica delletecnologie alla Gregoriana.«L’avvento della ricercadigitale, dove tutto vienetrasformato in dati numerici— ha esordito — porta allacapacità di studiare ilmondo secondo nuoviparadigmi». E l’esito diquesta rivoluzione, haaggiunto, «è il dominiodell’informazione: unlabirinto concettuale la cuidefinizione più diffusa èbasata sull’a l t re t t a n t oproblematica categoria didati». Un’evoluzione che siconcretizza nelle intelligenzeartificiali (Ai) e nei robot:«Siamo in grado — ha detto— di costruire macchine chepossono prendere decisioniautonome e coesistere conl’uomo», come leautomobili a guidaautonoma o i sistemi diradio chirurgia e i robotnelle fabbriche. «Le Ai sonopervasive», ha fatto notare,e «stanno insinuandosi inogni ambito della nostraesistenza. Tanto nei sistemidi produzione, quanto inquelli di gestionesostituendo i server e glianalisti». Tuttavia «ilpericolo maggiore non vienedalle Ai ma dal nonconoscere queste tecnologiee dal lasciare decidere sulloro impiego a una classedirigente assolutamentenon preparata».Docente di biogiuridicae filosofia del diritto allaLumsa, la professoressaPalazzani da parte sua hafatto notare come larobotica abbia fattostraordinari progressi,trasformando «oggettimeccanici e statici, passivi,ripetitivi ed esecutivi» in«enti “autonomi”, in gradodi muoversi e interagire conl’ambiente; con capacità diapprendimento eadeguamento, di percezione,analisi, ragionamento,decisione, espressione», i cui«molteplici ambiti diapplicazione sociale» — siacivile, «uso domestico,ludico, medico-sanitario,educativo, ambientale», siamilitare — sollevano«complessi quesiti etici cheesigono una riflessioneinterdisciplinare, condivisaa livello internazionale,in vista di unaregolamentazione e di una“governance”».

Giovanni Paolo II

con Jérôme Lejeune

il Settimanale L’Osservatore Romanogiovedì 17 gennaio 2019

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La comunità umana

Lettera del Papaalla Pontificia

accademiaper la vita

James Crabb« B ro t h e r h o o d »

#copertina

Il punto focale

È il titolo stesso Humanacommunitas a indicareesattamente il punto focaledell’impegno dellaPontificia accademia per lavita: lo sottolineal’arcivescovo presidenteVincenzo Paglia nellapresentazione della letteradi Papa Francesco peri venticinque annidell’istituzione. «Mentresiamo nel mezzo dellequestioni relative allacustodia del creato — spiegail presule — si affacciaall’umanità una nuova e benpiù profonda problematicarelativa alla famigliaumana»: infatti l’attenzionesulla “casa comune” «èentrata tra le frontiere chedecidono il futuro delpianeta». Oggi, premettePaglia, «si fa sempre piùurgente, per gli straordinariprogressi della tecnica, unarinnovata attenzione allafamiglia umana nella suainterezza». Ed è su di essache il Papa richiamal’attenzione dell’Accademia,invitando a un allargamentosemantico. «La “vita”— commenta il presidente —non è un concettouniversale astratto: è l’uomonella sua storia, è l’interafamiglia umana nella tramadei suoi legami»,soprattutto a motivodell’«indebolimento dellafraternità» che «contaminatutte le scienze dell’uomo».Per questo nella missiva ilPapa «si interroga sullamissione della Chiesa. E sichiede se come credentiabbiamo dato un contributoadeguato alla costruzione diun umanesimo che non siasolo confinato nel contestoecclesiale, ma capace diispirare, motivare e attuarenel mondo una convivenzacivile più fraterna».Successivamente la letteraentra nel vivo di alcuniargomenti specifici a partiredalla bioetica globale.«I processi dellaglobalizzazione — dicel’arcivescovo — colleganosempre più strettamente lequestioni che riguardano lavita e la salute allecondizioni sociali eambientali. Quindi mettonoin gioco la pratica dellagiustizia». E «data lapluralità di culture e disaperi scientifici cheinteragiscono sempre piùstrettamente, occorreelaborare criteri operativiuniversalmente condivisibiliche siano incisivi sulladeterminazione dellepolitiche nazionali einternazionali». Nellapratica quindi il terreno sucui avviene il confrontosono i diritti umani e diconseguenza bisogna«favorire una loro correttainterpretazione». Altro tematrattato è quello dellecosiddette tecnologieemergenti e convergenti(ovvero nanotecnologie,

attenta ai temi del creato e della vita umana, èl’obiettivo al quale dobbiamo puntare sul pia-no culturale. Non possiamo continuare sullastrada dell’errore perseguito in tanti decenni didecostruzione dell’umanesimo, confuso conuna qualsiasi ideologia della volontà di poten-za. Dobbiamo contrastare una simile ideolo-gia, che si avvale dell’appoggio convinto delmercato e della tecnica, in favore dell’umanesi-mo. La differenza della vita umana è un beneassoluto, degno di essere eticamente presidia-to, prezioso per la cura di tutta la creazione.Lo scandalo è il fatto che l’umanesimo con-traddica sé stesso, invece di prendere ispirazio-ne dall’atto dell’amore di Dio. La Chiesa perprima deve ritrovare la bellezza di questa ispi-razione e fare la sua parte, con rinnovato entu-siasmo.

Un compito difficileper la Chiesa

5. Siamo consapevoli di avere incontratodifficoltà, nella riapertura di questo orizzonteumanistico, anche in seno alla Chiesa. Per pri-mi, dunque, ci interroghiamo sinceramente: lecomunità ecclesiali, oggi, hanno una visione edanno una testimonianza all’altezza di questaemergenza dell’epoca presente? Sono seria-mente concentrate sulla passione e sulla gioiadi trasmettere l’amore di Dio per l’abitare deisuoi figli sulla Terra? O si perdono ancoratroppo nei propri problemi e in timidi aggiu-stamenti che non superano la logica del com-promesso mondano? Dobbiamo seriamentedomandarci se abbiamo fatto abbastanza peroffrire il nostro specifico contributo come cri-stiani a una visione dell’umano capace di so-stenere l’unità della famiglia dei popoli nelleodierne condizioni politiche e culturali. O seaddirittura ne abbiamo perso di vista la cen-tralità, anteponendo le ambizioni della nostraegemonia spirituale sul governo della città se-colare, chiusa su sé stessa e sui suoi beni, allacura della comunità locale, aperta all’ospitalitàevangelica per i poveri e i disperati.

C o s t ru i reuna fraternità universale

6. È tempo di rilanciare una nuova visioneper un umanesimo fraterno e solidale dei sin-goli e dei popoli. Noi sappiamo che la fede el’amore necessari per questa alleanza attingonoil loro slancio dal mistero della redenzione del-la storia in Gesù Cristo, nascosto in Dio fin daprima della creazione del mondo (cfr. Ef 1, 7-10; 3, 9-11; Col 1, 13-14). E sappiamo anche chela coscienza e gli affetti della creatura umananon sono affatto impermeabili, né insensibilialla fede e alle opere di questa fraternità uni-versale, seminata dal Vangelo del Regno diDio. Dobbiamo rimetterla in primo piano.Perché una cosa è sentirsi costretti a vivere in-sieme, altra cosa è apprezzare la ricchezza e labellezza dei semi di vita comune che devonoessere cercati e coltivati insieme. Una cosa èrassegnarsi a concepire la vita come lotta con-

tro mai finiti antagonisti, altra cosa è ricono-scere la famiglia umana come segno della vita-lità di Dio Padre e promessa di una destina-zione comune al riscatto di tutto l’amore che,già ora, la tiene in vita.

7. Tutte le vie della Chiesa conduconoall’uomo, come ha solennemente proclamato ilsanto Papa Giovanni Paolo II nella sua Enci-clica inaugurale (Redemptor hominis, 1979). Pri-ma di lui San Paolo VI aveva ricordato, an-ch’egli nell’Enciclica programmatica e secondola lezione del Concilio, che la familiarità dellaChiesa si estende per cerchi concentrici adogni uomo: persino a chi si ritiene estraneo al-la fede e all’adorazione di Dio (cfr. Enc. Eccle-siam suam, 1964). La Chiesa ospita e custodi-sce i segni della benedizione e della misericor-dia che sono destinati da Dio per ogni essereumano che viene in questo mondo.

R i c o n o s c e rei segni di speranza

8. In questa missione ci sono di incoraggia-mento i segni dell’operare di Dio nel tempoattuale. Essi vanno riconosciuti, evitando chel’orizzonte venga oscurato dagli aspetti negati-vi. In questa ottica San Giovanni Paolo II re -gistrava i gesti di accoglienza e di difesa dellavita umana, il diffondersi di una sensibilitàcontraria alla guerra e alla pena di morte, unacrescente attenzione alla qualità della vita eall’ecologia. Egli indicava anche fra i segni disperanza la diffusione della bioetica, come «ri-flessione e dialogo — tra credenti e non cre-denti, come pure tra credenti di diverse reli-gioni — su problemi etici, anche fondamentali,

che interessano la vita dell’uomo» (Enc. Evan-gelium vitae, 25 marzo 1995, 27). La comunitàscientifica della Pontificia Accademia per laVita ha mostrato, nei suoi venticinque anni distoria, di inscriversi precisamente in questaprospettiva, offrendo il proprio apporto alto equalificato. Ne sono testimonianza l’imp egnoper la promozione e la tutela della vita umanain tutto l’arco del suo svolgersi, la denunciadell’aborto e della soppressione del malato co-me mali gravissimi, che contraddicono lo Spi-rito della vita e ci fanno sprofondare nell’anti-cultura della morte. Su questa linea occorrecertamente continuare, con attenzione ad altreprovocazioni che la congiuntura contempora-nea offre per la maturazione della fede, peruna sua più profonda comprensione e per piùadeguata comunicazione agli uomini di oggi.

Il futuro dell’Accademia9. Dobbiamo anzitutto abitare la lingua e le

storie degli uomini e delle donne del nostrotempo, inserendo l’annuncio evangeliconell’esperienza concreta, come il Concilio Vati-cano II ci ha indicato autorevolmente. Per co-gliere il senso della vita umana, l’esperienza acui riferirsi è quella che si può riconoscere nel-la dinamica della generazione. Si eviterà cosìdi ridurre la vita o a un concetto solamentebiologico o a un universale astratto dalle rela-zioni e dalla storia. L’appartenenza originariaalla carne precede e rende possibile ogni ulte-riore consapevolezza e riflessione, scongiuran-do la pretesa del soggetto di essere origine asé stesso. Possiamo solo diventare consapevolidi essere in vita una volta che già l’abbiamo ri-cevuta, prima di ogni nostra intenzione e deci-sione. Vivere significa necessariamente esserefigli, accolti e curati, anche se talvolta in modoinadeguato. «Appare allora ragionevole gettareun ponte tra quella cura che si è ricevuta findall’inizio della vita, e che ha consentito ad es-sa di dispiegarsi in tutto l’arco del suo svolger-si, e la cura da prestare responsabilmente aglialtri. [...] Questo prezioso legame sta a presi-dio di una dignità, umana e teologale, che noncessa di vivere, neppure con la perdita dellasalute, del ruolo sociale e del controllo sulproprio corpo» (Lettera del Cardinale Segretariodi Stato in occasione del Convegno sulle cure pal-liative, 28 febbraio 2018).

10. Noi sappiamo bene che la soglia del ri-spetto fondamentale della vita umana è violataoggi in modi brutali non solo da comporta-menti individuali, ma anche dagli effetti discelte e di assetti strutturali. L’o rg a n i z z a z i o n edel profitto e il ritmo di sviluppo delle tecno-logie offrono inedite possibilità di condiziona-re la ricerca biomedica, l’orientamento educati-vo, la selezione dei bisogni, la qualità umanadei legami. La possibilità di indirizzare lo svi-luppo economico e il progresso scientificoall’alleanza dell’uomo e della donna, per la cu-ra dell’umanità che ci è comune e per la digni-tà della persona umana, attinge certamente aun amore per la creazione che la fede ci aiutaad approfondire e a illuminare. La prospettivadella bioetica globale, con la sua visione am-

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pia e l’attenzione all’impatto dell’ambiente sul-la vita e sulla salute, costituisce una notevoleopportunità per approfondire la nuova allean-za del Vangelo e della creazione.

11. La comunanza nell’unico genere umanoimpone un approccio globale e chiede a noitutti di affrontare le domande che si pongononel dialogo tra le diverse culture e società che,

nel mondo di oggi, sono sempre più stretta-mente a contatto. Possa l’Accademia per la Vi-ta essere luogo coraggioso di questo confrontoe dialogo a servizio del bene di tutti. Non ab-biate paura di elaborare argomentazioni e lin-guaggi che siano spendibili in un dialogo in-terculturale e interreligioso, oltre che interdi-sciplinare. Partecipate alla riflessione sui dirittiumani, che costituiscono uno snodo centralenella ricerca di criteri universalmene condivisi-bili. È in gioco la comprensione e la pratica diuna giustizia che mostri il ruolo irrinunciabiledella responsabilità nel discorso sui dirittiumani e la loro stretta correlazione con i dove-ri, a partire dalla solidarietà con chi è mag-giormente ferito e sofferente. Papa BenedettoXVI ha molto insistito sull’importanza di «sol-lecitare una nuova riflessione su come i dirittipresuppongano doveri senza i quali si trasfor-mano in arbitrio. Si assiste oggi a una pesantecontraddizione. Mentre, per un verso, si riven-dicano presunti diritti, di carattere arbitrario evoluttuario, con la pretesa di vederli ricono-sciuti e promossi dalle strutture pubbliche, perl’altro verso, vi sono diritti elementari e fonda-mentali disconosciuti e violati nei confronti di

tanta parte dell’umanità», fra i quali il Papaemerito menziona «la mancanza di cibo, di ac-qua potabile, di istruzione di base o di curesanitarie elementari» (Enc. Caritas in veritate,43).

12. Un ulteriore fronte su cui occorre svilup-pare la riflessione è quello delle nuove tecno-logie oggi definite “emergenti e convergenti”.Esse includono le tecnologie dell’informazionee della comunicazione, le biotecnologie, le na-notecnologie, la robotica. Avvalendosi dei ri-sultati ottenuti dalla fisica, dalla genetica edalle neuroscienze, come pure della capacità dicalcolo di macchine sempre più potenti, è oggipossibile intervenire molto profondamente nel-la materia vivente. Anche il corpo umano è su-scettibile di interventi tali che possono modifi-care non solo le sue funzioni e prestazioni, maanche le sue modalità di relazione, sul pianopersonale e sociale, esponendolo sempre piùalle logiche del mercato. Occorre quindi anzi-tutto comprendere le trasformazioni epocaliche si annunciano su queste nuove frontiere,per individuare come orientarle al servizio del-la persona umana, rispettando e promuovendola sua intrinseca dignità. Un compito assai esi-gente, data la complessità e l’incertezza suglisviluppi possibili, che richiede un discernimen-to ancora più attento di quanto è abitualmenteauspicabile. Un discernimento che possiamodefinire come «il sincero lavoro della coscien-za, nel proprio impegno di conoscere il benepossibile in base a cui decidersi responsabil-mente nel corretto esercizio della ragione pra-tica» (Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani,Documento finale, 27 ottobre 2018, 109). Unpercorso di ricerca e di valutazione che avvie-ne quindi attraverso le dinamiche della co-scienza morale e che per il credente si svolgeall’interno e alla luce della relazione con il Si-gnore Gesù, assumendo la sua intenzionalitànell’agire e i suoi criteri di scelta (cfr. Fil 2, 5).

13. La medicina e l’economia, la tecnologia ela politica che vengono elaborate al centro del-la moderna città dell’uomo, devono rimanereesposte anche e soprattutto al giudizio che vie-ne pronunciato dalle periferie della terra. Difatto, le molte e straordinarie risorse messe adisposizione della creatura umana dalla ricercascientifica e tecnologica rischiano di oscurarela gioia della condivisione fraterna e la bellez-za delle imprese comuni, dal cui servizio rica-vano in realtà il loro autentico significato.Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimanela promessa mancata della modernità. Il respi-ro universale della fraternità che cresce nel re-ciproco affidamento — all’interno della cittadi-nanza moderna, come fra i popoli e le nazioni— appare molto indebolito. La forza della fra-ternità, che l’adorazione di Dio in spirito e ve-rità genera fra gli umani, è la nuova frontieradel cristianesimo. Ogni dettaglio della vita delcorpo e dell’anima in cui lampeggiano l’a m o ree il riscatto della nuova creatura che si va for-mando in noi, sorprende come il vero e pro-prio miracolo di una risurrezione già in atto(cfr. Col 3, 1-2). Il Signore ci doni di moltipli-care questi miracoli! La testimonianza di SanFrancesco d’Assisi, con la sua capacità di rico-noscersi fratello di tutte le creature terrestri ecelesti, ci ispiri nella sua perenne attualità. IlSignore vi conceda di essere pronti per questanuova fase della missione, con le lampade cari-che di olio dello Spirito, per illuminare la stra-da e guidare i vostri passi. I piedi di coloroche portano il lieto annuncio dell’amore diDio per la vita di ciascuno e di tutti coloroche abitano la terra, sono bellissimi (cfr. Is 52,7; Rm 10, 15).

Dal Vaticano, 6 gennaio 2019

#copertina

biotecnologie, tecnologiedell’informazione e scienzecognitive) che dilatano lacapacità di interventoumano «sulla materiavivente, aprendo nuovi spazialla nostra responsabilità.Questo vale per le terapie,— afferma Paglia — maanche per le ipotesi dipotenziamento degliorganismi». Perciò «èimportante rendersi contoche non si tratta solo direndere più efficienti singolefunzioni dell’organismo o ditrasferirle su supportiartificiali; è in gioco unnuovo rapporto con ilmondo». Anche perché,«nuovi dispositiviinformatici si annidano concrescente pervasività in variambiti di realtà, incluso ilnostro corpo, sempre piùesposto alle dinamichedell’amministrazionesecondo criteri dellatecnoscienza», aggiungefacendo riferimento allesfide della tecnocrazia edella biopolitica.Da qui l’esortazione diFrancesco rilanciata dalpresule affinché «losviluppo e l’impiego diqueste straordinarie risorsesia orientato allapromozione della dignitàdella persona e al bene piùuniversale», onde «evitaresia il rischio delriduzionismo dell’umano,sia l’altro ancor piùpericoloso di sostituzionedell’umano». Difatti, è lasua denuncia, «l’utopiatecnocratica prepara lastrada a un potenziamentofunzionale del quale ciimmaginiamo padroni,mentre ne diventiamoschiavi».Infine il Papa chiedeall’Accademia di entrare neiterritori della tecnica,percorrendoli senza risposteprefabbricate dedotte dauna teoria astrattaprecostituita, ma mettendosiin ascolto dei fenomeninella loro complessità eimpegnandosi in un lavorodi interpretazione.

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Vi do il benvenuto e vi ringrazio per la vostravisita, molto gradita. Ringrazio il Presidenteper la sua introduzione, in particolare per averricordato a tutti noi l’antico detto “historia ma-gistra vitae”, una massima molto significativa elegata al vostro importante e generoso magi-s t e ro .

Un amico dei vostri “padri fondatori” e del-la vostra Associazione, il padre gesuita Giaco-mo Martina, acuto storico della Chiesa, a lun-go docente alla Gregoriana e maestro di moltidi voi, mi dicono che fosse solito ricordare aisuoi studenti che la storia è certamente mae-stra di vita, ma che ha anche ben pochi allie-vi!

Invece voi, di “allievi”, in senso lato, ne ave-te molti — come Lei, Padre, diceva —: li avetenei seminari, nelle università pontificie, neiconvegni, negli incontri di studio, e anche nel-la rivista, di cui mi avete fatto omaggio. Statedunque dando un valido aiuto allo studio del-

la storia e al suo magistero: grazie per questoservizio e per questa testimonianza appassio-nata.

In effetti, la storia, studiata con passione,può e deve insegnare molto all’oggi, così di-sgregato e assetato di verità, di pace e di giu-stizia. Basterebbe che, attraverso di essa, impa-rassimo a riflettere con sapienza e coraggio su-gli effetti drammatici e malvagi della guerra,delle tante guerre che hanno travagliato il

cammino dell’uomo su questa terra. E non im-pariamo!

L’Italia — e in particolare la Chiesa italiana— è così ricca di testimonianze del passato!Questa ricchezza non deve essere un tesoro so-lo da custodire gelosamente, ma deve aiutarcia camminare nel presente verso il futuro. Lastoria della Chiesa, della Chiesa italiana rap-presenta infatti un punto di riferimento essen-ziale per tutti coloro che vogliono capire, ap-profondire e anche godere del passato, senzatrasformarlo in un museo o, peggio, in un ci-mitero di nostalgie, ma per renderlo vivo eben presente ai nostri occhi.

Ma — come voi mi insegnate — al centrodella storia c’è una Parola che non nasce scrit-ta, non ci viene dalle ricerche dell’uomo, ma ciè donata da Dio e viene testimoniata anzituttocon la vita e dentro la vita. Una Parola cheagisce nella storia e la trasforma dall’interno.Questa Parola è Gesù Cristo, che ha segnato eredento così profondamente la storia dell’uo-mo da marcare lo scorrere del tempo in unprima di Lui e un dopo di Lui.

E l’accoglienza piena di questa sua azionesalvatrice e misericordiosa dovrebbe rendere lostorico credente uno studioso ancora più ri-spettoso dei fatti e della verità, delicato e at-tento nella ricerca, coerente testimone nell’in-segnamento. Dovrebbe allontanarlo da tutte lemondanità legate alla presunzione di sapere,come la bramosia della carriera o del ricono-scimento accademico, o la convinzione di po-ter giudicare da sé fatti e persone. Infatti, lacapacità di intravvedere la presenza di Cristo eil cammino della Chiesa nella storia ci rendo-no umili, e ci tolgono dalla tentazione di rifu-giarci nel passato per evitare il presente. Equesta è stata l’esperienza di tanti, tanti stu-diosi, che hanno incominciato, non dico atei,ma un po’ agnostici, e hanno trovato Cristo.Perché la storia non si poteva capire senzaquesta forza.

Ecco dunque, cari fratelli e sorelle, il mioaugurio: che il vostro non facile magistero e lavostra testimonianza contribuiscano a far con-

Anche gli ultimifanno la storia

#francesco

Il Papa invitaa riconoscerel’opera di Cristonelle vicendedella Chiesae del mondo

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Anche gli umili, gli ultimi, sono «attoridella storia». È la significativa sottolineatura fattadal Papa nel discorso a un gruppo di storici ricevutinella mattina di sabato 12 gennaio, nella saladel Concistoro del Palazzo apostolico vaticano.Si trattava degli accademici partecipantial convegno triennale dell’Associazione italianadei professori di storia della Chiesa (Aipsc), riunitisialla Lumsa il 10 e l’11 per fare il punto sulle attivitàdi ricerca e divulgazione nel post-concilio.Nella circostanza i presenti hanno donatoal Pontefice il nuovo numero della rivista «Chiesae storia», che contiene gli atti del precedenteconvegno su Vita regularis sine regula in Italia, e i duevolumi del dizionario storico tematico «La Chiesain Italia» pubblicato di recente. Alcuni traprofessori, cultori anche di materie affini e studentipartecipanti all’udienza — ha detto il presidentepadre Filippo Lovison presentandoli al Papa — nonsono sacerdoti ma laici «con cui ci confrontiamoe dialoghiamo alla luce della comune passioneper la verità». Dopo aver ricordato chel’associazione «è nata dal basso» come fruttodi un incontro scaturito dal Vaticano II e tenutosinel 1967 alla Mendola, il religioso barnabita ha fattonotare come in breve tempo essa sia «divenuta

Cinquant’anni di libero confronto

templare Cristo, pietra angolare, che operanella storia e nella memoria dell’umanità e ditutte le culture. E che Lui vi doni sempre digustare la sua presenza salvatrice nei fatti, neidocumenti, negli avvenimenti, grandi o piccoliche siano. Soprattutto, direi, i fatti degli umili,degli ultimi, pure essi attori della storia. Equesta sarà davvero la strada maestra per avereaccanto a sé forse pochi allievi, ma davverobuoni, generosi e preparati.

Non vorrei finire senza un ricordo per padreGiacomo Martina, che ho menzionato, e dire

l’esperienza che ho avuto con lui. Mi è statopresentato da un gesuita argentino, non italia-no, padre Ugo Vanni: erano amici. Poi io an-davo a trovare padre Martina, e lui consigliavasempre cose concrete: “Leggete questo. Legge-te quell’a l t ro . . . ”. E così io mi sono entusiasma-to alla lettura della storia, e ho avuto anche lapazienza di leggere tutta la storia dei Papi divon Pastor, grazie a questi consigli. Trentasettevolumi! E mi ha fatto bene. Vi ringrazio anco-ra per questo incontro e benedico di cuore voie il vostro lavoro. Per favore, non dimenticate-vi di pregare per me.

un luogo di incontro aperto a tutti,laboratorio di libero confronto all’insegnadel rigore dello studio e dell’applicazionedel metodo storico-critico».«Noi professori — ha concluso — stiamo in mezzoalle nostre pecorelle, gli studenti che da ogni angolodel mondo vengono nell’Urbe. A loro dedichiamole nostre energie affinché grazie all’historia magistravitae si impegnino realmente e personalmentea essere loro stessi autentici protagonisti della storia,di un mondo migliore e di una Chiesa più santa».Nata all’indomani del concilio per favorireil coordinamento e l’aggiornamento dei docentidi storia della Chiesa nei seminari italiani, l’Aipscfu promossa da monsignor Michele Maccarrone,della Pontificia università Lateranense, e presidentedel Pontificio comitato di scienze storiche;dal gesuita Vincenzo Monachino, decanodella facoltà di storia ecclesiastica della Gregoriana,e da monsignor Pietro Zerbi, dell’Universitàcattolica del Sacro Cuore. Le prime riunioni furonodedicate ad approfondire i periodi che vannodall’antichità al Medio evo, dall’età modernaa quella contemporanea. E dal 2001 oltreai convegni triennali, organizza forum annualidi carattere didattico-metodologico per i 150 soci.

#francesco

LETTERE DAL DIRETTORE

Non mi ha sorpreso ascoltare dalla voce delSanto Padre per ben due volte sabatoscorso nel suo discorso ai professori distoria della Chiesa, un saluto alla memoriadel padre gesuita Giacomo Martina,scomparso nel febbraio del 2012, insignemaestro appunto nel campo dellastoriografia del cristianesimo. Il primocenno è stato inoltre relativo a una battutadel compianto gesuita sul fatto che: «Lastoria è certamente maestra di vita, ma cheha anche ben pochi allievi!».Non mi ha sorpreso per il semplice motivoche, tanti anni fa, anch’io sono stato allievodi padre Martina all’Università Gregoriana,forse uno dei suoi ultimi studenti, e possoconfermare non solo la sua vasta e profondacompetenza nella materia ma, soprattutto,quella presenza di spirito che locontraddistingueva per un pungente sensodell’umorismo. Il che per un professoreuniversitario è qualcosa di notevole, quantop re z i o s o .

A.M.

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Dire che il cuore batteva forte per l’emozione èpoco. Prima un sentimento di stupore, poi ditimore e, infine, di gioia ha preso il sopravven-to. L’entusiasmo così ha contagiato tutte lemonache quando alla porta del monastero si èpresentato Papa Francesco per una visita pri-vata a sorpresa. Venerdì 11 gennaio sarà iscrittoa caratteri cubitali nel libro dei ricordi dellacomunità delle clarisse urbaniste del monaste-ro di Santa Maria di Vallegloria a Spello. IlPontefice si è presentato accompagnato dal ve-scovo di Foligno, monsignor Gualtiero Sigi-smondi, e da monsignor Yoannis Lahzi Gaid.

La badessa suor Maria Chiara raccontaall’Osservatore Romano con la voce ancora se-gnata dall’emozione quanto è avvenuto inquella storica mezza giornata. Papa Francescoè il secondo Pontefice dopo Gregorio IX a visi-tare il monastero. «È inesprimibile — dice —trasmettere la gioia e la sorpresa comunitarianell’aver visto comparire Papa Francesco nelnostro cortile». Al mattino, riferisce, «avevamoin programma una celebrazione con il nostrovescovo e con un sacerdote nostro amico.Monsignor Sigismondi ci ha tenuto nascostafino alla fine questa grande sorpresa per moti-vi di sicurezza. Per questo non ci aspettavamoassolutamente un dono così grande. Siamo ri-maste colpite dalla semplicità del pastore. Èstato veramente un padre. Abbiamo avuto lastessa gioia dei magi al comparire della stella».Infatti, prosegue citando il Vangelo, «al vederela stella, i tre magi provarono una grandegioia. E il Papa è stato per noi una stella per ilsuo grande magistero, per la sua autenticità, lasua semplicità, e l’unione con il Signore nellavita evangelica».

La giornata, racconta suor Maria Chiara, siè svolta con molta semplicità. Il Pontefice havisitato la chiesa grande, dove viene celebratala messa domenicale con i fedeli. Si è poi sof-fermato a vedere il presepe e quindi nella cap-pella privata ha presieduto la celebrazione eu-caristica con il vescovo e con monsignor Gaid.«Tutto si è svolto con molta semplicità — spie-ga la badessa — perché non eravamo prepara-

Con semplicitàe letizia

Il Ponteficetra le clarisseurbaniste di Spello

#francesco

di NICOLAGORI

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te. Abbiamo fatto quello che facciamo in ognicelebrazione, accompagnandola con i canti».D’altra parte, «la gioia e l’esultanza erano rad-doppiate, perché noi, al di là della persona,vedevamo in lui il “dolce Cristo in terra”, co-me lo definiva santa Caterina da Siena, venutonel nostro monastero per una incomprensibile“degnazione”, come diceva san Francesco».

Dopo la messa, il Pontefice ha incontrato lacomunità. «Tutto è stato molto spontaneo,non preparato» confessa suor Maria Chiara.«Ci ha chiesto — racconta — di porgli delledomande. Noi abbiamo scelto il tema della vi-ta fraterna, della spiritualità. E gli abbiamochiesto quali fossero le intenzioni di preghiera

di provvidenza, anche se la provvidenza ci vi-zia. Davvero possiamo testimoniare che il cen-tuplo promesso nel Vangelo lo sperimentiamotutti i giorni attraverso tantissime persone checi aiutano». Non smette la badessa di ripeterela sua gratitudine per questa visita. In quelmomento, aggiunge, «non eravamo preparatea grandi cose, ma la sua presenza è stata il do-no più grande. Forse nessuno pensava al pa-sto». Al contrario, aggiunge, «mi venivano inmente san Francesco e santa Chiara quando sisono incontrati a Santa Maria degli Angeli perun pasto che dovevano fare insieme ad altrifratelli e sorelle dopo tanti anni che non si ve-devano. Non hanno toccato cibo, ma gli abi-tanti del luogo vedevano salire intorno a loro

più urgenti per la Chiesa. Francesco ha condi-viso con noi le sue preoccupazioni e le suesperanze, come in un incontro in famiglia». IlPapa, continua, ha parlato «della nostra vita edella comunione con il Signore e con i fratelli.Queste due cose non vanno mai separate. Sesi perde una, si perde anche l’altra. Anzi, unaè il criterio di verifica dell’altra. Questo è statoil nucleo del suo messaggio per incoraggiare lanostra vita contemplativa, molto fraterna, per-ché siamo francescane e intorno alla fraternitàruota la nostra giornata».

Concluso il dialogo, c’è stato il pasto, «pre-parato con semplicità — rivela suor MariaChiara — visto che il suo arrivo era stata unasorpresa. D’altronde, viviamo una vita sobria

#francesco

un grande fuoco, perché i due santi parlavanodelle cose del cielo». Al termine del pasto, ilPapa ha lasciato il monastero nel primo pome-riggio per far ritorno in Vaticano.

Anche il vescovo di Foligno conferma cheper le monache questa visita è stata veramenteuna sorpresa: «Il Papa mi aveva manifestatopiù volte l’idea, poi ho capito che il viaggioaveva preso forma perché, nel nostro ultimoincontro, il Santo Padre mi ha mostrato di sa-pere precisamente distanza e tempo di percor-renza del viaggio per Spello. Alla vigilia diNatale ho conosciuto il programma e questagioia che non potevo condividere con nessunoha segnato tutte le celebrazioni di questi gior-ni».

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Proseguendo le catechesi sul “Padre nostro”, og-gi partiamo dall’osservazione che, nel NuovoTestamento, la preghiera sembra voler arrivareall’essenziale, fino a concentrarsi in una solaparola: Ab b à , Padre.

Abbiamo ascoltato ciò che scrive San Paolonella Lettera ai Romani: «Voi non avete rice-vuto uno spirito da schiavi per ricadere nellapaura, ma avete ricevuto lo Spirito che rendefigli adottivi, per mezzo del quale gridiamo:“Abbà! Padre!”» (8, 15). E ai Galati l’Ap ostolodice: «E che voi siete figli lo prova il fatto cheDio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suoFiglio, il quale grida: “Abbà! Padre!”» (Gal 4,6). Ritorna per due volte la stessa invocazione,nella quale si condensa tutta la novità del Van-gelo. Dopo aver conosciuto Gesù e ascoltatola sua predicazione, il cristiano non considerapiù Dio come un tiranno da temere, non neha più paura ma sente fiorire nel suo cuore la

di Gesù. Nella prima parola del “Padre no-s t ro ” troviamo subito la radicale novità dellapreghiera cristiana.

Non si tratta solo di usare un simbolo — inquesto caso, la figura del padre — da legare almistero di Dio; si tratta invece di avere, percosì dire, tutto il mondo di Gesù travasato nelproprio cuore. Se compiamo questa operazio-ne, possiamo pregare con verità il “Padre no-s t ro ”. Dire “Ab b à ” è qualcosa di molto più in-timo, più commovente che semplicementechiamare Dio “Pa d re ”. Ecco perché qualcunoha proposto di tradurre questa parola aramaicaoriginaria “Ab b à ” con “Pa p à ” o “Babb o”. Inve-ce di dire “Padre nostro”, dire “Papà, Babbo”.Noi continuiamo a dire “Padre nostro”, macon il cuore siamo invitati a dire “Pa p à ”, adavere un rapporto con Dio come quello di unbambino con il suo papà, che dice “papà” edice “babb o”. Infatti queste espressioni evoca-

no affetto, evocano calore, qualcosa che ciproietta nel contesto dell’età infantile: l’imma-gine di un bambino completamente avvoltodall’abbraccio di un padre che prova infinitatenerezza per lui. E per questo, cari fratelli esorelle, per pregare bene, bisogna arrivare adavere un cuore di bambino. Non un cuore suf-ficiente: così non si può pregare bene. Comeun bambino nelle braccia di suo padre, delsuo papà, del suo babbo.

Chiamare Dio “Pa p à ”con la fiducia di un bambino

Al l ’udienzag e n e ra l e

Francesco parladell’importanza

della prima paroladel Padre nostro

#catechesi

fiducia in Lui: può parlare con il Creatorechiamandolo “Pa d re ”. L’espressione è talmenteimportante per i cristiani che spesso si èconservata intatta nella sua forma originaria:“Ab b à ”.

È raro che nel Nuovo Testamento le espres-sioni aramaiche non vengano tradotte in gre-co. Dobbiamo immaginare che in queste paro-le aramaiche sia rimasta come “re g i s t r a t a ” lavoce di Gesù stesso: hanno rispettato l’idioma

Shai Yossef«Padre e figlio»

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«Nell’affermazione della vera giustizia e nelsostegno dei più deboli», occorrono «risposteconcrete, appropriate ed efficaci» mediante «unacomune e concorde testimonianza»: lo chiede PapaFrancesco a tutti i cristiani in vista della Settimanadi preghiera per l’unità che inizia il 18 gennaio.Tre giorni prima, all’udienza generale di mercoledì16 il Pontefice ha ricordato ai fedeli presentinell’aula Paolo VI l’appuntamento di venerdìprossimo, con la celebrazione dei vespri nellabasilica di San Paolo fuori le Mura, che inaugural’ottavario ecumenico incentrato quest’anno sul tema“Cercate di essere veramente giusti”. «Siamochiamati a pregare — ha ribadito in propositoFrancesco — affinché tutti i cristiani tornino a essereun’unica famiglia, coerenti con la volontà divina chevuole “che tutti siano una sola cosa” (Giovanni 17,21)». Del resto, ha aggiunto, «l’ecumenismo non èuna cosa opzionale». In precedenza proseguendole catechesi sul Padre nostro il Papa avevacommentato il brano della lettera di san Paoloapostolo ai Romani (8, 14-16).Al termine dell’udienza come di consueto ilPontefice si è soffermato con presenti, tra i quali ilcantautore Simone Cristicchi. «Che cos’è lafelicità?»: per rispondere «alla domanda delledomande» l’artista sta «bussando alle porte didonne e di uomini, coinvolgendo le clarisse che

Cristiani uniti

Ma sicuramente sono i Vangeli a introdurcimeglio nel senso di questa parola. Cosa signi-fica per Gesù, questa parola? Il “Padre nostro”prende senso e colore se impariamo a pregarlodopo aver letto, per esempio, la parabola delpadre misericordioso, nel capitolo 15° di Luca(cfr. Lc 15, 11-32). Immaginiamo questa pre-ghiera pronunciata dal figlio prodigo, dopoaver sperimentato l’abbraccio di suo padre chelo aveva atteso a lungo, un padre che non ri-corda le parole offensive che lui gli aveva det-to, un padre che adesso gli fa capire semplice-mente quanto gli sia mancato. Allora scopria-mo come quelle parole prendono vita, prendo-no forza. E ci chiediamo: è mai possibile cheTu, o Dio, conosca solo amore? Tu non cono-sci l’odio? No — risponderebbe Dio — io co-nosco solo amore. Dov’è in Te la vendetta, lapretesa di giustizia, la rabbia per il tuo onoreferito? E Dio risponderebbe: Io conosco soloa m o re .

Il padre di quella parabola ha nei suoi modidi fare qualcosa che molto ricorda l’animo diuna m a d re . Sono soprattutto le madri a scusarei figli, a coprirli, a non interrompere l’empatia

nei loro confronti, a continuare a voler bene,anche quando questi non meriterebbero piùniente.

Basta evocare questa sola espressione — Ab -bà — perché si sviluppi una preghiera cristiana.E San Paolo, nelle sue lettere, segue questastessa strada, e non potrebbe essere altrimenti,perché è la strada insegnata da Gesù: in que-sta invocazione c’è una forza che attira tutto ilresto della preghiera.

Dio ti cerca, anche se tu non lo cerchi. Dioti ama, anche se tu ti sei dimenticato di Lui.Dio scorge in te una bellezza, anche se tupensi di aver sperperato inutilmente tutti ituoi talenti. Dio è non solo un padre, è comeuna madre che non smette mai di amare la suacreatura. D’altra parte, c’è una “gestazione”che dura per sempre, ben oltre i nove mesi diquella fisica; è una gestazione che genera uncircuito infinito d’a m o re .

Per un cristiano, pregare è dire semplice-mente “Ab b à ”, dire “Pa p à ”, dire “Babb o”, dire“Pa d re ” ma con la fiducia di un bambino.

Può darsi che anche a noi capiti di cammi-nare su sentieri lontani da Dio, come è succes-so al figlio prodigo; oppure di precipitare inuna solitudine che ci fa sentire abbandonatinel mondo; o, ancora, di sbagliare ed essereparalizzati da un senso di colpa. In quei mo-menti difficili, possiamo trovare ancora la for-za di pregare, ricominciando dalla parola “Pa -d re ”, ma detta con il senso tenero di un bam-bino: “Ab b à ”, “Pa p à ”. Lui non ci nasconderà ilsuo volto. Ricordate bene: forse qualcuno hadentro di sé cose brutte, cose che non sa comerisolvere, tanta amarezza per avere fatto questoe quest’altro... Lui non nasconderà il suo vol-to. Lui non si chiuderà nel silenzio. Tu digli“Pa d re ” e Lui ti risponderà. Tu hai un padre.“Sì, ma io sono un delinquente...”. Ma hai unpadre che ti ama! Digli “Pa d re ”, incomincia apregare così, e nel silenzio ci dirà che mai ciha persi di vista. “Ma, Padre, io ho fatto que-sto...” — “Mai ti ho perso di vista, ho vistotutto. Ma sono rimasto sempre lì, vicino a te,fedele al mio amore per te”. Quella sarà la ri-sposta. Non dimenticatevi mai di dire “Pa d re ”.Grazie.

vivono in clausura insieme a poeti, filosofi, artistima anche poveri e immigrati, rappresentanti direligioni e culture diverse». Perciò ha raccontato aPapa Francesco i contenuti di questo «Manuale divolo per uomo», che sarà poi presentato in forma didocumentario il 5 febbraio al festival di Sanremodove sarà in gara con la canzone «Abbi cura dime». Un brano che, confida, «è una piccolapreghiera, una carezza al cuore».«Le persone più felici che ho incontrato sonoproprio le suore di clausura, hanno negli occhi unaluce speciale che non t’aspetti» ha confidatoCristicchi. «Il documentario — racconta — è unviaggio alla ricerca di un’umanità variegata, dispostaa mettersi in discussione e interrogarsi sul sensoprofondo dell’esistenza: scienziati, bambini,casalinghe, artigiani, sportivi, contadini, medici,tutti insieme uniti dall’unico obiettivo ci costruire,appunto, un “manuale di felicità”».Accanto a Cristicchi anche Cleiton Saraiva daCosta, noto in Brasile per le sue canzoni ispiratealla Sacra Scrittura.Particolarmente significativo anche l’incontro diFrancesco con un gruppo di parlamentari coreanigiunti in Italia per partecipare al convegnointernazionale «Co-governance - Corresponsabilitànelle città» promosso dal movimento dei focolaridal 17 al 20 gennaio a Castel Gandolfo.

#catechesi

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di GUA LT I E R OBASSETTI

Cento anni fa, il 18 gennaio 1919, don Sturzolanciava l’appello a tutti gli uomini liberi eforti con cui fondava il Partito popolare. Sen-za dubbio un manifesto politico ma anche iltraguardo finale di un lungo processo di matu-razione sociale, culturale e soprattutto religio-so. Un processo condiviso e non uno spotpubblicitario. Un processo complesso — passa-to attraverso una serie di sconfitte e doloroselacerazioni a causa della guerra — e non unascalata veloce al potere.

Cosa rimane oggi di quell’appello? Moltissi-mo a mio avviso. Ma volendo sintetizzare ri-mangono soprattutto tre grandi eredità su cuivale la pena riflettere.

In primo luogo rimane la figura di don Lui-gi Sturzo, la sua umanità, la sua cultura e lasua fede. Vittorio Bachelet ha scritto di lui:«Don Luigi Sturzo fu prima di tutto un sacer-dote. Un santo sacerdote». Un prete siciliano,figlio del nostro tragico e stupendo Mezzo-giorno, indiscutibilmente un uomo di Dio.Ciò che colpiva del sacerdote di Caltagirone,scrisse Jacques Maritain, «era la pace dell’ani-ma, la fiducia soprannaturale e una straordina-ria serenità la cui sorgente era nascosta inDio». E poi il suo impegno sociale per il benecomune senza cercare mai l’interesse o la glo-ria personale. Giovanni Paolo II, parlandoall’Università di Palermo nel 1982, disse chedon Luigi Sturzo «seppe infondere nei cattoli-ci italiani il senso del diritto-dovere della par-tecipazione alla cosa pubblica al servizio dellaverità e dei più deboli, mediante l'applicazionedei principi della dottrina sociale della Chie-sa».

In secondo luogo, di quell’appello rimanelo spirito di servizio all’umanità ferita. Cento

anni fa avevamo di fronte un’umanità travoltadalla Prima guerra mondiale: milioni di mortisul campo di battaglia e un mondo capovoltonei suoi valori e nelle sue gerarchie. Oggi, ab-biamo un’umanità ferita “in interiore homine” ela Chiesa che si fa “ospedale da campo” dop ouna guerra decennale combattuta non sui cam-pi di battaglia, ma nei cuori e sui corpi degliuomini e delle donne. Alla guerra morale si èpoi aggiunta una durissima crisi economicache ha distrutto certezze sociali che sembrava-no granitiche e ha generato paure collettive eriesumato antichi odi ideologici che minano lapacifica convivenza degli uomini.

In terzo luogo, infine, di quel manifesto dicento anni fa rimane l’assoluta centralità delladottrina sociale della Chiesa cattolica. Non mistancherò mai di sottolinearlo: una dottrinasociale ricchissima e ancora in larga parte sco-nosciuta e mai attuata. Don Luigi Sturzo ini-ziò il suo impegno sociale dopo la pubblica-zione enciclica Rerum novarum. Oggi abbiamoun vastissimo corpus di esperienze, cultura eproposte che meritano di essere condivise emesse in pratica. A partire dalla Laudato si’che — denunciando il “paradigma tecno-eco-nomico” che riduce l’uomo e l’ambiente asemplici oggetti da sfruttare in modo illimitatoe senza cura — ci esorta a custodire il pianetae l'intera umanità che lo abita.

Queste tre eredità dell’appello sturzianoparlano all’uomo contemporaneo, interroganoprofondamente la nostra società così marcata-mente individualista e nichilista e soprattuttoesortano a una riflessione profonda tutti i cat-tolici. Perché quell’appello, come ho detto al-tre volte, è il prodotto di una stagione alta enobile del cattolicesimo politico italiano cheha dato un contribuito fondamentale a costrui-re l’Italia contemporanea e a formare una ci-viltà basata sull’umanesimo cristiano. Una ci-viltà basata sulla dignità incalpestabile dellapersona umana che rinuncia, in nome del Van-gelo, a ogni volontà di oppressione del poveroe a ogni rigurgito xenofobo o razzista.

Oggi essere “liberi e forti” significa, primadi tutto, essere fedeli al Vangelo in ogni cam-po dell’agire umano, anche in quello politico,e farsi annunciatori gioiosi dell’amore di Cri-sto con mitezza, sobrietà e carità. In secondoluogo, significa resistere alla tentazione di se-guire i falsi profeti che celebrano Dio soltantocon la bocca ma che invece celebrano se stessie non sanno amare. E infine significa farsi di-fensori coraggiosi della persona umana in ognimomento dell’esistenza: perché la vita non siuccide, non si compra, non si sfrutta e non sio dia.

Liberi e forti

#dialoghi

L’attualitàdell’appellodi Luigi Sturzo

L’Osservatore Romanogiovedì 17 gennaio 2019il Settimanale

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di ENZOBIANCHI

N

L’oggi di Dio

27 gennaioIII domenica

del tempoo rd i n a r i o

Luca 1, 1-4;4, 14-21

el dare forma alla buona notizia, il Vangelo,attraverso il racconto, Luca ha la consapevo-lezza di una propria responsabilità davanti aDio e agli uomini. Davanti a Dio deve essereun «servo della Parola», capace di tenere con-to di altri scrittori precedenti a lui e più auto-revoli di lui: «i testimoni oculari», quelli chehanno vissuto nell’intimità e nella vita pubbli-ca con Gesù (cfr. At t i 1, 21-22); davanti agliuomini sente il dovere di rispondere a queiprimi cristiani della sua comunità, dando lorouna parola come cibo capace di nutrire e con-fermare la loro fede. Per questo ha compostoquello che chiamiamo il terzo vangelo, attin-gendo con cura alla tradizione apostolica manello stesso tempo scrivendo con le sue capaci-tà e la sua sensibilità a dei cristiani di linguagreca negli anni 70-80 della nostra era.

Il Vangelo è un canto a quattro voci, quat-tro racconti, quattro memorie: ma il canto po-lifonico resta un solo canto, e uno solo è ilVangelo fatto carne, uomo (cfr. Giovanni 1, 14),Gesù di Nazaret.

Luca è molto attento a testimoniare la pre-senza dello Spirito di Dio in Cristo Gesù —che è la Parola di Dio (cfr. Ivi 1, 1) — e lo Spi-rito santo sono «compagni inseparabili» (Basi-lio di Cesarea), dunque dove Gesù parla e agi-sce là c’è anche lo Spirito. Nei capitoli prece-denti del vangelo, quelli riguardanti la venutanel mondo del Figlio di Dio, Luca ha mostra-to che egli è stato concepito nell’utero di Ma-ria grazie alla potenza dello Spirito santo (cfr.1, 35), e la sua apparizione pubblica quale di-scepolo di Giovanni il Battista, che lo ha im-merso nel Giordano, è stata sigillata dalla di-scesa su di lui dello Spirito santo (cfr. 3, 22).Proprio questo Spirito conduce Gesù nel de-serto, dove viene tentato dal demonio (cfr. 4,1-2a), e lo accompagna — è l’inizio del nostrobrano liturgico — quando ritorna in Galilea, lasua terra, dalla quale si era allontanato per an-dare nel deserto e mettersi alla sequela delprofeta battezzatore. Con questa insistenzaLuca è intenzionato a far comprendere al let-tore che Gesù è “ispirato”, che la sua sorgente

interiore, il suo respiro profondo è lo Spiritodi Dio, il Soffio del Padre. Non è un profetacome gli altri, sui quali lo Spirito scendevamomentaneamente, perché in lui lo Spirito ri-posava, sostava, dimorava (cfr. Giovanni 1, 32),lo riempiva di quella forza (dýnamis) che nonè potere, ma partecipazione all’azione e allostile di Dio.

E cosa fa Gesù nel suo ritorno alla «Galileadelle genti» (Ma t t e o 4, 15; Isaia 8, 23), terraperiferica e impura? Va a «insegnare nelle si-nagoghe». Per iniziare la sua missione non hascelto né Gerusalemme né il tempio, ma quelleumili sale in cui si riunivano i credenti perascoltare le sante Scritture e offrire il loro ser-vizio liturgico al Signore. Nelle sinagoghe disabato si facevano preghiere, poi si leggeva laTorah (una pericope, una p a ra s h a h del Penta-teuco), la Legge, quindi si pregavano Salmi e,a commento della Torah, si proclamava unbrano (h a f t a ra h ) tratto dai Profeti. Non erauna liturgia diversa da quella che ancora ogginoi cristiani compiamo ogni domenica. Gesù èormai un uomo di circa trent’anni, non appar-tiene alla stirpe sacerdotale, quindi non è unsacerdote, è un semplice credente figlio diIsraele ma, diventato a dodici anni «figlio delcomandamento» (cfr. Luca 2, 41-42), è abilita-

#meditazione

L’Osservatore Romanogiovedì 17 gennaio 2019il Settimanale

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to a leggere pubblicamente le sante Scritture ea commentarle, facendo l’omelia.

E così accade che quel sabato, proprio nellasinagoga in cui la sua fede era stata nutrita findall’infanzia, quando abitava a Nazaret, me-diante le liturgie comunitarie, Gesù salesull’ambone e, aperto il rotolo che gli vienedato, legge la seconda lettura il brano previstoper quel sabato: il capitolo 61 del profetaIsaia. Questo testo è l’autopresentazione di un

scuno di noi sempre l’ora per ascoltare la vocedi Dio (cfr. Salmi 95, 7d), per non indurire ilcuore (cfr. Ivi 95, 8) e poter così cogliere larealizzazione delle sue promesse. La parola diDio nella sua potenza risuona sempre oggi, e«chi ha orecchi per ascoltare, ascolti» (Luca 8,8; cfr. Ma rc o 4, 9; Ma t t e o 13, 9). Oggi si ascoltae si obbedisce alla Parola o la si rigetta; oggisi decide il giudizio per la vita o per la mortedelle nostre vicende; oggi è sempre parola chepossiamo dire come ascoltatori autentici di

profeta anonimo che testimonia la sua voca-zione e la sua missione: «Lo Spirito del Signo-re è sopra di me, per questo mi ha unto (échri-sen) e mi ha inviato per annunciare la buonanotizia ai poveri, per proclamare ai prigionierila liberazione e ai ciechi la vista, per rimanda-re in libertà gli oppressi, per proclamare l’an-no di grazia del Signore (Isaia 61, 1-2a).

Chi è questo profeta senza nome, presentatoda Isaia? Quale la sua identità? Quale sarà lasua missione? Quando la sua venuta tanto at-tesa? Queste certamente le domande che sor-gevano alla lettura di quel testo.

Gesù, dopo aver letto il brano tralasciando iversetti finali che annunciavano «un giorno divendetta per il nostro Dio» (62, 2b), lo com-menta con pochissime parole, così riassunte daLuca: «Oggi si è realizzata questa Scrittura(ascoltata) nei vostri orecchi». Oggi, oggi (sé-m e ro n ) Dio ha parlato e ha realizzato la suaParola. Oggi, perché quando un ascoltatoreaccoglie la parola di Dio, è sempre oggi: è quie adesso che la parola di Dio ci interpella e sirealizza. Non c’è spazio alla dilazione: oggi! Èproprio Luca a forgiare questa teologiadell’«oggi di Dio». Per ben dodici volte nelsuo vangelo risuona questo avverbio, “oggi”,di cui queste le più significative: per la rivela-zione fatta dagli angeli a Betlemme (cfr. 2, 11);per la rivelazione ad opera dalla voce celestenel battesimo (cfr. Luca 3, 22; variante che citaSalmi 2, 7); nel nostro brano, come affermazio-ne programmatica (cfr. Luca 4, 21); durante ilviaggio di Gesù verso Gerusalemme (cfr. Ivi13, 32.33); come annuncio della salvezza fattoda Gesù a Zaccheo (cfr. Ivi 19, 5.9); come pa-rola rivolta a Pietro quale annuncio del suorinnegamento (cfr. Ivi 22, 34.61); come salvez-za donata addirittura sulla croce, a uno deidue malfattori (cfr. Ivi 23, 43). Oggi è per cia-

Gesù: «Oggi abbiamo visto cose prodigiose»(Luca 5, 26). E possiamo dirla anche dopo unpassato di peccato: «Oggi ricomincio», perchéla vita cristiana è andare «di inizio in inizio at-traverso inizi che non hanno mai fine» (Gre-gorio di Nissa).

Gesù è dunque il profeta atteso e annuncia-to dalle sante Scritture, il profeta ultimo e de-finitivo, ma questo non lo proclama aperta-mente, bensì lascia ai suoi ascoltatori di com-prendere la sua identità facendo discernimentosulle azioni che egli compie, accogliendo lanovità della buona notizia da lui annunciata.Gesù è il Cristo, il Messia unto da Dio (échri-sen), non con un’unzione di olio ma attraversolo Spirito santo; è l’inviato per portare ai po-veri, sempre in attesa della giustizia, il Vange-lo; per proclamare ai prigionieri di ogni poterela liberazione; per dare la vista ai ciechi; perliberare gli oppressi da ogni forma di male;per annunciare l’anno di grazia del Signore, iltempo della misericordia, dell’amore gratuitodi Dio.

Missione profetica questa, che Gesù hainaugurato con segni e parole, ma missione af-fidata ai discepoli nel loro abitare la storia nel-la compagnia degli uomini. Sì, queste paroledi Gesù ci possono sembrare una promessamai realizzata, perché i poveri continuano agridare, gli oppressi e i prigionieri continuanoa gemere e neppure i cristiani sanno vivere lamisericordia di Dio annunciata da Gesù. Ep-pure questa liturgia della Parola, che ha avutoin Gesù non solo il lettore e l’interprete, masoprattutto colui che l’ha compiuta e realizza-ta, illumina tutto il suo ministero: da Nazaret,dove egli l’ha inaugurata nella sinagoga, a Ge-rusalemme, dove in croce porterà a compimen-to la sua missione.

#meditazione

Gerbrand van den Eeckhout«Gesù insegna nella sinagogadi Nazareth» (particolare)

Vi consiglio questo: non litigate mai davanti ai bambini, mai.È normale che gli sposi litighino, è normale. Sarebbe strano il

contrario. Fatelo, ma che loro non sentano, che loro nonvedano. Voi non sapete l’angoscia che riceve un bambino

quando vede litigare i genitori. Questo, mi permetto, è unconsiglio che vi aiuterà a trasmettere la fede. È brutto litigare?

Non sempre, ma è normale, è normale. Però che i bambininon vedano, non sentano, per l’angoscia.

Omelia nella festa del Battesimo del Signore, 13 gennaio

#controcopertina