la lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli...
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ALTERNATIVE ITALIANE
ANNAMARIA TESTA
Questa presentazione riguarda un fortunato episodio di attivismo linguistico in rete:
un’esperienza nuova per il nostro paese, interessante sia per il modo in cui si è sviluppata,
sia per la natura degli strumenti impiegati, sia per il successo ottenuto. Ne ripercorrerò
tappe cronologiche fino a delineare un piccolo caso di studio che, mi auguro, potrà aprire
qualche prospettiva ulteriore per quanto riguarda la sensibilizzazione su temi riguardanti
la lingua italiana attraverso internet.
3 marzo 2014: pubblico sul mio sito, nuovoeutile.it, un articolo intitolato La lingua
italiana, così bella da spiccare. L’articolo riguarda l’uso crescente e pervasivo dei termini
inglesi nei discorsi italiani e cita la recente richiesta di considerare l’italiano lingua
costituzionale.
Nuovoeutile.it tratta argomenti di cronaca, creatività e comunicazione. Nel 2014 ha circa
50.000 visitatori al mese: niente male per un blog, ma nulla di paragonabile a una testata
nazionale. Bene: l’articolo in questione ottiene un’attenzione e un gradimento al di sopra
della norma, e si guadagna un discreto numero di commenti, molti dei quali interessanti e
argomentati1. Questo mi fa pensare che il tema sia particolarmente vivo e sentito, e che
valga la pena di riprenderlo e di ampliarlo, passando, magari, dalla pura denuncia a
qualcosa che somigli di più a una proposta concreta, semplice e condivisibile, nella logica
della rete.
19 marzo 2014. Mi rendo conto che spesso — succede anche nel mio specifico ambito
professionale — usiamo parole inglesi per pigrizia, per conformismo o semplicemente
perché così fan tutti. Ho la sensazione che il fenomeno sia in forte crescita. Costruisco in
modo del tutto empirico un semplicissimo elenco di circa 150 parole inglesi d’uso comune
1 Articolo del 3 marzo 2014 su nuovoeutile.it: oltre 1800 “mi piace” su Facebook, 98 tweet, 40 commenti.
http://nuovoeutile.it/lingua-italiana/
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che, da aftershave (dopobarba) a workshop (laboratorio, seminario) potrebbero essere
sostituite da corrispondenti, semplici e noti termini italiani. Lo pubblico con il titolo Si può
dire in italiano, specificando che non si tratta di una crociata contro la lingua inglese né di
fobia nel confronti di termini che, da rock a sport, da marketing a smog, non hanno
equivalenti d’uso comune nella nostra lingua, ma di una questione di buonsenso linguistico:
dopotutto, si tratta solo di non dire “Giuseppe, scheduliamo asap un meeting per il fine
tuning della customer satisfaction”, e di dire, invece “Giuseppe, mettiamo presto in agenda
una riunione per mettere a punto il servizio clienti”.
I risultati di questo secondo articolo sono decisamente al di sopra della norma2.
Moltissimi commentatori discutono dei singoli termini o ne propongono di nuovi
offrendo pareri esperti, dando luogo a un emozionante e spontaneo fenomeno di
crowdsourcing (competenze collettive messe a disposizione di una singola causa in rete).
14 aprile 2014. A partire dai commenti e dai suggerimenti dei lettori sono in grado di
costruire una seconda, più plausibile e ampia lista di 300 parole inglesi d’uso ormai comune
per le quali esistono corrispondenti termini italiani. La pubblico con il titolo 300 parole da
dire in italiano.
Il piccolo sito nuovoeutile.it, nel giorno della pubblicazione, finisce addirittura offline per
qualche tempo per eccesso di accessi: in un singolo giorno, il 17 aprile, quella singola
pagina viene letta da 27 675 persone. I “mi piace” e le condivisioni su Facebook sono
decine di migliaia3, (e continuano a moltiplicarsi a distanza di un anno: ad oggi, 15 aprile
2015, la pagina è stata vista da 247 800 persone). C’è chi mi scrive di aver scaricato la
lista e di essersela appesa in ufficio.
Il Corriere della Sera seleziona 50 parole dalla lista e le trasforma in una
presentazione che pubblica sulle sue pagine4. Ne scrive The Independent: not many
italians speack good English. But nearly all of them are fluent in “italianglo” – the
random insertion of English words into their sentences. And it’s about time someone put
a stop to it… perfino la radio della BBC riprende il tema.
A questo punto mi rendo conto che sarebbe interessante trovare un modo per
mettere a sistema il disagio espresso da tanti singoli cittadini, facendone percepire la
profondità e l’estensione e trasformando il mugugno diffuso in azione, e le molte ma
2 Articolo del 19 marzo 2014 su nuovoeutile.it: oltre 14.000 “mi piace” su Facebook, 247 tweeet, 205
commenti. http://nuovoeutile.it/dire_in_italiano/ 3 Articolo del 14 aprile 2014 su nuovoeutile.it: oltre 37mila “mi piace” su Facebook, 733 tweet, 432
commenti (dati del 15 aprile 2015). http://nuovoeutile.it/300-parole-da-dire-in-italiano/ 4 La presentazione del Corriere della Sera: http://www.corriere.it/foto-gallery/cultura/14_aprile_16/300-
parole-che-usare-italiano-invece-che-inglese-31e2074e-c57d-11e3-ab93-8b453f4397d6.shtml
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disperse ed episodiche manifestazioni di insofferenza in un visibile e consistente
movimento d’opinione.
Mi sono accorta, intanto, che attorno alle questioni della lingua si agitano passioni
intense, paragonabili a quelle che muovono gli animi sulle questioni del calcio o della
politica. Devo dunque considerare, per quanto è possibile, le diverse e contrapposte aree
di rischio che un’iniziativa strutturata nei confronti della pervasività dell’itanglese deve
aggirare, o superare. Riesco a definirne diverse:
C’è la concreta possibilità di alimentare i furori normativi e massimalisti della parte
“purista”, che sogna l’utopia impossibile di una lingua incontaminata e sostiene, per
esempio, che non si dovrebbe dire “computer” ma calcolatore elettronico. Ho già
incontrato questa posizione, minoritaria ma pugnace, scorrendo i commenti agli
articoli che ho pubblicato su Nuovo e utile. C’è anche il rischio che un’iniziativa
troppo “morbida” venga, dalla minoranza purista, non solo sconfessata ma
combattuta.
C’è il rischio, altrettanto concreto, di evocare i fantasmi del ventennio fascista,
quando invece che dire cocktail bisognava dire “arlecchino”. Se questo dovesse
succedere, l’iniziativa potrebbe essere guardata con sospetto, verrebbe etichettata,
nella migliore delle ipotesi, come nostalgica, passatista e antistorica, e sarebbe
destinata al fallimento.
Una terza area di rischio riguarda la libertà di espressione: ciascuno è libero di
parlare come meglio vuole e crede e di scegliere le parole che preferisce. Dev’essere
ben chiaro che la questione posta riguarda un fatto generale di costume, e che non si
vogliono certo ridurre gli ambiti di libertà verbale individuale, né attraverso norme,
né attraverso la proposizione di una sorta di stigma inteso a colpire chi la pensa o
parla in modo diverso. Siamo, insomma, nel pieno del paradosso della
comunicazione persuasiva, così come l’ha ben descritto Massimo Piattelli Palmarini
ne L’arte di persuadere5: Occorre fare in modo che il destinatario decida
(volontariamente) di volere. Per ottenere questo risultato, dice Piattelli Palmarini,
occorre essere delicati, nei modi e negli argomenti.
Delicati sì, certo, ma non troppo: altrimenti ci si imbatte nelle due ultime, e non meno
insidiose, aree di rischio.
La cosa peggiore che può succedere a un’iniziativa è questa: essere lanciata per
cadere subito nell’indifferenza generale.
L’altra cosa pessima è che l’iniziativa stessa, o chi la promuove, risultino poco
credibili, e quindi vengano rapidamente sbeffeggiati e delegittimati. Il risultato, in
5 Massimo Piattelli Palmarini – L’arte di persuadere, Mondadori 2009
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entrambi i casi, è quasi lo stesso: un fallimento nel primo caso, un fallimento
imbarazzante nel secondo.
Il processo di ideazione dell’iniziativa dura alcuni mesi. Prima di cominciare, e tenendo a
mente tutti i rischi, devo fare tre ordini di scelte.
Il primo riguarda i mass media da usare, e la risposta è ovvia. Non ci sono risorse
economiche disponibili e quindi devo impiegare l’unico mass medium gratuito a
disposizione: la rete. Rischio ulteriore: la rete, e in particolare i social network (Facebook,
Twitter, Linkedin…) reagiscono in fretta, sono agitati da umori ed emozioni forti, non
perdonano i fallimenti.
Il secondo ordine di scelte riguarda la struttura vera e propria dell’operazione, il
suo sviluppo nel tempo, il suo oggetto, il suo obiettivo. Costruisco una prima ipotesi
d’azione:
messa a punto di un discorso introduttivo, convincente ma equilibrato, sull’itanglese
individuazione di elementi grafici e verbali capaci di identificare il messaggio
preparazione di una serie di comunicazioni preliminari da lanciare sui social network,
identificate dagli elementi grafici e verbali messi a punto ad hoc
stesura del testo di una petizione che possa “chiamare all’azione” i cittadini,
permettendo loro di tradurre il proprio disagio in un gesto concreto, che può avere
peso e che è misurabile. Esiste una piattaforma internazionale, assai nota, dedicata
alle petizioni: si chiama Change org, e posso usare quella
lancio della petizione sui social network, attraverso comunicazioni dedicate, e
attraverso articoli sui due siti per i quali regolarmente scrivo: internazionale.it e
nuovoeutile.it
in seguito, sostegno alla petizione attraverso comunicazioni dedicate e diffuse sui
social network
E con questo penso di aver messo in campo tutte le risorse di cui posso disporre. Sono
risorse “a costo zero” nel momento in cui, insieme ai ragazzi del mio ufficio, posso
occuparmi sia della produzione dei testi sia della parte grafica. Dopotutto, questo è
esattamente il nostro lavoro.
Il terzo ordine di scelte riguarda gli attori dell’operazione: da una parte i privati
cittadini, dall’altra gli interlocutori pubblici (mass media, imprese, governo, pubblica
amministrazione) il cui coinvolgimento può dare peso e consistenza all’iniziativa. Ci
vuole, però, a far da ponte tra gli uni e gli altri, un referente autorevole, noto, accreditato
e indiscutibile.
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Sulle questioni linguistiche, l’Accademia della Crusca sembra essere, per storia e
reputazione, il referente ideale: dunque, la petizione sarà rivolta all’Accademia della
Crusca, perché si renda portavoce e garante dell’istanza dei cittadini presso governo,
pubbliche amministrazioni, mass media…
Tra fine 2014 e gennaio 2015. Intanto, alcuni fatti pubblici e diverse polemiche
conseguenti mi convincono che i tempi per passare all’azione sono maturi. Si parla con
maggiore frequenza, e con crescente fastidio, del Jobs Act, la nuova legge sul lavoro
varata, con un nome inglese, dal Governo italiano. Il Ministero dei Beni Culturali lancia
un sito turistico progettato per Expo, il cui nome è Verybello6, un indigesto connubio tra
italiano e inglese. Seguono ampie polemiche in rete. Ulteriori polemiche nascono sul
manifesto di reclutamento della Marina Militare Italiana, tutto in inglese. La polemica
esonda all’estero, e viene ripresa, tra gli altri, da NBC News7 e dal Daily Mail8. Verso
fine gennaio il sindaco di Roma presenta il nuovo logo turistico della città: il nome stesso
di Roma è inglesizzato in un indicibile ROME&YOU. Francesco Merlo, su La
Repubblica, commenta: il Comune di Roma, anzi il Comune di Rome, va al di là del
solito inglese sparlato e violenta la parola italiana più antica e più famosa nel mondo.9
1. Trovare un nome.
Nel frattempo ho cominciato a progettare. Mi sono posta l’obiettivo di trovare una
definizione semplice, univoca, comprensibile, facile da pronunciare, da scrivere e da
ricordare, e tale da poter essere accostata a un hashtag, il “cancelletto” che identifica le
conversazioni su Twitter. Non deve suonare come uno slogan pubblicitario: questa non è
pubblicità.
Considero diverse ipotesi: “#parliamoitaliano”, “#diciamolo in italiano”,
“#italianolinguamia”, “#megloinitaliano”. Opto, alla fine, per la versione più semplice:
#dilloinitaliano. Faccio una ricerca in rete: la formula è diffusissima in tutti i contesti
pertinenti. Questo è un bene: significa che appartiene all’uso corrente ed è consolidata.
Significa però che non c’è alcuna speranza di registrarla. Non è un problema: non ho
6 Le polemiche su verybello: due soli esempi fra i mille apparsi in rete
http://www.tstyle.it/2015/01/26/nasce-verybello-il-sito-pensato-per-lexpo-ed-e-gia-polemica.html e
http://carnagenews.com/verybello-ovvero-un-pizzawifi-con-un-po-di-mandolinosocial/ 7 Qui NBC News: http://www.nbcnews.com/news/world/be-cool-italian-navy-recruitment-campaign-
prompts-outrage-n312376 8 Qui il Daily Mail: http://www.dailymail.co.uk/news/article-2966187/Are-American-colony-Italians-fury-
navy-uses-English-urge-recruits-cool-new-publicity-campaign.html 9 Qui Francesco Merlo su La Repubblica:
http://roma.repubblica.it/cronaca/2015/02/12/news/marino_cancelli_quel_rome_you_un_altra_violenza_alla_
citt_eterna-107166115/
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alcuna intenzione di registrare nulla e, anzi, rilascerò tutti i materiali prodotti sotto licenza
Creative Commons perché mi auguro che vengano usati e diffusi il più possibile, da tutti.
2. Trovare un logo e un sistema cromatico e grafico.
Facciamo diverse prove. Alla fine, ci troviamo a scegliete tra due alternative possibili,
una più classica e composta per impostazione e scelta tipografica, una più estroversa ed
energica.
Scegliamo la seconda strada per diversi motivi: abbiamo risorse scarsissime e quindi
dobbiamo lavorare anche sull’impatto grafico. Vogliamo suggerire, a cominciare dal
segno grafico, che la nostra difesa della lingua non appartiene a una prospettiva
sussiegosa, polverosa, nostalgica. Vogliamo parlare anche agli studenti. E poi, in rete, un
po’ di estroversione non guasta.
Insieme al logo prescelto disegniamo un intero alfabeto: prima o poi potrebbe
tornarci utile.
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9 febbraio 2015. Pubblico in contemporanea su nuovoeutile.it e su
internazionale.It10 un articolo che esorta ad avere cura della lingua italiana: è un bene
comune ed ha un valore. Una singola ripresa dell’articolo di internazionale su Facebook
totalizza 1.406 condivisioni. I “mi piace” sono diverse migliaia.
10 febbraio 2015. Abbiamo studiato e prodotto una serie “cartoline” da diffondere
sui social network. La grafica è semplice e il contenuto è intuitivo: l’invito a passare
dall’uso di termini inglesi all’uso di uno dei corrispondenti termini italiani, in linea con i
contenuti dell’articolo che, su nuovoeutile, ha già riscosso tanto favore. Le cartoline
“girano” sui social network per tutta la settimana successiva. Ogni cartolina viene diffusa
spontaneamente su Facebook centinaia di volte: #dilloinitaliano comincia a farsi
conoscere.
13 febbraio. Ho terminato la faticosissima redazione dei due testi che devo
pubblicare sul sito di petizioni Change.org: un discorso introduttivo, che descrive i
termini della questione e motiva all’azione, e il testo, più breve, dell’appello rivolto al
presidente, ai presidenti onorari e ai membri del consiglio direttivo dell’Accademia della
Crusca. È uno dei lavori di scrittura più complicati che mi sia mai capitato di fare.
Carichiamo tutto sul sito di Change.org, dopo aver riletto mille volte: in questo
contesto, e con questi obiettivi, un refuso sarebbe davvero disdicevole.
17-19 febbraio 2014. Basta un clic, e martedì 17 febbraio la petizione è varata su
Change.org11. Subito dopo pubblico, sia su nuovoeutile.it sia su internazionale.it, un
articolo che presenta l’iniziativa12. Facciamo girare i due articoli su Facebook, Linkedin,
Twitter, Google+. Su Facebook la redazione di Internazionale rilancia tre volte, ottenendo
10 http://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2015/02/09/parole-preziose 11 https://www.change.org/p/un-intervento-per-la-lingua-italiana-dilloinitaliano 12 http://www.internazionale.it/opinione/annamaria-testa/2015/02/17/dillo-in-italiano
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oltre 3 500 condivisioni. Il 18 febbraio, sulla sua pagina Facebook, la Crusca risponde
“condividiamo le ragioni della petizione.”
Tra il 17 e il 19 febbraio la petizione raccoglie oltre 25 000 firme: questo significa
una media di oltre 400 firme all’ora, quasi 7 al minuto, notte compresa. Insieme alle firme
arrivano migliaia di motivazioni scritte. Dobbiamo leggerle a una a una, per intercettare
eventuali episodi di linguaggio improprio o insultante: non ce ne sono. Il 19 febbraio
lanciamo via Change.org un primo aggiornamento, ringraziando i firmatari e invitandoli a
diffondere il messaggio.
20/23 febbraio 2014. Intanto si è mobilitata la stampa nazionale. Michele Serra su
La Repubblica e Massimo Gramellini su La Stampa si producono in un inedito articolo
speculare a sostegno della petizione. L’iniziativa ottiene un sostegno massiccio,
sorprendente per entità dello spazio dedicato e per trasversalità, da tutte le maggiori
testate. Ne scrivono La Nazione e il Venerdì di Repubblica, Famiglia Cristiana e Vanity
Fair, Il Secolo d’Italia e Wired, l’Avvenire, Oggi, e la rivista del Miur, Huffington Post e
Focus… Prepariamo e diffondiamo in rete una seconda serie di cartoline, che riprendono
le dichiarazioni uscite sui giornali.
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23 febbraio 2014. A una settimana dal lancio abbiamo raggiunto le 53.000 firme.
Della petizione continuano a parlare la stampa, le radio (hanno anche telefonato radio
dall’Australia, dall’Irlanda, dall’Inghilterra, dalla Croazia…) e moltissimi blog. Molti dei
commenti che accompagnano le firme sono acuti, divertenti e appassionati. Ne
selezioniamo alcuni e prepariamo tre piccoli video da caricare su YouTube e da mettere
in rete13.
Abbiamo raccolto l’intera storia della petizione, aggiornata, in una presentazione in
PowerPoint, che vado a presentare a Firenze, nel corso del convegno La lingua italiana e
le lingue romanze di fronte agli anglicismi, organizzato dall’Accademia della Crusca.
L’iniziativa e la petizione suscitano curiosità (molta) e riscuotono interesse e consenso tra
i partecipanti.
24 febbraio/9 marzo. L’attenzione dei media continua a crescere e ormai abbiamo
una rassegna-stampa davvero imponente, anche perché alla rete e alle maggiori testate
13 Capitolo 1: https://www.youtube.com/watch?v=UmqN-XxkBQE
Capitolo2: https://www.youtube.com/watch?v=uRxwF1k_bzY
Capitolo 3: https://www.youtube.com/watch?v=n7zfCAsQj5A
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nazionali si vanno man mano sommando uscite sui telegiornali delle reti Rai e su
TgSky2414
Le firme continuano ad arrivare a un ottimo ritmo. Firmano insegnanti, traduttori e
poliglotti, molti insegnanti d'inglese e d'italiano, italiani all'estero e stranieri residenti in
Italia. E poi: avvocati e giornalisti, medici, economisti, persone che lavorano nelle
multinazionali o nella comunicazione, scrittori come Andrea Camilleri (che poi twitta la
sua adesione) e il premio Strega Tiziano Scarpa, che ci scrive “se posso dare una mano, io
ci sono”. Ma firmano anche molte persone semplici. Firmano gli studenti, i prèsidi e i
rettori. Firmano gli anziani, compreso uno straordinario signore di 85 anni. Firmano
cittadini che pretendono di capire bene quel che si dice nei tg o nei discorsi dei politici.
Firmano tantissimi che dicono "amo la mia lingua". Firmano da Tenerife, da Shangai e da
Lima, da San Francisco, da Gerusalemme, da Cipro e da Stoccolma, dall’Australia, dal
Canada…. e da tutta Italia, dall’Alto Adige alla Sicilia. E moltissimi non si accontentano
di firmare, ma inviano messaggi di adesione. Alla chiusura della petizione ne contiamo 14
522.
Quando, il 9 marzo, riceviamo una comunicazione ufficiale15 dall’Accademia della
Crusca, che accoglie l’appello contenuto nella petizione, stiamo sfiorando le 70 000
adesioni.
Intendo accogliere le istanze espresse dalla petizione “Un intervento per la lingua
italiana” — scrive il Presidente Marazzini. Aggiunge che progetteremo un sito Internet di
facile accesso e consultazione, per aiutare tutti a orientarsi tra vecchie e nuove parole
straniere entrate nel nostro lessico, per capire quali sono i significati, gli usi, le alternative
valide e possibili. In questo sito potranno anche trovare posto segnalazioni, suggerimenti,
commenti e contributi che vengono da voi. E conclude affermando: la visibilità e il
consenso ottenuti dalla petizione che avete firmato hanno, di fatto, già acceso su questo
tema un’attenzione che manterremo viva.
Dopo il 9 marzo. L’attenzione dei media non accenna a spegnersi (continuerà a
restare ben viva per tutto il mese successivo) e moltissime testate che già avevano
14 Rassegna-stampa dal 18 al 23 febbraio 2015:
http://annamariatesta.it/wp-content/uploads/2015/04/Rassegna_stampa_parte-1.pdf
dal 24 al 25 febbraio 2015:
http://annamariatesta.it/wp-content/uploads/2015/04/Rassegna_stampa_parte-2.pdf
del 26 febbraio al 9 marzo:
http://annamariatesta.it/wp-content/uploads/2015/04/Rassegna_stampa_parte-3.pdf
dal 10 marzo:
http://annamariatesta.it/wp-content/uploads/2015/04/Rassegna_stampa_parte-4.pdf 15La lettera del Presidente dell’Accademia della Crusca http://annamariatesta.it/wp-
content/uploads/2015/04/RispostaMarazzini.pdf
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sostenuto la petizione ora ne comunicano la vittoria. Intercetto, in rete, e anche all’interno
di articoli o di commenti che non citano direttamente la petizione, una crescente
sensibilità nei confronti dell’abuso dell’itanglese.
Vengo invitata a raccontare questa stessa storia di attivismo linguistico presso
l’Università di Modena e Reggio, poi nel corso dell’iniziativa TedxMilano 2015, svoltasi
al Teatro della Triennale il 18 aprile16, poi presso il Salone del Libro di Torino. Ricevo
anche diverse email accorate di “ritardatari”, amareggiati perché la petizione è chiusa e
non la possono più firmare: rispondo che va bene così, abbiamo vinto e questo ci
dovrebbe rendere tutti contenti.
In realtà, da questa storia si possono trarre un paio di provvisorie conclusioni e una
prospettiva per il futuro.
Le conclusioni sono autoevidenti: la rete può essere una eccellente risorsa a costo
zero o quasi per promuovere temi legati alla lingua.
La rete funziona, però, al suo meglio se le iniziative sono progettate e strutturate in
modo accurato e tale da renderle visibili, se hanno un obiettivo chiaro, se chiamano a
un’azione per una causa facile da riconoscere come “buona e giusta”.
Se hanno un supporto grafico adeguato, che le renda fruibili facilmente e che le
distingua, e se vengono comunicate e diffuse sui social media tanto da diventare
“virali”.
I mass media classici (stampa e televisione) sono sensibili al successo in rete e
possono amplificarlo e consolidarlo.
Tutto ciò può costituire – e questa è la prospettiva – l’inizio di un lavoro sul
linguaggio molto interessante e potenzialmente assai innovativo perché fondato sulla
condivisione.
In rete abbiamo avuto esempi di crowdsourcing prima ancora che la parola (per la quale,
fra l’altro, sarebbe ora di trovare un corrispondente termine italiano) venisse inventata nel
2006: l’enciclopedia Wikipedia nasce nel 2001, il sistema operativo Linux (1992) è
ancora precedente.
Oggi abbiamo molti straordinari esempi stranieri17 di crowdsourcing su temi
complessi: scienziati e specialisti chiedono la cooperazione dei navigatori per catalogare
galassie, elaborare dati relativi ai cicloni, tenere sotto controllo gli spostamenti dei
pinguini…
16http://tedxmilano.it/#layoutpost-2592 17 https://www.zooniverse.org/
Annamaria Testa 73
Foldit, un videogioco sperimentale per la progettazione di nuove proteine
sviluppato dall’Università di Washington nel 2008, coinvolge 240.000 giocatori registrati.
Nel 2011 sono bastati ai giocatori 10 soli giorni per decifrare la struttura di un virus
connesso con l’aids (un problema che gli scienziati non erano riusciti a risolvere in 15
anni). Nel 2012, con Foldit, è stata messa a punto la prima proteina sintetica
ingegnerizzata collettivamente.
Già nel 2010 all’Università di Stanford si utilizzano tecnologie di crowdsourcing
per gli studi linguistici: while crowdsourcing has primarily been used for annotation in
recent language studies – scrivono i ricercatori – the results here demonstrate that far
richer data may be generated in a range of linguistic disciplines from semantics to
psycholinguistics 18.
Oggi in ambito linguistico già esistono anche diversi positivi casi di crowdsourcing
riguardanti l’apprendimento delle lingue e la traduzione da una lingua all’altra.
Ma non mi risulta che ancora esista un esempio di crowdsourcing teso alla racconta
di dati, alla discussione e alla contribuzione sul tema dei forestierismi. Eppure, si tratta di
un ambito che massimamente potrebbe avvalersi sia della tempestività garantita dalla
rete, sia degli apporti multidisciplinari offerti dai navigatori, dato che molti termini
stranieri importati in Italia rimandano ai linguaggi specialistici dell’economia e della
finanza, del marketing, della medicina, della giurisprudenza, delle nuove tecnologie.
Sarebbe interessante che questa possibilità venisse esplorata in italiano, per
l’italiano.
18 Crowdsourcing and language studies: the new generation of linguistic data
http://web.stanford.edu/~rmelnick/files/MunroEtAl2010.pdf