la misurazione del benessere e la crescita
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Tesi specialistica di Antonio CASTELLANO, laureatosi presso la facoltà di Economia (Corso di Laurea Specialistica in Scienze Economiche) dell'Università di LECCE nel 2008TRANSCRIPT
UNIVERSITÀ DEL SALENTO ________________________________________
FACOLTÀ DI ECONOMIA Corso di Laurea Specialistica in Scienze Economiche
Tesi di Laurea in
Politica Economica (Corso Avanzato)
LLAA MMIISSUURRAAZZIIOONNEE DDEELL BBEENNEESSSSEERREE EE LLAA CCRREESSCCIITTAA
ASPETTI TEORICI ED EVIDENZA EMPIRICA
Relatore: Prof.ssa Alessandra Chirco
ANNO ACCADEMICO 2007-2008
Laureando:Antonio Castellano
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Indice
INTRODUZIONE ............................................................................................................... 3
1. BENESSERE, SVILUPPO E CRESCITA: ASPETTI INTRODUTTIVI ................. 6
1.1. EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI BENESSERE............................................................. 6 1.1.1. Utilitarismo e benessere classico .......................................................................... 7 1.1.2. Nuove concezioni di benessere e l’approccio di Amartya Sen ............................ 13 1.1.3. Possibili estensioni del concetto di benessere ..................................................... 23
1.2. CRESCITA E SVILUPPO............................................................................................... 26 1.2.1. Dalla crescita alla sostenibilità ........................................................................... 26
2. LA MISURAZIONE DEL BENESSERE ATTRAVERSO IL PIL .......................... 33
2.1. COS’È IL PRODOTTO INTERNO LORDO .................................................................... 33 2.1.1. Storia del PIL...................................................................................................... 33 2.1.2. Definizione e calcolo ........................................................................................... 36
2.2. VANTAGGI DEL PIL ................................................................................................... 39 2.3. LIMITI DEL PIL........................................................................................................... 42
2.3.1. Mercati non monetari......................................................................................... 43 2.3.1.1. Crescita e impoverimento sociale ............................................................... 44
2.3.2. Aspetti ambientali .............................................................................................. 46 2.3.2.1. I beni ed i servizi forniti dall’ambiente ....................................................... 47 2.3.2.2. Le spese difensive ambientali...................................................................... 50 2.3.2.3. Il deprezzamento dello stock di capitale naturale....................................... 53 2.3.2.4. Implicazioni sulla crescita. ......................................................................... 55
2.2.3. Consumi intermedi e spese difensive .................................................................. 57 2.2.4. Beni durevoli e infrastrutture pubbliche ............................................................ 59 2.2.5. Distribuzione del reddito.................................................................................... 60
2.2.5.1. Crescita economica e disuguaglianza......................................................... 63 2.2.6. Tempo libero e disoccupazione............................................................................ 65 2.2.7. Indebitamento estero .......................................................................................... 66 2.2.8. Pil e Benessere .................................................................................................... 67
3. INDICATORI ALTERNATIVI DI BENESSERE .................................................... 69
3.1. ALCUNE CLASSIFICAZIONI ....................................................................................... 69 3.2. GLI INDICATORI SOGGETTIVI.................................................................................... 74 3.3. GLI INDICATORI SOCIALI .......................................................................................... 77
3.3.1. Human Development Index ............................................................................... 79 3.4. GLI INDICATORI DI CONTABILITÀ ESTESA ............................................................... 83
3.4.1. Measure of Economic Welfare (MEW) .............................................................. 84 3.4.2. Contabilità ambientale, Green GDP e Genuine Saving..................................... 85 3.4.3. L’Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW)............................................. 88
3.5. L’ISEW E IL GENUINE PROGRESS INDICATOR ........................................................ 89 3.5.1. Aspetti teorici ..................................................................................................... 89 3.5.2. Metodologia di calcolo ........................................................................................ 92 3.5.3. I risultati ............................................................................................................ 95
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4. INDICATORI ALTERNATIVI E SCELTE DI POLICY ....................................... 100
4.1. ALCUNI ESEMPI....................................................................................................... 101 4.1.1. Apertura dei mercati ........................................................................................ 101 4.1.2. Politiche di riduzione fiscale............................................................................. 104 4.1.3. Investimenti in ricerca e sviluppo .................................................................... 106 4.1.4. Ricorso al credito .............................................................................................. 109
CONCLUSIONI .............................................................................................................. 113
BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................... 116
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Introduzione Il miglioramento continuo della qualità della vita è forse l’obiettivo
principale che ogni individuo si propone di raggiungere nell’arco della sua
esistenza. Il livello di qualità della vita, quello che comunemente può essere
definito come benessere individuale, dipende dal grado di soddisfazione
degli infiniti bisogni materiali e immateriali che caratterizzano ogni essere
umano.
L’aspirazione verso più alti livelli di benessere è avvertita naturalmente
anche a livello di collettività, tanto da poter essere considerata come il fine
ultimo di tutte le scienze sociali, e delle scienze economiche in particolar
modo. L’economia, infatti, altro non è che lo studio di come organizzare
risorse scarse per soddisfare al meglio i bisogni individuali e collettivi.
A livello sociale però non è semplice fornire una precisa e condivisa
definizione di benessere, che possa essere utilizzata per costruire un
indicatore in grado indirizzare con chiarezza le politiche economiche e
istituzionali di una comunità.
Tradizionalmente il problema è stato affrontato assumendo una sostanziale
equivalenza tra benessere e reddito. Con estrema semplificazione, il
ragionamento alla base di questa ipotesi può essere così sintetizzato: esiste
un complesso di bisogni la cui soddisfazione aumenta il livello di benessere
di una collettività; poiché le merci servono a soddisfare i bisogni, averne a
disposizione una maggiore quantità consente di raggiungere un più alto
livello di benessere.
Per questo motivo nel corso dei decenni il Prodotto Interno Lordo (PIL), nato
per misurare il valore dei beni e servizi finali prodotti in un Paese, è
- Introduzione -
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diventato il principale indice di benessere sociale, anche in virtù di una forte
correlazione positiva con altri “segnalatori” di benessere, quali ad esempio
la durata della vita media. Parallelamente si è sviluppato quel particolare
filone di studi economici che va sotto il nome di teoria della crescita, il cui
scopo è quello di spiegare sia i fattori che determinano la crescita economica
di un paese sia quelli che determinano i differenti tempi e ritmi di crescita
tra i diversi paesi.
Tuttavia negli ultimi anni molti studiosi hanno sottolineato come sempre più
spesso la crescita economica misurata dai sistemi di contabilità nazionale
non si sia tradotta in concreto sviluppo per gli individui, cioè in un
miglioramento effettivo della qualità di vita.
Uno degli obiettivi di questo lavoro è quello di descrivere i limiti intrinseci
del Prodotto Interno Lordo nell’assolvere correttamente al compito di
misurazione del benessere. Il PIL, infatti, considera solo alcuni degli aspetti
che possono avere un effetto sul benessere sociale e individuale
trascurandone altri ugualmente importanti, mentre attribuisce un valore
positivo ad elementi, quali ad esempio l’inquinamento e le spese di guerra,
che invece riducono la qualità di vita delle persone.
Le critiche rivolte verso questo indice hanno dato vita ad una vasta ricerca
volta a costruire una nuova misura del benessere di una società. Sono stati
creati in questo modo decine di nuovi indicatori molto differenti tra loro, ma
nessuno è ancora riuscito ad affermarsi quale sostituto del PIL.
Si vuole, quindi, individuare tra le varie proposte uno o più indicatori che
possano concretamente essere utilizzati in alternativa al Prodotto Interno
Lordo, sia come parametro guida delle politiche governative sia nella ricerca
economica, e valutare se l’utilizzo di questo indice abbia delle ripercussioni
sulla stima dei modelli di crescita tradizionali.
- Introduzione -
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Il lavoro si articola in quattro capitoli. Nel primo capitolo si procede ad un
inquadramento teorico del problema introducendo i concetti di benessere,
crescita e sviluppo. In particolar modo si ripercorre a grandi linee il dibattito
che si è svolto intorno alla definizione di benessere sociale, con la
contrapposizione dei differenti approcci sull’argomento, dall’utilitarismo
classico di Pigou alle nuove elaborazioni sociali ispirate dall’opera di
Amartya Sen.
Parallelamente si osserva anche l’evoluzione della teoria della crescita, da
concezioni prettamente quantitative verso nuovi scenari di sviluppo, che
oltre la dimensione economica considerano rilevanti anche gli aspetti sociali
e ambientali.
Nel secondo capitolo si prende in considerazione il Prodotto Interno Lordo
descrivendone le modalità di calcolo, gli scopi per cui è stato concepito e le
ragioni che lo hanno portato a diventare il più importante indicatore in
campo economico. Inoltre si analizzano in dettaglio alcuni dei suoi limiti
nell’assolvere correttamente al compito di misura del benessere e le
implicazioni che questi possono avere sulle dinamiche di crescita.
Il terzo capitolo è dedicato ad una rassegna dei principali indicatori proposti
come misure alternative di benessere. Dopo aver descritto l’evoluzione di
questi indici e le possibili modalità di classificazione si approfondisce
l’analisi di quegli indici che sembrano avere i migliori requisiti concettuali
per essere impiegati nella teoria economica come misura del benessere.
Nell’ultimo capitolo si vuole verificare la possibilità di utilizzo di uno di
questi indici nella stima dei modelli di crescita tradizionali. Si procederà
infine ad un confronto tra i risultati ottenuti con il PIL e quelli ottenuti
utilizzando l’ISEW/GPI, ritenuto il più adatto a essere utilizzato nella teoria
della crescita rispetto a indicatori di tipo sociale come lo Human
Development Index.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
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1. Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi
1.1. Evoluzione del concetto di benessere
Come indicato in precedenza uno degli obiettivi del presente lavoro è quello
di individuare un valido indicatore del benessere di una società che possa
essere utilizzato nella teoria economica della crescita.
Si ritiene, quindi, necessario innanzitutto cercare di chiarire il concetto stesso
di benessere, che seppur ampiamente utilizzato nel linguaggio comune,
presenta numerosi aspetti di ambiguità che ne rendono assai difficile una
definizione condivisa. Le definizioni di benessere sono, infatti, numerose e
ancor più numerose sono le modalità della sua misurazione. Esse hanno
dato luogo, tra l’altro, allo svilupparsi di un'intera disciplina di studi:
l'Economia del Benessere.
L’Economia del Benessere è, in sostanza, quel ramo della teoria economica
che indaga sulle condizioni e sui mezzi che consentono di aumentare il
benessere economico, sia per il singolo che per la collettività nel suo
complesso.
Se per benessere individuale si intende genericamente il grado di
soddisfazione dei bisogni dei singoli individui, il concetto di benessere
sociale o collettivo presenta, invece, numerosi problemi teorici. La
definizione di benessere sociale è legata, infatti, alla possibilità di conoscere
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
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le preferenze dei membri della collettività, aggregandole in qualche modo.
Ciò presuppone, però, la possibilità di poter confrontare le utilità
individuali, e proprio su questo punto si sono registrate profonde
divergenze fra gli economisti. Vi è, inoltre, disaccordo anche su quali
elementi sia giusto o possibile includere nel concetto stesso di benessere e, di
conseguenza, in un indicatore ideale per la sua misura. Alcuni cenni sul
decennale dibattito teorico che si è sviluppato su questi problemi possono
aiutare a capire meglio i termini della questione.
1.1.1. Utilitarismo e benessere classico
Il pensiero dell'economista inglese A.C. Pigou è generalmente considerato il
punto di partenza per ogni studio finalizzato alla definizione e alla
misurazione del benessere di una collettività, che lui interpretava come
somma delle soddisfazioni individuali. Il termine stesso di Economia del
Benessere deriva dal titolo di una sua opera del 1920 con la quale espose la
propria versione della teoria del benessere in termini di utilità cardinale1. La
teoria di Pigou si ricollega alle posizioni che ammettono la misurabilità e
1Secondo il cardinalismo pigouviano le utilità o soddisfazioni che ogni individuo trae dalla fruizione di beni economici godono di tre proprietà: a) sono misurabili in senso cardinale; b) sono confrontabili fra individui diversi; c) possono essere sommate per calcolare l'utilità collettiva della società in cui gli individui vivono. Pigou assumeva, poi, che il reddito fosse soggetto ad un’utilità marginale decrescente. Così il benessere complessivo di una società poteva aumentare anche con reddito nazionale mantenuto costante: bastava che si operasse una redistribuzione del reddito dai più ricchi ai più poveri. In questo consisteva la condizione di equità. D’altro canto, se il reddito di uno o più componenti la società aumentava senza modificare la distribuzione negli altri individui, il benessere complessivo cresceva. In questo consisteva la condizione di efficienza.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
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comparabilità delle soddisfazioni dei vari individui, posizioni che si
ritrovano nella corrente filosofica dell'utilitarismo2.
Proprio il confronto interpersonale delle soddisfazioni individuali è stato al
centro di forti critiche da parte di numerosi autori. Essi hanno notato che
sarebbe stato possibile effettuare questo confronto soltanto nel caso in cui
tutti gli individui avessero posseduto la medesima funzione di utilità; ma
questa era un'ipotesi inverosimile e per di più non verificabile. Robbins
(1932) affermò che la comparabilità implicava un giudizio di valore e che nei
confronti interpersonali si ottenevano risultati diversi a seconda delle
premesse di valore fatte.
Molti economisti cercarono di superare le incongruità teoriche presenti nelle
teorie di Pigou sviluppando un filone di studi che viene indicato con il nome
di “Nuova Economia del Benessere” e le cui basi originarie vanno
individuate nell'opera di Vilfredo Pareto, il primo a proporre una
misurazione ordinale dell’utilità. Pareto aveva in precedenza affermato che i
singoli soggetti economici operanti sul mercato avrebbero volontariamente
acconsentito agli scambi nella misura in cui ne avrebbero potuto trarre dei
vantaggi, e che, quindi, la produzione e gli scambi si sarebbero arrestati nel
momento in cui si fosse raggiunta una posizione di massimo benessere. In
una tale situazione (definita punto di ottimo paretiano) non sarebbe stato,
infatti, possibile migliorare la posizione di un qualsiasi soggetto senza
peggiorare contemporaneamente quella di qualcun altro. In base alla teoria
paretiana il benessere sociale, dunque, aumenta se aumenta l'utilità di un
individuo e se al tempo stesso non si riduce quella di un altro. Si noti che la
2 Si tratta di una dottrina filosofica di natura etica per la quale è "bene" (o "giusto") ciò che aumenta la felicità degli esseri sensibili. Si definisce perciò utilità la misura della felicità di un essere sensibile. Tale dottrina, che ha le sue origini nel pensiero greco di Protagora ed Epicuro, trova una formulazione compiuta nel XVIII secolo ad opera (poi ripresa da Mill) di Jeremy Bentham, il quale definì l'utilità come ciò che produce vantaggio e che rende minimo il dolore e massimo il piacere.
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definizione di “ottimo” usata da Pareto non si riferisce a una specifica
situazione di allocazione delle risorse tra gli individui migliore secondo un
dato criterio, ma a un insieme di diversi possibili stati allocativi, ciascuno dei
quali è contraddistinto da una differente distribuzione della ricchezza
sociale. In questa prospettiva, quindi, il benessere è valutato esclusivamente
in termini di efficienza, escludendo ogni possibile considerazione di tipo
equitativo.
Negli anni Trenta molti economisti ritennero di poter ricorrere al concetto di
Pareto-ottimalità per valutare la performance di un sistema economico senza
dover esprimere giudizi di valore e descrissero le condizioni che si sarebbero
dovute verificare affinché l’economia venisse a collocarsi in un punto di
ottimo paretiano che massimizzasse il benessere. Vennero così formulati i
teoremi fondamentali dell’economia del benessere per esprimere la relazione
tra equilibrio concorrenziale e ottimalità paretiana3.
Si trattò di un periodo particolarmente fecondo per la letteratura economica
e non a caso tre premi Nobel (Arrow, Samuelson e Hicks) furono tra coloro
che diedero contribuiti significativi a questo filone di ricerca. Una
conseguenza dell’adozione da parte degli economisti della Pareto-ottimalità
quale criterio di analisi del benessere fu, però, che il tema della distribuzione
del reddito perse gradualmente di importanza, in virtù del fatto che tale
criterio di ottimalità tratta delle implicazioni di benessere a partire da una
“data” distribuzione del reddito.
3 I due teoremi fondamentali dell’Economia del benessere: nel primo si asserisce che nel caso di concorrenza perfetta l’allocazione delle risorse che si ha in un mercato concorrenziale, se esiste, costituisce un “ottimo” paretiano. Il secondo teorema si basa su considerazioni di equità, che mancano nell’approccio di Pareto: sotto alcune condizioni riguardanti le funzioni di utilità individuali e le funzioni di produzione, da un’allocazione delle risorse efficiente, ma considerata non equa, è possibile passare ad un’altra qualsiasi situazione di “ottimo”, e quindi anche ad una che sia considerata equa, modificando adeguatamente quella distribuzione delle risorse e lasciando poi all'operare del mercato concorrenziale il compito di attivare i meccanismi attraverso i quali può essere raggiunta l'efficienza.
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Per ovviare a tale criticismo alcuni autori, in particolare Kaldor (1939) e
Hicks (1939), cercarono di introdurre nella teoria economica l'aspetto della
distribuzione del reddito tramite il cosiddetto principio dell’indennizzo, in
base al quale un aumento del reddito complessivo di una società migliora
sempre il benessere dell'intera società qualora gli individui che ne siano
avvantaggiati indennizzino quelli svantaggiati pur conservando, i primi, un
vantaggio netto. Tuttavia anche questo approccio fu criticato per la
possibilità di situazioni paradossali in cui i soggetti danneggiati dalla
redistribuzione del reddito sono portati a compensare i soggetti che di quella
redistribuzione si avvantaggiano onde convincerli a tornare all'allocazione
originaria4.
Un altro punto di debolezza della concezione utilitarista (sia nella versione
di Pigout che in quella di Pareto) consisteva nell’attribuire alle preferenze
dei singoli individui un’autorità assoluta: in un’ottica sociale è evidente che
esistono delle cose che hanno valore anche se nessuno esprime delle
preferenze per esse, mentre, al contrario, esistono delle cose dannose per la
società in quanto tale, ma preferite da qualche singolo individuo (e quindi
inserite nel concetto di benessere sociale nella visione utilitarista). Ne
consegue che anche l’uso dell’operatore somma, quale metodo di
aggregazione delle utilità individuali per stabilire il valore da assegnare al
benessere sociale risulta inappropriato.
Bergson (1938) introdusse il concetto analitico di Funzione di benessere sociale,
espressa in forma ordinale al fine di specificare le preferenze della società;
concetto che in seguito venne ripreso da Samuelson (1947) che approfondì le
implicazioni e applicazioni di tale funzione. La forma funzionale proposta
da Bergson e Samuelson è molto generale, e l’additiva ne costituisce solo
4 Cosiddetto Paradosso di Scitovski, dal nome dell’economista che lo descrisse nel suo lavoro del 1941, “A Note on Welfare Propositions in Economics”.
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uno dei possibili casi (si ricordano, ad esempio, la forma moltiplicativa o la
cosiddetta Maxmin5, cioè la massimizzazione del benessere dei soggetti che
si trovano nella situazione peggiore); la funzione di benessere sociale
aggrega le utilità delle singole persone basandosi su quello che viene
definito individualismo etico (ciò che conta è il benessere degli individui; ogni
individuo, libero nei giudizi su se stesso e sugli stati del mondo in relazione
a se stesso, è il miglior giudice del proprio benessere). Per superare i limiti
derivanti dall’impossibilità di effettuare confronti intertemporali si pensò di
chiamare i singoli individui a esprimere le loro preferenze nei confronti delle
possibili alternative nell’ordinamento sociale6.
Una funzione del benessere sociale di questo tipo è definita
“individualistica” perché riflette le preferenze che ogni individuo di una
società esprime nell’ordinare ogni coppia di situazioni che gli si può
presentare, subordinatamente al fatto che le preferenze individuali non
siano in conflitto tra di loro.
Anche questa concezione di benessere collettivo venne, però, duramente
criticata. Arrow, nel suo celebre lavoro Scelte sociali e valori individuali del
1951 arrivò a dimostrare che, date alcune ipotesi ragionevoli, è impossibile
determinare una funzione di benessere sociale che preservi le scelte
sociali7. La sua opera è convenzionalmente considerata l’origine di nuova
5 Rawls J. (1971). A Teory of Justice. Harward University Press. 6 In quest’ottica ogni individuo nella scelta tra possibili alternative deve tener conto non solo della quantità e della qualità dei beni e dei servizi che può ottenere nelle varie alternative, ma anche del modo in cui essi possono essere ottenuti e venire distribuiti, nonché di tutte le altre caratteristiche che possono contribuire a contraddistinguere una situazione sociale da un'altra. 7 Cosiddetto “Teorema dell’impossibilità di Arrow”. Esso dice che, dati i requisiti di universalità, non imposizione, non dittatorialità, monotonicità, indipendenza dalle alternative irrivelenti, non è possibile determinare un sistema di votazione che preservi le scelte sociali. Lo scopo era trovare una qualsiasi procedura di decisione collettiva che potesse soddisfare alcuni requisiti ragionevoli per una scelta non dittatoriale.
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branca dell’economia del benessere, di natura fortemente astratta, nota con il
nome di teoria delle scelte sociali8.
Stante l’impossibilità dimostrata da Arrow, si sviluppò un particolare filone
di studi che, rifiutando l’individualismo etico, esaminò il benessere sociale in
termini di democrazia secondo un approccio multidisciplinare che
mescolava la trattazione più strettamente economica con varie impostazioni
sociologiche e politiche. Le difficoltà delineate nel passaggio da ordinamenti
di preferenza individuali a scelte sociali coerenti condussero alcuni autori,
tra i quali Tinbergen, a sostituire le preferenze individuali con le preferenze
dei responsabili della politica economica relativamente all’intera collettività.
Nell’opera di Tinbergen si assiste a un ampliamento del concetto stesso di
benessere, in precedenza inteso principalmente come soddisfazione di tipo
“materiale”: egli, infatti, distinse le componenti del benessere sociale in due
generiche categorie: (I) le componenti di un individuo considerato in quanto
tale e (II) le componenti dell’individuo come parte di una società. Alla prima
categoria appartengono gli elementi che determinano il benessere materiale
e spirituale dell’individuo, come, ad esempio, le quantità di beni disponibili,
le possibilità d’istruzione, il diritto di partecipare alle decisioni. Alla seconda
appartengono, invece, gli elementi che determinano le relazioni fra gli
individui, come il grado di libertà personale, il grado di giustizia, il clima
sociale e la pace, sia interna che internazionale. 8 La Teoria delle Scelte Sociali studia le proprietà e l’efficienza dei diversi strumenti normativi (ad es. i criteri di voto) con cui è possibile trasformare, grazie alla definizione di un opportuno criterio di scelta “collettivo”, un sistema di preferenze individuali, distinte e potenzialmente antagoniste, in un nuovo e coerente ordinamento di preferenze avente natura “sociale”. Posteriormente all'opera di Arrow furono sviluppate numerose linee distinte di ricerca volte a superare l’impossibilità di aggregazione da lui dimostrata, ma, a meno di cambiare l'impostazione di base, tutti gli studiosi finirono per arrivare a risultati di impossibilità. Prendendo spunto da Arrow, Sen (1970), ad esempio, dimostrò che, in uno stato che voglia far rispettare contemporaneamente efficienza paretiana e libertà possono crearsi delle situazioni in cui al più un individuo ha garanzia dei suoi diritti. Egli dimostrò dunque matematicamente l’impossibilità del liberismo di Vilfredo Pareto, basato appunto sul concetto di efficienza.
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Tinbergen si dovette però scontrare con l’oggettiva difficoltà di esprimere in
termini quantitativi gran parte degli elementi da includere nella funzione del
benessere sociale (definita a partire dalle preferenze dei responsabili della
politica economica), tanto che egli arrivò a ritenere non possibile la
costruzione pratica di tale funzione. Queste difficoltà, ancora oggi non
pienamente superate, hanno alimentato un’intensa ricerca nell’ambito
dell’Economia del Benessere volta a individuare adeguati indicatori
normativi del benessere sociale, indicatori alcuni dei quali verranno
analizzati nel dettaglio nei prossimi capitoli.
1.1.2. Nuove concezioni di benessere e l’approccio di Amartya Sen
I tre principali filoni di analisi descritti in precedenza (l’approccio di tipo
pigouviano e la sua evoluzione tramite la funzione di benessere sociale;
l’approccio di Pareto e il suo sviluppo tramite il principio dell’indennizzo;
l’approccio normativo) hanno lasciato irrisolti una serie di problemi che
hanno dato vita a nuove teorie circa il concetto di benessere sociale.
Un primo ordine di criticità era legato alla soluzione del problema della
distribuzione del reddito, con l’individuazione di un criterio di valutazione
del benessere che si basasse simultaneamente su considerazioni sia di
efficienza che di equità distributiva.
Data la scarsità di conoscenze empiriche riguardo le molteplici componenti
del benessere, alcuni autori ritennero che non fosse possibile tener conto
dell'aspetto distributivo nel valutare un sistema economico; per cui l'aspetto
dell'efficienza produttiva sarebbe stato l'unico criterio con il quale giudicare
la desiderabilità di un determinato assetto sociale. Al contrario, altri studiosi
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ritennero che l’aspetto dell’equità distributiva dovesse avere un’importanza
maggiore rispetto a quello dell’efficienza produttiva.
Nozick e Rawls, in particolare, focalizzarono la loro analisi sul concetto di
democrazia definendo il benessere in termini di uguaglianza. Le loro
conclusioni, però, furono diametralmente opposte in virtù della diversa
concezione di uguaglianza sottesa alle loro teorie. Rawls auspicava, infatti,
una condizione di egualità nella quantità di beni primari sociali posseduti
dagli individui, mentre per Nozick era fondamentale l’uguaglianza in
termini di diritto alla libertà.
Secondo l’approcio di Rawls (1974) la disuguaglianza economica e sociale è
permessa soltanto se l’eventuale beneficio, maggiore della disuguaglianza,
va al soggetto più svantaggiato e al tempo stesso la disuguaglianza permette
a ognuno le stesse occasioni e opportunità. Risulta, quindi, possibile
confrontare il benessere dei soggetti valutando la composizione dei rispettivi
panieri di beni primari sociali9. Se questo confronto indica uno svantaggio
relativo si giustifica una “reintegrazione” a favore degli individui
svantaggiati.
Robert Nozick sostenne, invece, in Anarchia, stato e utopia (1974), che l'unica
eguaglianza ammissibile, dal punto di vista morale, è l'eguaglianza dei
diritti individuali. Secondo la sua visione poiché ogni individuo “appartiene
a se stesso”, nessuno, tanto meno lo Stato, può legittimamente controllare i
comportamenti dei singoli soggetti. Lo Stato non può porsi alcun fine
collettivo, e deve limitarsi a proteggere i diritti individuali (cosiddetto Stato
minimo). Il benessere, in questo caso, si sostanzia in una giustizia
9 I beni primari individuati dal Rawls (1982) rientrano nelle cinque categorie seguenti: a) le libertà fondamentali, (ad es. la libertà di pensiero e di coscienza; la libertà di associazione; le libertà politiche, ecc); b) la libertà di scelta di un'occupazione; c) responsabilità e potere; d) il reddito e la salute; e) le basi sociali del rispetto di sé.
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distributiva, finalizzata a garantire i diritti delle persone e non a soddisfare
le loro preferenze.
Oltre che per l’aspetto equitativo le teorie del benessere “tradizionali”
furono criticate per la loro inadeguatezza a spiegare le relazioni tra la
crescita economica e lo sviluppo sociale in senso lato. In realtà questo
problema, già avvertito dalla teoria dello sviluppo economico in relazione ai
Paesi più arretrati, ha recentemente interessato gli studiosi con riferimento ai
Paesi industrializzati. In questi paesi l’aggravarsi dei problemi socio-
economici, spesso anche in presenza di crescita economica sostenuta hanno
portato all’affermarsi di teorie che puntano lo sguardo sullo sviluppo sociale
di una collettività piuttosto che sulla mera crescita in termini economici.
Come si vedrà più avanti, proprio questi problemi sono alla base delle
critiche rivolte al Prodotto Interno Lordo quale corretto indicatore di
benessere di un Paese.
Negli ultimi decenni l’autore che maggiormente ha contribuito a una
riformulazione della scelta sociale che fosse in grado di superare i limiti
della funzione di benessere classica è stato sicuramente l’indiano Amartya
Sen, anche lui vincitore del Premio Nobel per l’Economia.
In un primo momento anche Sen elaborò un concetto di benessere riferito a
un gruppo di individui, secondo un impostazione di tipo normativo,
introducendo il concetto di “titolo valido”. L’idea alla base di tale
formulazione era che la capacità dei diversi gruppi sociali di disporre di beni
e servizi è connessa alla natura giuridica, economica, sociale e culturale di
una società. E il titolo valido di un individuo rappresenta il paniere di beni e
servizi sui quali ha diritto (che può, cioè, “comandare”) secondo le modalità
possibili in base al contesto in cui vive.
In un sistema basato sulla proprietà privata e sugli scambi di mercato,
l’insieme dei titoli validi dipende dalle dotazioni iniziali del soggetto e dalla
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relazione tra queste e l’insieme dei panieri che egli può ricevere scambiando
sul mercato. Seguendo questa impostazione, egli sostenne, ad esempio, che
alcune gravissime carestie verificatesi nella regione indiana (Bengala 1943 e
Bangladesh 1974) furono provocate non tanto dalla riduzione delle quantità
prodotte di cibo, quanto da un improvviso e rapido peggioramento delle
opportunità di scambio di alcuni strati della popolazione10. Questo esempio
è significativo del fatto che il giudizio sul benessere di un individuo richiede
che si specifichino le sue “capacità”, cioè le funzioni che egli riesce a
esercitare su di un certo paniere di beni e non il semplice possesso del “titolo
valido”. In altre parole un soggetto potrebbe avere i titoli validi ma non la
capacità effettiva di utilizzarli.
Se si considera un individuo come soggetto dotato di un insieme di funzioni
di utilizzazione (ciascuna delle quali specifica gli utilizzi relativi ai beni
posseduti, possibili per il soggetto in questione), il benessere del soggetto
può allora essere interpretato come la “valutazione della funzione di
utilizzazione adottata dal soggetto in corrispondenza di un dato insieme di
beni”.
Per formulare giudizi di benessere sociale non è sufficiente conoscere le
quantità totali di risorse disponibili per una collettività: il livello di benessere
associato a quelle quantità, infatti, non è indipendente dalla distribuzione
delle quantità tra i suoi componenti, in quanto questa influenza la capacità e
la libertà di utilizzazione degli individui. Su queste basi i responsabili della
politica economica dovrebbero poter utilizzare indicatori normativi quali, ad
esempio, misure della povertà, della disuguaglianza, del reddito nazionale, e
di tutti quegli aspetti considerati rilevanti in termini normativi.
10 Sen, A. (1981). Poverty and Famines: An Essay on Entitlement and Deprivation. Clarendon Press, Oxford.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 17 -
Nella definizione di benessere come capacità di scelta uno degli elementi
fondamentali è costituito dalla considerazione dello svantaggio iniziale, per
cui gli indicatori normativi, per costituire un valido supporto informativo ai
responsabili della politica economica, dovrebbero essere in grado di tener
conto delle posizioni di svantaggio degli individui sfavoriti.
Tuttavia lo stesso Sen, nell’individuare un indicatore delle capacità di
utilizzazione con il quale definire la “qualità della vita” di una collettività,
riscontrò l’esistenza di un rilevante problema teorico. Se il benessere è
definito come capacità di scelta, vi è la possibilità che le scelte liberamente
effettuate dagli individui conducano a situazioni inique. Questo avviene, ad
esempio, in tutti quei casi dove la scelta è la partecipazione a una qualche
forma di “lotteria”; in una tale situazione si potrebbe dare all'individuo la
libertà di scegliere una situazione che potrebbe portare a dei risultati
negativi (per l'individuo stesso), cioè a diminuire il proprio campo di scelta e
quindi, in definitiva, il proprio benessere. Se l'individuo, infatti, effettua una
scelta che gli causa perdite la sua capacità di scelta, ex-post, è di fatto
diminuita. Ma se si impedisce all'individuo di effettuare tale scelta, il suo
benessere, espresso appunto in termini di capacità di scelta, diminuisce ex-
ante. Ne segue, che la razionalità di in processo di decisione sociale è una
nozione insufficiente ad affrontare i problemi relativi al benessere sociale,
che possono essere risolti solo all'interno di una teoria della giustizia
(Carlucci).
Partendo da queste considerazioni, negli anni Ottanta e Novanta, Amartya
Sen sviluppò un nuovo approccio alla concezione di benessere (inteso
nell’accezione inglese di well-being anziché di welfare tipica dell’utilitarismo),
da un lato estendendo la sua nozione di “capacità di scelta”, dall’altro
scostandosi marcatamente da essa. La distanza dal suo vecchio approccio
risiede essenzialmente nel fatto che egli considera e definisce il benessere
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 18 -
non più per una collettività di persone, ma per un individuo. L’estensione
concerne due nuovi concetti introdotti da Sen, quelli di capabilities
(capacitazioni) e di functioning (funzionamenti). I funzionamenti riguardano
le esperienze effettive che l’individuo ha deciso liberamente di vivere, gli
stati di fare o di essere (doing e being nel linguaggio seniano), che una
persona può desiderare e che per lui creano valore (dai funzionamenti più
elementari: essere nutrito a sufficienza, non soffrire di malattie evitabili; ai
più complessi: essere in grado di partecipare alla vita della comunità, aver
rispetto di sé, ecc.); le capacitazioni sono, invece, le alternative di scelta, ossia
l’insieme dei funzionamenti che un individuo può raggiungere.
In termini formali un gruppo di n funzionamenti può essere rappresentato
da un’ennupla di variabili, ciascuna indicata con Fi , i=1,2,…,n. I
funzionamenti rispecchiano situazioni obiettive, che si riferiscono agli stati
di fare o di essere desiderabili dall’individuo; ma soltanto k ≤ n di questi n
funzionamenti sono sia a lui disponibili sia da lui sceglibili. Questo insieme
di k funzionamenti rappresenta la sua capacitazione.
Considerando, ad esempio, uno spazio delle aspirazioni bidimensionale,
formato, da soli due funzionamenti:
− avere una buona istruzione = F1
− essere nutrito in modo adeguato = F2 ,
i sottoinsiemi differenti e possibili sono quattro:
1) sia F1 che F
2 sono presenti,
2) F1 è assente ma F
2 è presente,
3) F2 è assente ma F
1 è presente,
4) sia F1 che F
2 sono assenti.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 19 -
Se un individuo è in grado di godere sia di F1
che di F2
, la sua capacitazione
è formata dalla coppia (F1
, F2) e k=2; se viceversa può godere o del solo F
1 o
del solo F2
, la sua capacitazione è formata da un solo funzionamento (F1
oppure F2
, rispettivamente) e k=1. Nell’ultimo caso k=0. Utilizzando una
notazione booleana, dove 0 indica l’assenza e 1 indica la presenza di un
determinato funzionamento, la situazione precedente può essere
rappresentata tramite un diagramma cartesiano in cui gli assi corrispondono
ai funzionamenti F1
e F2. In questo modo vengono a crearsi i quattro punti
(0,0), (0,1), (1,0) e (1,1), corrispondenti alle quattro differenti capacitazioni.
Un individuo con capacitazione (1,1) può liberamente scegliere di avere una
buona istruzione (F1) oppure di nutrirsi adeguatamente (F
2), oppure di
godere di entrambi i funzionamenti. Può, inoltre, decidere di rinunciare a F1
e F2, ma in questo caso la sua situazione è comunque differente rispetto a
quella di un soggetto che rinuncia a nutrirsi e a istruirsi perché
impossibilitato nella scelta di altre soluzioni, come nel caso del punto (0,0).
Lo schema seguente, mostra in maniera molto semplificata il processo di
benessere così come si viene a delineare nell’approccio di Sen:
Fig. 1 - Processo seniano di determinazione del benessere.
Limitare l’attenzione al primo dei blocchi del diagramma, lo spazio dei
redditi e dei beni disponibili, equivale a interpretare il benessere secondo
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 20 -
una concezione di tipo tradizionale. L’impostazione di Sen, però, pone in
discussione due assunti tipici della tradizione utilitarista, cioè l’esistenza di
una relazione, diretta e determinata, tra quantità di beni posseduta e utilità
totale conseguibile e la sostanziale identità concettuale tra la nozione di
utilità e l’idea di benessere. Ciò che un individuo può ricavare dai beni
dipende da una pluralità di fattori e di condizioni individuali e ambientali
(in senso lato) e dunque giudicare il beneficio personale soltanto in base alla
quantità di denaro, di beni o di risorse a disposizione può risultare del tutto
fuorviante. A parità di reddito, risorse o beni a disposizione, si possono
ottenere livelli diversi di benessere a seconda delle capacità di conversione
di cui si dispone e che consentono di trasformare questo insieme di risorse in
realizzazioni potenziali (l’insieme delle capacità indicate nel blocco
intermedio della figura 1) o di funzionamenti effettivamente realizzati (il
terzo blocco a destra nella figura 1).
Fattori di conversione e scelte diventano pertanto due elementi importanti
all’interno di questo approccio. I fattori di conversione dipendono dalle
caratteristiche personali degli individui, quali l’età, il sesso, l’istruzione, le
condizioni fisiche e psichiche, le abilità e i talenti, oltre che dall’ambiente
famigliare, sociale, economico, naturale, culturale, politico-istituzionale
circostante. Le scelte entrano in gioco nel passaggio dalle spazio delle
capacità a quello delle effettive realizzazioni: scegliere di compiere una
determinata azione avendo una pluralità di alternative a disposizione ha un
valore intrinseco per il benessere dell’individuo che occorre riconoscere e
valutare, rispetto a una condizione opposta in cui la stessa realizzazione
acquisita è l’unica opzione disponibile.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 21 -
Per Sen, quindi, il benessere degli individui, nella duplice accezione di
qualità di vita e well-being11, può essere sempre espresso in termini di
capacitazioni. Se il well-being è definito in termini di capacitazioni, la sua
valutazione corrisponde alla valutazione dell’insieme dei funzionamenti che
costituiscono tali capacitazioni. Di conseguenza, per misurare il benessere
attraverso l’approccio proposto da Sen, due problemi devono essere risolti in
maniera soggettiva:
− la scelta dei funzionamenti necessari alla definizione della
capacitazione che viene ritenuta equivalente al well-being oppure alla
qualità della vita;
− la determinazione dei loro valori relativi, cioè dei pesi da attribuire ai
singoli funzionamenti, in quanto non tutti ugualmente rilevanti.
Data la soggettività di questa duplice scelta è teoricamente possibile
costruire infiniti indici di benessere alternativi tra loro; in effetti, partendo
dalle idee di Amartya Sen, numerosi autori hanno sviluppato misure di
well-being da utilizzare nella teoria economica e tra queste senza dubbio la
più celebre è lo Human Development Index (HDI) calcolato annualmente
dall’ONU (si veda § 3.3.1).
Negli ultimi anni la teoria di Sen è stata rivista e sviluppata dall’opera di
Martha Nussbaum, che ha introdotto alcune modifiche sostanziali alla
relazione tra funzionamenti e capacitazioni. Quest’ultime non sono più
costituite da insiemi di funzionamenti che si ha la capacità di ottenere: ogni
funzionamento che può essere ottenuto è esso stesso una capacitazione,
cosicché la caratterizzazione del well-being è fatta per mezzo di un insieme
11 Sen effettua una distinzione tra i concetti di well-being e qualità della vita (o standard di vita): se i funzionamenti riguardano soltanto la vita di un individuo, l’associata capacitazione può essere considerata equivalente al suo standard di vita. Al contrario, se i funzionamenti sono più generali, ad esempio concernenti la vita anche di altre persone, la capacitazione associata può essere considerata equivalente al suo well-being. In questo senso il concetto di well-being include quello di standard di vita.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
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di k capacitazioni ognuna delle quali è un funzionamento disponibile e
ottenibile. Inoltre, è stata superata la posizione che identificava il well-being
o la qualità della vita in termini esclusivamente individuali, introducendo il
ruolo dello Stato nel mettere a disposizione dei propri cittadini le
capacitazioni di cui necessitano.
In questa analisi delle principali teorie del benessere occorre, infine,
accennare all’emergere di una nuova corrente di pensiero, che identifica il
concetto di benessere con quello di felicità percepita, e che ha dato vita a un
filone di studi che prende il nome di “Economia della Felicità”. Dal punto di
vista economico, uno degli ambiti di ricerca più rilevanti e interessanti di
queste teorie è il rapporto tra felicità e reddito. Gli studi evidenziano una
relazione molto più complessa di quella generalmente definita nelle funzioni
di utilità dei modelli standard. Dimostrano, infatti, che sulla mera
correlazione positiva via via decrescente tra reddito e benessere, solitamente
postulata dagli economisti, si innestano almeno altre due componenti, una
di carattere psicologico e l'altra di carattere sociologico.
Secondo la prima, esiste una rincorsa tra aspirazioni e realizzazioni: una
volta raggiunta una meta in termini di reddito, gli individui innalzano
progressivamente l'obiettivo dei loro traguardi successivi, riducendo il
grado di soddisfazione per quanto già raggiunto. Per la seconda, nel
rapporto tra reddito personale e felicità è fondamentale il confronto con il
livello di reddito del gruppo di riferimento, l'insieme di persone con il quale
l'individuo si rapporta solitamente. Dunque, il reddito relativo ha effetti
molto superiori a quelli del reddito assoluto. In particolare, redditi al di
sopra (al di sotto) della mediana tendono a determinare effetti positivi
(negativi) sulla felicità individuale.
Tuttavia anche lo stesso Sen, a cui molte di queste teorie fanno esplicito
riferimento, mette in guardia dall’utilizzo di approcci di carattere
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 23 -
“psicologico” sostenendo che il sentirsi soggettivamente felice è meno
importante della “felicità oggettiva”, misurata attraverso indicatori della
qualità della vita più concreti (salute, educazione, libertà, diritti, etc.). La
critica di Amartya Sen all’approccio della felicità è fondata sull’ipotesi dello
“schiavo felice”, secondo cui possono esistere individui talmente soggiogati
dalla privazione dei diritti più elementari da non essere neanche in grado di
concepire condizioni di vita migliori, dunque, “felici della loro condizione di
assenza di diritti”12.
1.1.3. Possibili estensioni del concetto di benessere
Da quanto finora descritto appare chiaro come sia difficile giungere a una
definizione condivisa e univoca del concetto di benessere, che è stato
accostato di volta in volta a quelli di utilità, capacità di scelta, libertà,
uguaglianza, felicità , disponibilità di beni primari, ecc..
L’analisi dell’evoluzione degli aspetti concettuali e definitori del benessere
ha evidenziato come i punti di disaccordo tra gli economisti siano, in realtà,
numerosi ed eterogenei. Essi hanno riguardato, solo per fare alcuni esempi,
gli elementi stessi da includere nel concetto di benessere, la possibilità di
quantificare il valore di alcuni di questi elementi, i criteri di aggregazione
delle preferenze individuali e la necessità di considerare aspetti quali
l’equità distributiva o i cosiddetti fattori di conversione.
Il dibattito che si è sviluppato intorno a questi temi potrebbe apparire, in
prima analisi, come mera speculazione teorica. Tuttavia esso assume
rilevanza quando si cerca di costruire un sistema di misurazione empirico
12 Sen, A. (1993). Capability and Well-being, in The Quality of Life (edited by Nussbaum, M. and Sen, A.), pp. 31-53. Clarendon Press. Oxford.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 24 -
del benessere che possa essere utilizzato nella teoria economica o nella
valutazione delle scelte politiche.
L’individuazione degli elementi da considerare in una tale misurazione
dipende, infatti, dalla definizione di benessere che si intende adottare. La
figura seguente, elaborata dalla Deutsche Bank Research, illustra le
componenti principali da includere in una possibile valutazione in relazione
ad alcuni possibili aggregati di benessere.
Fig. 2 – Elementi del well-being (fonte: Deutsche Bank Research).
A un primo livello, indicato con il nome di economic well-being, appartengono
quegli elementi di carattere materiale a cui è possibile attribuire un valore
economico, anche se non necessariamente derivante dall’esistenza di un
mercato ufficiale. Accanto al consumo e agli investimenti, tipici elementi
rientranti nel calcolo del Prodotto Interno Lordo, troviamo, infatti, elementi
quali il tempo libero, la ricchezza posseduta e le attività non di mercato che
hanno effetti positivi sul benessere, mentre disoccupazione e insicurezza
reddituale hanno un effetto opposto.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 25 -
Il secondo aggregato (living conditions) comprende oltre che gli elementi
prettamente economici anche aspetti non materiali di well-being, come la
salute, l’istruzione e la qualità dell’ambiente naturale. Questi elementi
presentano maggiori difficoltà di aggregazione, ma la loro importanza
dipende dal fatto che possono essere ancora controllati in qualche modo
dalla politica economica e quindi la loro inclusione potrebbe risultare utile
per valutare e monitorare nel complesso le politiche governative.
Se si accetta, infine, la definizione di benessere che identifica questo concetto
con quello di felicità occorrerà includere nella misurazione quei fattori di
carattere soggettivo e psicologico (ambiente familiare e lavorativo,
appartenenza a un gruppo sociale, tipologia di attività svolta, ecc.) che
hanno un effetto sul grado di soddisfazione degli individui ma che non sono
controllabili dalla politica economica.
In definitiva si può osservare che non esiste un concetto di benessere valido
in senso assoluto: l’adozione di una determinata definizione di benessere e
la costruzione di indici quantitativi coerenti con l’approccio scelto dovrebbe
dipendere dall’obiettivo di analisi che si intende raggiungere.
Nei prossimi capitoli si illustreranno le ragioni per cui il Prodotto Interno
Lordo, l’indice normalmente usato per misurare il benessere di una nazione,
non sia in realtà adatto a tale scopo, a prescindere dalla concezione di
benessere che si intende adottare. Il Pil presenta, infatti, importanti
differenze concettuali anche rispetto al livello più ristretto di benessere,
definito in precedenza well-being economico.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 26 -
1.2. Crescita e sviluppo
Un miglioramento nel livello di benessere di una società viene comunemente
descritto con i termini “crescita” o “sviluppo”. Tuttavia, da quanto finora
detto, appare chiaro come queste due nozioni non siano, in realtà,
necessariamente le stesse.
Herman Daly mette in evidenza questa differenza, nel suo libro “Beyond
Growth: The Economics of Sustainable Development”:
“To grow means to increase naturally in size through the addition of
material through assimilation or accreditation. To develop means to expand
or realise the potentialities of bringing gradually to a fuller, greater or better
state. In short, growth is the quantitative increase in physical scale while
development is qualitative improvement or the unfolding of potentiality. An
economy can grow without developing, or develop without growing, or do
both, or neither”.
In altre parole la crescita fa riferimento a un concetto “ristretto” di benessere
inteso esclusivamente come quantità di beni e servizi disponibili, mentre lo
sviluppo comprende anche elementi di qualità della vita di natura sociale,
culturale e politica.
1.2.1. Dalla crescita alla sostenibilità
La crescita continua dei livelli reddituali è un fenomeno relativamente
recente nella storia dell’umanità. Si stima, infatti, che dalla fine dell’Impero
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 27 -
Romano sino al 1500 l’aumento del reddito pro capite in Europa fu
pressoché nullo e molto contenuto anche fino alla fine del 1800; solo
nell’ultimo secolo i tassi di crescita sono aumentati in maniera esponenziale.
La crescita economica dipende da molteplici fattori e da cause complesse che
costituiscono una delle materie di studio fondamentali per le scienze
economiche.
Le teorie e le politiche della crescita che oggi sono maggiormente utilizzate
fanno riferimento a due principali tipi di fattori: fattori strettamente
economici, fattori extra-economici e istituzionali.
Nella seconda categoria rientrano quegli elementi che pur non essendo cause
immediate della crescita economica riescono ugualmente a influenzarla in
maniera indiretta. Il sistema politico e giuridico, l’influenza delle istituzioni
che regolano i diritti di proprietà, il grado di integrazione dei mercati e la
distribuzione del reddito sono esempi di questi fattori che hanno un ruolo
importante nelle dinamiche di crescita di un’economia.
Le teorie della crescita economica in senso stretto che sono attualmente
prevalenti sono state avviate, invece, negli anni quaranta e cinquanta, anche
se numerose idee in merito erano già presenti nell’opera degli economisti
classici della rivoluzione industriale. Smith, Ricardo, Malthus e Marx, infatti,
si già erano interessati all’argomento fornendo spunti di analisi che hanno
poi ispirato la successiva teoria della crescita.
Ricardo sostenne ad esempio che la crescita non potesse prolungarsi
indefinitamente nel tempo a causa della limitatezza delle risorse naturali. Il
vincolo di risorse (la terra), unitamente alla produttività marginale
decrescente del lavoro avrebbero ridotto progressivamente l’accumulazione
di capitale fino ad annullarla completamente. Una conclusione molto simile
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 28 -
a quella cui, molti anni dopo, è pervenuta la teoria neoclassica, attraverso il
modello Ramsey-Solow.
Marx, invece, introdusse il ruolo del progresso tecnologico. Questo
favorendo l’innovazione di tipo capital intensive, avrebbe comportato un
aumento della composizione organica del capitale13, e di conseguenza una
riduzione del saggio di profitto pari al tasso di crescita: in questo modo tutte
le economie avrebbero conseguito nel lungo periodo un livello di
accumulazione (ed un livello di crescita) pari a zero.
Tra i modelli di crescita neoclassici un ruolo centrale spetta ai lavori di
Solow (1957) e di Swan (1956). La caratteristica essenziale di questi modelli è
l’inclusione, tra le variabili esplicative, dei risparmi, del tasso di crescita
della popolazione e dei cambiamenti tecnologici.
I contributi a questo filone di studi sono stati numerosi e una trattazione
completa risulterebbe impegnativa e non necessaria ai fini del presente
lavoro; è tuttavia interessante notare come l’evoluzione dei modelli di
crescita abbia posto al centro del dibattito il tema della sostenibilità e come
in coerenza con questo si siano sviluppate le prime ricerche volte a
individuare misure della qualità della vita alternative al Prodotto Interno
Lordo.
Secondo il modello di Solow il livello di reddito di equilibrio, nel lungo
periodo, è determinato dalla produttività del capitale investito in mezzi di
produzione, dal livello di consumo scelto dalla collettività, dal tasso di
crescita della popolazione e dal tasso di obsolescenza del capitale stesso. Il
modello di Ramsey-Cass-Koopmans, un’evoluzione dello schema proposto
da Solow che rimarrà il riferimento standard della teoria sino agli anni ’80,
13 Marx indica in questo modo l’intensità di capitale, cioè il rapporto tra i mezzi di produzione (capitale costante) e il capitale totale.
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 29 -
descrive con maggiore precisione le scelte degli individui, anche se al centro
dell’analisi rimane sempre l’accumulazione di capitale.
Questi modelli hanno molto da insegnare sulla sostenibilità futura di
particolari scelte di consumo nel presente. Essi sono in grado ad esempio di
spiegare come la massimizzazione del benessere nel breve periodo sia un
impedimento al raggiungimento del massimo livello di ricchezza in archi
temporali più lunghi. Consumi troppo elevati rendono impossibile o
ritardano l’accumulazione del capitale, mentre un basso livello di consumo
potrebbe essere sub-ottimale perché impone agli individui sacrifici non
adeguatamente remunerati dall’accumulazione di capitale.
Essi sono stati concepiti però per descrivere la crescita economica in anni e in
paesi in cui essa avveniva, per la gran parte, attraverso l’accumulazione di
capacità produttiva in termini di impianti, macchinari e infrastrutture, e con
lo spostamento di risorse produttive da settori informali (lavoro domestico,
agricoltura di sussistenza, ecc.) a settori ad alta produttività “formale”.
Il miglioramento tecnologico non è spiegato, bensì assunto come esogeno e il
capitale accumulato ha rendimenti decrescenti che impongono un tasso di
crescita più basso di quello osservato nel presente e costante nel lungo
periodo. Ciò era dovuto sia alla mancanza di un’analisi approfondita delle
dinamiche di innovazione, vero propulsore della crescita nel lungo periodo,
sia a una concezione che immaginava le risorse naturali come illimitate e
non esauribili. Entrambe queste carenze sono state superate negli anni
ottanta e novanta: le crisi energetiche, l'emergere di problemi ambientali e il
rallentamento della crescita dei paesi industrializzati dopo l'esplosione del
secondo dopoguerra hanno determinato un ripensamento dei vecchi
paradigmi in tutte le discipline che si interessano di benessere e sostenibilità.
Particolarmente significativi in questo senso sono stati i contributi di Paul
Romer (1986), Robert Lucas (1988), Philippe Aghion e Peter Howitt (1992),
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 30 -
che hanno rivitalizzato la teoria della crescita economica di lungo periodo
ponendo al suo centro l’analisi del progresso tecnico. Grande attenzione è
stata attribuita così al ruolo del capitale umano e dell’innovazione
tecnologica nell’aumento della produttività e nel contrasto alla naturale
tendenza alla stagnazione. Questo forte interesse per tutto ciò che è capitale
umano, conoscenza, risorse intangibili prelude la grande importanza data
agli indicatori di istruzione, innovazione tecnologica, spesa in ricerca e
sviluppo che si ritrovano in tutti i più recenti indicatori di sviluppo umano
sostenibile.
Nel 1986, a riprova del fatto di come il tema della sostenibilità ambientale sia
ormai centrale nella teoria economica della crescita, Solow inizia a studiare
l’effetto dell’esaurimento di risorse naturali non rinnovabili sulla misura del
Prodotto Nazionale Netto. Nel 1990 John Hartwick include le risorse
rinnovabili e si definisce in questo modo il quadro teorico del modello di
Solow-Hartwick. Viene qui enunciata una regola pratica (il criterio di
Hartwick-Solow) che permette di ottenere la sostenibilità di un sistema
economico nel senso di “consumo non decrescente nel tempo”: le rendite
(surplus dei ricavi sui costi di produzione) generate dall’estrazione di risorse
non-rinnovabili devono essere risparmiate e reinvestite in capitale artificiale
(impianti, infrastrutture, capitale umano, etc.). In questo modello si accetta
ancora la possibilità di sostituire capitale tecnico e conoscenza, prodotti
dall’uomo, al capitale naturale con qualche costo nel breve periodo ma senza
pregiudizio per la crescita di lungo periodo. Questa sostenibilità (definita
sostenibilità debole) ha come assunto fondamentale la convinzione circa la
possibilità di rendere intercambiabili il capitale naturale e il capitale
artificiale. L'accento viene posto sulla somma di queste due quantità che
deve permanere costante nel tempo; è quindi implicito che con il progredire
della civiltà umana e il conseguente utilizzo delle risorse naturali, sia
- Benessere, sviluppo e crescita: aspetti introduttivi -
- 31 -
pensabile una perdita di peso percentuale del capitale naturale nel tempo a
favore di quello artificiale.
La sostenibilità cosiddetta “forte” rappresenta, invece, una visione della
problematica meno ottimistica nei confronti dell'intervento umano e non
considera intercambiabile il capitale naturale perduto con stock di capitale
artificiale. In quest'ottica è il capitale naturale a dover essere costante nel
tempo, senza alcuna possibilità di compensazione. Secondo l’impostazione
di sostenibilità forte la crescita si deve necessariamente spostare dalle
considerazioni di tipo quantitativo verso quelle di tipo qualitativo.
Come si osserverà meglio nel terzo capitolo l’evoluzione degli indicatori di
benessere segue un percorso analogo e parallelo a quello della teoria della
crescita. Anche in questo caso, infatti, vengono inizialmente apportati
aggiustamenti al Prodotto Interno Lordo per tener conto del deprezzamento
del capitale fisico e umano, come nel caso del MEW (Masure of Economic
Welfare) proposto da Tobin e Nordhaus (1972). Si passa successivamente ad
apportare correzioni per il deprezzamento dello stock di risorse esauribili e a
registrare le variazioni positive e negative della qualità ambientale,
definendo ad esempio la misura del PIL verde, fino ad arrivare a misure che
attribuiscono un peso maggiore alla perdita di risorse naturali secondo
un’impostazione di sostenibilità forte. È questo il caso dell’ISEW e del GPI,
che oltre a considerare elementi quali la distribuzione del reddito e
l’indebitamento estero, attribuiscono alla perdita delle risorse naturali non
rinnovabili e alla riduzione della diversità biologica un valore pari alla
quantità di risparmio necessaria per compensare le generazioni future del
mancato godimento dei servizi del capitale naturale.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 33 -
2. La misurazione del benessere attraverso il PIL
2.1. Cos’è il Prodotto Interno Lordo
2.1.1. Storia del PIL
I primi studi per misurare la ricchezza di una nazione si devono, alla fine
diciassettesimo secolo, a William Petty, il quale si occupò di misurare la
forza dell’Inghilterra nel mobilitare le risorse produttive per la creazione di
beni e servizi. L’obiettivo ultimo era creare una misura di paragone con altri
stati esteri, in particolare Olanda e Francia. La motivazione principale era,
dunque, il confronto internazionale, tema determinante anche per la nascita
del futuro indicatore di Prodotto Interno Lordo e ricorrente in tutta
l’evoluzione degli indicatori di qualità della vita e sviluppo sostenibile.
Nel 1776, anche Adam Smith nella sua opera “An Inquiry into the Nature and
Causes of the Wealth of Nations” si preoccupò di definire il proprio concetto di
ricchezza di una nazione, come la quantità di beni che il lavoro produce in
maniera diretta oppure che il frutto del lavoro permette di acquistare da
altre nazioni:
…il lavoro annuale di ogni nazione è il fondo da cui originariamente
provengono tutti i mezzi di sussistenza e di comodo che essa annualmente
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 34 -
consuma, e che sempre consistono del prodotto diretto del lavoro o di ciò che
con esso viene acquistato da altre nazioni.
Nella visione smithiana una nazione è tanto più ricca tanto quanto più riesce
a rendere produttivo il suo lavoro. In questa prospettiva, la produzione di
beni e servizi che hanno come effetto l’aumento della produttività del lavoro
è certamente preferibile a quella che è, invece, destinata a opere non
produttive o al mero soddisfacimento di piaceri. Smith suggerì, inoltre, che
la ricchezza dovesse essere misurata in termini pro capite, un’intuizione che è
rimasta valida fino ai nostri giorni.
Per giungere a una definizione più completa di Prodotto Interno Lordo
bisogna attendere, però, il ventesimo secolo quando, in seguito alla Grande
Depressione americana e con la minaccia di una nuova guerra alle porte, si
avvertì la necessità di disporre di adeguati sistemi di misurazione
dell’attività economica. Anche la rivoluzione keynesiana, che si andava
diffondendo in quegli anni, richiese nuove basi conoscitive per le politiche
distributive e di sviluppo.
I moderni studi di contabilità nazionale e le prime stime del Pil con metodi
tuttora validi, nacquero negli anni Trenta con i lavori pionieristici di
numerosi economisti tra i quali C.G. Clark, W. Leontief, W. C. Mitchell, R.
Stone e i premi Nobel S. Kuznets e J. E. Meade14.
I sistemi di misurazione del reddito nazionale si svilupparono inizialmente
seguendo i principi della contabilità aziendale e, coerentemente con questi,
contenevano una registrazione delle transazioni avvenute fra i diversi attori
14 Simon Kuznetz si occupò della raccolta e dell’organizzazione delle statistiche di reddito nazionale per gli Stati Uniti nel 1934, 1941 e 1946. Gli inglesi Stone e Meade posero le basi della contabilità nazionale del Regno Unito pubblicando durante la seconda guerra mondiale un Libro Bianco sulla stima del reddito nazionale, mentre Leontief svolse un ruolo decisivo nella raccolta dei dati mediante un impianto teorico da lui elaborato, l’analisi input-output.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 35 -
del sistema economico. Si considerava, dunque, il Paese alla stregua di una
grande azienda di cui si dovesse misurare il reddito complessivo. Per la
necessità di misurare il valore delle transazioni il sistema era basato
unicamente su quelle transazioni (consumi e investimenti) che generavano
un flusso facilmente misurabile in termini monetari. La misura del reddito
così ottenuta è esattamente il concetto di PIL di un Paese ancora oggi
utilizzato da tutti i sistemi di contabilità nazionali.
Nel secondo dopoguerra i paesi europei che aderirono al Piano Marshall per
la ricostruzione delle loro economie dovettero predisporre adeguati piani di
sviluppo attraverso l’uso dei nuovi sistemi di bilancio nazionale. Inoltre
venne affidato all’OCEE (Organizzazione per la Cooperazione Economica
Europea) il compito di garantire l’uniformità dei criteri di predisposizione di
questi piani nei vari stati nazionali. Questo diede un ulteriore impulso
all’affinamento e alla diffusione internazionale del PIL e, più in generale,
della moderna contabilità nazionale.
In sintesi le ragioni storiche che hanno portato alla nascita di un indice per la
misura della ricchezza nazionale vanno rintracciate nella duplice necessità di
effettuare confronti internazionali tra le capacità produttive delle singole
nazioni e di valutare l’azione delle politiche economiche intraprese.
Successivamente, a partire dal secondo dopoguerra, la funzione del PIL è
andata gradualmente modificandosi, assumendo il ruolo di principale
indicatore di progresso economico, ampliamente utilizzato da economisti,
studiosi, politici e mass media per descrivere il benessere di una nazione o di
un territorio. Esso viene comunemente usato per programmare gli interventi
di politica fiscale e monetaria, per disegnare strategie di crescita nei paesi
sottosviluppati, ma influenza anche i piani di investimento delle società
private ed è in grado di alimentare le aspettative di rendimento sui mercati
azionari.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 36 -
2.1.2. Definizione e calcolo
Il prodotto interno lordo (PIL) è definito come il valore di mercato
complessivo delle merci prodotte all'interno di un’entità geografica, in un
certo intervallo di tempo (solitamente un anno), e destinate a usi finali
(consumi finali, investimenti, esportazioni nette).
Il termine prodotto si riferisce all’output dell’attività economica. Fa
essenzialmente riferimento alle merci, cioè all’insieme delle cose che
formano oggetto di scambio sul mercato, comprendendo sia quelle materiali
(beni) sia quelle immateriali (servizi). Alle merci vengono
convenzionalmente assimilate, per ragioni pratiche, altre categorie come i
servizi della pubblica amministrazione15.
Il prodotto è definito interno perché riguarda solo le attività realizzate nel
territorio di un determinato paese, indipendentemente dalla nazionalità dei
fattori produttivi. In questo senso il concetto di Pil si differenzia da quello di
Prodotto Nazionale Lordo (PNL), che rappresenta, invece, la produzione
realizzata dai fattori produttivi di un Paese, a prescindere dal fatto che essi si
trovino o meno all’interno del Paese stesso.
Il prodotto è detto lordo, invece, perché il deprezzamento del capitale
utilizzato nella produzione di beni e servizi non è dedotto dal valore totale
del PIL16.
15 La pubblica amministrazione vende solo una quota minima del suo prodotto; per il resto produce servizi non destinati alla vendita ma finanziati dalla collettività in maniera indiretta (principalmente attraverso le imposte). Escludere i servizi pubblici dal conto del prodotto significherebbe escludere dal conto dei redditi le paghe dei dipendenti pubblici, che finirebbero per essere considerate trasferimenti unilaterali e non corrispettivo da lavoro. Il prezzo dei servizi pubblici è posto uguale al costo sostenuto dalla p.a. per produrli (somma delle remunerazioni dei fattori produttivi, capitale e lavoro, più consumi indiretti, più tassazione indiretta nel caso che la p.a. tassi se stessa). 16 Se al PIL si sottrae il valore degli ammortamenti si ottiene il Prodotto Interno Netto (PIN).
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 37 -
Nel calcolo, inoltre, non viene conteggiata la produzione destinata ai
consumi intermedi, che rappresentano il valore dei beni e servizi consumati
e trasformati nel processo produttivo per ottenere nuovi beni e servizi.
Il PIL, come ogni misurazione economica, può essere misurato in termini
reali o termini nominali. Il PIL nominale misura il valore della produzione ai
prezzi del periodo in cui è stata ottenuta; il PIL reale, invece, misura la
produzione di un periodo ai prezzi di un qualche anno base. Dividendo il
PIL nominale per il PIL reale si ottiene un indice chiamato “deflatore del
PIL”. Il PIL reale, al contrario di quello nominale, può essere utilizzato per
effettuare confronti temporali.
La precedente definizione di PIL riguarda il lato della produzione. Tuttavia
è opportuno ricordare che in un’economia chiusa i costi di produzione sono
uguali alla somma delle retribuzioni dei fattori produttivi. Pertanto in
questo caso il Pil è contabilmente uguale al Reddito Nazionale, cioè alla
somma dei redditi percepiti all’interno del sistema economico in un dato
periodo di tempo (salari, stipendi, profitti, rendite, interessi). Sempre in
un’economia autarchica il PIL è anche uguale alla somma della spesa
nazionale in un dato periodo di tempo (Spesa Finale, che costituisce
l’insieme degli impieghi di reddito).
Il PIL rappresenta, quindi, il punto di incontro di tre aspetti economici
fondamentali: la domanda, il reddito e la produzione. Coerentemente con
questo esistono tre differenti approcci teorici per misurare il valore del
Prodotto Interno Lordo:
− l’approccio del reddito, che misura il PIL sommando i redditi
provenienti da lavoro dipendente (salari, stipendi e contributi sociali
a carico dei datori di lavoro), i redditi da capitale (rendite, interessi e
profitti), gli ammortamenti e le imposte indirette al netto dei sussidi
pubblici;
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 38 -
− l’approccio della domanda, in cui il valore del PIL è dato dalla somma
dei classici elementi della domanda aggregata (consumi, investimenti,
spesa pubblica) a cui si aggiungono le esportazioni nette e la
variazione nelle scorte;
− l’approccio del valore aggiunto, in cui la produzione totale di beni e
servizi dell'economia è diminuita dei consumi intermedi e aumentata
delle imposte nette sui prodotti; tale ammontare è pari alla somma dei
valori aggiunti a prezzi base delle varie branche di attività economica
aumentata delle imposte sui prodotti (IVA, imposte di fabbricazione,
imposte sulle importazioni) e al netto dei contributi ai prodotti.
A fini esemplificativi si riporta nella tabella seguente il calcolo del Prodotto
Interno Lordo italiano relativo all’anno 1996, secondo le tre differenti
modalità di scomposizione:
DOMANDA VALORE AGGIUNTO REDDITO
Consumo 1.101.172 Agricoltura 52.514 Redditi da lavoro 808.807
Spesa Pubblica 352.019 Industria 594.619 Redditi da capitale 635.469
Investimenti 348.848 Servizi 1.147.762 Entrate statali nette 200.100
Esportazioni 491.126
Importazioni -397.307
Variazione Scorte 6.417 Tasse sul val. agg. 107.380 Ammortamenti 257.899
PIL 1.902.275 1.902.275 1.902.275
Tabella 1: PIL italiano nel 1996 secondo i tre differenti approcci (Fonte: Piana ,2001)
Come si evince dalla tabella, utilizzando ciascuna delle tre tipologie di
calcolo si perviene al medesimo risultato finale. La scelta del criterio di
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 39 -
scomposizione è quindi indifferente dal punto di teorico e dipende
principalmente dalle finalità di analisi che si vogliono condurre
sull’aggregato economico del Prodotto Interno Lordo.
L’Istat ad esempio utilizza la metodologia del valore aggiunto per il calcolo
del Prodotto Interno Lordo italiano. Occorre inoltre ricordare che la
contabilità nazionale italiana, al pari di quella degli altri paesi dell’Unione
Europea, segue gli schemi e le definizioni dell’ultima edizione del Sistema
europeo dei conti (Sec95) che impongono tra l’altro di contabilizzare nel PIL
anche l’economia non direttamente osservata17.
2.2. Vantaggi del Pil
Come visto, il Pil nasce per misurare il valore della produzione destinata al
consumo finale, ma assume in breve tempo una funzione diversa rispetto a
quella per cui era stato concepito. Lo stesso Kuznets critica però questa
estensione sottolineando la distinzione tra benessere e crescita della
ricchezza. Nel 1962 scrive infatti:
17 Sulla base delle definizioni internazionali (contenute nel Sec95 (Eurostat 1995) e nell’Handbook for Measurement of the Non-observed Economy dell’Ocse) l’economia non osservata comprende il sommerso, le attività illegali, la produzione del settore informale e le inadeguatezze del sistema statistico. Teoricamente tutte le componenti andrebbero incluse nel calcolo del Pil Allo stato attuale, però, la contabilità nazionale italiana, al pari di quella degli altri partners europei, esclude l’economia illegale per l’eccessiva difficoltà a calcolare tale aggregato e per la conseguente incertezza della stima, e attribuisce solo una stima del settore sommerso, che negli ultimi anni si è attestata intorno al 17-18% del PIL stesso.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 40 -
“Distinctions must be kept in mind between quantity and quality of growth,
between its costs and return, and between the short and the long run. Goals
for more' growth should specify more growth of what and for what”.
E già prima, nel 1934 affermava che il benessere di una nazione può essere
scarsamente influenzato dalla misura del reddito nazionale così come
calcolato.
Resta da chiedersi, dunque, il perché del successo di questo indice proprio
come indicatore di benessere, non solo tra i non addetti ai lavori, ma anche e
soprattutto tra gli economisti, che pur riconoscendone i limiti, continuano a
utilizzarlo ampliamente nelle analisi teoriche ed empiriche.
Innanzitutto a favore del PIL giocano la sua relativa semplicità di calcolo e la
sua grande capacità di aggregazione. Inoltre bisogna considerare anche la
presenza di collaudati sistemi di contabilità nazionale sottostanti alla
costruzione di questo indice, sistemi che sono stati appositamente costruiti e
perfezionati nel corso del tempo e la cui mole di informazioni è difficilmente
sostituibile nel breve periodo.
Ma l’aspetto che forse più di tutti ha contribuito al successo del Prodotto
Interno Lordo è la sua forte correlazione con quelli che si possono definire
segnalatori primari di benessere. Ci si riferisce, ad esempio, al livello di
istruzione, alla disponibilità di cure mediche, alla presenza di infrastrutture
e alla durata della vita media.
La tabella seguente, relativa a 14 paesi, ad esempio, evidenzia una forte
relazione positiva tra il livello di reddito pro capite e l’aspettativa di vita alla
nascita e una forte reazione negativa del PIL procapite con il tasso di
mortalità e il tasso di analfabetismo.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 41 -
Tab. 2 – Pil procapite e principali indicatori sociali per 14 Paesi.
Queste semplici osservazioni spiegano, quindi, che il PIL nella sua
semplicità riesce a fornire una buona indicazione del benessere generale di
una nazione, specie nel confronto internazionale.
Tuttavia un’analisi più dettagliata evidenzia come queste relazioni con i
principali segnalatori sociali non siano sempre di tipo lineare. A titolo
esemplificativo è possibile osservare la figura 3 che mette in relazione il PIL
procapite e l’aspettativa di vita alla nascita in 42 paesi.
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
0 10000 20000 30000 40000 50000 PIL procapite in $ (PPP)
speranza di vita alla nascita (anni)
Fig. 3 – Rapporto tra PIL procapite e speranza di vita alla nascita per 42 paesi (Dati: CIA)
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 42 -
È facile in questo caso notare che la relazione è molto forte per livelli di
reddito molto bassi, dove variazioni anche contenute del reddito procapite
riescono a produrre grandi miglioramenti nella qualità di vita della
popolazione; al contrario in quei paesi che già dispongono di redditi
sufficientemente alti un aumento della ricchezza economica ha effetti molto
ridotti sulle aspettative di vita.
Questo implica che il PIL fornisce informazioni sempre meno accurate sul
benessere di una collettività man mano che il livello di reddito aumenta:
nelle economie che si trovano nelle prime fasi dello sviluppo gli aumenti
reddituali sono realmente associati ad aumenti nel livello di benessere; nelle
economie mature la qualità della vita potrebbe dipendere maggiormente da
variabili non legate direttamente alla ulteriore ricchezza posseduta.
2.3. Limiti del Pil Nonostante l’ottima capacità di sintesi, la collaudata struttura di contabilità
nazionale che lo supporta e la sostanziale correlazione con i più comuni
criteri di classificazione della qualità della vita, il Prodotto Interno Lordo è
stato fortemente criticato per alcune debolezze intrinseche che lo rendono un
indicatore fortemente parziale e distorto delle attività che contribuiscono al
benessere di una collettività. Nei paragrafi seguenti si analizzeranno nel
dettaglio i principali limiti del PIL nell’assolvere al ruolo di indicatore di
benessere di una nazione.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 43 -
2.3.1. Mercati non monetari Il primo importante limite del PIL è riconducibile al fatto che esso tiene
conto esclusivamente delle transazioni avvenute nei mercati monetari, cioè
in tutti quei casi in cui la transazione è regolata da un prezzo di tipo
monetario. Esistono tuttavia numerosi e importanti bisogni che possono
essere soddisfatti anche – e in qualche caso soltanto – con mezzi “non
mercificati”. Classici esempi di mercati non monetari sono il lavoro
domestico svolto dai membri di una famiglia, la produzione di sussistenza e
le attività di volontariato. Queste attività, pur fornendo servizi essenziali per
il benessere di una famiglia o dell’intera collettività, e sebbene abbiano di
norma un elevato valore aggiunto, non sono registrate nella contabilità
nazionale in quanto non avvengono nella forma delle transazioni formali.
Gli stessi servizi appaiono, invece, nella contabilità nazionale qualora
vengano affidati a persone che se ne occupano professionalmente, come
domestici, assistenti per anziani o asili nido, e che per questo ricevono una
remunerazione che è conteggiata nel Prodotto Interno Lordo di un paese.
Il legame fra benessere e PIL sarebbe, dunque, fortemente impreciso in tutti
quei casi in cui le attività “non monetarie” assumono un ruolo predominante
nel contesto socio-economico di una collettività. Inoltre uno spostamento
della produzione dal settore informale a quello formale avrebbe l’effetto di
aumentare il Prodotto Interno Lordo di un paese, lasciandone tuttavia
inalterato il livello di benessere18.
18 Un ragionamento analogo può essere fatto anche per l’economia sommersa, se questa non fosse contabilizzata nel Pil o se la sua stima risultasse sottodimensionata.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 44 -
2.3.1.1. Crescita e impoverimento sociale Coerentemente con queste osservazioni numerosi autori hanno avanzato
l’ipotesi che parte della crescita economica registrata nel corso del tempo sia
dovuta a un mero processo di sostituzione di beni non di mercato con mezzi
mercificati.
In particolare, alcuni recenti articoli (Antoci e Bartolini 1997 e 2004, Bartolini
e Bonatti 2002, 2003a, 2003b, 2004a, 2004b), cercano di fornire una
spiegazione teorica al cosiddetto Paradosso di Easterlin19, cioè l’osservazione
empirica secondo cui il livello di benessere individuale dipende molto poco
da variazioni del reddito, analizzando il ruolo delle esternalità negative che
riducono il capitale sociale. Secondo questo approccio le difficoltà teoriche
ed empiriche dei modelli di crescita tradizionali dipenderebbero dalla
mancata considerazione del fatto che il benessere e la capacità produttiva
dipendono largamente da beni che non sono acquisibili sui mercati formali,
ma che sono forniti dall’ambiente sociale e che prendono il nome di beni
relazionali. I beni relazionali (in questa categoria rientrerebbero, ad esempio,
il volontariato o l’assistenza familiare agli anziani) hanno la caratteristica di
richiedere un’attività di partecipazione sociale, che è tipicamente ad alta
intensità di consumo di tempo (time-intensive), e possono essere sostituiti da
beni privati (di mercato) che, invece, non richiedono tale attività (sono
definiti perciò time saving). Inoltre il valore dei beni relazionali aumenta con
il grado di partecipazione sociale.
19 Anche conosciuto come Paradosso della Felicità. Con questa espressione ci si riferisce all’inatteso andamento di un indice di benessere soggettivo medio (SWB), ottenuto con interviste dirette, il quale invece di aumentare insieme al reddito procapite (come la teoria predice), rimane costante, o cresce in modo incerto, o addirittura diminuisce. Nel 1974 Richard Easterlin, utilizzando dati raccolti con autovalutazioni soggettive, arrivò ad individuare correlazioni non significative e robuste tra Reddito Nazionale e felicità complessiva, tra reddito e felicità dei singoli individui all’interno di uno Stato e tra aumento di reddito e felicità delle persone valutata nel corso della loro vita.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 45 -
Il processo di crescita economica genera esternalità negative che riducono la
capacità dell’ambiente sociale di fornire questi beni. Questo in virtù del fatto
che si sostituiscono attività ad alta partecipazione sociale con attività che
non richiedono tale partecipazione. In questo senso le esternalità negative
costituiscono una causa della crescita, data la capacità del mercato di fornire
sostituti “privati” al diminuire del valore dei beni relazionali. Gli agenti per
contrastare la diminuzione del loro benessere o della loro capacità
produttiva aumenteranno il consumo di beni privati acquistati sul mercato.
Le esternalità obbligano gli individui a fare sempre maggiore affidamento
sui beni privati al fine di prevenire il deterioramento del proprio benessere e
generano un costante aumento dell’output misurato dalla contabilità
nazionale. Si crea, dunque, un meccanismo auto-rinforzante, dove la crescita
genera esternalità negative e le esternalità negative generano crescita.
Quindi, secondo questi modelli di crescita, che prendono il nome di modelli
GASP (Growth as Substitution Process), le anomalie della teoria della
crescita individuate da Easterlin (crescita del reddito e diminuzione del
benessere percepito) sarebbero i due lati della stessa medaglia. Le persone si
impegnano maggiormente per il denaro perché necessitano di difendersi
dagli effetti delle esternalità negative; lavorano di più e risparmiano di più
per sostituire, nel presente e nel futuro, i beni relazionali con quelli di
mercato. Ma l’incremento del proprio reddito non si traduce in un
miglioramento di benessere perché riguarda un semplice processo di
sostituzione20.
20 Antoci e Bartolini 1997 e 2004 mostrano, sotto varie ipotesi relative ai pay-off e alle esternalità negative, come quest'ultime siano il terzo fattore della crescita (insieme alla tecnologia e all’accumulazione di capitale). Attraverso due giochi evolutivi, senza progresso tecnologico e accumulazione, essi dimostrano che le esternalità negative sono in grado di generare crescita della produzione pro capite a causa del loro esclusivo impatto sull'offerta di lavoro. In Bartolini e Bonatti 2003b questi risultati sono ottenuti in un mondo con agenti ottimizzanti. Di conseguenza, la proposizione in base alla quale le esternalità costituiscono un fattore di crescita non dipende dalle ipotesi di razionalità limitata (o di qualunque altro
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 46 -
2.3.2. Aspetti ambientali Le principali critiche rivolte all’indice di Prodotto Interno Lordo sono
relative, però, al rapporto tra produzione e ambiente. Queste critiche, che in
parte si basano sui medesimi aspetti teorici visti in precedenza con
riferimento ai beni relazionali, hanno iniziato a diffondersi negli anni ’60 con
la nascita dei primi movimenti ecologisti. Qualche anno più tardi un gruppo
di importanti studiosi guidati da Aurelio Paccei, presidente del Club di
Roma21, elaborò uno scenario di crescita economica e consumo delle risorse
naturali che preannunciava il veloce esaurimento delle risorse naturali e una
tipo) degli agenti in gioco. Questi tre modelli, in base alle ipotesi utilizzate, permettono di affermare, quindi, che l’accumulazione di capitale e il progresso tecnologico non costituiscono una condizione necessaria per la crescita. Bartolini e Bonatti 2002a analizzano, nella versione con agenti ottimizzanti, le condizioni che generano equilibri multipli e il ruolo svolto dalle attitudini culturali di una società nella scelta del percorso di crescita. Bartolini e Bonatti 2003 e 2003a incorporano il meccanismo di sostituzione dei beni free con quelli economici nei principali paradigmi della teoria della crescita: la crescita endogena e quella esogena. Bartolini e Bonatti 2003 introducono questo meccanismo in un modello di crescita esogeno alla Solow-Ramsey, trovando che le esternalità negative aumentano l’offerta di lavoro e l’accumulazione di capitale e, di conseguenza, il livello di produzione di equilibrio. Bartolini e Bonatti 2003a indicano che, se l’offerta di lavoro è endogenizzata in un modello alla Ramsey-Rebelo, il modello risultante non genera crescita perpetua in assenza di esternalità negative (accumulazione e progresso tecnologico non sono quindi condizioni sufficienti di crescita endogena). La caratteristica comune dei sei modelli è che il meccanismo di sostituzione avviene a livello dei consumi. Bartolini e Bonatti 2002b mostrano come la sostituzione possa operare anche nella produzione: usando un modello di crescita esogeno nel quale il capitale sociale e ambientale entra unicamente nelle funzioni di produzioni e nel quale è inserita la scelta la scelta tra lavoro e tempo libero, essi dimostrano che sotto alcune ipotesi l’erosione del capitale sociale ed ambientale può favorire il processo di crescita. Di conseguenza la crescita può essere un processo mediante il quale, non sono i beni finali, ma anche quelli intermedi free sono sostituiti con i loro equivalenti reperiti attraverso il mercato. 21 Si tratta di un’associazione non governativa, non-profit, di scienziati, economisti, uomini d'affari, attivisti dei diritti civili, alti dirigenti pubblici internazionali e capi di stato fondata nel 1968 dall'imprenditore italiano Aurelio Peccei e dallo scienziato scozzese Alexander King, insieme a vari premi Nobel, leader politici ed intellettuali. Il suo scopo è quello di contribuire al cambiamento globale, individuando i principali problemi che l'umanità si troverà ad affrontare, analizzandoli in un contesto mondiale e ricercando soluzioni alternative nei diversi scenari possibili.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 47 -
crescita drammatica dell’inquinamento. Il rapporto che conteneva i risultati
di questi studi, “I limiti dello sviluppo” pubblicato nel 1972, ebbe un eco
internazionale e un impatto fortissimo sull’opinione pubblica. Nonostante i
numerosi limiti d’analisi, che hanno portano a previsioni che si sono rivelate
a posteriori completamente inesatte, il rapporto rappresenta il momento nel
quale l’elaborazione teorica si sposta dal concetto di crescita inteso come
tensione verso una più elevata qualità della vita a quello di ricerca di
percorsi di sviluppo che permettano di preservare nel tempo il benessere
nel frattempo raggiunto (Massetti 2007). Anche gli shock petroliferi degli
anni ’70, che misero in luce la scarsità delle risorse naturali, resero possibile
l’emergere del concetto stesso di valore economico del capitale naturale,
prima indefinito a causa della sua apparente illimitata disponibilità.
Dal punto di vista ambientale, le principali critiche avanzate da economisti
ed ecologisti al PIL quale indicatore di benessere e, più in generale allo
schema di contabilità nazionale che lo sostiene, riguardano:
− il contributo dei beni e servizi ambientali al sistema economico;
− il trattamento contabile delle spese per la difesa ambientale;
− il deprezzamento dello stock del capitale naturale.
2.3.2.1. I beni e i servizi forniti dall’ambiente
Il PIL, come già ricordato, è il principale indicatore dei sistemi di contabilità
nazionale, il cui scopo è la descrizione sintetica delle attività di produzione e
consumo che formano il complesso sistema economico di un paese.
Analogamente al capitale riproducibile22 e al capitale umano, anche
22 Il Capitale Riproducibile (o Capitale Economico) rappresenta l’insieme dei beni durevoli che sono oggetto di proprietà ed hanno valore economico. Come evidenziato da Carlucci e Giannone (1990) il Capitale Riproducibile deve essere distinto dal cosiddetto Capitale Naturale, che è costituito, invece, da quei beni (risorse naturali, atmosfera, ambienti
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 48 -
l’ambiente naturale fornisce un flusso di beni e servizi che costituiscono un
input indispensabile allo svolgimento di attività di produzione e consumo.
Alcuni esempi possono aiutare a chiarire il concetto: dalla biosfera vengono
estratte le materie prime necessarie alla produzione agricola e industriale;
l’ambiente naturale provvede allo smaltimento dei rifiuti e all’assorbimento
di scarichi ed emissioni inquinanti, e garantisce anche il funzionamento di
meccanismi ecologici essenziali per la sopravvivenza del pianeta e la
disponibilità di luoghi a fini ricreativi.
Occorre peraltro precisare che il concetto di “ambiente naturale” si presta a
interpretazioni differenti. Nella sua accezione più generale, il termine viene
adoperato per designare l’insieme delle condizioni esterne che determinano
il modo di vita e l’evoluzione delle società umane. L’aria, l’acqua, le risorse
del suolo e del sottosuolo, la biosfera sono i singoli elementi di tale
complesso fisico dal quale dipende la sopravvivenza dell’intero genere
umano. Dal punto di vista economico, invece, l’ambiente può essere visto
come uno stock di capitale naturale che eroga un flusso di beni e servizi
indispensabili per lo svolgimento di ogni attività economica.
Perciò, fatte queste precisazioni, è possibile descrivere sinteticamente quali
sono in concreto le principali tipologie di beni servizi messi a disposizione
dall’ambiente.
In primo luogo, esso fornisce risorse naturali, alcune delle quali vengono
utilizzate dagli individui in modo diretto (ad esempio aria, acqua, piante e
animali) mentre altre (materie prime e fonti di energia) costituiscono input
necessari nei processi produttivi. Tali risorse sono essenzialmente di tre tipi:
− risorse non rinnovabili (carbone, gas, etc.) disponibili in quantità data
in quanto il loro processo rigenerativo avviene in tempi non
naturali, esseri viventi, ecc.) la cui esistenza, produzione e riproduzione è il risultato di un’attività naturale.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 49 -
apprezzabili su scala umana e per le quali si pone il problema del
possibile esaurimento;
− risorse rinnovabili (animali, piante, aria e acqua pulite etc.) la cui
consistenza viene mantenuta nel tempo qualora il ritmo di estrazione
non superi la velocità di riproduzione e crescita della risorsa stessa;
− risorse inesauribili (sole, vento, maree, geotermia, etc.) la cui entità
non viene sostanzialmente modificata dall’azione umana.
In secondo luogo, l’ambiente provvede all’assimilazione dei residui generati
dai processi biologici (quali, ad esempio, i residui organici delle piante e
degli animali e l’anidride carbonica) e dei prodotti indesiderati delle attività
umane di produzione e consumo (rifiuti, scarichi ed emissioni inquinanti).
Qualora la produzione di residui inquinanti ecceda la capacità assimilativa
dell’ambiente, si assiste alla progressiva concentrazione di sostanze dannose
che costituiscono uno dei fenomeni più preoccupanti della civiltà
industriale.
Infine, l’ambiente naturale garantisce l’erogazione di alcuni sevizi ambientali
il cui valore economico è meno evidente, ma non per questo meno
importante. Esistono essenzialmente due categorie di servizi ambientali:
− la disponibilità di luoghi ameni (parchi naturali, aree protette, spazi
ricreativi, etc.) il cui uso e godimento contribuiscono direttamente a
innalzare il livello di benessere individuale e sociale;
− il mantenimento di funzioni ecologiche essenziali alla sopravvivenza
della biosfera (stabilizzazione degli ecosistemi, regolazione del clima,
etc.), che risultano di difficile identificazione, ma che possono avere,
tuttavia, un impatto enorme sulla qualità della vita delle popolazioni.
I beni e i servizi forniti dall’ambiente naturale sono, come appena visto,
numerosi ed eterogenei. Tuttavia gli schemi contabili tradizionalmente usati
per il calcolo dell’indice di Prodotto Interno Lordo non evidenziano il
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 50 -
contributo dell’ambiente alle attività di produzione e consumo e offrono,
perciò, un’immagine distorta dell’economia di un paese. Gli effetti esterni
negativi del processo produttivo (inquinamento e degrado ambientale) non
sono infatti internalizzati nella funzione di produzione dell’economia,
mentre agli input forniti dall’ambiente viene implicitamente attribuito un
valore nullo. La presenza di queste esternalità negative crea una divergenza
tra costo privato e costo sociale della produzione e costituisce una delle
cause del cosiddetto “fallimento del mercato” tipico dei beni pubblici, che ha
come conseguenza diretta l’incapacità di formulare scelte di politica
economica e ambientale socialmente ottimali, idonee, cioè, a promuovere lo
sviluppo sostenibile di un paese.
Per queste ragioni alcuni autori (ad esempio Peskin, 1989) hanno suggerito
di includere il valore complessivo dei beni e servizi ambientali nel calcolo
del PIL e di dedurre il valore relativo ai danni ambientali al fine di pervenire
a una più accurata misura del benessere. Hamilton (1994), invece, più
accuratamente sottolinea che i servizi ambientali alla produzione sono già
compresi nel PIL in quanto il loro contributo costituisce parte del valore di
produzione, mentre il consumo diretto di beni e servizi ambientali e il
relativo contributo al benessere umano non è espresso nell’output di
produzione. Secondo questa impostazione solo i servizi al consumo
dovrebbero essere inclusi nel calcolo del Prodotto Interno Lordo.
2.3.2.2. Le spese difensive ambientali.
La seconda tipologia di critiche di carattere ambientale rivolte al PIL in
qualità di indicatore di benessere riguarda la spesa per la difesa ambientale.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 51 -
Occorre innanzitutto precisare che il caso ambientale rappresenta solo una
delle fattispecie di spese difensive individuate dalla teoria economica e
rientra in un problema concettuale più ampio, quello del trattamento delle
spese intermedie, che varrà trattato nel dettaglio nel paragrafo 2.2.3. Per il
momento basta ricordare che il calcolo del PIL dovrebbe tener conto
esclusivamente del valore dei beni e servizi finali, escludendo quindi le
spese intermedie sostenute per la produzione di nuovi beni e servizi.
Esistono tuttavia una serie di spese che, seppur classificate come consumi
finali, sono effettuate unicamente per ripristinare la capacità produttiva di
una risorsa compromessa a causa degli effetti negativi derivanti da un
processo di crescita del consumo o della produzione. Queste spese sono
sostenute, cioè, per ristabilire una situazione preesistente e non vanno a
migliorare il benessere di chi le sostiene.
Secondo la definizione dell’Eurostat, con il termine spese difensive
ambientali si identificano le spese connesse a diseconomie esterne che
comportano la perdita di funzioni ambientali, ovvero le spese sostenute da
agenti economici per prevenire e controllare il degrado ambientale ex-ante o
eliminarlo e difendersi dai suoi effetti negativi ex-post.
Seguendo il criterio proposto dall’O.N.U. e riportato in Cullino (1993), tali
spese possono essere classificate in relazione al momento in cui vengono
effettuate rispetto al verificarsi del danno ambientale, reale o potenziale, cui
si riferiscono come segue :
- spese sostenute per prevenire ed evitare il danno ambientale, come
nel caso di spese per l’adozione di tecnologie “pulite” o per
l’installazione di impianti di abbattimento di sostanze nocive alla
fonte;
- spese finalizzate alla ricostituzione dei beni ambientali danneggiati da
attività economiche (ad es. decontaminazione di aree colpite da
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 52 -
incidenti nucleari, disinquinamento di corsi idrici interessati da
versamenti di sostanze nocive, recupero di aree degradate, ecc.);
- spese sostenute allo scopo di allontanarsi o difendersi da danni
ambientali inevitabili e irreparabili (ad es. spese di trasferimento
verso luoghi di residenza meno inquinati, installazione di pannelli
isolanti contro l’inquinamento acustico o di filtri per la
potabilizzazione dell’acqua);
- spese rivolte a compensare gli individui per i danni subiti a causa del
danno ambientale (ad es. spese mediche per curare malattie
respiratorie).
La varietà della fattispecie costituita dalle spese difensive di carattere
ambientale è indicativa della complessità delle interconnessioni che
caratterizzano le attività economiche e l’ambiente naturale. I macroaggregati
forniti dagli attuali sistemi di contabilità sono incapaci di riflettere queste
complesse interrelazioni e per questo sono numerose le critiche che ha
sollevato l’attuale trattamento contabile riservato alle spese difensive.
In particolare si assiste a una disparità di trattamento tra spese aventi la
stessa natura, ma sostenute da settori economici differenti, oppure finanziate
in forme differenti all’interno dello stesso settore economico. Se, infatti, a
fronte di un danno ambientale, lo Stato interviene accollandosi i costi delle
misure riparatrici, le relative spese sono considerate come finali e quindi
incluse nel calcolo del PIL, andando ad accrescere, a parità di altre
condizioni, il reddito nazionale. Qualora gli stessi interventi vengano
effettuati dalle imprese, eventualmente costrette da provvedimenti di natura
legislativa o amministrativa, essi sono considerati, a seconda dei casi, come
investimenti o come spese intermedie, venendo rispettivamente aggiunti o
sottratti nel calcolo del valore aggiunto. E’ stato, poi, osservato che,
contabilizzando le spese difensive ambientali come spese finali, si può
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 53 -
verificare la seguente incongruenza: il reddito di un paese può essere più
elevato quando accade che un dato volume di beni e servizi viene prodotto
arrecando danni ambientali anche irreversibili, intervenendo in un secondo
tempo per porvi rimedio, rispetto al caso in cui, lo stesso volume di beni
venga prodotto con tecnologie “pulite” o “eco-compatibili”.
Pertanto, non solo il reddito nazionale non varia nella direzione che
sembrerebbe auspicabile per riflettere il degrado ambientale causato dalle
attività economiche, ma addirittura esso può muoversi nella direzione
opposta, cioè registrando trend positivi a fronte di un degrado o un
consumo dello stock di capitale naturale. È importante, comunque, notare
che una semplice sottrazione delle spese difensive ambientali dal PIL non
consentirebbe di ottenere un PIL “sostenibile” ma solo un PIL “corretto” in
senso ambientale; si tratterebbe, infatti, soltanto di una semplificazione
metodologica assimilare il consumo di capitale naturale alle spese sostenute
per correre ai ripari dai danni conseguenti a tale consumo.
2.3.2.3. Il deprezzamento dello stock di capitale naturale.
La terza critica di carattere ambientale rivolta al sistema si contabilità
nazionale riguarda la mancata inclusione nel calcolo del reddito nazionale
del costo del deterioramento delle risorse naturali e ambientali. Questa
critica in realtà non riguarda propriamente il PIL, ma assume particolare
rilevanza nel caso si ricorra a indici quali il Prodotto Interno Netto, spesso
utilizzati per ovviare ad altre problematiche del PIL stesso.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 54 -
Come sottolineato da Daly e Cobb (1989), se si fa riferimento a una nozione
di reddito alla Hicks23, il Prodotto Interno Lordo non soltanto è una misura
inadeguata del benessere, ma è anche una misura inadeguata del reddito. È
noto, infatti, che non sarebbe possibile consumare l’intero ammontare del
PIL, senza subire di conseguenza un impoverimento a causa del
deterioramento del capitale; per questo dal valore del Prodotto Interno
Lordo si sottrae l’ammortamento del capitale, in modo da calcolare il
Prodotto Interno Netto, la quantità generalmente assunta come
rappresentativa del reddito in senso hicksiano.
Il problema principale è che il PIN, come attualmente calcolato dai sistemi di
statistica nazionali, tiene conto soltanto del deprezzamento del capitale fisico
prodotto dall’attività umana, mentre trascura il fatto che gli attuali metodi di
produzione provocano un generale deterioramento del capitale naturale.
Mentre gli immobili, gli impianti, le attrezzature e gli altri elementi del
capitale riproducibile partecipano alla formazione del reddito mediante
l’ammortamento e i costi di manutenzione, il capitale naturale non viene
preso in considerazione nonostante risulti ugualmente suscettibile di
degrado qualitativo e di variazioni nella consistenza conseguenti al suo
utilizzo. Tale asimmetria nel trattamento contabile del capitale implica che lo
sfruttamento commerciale delle risorse naturali esauribili (legname, petrolio,
carbone fossile, minerali, ecc.) contribuisce ad aumentare il reddito
nazionale senza che sia fornita nessuna indicazione sulle conseguenze di tale
attività in termini di riduzione nella capacità produttiva futura.
Un vantaggio di natura temporanea, l’aumento del reddito, viene quindi
ottenuto al prezzo di una riduzione permanente del patrimonio naturale
23 Secondo la definizione ormai classica proposta da Hicks il reddito è l’ammontare massimo che una nazione può consumare in un determinato periodo senza ridurre la consistenza del proprio patrimonio iniziale. Il concetto di sostenibilità è implicito in questa definizione.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 55 -
come accaduto in molti paesi in via di sviluppo, in cui si è dimostrato che gli
elevati tassi di crescita raggiunti erano in gran parte attribuibili al consumo
del loro stock di risorse naturali.
Per questo Robert Repetto e i suoi collaboratori del World Resource
Institute, in uno studio pioneristico del 1989, hanno proposto una serie di
aggiustamenti contabili tenendo conto delle principali forme di
deterioramento delle risorse ambientali (erosione del suolo,
disboscamento ed estrazione del petrolio). Applicando questa metodologia
al caso indonesiano essi trovano che l’output domestico risulta
nettamente inferiore rispetto al livello misurato dalla contabilità
ufficiale. Nel 1984, ad esempio, il governo indonesiano riferisce di un PIL
pari a 13,5 trilioni di rupie, mentre contabilizzando i cambiamenti nel
capitale fisico di foreste, suolo e risorse petrolifere i ricercatori del WRI
scoprono che il deterioramento di queste risorse ammonta a 2,3 trilioni di
rupie, una somma pari al 17,3% del PIL. Secondo El Sarefy (1993), che
ha rivisitato questo studio migliorandone la metodologia, i risultati
ottenuti dal WRI sarebbero perfino sottostimati rispetto al vero valore
del deterioramento ambientale in Indonesia.
2.3.2.4. Implicazioni sulla crescita.
Occorre inoltre ricordare che la mancata contabilizzazione dei beni e servizi
ambientali ripropone il medesimo problema visto in precedenza per i beni
relazionali, cioè quello di una crescita economica che non produce un
miglioramento nel livello di benessere degli individui.
Il principio di sostituzione dei beni non di mercato con i beni mercificati
descritto dai modelli GASP, infatti, può essere applicato, oltre che al capitale
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 56 -
sociale, anche e soprattutto a quello ambientale. Si pensi, a titolo
esemplificativo, allo sviluppo di quelle tecniche agricole che ottengono un
aumento dei raccolti mediante l’impiego di prodotti dell’industria chimica.
C’è un rovescio della medaglia, che potrebbe essere costituito, per ipotesi,
dall’inquinamento della falda acquifera, con la conseguenza che, per
restituire acqua potabile al consumatore, sarebbe necessario ricorrere a
nuove attività mercificate (sistemi si depurazione o adduzione di acqua da
altre sorgenti). Come per i beni relazionali, anche in questo caso le serie
storiche del Pil registrano le variazioni intervenute nella produzione di
merci senza riguardo a quelle intervenute nelle soddisfazioni non
mercificate. Con riferimento al caso ipotizzato, il PIL registrerà insieme sia il
maggior valore aggiunto registrato nell’economia, sia quello realizzato nelle
opere occorrenti per ripristinare la potabilità dell’acqua, senza indicare se
queste opere forniscano alla popolazione una soddisfazione supplementare
o riparino (in maniera totale o parziale) a una perdita subita.
A riguardo Antoci, Galeotti e Russo (2006) propongono un modello teorico
che analizza gli effetti dell’interazione tra deterioramento ambientale e scelte
di consumo sulle dinamiche di crescita economiche e sul benessere degli
agenti economici. Essi dimostrano che se i beni privati possono essere
consumati come sostituti (anche imperfetti) di quelli ambientali, la crescita
economica può essere alimentata dal deterioramento ambientale. Il
deterioramento ambientale stimola l’accumulazione di capitale e l’offerta di
lavoro degli agenti economici, portando quest’ultimi a concentrare le loro
fonti di benessere sui beni di mercato piuttosto che sui beni ambientali
liberamente disponibili. Il conseguente incremento di consumi “mercificati”
produce ulteriore degrado ambientale e il meccanismo si autoalimenta. La
crescita economica che ne deriva è definita dagli stessi autori come “non
desiderabile” perché caratterizzata da una correlazione inversa tra il livello
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 57 -
di accumulazione del capitale (e di conseguenza tra il livello di PIL) e il
benessere degli individui.
2.2.3. Consumi intermedi e spese difensive
Il Prodotto Interno Lordo considera, come detto, il valore complessivo dei
soli beni e servizi finali escludendo quindi i consumi intermedi. Come per il
caso ambientale, la critica in questo senso nasce dal fatto che numerose spese
classificate come consumi finali dai sistemi di contabilità nazionali sono in
concreto spese intermedie di produzione e dovrebbero essere coerentemente
escluse dal calcolo per evitare il problema del “doppio conteggio”. Il sistema
attuale definisce, infatti, le spese intermedie come “il valore dei beni e dei
servizi consumati quali input in un processo di produzione, escluso il
capitale fisso il cui consumo è registrato come ammortamento” (Sec 95). Non
si prende quindi in considerazione l’eventualità che spese intermedie
possano essere sostenute anche al di fuori del sistema produttivo in senso
stretto, cioè da famiglie e settore pubblico. Come osserva Juster (1973), che
tra i primi sollevò questo problema:
At present we classify everything purchased by households as final
consumption… and most of the things purchased by business enterprise as
intermediate products. However, most of what we now call final product is
really intermediate in the more fundamental sense.
Occorre quindi stabilire un criterio sostanziale di distinzione tra consumi
intermedi e finali. Juster sostenne che tutti i prodotti usati per mantenere
costante il flusso di servizi degli assets esistenti dovessero essere esclusi dai
consumi finali, mentre dovevano essere inclusi i prodotti che
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 58 -
incrementavano il flusso dei servizi derivanti dagli assets, sia tangibili che
intangibili.
L’applicazione di questo criterio avrebbe, però, fortemente ridotto la misura
dell’output nazionale, una conseguenza che Kuznets, padre della contabilità
statunitense, aveva già anticipato e a cui si era fortemente opposto. Egli pur
riconoscendo la necessità di trattare alcune particolari spese sostenute dalle
famiglie (pendolarismo e abbigliamento da lavoro nel suo esempio) come
consumi intermedi e non finali, evidenziò il rischio di una sostanziale
indeterminatezza di un tale criterio, che avrebbe finito per sottomettere i
bisogni dell’uomo a quelli della produzione24.
Più recentemente, Christian Leipert (1989) ha apportato degli aggiustamenti
ai dati del PNL per contabilizzare in maniera più ragionevole le spese
intermedie. Egli ha proposto di misurare le “spese difensive”, cioè le spese
sostenute per eliminare, mitigare, neutralizzare, o anticipare ed evitare i
danni e il deterioramento che i processi di crescita della società industriale
causano alle condizioni di vita e di lavoro e all’ambiente.
Secondo la classificazione elaborata da Leipert, l’aggregato delle spese
difensive include, oltre le spese difensive ambientali di cui si è già detto:
− le spese indotte dalla concentrazione spaziale delle attività produttive
e dai conseguenti fenomeni di urbanizzazione (tipico esempio è il
costo del trasporto pendolare);
− le spese sostenute in relazione all’aumento dei rischi associati
all’attività industriale, quali ad esempio le spese per la protezione
civile e la sicurezza sociale; 24 In Kuznets (1941) si legge infatti: “Widening the scope of intermediate... reduces the net National product… to that exceedingly minor magnitude that may be considered as not involved in the replacement of all goods, human capacity included, consumed in the process of the economic production of the other goods; consequently, we do not view the raising and education of the younger generation or the sustenance of the working population as intermediate consumption destined to produce or sustain so many human machines… It is this idea of economic goods existing for men, rather than men for economic goods, that gives point to the concept of ultimate consumption”.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 59 -
− le spese relative a problemi di traffico automobilistico, tra cui spese
per riparazioni e spese mediche conseguenti a incidenti stradali;
− le spese determinate da difficili condizioni di vita e di lavoro o da
modelli di consumo e comportamentali insalubri (infortuni sul lavoro,
uso di droghe, consumo di alcool e sigarette, ecc.).
L’elemento concettuale fondamentale che contraddistingue le spese di
carattere difensivo è la connessione più o meno stretta con gli effetti negativi
esterni derivanti da un processo di crescita della produzione e del consumo.
Sono perciò escluse dalla categoria delle spese difensive tipi di spesa quali,
ad esempio, i consumi per l’alimentazione, l’abbigliamento e l’abitazione,
che potrebbero essere impropriamente attribuiti alla necessità di difesa
contro la fame e il freddo; questi bisogni esistono, infatti, a prescindere
dall’esistenza dell’attività produttiva e non risultano significativamente
influenzati dalle esternalità negative derivanti dai processi di crescita
economica.
2.2.4. Beni durevoli e infrastrutture pubbliche
Un problema analogo a quello dei consumi intermedi è rappresentato dal
trattamento dei consumi domestici in beni durevoli, cioè di tutti quei beni
che sono atti a soddisfare ripetutamente un determinato bisogno. Tipici
esempi di beni durevoli sono rappresentati dalle automobili e dagli
elettrodomestici. Questi cedono la loro utilità nel corso del tempo
aumentando il benessere di chi li utilizza nel corso di più anni.
Il Prodotto Interno Lordo (ma lo stesso discorso vale anche per il PIN),
invece, incrementa il proprio valore unicamente nell’anno di acquisto del
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 60 -
bene, senza ripartire il relativo costo per tutta la durata effettiva di
utilizzazione del bene stesso. In questo modo non è possibile apprezzare la
perdita di benessere derivante, ad esempio, da problematiche che riducono
la vita utile del bene durevole. Anzi la conseguente maggior velocità di
sostituzione di questi prodotti avrebbe come effetto un ulteriore incremento
del PIL: anche in questo caso la crescita economica misurata dal PIL
potrebbe essere alimentata da situazioni negative per il benessere degli
individui, quali il peggioramento della qualità dei prodotti.
Il medesimo ragionamento è applicabile anche ai beni durevoli acquistati o
prodotti dalla pubblica amministrazione e in particolar modo alle
infrastrutture che, a fronte di un elevato costo di realizzazione contabilizzato
nel breve periodo, cedono la loro utilità in periodi generalmente molto
lunghi.
Il problema in questione potrebbe essere risolto apportando semplici
aggiustamenti al PIL, sottraendo da esso il costo di acquisto dei beni
durevoli e imputando a ogni anno il valore dei servizi ceduti dai beni stessi.
2.2.5. Distribuzione del reddito
Nel primo capitolo si è sottolineato come il tema dell’equità distributiva sia
stato al centro del dibattito teorico che si è sviluppato intorno alla
definizione del concetto di benessere sociale. In particolare la divergenza tra
i vari approcci teorici classici riguardava la possibilità di poter riconoscere
un valore positivo all’uguaglianza reddituale all’interno di una funzione di
benessere sociale.
Mentre in Pareto mancava un qualsiasi riferimento di tipo equitativo,
nell’approccio piguviano e nelle teorie che da esso hanno preso spunto si
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 61 -
assisteva a giudizi di valore circa la desiderabilità di particolari stati
allocativi.
Riprendendo sinteticamente questa secondo impostazione, il modo classico
che nell’economia del benessere viene seguito per introdurre giudizi di
valore consiste nello specificare una funzione di benessere sociale. Una tipica
espressione della funzione del benessere sociale è rappresentata dalla forma
additiva:
∑=
=N
iiyUW
1)(
dove U(yi) e esprime la funzione di utilità dell’individuo i-esimo, ma può
anche interpretarsi come la valutazione sociale che una collettività
attribuisce al reddito dell’individuo stesso. La generica funzione del
benessere sociale, oltre a essere crescente e simmetrica nei redditi
individuali, è una funzione strettamente concava, cioè: 0/)( >∂∂ ii yyU , e
0/)( 22 <∂∂ ii yyU . Quest’ultima osservazione rappresenta l’ipotesi chiave in
quanto incorpora la valutazione che la società dà della disuguaglianza: la
valutazione marginale sociale del reddito di ciascun individuo è positiva, ma
è tanto più bassa quanto più elevato è il reddito individuale; questo implica
una preferenza sociale per l’eguaglianza.
La forma della funzione di utilità riflette quindi il grado di avversione
alla diseguaglianza espresso dalla società. Affinché vi sia avversione alla
diseguaglianza, occorre che U(yi) sia concava, come nella figura 4.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 62 -
Fig. 4- Forma della funzione di utilità nel caso di avversione alla disuguaglianza.
Data una certa funzione concava, un aumento del reddito dei soggetti più
poveri determina un incremento maggiore nel benessere sociale rispetto al
caso in cui lo stesso aumento di reddito sia stato realizzato dai soggetti più
ricchi; questo significa anche che se si effettua un trasferimento di reddito ∆y
da un soggetto ricco a uno più povero, il guadagno di utilità che la società
ottiene è nel complesso positivo.
Numerose indagini empiriche hanno dimostrato che ogni società presenta
un certo grado di avversione alla disuguaglianza reddituale; il Prodotto
Interno Lordo, invece, non attribuisce alcun valore alla distribuzione del
reddito; e questo in coerenza con l’obiettivo iniziale per cui questo indice è
stato introdotto: misurare il valore dei beni e servizi finali prodotti in una
nazione. Utilizzare il PIL quale indicatore di benessere significa attribuire
alla funzione di utilità una forma del tipo U(yi) = yi , dove il benessere sociale
è semplicemente rappresentato dalla somma dei redditi e il grado di
+∆U
-∆U
U(y)
-∆ y +∆ y y
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 63 -
avversione alla disuguaglianza è zero: conta solo la somma dei redditi non
come sono distribuiti25.
2.2.5.1. Crescita economica e disuguaglianza
Le relazioni esistenti tra la crescita del reddito e la sua distribuzione sono
state ampiamente investigate nella letteratura economica, da un lato
analizzando gli effetti della crescita economica sull’equità sociale, dall’altro
cercando di capire se il perseguimento di fini redistributivi sia ostativo o
meno rispetto agli obiettivi di crescita reddituale.
Con riferimento alla prima questione, il legame tra crescita e miglioramento
dell’equità sociale è stato analizzato per primo da Kuznets (1955), che a
riguardo ha espresso una posizione ottimistica, sostenendo che nella fase
iniziale della crescita economica la disuguaglianza nella distribuzione cresce,
ma, superata una certa soglia, man mano che il reddito pro capite sale, la
disuguaglianza diminuisce26. Tuttavia la teoria di Kuznets, pur valida in
alcuni contesti, non sempre ha trovato riscontro puntuale nelle verifiche
empiriche, dove si assiste ad esempio ad un aumento del divario tra i salari
reali dei lavoratori più qualificati e quelli dei lavoratori meno qualificati in
molti paesi avanzati.
25 In tal caso si ha che 1/)( =∂∂ ii yyU e 0/)( 22 =∂∂ ii yyU , mentre la funzione di
benessere sociale è utilitarista, cioè ∑=
=N
iiyW
1.
26 Si ipotizza in pratica l’esistenza di una curva ad U rovesciata, e cioè di una relazione prima diretta e poi inversa tra reddito pro-capite ed un indice di diseguaglianza. Nella prima fase la relazione diretta può essere attribuita: 1) a mutamenti intersettoriali dell'occupazione, 2) all’aumento del risparmio delle classi più ricche, che grazie ad un processo di accumulazione si traduce in investimenti, redditi da capitale e nuovo risparmio. Nella seconda fase la diseguaglianza diminuisce a causa dei seguenti fattori: 1) emergere di una classe media (classe operaia ed impiegatizia). 2) maggiore importanza dei redditi da lavoro rispetto a quelli da capitale.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 64 -
Il secondo punto è quello che maggiormente interessa ai fini del presente
lavoro. Riscontrare una relazione positiva tra equità distributiva e crescita
economica significherebbe, infatti, individuare una giustificazione teorica
all’avversione verso la disuguaglianza e alla conseguente forma concava
della funzione di benessere sociale, anche a prescindere da considerazioni
sull’utilità marginale dei singoli individui.
Alcune teorie classiche sostengono, invece, l’esistenza di un legame negativo
tra uguaglianza reddituale e crescita futura, giustificando di fatto
l’esclusione dell’aspetto distributivo nella definizione del benessere. Si
sostiene ad esempio che, dal momento che i ricchi risparmiano di più,
quanto più elevata è la frazione del reddito totale guadagnata dalle persone
ricche, tanto più elevato è il risparmio di un’economia; una più equa
distribuzione del reddito quindi ridurrebbe il risparmio e l’accumulazione di
capitale con effetti negativi sulla crescita.
Altre impostazioni però respingono questa visione. In primo luogo un
maggior grado di disparità economica determinerebbe ritardi nella crescita
attraverso l’insorgere di conflitti sociali, crimini e attività illegali all’intero
delle collettività (Alesina e Perotti, 1994; Benhabib e Rustichini, 1996).
La disuguaglianza avrebbe effetti negativi sulla crescita anche attraverso i
canali politici. In presenza di forte disparità reddituale l’elettore mediano
risulta essere più povero rispetto alla media e per questo di norma
favorevole a politiche di tassazione sui profitti più elevati. Poiché gli elettori
che si trovano al di sotto del reddito medio sono la maggioranza, ci si
attende l’elezione di governi che attueranno politiche redistributive
attraverso un maggior carico fiscale. Queste aspettative potrebbero indurre
gli individui a ridurre gli investimenti produttivi, con effetti negativi sui
tassi di crescita (Persson e Tabellini, 1994; Bertola, 1993).
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 65 -
Altre teorie suggeriscono che la disuguaglianza determina barriere di
accesso al credito verso i soggetti più poveri, che non potendo offrire
adeguate garanzie, non possono operare nuovi investimenti in capitale fisico
e umano con conseguenze sulla crescita di lungo periodo (Banerjee e
Newman, 1991; Aghion e Bolton, 1992).
Del resto la preferenza sociale per situazioni redistributive più eque è stata
già ampiamente dimostrata in letteratura. La riduzione della disuguaglianza
infatti incoraggerebbe l’inclusione sociale (Killock, 2002; McKay, 2002) e
avrebbe effetti positivi sulla struttura del mercato attraverso un aumento
della domanda, una riduzione del mark-up e un conseguente ampliamento
del benessere dei consumatori (si veda ad esempio Benassi, Cellini e Chirco
1999).
2.2.6. Tempo libero e disoccupazione Il lavoro è alla base della crescita economica, ma non vi è dubbio che per gli
individui la disponibilità di maggior tempo libero e la riduzione dell’orario
lavorativo corrisponde a un aumento del relativo well-being, se questa
situazione non è accompagnata da bassi salari (Beckerman, 1978).
Molte delle attività svolte nel tempo libero hanno effetti positivi diretti sulla
salute (riposo, attività fisica, ecc.), sull’estensione delle reti sociali, sul livello
di apprendimento, sulla coesione sociale e familiare.
Il tempo libero è in questo senso da considerare come un vero e proprio
“bene”, la cui perdita produce ripercussioni negative sul benessere sia
individuale che collettivo.
Il PIL, invece, non attribuisce alcun valore al tempo libero, creando
l’illusione che il benessere di una nazione stia aumentando quando in realtà
i suoi individui stanno lavorando di più, rinunciando di conseguenza ai
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 66 -
“benefici” del tempo libero. In questo modo un aumento della produzione
derivante dall’incremento delle ore lavorative giornaliere di un soggetto è
considerato del tutto equivalente al medesimo aumento ottenuto, ad
esempio, grazie a un’innovazione tecnologica che migliora la produttività
oraria del soggetto stesso.
Se, invece, la produzione diminuisce perché la gente preferisce lavorare di
meno, questo non rappresenta necessariamente un segnale che la società stia
peggio. Anzi, dal momento che tale scelta è volontaria, significa
probabilmente che essa è stata decisa al fine di ottenere un aumento di
benessere. In una tale circostanza, però, il valore del PIL diminuisce,
segnalando una riduzione del benessere.
Se da una parte l’aumento di tempo libero volontario è considerato un
beneficio per gli individui, non si può considerare in modo analogo una
situazione di disoccupazione o sottooccupazione27.
Come osservano Talberth e al. (2006) i costi della sottooccupazione si
ripercuotono sugli individui scoraggiati e sulle loro famiglie, ma anche sulla
collettività che paga un prezzo ogniqualvolta le limitate opportunità di
lavoro portano a sfiducia, suicidi, violenze, crimine, abuso di alcol e
stupefacenti, ecc.. Per quantificare al meglio il benessere sociale le ore di
sottooccupazione dovrebbero essere considerate un costo sociale così come
le ore di tempo libero volontario un beneficio.
2.2.7. Indebitamento estero 27 Il concetto di sottooccupazione è più inclusivo di quello di disoccupazione, dove con quest’ultimo termine si intende la situazione in cui un individuo in cerca lavoro non riesce a trovare un occupazione. La sottooccupazione invece fa riferimento anche alle persone che sono cronicamente non occupate perché scoraggiate hanno smesso di cercare un impiego e alle persone involontariamente impiegate part-time.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 67 -
La sostenibilità economica di un Paese è influenzata anche dall’ammontare
di fondi esteri che esso utilizza per finanziare la sua spesa corrente. Una
posizione debitoria di una nazione verso paesi esteri non è necessariamente
un elemento negativo se si utilizzano i fondi ottenuti per finanziare
investimenti produttivi. Questi se adeguatamente remunerativi possono
incrementare il livello di consumo futuro senza compromettere quello
presente. Qualora invece si utilizzino i fondi esteri per finanziare il consumo
corrente si assiste normalmente a una diminuzione futura del livello di
benessere in corrispondenza di una riduzione dei consumi per far fronte agli
impegni assunti in precedenza.
Le evidenze empiriche indicano con chiarezza che molti paesi con alto
debito estero hanno difficoltà a mantenere i livelli di investimento necessari
a mantenere intatto lo stock di capitale riproducibile. Molte delle crisi
economiche più recenti sono scaturite, infatti, da alti livelli di indebitamento,
come in Thailandia (1997), Turchia (2000), Argentina (2001) e Islanda (2008).
Inoltre, altre evidenze dimostrano che i paesi con alto indebitamento estero
sono spesso costretti a liquidare lo stock di capitale naturale per ripagare il
debito pregresso (George, 1988).
2.2.8. Pil e Benessere L’utilizzo del Prodotto Interno Lordo quale indicatore sintetico del benessere
di una nazione presenta, come appena visto, numerosi limiti concettuali, che
lo rendono inadatto a tale scopo. Volendo rendere graficamente l’idea di
come il Prodotto Interno Lordo non corrisponda a nessuno dei possibili
aggregati di benessere visti nel primo capitolo è possibile osservare la fig. 5.
- La misurazione del benessere attraverso il PIL -
- 68 -
Fig.5- Rapporto tra PIL e possibili componenti del benessere (fonte: Deutsche Bank R.).
Come si vede chiaramente il Pil attribuisce un valore positivo a elementi
quali il deterioramento del capitale naturale e sociale e l’indebitamento netto
con l’estero che riducono il benessere della collettività sia nel presente che
nel lungo periodo; non distingue, inoltre, tra spese che aumentano il
consumo e spese difensive che riparano un danno subito in precedenza; non
considera il valore delle attività non di mercato e del tempo libero che invece
contribuiscono a migliorare la qualità della vita, così come una più equa
distribuzione del reddito.
Fino a che gli elementi che sono esterni all’area di benessere (deprezzamento
del capitale naturale, debito estero e spese difensive) o che influenzano in
modo negativo il benessere stesso (come nel caso della disuguaglianza) sono
contenuti esiste una buona approssimazione tra il reddito e il livello di
benessere. Nel momento in cui questi elementi assumono un peso
consistente, come avvenuto nel corso degli ultimi decenni, l’utilizzo del PIL
quale unica guida delle politiche economiche può risultare fortemente
fuorviante.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 69 -
3. Indicatori alternativi di benessere
3.1 Alcune classificazioni
A seguito delle critiche illustrate nel paragrafo precedente, gli studi
finalizzati a dare un’espressione quantitativa più adeguata alle componenti
del benessere sono stati numerosi e la ricerca in questo senso è tuttora molto
intensa. Nel corso degli ultimi decenni sono state sviluppate numerose
metodologie di misura, spesso molto diverse tra loro, ma tutte accomunate
dalla necessità di superare le parzialità e le distorsioni derivanti dall’uso del
PIL per uno scopo diverso da quello per cui era stato concepito.
Stante l’impossibilità di rappresentare con esaustività tutta la mole di
contributi che la letteratura continua a offrire sull’argomento, si ritiene
necessario innanzitutto fornire uno schema classificatorio generale nel quale
collocare tutti i possibili indicatori di benessere alternativi al PIL,
focalizzando poi l’attenzione su quei particolari indici che sembrano avere
maggiore possibilità di affermarsi a tale scopo, e che soprattutto possano
essere utilizzati nella valutazione delle teorie economiche della crescita.
Secondo una prima classificazione è possibile distinguere:
− indicatori che correggono il PIL
− indicatori che si sostituiscono al PIL
− indicatori che completano il PIL
- Indicatori alternativi di benessere -
- 70 -
Gli indicatori che “correggono il PIL” partono dal valore derivante dalle
statistiche ufficiali modificandolo per incorporare elementi sociali e
ambientali non presi in considerazione nelle misure convenzionali. Gli
indicatori appartenenti alla seconda tipologia, invece, si propongono di
fornire una valutazione del benessere completamente alternativa rispetto al
PIL ricorrendo, ad esempio, a criteri di soddisfazione media o di
realizzazione delle funzioni umane di base. La terza categoria riguarda
quegli approcci che non si propongono né di correggere, né di soppiantare
l’indice di Prodotto Interno Lordo, ma forniscono informazioni addizionali
di carattere sociale e ambientale che si affiancano all’indicatore reddituale.
Un secondo tipo di classificazione può essere fatto in relazione alle
componenti di benessere che sono considerate prevalenti nella costruzione
della misura. Facendo riferimento, ad esempio, ai tre “pilastri” dello
sviluppo sostenibile è possibile individuare indicatori:
− a prevalente carattere economico
− a prevalente carattere ambientale
− a prevalente carattere sociale
Naturalmente esistono anche indici che combinano insieme tutti questi
aspetti, come il Genuine Saving, l’Happy Planet Index e il Genuine Progress
Indicator che per questo possono essere considerati indicatori di sviluppo
sostenibile. Altri indici, invece, tendono a considerare solo due di queste
componenti: è il caso dello Human Development Index che non prende in
considerazione l’aspetto ambientale o del cosiddetto PIL Verde che al
contrario non attribuisce alcun valore agli elementi sociali. La figura 6 che
rappresenta questa situazione mostra anche come accanto agli indicatori
sintetici, che si propongono di riassumere la qualità della vita e la
sostenibilità dello sviluppo in un’unica misura rappresentativa, esista un
approccio multidimensionale che considera gli strumenti (salute, ambiente,
- Indicatori alternativi di benessere -
- 71 -
istruzione, innovazione tecnologica) come fini in sé e non solo come mezzi
per ottenere un reddito più elevato. Questo approccio è seguito ad esempio
dall’Unione Europea per monitorare la Strategia di Sviluppo Sostenibile (EU
SDS).
Fig. 6- Indicatori di benessere e aspetti di sostenibilità.
Un’ulteriore classificazione, che verrà utilizzata anche per la presentazione
seguente degli indicatori, è quella che distingue le tre impostazioni seguenti:
− l’impostazione oggettivista;
− l’impostazione normativista;
− l’impostazione soggettivista.
Sono riconducibili all’approccio oggettivista tutte quelle ricerche che
ritengono inefficace ogni tentativo di costruire un sistema di contabilità
sociale tramite il quale sia possibile ottenere una rappresentazione d’insieme
dello stato della società. Secondo questo approccio non è possibile costruire
un indicatore di carattere sociale in sostituzione del valore del reddito,
perché manca la possibilità di definire una comune unità di misura tramite
- Indicatori alternativi di benessere -
- 72 -
la quale misurare tutti i diversi aspetti della situazione sociale. Date queste
premesse, oggetto di misura può unicamente essere il benessere oggettivo di
un Paese, e cioè un benessere legato ad aspetti cui è possibile attribuire un
valore economico reale.
Una misura adeguata del benessere non può comunque essere fornita dalla
semplice contabilità nazionale ed è quindi necessario apportare adeguate
rettifiche e integrazioni. Occorre inoltre notare che secondo questo approccio
il termine benessere non deve essere inteso in maniera restrittiva, ma, anzi,
scopo di questi indicatori è proprio quello di contabilizzare il maggior
numero possibile di aspetti rilevanti al fine di costruire una
rappresentazione che possa essere interpretabile in termini di benessere
generale; naturalmente ognuno degli aspetti considerati deve essere in
qualche modo ricondotto a una base monetaria, e in questo ambito si
registrano alcune criticità legate alla misurazione degli aspetti sociali.
Sono riconducibili all’approccio oggettivista anche tutti quegli
aggiustamenti apportati al PIL per correggere alcune sue criticità e che sono
ora di uso comune: si pensi, ad esempio, alla possibilità di stimare il PIL pro
capite in termini di parità dei poteri di acquisto, al fine di tener conto della
struttura interna dei prezzi dei Paesi tra i quali si vuole effettuare un
confronto. Gli indicatori che fanno riferimento all’approccio oggettivista
vengono anche denominati “indicatori di contabilità estesa” e verranno
analizzati nel 3.4.
Secondo l'impostazione normativista, invece, sono le statistiche sul reddito
nazionale a non essere adatte a misurare il benessere in quanto non
considerano i progressi che non hanno valore monetario (oppure che sono
valutati in forma imperfetta dai prezzi di mercato) e che quindi non
contabilizzano i costi e i benefici sociali della crescita economica. I
- Indicatori alternativi di benessere -
- 73 -
normativisti ritengono auspicabile la messa a punto di statistiche sociali atte
a misurare i differenti aspetti del benessere in forma diretta e non mediata
tramite una trasformazione di tipo monetario; in altre parole auspicano la
messa a punto di indicatori cosiddetti normativi che dovrebbero consentire
un giudizio sul benessere sociale e rappresentare la base informativa su cui
orientare le decisioni di scelta di una collettività. È evidente da questo come
la costruzione degli indicatori normativi sia strettamente collegata alla
specificazione della funzione del benessere sociale.
Gli indicatori sociali riferibili a un’impostazione normativista saranno
analizzati nel paragrafo 3.3.
Nell’ambito dell’impostazione soggettivista si attribuisce una grande
importanza agli elementi del benessere individuale quali le aspirazioni, le
soddisfazioni e le attitudini personali. Questi elementi del benessere
possono esser misurati soltanto attraverso testimonianze dirette degli
individui, tipicamente utilizzando indagini campionarie. Gli indicatori
soggettivi misurano, quindi, gli elementi del benessere attraverso la
percezione diretta da parte degli individui.
L’impostazione soggettivista viene giustificata, tra l’altro, dal fatto che uno
dei motivi più profondi del malessere sociale, anche in presenza di redditi
medi elevati, sia costituito dalla separazione tra la reale natura dei bisogni e
la natura delle soddisfazioni che vengono proposte. L’origine ultima del
benessere reale dipende dal grado di soddisfazione raggiunto
dall'individuo; non avendo informazioni sulla reale natura dei bisogni delle
persone, non si possono proporre delle corrispondenti modalità di
soddisfazione e di conseguenza l'insoddisfazione di reali bisogni diminuisce
il benessere (Carlucci). Gli indicatori che utilizzano questo approccio sono
analizzati nel prossimo paragrafo.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 74 -
3.2. Gli indicatori soggettivi
In questa categoria rientrano quegli indicatori che mirano a evidenziare il
“benessere soggettivo” ovvero tendono a misurare un grado di
soddisfazione psicologica attraverso indagini sulla realtà soggettiva
all’interno della quale vivono gli individui. La comprensione del
cambiamento sociale e del livello di qualità della vita viene effettuata
attraverso il monitoraggio di alcuni fattori chiave socio-psicologici.
Occorre precisare che tramite gli indicatori soggettivi non si cerca di
raccogliere preferenze individuali sugli stati sociali, perché altrimenti si
ritornerebbe alle problematiche di un’impostazione di tipo welfarista (basata
sull’individualismo etico), con il teorema di Arrow che impedisce
l'espressione di una preferenza collettiva e quindi, in ultima analisi, la
misura del benessere sociale. Un sistema di indicatori soggettivi è quindi
una forma neutrale di raccolta delle opinioni, dei desideri o dei bisogni in
genere di una collettività.
Alla base di questi indicatori vi è la convinzione che per capire realmente il
benessere degli individui è importante misurare direttamente le reazioni
cognitive e affettive dei soggetti durante tutta la loro vita (Diener e Suh,
1997). Nel separare le misure soggettive dalle altre, Veenhoven (2002)
effettua una distinzione tra sostanza e valutazione. La sostanza fa
riferimento a ciò che deve essere misurato, la valutazione agli attuali metodi
di raccolta dei dati. Normalmente si parla di misure oggettive quando
queste sono legate a qualcosa che esiste indipendentemente dalla
consapevolezza soggettiva e quando la misurazione si basa su criteri espliciti
e riconoscibili dagli osservatori esterni; al contrario le misure soggettive
cercano di quantificare qualcosa di non facilmente definibile, come la felicità,
- Indicatori alternativi di benessere -
- 75 -
l’identità o la fiducia, ricorrendo a tecniche di misurazione soggettive come
l’autovalutazione.
Indicatori prettamente soggettivi sono l’Happiness e il Life Satisfaction, nati
dagli studi dello psicologo Cantril (1965) e poi ripresi da Easterlin (1974) per
formulare il suo Paradosso della Felicità. Attualmente stime annuali per tutti
i paesi del mondo sono fornite dal World Database of Happiness.
Un indicatore che, invece, combina elementi oggettivi con altri a carattere
soggettivo è l’Happy Planet Index (HPI) introdotto nel 2006 dal New
Economic Foundation e calcolato per 178 paesi. Questo indicatore combina
aspetti ambientali e sociali e per questo può essere utilizzato per valutare la
sostenibilità ambientale dello sviluppo umano. Come detto, è basato su due
indicatori oggettivi, l’aspettativa di vita alla nascita e l’Ecological Footprint
procapite (EF)28, e da un indicatore soggettivo, il Life Satisfaction.
Moltiplicando quest’ultimo per l’aspettativa di vita si ottiene il cosiddetto
Happy Life Years (HLY) che in pratica rappresenta il grado con cui le
persone possono attendersi una “vita lunga e felice”. Dividendo questo
risultato per l’Ecological Footprint procapite si ottiene appunto l’HPI.
Questo indice quindi non misura la felicità di una nazione rispetto al resto
del mondo, ma l’efficienza ambientale nel supportare il benessere e lo
sviluppo umano in un determinato paese.
28 L’Ecological Footprint è un indice statistico di sostenibilità calcolato dal WWF e utilizzato per misurare la richiesta umana nei confronti della natura. Essa mette in relazione il consumo umano di risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarle. In altre parole, esso misura l'area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria per rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e per assorbire i rifiuti corrispondenti. Per calcolare l'impronta relativa ad un insieme di consumi si mette in relazione la quantità di ogni bene consumato con una costante di rendimento espressa in kg/ha (chilogrammi per ettaro). Il risultato è una superficie. Per calcolare l'impatto dei consumi di energia, questa viene convertita in tonnellate equivalenti di anidride carbonica, ed il calcolo viene effettuato considerando la superficie di foresta necessaria per assorbire le suddette tonnellate di CO2.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 76 -
I dati relativi al 2006 mostrano che i valori più elevati di questo indice si
registrano per Vanuatu e per i paesi dell’America Centrale, mentre i Paesi
del G8 risultano molto dietro nella graduatoria (Italia al 66° posto, USA al
150°). Mettendo in relazione questo indice con il PIL procapite è stato anche
osservato come esista una correlazione positiva per livelli di reddito bassi,
fino a 5000 $, mentre superata questa soglia l’HPI inizia a decrescere al
crescere del PIL.
Un indicatore soggettivo di benessere, simile all’HPI, e spesso citato come
esempio di applicazione concreta dell’approccio soggettivista è il Gross
National Happiness (GNH), voluto a partire dal 1972 dal Re del Buthan,
Jigme Singye Wangchuck, per valutare le politiche pubbliche del suo paese.
Con questo indice, che utilizza la metodologia dell’autovalutazione
individuale, vengono messi a sistema lo sviluppo umano, la governance, la
crescita equilibrata, il patrimonio culturale e la conservazione delle risorse
naturali.
Altro esempio di indicatore soggettivo è il Quality of Life Index sviluppato
dall’Economist Intelligence Unit (2004) e calcolato per 111 paesi a partire dal
2005. Anche questo indice lega elementi soggettivi di life-satisfaction con
determinanti oggettive della qualità della vita. I nove fattori di qualità della
vita utilizzati nel calcolo sono: il benessere materiale (PPP PIL pro capite), la
salute (speranza di vita alla nascita), la stabilità politica, il benessere
familiare (tasso di divorzi), la vita sociale, il clima, l’occupazione, la libertà
politica e le pari opportunità.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 77 -
3.3. Gli indicatori sociali
Land (1999) definisce gli indicatori sociali come quelle particolari statistiche
temporali “… used to monitor the social system, helping to identify changes and to
guide intervention to alter the course of social change”.
Tutti gli studi relativi agli indicatori sociali normativi affrontano due
generiche categorie di problemi di fondo:
− la scelta di quali aspetti considerare come elementi del benessere, sia
a livello individuale sia a livello collettivo;
− la definizione di metodologie formali che permettano una
quantificazione degli aspetti selezionati e un’interpretazione
concettualmente compatibile con l’accezione di benessere accolta.
Il secondo problema, in particolare, è quello più difficile da affrontare per
questa categoria di indicatori, anche in virtù della mancanza di un
numerario comune tramite il quale esprimere elementi diversi non
misurabili con il metro monetario.
L’evoluzione degli indicatori sociali è piuttosto recente anche se i primi studi
in tal senso possono essere fatti risalire al periodo della Grande Depressione
statunitense. Nel 1930, infatti, alcuni studiosi americani costruirono, a livello
di contea, quello che può essere considerato il capostipite degli indici sociali,
il Plane Living Index. Per giudicare il livello di vita delle singole contee
furono utilizzati tre indicatori, tutti espressi in termini pro capite: l'entità
dell'imposta sul reddito, il numero dei telefoni e il numero di apparecchi
radio. Ogni variabile veniva standardizzata con il corrispondente indice
nazionale e quindi aggregata con le altre mediante una semplice media
aritmetica che costituiva quindi l’indice sintetico.
Questa l’origine del movimento degli indicatori sociali, sviluppatosi negli anni
’60 sempre negli USA, e diffusosi poi in tutti i Paesi maggiormente
- Indicatori alternativi di benessere -
- 78 -
sviluppati. Il movimento era ispirato dall’idea di base che il benessere reale
non fosse completamente catturato dagli indicatori economici, ma doveva
tener conto di aspetti quali l’alimentazione, l’abitazione, l’educazione, la
salute, le attese di vita, la qualità dell’ambiente, la criminalità e la povertà.
Negli anni ’70 diversi paesi leader e organizzazioni internazionali iniziarono
a pubblicare le serie storiche degli indicatori sociali; le applicazioni
divennero sempre più numerose ed elaborate, e vennero evidenziati due dei
principali problemi metodologici riguardanti questa tipologia di indici: la
rappresentatività degli indicatori rispetto ai fenomeni reali che avrebbero
voluto quantificare e la difficoltà di elaborare una sintesi delle diverse serie
di osservazioni.
Il movimento per i bisogni di base individuò un paniere di beni che nei paesi in
via di sviluppo avrebbero dovuto essere considerati prioritari rispetto allo
sviluppo economico. Con la stessa linea di pensiero Morris (1979), al fine di
misurare il benessere con un unico valore, costruì l’Indice della qualità della
vita fisica (PQLI), formato dalla media non ponderata di indicatori della
mortalità infantile, dell’alfabetismo e dell’aspettativa di vita all’età di un
anno, misurati ciascuno mediante una scala da zero a cento. Il confronto fra
il PQLI e il PIL dimostrò che mentre nei paesi più avanzati la correlazione
tra questi due indici era molto alta, nei Paesi con reddito medio-basso i
punteggi del PQLI avevano un andamento sostanzialmente diverso da
quello del PIL.
Uno sforzo più ambizioso di misurare il benessere è stato fatto con l’Indice di
sofferenza umana (HSI), pubblicato originariamente dal Population Crisis
Committee (1987). Questo indice, pur utilizzando un maggior numero di
variabili (dieci, tra cui il Pil procapite) presentava ancora molti limiti
concettuali (legati soprattutto alla scelta arbitraria delle variabili e
- Indicatori alternativi di benessere -
- 79 -
all’oggettiva valutazione) che ne spiegano la scarsa diffusione a livello
internazionale.
A partire dagli anni ’90 si assiste a un nuovo sviluppo nel movimento degli
indicatori sociali con l’introduzione di nuovi indici sintetici quali il Weighted
Index of Social Progress (WISP). Già nel 1984 Estes aveva sviluppato un indice
multidimensionale per misurare il benessere sociale: l'Indice di Progresso
Sociale (ISP, Index of Social Progress). Questo indice era stato progettato
come tool di valutazione dei cambiamenti nella capacità delle nazioni di
provvedere alle esigenze di base dei loro cittadini. La metodologia di
aggiornamento proposta dallo stesso Estes (1997) supera l’approccio
multidimensionale originario e porta appunto all’Indice Ponderato di Progresso
Sociale (WISP) dove i 46 indicatori sociali sono aggregati in 10 sottocategorie
prima di arrivare all’indice finale29. In virtù della raffinatezza metodologica
usata questo indice può essere considerato uno dei più affidabili nel valutare
i cambiamenti dello sviluppo sociale nel corso del tempo. Tuttavia, come
osserva Osberg (2001), la sua alta complessità di calcolo sta limitando la sua
diffusione.
Tra gli indicatori sociali un’attenzione particolare merita lo Human
Development Index, il più conosciuto e diffuso a livello internazionale.
3.3.1. Human Development Index
Nel 1990 l'UNDP l'Agenzia delle Nazioni Unite per lo Sviluppo pubblicava il
primo Rapporto sullo sviluppo umano; da esso emergeva una definizione di
29 I pesi statistici utilizzati per l’aggregazione sono derivati tramite un’analisi fattoriale varimax a due stadi in cui ogni indicatore e sotto-indicatore è analizzato per il suo contributo nello spiegare la varianza associata ai cambiamenti del progresso sociale nel tempo.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 80 -
sviluppo umano inteso come “continuo miglioramento delle condizioni che
consentono alla popolazione di vivere una vita lunga, sana e creativa”. Nello
stesso anno l’economista pakistano Mahbub ul Haq insieme a Richard Jolly,
Gustav Ranis e Meghnad Desai sviluppava lo Human Development Index
(HDI), un indicatore di sviluppo macroeconomico poi utilizzato dalla stessa
agenzia delle Nazioni Unite per valutare la qualità della vita nei paesi
membri.
L’influenza del pensiero di Sen nella nascita di questo indicatore è evidente
sia nella definizione di sviluppo umano, intesa come allargamento delle
capacità di scelta delle persone, sia nel considerare l’aumento della ricchezza
come un mezzo e non come un fine nella promozione dei due aspetti dello
sviluppo umano, “la formazione del capitale umano – con miglioramenti
nella salute, nella conoscenza e nelle capacità – e l’uso che la gente fa delle
capacità acquisite – per tempo libero, per fini produttivi, culturali o sociali.”
(UNDP, 1990, p.10).
Nel calcolo dell’HDI vengono presi in considerazione tre aspetti ritenuti
importanti per il benessere umano:
− la possibilità di avere una vita lunga e in salute, misurata attraverso
l’aspettativa di vita alla nascita;
− il grado di istruzione, misurato attraverso l’indice lordo di iscrizioni
scolastiche (con peso 1/3) e il tasso di istruzione degli adulti (con
peso 2/3);
− lo standard di vita economico, misurato attraverso il Pil procapite (in
dollari USA applicando la parità dei poteri di acquisto);
Ciascuna dimensione è valutata attraverso un punteggio compreso tra 0 e 1,
ottenuto applicando alle variabili la seguente formula:
- Indicatori alternativi di benessere -
- 81 -
Dimension index= (valore osservato – val. target min)/(val. target max – val.
target min.)
I valori minimi e massimi utilizzati nel calcolo sono sintetizzati nella tabella
seguente:
Variabile Valore obiettivo minimo Valore obiettivo massimo Aspettativa di
vita 25 anni 85 anni
Tasso di istruzione
0% 100%
PIL procapite 100 US $ PPP 40000 US $ PPP
Tab. 3 – Valori obiettivo delle variabili utilizzate nel calcolo dell’HDI.
I punteggi ottenuti nelle tre dimensioni sono poi aggregati attraverso una
semplice media aritmetica che rappresenta il valore dell’HDI. L’Agenzia per
lo Sviluppo dell’ONU fornisce annualmente un ranking basato sull’HDI per
177 paesi. La tabella seguente mostra il punteggio ottenuto nel 2007 da
alcuni di questi paesi e la variazione di rank rispetto all’anno precedente:
rank Paese HDI Var. rank Paese HDI Var. 1 Islanda 0,968 ▲1 168 Rep. Dem. Congo 0,411 ▼1 1 Norvegia 0,968 ▼1 169 Etiopia 0,406 ▲1 3 Australia 0,962 = 170 Ciad 0,388 ▲1 4 Canada 0,961 ▲2 171 Rep. Centroafricana 0,384 ▲1 5 Irlanda 0,959 ▼1 171 Mozambico 0,384 ▼4 6 Svezia 0,956 ▼1 173 Mali 0,380 ▲2 7 Svizzera 0,955 ▲2 174 Niger 0,374 ▲3 8 Giappone 0,953 ▼1 174 Guinea Bissau 0,374 ▼2 9 Paesi Bassi 0,953 ▲1 176 Burkina Faso 0,370 ▼2
10 Francia 0,952 ▲6 177 Sierra Leone 0,336 ▼1
Tab. 4 – HDI 2007: punteggio e variazione di rank di alcuni paesi.
L’HDI è quindi particolarmente indicato per effettuare confronti sia tra
diversi paesi, sia all’interno di uno stesso paese nel corso del tempo. Per la
sua semplicità di calcolo e il meccanismo di ranking utilizzato, inoltre,
risulta essere facilmente comprensibile al grande pubblico. Come sottolinea
- Indicatori alternativi di benessere -
- 82 -
Bagolin (2004) questo indicatore ha senza dubbio avuto il merito di
aumentare la consapevolezza verso il concetto di sviluppo umano.
Nonostante questo però l’HDI si rivela poco adatto a essere utilizzato nella
teoria economica; numerose sono state infatti le critiche mosse verso questo
indicatore. In primo luogo esso non considera molti aspetti del benessere-
umano, come ad esempio i diritti umani, la sicurezza e la partecipazione
politica (si veda a proposito Anand e Sen (1992) e Ranis, Stewart e Samman
(2006)). In secondo luogo la metodologia di calcolo utilizzata implica la
possibilità di sostituzione tra i tre indici dimensionali; ad esempio una
riduzione nell’aspettativa di vita può essere compensata da un aumento del
reddito procapite30. Legate a questo aspetto anche le critiche che accusano
l’HDI di usare un sistema di pesi arbitrario, dove a ogni variabile
considerata è riconosciuta la stessa importanza relativa (si veda Kelley
(1991), Srinivasan (1994) e Ravallion (1997)). Inoltre l’indice non include
considerazioni di carattere ecologico e ambientale e per tale motivo non può
essere impiegato per valutare la sostenibilità dello sviluppo. Anche l’HDI, al
pari del PIL non tiene inoltre conto della distribuzione dello sviluppo umano
all’interno dei singoli paesi (Sagar e Najam (1998)). A tal proposito, per
introdurre considerazioni equitative, sono state proposte delle correzioni
all’HDI attraverso suddivisioni in classi di reddito (Grimm e altri (2007)).
Infine occorre ricordare che lo Human Development Index è stato concepito
per misurare il progresso in paesi non ancora sviluppati, e per questo il
potere esplicativo in paesi che presentano uno stadio di sviluppo più
avanzato risulta essere limitato. In questi paesi infatti il tasso di istruzione
degli adulti è già vicino al 100% e anche l’aspettativa di vita alla nascita,
molto simile tra i vari paesi, è vicina ai livello obiettivo massimo. Quindi in
30 È stato messo in evidenza il paradosso relativo ad una situazione in cui l’aumento della mortalità nella popolazione più povera produce un incremento del reddito medio con la possibilità di aumento dell’HDI.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 83 -
questi paesi le variazioni di benessere dipenderebbero quasi esclusivamente
da variazioni del reddito procapite, con problematiche simili a quelle viste
per il PIL.
3.4. Gli indicatori di contabilità estesa
È possibile distinguere due ragioni fondamentali per estendere la contabilità
economica tradizionale. In primo luogo alcune modifiche sono apportate per
correggere errori metodologici, come la mancata considerazione del
deprezzamento del capitale (che ha portato al calcolo del prodotto interno
netto) o degli aspetti ambientali (che ha portato alla creazione di sistemi di
contabilità ambientale satellite, come il SEEA).
La seconda ragione per estendere la contabilità tradizionale è quella di
fornire una misura del benessere teoricamente più fondata. Tipicamente i
sistemi di contabilità estesa partono dal nucleo del Sistema di Contabilità
Nazionale (SNA), e apportano aggiustamenti ai conti relativi al consumo e al
capitale: alcuni beni e servizi che non sono considerati come consumo finale,
ma come spese difensive, vengono eliminati, mentre viene attribuito un
valore economico a fonti di benessere esterne al mercato (lavoro domestico,
tempo libero, ecc.).
Tra gli antesignani di questo tipo di contabilità si annoverano Kendrick
(1967) e Sametz (1968) ma il saggio che per primo riporta una metodologia
approfondita è quello elaborato da due economisti di Yale, Arthur Tobin e
William Nordhaus, che costruirono il MEW (Measure of Economic Welfare)
applicando delle correzioni al Prodotto Nazionale Lordo.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 84 -
3.4.1. Measure of Economic Welfare (MEW)
Nel loro celebre lavoro “Is Growth Obsolete?”, Nordhaus e Tobin (1972)
partono dalla considerazione che il PNL è una misura della produzione,
mentre il benessere economico dipende dal consumo; pertanto occorre
innanzitutto separare il consumo dall’investimento e dalle spese intermedie.
In tal modo viene esclusa a priori la spesa pubblica, parte della quale è già
classificata come investimento, mentre la rimanente va considerata di
carattere intermedio e/o difensivo (spese per forze dell’ordine, difesa
nazionale, sanità, manutenzione delle infrastrutture). Gli stessi autori, però,
ritengono giustamente che non tutte le componenti del consumo privato
apportino un contributo positivo al benessere degli individui. Come visto
nel secondo capitolo, vi sono delle spese quali quelle sanitarie o in istruzione
che è più opportuno classificare come investimenti (di capitale umano) o
come spese difensive. Anche le spese di trasporto sostenute dai pendolari
per recarsi al lavoro, non contribuendo al benessere, vengono pertanto
sottratte dal consumo e riclassificate come intermedie. Un’analoga
sottrazione viene effettuata anche per i costi indotti dal processo di
urbanizzazione. Gli autori sottolineano, infatti, che molte delle esternalità
negative prodotte dalla crescita economica sono più evidenti nella vita
urbana, e perciò “… una parte dei redditi più alti dei residenti nelle città può
rappresentare semplicemente una compensazione per gli aspetti spiacevoli
della vita e del lavoro urbani” (Nordhaus e Tobin, 1972, p. 13). Nel MEW,
inoltre, la spesa per beni di consumo durevoli è considerata come
investimento, compensando però la conseguente detrazione dai consumi con
l’aggiunta del valore stimato del flusso di servizi resi annualmente dallo
stock esistente di tali beni. Il consumo viene anche rivalutato con l’aggiunta
del valore dei beni e servizi esterni al mercato e di quello relativo al tempo
- Indicatori alternativi di benessere -
- 85 -
libero. Dunque, in sostanza, gli autori propongono di modificare il consumo
nazionale, da un lato riclassificando alcune voci di spesa e dall’altro
imputando il valore di determinati fattori di benessere ignorati dalla
contabilità nazionale.
3.4.2. Contabilità ambientale, Green GDP e Genuine Saving
Le correzioni proposte dalle ricerche di Nordhaus e Tobin riguardano
essenzialmente il benessere economico, mentre trascurano quasi del tutto la
sostenibilità ambientale. Nella letteratura successiva prevale invece
l’opinione che la correzione del PIL debba partire dalla sostenibilità e ciò
non solo perché è cresciuta la consapevolezza dei problemi ambientali, ma
anche per ragioni teoriche. Infatti, data l’impossibilità di precisare in modo
oggettivo e univoco il concetto di benessere, qualsiasi correzione in questo
senso non può che basarsi su giudizi di valore. Al contrario, l’aggiustamento
in chiave di sostenibilità si basa sulla nozione di reddito alla Hicks che è
teoricamente ben definita, anche se non è così semplice da rendere operativa.
Un possibile aggiustamento del PIL per tenere conto almeno in parte del
degrado ambientale è quello proposto da Pearce et al. (1989), che suggerisce
di detrarre dal PIN il deprezzamento del capitale naturale, le spese sostenute
per prevenire o riparare danni all'ambiente e alla salute e il valore
dell'inquinamento residuo. Proposte molto simili nella sostanza sono state
avanzate da altri autori, tra cui Daly (1989) e Hueting et al. (1991). I problemi
da superare a tale riguardo si riferiscono soprattutto alla mancanza di
informazioni sull’entità fisica dei danni ambientali e alla non uniformità dei
metodi di valutazione economica dei danni stessi. Il primo ordine di
difficoltà può essere superato solo attraverso l’attuazione di una contabilità
- Indicatori alternativi di benessere -
- 86 -
in termini fisici del patrimonio naturale, mentre il secondo richiede una
scelta politica a favore di quella metodologia che raccolga i maggiori
consensi in ambito scientifico e/o rifletta meglio il concetto di sostenibilità a
cui ci si intende riferire.
La necessità di quantificare al meglio l’impatto ambientale della produzione
e, più in generale, di descrivere il collegamento tra ambiente ed economia ha
condotto alla progettazione di vari schemi di contabilità ambientale, sia per
iniziativa di singoli Paesi, sia a livello sovranazionale, tra cui meritano di
essere citati il SEEA (Sistema Integrato di Contabilità Ambientale ed
Economica), elaborato dall’ufficio statistico delle Nazioni Unite e il SERIEE
(Sistema Europeo per la Raccolta dell’Informazione Economica
sull’Ambiente), costruito dall’EUROSTAT. Questi schemi contabili sono
definiti sistemi di contabilità satellite perché, pur lasciando intatto il nucleo
della contabilità nazionale, sono a esso raccordabili. L’istituzione di questi
sistemi di contabilità ambientale, oltre ad avere importanza in sé, ha
permesso la costruzione dei primi indicatori sintetici in grado di correggere
il PIL in senso ecologico. Infatti, nonostante la posizione dominante
nell’ambito della statistica ufficiale sia ancora quella di escludere
l’elaborazione di simili aggregati, a causa delle difficoltà teoriche connesse
alla valutazione economica dei danni ambientali (United Nations,1993;
Costantino, 1996) alcuni studiosi ritengono questi problemi non tali da
pregiudicare il calcolo del PIL “verde”, sottolineando il fatto che la
contabilità nazionale fa già largamente ricorso a imputazioni e valutazioni
arbitrarie (Ekins, 1995).
Il Green GDP è quindi un indice di crescita economica che incorpora le
conseguenze ambientali della crescita stessa, considerando deterioramento
delle risorse naturali e inquinamento ambientale.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 87 -
Le prime applicazioni concrete di questo indice sono state fatte in Cina,
dopo che nel 2004, il Premier Wen Jiabao aveva annunciato l’intenzione di
voler adottare la versione verde del PIL come strumento guida nelle
decisioni del Partito Comunista Cinese. Il primo rapporto sul Pil verde
cinese, rilasciato nel settembre 2006 dallo State Environmental Protection
Administration (SEPA) e dal National Bureau of Statistics (NBS), indica che
i costi dell’inquinamento ambientale in Cina ammontano a 64 bilioni di
dollari nel 2004, pari al 3,05% della produzione annuale, mentre nella
provincia settentrionale di Shanxi, il centro della produzione carbonifera, i
costi ambientali rappresentano addirittura più del 33% del relativo PIL.
Naturalmente anche questo indice soffre la mancanza di criteri standard di
valutazione dei danni ambientali; in particolare risulta difficile quantificare
il valore della perdita di benessere relativa a danni alla salute e
all’ecosistema quando questi sono differiti nel tempo o dipendono dalle
esternalità negative che un paese subisce dall’esterno.
Un altro indicatore che cerca di dare risalto all’aspetto ambientale,
apportando integrazioni e rettifiche agli schemi di contabilità tradizionali, è
il Genuine Saving (GS) messo a punto dalla Banca Mondiale.
Hamilton (2000) propone di utilizzare questo indice come indicatore di
sviluppo economico sostenibile. Il GS, infatti, rivede il concetto di risparmio
lordo, la tradizionale misura dell’accumulazione di ricchezza di un paese
(derivata dal prodotto nazionale lordo dedotti i consumi pubblici e privati),
integrando nel concetto di accumulazione anche il capitale umano e
naturale.
Il Genuine Saving rappresenta, in termini monetari, l’investimento in capitale
fisico e umano meno il valore dello sfruttamento delle risorse naturali e
dell’accumulo di inquinanti. Il Genuine Saving è derivato dal risparmio lordo
deducendo il deprezzamento del capitale fisico, il valore dello sfruttamento
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delle risorse non rinnovabili, il valore dei danni da inquinamento e
considerando come investimento in capitale umano le spese per
l'educazione.
La Banca Mondiale calcola questi dati come percentuale sul Prodotto
Nazionale Lordo. In questo modo l’indice si sostanzia in un singolo valore
che può assumere valori positivi o negativi; risultati negativi persistenti
indicano che il paese non sta seguendo un percorso di sviluppo sostenibile.
Anche questo indice tuttavia presenta dei limiti legati alla mancanza di dati
e criteri di valutazione ambientale oltre che all’esclusione di diversi aspetti
rilevanti ai fini del benessere, come ad esempio il grado di diseguaglianza
sociale.
3.4.3. L’Index of Sustainable Economic Welfare (ISEW). Il MEW di Nordhaus e Tobin ha dato vita, oltre che al filone prettamente
ambientale appena descritto, anche a nuovi studi che, sempre con
l’approccio della contabilità estesa, hanno cercato di costruire un
indicatore sintetico di benessere che prendesse in considerazione il
maggior numero di aspetti possibili.
Zolotas (1981) ad esempio sviluppò la metodologia del MEW integrando
elementi di sostenibilità e pervenendo alla misura dell’Economic Aspects of
Welfare (EAW).
Partendo da questi primi lavori nel 1989 Daly e Cobb costruiscono l’Index of
Economic Welfare (ISEW). Anche l’ISEW parte dalle spese per il consumo
personale e integra questo dato con una serie di fattori quali la distribuzione
- Indicatori alternativi di benessere -
- 89 -
del reddito, la variazione del capitale netto, il deperimento delle risorse, i
danni ambientali e il valore del lavoro domestico.
Nel 1995 gli studiosi del Redefining Progress elaborano ulteriormente
l’impianto dell’ISEW e giungono a una nuova misura di benessere: il
Genuine Progress Indicator. Questo indicatore aggiunge alla misura nuove
categorie come il valore del volontariato, la perdita di tempo libero e i costi
relativi a crimine e disoccupazione.
Nonostante queste differenze metodologiche i due indici sono considerati
equivalenti dal punto vista teorico. Essi verranno analizzati in dettaglio nel
prossimo paragrafo.
3.5. L’ISEW e il Genuine Progress Indicator
3.5.1. Aspetti teorici Per comprendere i fondamenti teorici di questi due indici è importante
chiarire cosa essi misurano esattamente. Riassumendo la letteratura, Asheim
(2000) identifica tre tipologie di concetti impliciti in queste misure:
− il reddito sostenibile
− il welfare equivalent income
− il profitto sociale netto
Il reddito sostenibile fa riferimento alla basilare nozione di Reddito alla
Hicks. Il principio centrale per la definizione di questo concetto è ben chiaro
nelle parole dello stesso Hicks (1939):
- Indicatori alternativi di benessere -
- 90 -
“we ought to define a man’s income as the maximum value which he can
consume during a week, and still expect to be as well off at the end of the week
as he was at the beginning”.
La nozione di reddito hicksiano, come già detto, è sostenibile per definizione
e l’espressione “reddito sostenibile” è superflua. Per arrivare a una adeguata
misura del reddito alla Hicks la contabilità ambientale, così come l’ISEW e il
GPI, deducono dal valore del reddito classico misurato dal PIL il
deprezzamento del capitale naturale e materiale e le spese difensive.
ISEW e GPI incorporano inoltre tutti e tre i domini di sostenibilità, quello
economico, quello sociale e quello ambientale.
Prendendo ad esempio la metodologia del GPI il dominio economico è
composto dalle spese per consumi personali, dal flusso di servizi derivante
dai beni durevoli, dagli investimenti netti in capitale e dall’indebitamento
netto estero. Il dominio ambientale imputa costi legati all’inquinamento di
aria, acqua e terreno, alla perdita di foreste e zone umide, e al
depauperamento delle risorse energetiche. Il dominio sociale considera i
benefici del volontariato, del lavoro domestico e dell’istruzione di livello
superiore e i costi relativi a crimine, disuguaglianza, traffico e incidenti
stradali.
Ma il concetto di reddito implicito in questi due indici è addirittura più
ampio di quello proposto da Hicks; il welfare equivalent income, infatti, fa
riferimento al concetto di benessere associato con le attività di consumo, il
cosiddetto “psychic income” definito da Fisher (1906).
Per Fisher la ricchezza di una nazione non è data dai beni prodotti in un
particolare anno, ma dai servizi goduti dai consumatori finali e derivanti dai
beni prodotti dall’uomo. La definizione originaria proposta da Fischer è
stata successivamente estesa per includere oltre il capitale artificiale anche
quello naturale e umano. Riconoscendo il fatto che il processo di crescita
- Indicatori alternativi di benessere -
- 91 -
coinvolge numerose attività “negative”, il cui consumo non migliora il
benessere degli individui, il concetto di Psychic Income deve essere
considerato in un’accezione “al netto”. Coerentemente con questa
definizione di reddito, i sistemi contabili dei due indici considerati in primo
luogo isolano le spese per il consumo personale rimuovendo il valore
monetario speso per acquistare, mantenere o sostituire i beni durevoli e
successivamente effettuano una serie di integrazioni e deduzioni che
riflettono le esternalità positive o negative associate al consumo.
Il profitto sociale netto è una misura dell’efficacia politica. L’analisi di questa
misura può essere considerata come una versione estesa dell’analisi costi-
benefici che utilizza il reddito equivalente e il reddito sostenibile in
sostituzione del reddito misurato dal PIL. Pertanto l’utilizzo di
aggiustamenti contabili nell’analisi del profitto sociale netto fornisce una
misura alle implicazioni di benessere e di sostenibilità dei cambiamenti di
policy (Asheim, 2000). In particolare il profitto sociale netto è dato dalla
differenza tra il valore dell’indice con e senza quella particolare scelta di
policy. Se il profitto sociale netto è positivo il cambiamento proposto
incrementa il benessere; se negativo indica che i costi sociali eccedono i
benefici.
Come osserva Lawn (2003) l’ISEW e il GPI misurano “il benessere di cui
gode una nazione in un particolare momento dato l’impatto delle attività
presenti e passate”.
Occorre infine ricordare le metodologie di calcolo dei due indici sono
costruite utilizzando altri importanti riferimenti teorici, come il concetto di
spese difensive, l’avversione verso la disuguaglianza o la sostituibilità tra
attività di mercato e attività non di mercato di cui si è già ampiamente
discusso in precedenza.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 92 -
3.5.2. Metodologia di calcolo
L’ ISEW fu sviluppato originariamente negli anni ‘80 da Herman Daly e John
Cobb e prende in considerazioni aspetti ambientali, economici e sociali.
La metodologia fondamentale per l'ISEW può essere riassunta come segue
(Jackson e altri, 1997) :
Consumo personale - Perdite dall'ineguaglianza di reddito + Valore del lavoro domestico + Spese pubbliche non difensive - Spese difensive private + Aggiustamenti al valore del capitale - Costi al degrado ambientale - Deprezzamento del capitale naturale = ISEW
Tab. 5 – Metodologia di calcolo dell’ISEW in sintesi.
La diseguaglianza reddituale è contabilizzata supponendo che lo stesso
ammontare di denaro addizionale fornisce maggiore benessere a un
individuo povero rispetto a uno ricco. I consumi privati sono quindi
ponderati tenendo conto del grado di disuguaglianza. L'ISEW originale
utilizza il coefficiente di Gini per adattare le spese personali, mentre studi
successivi favoriscono l’uso dell’ Indice di Atkinson (per esempio Jackson e
Stymne, 1996), che dichiara esplicitamente la preferenza per una
distribuzione uguale di reddito.
Gli stessi autori sottolineano l’esistenza di problemi legati alla definizione di
mano d’opera familiare, alla sua misurazione e alla sua valutazione. I servizi
del lavoro domestico, sono valutati moltiplicando il numero di ore annue
impiegate in tali attività per un prezzo ombra pari alla retribuzione media
oraria delle collaboratrici domestiche.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 93 -
Le spese pubbliche sono considerate principalmente difensive: solo la metà
delle spese d’istruzione superiore e si quelle per la salute sono considerate
migliorative del livello di benessere corrente. L’ISEW inoltre aggiunge il
valore dei servizi erogati dal settore delle infrastrutture; ad esempio i servizi
della rete stradale, sono valutati moltiplicando per un tasso di rendimento
stimato il valore dello stock netto di rete stradale (ipotizzando che solo i ¾ di
esso contribuiscano al benessere).
Ulteriori detrazioni vengono apportate per le altre spese difensive; in
particolare sono sottratte le spese relative a incidenti stradali e i costi indotti
dall’urbanizzazione e dal pendolarismo.
Le spese difensive ambientali comprendono i costi per l’inquinamento di
acqua e aria, per l’inquinamento acustico, la perdita di zone umide e terreni
agricoli, l’esaurimento delle risorse energetiche e minerarie non rinnovabili e
i danni ambientali di lungo termine, stimati ipotizzando che la loro entità sia
direttamente proporzionale al consumo di energie non rinnovabili.
Gli aggiustamenti al valore del capitale si rendono necessari per un corretto
trattamento dei beni durevoli e per tener traccia della crescita del capitale
netto. Per quanto riguarda i beni durevoli, il loro costo di acquisto è sottratto
dall’aggregato, mentre una quota di ammortamento annuo viene imputata
con valore positivo per tutta la durata della vita utile dei beni stessi.
Per calcolare la crescita del capitale netto Daly e Cobb introducono il
concetto di “growth requirement”, definito come la crescita del capitale
necessario a compensare il relativo deprezzamento e la crescita della
popolazione. La crescita annua del capitale netto è data dalla differenza tra
l’aumento totale di capita e il “growth requirement”.
Gli autori invece escludono volontariamente dal calcolo elementi quali il
capitale umano e il tempo libero. Pur riconoscendo l’importanza del capitale
umano essi sostengono che i criteri di valutazione degli input, quali spese
- Indicatori alternativi di benessere -
- 94 -
mediche e istruzione, necessari a mantenere costante il flusso di capitale
umani, è discutibile. Discorso analogo per il tempo libero, a cui è difficile
fornire un valore oggettivo.
Nel 1995 il Redefining Progress apporta alcune modifiche alla metodologia
dell’ISEW per correggerne alcuni limiti o per meglio stimare alcune variabili
del benessere. Gli elementi utilizzati da questi studiosi per calcolare il GPI
negli Stati Uniti dal 1950 al 1995 sono rappresentati in dettaglio nella tabella
seguente:
Spesa per il consumo personale -/+ Indice di disuguaglianza reddituale
Spesa per il consumo personale ponderata - Costo dei beni durevoli + Servizi forniti dai beni durevoli + Servizi forniti da strade e autostrade + Servizi forniti dal volontariato + Valore del lavoro domestico - Costi per inquinamento acustico - Costi di commuting - Costi per crimine - Costi per sottooccupazione - Perdita di tempo libero - Costi di abbattimento inquinanti - Costi per incidenti stradali - Costi per divorzi
-/+ Investimento in capitale netto -/+ Indebitamento estero netto - Perdita di terreni agricoli - Deterioramento delle risorse naturali - Costi di deterioramento dell’ozono - Costi per inquinamento dell’aria - Costi per inquinamento dell’acqua - Costi ambientali di lungo periodo - Perdita di zone umide - Perdita di foreste = Genuine Progress Indicator
Tab. 6 – Metodologia di calcolo del GPI.
Le principali innovazioni rispetto all’indice di Daly e Cobb riguardano
l’inclusione del lavoro volontario, della perdita per il tempo libero e
dell’indebitamento estero netto oltre che dei costi relativi alla
sottooccupazione.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 95 -
Si assiste anche a una migliore definizione delle spese difensive, dove ad
esempio vengono contabilizzati anche i costi per il crimine, per il
dissolvimento familiare e i danni all’ozono.
Si può quindi affermare che pur rispettando pienamente lo spirito con cui è
stato costruito l’ISEW, il Genuine Progress Indicator rappresenta un
miglioramento metodologico rispetto a quest’ultimo che lo rende più adatto
a misurare il benessere collettivo di una nazione. D’altro canto anche la
metodologia sviluppata dal Redefining Progress non è esente da critiche e
può essere ulteriormente implementata grazie all’adozione di adeguati
sistemi di contabilità. In mancanza di questi infatti numerose variabili sono
calcolate con procedimenti di stima che possono avere anche un carattere
discrezionale, come dimostrano le diverse applicazioni empiriche, dove la
metodologia è stata spesso modificata per far fronte alla carenza di dati in
alcuni paesi.
3.5.3. I risultati Da quanto finora detto appare chiaro come allo stato attuale, per questi
indici, non esistano sistemi affermati di misurazione, con la definizione di
standard e criteri di valutazione stabiliti unanimemente. Le diverse stime
empiriche esistenti si devono quindi al lavoro di singoli ricercatori che
hanno tentato di riprodurre la metodologia originaria per quantificare il
benessere di determinati paesi; queste stime quindi non possono essere
considerate pienamente equivalenti per la presenza di alcune divergenze
metodologiche o per la non omogeneità dei dati utilizzati. Tuttavia appare
interessante fornire una breve sintesi dei risultati ottenuti da questi studi
- Indicatori alternativi di benessere -
- 96 -
anche per valutare l’andamento degli indici di benessere in relazione al
classico Prodotto Interno Lordo.
A tale proposito un’ipotesi molto popolare nell’ambito dell’Economia
Ambientale è quella avanzata da Max-Neef (1995) e che va sotto il nome di
“Threshold Hypothesis”. Secondo questa visione sembrerebbe esserci un
periodo in cui la crescita economica (come tradizionalmente misurata
attraverso il PIL) si accompagna a un miglioramento della qualità della vita,
ma solo fino a un certo punto – detto “punto di soglia” – oltre il quale, se la
crescita economica continua, la qualità di vita peggiora. E questo in virtù di
costi sociali e ambientali non più sostenibili che influiscono negativamente
sul benessere presente e futuro. Dal confronto tra PIL e indicatori di
sostenibilità come l’ISEW e il GPI è possibile verificare se le evidenze
empiriche confermano o meno l’ipotesi di Max-Neef.
Le stime utilizzate in questa analisi sono quelle calcolate per Australia
(Hamilton, 1999), Austria (Stockhammer e al., 1997), Cile (Castaneda, 1999),
Italia (Guenno e Tiezzi, 1998), Pesi Bassi (Rosenberg e al., 1995), Svezia
(Jackson and Stymne, 1996), Germania (Diefembacker, 1991) e Stati Uniti
(Cobb e al., 2001).
Gli studi relativi all’Australia e agli Stati Uniti sono stati realizzati con la
metodologia del GPI, gli altri con quella dell’ISEW.
I risultati di queste stime sono rappresentate nei grafici della figura 7, dove le
serie storiche degli indicatori alternativi (in nero) sono poste in relazione con
quelle del corrispondente PIL (in rosso).
- Indicatori alternativi di benessere -
- 97 -
Fig. 7 – Serie storiche di ISEW/GPI e PIL per gli otto paesi considerati.
- Indicatori alternativi di benessere -
- 98 -
È possibile notare come in tutti i paesi il valore dell’indicatore alternativo sia
stata quasi sempre inferiore a quello del reddito pro-capite; ma questa
situazione può essere ritenuta fisiologica poiché le correzione di segno
negativo che questi indici apportano al PIL di norma prevalgono su quelle di
segno positivo. Risulta evidente anche come nella maggior parte dei casi i
due indicatori abbiano seguito un processo di crescita analogo nel corso del
tempo, e proprio questo andamento conferma la percezione comune che nel
secondo dopoguerra vedeva la crescita economica essere accompagnata da
un effettivo miglioramento della qualità della vita. Percezione che aveva
portato a ritenere il Prodotto Interno Lordo un buon approssimatore della
misura del benessere di una nazione.
Tuttavia i grafici evidenziano anche che a un certo punto il divario tra i due
indici inizia ad aumentare e in molti paesi le due misure addirittura
divergono, facendo registrare una diminuzione del well-being in
corrispondenza di un continuo aumento del benessere economico misurato
dal PIL. I dati presi in considerazione, così come quelli di altri studi analoghi
svolti in altre nazioni o a livello locale31, sembrerebbero quindi confermare
l’ipotesi proposta da Max-Neef, relativa all’esistenza di un punto soglia
oltre il quale la crescita del reddito produce effetti negativi sul benessere
sociale.
Osservando i dati relativi all’Italia risulta invece che l’ISEW ha continuato a
crescere durante tutti gli anni ’80, sia pure a un tasso decrescente. Questo
può essere spiegato dal fatto che la perdita di risorse esauribili risulta
piuttosto contenuta e di minore importanza rispetto alle altre variabili
ambientali. L’Italia è, infatti, un Paese piuttosto povero di questo tipo di
risorse e come tutti i Paesi più industrializzati, tende a consumare le risorse
31 Andamenti analoghi si registrano per gli stessi indici calcolati nel Regno Unito (Jackson e al., 1997), in Thailandia (Clarke e Islam, 2004), ad Alberta (Anielski, 2001) e attraverso una procedura semplificata in Belgio (Bleys, 2005).
- Indicatori alternativi di benessere -
- 99 -
di altri, principalmente dei Paesi in via di sviluppo. Ciò non viene registrato
dall’ISEW e questo rappresenta un difetto di tale indice, perché si può avere
l’impressione che lo sviluppo di un Paese sia sostenibile solo per il fatto che
esso importa la quasi totalità di materie prime ed energia, mentre
l’inquinamento da esso prodotto, magari, ricade soprattutto sui Paesi
confinanti32. Sotto questo punto di vista il Genuine Progress Indicator
appare più adatto a superare questo problema perché le importazioni di
materie prime aumentano l’indebitamento netto estero e di conseguenza
riducono il valore del GPI.
Negli Stati Uniti, il paese che registra il maggior divario tra GPI e il PIL, la
differenza tra i due indici è data soprattutto da un aumento esponenziale del
deterioramento ambientale, la cui principale componente è rappresentata
dalle emissioni in atmosfera.
In tutti i paesi quindi questi indici evidenziano percorsi di sviluppo non
sostenibile, con un peggioramento della qualità della vita o comunque con
una crescita del benessere ben al di sotto di quella rappresentata dal
Prodotto interno Lordo. L’adozione di questi indicatori consentirebbe di
calibrare al meglio le politiche di intervento volte a migliorare il benessere di
una collettività. Il reddito in quanto tale, invece, non fornisce
un’informazione completa se non si comprende in che modo esso viene
prodotto, se attraverso componenti che migliorano la qualità della vita delle
persone, o se, al contrario, con elementi che riducono il benessere
individuale e collettivo.
Per questo motivo, per la maggior completezza di informazione e per la
minore soggettività rispetto ad altri indicatori il GPI appare il più adatto a
sostituire il Prodotto Interno Lordo anche nella teoria economica e nello
sviluppo dei relativi modelli empirici.
32 Modifiche per ovviare a questo problema sono state proposte dal WWF (1992).
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 100 -
4. Indicatori alternativi e scelte di policy
Gli indici descritti nel capitolo precedente si propongono quindi di misurare
il benessere di una collettività in modo più accurato di quanto non faccia
attualmente il Prodotto Interno Lordo.
Se questo è vero, sarebbe auspicabile utilizzare questi indicatori, o almeno
quelli più completi da un punto di vista teorico, anche come strumenti di
guida nelle decisioni di politica economica e in tutti quegli studi empirici che
si propongono di verificare l’impatto di determinate scelte in termini di
sviluppo e miglioramento del benessere.
Obiettivo di questo capitolo è proprio quello di verificare le concrete
possibilità di utilizzo degli indicatori precedentemente analizzati come
strumenti di policy pubblica. In particolare verranno analizzati alcuni
semplici modelli di crescita per capire quali sono le differenti implicazioni
che si hanno sostituendo il Prodotto Interno Lordo con un indice alternativo
di benessere.
Per le ragioni espresse in precedenza i confronti con il PIL verranno
effettuati ricorrendo a modelli che adottano l’ISEW/GPI come sostituto.
Occorre innanzitutto sottolineare che in campo economico non tutti sono
ancora d’accordo sulla concreta possibilità di impiego di questi indici.
Neumayer (1999), ad esempio, sostiene una “policy irrelevance” del GPI, in
virtù di alcuni dubbi metodologici legati a possibili aspetti soggettivi inclusi
nel suo calcolo. E ancora Carson e Young (1994) osservano:
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 101 -
…a single dimension, aggregate measure of sustainable welfare will be of
little direct use in guiding, shaping, or choosing among government policies
because the factors determining welfare cannot be reduced and combined into
a single measure that would command widespread agreement and
acceptance.
Altri, invece, sostengono che anche misure approssimate di benessere, quali
possono essere l’ISEW e il GPI, sono pur sempre preferibili all’utilizzo della
sola crescita economica quale obiettivo-guida per le politiche pubbliche.
Anielski (2001) ritiene che il sistema di contabilità del GPI fornisce
informazioni essenziali nel prendere decisioni di politica economica
attraverso un approccio integrato e olistico, perché comprende ogni
possibile area di intervento governativa.
Come in precedenza ricordato anche Asheim (2000) in “Theories, Principles,
and Critiques” si esprime a favore della rilevanza di questi indici,
associando a essi i concetti di welfare equivalnt income, reddito sostenibile e
profitto sociale netto; mentre Hanley (2000) ritiene che l’ISEW può essere
utilizzato in combinazione con gli indicatori economici tradizionali per
creare un più appropriato sistema di valutazione a disposizione dei decisori
politici.
4.1. Alcuni esempi
4.1.1. Apertura dei mercati
Il dibattito sugli effetti dell’apertura dei mercati e della globalizzazione sullo
sviluppo economico ha avuto inizio negli anni ’90, quando l’Organizzazione
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 102 -
Mondiale per il Commercio ha aumentato il ritmo delle liberalizzazioni nel
commercio internazionale. Gli studi empirici tradizionali finora svolti hanno
prodotto, però, risultati contrastanti. Un certo numero di ricerche evidenzia
una relazione positiva tra crescita economica e apertura di un’economia agli
scambi internazionali sia di beni che di capitali. Dar e Amirkhalkhali (2003),
ad esempio, sostengono che l'espansione delle esportazioni aumenta il tasso
di crescita economica per mezzo del suo impatto sulla produttività totale dei
fattori produttivi.
Di segno opposto altri studi che ipotizzano un deterioramento delle
condizioni ambientali e sociali all’aumento del grado di apertura dei
mercati33.
Le ricerche empiriche che legano un maggior grado di openness a più alti
tassi di crescita si basano quasi esclusivamente sul PIL e su misure a esso
connesse, mentre gli studi che documentano gli effetti negativi di
un’eccessiva apertura dei mercati si rivolgono a misure non
tradizionalmente utilizzate nei modelli di crescita.
Talberth e Bohara (2006) suggeriscono di affrontare il problema utilizzando
le serie storiche di ISEW e GPI al fine di superare il divario tra le differenti
teorie. Questi indici, infatti, forniscono una misura più accurata del
benessere, affrontando esplicitamente i principali fattori di critica del PIL,
ma allo stesso tempo focalizzano l’attenzione su componenti, come la spesa
per consumi finali, coerenti con i tradizionali concetti economici di crescita.
Utilizzando dati panel relativi a otto paesi in cui erano stati calcolati i due
indici (Australia, Austria, Brasile, Gran Bretagna, Italia, Paesi Bassi, USA, e
Svezia) e un modello di produzione aggregata, essi individuano una forte
correlazione negativa tra il grado di openness e il benessere misurato
33 Si vedano, ad esempio, i lavori di Baten e Fraunholz (2004) che analizano gli effetti della globalizzazione sulla disparità di reddito e di Managi (2004) che ricollega l’aumento delle emissioni inquinanti al grado di apertura dei mercati.
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 103 -
attraverso gli indicatori alternativi, mentre la presenza di effetti non lineari
sta a indicare che fino a un certo punto l’aumento del grado di apertura ha
effetti positivi sullo sviluppo.
Poiché nei modelli tradizionali la crescita è assunta essere una funzione degli
stock di capitale fisico e umano Talberth e Bohara utilizzano quali variabili
esplicative il gross fixed capital formation e il dependency age ratio, oltre che il
grado di apertura dei mercati.
Riprendendo i risultati di questo lavoro Talberth, Cobbs e Slattery (2007)
verificano, utilizzando i dati relativi agli Stati Uniti, il seguente modello di
crescita:
GGPI t=α0 + α1 DGFCF t+ α2 DOPEN t+α3 DOPEN2 t+ α4 DADR t + u t
dove GGPI è il tasso di crescita del GPI nell’anno t, DGFCF, DOPEN, DADR
sono rispettivamente le variazioni annuali del tasso di formazione del
capitale fisso lordo, del grado di apertura dei mercati, e dell’age dependency
ratio, mentre ut è il termine di errore. Il termine quadratico relativo
all’openness è incluso per tener conto di eventuali effetti non lineari.
I risultati del modello sono sintetizzati nella tabella seguente:
Variabile dipendente: GGPI
35 osservazioni Variabile indipendente Coefficiente Statistica-t Significatività
Costante 0,03 6,73 *** DOPEN -1,00 -3,12 *** DOPEN2 6,13 1,84 * DGFCF 1,14 2,33 ** DDADR -9,00 -3,03 **
Tab. 7 – Risultati della stima del modello di openness.
Anche questo modello conferma l’esistenza di una relazione negativa tra il
livello di benessere e il grado di apertura dei mercati, e la presenza di effetti
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 104 -
quadratici in virtù dei quali bassi livelli di openness sono comunque positivi
ai fini del welfare. I risultati quindi contrastano con gli studi tradizionali che
prendono come riferimento la crescita misurata dal PIL e forniscono un
supporto empirico alla letteratura che associa una maggiore apertura dei
mercati a degrado ambientale, disuguaglianza reddituale e attività
economiche che non producono nuovo benessere. Il modello inoltre
suggerisce un approccio più cauto anche verso politiche di liberalizzazione
dei mercati, che potrebbero rivelarsi controproducenti dopo una certa soglia.
4.1.2. Politiche di riduzione fiscale
Lo stesso lavoro di Talberth, Cobbs e Slattery (2007) affronta con lo stesso
approccio anche un altro importante problema economico, quello della
riduzione del carico tributario.
Nel contesto delle teorie di crescita tradizionali generalmente di afferma che
una riduzione della pressione fiscale stimola la crescita di lungo periodo
attraverso diversi canali. Tagli fiscali incoraggerebbero gli investimenti, la
formazione della forza lavoro e la ricerca, aumenterebbero i consumi, e
sposterebbero lavoro e capitale in settori altamente produttivi (Engen e
Skinner, 1996).
D’altra parte i tagli fiscali possono danneggiare la crescita economica se non
accompagnati da una commisurata diminuzione della spesa pubblica; in
questo caso, infatti, aumenterebbero i tassi di interesse e il deficit. Secondo
Gale e Orszag (2005), inoltre, tagli fiscali sproporzionati a favore delle fasce
più ricche potrebbero disincentivare nuovi investimenti. Infine una
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 105 -
riduzione fiscale potrebbe diminuire i benefici socioeconomici derivanti
dalla spesa pubblica. Anche gli studi empirici che legano il taglio delle tasse
alla crescita economica forniscono risultati ambigui. Hashemzaeh e Wayne
(2004) seguendo una prospettiva storica evidenziano che i periodi di crescita
economica sono generalmente associati ad alti livelli di pressione fiscale.
Altri studi, invece, giungono a conclusioni opposte (si veda ad esempio
Diamond (2005)).
Talberth, Cobbs e Slattery analizzano questo problema riprendendo il
modello di crescita visto nel paragrafo precedente e introducendo una
nuova variabile, la crescita del livello di imposte procapite del periodo
precedente (DTAX) :
GGPI t=α0 + α1 DGFCF t+ α2 DOPEN t+α3 DOPEN2 t+ α4 DADR t + α5 DTAXt-1+u t
I risultati di stima del modello sono rappresentati nella seguente tabella:
Variabile dipendente: GGPI 35 osservazioni
Variabile indipendente Coefficiente Statistica-t Significatività
Costante 0,03 6,74 *** DOPEN -1,28 -4,31 *** DOPEN2 7,55 2,54 **
DGFCFpct 0,21 0,67 DDADR -7,48 -2,80 *** DTAX 0,65 3,08 ***
Tab. 8 – Risultati del modello di openness modificato per tener conto della variabile fiscale.
Secondo questa analisi esiste una forte e significativa relazione positiva tra il
tasso di crescita del livello di imposte procapite e il tasso di crescita del GPI.
Vi sono vari modi in cui un più alto livello di imposizione può agire sul
benessere di una collettività: attraverso una migliore redistribuzione del
reddito, attraverso i benefici degli investimenti pubblici (per esempio nel
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 106 -
settore delle energie rinnovabili o nella protezione ambientale) o attraverso
la riduzione dell’indebitamento estero.
Questi elementi sono trascurati dal PIL e i risultati ottenuti con questo indice
sono spesso in conflitto con quelli ottenuti attraverso gli indicatori
alternativi di benessere.
4.1.3. Investimenti in ricerca e sviluppo
Un altro esempio di come la scelta di adoperare il Genuine Progress
Indicator o il Prodotto Interno Lordo nella stima di modelli empirici non sia
ininfluente rispetto alle indicazioni di policy ricavabili da tali modelli è dato
dall’analisi della relazione tra il livello di investimenti in ricerca e sviluppo e
la crescita.
È comunemente accettata l’idea che alti livelli di investimento in R&S
abbiano effetti positivi sulla crescita economica e sul benessere di un paese.
Esistono però differenti canali attraverso cui gli investimenti vengono messi
in pratica: in primo luogo una parte della spesa in R&S è sostenuta dal
settore privato, tipicamente attraverso la ricerca interna al settore
industriale; altri tipici soggetti che investono in R&S possono essere i
governi, le università, gli istituti di ricerca e le organizzazioni senza scopo di
lucro. È possibile quindi chiedersi attraverso quale di questi canali si
ottengano i maggiori benefici in termini di sviluppo.
Un modo molto semplice per fornire una prima risposta a questa domanda
potrebbe essere quello analizzare la relazione tra l’indicatore di sviluppo e il
livello di investimenti dei vari settori.
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 107 -
Utilizzando i dati relativi agli investimenti in R&S negli Stati Uniti per il
periodo 1953-2004 si vogliono stimare i seguenti modelli di sviluppo:
1) ln PIL= α0 + α1 ln R&Spublic t+ α2 ln R&Sindustry
2) ln GPI= α0 + α1 ln R&Spublic + α2 R&Sindustry
3) ln (PIL – GPI)= α0 + α1 ln R&Spublic + α2 ln R&Sindustry
dove R&Sindustry è l’ammontare degli investimenti in R&S effettuati dal
settore privato e R&Spublic è l’ammontare degli investimenti in R&S
effettuati complessivamente dal governo federale, dalle università e dalle
organizzazioni di ricerca no-profit. I dati forniti dal National Science
Foundation (2008) sono stati trasformati in termini logaritmici.
Il primo modello assume come variabile dipendente il PIL, il secondo il GPI,
mentre nel terzo modello si analizza la relazione tra le variabili esplicative e
il gap esistente tra PIL e GPI.
Modello 1
Var. dipen. =ln PIL
Modello 2
Var. dipen. = ln GPI
Modello 3
Var. dipen. =ln (PIL-GPI)
Costante 7,76 8,87 4,44 (41,71) *** (73,61) *** (12,16) ***
ln R&Spublic 0,16 0,49 -0,13 (1,21) (5,21) *** (-0,47)
R&Sindustry 0,37 -0,25 1,13 (3,14) *** (-2.66) ** (5,28) ***
Statistica F 85,85 87,38 96,07 R2 corretto 0,92 0,81 0,91
Tab. 9 – Risultati di sintesi dei modelli di regressione.In parentesi il test t-student.
Le stime relative al primo modello evidenziano una relazione positiva del
PIL con il livello di ricerca e sviluppo sia del settore pubblico che del settore
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 108 -
privato. Il contributo maggiore è però fornito dal settore privato, mentre la
relazione con la R&S pubblica non è significativa secondo il test t-student.
Sostituendo, invece, il GPI al PIL come variabile dipendente risulta, invece,
presente una forte e robusta relazione positiva tra gli investimenti pubblici
in R&S e l’indicatore di benessere; mentre il contributo del settore privato
avrebbe addirittura un effetto negativo. Dati confermati anche dal terzo
modello che individua un aumento del gap tra i due indici nei periodi in cui
i livelli di investimento privati sono più elevati e una riduzione del gap al
crescere degli investimenti del settore pubblico.
Le due tipologie di ricerca quindi hanno entrambe un impatto positivo sulla
crescita economica, ma presentano relazioni differenti rispetto al’indice di
sviluppo sostenibile. Le ragioni di questa discrepanza non sono chiare. Si
potrebbe pensare alla diversa tipologia di ricerca sottostante: una prevalenza
della ricerca di base nel settore pubblico e una prevalenza della ricerca
applicata nel settore industriale, oppure una ricerca più attenta alle
tematiche sociali e ambientali effettuata da governi, università e organismi
no-profit rispetto a una ricerca volta alla massimizzazione della produttività
del settore privato magari trascurando gli aspetti ambientali. Non è però
compito di questo lavoro quello di indagare sulle cause di questi risultati;
per far ciò il modello dovrebbe essere migliorato per tener conto della
possibile casualità simultanea tra le variabili e degli errori da variabile
omessa.
Tuttavia questo semplice esempio di regressione dimostra come le
conclusioni di policy che è possibile trarre da un modello econometrico
possano essere radicalmente modificate cambiando l’indicatore di benessere
utilizzato nella stima. Con riferimento al caso analizzato, ad esempio, un
ipotetico decisore politico che si trovi d fronte al primo modello sarebbe
portato a incentivare la ricerca nel settore privato riducendo magari gli
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 109 -
investimenti nel settore pubblico; conclusioni opposte a quelle che potrebbe
ricavare osservando il secondo modello, che invece evidenziano un miglior
contributo della ricerca svolta a livello pubblico.
4.1.4. Ricorso al credito
Un ultimo esempio di come l’utilizzo di un indicatore quale il GPI in
sostituzione del reddito procapite quale misura del benessere possa
modificare le indicazioni di policy di un modello econometrico può essere
osservato valutando la relazione tra crescita e sviluppo del sistema
finanziario.
In particolare si vuole valutare l’esistenza di una qualche relazione tra
l’aumento del ricorso al credito da parte delle famiglie e variazione del tasso
di crescita di un’economia.
Secondo una visione classica il ricorso al credito da parte delle famiglie
dovrebbe avere un effetto positivo sul tasso di crescita dell’economia poiché
la maggiore disponibilità finanziaria stimola i consumi e quindi la
produzione. Un semplice modello per verificare questa ipotesi potrebbe
essere il seguente:
1) PIL* t = α0 + α1 conscredit* t+ u t
dove PIL* rappresenta il tasso di crescita annuo del PIL (approssimato
attraverso le differenze logaritmiche del PIL) e conscredit* rappresenta,
invece, la variazione annua del credito al consumo in rapporto al PIL (anche
in questo caso approssimato dalla differenza logaritmica).
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 110 -
Per valutare la presenza di effetti non lineari è possibile aggiungere anche il
termine quadratico relativo a conscredit* e stimare un secondo modello di
crescita del tipo:
2) PIL* t = α0 + α1 conscredit* t + α2 (conscredit*)2 t+ u t
Utilizzando i dati relativi agli Stati Uniti dal 1955 al 2003, messi a
disposizione dalla Federal Reserve e la metodologia di stima OLS si
ottengono i seguenti risultati:
Modello 1
Var. dipen. = PIL*
Modello 2
Var. dipen. = PIL*
Costante 0,01 0,01 (1,65) (1,851) *
conscredit* 0,22 0,08 (2,72)*** (0,43)
(conscredit*)2 - 1,32 (0,75)
R2 corretto 0,10 0,10
Tab. 10 – Risultati dei modelli di regressione utilizzando il PIL come variabile dipendente. In parentesi il test t-student.
I modelli evidenziano la presenza di una relazione positiva e lineare tra il
tasso di crescita del credito al consumo (in rapporto al PIL) e il tasso di
crescita del PIL (figura 8). Infatti aggiungendo il termine quadratico i
coefficienti di regressione perdono di significatività.
-0,04
-0,03
-0,02
-0,01
0
0,01
0,02
0,03
0,04
0,05
0,06
0,07
-0,04 -0,02 0 0,02 0,04 0,06 0,08 0,1 0,12
consumcredit*
Fig. 8 –Relazione tra tasso di variazione del credito al consumo e tasso di crescita del PIL.
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 111 -
Gli effetti positivi del sistema finanziario sulla crescita, individuati dalla
teoria economica tradizionale, appaiono quindi confermati dal modello di
crescita analizzato.
Anche in questo caso è utile valutare le concrete possibilità di utilizzo degli
indicatori alternativi di benessere sostituendo nei due modelli il valore del
PIL con quello del GPI, anche in questo caso espresso in termini di
incremento percentuale annuo. I modelli da stimare saranno pertanto:
1) GPI* t = α0 + α1 conscredit* + u t
2) GPI* t = α0 + α1 conscredit* + α2 (conscredit*)2 t+ u t
I risultati dei modelli sono riportati nella tabella seguente:
Modello 1
Var. dipen. = GPI*
Modello 2
Var. dipen. = GPI*
Costante 0,00 0,00 (1,07) (0,02)
conscredit* 0,5 0,45 (0,05) (0,05) **
(conscredit*)2 - -3,32 (-2,05)**
R2 corretto -0,01 0,01
Tab. 11 – Risultati dei modelli di regressione utilizzando il GPI come variabile dipendente. In parentesi test t-student.
È possibile notare che utilizzando il GPI come variabile dipendente si
ottengono nuove e diverse informazioni. In questo caso infatti la relazione
con il tasso di crescita del credito domestico non è di tipo lineare, ma
quadratica. La relazione è positiva per valori relativamente bassi della
variabile conscredit*; mentre superata una certa soglia prevale un effetto
negativo, come dimostra il coefficiente negativo del termine quadratico.
Questa relazione è ben visibile nella figura 9:
- Indicatori alternativi e scelte di policy -
- 112 -
-0,06
-0,04
-0,02
0
0,02
0,04
0,06
0,08
-0,04 -0,02 0 0,02 0,04 0,06 0,08 0,1 0,12
consumcredit*
Fig. 9 – Relazione tra tasso di variazione del credito al consumo e tasso di crescita del GPI.
Anche in questo caso le ragioni sottostanti questa divergenza rispetto ai
modelli che utilizzano il PIL dovrebbe essere indagata a fondo. A titolo
esemplificativo si potrebbe pensare che un ricorso eccessivo al credito per i
consumi provochi un aumento dell’indebitamento netto con l’estero e questo
come visto agisce negativamente sul GPI. Appare chiaro, invece, che l’effetto
di una variabile sulla crescita reddituale può essere significativamente
differente rispetto all’effetto che questa ha sulla qualità di vita di una
collettività.
Gli esempi visti in questo capitolo evidenziano l’importanza di sostituire il
PIL nella teoria economica e nelle ricerche empiriche o almeno di affiancare
a esso un indicatore di benessere più completo. Ciò eviterebbe di assumere
decisioni di policy indirizzate unicamente verso un aumento della
produzione materiale, magari a discapito di un benessere collettivo inteso in
senso più ampio.
- Conclusioni -
- 113 -
Conclusioni
Se l’obiettivo finale delle politiche economiche e istituzionali è quello di
migliorare il benessere di una collettività risulta fondamentale possedere
adeguati strumenti in grado di quantificare al meglio il benessere stesso.
Come visto nel primo capitolo la difficoltà di giungere a una definizione
condivisa e coerente del concetto di benessere collettivo ha portato ad
associare a quest’ultimo il concetto di ricchezza prodotta da una nazione o
da una collettività in genere.
Questa semplificazione ha avuto come effetto quello di individuare il
Prodotto Interno Lordo e le misure da esso ricavate come indicatori
affidabili di benessere, anche in virtù di una buona correlazione con altri
aspetti fondamentali per il miglioramento della qualità della vita.
Tuttavia l’emergere negli ultimi anni di una diffusa convinzione che
l’aumento della ricchezza misurata dalla contabilità ufficiale non si sia
effettivamente trasformata in migliori condizioni di vita per le persone ha
portato molti studiosi a interrogarsi sui limiti teorici del PIL e sulla
possibilità di sostituire questa misura con altre più adeguate.
In effetti le problematiche legate all’utilizzo del PIL nella misura del
benessere sono numerose; come ampiamente descritto, questo indice non
attribuisce un valore positivo o negativo agli aspetti che influenzano la
qualità della vita e trascura, al tempo stesso, elementi che hanno un forte
impatto sul livello di benessere.
Le ricerche volte a costruire indicatori alternativi al PIL seguono approcci
eterogenei e hanno condotto a metodologie molto differenti tra loro. Sono
- Conclusioni -
- 114 -
stati sviluppati indicatori di carattere soggettivo che cercano di valutare
direttamente il benessere percepito dagli individui, indicatori sociali che,
secondo un approccio normativista, cercano di fornire parametri di
valutazione del benessere completamente alternativi al PIL e indicatori di
contabilità estesa che, invece, partendo dai sistemi di misurazione
tradizionali apportano modifiche e correzioni contabili per pervenire a una
misura più coerente di benessere.
Quest’ultima categoria di indicatori, in particolare, appare adatta a essere
utilizzata come strumento di guida delle politiche economiche e come
parametro di valutazione per ogni studio teorico o empirico che voglia
indagare gli effetti sulla qualità della vita di particolari scelte di policy. Sono
stati, infatti, evidenziati i fondamenti teorici di questi indici e dell’ISEW/GPI
in particolar modo e la loro superiorità dell’esprimere un concetto di
benessere che tenga congiuntamente conto degli aspetti economici, sociali e
ambientali.
L’utilizzo di questi indici nei modelli economici tradizionali non è privo di
effetti. Come evidenziato nel quarto capitolo sostituendo il Prodotto Interno
Lordo con un indicatore alternativo di benessere si ottengono spesso risultati
significativamente differenti. Diverse sono quindi le implicazioni che si
possono trarre da uno stesso modello di valutazione delle politiche
economiche: scelte di policy possono avere effetti positivi sul reddito di una
collettività ma effettivi negativi o comunque inferiori sul reale livello di
benessere della popolazione. Se l’aumento della quantità di beni e servizi
prodotti, ciò che il PIL misura, resta l’unico obiettivo delle politiche
economiche si possono adottare scelte inadeguate e non si perviene a una
completa identificazione delle relazioni sottostanti le dinamiche economiche.
- Conclusioni -
- 115 -
Occorrerebbe dunque ridurre l’enfasi sulla mera crescita economica e
prendere consapevolezza delle distorsioni prodotte dall’assumere il
Prodotto Interno Lordo quale misura del benessere.
Ricorrere a indicatori alternativi, sia nella definizione degli obiettivi politici
ed economici, sia nella ricerca economica, è quindi sicuramente auspicabile,
ma per far questo occorre sviluppare ulteriormente le metodologie esistenti,
pervenire a standard di valutazione condivisi a livello internazionale e
costruire sistemi contabili che supportino adeguatamente l’indice scelto.
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