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SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 1 SSM – M.O.T. D.M. 10/11/2015 e 18/01/2016 – SCANDICCI 08 maggio 2017 “la MOTIVAZIONE ERRATA e la MOTIVAZIONE CORRETTA” CARLO CITTERIO Schema dell’intervento 1. Motivazione “ERRATA” e “CORRETTA” : la motivazione “FUNZIONALE” a dar conto del percorso logico giuridico che ha condotto il giudice alla deliberazione di giustizia per il caso concreto oggetto del suo esame e ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali del processo giusto in tempi ragionevoli. 1.1 Peculiarità della motivazione nei diversi gradi di giudizio : la regola della FUNZIONALITA’ ai principi che regolano il grado ed al caso concreto . La motivazione della sentenza di primo grado: la deliberazione ex novo, art. 546 lett. e); . La motivazione della sentenza di secondo grado: l’ambito del devoluto attinente i punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti (art. 597, comma 1; i minimi poteri d’ufficio ex comma 5); . La motivazione della sentenza di legittimità: l’ambito devoluto dai motivi proposti (art. 609, comma 1; i minimi poteri d’ufficio ex comma 2); la previsione tassativa dei motivi ammissibili (art. 606, comma 1, in particolare lett. e); 1.2 La FINALITA’ della motivazione . Obbligo costituzionale polifunzionale (111, comma 6): garanzia del controllo della imparzialità e quindi dell’indipendenza del giudice (104, comma 1), della legalità della decisione (101), della giustificazione della decisione in rapporto alle censure prospettate e quindi dell’effettiva tutela assicurata al diritto di difesa (24), del principio di uguaglianza impedendo scelte arbitrarie/discriminatorie (3) [così Franco Fiandanese, intervento nella Tavola rotonda 09/06/2016 presso la Corte di cassazione; suoi anche alcuni spunti proposti più avanti]

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SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 1

SSM – M.O.T. D.M. 10/11/2015 e 18/01/2016 – SCANDICCI

08 maggio 2017

“la MOTIVAZIONE ERRATA e la MOTIVAZIONE CORRETTA”

CARLO CITTERIO

Schema dell’intervento

1. Motivazione “ERRATA” e “CORRETTA” : la motivazione “FUNZIONALE” a dar conto

del percorso logico giuridico che ha condotto il giudice alla deliberazione di giustizia per

il caso concreto oggetto del suo esame e ad assicurare il rispetto dei principi

costituzionali del processo giusto in tempi ragionevoli.

1.1 Peculiarità della motivazione nei diversi gradi di giudizio : la regola della

FUNZIONALITA’ ai principi che regolano il grado ed al caso concreto

. La motivazione della sentenza di primo grado: la deliberazione ex novo, art. 546

lett. e);

. La motivazione della sentenza di secondo grado: l’ambito del devoluto attinente i

punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti (art. 597, comma 1; i minimi

poteri d’ufficio ex comma 5);

. La motivazione della sentenza di legittimità: l’ambito devoluto dai motivi proposti

(art. 609, comma 1; i minimi poteri d’ufficio ex comma 2); la previsione tassativa dei

motivi ammissibili (art. 606, comma 1, in particolare lett. e);

1.2 La FINALITA’ della motivazione

. Obbligo costituzionale polifunzionale (111, comma 6): garanzia del controllo della

imparzialità e quindi dell’indipendenza del giudice (104, comma 1), della legalità della

decisione (101), della giustificazione della decisione in rapporto alle censure prospettate

e quindi dell’effettiva tutela assicurata al diritto di difesa (24), del principio di

uguaglianza impedendo scelte arbitrarie/discriminatorie (3) [così Franco Fiandanese,

intervento nella Tavola rotonda 09/06/2016 presso la Corte di cassazione; suoi anche alcuni spunti

proposti più avanti]

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. Dar conto dei fatti del processo e delle ragioni della decisione con riferimento ai

singoli punti della decisione specificamente rilevanti nel caso concreto

.. 125, comma 3 e 546, comma 3: la nullità per mancanza della motivazione (606,

lett. E; la motivazione apparente)

2. La motivazione della SENTENZA DEL GIUDICE DI PRIMO GRADO.

. La “prima” decisione nel processo.

. E’ atto che non esaurisce la risposta giurisdizionale ma si inserisce, quale fase

essenziale ma non esaustuva, nel complessivo procedimento, previsto e possibile, per

la definizione finale di quel processo [il processo visto dal punto di vista

dell’Amministrazione/Stato]

. La “potenziale decisività” della motivazione di primo grado (per le regole normative

dei giudizi di impugnazione e la loro interpretazione nella più recente giurisprudenza di

legittimità; la sentenza di condanna e i motivi specifici dell’atto di impugnazione; la

sentenza di assoluzione e la regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio).

. L’incidenza delle modalità della motivazione sui tempi del processo: motivazione

della prima sentenza e ragionevole durata del processo.

3. La struttura della motivazione della sentenza di primo grado: aspetti di schema

della redazione (che ovviamente può/deve variare secondo la complessità ed il tipo di

rito) e aspetti del contenuto.

3.1 La prima parte:

- i “fatti processuali”: quelli suscettibili di incidenza o ai fini della deliberazione nei

gradi di impugnazione o pure ai soli fini dei tempi di acquisizione di conoscenze

necessarie da parte del giudice dell’impugnazione per le proprie determinazioni; del

tutto inutili le clausole di stile le clausole di stile (buone per ogni processo e per ogni

imputazione … quindi idonee per nessuno e nessuna): es. “le parti hanno concluso

come da verbale”; introduce nessuna conoscenza e appesantisce inutilmente il testo):

. imputazione

. presenza/assenza dell’imputato

. assistenza di difensore di fiducia o d’ufficio

. eventuali rinvii con l’indicazione della loro causa specifica (non è significativo

indicare solo il periodo del rinvio, perché la sua incidenza sulla eventuale sospensione

della prescrizione dipende appunto dalla causa e a volte la giurisprudenza ha mutato

orientamento sulla durata della sospensione, secondo la causa: es. rinvii per legittimo

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impedimento dell’imputato e del difensore, su richiesta delle parti non determinata da

ragioni processuali, per adesione ad iniziative associative di astensione

. richiamo specifico alle ordinanze deliberate su questioni procedurali che non

vengano specificamente riprese e trattate nella motivazione

. indicazione delle prove acquisite, eventualmente nelle diverse udienze

. le richieste delle parti (se non indicate puntualmente nell’intestazione della

sentenza, come dovrebbe essere: 546, lett. d)

3.2 La seconda parte:

- il contenuto

. 546 lett. e): la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione

è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e

l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove

contrarie;

3.2.1 La concisione come modalità propria (=fisiologica) della motivazione

. la concisione/chiarezza strumentale per un efficace esercizio del diritto di difesa e

del controllo del giudice dell’impugnazione; ma anche per l’autoverifica della bontà della

decisione (ciò che non si riesce a motivare o si può motivare a fatica è sintomatico di un

approdo decisorio da rivedere)

. concisione e completezza della motivazione non sono antinomie

. la concisione… “grafica” : paginate di contenuti di conversazioni intercettate o

dichiarazioni sono inutili e, c’è il rischio!, controproducenti quando siano riportate in una

anche inconsapevole prospettiva di loro autoevidenza significativa; nessun contenuto

probatorio può, per sé, sostituire la specifica e chiara indicazione del percorso di

valutazione logico-giuridica puntuale di tale contenuto rispetto alla concreta

imputazione.

. l’indicazione analitica del contenuto probatorio che si pone a base della propria

deliberazione può avvenire anche con la mera indicazione puntuale della collocazione

negli atti del fascicolo processuale delle parti che si intendono valorizzare (specialmente

nella sentenza di primo grado, che si relaziona ad un controllo di merito di un giudice

d’appello che ha piena cognizione e stessi poteri conoscitivi sull’intero fascicolo; a

differenza del giudice di legittimità che conosce solo sentenza d’appello e ricorso, oltre

ai soli atti processuali che siano posti a base di specifiche eccezioni in rito)

3.2.1.1 Rispetto del contraddittorio e confronto argomentativo:

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.. la diversa valenza delle deduzioni difensive sollecita diversa qualità della risposta

argomentativa (= trattare con il medesimo impegno espositivo la risposta alla

deduzione importante e quella alla deduzione di contorno o marginale, significa

indebolire la prima e rendere più attaccabile la risposta nel suo complesso)

.. l’argomento assorbente

.. le memorie (nb: la deduzione scritta unica che può sollecitare la doglianza di

omessa risposta al giudice dell’impugnazione; tuttavia la deduzione orale nella

discussione anticipa temi che saranno eventualmente ripresi nei processi d’appello e di

legittimità)

3.2.2 La motivazione per “punti della decisione” (e il nuovo 546, lett. e)

La nozione di “punto” della decisione:

<<Il concetto di "punto della decisione" ha una portata più ristretta, in quanto

riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per

ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, però, che non

costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno

di ciascuna statuizione: se ciascun capo è concretato da ogni singolo reato oggetto di

imputazione, i punti della decisione, ai quali fa espresso riferimento l'art. 597, comma

1, c.p.p., coincidono con le parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili

per il giudizio su ciascun reato; in primo luogo, l'accertamento della responsabilità e la

determinazione della pena, che rappresentano, in tal senso, due distinti punti della

sentenza. Ne consegue che ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della

decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione

di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può

considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i

presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l'accertamento del fatto,

l'attribuzione di esso all'imputato, la qualificazione giuridica, l'inesistenza di cause di

giustificazione, la colpevolezza, e - nel caso di condanna - l'accertamento delle

circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione

della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte

dalle parti o rilevabili di ufficio. >> [vedi SU 10251/2007, Michaeler; 1/2000,

Tuzzolino] (a)

3.2.3 Il “nuovo” 546 lett. e):

«e) la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata,

con l'indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e

con l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove

contrarie, con riguardo:

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1) all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione e

alla loro qualificazione giuridica;

2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal

comma 2 dell'articolo 533, e della misura di sicurezza;

3) alla responsabilità civile derivante dal reato;

4) all'accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali».

e il “nuovo” 581:

«Art. 581. - (Forma dell'impugnazione). -- 1. L'impugnazione si propone con atto

scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo e il

giudice che lo ha emesso, con l'enunciazione specifica, a pena di inammissibilità:

a) dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione;

b) delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o

erronea valutazione;

c) delle richieste, anche istruttorie;

d) dei motivi, con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che

sorreggono ogni richiesta».

3.4 quindi: la sentenza di primo grado va motivata “per punti” della decisione,

secondo uno schema anche grafico (con numerazione di paragrafi e sottoparagrafi) che

dia ordine all’esposizione delle ragioni della deliberazione, assicuri l’effettiva

deliberazione su tutti i punti della decisione che rilevano nel caso concreto, indirizzi la

composizione e la precisione dell’eventuale atto di impugnazione determinando

chiarezza e speditezza della fase di impugnazione (perché così agevola in particolare la

verifica del giudice d’appello e di quello di legittimità, razionalizzando il loro lavoro e

concorrendo al tempo ragionevole del giudicato).

- argomentazione del giudice per punti, motivi specifici d’impugnazione, specificità

esterna alla luce della sentenza SU 8825/2017 Galtelli : <<L'appello, al pari del ricorso

per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano

esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di

diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di

specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con

cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato>>.

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4. Fatto e diritto

. primo ed essenziale compito precipuo del giudice del merito è la corretta

ricostruzione del fatto

. il giudice del merito affronta poi, con pieno potere e competenza, anche le questioni

in diritto pertinenti al caso

. un’ottima trattazione giuridica relativamente ad un fatto non ricostruito

adeguatamente è segno di inadeguatezza dell’approccio al caso concreto ad al compito

che la legge processuale riserva al giudice di merito (b)

(e in correlazione: merito e legittimità, c)

. quando il precedente di Cassazione che viene richiamato risulta determinante per la

decisione del punto, verificare la motivazione della sentenza e non fermarsi alla sua

massimazione; nel caso di riscontrato contrasto di giurisprudenza, occorre darne conto

e spiegare le ragioni dell’adesione ad uno dei due indirizzi. Se la giurisprudenza sul

punto è consolidata, basta la citazione di un precedente recente (introdotto da un “per

tutte:”). Come osservato dal presidente Lupo in uno dei documenti allegati alla traccia,

la giurisprudenza di merito può ben contribuire al formarsi degli orientamenti di

legittimità; ma dedicare paginate all’esposizione di principi giurisprudenziali ed

inquadramenti teorici pacifici è non solo inutile, al fine della tenuta della motivazione,

ma rischia pure di far sorvolare poi l’invece indispensabile approfondimento delle

peculiarità del caso (es., chiamata in correità; 570 cod. pen.: è ormai ben poco

rilevante esporre in modo articolato e diffuso la giurisprudenza sulla chiamata in

correità, il problema del processo specifico è se quel chiamante in correità è attendibile

e perché, confrontandosi con le opposte deduzioni difensive; se quel genitore che non

corrisponde il dovuto ad evitare i mezzi di sussistenza è effettivamente impossibilitato a

farlo o no e perché).

5. Contenuti della motivazione e riti di trattazione del processo.

. la motivazione della sentenza di patteggiamento: capacità dell’imputato,

correttezza dell’imputazione rispetto al fatto; insussistenza delle condizioni per

l’applicazione dell’art. 129 (tra clausole di stile e richiamo specifico a risultanze

concrete: verbale di arresto, ecc.); correttezza della configurazione delle circostanze;

congruità della pena; provvedimenti accessori (pene accessorie, confisca); sospensione

condizionale della pena, in particolare se non oggetto dell’accordo e richiesta ‘a parte’;

. la motivazione della sentenza che definisce un processo trattato con rito

abbreviato: il dramma del copiaeincolla; evitare che sia una … “sentenza di polizia” (il

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rischio nell’abbreviato: richiesta articolata di misura cautelare da parte della polizia

giudiziaria, diviene richiesta del pubblico ministero, diviene ordinanza custodiale,

diviene sentenza; l’irrilevanza della conferma del riesame: sono diversi i parametri,

gravità indiziaria e prova al di là di ogni ragionevole dubbio; l’irrilevanza della

“conferma” dell’ordinanza di riesame in Cassazione : statisticamente la maggior parte

dei ricorsi per cassazione contro ordinanze del riesame è dichiarata inammissibile

perché i motivi sono giudicati non consentiti in quanto trattano questioni di merito – il

che significa che la Corte di cassazione in quel caso lungi dal dire che il riesame aveva

valutato bene si è limitata a dire che le doglianze attenevano al merito e la cosa andava

quindi discussa davanti al giudice di merito!). Ora, è praticamente impossibile che dal

momento dell’adozione del provvedimento custodiale (atto a sorpresa) alla discussione

in esito al giudizio abbreviato la difesa non abbia introdotto deduzioni specifiche

sull’apprezzamento del materiale probatorio, rispetto ai diversi possibili punti della

decisione rilevanti, cui il giudice non debba rispondere, con apprezzamento autonomo

ed attento al diverso parametro dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, nella propria

motivazione

.. un accorgimento grafico specifico: usare caratteri diversi per ciò che di altri si

riporta (contenuto di atti probatori, parti di argomentazione) e ciò che costituisce

esposizione diretta dell’autonomo percorso argomentativo del giudice che ha deliberato

la sentenza conclusiva

5.1 la motivazione della sentenza complessa, con più imputati e più capi di

imputazione

.. l’indice (un esempio da imitare: Trib. Nola, sent. 791/31.5-26.11.2010, Aliperti

Raffaele + 80)

.. individuazione e trattazione autonoma delle questioni processuali e probatorie

comuni (es. eccezioni in rito di competenza, utilizzabilità di intercettazioni, qualità di chi

rende le dichiarazioni, attendibilità soggettiva ed oggettiva dei singoli collaboratori o

dichiaranti)

… attenzione costante a riprendere i temi trattando le singole posizioni quando

siano state svolte deduzioni difensive peculiari per la singola posizione (es.

sull’attendibilità soggettiva ed oggettiva del singolo dichiarante)

.. coerenza tra le argomentazioni utilizzate per trattare le diverse posizioni,

specialmente se di concorrenti nel medesimo reato (es. attenuanti generiche applicate o

negate, rispetto a incensuratezza e precedenti penali)

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.. sempre attenzione alle peculiarità delle singole posizioni (es. quando si tratta di

considerare eventuali precedenti per valutazioni sul trattamenti sanzionatori: evitare

valutazioni complessive di situazioni individuali anche solo in parte differenti)

5.2 Il processo dal punto di vista dell’Amministrazione/Stato

.. la motivazione della pena nel caso di ritenuta continuazione tra più reati giudicati

nel medesimo processo: evita casi di annullamento con rinvio determinati da una non

puntuale indicazione dei singoli aumenti (nb: annullamento con rinvio significa ritorno

del fascicolo in appello, lavoro della cancelleria di cassazione, lavoro della cancelleria

d’appello, lavoro di altri quattro magistrati d’appello – collegio e pg –, altro ricorso e

quindi altro lavoro di cancelleria d’appello e di quella di cassazione, altro lavoro di sei

magistrati di cassazione – 5+1)

.. quando il processo è complesso, l’indicazione della collocazione negli atti delle fonti

di prova che si utilizzano (richiamo alla pagina del verbale stenotipico o del singolo

faldone: il giudice di primo grado che ha assunto o utilizzato la prova sa in quale parte

degli atti essa è documentata; o trasmette la sua conoscenza o il giudice che segue, per

la verifica di un’eventuale censura dell’appellante, deve avviare una nuova autonoma

ricerca della collocazione della documentazione della prova: il verbale di quella

perquisizione, quella determinata frase all’interno di una deposizione trascritta in decine

di pagine di verbale stenotipico; atti spesso sparsi in faldoni non indicizzati. Per

l’Amministrazione/Stato quell’informazione era stata acquisita e il dispendio di tempo

prezioso per rinnovare una ricerca che a volte può anche non avere esito

compiutamente positivo è un costo privo di giustificazione razionale: la spending review

inizia dal metodo di lavoro che ciascuno di noi segue)

.. l’uso di grafica che renda illeggibile o estremamente faticosa il percorso logico-

giuridico seguito dal decidente

.. l’uso di grafica che rende difficoltosa la scannerizzazione del testo

. un tema delicato: l’indipendenza del giudice è nel decidere, non necessariamente

nel modo di lavorare (? …)

6. La lingua della sentenza:

. l’attenzione alle parole :

.. le prove non ‘consentono’ di condannare, ma ‘impongono’ la affermazione di

responsabilità

.. “verosimile” : “è verosimile che” / “tale ricostruzione risulta anche del tutto

verosimile” / “plausibile”

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.. possibile/probabile/altamente probabile/al di là di ogni ragionevole dubbio”

… il giudice … giudica : ‘pare a questo giudice’, ‘ritiene questo giudice’ … : “giudica

questo Tribunale che” (il giudice si esprime per giudizi funzionali non per pareri)

… le attenuanti generiche si ‘applicano’ non si ‘concedono’ (perché o ci sono o non ci

sono le condizioni per applicarle; sono una previsione di legge, non una ‘grazia sovrana’

del giudice)

. la continenza espositiva (non attiene all’educazione, ma al ruolo ed alla funzione

che si sta esercitando) .. la continenza espositiva e l’efficacia della sentenza

[tema sempre centrale e dirompente: le ‘idee’ ed i ‘valori’ del Giudice come singolo

cittadino, la soggezione alla Legge ed ai valori costituzionali unica ragione della sua

indipendenza per il sistema costituzionale (101.2 Cost.), l’interpretazione delle norme,

la loro concreta applicazione al caso concreto: quello specifico fatto, quelle determinate

persone…]

... espressioni moralistiche

… polemiche con le parti, pubblica o private

… l’uso del ‘grassetto’ o del carattere di maggior dimensioni (quando non di

entrambi…): ‘forza grafica’ che nulla aggiunge all’efficacia propria dell’argomento!

(… Es.: attenuanti generiche ‘benevolmente concesse’, locuzione in grassetto e

carattere maggiore…) (d)

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Materiale documentale allegato alla traccia

(a)

SU 10251/2007, Michaeler:

4.1. Le Sezioni unite hanno chiarito che, nel sistema delle impugnazioni, la nozione

di "capo della sentenza" è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulativa,

caratterizzata dalla confluenza nell'unico processo dell'esercizio di più azioni penali e

dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad

una singola imputazione; tanto che per capo deve intendersi ciascuna decisione emessa

relativamente ad uno dei reati attribuiti all'imputato. Può quindi affermarsi che il capo

corrisponde ad "un atto giuridico completo, tale da poter costituire da solo, anche

separatamente, il contenuto di una sentenza:"la decisione" che conclude una fase o un

grado del processo" può, dunque, "assumere struttura monolitica o composita, a

seconda che l'imputato sia stato chiamato a rispondere di un solo reato o di più reati";

nel primo caso, nel processo è dedotta un'unica regiudicanda mentre, nel secondo, "la

regiudicanda è scomponibile in tante autonome parti quanti sono i reati per i quali è

stata esercitata l'azione penale". Il concetto di "punto della decisione" ha una portata

più ristretta, in quanto riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma

considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo

presente, però, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le

argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione: se ciascun capo è concretato

da ogni singolo reato oggetto di imputazione, i punti della decisione, ai quali fa espresso

riferimento l'art. 597, comma 1, c.p.p., coincidono con le parti della sentenza relative

alle statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato; in primo luogo,

l'accertamento della responsabilità e la determinazione della pena, che rappresentano,

in tal senso, due distinti punti della sentenza. Ne consegue che ad ogni capo

corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio

obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere

giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati

decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato,

quali l'accertamento del fatto, l'attribuzione di esso all'imputato, la qualificazione

giuridica, l'inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e - nel caso di

condanna - l'accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa

comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le

altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio. Alla stregua della

distinzione tra capi e punti della sentenza - applicata nell'esperienza giudiziaria non

sempre con la dovuta chiarezza - deve ritenersi che la cosa giudicata si forma sul capo

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e non sul punto, nel senso che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilità

soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il

proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto ad uno dei reati attribuitigli.

Nel caso di processo relativo ad un solo reato la sentenza passa in giudicato nella sua

interezza, mentre nell'ipotesi di processo cumulativo o complesso la cosa giudicata può

coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti

dall'impugnazione, onde, in una simile situazione, è corretto utilizzare la nozione di

giudicato parziale. I punti della sentenza non sono, invece, suscettibili di acquistare

autonomamente autorità di giudicato, potendo essere oggetto unicamente della

preclusione correlata all'effetto devolutivo delle impugnazioni (tantum devolutum

quantum appellatum) ed al principio della disponibilità del processo nella fase delle

impugnazioni, da cui consegue che - in mancanza di un motivo di impugnazione

afferente una delle varie questioni la cui soluzione è necessaria per la completa

definizione del rapporto processuale concernente un reato - il giudice non può spingere

la sua cognizione sul relativo punto, a meno che la legge processuale non preveda

poteri esercitabili ex officio. In altri termini, pur essendo certamente vero che al giudice

dell'impugnazione è interdetto l'esame del punto non impugnato e che l'accertamento

ad esso corrispondente non è più controvertibile, tranne la sussistenza di questioni

rilevabili anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, tuttavia il fondamento della

preclusione operante rispetto al punto della sentenza non può essere spiegato con

l'utilizzazione del concetto di giudicato, riferendosi questo, per sua natura,

esclusivamente all'intera regiudicanda, coincidente con lo specifico capo di imputazione

e non già con le componenti di essa, alle quali corrispondono le singole statuizioni, che,

pur essendo caratterizzate dalla possibilità di autonoma valutazione, hanno la peculiare

funzione di convergere e di essere finalizzate alla pronuncia finale su quella

imputazione. Conseguentemente, in caso di sentenza di condanna, l'indagine sulla

responsabilità dell'imputato e quella sull'accertamento delle circostanze e sulla

determinazione della pena costituiscono altrettanti, distinti punti della decisione inseriti

all'interno di un medesimo capo; la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità

dell'imputato fa sorgere, quindi, la preclusione su tale punto, ma non basta a fare

acquistare alla relativa statuizione l'autorità di cosa giudicata quando, per quello stesso

capo, l'impugnante abbia devoluto al giudice l'indagine riguardante la sussistenza di

circostanze e la quantificazione della pena. Il giudicato si forma allorché anche tali punti

sono definiti dal giudice dell'impugnazione e le relative statuizioni non sono censurate

con ulteriori mezzi di gravame: soltanto in presenza di tali inderogabili condizioni deve

considerarsi realizzata la consunzione del potere di decisione del giudice

dell'impugnazione, anche con riguardo alle questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e

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SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 12

grado del processo, e la pronuncia sul capo, divenuta ormai completa, assume il

carattere della immutabilità, ostacolando, perciò, l'applicazione delle cause estintive del

reato (cfr., proprio in questi termini, Sez. un., 19 gennaio 2000, Tuzzolino).

(b)

Dalla Rivista Giustizia Insieme – 2-3/2009 – Aracne editrice

(NB il neretto nel testo è aggiunto in questa traccia)

giustizia e processo - Alla ricerca di linee guida affidabili per una motivazione concisa

Ernesto Lupo

1. Il dovere costituzionale (art.111, comma 2, e art.117, comma 1, Cost.) di

adeguare i tempi della nostra giustizia penale e civile alla durata ritenuta ragionevole

dalla Corte europea dei diritti dell’uomo impone una riflessione urgente sulle modalità

da seguire per pervenire a motivazioni delle sentenze che siano concise e, nello stesso

tempo, complete.

Non può negarsi, invero, che la stesura delle motivazioni costituisce il collo di

bottiglia del sistema giudiziario italiano, destinato a restare tale qualunque riforma

delle normative processuali si voglia realizzare. Prova evidente di siffatta valutazione è

data dal giudizio di cassazione (sia civile che penale) il quale, dal punto di vista tecnico,

è molto semplice e celere; eppure la Cassazione civile ha oggi accumulato una

pendenza di circa centomila ricorsi a causa dell’imbuto costituito dalla stesura delle

motivazioni delle decisioni. L’effetto è che il tempo medio di decisione dei ricorsi civili

per cassazione è di tre-quattro anni, mentre la Corte europea pone per tale giudizio il

tempo ragionevole di un anno, il cui superamento — già di per sé solo — è idoneo a

determinare indennizzi che, aggiunti a quelli causati dai ritardi dei giudizi di merito,

sono destinati ad incidere sempre più pesantemente sulla spesa statale.

Il legislatore del processo civile (legge 18/6/2009 n.69) è recentemente intervenuto

proprio per invitare i giudici a ridurre l’ampiezza delle motivazioni. L’art.132 n.4 c.p.c.

non richiede più l’esposizione dello svolgimento del processo (adeguandosi a quanto già

disposto dall’art.546, comma 1, del nuovo c.p.p.); ancora più importante è la modifica

dell’art.118, comma 1, disp. att. c.p.c., secondo cui la “esposizione dei fatti rilevanti

della causa e delle ragioni giuridiche della decisione” deve essere “succinta” (che è

termine già impiegato dallo stesso codice per la motivazione delle ordinanze: art.134,

comma 1), “anche con riferimento a precedenti conformi” (la accentuata rilevanza del

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precedente giurisprudenziale si ritrova poi nell’art.360-bis n.1 c.p.c., introdotto dalla

stessa novella legislativa).

E’ significativo che l’intervento legislativo diretto a ridurre l’ampiezza delle

motivazioni abbia riguardato la giustizia civile. è questo il settore in cui si lamenta in

misura enormemente maggiore la lentezza dei processi e nel quale la dottrina ha, da

tempo, rilevato un c.d. “eccesso di motivazione” (con riguardo specifico alle sentenze

della Cassazione civile debbo rinviare alla mia relazione su La redazione delle decisioni

in forma semplificata, in Giust. civ. 2009, II, p.97).

2. Ma le innovazioni legislative in tema di motivazione delle sentenze sono

inefficaci se non determinano un radicale cambiamento di mentalità e di prassi

nei giudici e nel ceto forense. E di tale mutamento ha urgente bisogno soprattutto il

settore civile, in cui i tempi di durata complessiva dei processi ci pongono al 156° posto

su 181 Stati (v. la relazione del Presidente della Cassazione Vincenzo Carbone

sull’amministrazione della giustizia nel 2008, p.15 della relativa pubblicazione).

Il mutamento deve riguardare sia il giudizio di legittimità che quello di merito; ma

esso non può che partire dalla Cassazione, perché spetta a questa Istituzione il compito

di giudicare sulle motivazioni delle sentenze di merito, onde non avrebbe senso

l’adozione, da parte dei giudici di merito, di criteri di stesura delle motivazioni più agili

ed essenziali se essi non trovassero adesione nel successivo controllo esercitato in sede

di legittimità.

L’ineliminabile punto di partenza è costituito dalla necessità di realizzare un uniforme

atteggiamento dei giudici della Cassazione in ordine all’attività di controllo

sull’accertamento di fatto compiuto dai giudici del merito. Tale controllo, che si esercita

attraverso l’esame dei vizi logici di motivazione (dedotti nel ricorso) in ordine alle

quaestiones facti, ha, nella attuale prassi della Corte suprema (sia in civile che in

penale), confini piuttosto indefiniti. Vi è, molto frequentemente, il tentativo dei

ricorrenti di pervenire ad un terzo grado di merito e non sempre tale tentativo viene

respinto dal giudice di legittimità, a cui l’ordinamento (a partire dall’art.111, comma 7,

Cost.) riserva le funzioni di nomofilachia, onde è su questa funzione (importantissima

soprattutto in un’epoca di caos legislativo) che dovrebbero essere concentrate

prioritariamente le risorse umane della Istituzione, le quali sono necessariamente

limitate (in rapporto all’enorme numero dei ricorsi proposti, che comporterebbe un

elevatissimo numero di magistrati, la cui esistenza è però praticamente incompatibile

con la funzione di nomofilachia).

La priorità del compito di nomofilachia della Corte di cassazione (rispetto a quello di

controllo sui vizi logici della motivazione sull’accertamento di fatto) non è una scelta

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personale. Essa, innanzitutto, corrisponde alla intenzione che prevalse nell’ambito della

Assemblea Costituente, come può desumersi da una indagine sui relativi lavori (v. il

mio scritto su La Corte di Cassazione nella Costituzione, in Cass. pen. 2008, p.4444,

spec. § 6). Ed ha costituito il motivo ispiratore dei due recenti interventi legislativi sul

giudizio civile di cassazione. Già il titolo del decreto legislativo 2/2/2006 n.40 individua

il suo oggetto (parziale) nella disciplina del processo (civile) di cassazione “in funzione

nomofilattica”.

E le successive modifiche apportate alla stessa disciplina dall’art.47 della già citata

legge n.69/2009, volendo dichiaratamente introdurre un “filtro” alla ricorribilità per

cassazione (termine già usato dalla Corte cost. 11/4/2008 n.98), hanno previsto, nel

nuovo art.360-bis c.p.c., due nuove cause di inammissibilità del ricorso espressamente

limitate alle questioni di diritto proponibili con il ricorso per cassazione, dimostrando

così di prestare attenzione esclusiva al compito del giudice di legittimità che qui si va

considerando. La formulazione tecnica dell’art.360-bis c.p.c., purtroppo, dà adito a

molti problemi interpretativi (per una lucida e condivisibile impostazione degli stessi v.

la relazione di P. Vittoria al Convegno svoltosi in Cassazione il 28/10/2009: Il filtro al

ricorso per cassazione nella legge 69 del 2009: controriforma o completamento di una

riforma?). Ma non può negarsi che il legislatore, volendo diminuire il lavoro della

Suprema Corte nel settore civile (in ciò indotto dalla già segnalata situazione delle

pendenze, nonostante l’accresciuta produttività della Corte negli anni recenti), è

intervenuto sulla prospettazione delle questioni giuridiche, e non (o non anche) dei vizi

logici di motivazione; la ragione di questa limitazione dell’attenzione, da parte del

legislatore, può individuarsi, mi sembra, nella considerazione che già la disciplina

codicistica dei vizi di motivazione (e, in particolare, dell’art.360 n.5 c.p.c.), se

correttamente applicata, consente un alleggerimento dell’impegno dei magistrati della

Corte. Proprio a proposito della disposizione in ultimo citata, è importante, a mio

avviso, rilevare che la novella del 2006 ha modificato l’oggetto del vizio di motivazione,

sostituendo al concetto limitato di “punto” della controversia il riferimento globale al

“fatto” controverso. In tal modo il legislatore ha chiarito espressamente che il vizio di

motivazione non attiene alla soluzione della quaestio iuris (affermazione pacifica in

giurisprudenza, ma non in dottrina e, purtroppo, spesso ignorata dalla prassi forense);

ma, soprattutto, è tornato in parte alla formulazione originaria (anteriore alla riforma

del 1950) dell’art.360 n.5 c.p.c., che pure limitava il vizio al “fatto” (ed al suo “omesso

esame”, mentre, nel testo vigente, rileva anche l’insufficiente o contraddittoria

motivazione sullo stesso).

Il maggiore rispetto dei limiti posti dai codici di rito (civile e, con diversa

formulazione, penale) al controllo in sede di legittimità dei vizi logici di

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motivazione sull’accertamento del fatto si scontra con la difficoltà psicologica

e culturale, per magistrati che provengono dal giudizio di merito, di rinunziare

a decidere non solo il ricorso, ma soprattutto il caso controverso nel modo che

si ritiene più rispondente alla soluzione corretta e giusta. Ciò comporta la non

accettazione di una sentenza che, sull’accertamento di fatto, appare motivata in modo

non persuasivo e non condivisibile da parte del collegio, nel senso che la prevalenza dei

suoi membri avrebbe deciso il caso in modo diverso da come esso è stato giudicato

dalla sentenza impugnata. Ma occorrerebbe tenere sempre presente che “motivare è

cosa diversa dal convincere” (G. Borré, La Corte di Cassazione oggi, in Diritto

Giurisprudenziale a cura di Bessone, Torino, 1996, p.182, § 7), che la non persuasività

non è, di per sé sola, un vizio della sentenza e, più in generale, che il giudice di

legittimità non può “sostituire i criteri e le massime di esperienza adottati dai giudici di

merito” (così si esprime la Relazione al progetto preliminare del nuovo c.p.p., in

relazione alla innovativa formulazione dell’art. 606, lettera e, ma detto limite è

perfettamente applicabile alla Cassazione civile).

L’atteggiamento del magistrato della Cassazione che mira a risolvere il caso

a lui affidato nel modo che ritiene giusto (andando, se mai, al di là dei risultati di

una mera verifica della correttezza logica della sentenza impugnata), se può sembrare

espressione di uno scrupolo positivo (se non, addirittura, encomiabile), non tiene

conto che a tale Istituzione è affidato il privilegio di dire l’ultima e definitiva

parola sulla controversia, ma tale privilegio trova, nell’ordinamento, il proprio

contrappeso nel rispetto dell’accertamento di fatto, il quale è riservato al

giudice del merito; onde la soluzione legale e giusta della controversia deve essere il

risultato finale della somma dei compiti propri dei due tipi di giudicanti; il che

implica un atteggiamento dei giudici di legittimità di self restraint nell’esame e nella

valutazione del giudizio di fatto.

3. La rilevanza della distinzione tra legittimità e merito della decisione

(penale e civile) ai fini del contenuto della motivazione comporta che il giudice

del merito giustifichi essenzialmente il giudizio di fatto, perché alle lacune

motivazionali di siffatto accertamento il giudice di legittimità non potrà

successivamente porre alcun rimedio. La motivazione della sentenza di merito non

assume, invece, rilievo rispetto alla quaestio iuris: qui importa soltanto la correttezza

o meno della soluzione, indipendentemente dalle ragioni che si siano esposte a

giustificazione della stessa soluzione. Non costituisce, quindi, un vizio della sentenza

impugnata con il ricorso per cassazione l’assenza di motivazione sulla interpretazione

che si è data alle norme giuridiche, essendo rilevante soltanto l’esattezza o meno di

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detta interpretazione. In tal senso, come si è detto, è molto chiara (per il ricorso per

cassazione civile) la nuova formulazione dell’art.360 n.5 c.p.c., come modificata dal d.

lgs. 2/2/2006 n.40 (che fa riferimento al “fatto”); ma l’identico criterio vale anche per

distinguere il vizio di motivazione previsto dall’art.606, comma 1, lettera e) c.p.p. dai

vizi indicati nelle precedenti quattro lettere dello stesso comma.

Occorre che i giudici di merito abbiano chiara consapevolezza del loro

compito esclusivo di accertare compiutamente i fatti e di motivare

adeguatamente tale accertamento, mentre è loro consentito non diffondersi

nella motivazione degli aspetti giuridici. Rimane, ovviamente, immutato

l’impegno di studio necessario per dare una corretta soluzione ai problemi

giuridici, ma può ridursi il lavoro richiesto dalla stesura della motivazione, che occupa

tanto tempo dell’attività dei giudici.

Anche per i magistrati degli uffici di merito sussistono difficoltà psicologiche e

culturali a limitarsi alle motivazioni sui fatti ed a rinunziare ad esposizioni approfondite

degli aspetti giuridici delle controversie, tanto più quando questi aspetti siano stati

studiati e si sia pervenuti a motivati convincimenti.

Non si vuole sostenere che la motivazione sulle questioni giuridiche sia

inutile e da evitarsi: innanzitutto va precisato che essa è necessaria in tutti i

casi in cui il giudice di merito abbia seguito una interpretazione delle norme

diversa da quella data dalla Cassazione; ma anche sulle questioni nuove essa

può rivelarsi utile per il giudice di legittimità, se il caso giungerà in

Cassazione. Si vuole dire, piuttosto, che il tentativo di pervenire a motivazioni

concise dei giudici di merito va esercitato non sulle giustificazioni

dell’accertamento dei fatti, ma sulla esposizione delle ragioni giuridiche delle

decisioni. L’ottica delle osservazioni qui esposte non è quella della utilità di una

motivazione (di primo e di secondo grado) ampia anche nella parte in diritto. Pure

l’esposizione dello svolgimento del processo (soppressa, come si è detto, dal nuovo

codice di rito penale e, oggi, anche in quello di rito civile) è di indubbia utilità per il

giudice dell’impugnazione; tanto da farmi ritenere opportuno che tale svolgimento sia

esposto nell’atto di impugnazione, giovando esso alla comprensione dei relativi motivi.

Ma l’esigenza di definire con maggiore celerità un numero elevato di processi impone

la rinunzia a ciò che, pure essendo utile, non è necessario.

4. L’obiettivo di pervenire a motivazioni che, pure essendo concise, siano complete

richiede un discorso nuovo per la nostra cultura giuridica e, quindi, non facile ad

elaborarsi. Ma occorre che esso sia perseguito.

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E le considerazioni qui esposte intendono costituire il semplice inizio di una ricerca

che deve avvalersi delle esperienze delle diverse attività giudiziarie ed affrontare le

specificità di ciascuna di esse.

Oggi, nell’ambito della ANM, è molto attuale il tema dei carichi di lavoro e della

individuazione dei tetti massimi esigibili per ogni tipo di funzione svolta dai magistrati.

Ritengo che questo argomento non debba essere separato, in linea generale, dalla

ricerca di un diverso modo di lavorare, che congiunga efficienza e qualità. I due

obbiettivi non sono alternativi, ma possono, a mio avviso, essere raggiunti

congiuntamente.

L’esempio tipico di questo mio convincimento è dato proprio dal tema delle

motivazioni delle sentenze. Le motivazioni prolisse del giudice di legittimità (che si

rinvengono soprattutto nel settore civile) spesso non consentono di percepire con

immediatezza e facilità la vera ratio decidendi della sentenza; permettono, inoltre,

all’estensore di aggiungere ai pochi argomenti emersi ed approvati nella camera di

consiglio collegiale una serie di affermazioni che, anche quando non costituiscono obiter

dicta, esprimono l’opinione dell’estensore medesimo (o, al più, anche del presidente che

aggiunge la sua firma), ma non sono certo il frutto di una discussione e di una

approvazione dell’intero collegio. Si realizza, così, quello che ho già chiamato “eccesso

di motivazione”, il quale non solo appesantisce il lavoro del singolo magistrato, ma

soprattutto è fonte di inefficienze e di disfunzioni della intera istituzione.

Ancora: la mancata definizione di una chiara ed uniforme individuazione dei vizi di

motivazione inerenti all’accertamento del fatto produce, nella prassi giudiziaria (sia

civile che penale), l’effetto negativo di rendere spesso incerto l’esito del ricorso per

cassazione che deduca tale tipo di vizi.

Anche nelle sentenze di merito non è infrequente il caso di motivazioni molto

approfondite in diritto, che però appaiono lacunose o superficiali nell’accertamento del

fatto e/o nella sua giustificazione, incorrendo così in vizi che non possono essere più

sanati in sede di legittimità.

Ma, come osservavo, la ricerca è solo all’inizio e richiede l’apporto delle diverse

esperienze degli operatori giudiziari. Ernesto Lupo

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(c)

Caso concreto che ha dato spunto per una magistrale trattazione della differenza tra

apprezzamento di merito e limiti del controllo di legittimità. Si noti bene la decisione

della Corte di cassazione, che annulla senza rinvio

Da Italgiureweb/snpen (NB: grassetto aggiunto in questa traccia)

n. 48320/2009

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica

Dott. RIZZO Aldo Sebastiano Presidente del 12/11/2009

Dott. MARZANO Francesco Consigliere SENTENZA

Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe rel. Consigliere N. 2842

Dott. FOTI Giacomo Consigliere REGISTRO GENERALE

Dott. D'ISA Claudio Consigliere N. 38121/2007

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) DURANTE FRANCESCO N. IL 29/07/1976;

avverso la sentenza n. 2425/2003 CORTE APPELLO di MESSINA, del 01/06/2007;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott.

BRUSCO Carlo Giuseppe;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GIALANELLA Antonio che ha

concluso per l'inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore Avv. SCARFÒ Rosario che ha concluso per l'accoglimento.

La Corte:

OSSERVA

1) La Corte d'Appello di Messina, con sentenza 1 giugno 2007, ha confermato la

sentenza 20 febbraio 2003 del Tribunale della medesima Città che aveva condannato

DURANTE FRANCESCO alla pena di anni tre e mesi due di reclusione ed Euro 250,00 di

multa per i delitti di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 4 e 7 (porto illegale di una pistola)

e art. 624 c.p., art. 625 c.p., nn. 1, 2 e 3 (furto di alcuni capi di abbigliamento sottratti,

previa effrazione di una finestra, nell'abitazione di DE LUCA MARIO) ritenuti in

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continuazione. La sentenza di primo grado aveva inoltre assolto DURANTE dal delitto di

detenzione illegale di arma e il coimputato LAURO DANIELE da tutti i medesimi reati

ascrittigli contestati in concorso con DURANTE.

I fatti oggetto del presente processo sono stati così ricostruiti dai giudici di merito.

La sera dell'8 febbraio 1998 veniva commesso un furto nell'abitazione di DE LUCA

MARIO, sita in Scaletta Zanclea, all'interno della quale i responsabili del fatto si erano

introdotti dopo aver forzato una serranda. I Carabinieri intervenuti, nel corso

dell'ispezione dei luoghi, accertavano la presenza di un'autovettura Fiat Uno nei pressi

dell'abitazione della persona offesa e, nel perimetro della medesima abitazione,

rinvenivano alcuni dei capi di abbigliamento sottratti (una pelliccia e un giaccone) oltre

ad una pistola cal. 38 in pessimo stato di manutenzione. All'interno dell'autovettura i

Carabinieri rinvenivano un libretto nel quale erano riportate le notizie relative alle

presentazioni all'autorità di pubblica sicurezza di tale DURANTE FRANCESCO sottoposto

a sorveglianza speciale. E le indagini svolte confermavano che l'autovettura, pur non

essendo intestata al predetto, era nella sua disponibilità; circostanza confermata dalla

denunzia di furto presentata il giorno successivo dall'imputato che peraltro non ha mai

contestato di essere il proprietario del veicolo.

2) Il giudice di primo grado aveva ritenuto che DURANTE fosse l'autore del furto

rilevando come l'abitazione di DE LUCA si trovasse in zona isolata e aggiungendo che

"considerando anche l'ora tarda e la notte piovosa, non può darsi alla presenza

dell'autovettura in quel luogo altro significato se non quello del collegamento con il furto

perpetrato ai danni di De Luca". La Corte d'Appello ha confermato la valutazione del

primo giudice e ha ribadito la responsabilità dell'imputato "stante la presenza della sua

autovettura nei pressi dell'abitazione della persona offesa." La sentenza impugnata ha

escluso poi ogni rilievo probatorio alla denuncia di furto dell'autovettura presentata da

DURANTE il giorno successivo e agli scontrini relativi al pagamento del pedaggio

autostradale prodotti dall'imputato per dimostrare che egli, al momento del furto, si

trovava in altra località.

3) Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso l'imputato a mezzo del

suo difensore il quale ha dedotto, come unico motivo di censura, il vizio di motivazione

nonché la violazione delle regole di valutazione della prova previste dall'art. 192 c.p.p..

Secondo il ricorrente la sentenza impugnata avrebbe fondato l'affermazione di

responsabilità su un unico indizio privo di alcun significato probatorio - quale la

presenza dell'autovettura nei pressi del luogo dove era avvenuto il furto - e privo dei

caratteri di gravità e precisione; senza che, inoltre, venissero neppure prese in

considerazione le ipotesi alternative che potevano essere formulate (per es. l'arma,

peraltro inutilizzabile, poteva essere stata detenuta dalla persona offesa).

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3) Il ricorso deve ritenersi fondato. L'atto di impugnazione censura anzitutto la

sentenza impugnata deducendo la violazione delle regole di valutazione della prova

stabilite dall'art. 192 c.p.p. in quanto gli elementi indiziari utilizzati ai fini della

condanna non avrebbero carattere di gravità, precisione e concordanza. Va premesso

che i fatti descritti nelle sentenze di merito devono ritenersi ormai incensurabilmente

accertati e che, comunque, si tratta di fatti che neppure il ricorrente pone in

discussione. Va anche premesso che non è sindacabile, nel giudizio di legittimità, la

valutazione sull'irrilevanza dell'"alibi" fornito dal ricorrente in merito alla sua presenza

in altra località il giorno in cui è avvenuto il furto avendo, il giudice di merito, fornito

una valutazione non illogica sulla compatibilità tra gli orari indicati nei documenti

prodotti e la presenza dell'imputato sul luogo del furto nel momento in cui era stato

consumato.

Il problema che si pone al giudice di legittimità è invece quello di verificare se i

giudici di merito abbiano logicamente giustificato la loro valutazione - sulla sufficienza

degli elementi di natura indiziaria acquisiti al processo al fine di pervenire

all'affermazione che il ricorrente doveva ritenersi l'autore del furto e se abbiano

correttamente applicato i criteri di valutazione della prova indiziaria previsti dall'art. 192

c.p.p.. 4) È ancora opportuno rilevare che il vizio dedotto dal ricorrente non è

riconducibile al cd. "travisamento del fatto" perché, con il proposto ricorso, si pone il

problema dell'individuazione dei criteri che il giudice deve utilizzare per valutare

l'idoneità indiziaria dei fatti accertati e l'efficacia probatoria di questi indizi nonché la

loro capacità individualizzante.

Non viene quindi in considerazione il tema della ricomposizione del quadro

probatorio ormai "fotografato" con la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di

merito che sarebbe inammissibile in questa sede. Compito del giudice di legittimità non

è infatti quello di ricostruire e valutare i fatti diversamente da quanto compiuto dal

giudice di merito ma di sindacare la correttezza del ragionamento di questi sulla

valutazione relativa alla efficacia indiziaria dei fatti accertati.

Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al

giudizio di attribuzione del fatto con l'utilizzazione di criteri di inferenza, o massime di

esperienza, è diretto a verificare se il giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo

convincimento e se queste ragioni siano plausibili. E, per giungere a queste conclusioni,

è necessario verificare se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice

abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità

(se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di

inferenza e su deduzioni logicamente ineccepibili).

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In particolare, sul tema della valutazione della gravità, precisione e concordanza

della prova indiziaria, i limiti dello scrutinio di legittimità attengono alla verifica della

correttezza del ragionamento probatorio compiuto dal giudice di merito che deve fornire

una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità o compiuta su base meramente

congetturale e priva di riferimenti individualizzanti ovvero con riferimenti di questo tipo

palesemente inadeguati.

Si tratta, come appare del tutto ovvio, di una zona posta al confine tra il merito e la

legittimità (ammesso che questo limite sia individuabile) con il concreto rischio, per la

Corte di cassazione, di sconfinare nella "zona proibita" della valutazione del complesso

probatorio. Ma l'esercizio di queste funzioni è reso obbligato dalla natura del controllo di

legittimità sul contenuto della decisione;

l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) preclude al giudice di legittimità di rivalutare

prove e indizi; non di verificare se questa valutazione sia avvenuta secondo criteri

logici, se cioè i criteri di inferenza usati dal giudice di merito possano essere ritenuti

plausibili o se ne siano consentiti di diversi, idonei a fondare soluzioni diverse, parimenti

plausibili.

Questo compito era attribuito al giudice di legittimità anche prima delle modificazioni

introdotte, alla lett. e dell'art. 606 c.p.p., dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8

comma 1, lett. b), che ha ricondotto il vizio di travisamento della prova nell'alveo del

vizio di motivazione senza intaccare l'ambito del sindacato di legittimità sui criteri

utilizzati dal giudice di merito per la valutazione della prova consentendo però alla Corte

di cassazione un limitato accesso agli atti quando il loro contenuto, senza necessità di

una loro valutazione - ma per la loro stessa valenza esplicativa - siano idonei a porre

nel nulla, da soli, le conclusioni ipotizzate dal giudice di merito.

È chiaro che, alla fine, la Corte di cassazione esprime un giudizio di valore come

quando ritiene "debole" la regola di inferenza utilizzata dal giudice di merito ma ciò

rientra nel controllo di legittimità previsto dalla norma indicata perché una prova

insufficiente o una regola di inferenza "debole" utilizzata dal giudice e su cui sia fondata

la decisione incrinano irrimediabilmente la congruità logica della decisione.

5) Questa forma di controllo esercitato dalla Corte di cassazione - controllo che, in

buona sostanza, si esaurisce nella ricerca dello standard probatorio minimo perché

debba ritenersi legittima una sentenza di condanna - ha trovato una conferma

normativa nella modifica (ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 5) dell'art. 533 c.p.p.,

comma 1 che oggi prevede che l'imputato possa essere condannato se "risulta

colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio".

Questo principio, nel nostro ordinamento, trova il suo fondamento nella presunzione

di non colpevolezza prevista dalla Costituzione: art. 27, comma 2). E - pur avendo

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SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 22

origine negli ordinamenti di common law (beyond any reasonable doubt: acronimo

Bard) - aveva già trovato ampia applicazione da parte della nostra giurisprudenza di

legittimità che l'aveva, in più occasioni, affermato. Dunque può dirsi che sia stato

introdotto un criterio normativo di valutazione della prova in precedenza solo di

formazione giurisprudenziale. Del resto il legislatore aveva già disciplinato un analogo

criterio per l'assoluzione stabilendo che, al di sotto di un determinato standard

probatorio il giudice deve assolvere (art. 530 c.p.p.: quando la prova manca, o è

insufficiente o è contradditoria). Adesso invece ha previsto il criterio per la sentenza di

condanna che è subordinata all'insussistenza di un dubbio o alla sua non

ragionevolezza.

È del tutto ovvio che non è possibile stabilire una netta linea di

demarcazione che separi le due situazioni e che esisteranno sempre le

situazioni di confine; in questi casi i limiti di intervento del giudice di

legittimità si riducono sensibilmente soprattutto se il giudice di merito abbia

logicamente e ragionevolmente motivato sulla scelta operata.

Non sembra però condivisibile quell'orientamento dottrinale secondo cui il criterio

del ragionevole dubbio prevarrebbe anche se la prova esiste, è sufficiente e non è

contradditoria se comunque non è idonea a superare il limite del ragionevole dubbio; in

questi casi, invero, se la prova è "sufficiente" (e non ci si trova quindi in presenza di un

elementi indiziari "deboli") lo standard probatorio idoneo a superare il ragionevole

dubbio dovrebbe ritenersi raggiunto. Naturalmente il dubbio deve essere "ragionevole";

tale non è quello che si fonda su un'ipotesi alternativa del tutto congetturale e priva di

qualsiasi conferma e la ragionevolezza non può che risultare dalla motivazione (un

dubbio non motivato è già di per sè "non ragionevole").

Se invece l'ipotesi alternativa è plausibile non è sufficiente che il giudice di merito

l'abbia ritenuta improbabile ma occorre che siano stati individuati gli elementi di

conferma dell'ipotesi accolta in modo da pervenire a ritenere non razionale il dubbio

derivante dall'esistenza di un'ipotesi alternativa. In questo senso si è espressa la più

recente giurisprudenza di legittimità (v. Cass., sez. 1^, 8 maggio 2009 n. 23813,

Manikam, rv. 243801; 21 maggio 2008 n. 31456, Franzoni, rv. 240763) secondo cui la

regola legittima la condanna quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto

eventualità remote - pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili - ma

prive di alcun riscontro nelle emergenze processuali.

Insomma la regola dell'oltre il ragionevole dubbio ha messo definitivamente in crisi

quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in presenza di più ipotesi ricostruttive

del fatto, era consentito al giudice di merito di adottarne una che conduceva alla

condanna sol perché la riteneva più probabile rispetto alle altre. Ciò non sarà più

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SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 23

consentito perché, per pervenire alla condanna, il giudice non solo deve ritenere non

probabile l'eventuale diversa ricostruzione del fatto che conduce all'assoluzione

dell'imputato ma deve altresì ritenere che il dubbio su questa ipotesi alternativa non sia

ragionevole (deve cioè trattarsi di ipotesi non plausibile o comunque priva di qualsiasi

conferma). Anche se l'errore giudiziario non potrà mai essere del tutto eliminato la

regola introdotta vale a significare che l'ordinamento - se tollera l'assoluzione del

colpevole - non tollera però la condanna dell'innocente. È indubbio che da questo

principio non deriva il superamento del principio del libero convincimento del giudice -

che si è contrapposto all'arcaico sistema delle prove legali - ma sta a significare che

questo principio trova un limite che si esprime all'interno di regole legali di valutazione

della prova e non si identifica con un soggettivismo insindacabile che potrebbe

sconfinare nell'arbitrio.

V'è da considerare un altro aspetto messo in evidenza dalla dottrina. È stato

osservato che il ragionamento probatorio del giudice di merito che abbia condannato

l'imputato erroneamente ritenendo (anche in modo implicito) che sia stata superata la

soglia del ragionevole dubbio non necessariamente esprime una valutazione

"manifestamente illogica" con la conseguenza che non sempre il vizio può essere

inquadrato nel vizio di motivazione previsto dall'art.606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Queste conclusioni sono però opinabili; indipendentemente dalla soluzione del

problema se questo vizio integri la violazione delle regole di valutazione della prova

(art. 192 c.p.p., art. 530 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., comma 1) deve osservarsi

che appare discutibile sostenere la logicità o la non contraddittorietà di una decisione

fondata su regole d'inferenza incongrue o su elementi indiziari palesemente privi dei

requisiti di gravità e precisione.

Occorre ancora rilevare che il problema dell'individuazione dello standard

probatorio è diverso da quello riguardante il travisamento della prova. Il

ragionevole dubbio concerne l'individuazione di questo standard e riguarda

esclusivamente l'individuazione del livello probatorio o indiziario richiesto

perché si possa legittimamente pervenire ad una sentenza di condanna in base

ai fatti accertati dal giudice di merito.

In questo caso la Corte di cassazione si limita a prendere atto di quanto accertato

dal giudice di merito e valuta se appaia logicamente motivato nella sentenza il

raggiungimento dello standard ricordato. Quando si deduce il vizio di travisamento della

prova il compito del giudice di legittimità è diverso (e richiede l'esame di specifici atti)

perché la censura riguarda l'affermazione dell'esistenza di una prova che non esiste o di

un risultato di prova incontrovertibilmente diverso da quello ritenuto dal giudice di

merito.

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6) Passando all'esame del caso oggetto del presente giudizio va intanto rilevato che

appare manifestamente illogica la valutazione dei giudici di merito che hanno attribuito

un carattere di gravità agli elementi indiziari presi in considerazione (in realtà si tratta

di un unico indizio e questa circostanza, da sola, pone un serio problema di conformità

alla previsione dell'art. 192 c.p.p., che sembra richiedere una pluralità di indizi).

La gravità indiziaria deve infatti essere valutata non solo in riferimento alla sua

valenza dimostrativa (se si tratti di un indizio "forte" o "debole") ma altresì con

riferimento alla possibilità di ipotizzare soluzioni alternative parimenti plausibili rispetto

a quella ipotizzata.

Un elemento indiziario "debole" può essere reso maggiormente significativo in

presenza di ulteriori elementi che valgano a confermare l'ipotesi di accusa e consentano

di verificare la natura congetturale delle ipotesi alternative ipotizzabili. Se l'elemento

indiziario è "forte" (si faccia l'ipotesi, nel nostro caso, che l'imputato fosse stato visto

uscire dal portone della casa dove è avvenuto il furto) questa conferma potrebbe non

essere ritenuta necessaria a meno che non venisse allegata una ragionevole

giustificazione che risulti confermativa della tesi difensiva (per es. la visita ad un

parente o ad un amico).

Siamo infatti in presenza, in questo caso, non di un'ipotesi che la dottrina qualifica

"semplice" ma di un'ipotesi che ne ammette di contrarie o di diverse (in particolare non

solo quella che l'auto fosse stata sottratta all'imputato ma anche che DURANTE si fosse

effettivamente recato nel luogo per ragioni che non vuole indicare o che abbia affidato

l'auto ad un terzo di cui non ha inteso fornire le generalità).

Ciò comporta che il giudice di merito, in presenza di altre ricostruzioni plausibili del

fatto, non possa omettere di valutarle per stabilire un giudizio di equiprobabilità (che

non consente la condanna dell'imputato) ovvero di maggiore, ma elevata, probabilità

dell'ipotesi di accusa che consenta di pervenire all'affermazione di responsabilità al di là

di ogni ragionevole dubbio anche per la natura congetturale di quelle alternative.

Insomma, nel caso in cui coesistano più ipotesi ricostruttive contrastanti, il giudice

deve verificare il grado di conferma (in senso qualitativo, non quantitativo) di ciascuna

di esse dopo aver acquisito tutte le informazioni rilevanti; e se ciò è impossibile non

potrà convalidare una delle ipotesi plausibili sol perché la ritiene più convincente di

altre. A maggior ragione nei casi in cui la prova è indiretta per cui è necessario

individuare una regola di inferenza "forte" per ricollegare il fatto accertato a quello da

provare.

È ancora opportuno precisare che non esiste un onere per l'imputato di allegare (e

tanto meno di provare) le ipotesi alternative; solo in presenza di un indizio "forte" (o

anche "debole" ma caratterizzato dalla presenza di elementi di conferma) la mancata

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allegazione delle ipotesi alternative potrebbe avere rilievo confermativo dell'ipotesi

accolta dal giudice.

Nel caso in esame non solo ci troviamo in presenza di una prova insufficiente

fondata su un indizio "debole" e su una massima di esperienza illogica (se

un'autovettura viene trovata nei pressi del luogo dove è avvenuto un furto chi ne ha la

disponibilità deve essere considerato autore del furto) ma anche le ipotesi alternative,

certamente possibili e plausibili, non sono state proprio prese in considerazione dai

giudici d'appello i quali hanno ritenuto che la presenza del veicolo fosse da sola idonea

a confermare l'ipotesi di accusa.

Come è agevole verificare la motivazione sulla fondatezza dell'ipotesi ricostruttiva

accolta dai giudici di merito è meramente apparente perché non esistono elementi di

conferma dell'elemento indiziario di accusa "debole" per cui l'ipotesi formulata si

esaurisce in una congettura, forse fondata, ma che non perde tale natura congetturale

perché priva di qualunque elemento di conferma. In definitiva: l'unico fatto significativo

accertato dai giudici di merito è costituito dalla circostanza che un'autovettura nella

disponibilità dell'imputato è stata rinvenuta nei pressi del luogo dove è stato consumato

il furto. E deve dunque ritenersi che la sentenza impugnata, come già accennato, sia

fondata su una massima di esperienza illogica perché contraria ad opposte e

riconosciute massime di esperienza dirette invece a fondare la diversa conclusione che

non è sufficiente il ritrovamento di una cosa appartenente ad un soggetto nei pressi del

luogo del delitto per ritenerlo automaticamente autore del reato.

E la natura congetturale dell'ipotesi formulata è ancor più evidente con riferimento

al ritrovamento dell'arma per la quale le ipotesi alternative ragionevolmente ipotizzabili

sono ancor più numerose (il giudice di primo grado aveva addirittura ipotizzato che

l'arma potesse essere stata sottratta all'interno dell'abitazione e aveva dunque

condannato per il porto dell'arma e assolto per la sua detenzione).

In conclusione deve ritenersi che alcuna delle ragioni indicate nella sentenza

impugnata integri una prova "sufficiente" idonea a superare la soglia del ragionevole

dubbio o che comunque valga a sminuire la possibilità di ipotizzare ipotesi alternative:

ci si trova in presenza di più ipotesi ugualmente plausibili che dunque non valgono a far

ritenere superata la soglia indicata anche per la manifesta illogicità degli argomenti

posti, dai giudici di merito, a fondamento della condivisione di una delle ipotesi

alternative. 5) Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere accolto; la sentenza

impugnata va conseguentemente annullata senza rinvio per non avere l'imputato

commesso il fatto non essendo ipotizzabili ulteriori accertamenti idonei a confermare

l'ipotesi di accusa.

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P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, annulla senza rinvio la

sentenza impugnata per non avere l'imputato commesso il fatto.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2009

(d)

Sez. 6, Sentenza n. 5903 del 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio

Dott. GARRIBBA Tito - Presidente - del 22/01/2013

Dott. GRAMENDOLA Francesco - Consigliere - SENTENZA

Dott. LANZA Luigi - Consigliere - N. 139

Dott. CITTERIO C. - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE

Dott. PATERNÒ RADDUSA B. - Consigliere - N. 35259/2012

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

R.L. N. IL (omesso) ;

avverso l'ordinanza n. 855/2011 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 07/12/2011;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;

lette le conclusioni del PG Dott. Riello per l'annullamento della sospensione in favore

della Cassa delle ammende rigetto nel resto.

CONSIDERATO IN FATTO

1. La Corte d'appello di Venezia ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di

ricusazione che L.R. ha proposto nei confronti di un giudice del Tribunale di T., perché

relativa a processo (per il reato ex art. 570 c.p.) non ancora iniziato e asseritamente

solo assegnato e perché quanto riportato dal ricusante (in precedente processo per il

reato ex art. 572 c.p. quel giudice lo aveva qualificato "soggetto rozzo e violento")

esulava dai casi previsti dall'art. 37 c.p.p.. La Corte distrettuale condannava

contestualmente il R. al pagamento della somma di 1000 Euro in favore della Cassa

delle ammende.

2. Con ricorso personale, R. enuncia quattro motivi:

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2 - medesimo vizio in relazione all'art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A), perché le

espressioni usate dal giudice nel precedente processo a carico del ricorrente ("soggetto

rozzo e violento") sarebbero offensive e rasentanti l'ingiuria, costituendo motivo di

grave inimicizia;

2.1 Il procuratore generale in sede ha concluso per la fondatezza del primo e del

quarto motivo, con l'annullamento senza rinvio in ordine alla statuizione sanzionatoria,

con il rigetto del ricorso nel resto.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3.2 Secondo e terzo motivo debbono essere trattati insieme. La ricusazione

costituisce una peculiare "applicazione" del principio costituzionale del giudice naturale,

laddove permette alle parti di ottenere la sostituzione del giudice, designato alla

trattazione dello specifico procedimento secondo le norme codicistiche ed ordina

mentali, solo in presenza di specifiche e obiettive ragioni previste dalla stessa disciplina

codicistica. Se probabilmente non sarebbe infatti corretto parlare, a proposito della

ricusazione, di "eccezione" o "limitazione" rispetto al principio del giudice naturale

(perché in definitiva la sostituzione avviene per ragioni oggettive, ritenute dal

medesimo legislatore idonee ad individuare altro magistrato per la trattazione dello

specifico processo), è tuttavia evidente il valore pregnante della tassatività delle ipotesi

di "sostituzione" del giudice. Ogni interpretazione della pertinente disciplina codicistica

che valorizzasse mere aspettative del singolo per un più favorevole giudizio

condurrebbe, quindi, alla lesione dell'indefettibile principio costituzionale del giudice

naturale precostituito per legge.

3.2.1 Con tale premessa, il secondo motivo risulta infondato. L'attribuzione

all'imputato della qualifica di "soggetto rozzo e violento" nella sentenza 14.2.2011 non

risulta infatti funzionalmente del tutto estranea alla trattazione del reato per cui lì si

procedeva (delitto di maltrattamenti), sicché non è, per sè, riconducibile ad una

manifestazione di grave inimicizia personale. Va infatti ribadito il principio di diritto

secondo cui, ancorché, in termini generali, vada ribadita la certa inopportunità che

nel motivare i propri provvedimenti il giudice ceda a tentazioni espositive

estranee alle caratteristiche di sobrietà e continenza indefettibilmente proprie

del ruolo di garanzia e terzietà che gli compete (come può avvenire, a volte,

con l'uso del carattere in grassetto o della sottolineatura o del punto

esclamativo rispetto a espressioni o locuzioni che si connotino per contenuti

moralistici o di apprezzamento personale non indispensabili all'applicazione

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della legge al caso concreto), quando ciò accada senza che, tuttavia, tali espressioni

o locuzioni o modalità espositive, pure solo grafiche, siano palesemente estranee ai

punti della decisione che deve essere adottata nel singolo processo, si verte in un

contesto che attiene eventualmente alla mera inopportunità, o ad aspetti di valutazione

della professionalità, o in ipotesi al rilievo disciplinare, senza che possa configurarsi la

condizione della grave inimicizia personale.

Orbene, stanti la rilevata infondatezza della prima ragione indicata dalla Corte veneta

a sostegno della decisione di inammissibilità e l'obiettiva estrema sinteticità della

seconda ragione (a fronte di un rilievo comunque attestante un fatto di inopportunità),

la ragione dell'impugnata condanna non può dirsi pur implicitamente indicata (Sez. 6,

sent. 47811/2003). Conformemente alla richiesta del procuratore generale in sede, la

corrispondente statuizione deve essere pertanto annullata senza rinvio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata limitatamente alla condanna al

pagamento di somma in favore della Cassa delle ammende, che elimina. Rigetta nel

resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2013

Carlo Citterio

pres. sezione penale Corte d’appello di Venezia

3357032156

[email protected]

[email protected]