“la motivazione errata e la motivazione corretta” · ssm /scandicci/ mot/08/05/2017 –...
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SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 1
SSM – M.O.T. D.M. 10/11/2015 e 18/01/2016 – SCANDICCI
08 maggio 2017
“la MOTIVAZIONE ERRATA e la MOTIVAZIONE CORRETTA”
CARLO CITTERIO
Schema dell’intervento
1. Motivazione “ERRATA” e “CORRETTA” : la motivazione “FUNZIONALE” a dar conto
del percorso logico giuridico che ha condotto il giudice alla deliberazione di giustizia per
il caso concreto oggetto del suo esame e ad assicurare il rispetto dei principi
costituzionali del processo giusto in tempi ragionevoli.
1.1 Peculiarità della motivazione nei diversi gradi di giudizio : la regola della
FUNZIONALITA’ ai principi che regolano il grado ed al caso concreto
. La motivazione della sentenza di primo grado: la deliberazione ex novo, art. 546
lett. e);
. La motivazione della sentenza di secondo grado: l’ambito del devoluto attinente i
punti della decisione cui si riferiscono i motivi proposti (art. 597, comma 1; i minimi
poteri d’ufficio ex comma 5);
. La motivazione della sentenza di legittimità: l’ambito devoluto dai motivi proposti
(art. 609, comma 1; i minimi poteri d’ufficio ex comma 2); la previsione tassativa dei
motivi ammissibili (art. 606, comma 1, in particolare lett. e);
1.2 La FINALITA’ della motivazione
. Obbligo costituzionale polifunzionale (111, comma 6): garanzia del controllo della
imparzialità e quindi dell’indipendenza del giudice (104, comma 1), della legalità della
decisione (101), della giustificazione della decisione in rapporto alle censure prospettate
e quindi dell’effettiva tutela assicurata al diritto di difesa (24), del principio di
uguaglianza impedendo scelte arbitrarie/discriminatorie (3) [così Franco Fiandanese,
intervento nella Tavola rotonda 09/06/2016 presso la Corte di cassazione; suoi anche alcuni spunti
proposti più avanti]
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. Dar conto dei fatti del processo e delle ragioni della decisione con riferimento ai
singoli punti della decisione specificamente rilevanti nel caso concreto
.. 125, comma 3 e 546, comma 3: la nullità per mancanza della motivazione (606,
lett. E; la motivazione apparente)
2. La motivazione della SENTENZA DEL GIUDICE DI PRIMO GRADO.
. La “prima” decisione nel processo.
. E’ atto che non esaurisce la risposta giurisdizionale ma si inserisce, quale fase
essenziale ma non esaustuva, nel complessivo procedimento, previsto e possibile, per
la definizione finale di quel processo [il processo visto dal punto di vista
dell’Amministrazione/Stato]
. La “potenziale decisività” della motivazione di primo grado (per le regole normative
dei giudizi di impugnazione e la loro interpretazione nella più recente giurisprudenza di
legittimità; la sentenza di condanna e i motivi specifici dell’atto di impugnazione; la
sentenza di assoluzione e la regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio).
. L’incidenza delle modalità della motivazione sui tempi del processo: motivazione
della prima sentenza e ragionevole durata del processo.
3. La struttura della motivazione della sentenza di primo grado: aspetti di schema
della redazione (che ovviamente può/deve variare secondo la complessità ed il tipo di
rito) e aspetti del contenuto.
3.1 La prima parte:
- i “fatti processuali”: quelli suscettibili di incidenza o ai fini della deliberazione nei
gradi di impugnazione o pure ai soli fini dei tempi di acquisizione di conoscenze
necessarie da parte del giudice dell’impugnazione per le proprie determinazioni; del
tutto inutili le clausole di stile le clausole di stile (buone per ogni processo e per ogni
imputazione … quindi idonee per nessuno e nessuna): es. “le parti hanno concluso
come da verbale”; introduce nessuna conoscenza e appesantisce inutilmente il testo):
. imputazione
. presenza/assenza dell’imputato
. assistenza di difensore di fiducia o d’ufficio
. eventuali rinvii con l’indicazione della loro causa specifica (non è significativo
indicare solo il periodo del rinvio, perché la sua incidenza sulla eventuale sospensione
della prescrizione dipende appunto dalla causa e a volte la giurisprudenza ha mutato
orientamento sulla durata della sospensione, secondo la causa: es. rinvii per legittimo
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impedimento dell’imputato e del difensore, su richiesta delle parti non determinata da
ragioni processuali, per adesione ad iniziative associative di astensione
. richiamo specifico alle ordinanze deliberate su questioni procedurali che non
vengano specificamente riprese e trattate nella motivazione
. indicazione delle prove acquisite, eventualmente nelle diverse udienze
. le richieste delle parti (se non indicate puntualmente nell’intestazione della
sentenza, come dovrebbe essere: 546, lett. d)
3.2 La seconda parte:
- il contenuto
. 546 lett. e): la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione
è fondata, con l'indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e
l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove
contrarie;
3.2.1 La concisione come modalità propria (=fisiologica) della motivazione
. la concisione/chiarezza strumentale per un efficace esercizio del diritto di difesa e
del controllo del giudice dell’impugnazione; ma anche per l’autoverifica della bontà della
decisione (ciò che non si riesce a motivare o si può motivare a fatica è sintomatico di un
approdo decisorio da rivedere)
. concisione e completezza della motivazione non sono antinomie
. la concisione… “grafica” : paginate di contenuti di conversazioni intercettate o
dichiarazioni sono inutili e, c’è il rischio!, controproducenti quando siano riportate in una
anche inconsapevole prospettiva di loro autoevidenza significativa; nessun contenuto
probatorio può, per sé, sostituire la specifica e chiara indicazione del percorso di
valutazione logico-giuridica puntuale di tale contenuto rispetto alla concreta
imputazione.
. l’indicazione analitica del contenuto probatorio che si pone a base della propria
deliberazione può avvenire anche con la mera indicazione puntuale della collocazione
negli atti del fascicolo processuale delle parti che si intendono valorizzare (specialmente
nella sentenza di primo grado, che si relaziona ad un controllo di merito di un giudice
d’appello che ha piena cognizione e stessi poteri conoscitivi sull’intero fascicolo; a
differenza del giudice di legittimità che conosce solo sentenza d’appello e ricorso, oltre
ai soli atti processuali che siano posti a base di specifiche eccezioni in rito)
3.2.1.1 Rispetto del contraddittorio e confronto argomentativo:
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.. la diversa valenza delle deduzioni difensive sollecita diversa qualità della risposta
argomentativa (= trattare con il medesimo impegno espositivo la risposta alla
deduzione importante e quella alla deduzione di contorno o marginale, significa
indebolire la prima e rendere più attaccabile la risposta nel suo complesso)
.. l’argomento assorbente
.. le memorie (nb: la deduzione scritta unica che può sollecitare la doglianza di
omessa risposta al giudice dell’impugnazione; tuttavia la deduzione orale nella
discussione anticipa temi che saranno eventualmente ripresi nei processi d’appello e di
legittimità)
3.2.2 La motivazione per “punti della decisione” (e il nuovo 546, lett. e)
La nozione di “punto” della decisione:
<<Il concetto di "punto della decisione" ha una portata più ristretta, in quanto
riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma considerazione necessarie per
ottenere una decisione completa su un capo, tenendo presente, però, che non
costituiscono punti del provvedimento impugnato le argomentazioni svolte a sostegno
di ciascuna statuizione: se ciascun capo è concretato da ogni singolo reato oggetto di
imputazione, i punti della decisione, ai quali fa espresso riferimento l'art. 597, comma
1, c.p.p., coincidono con le parti della sentenza relative alle statuizioni indispensabili
per il giudizio su ciascun reato; in primo luogo, l'accertamento della responsabilità e la
determinazione della pena, che rappresentano, in tal senso, due distinti punti della
sentenza. Ne consegue che ad ogni capo corrisponde una pluralità di punti della
decisione, ognuno dei quali segna un passaggio obbligato per la completa definizione
di ciascuna imputazione, sulla quale il potere giurisdizionale del giudice non può
considerarsi esaurito se non quando siano stati decisi tutti i punti, che costituiscono i
presupposti della pronuncia finale su ogni reato, quali l'accertamento del fatto,
l'attribuzione di esso all'imputato, la qualificazione giuridica, l'inesistenza di cause di
giustificazione, la colpevolezza, e - nel caso di condanna - l'accertamento delle
circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa comparazione, la determinazione
della pena, la sospensione condizionale di essa, e le altre eventuali questioni dedotte
dalle parti o rilevabili di ufficio. >> [vedi SU 10251/2007, Michaeler; 1/2000,
Tuzzolino] (a)
3.2.3 Il “nuovo” 546 lett. e):
«e) la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata,
con l'indicazione dei risultati acquisiti e dei criteri di valutazione della prova adottati e
con l'enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove
contrarie, con riguardo:
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1) all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione e
alla loro qualificazione giuridica;
2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal
comma 2 dell'articolo 533, e della misura di sicurezza;
3) alla responsabilità civile derivante dal reato;
4) all'accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali».
e il “nuovo” 581:
«Art. 581. - (Forma dell'impugnazione). -- 1. L'impugnazione si propone con atto
scritto nel quale sono indicati il provvedimento impugnato, la data del medesimo e il
giudice che lo ha emesso, con l'enunciazione specifica, a pena di inammissibilità:
a) dei capi o dei punti della decisione ai quali si riferisce l'impugnazione;
b) delle prove delle quali si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o
erronea valutazione;
c) delle richieste, anche istruttorie;
d) dei motivi, con l'indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta».
3.4 quindi: la sentenza di primo grado va motivata “per punti” della decisione,
secondo uno schema anche grafico (con numerazione di paragrafi e sottoparagrafi) che
dia ordine all’esposizione delle ragioni della deliberazione, assicuri l’effettiva
deliberazione su tutti i punti della decisione che rilevano nel caso concreto, indirizzi la
composizione e la precisione dell’eventuale atto di impugnazione determinando
chiarezza e speditezza della fase di impugnazione (perché così agevola in particolare la
verifica del giudice d’appello e di quello di legittimità, razionalizzando il loro lavoro e
concorrendo al tempo ragionevole del giudicato).
- argomentazione del giudice per punti, motivi specifici d’impugnazione, specificità
esterna alla luce della sentenza SU 8825/2017 Galtelli : <<L'appello, al pari del ricorso
per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano
esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragioni di fatto o di
diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di
specificità, a carico dell'impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con
cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato>>.
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4. Fatto e diritto
. primo ed essenziale compito precipuo del giudice del merito è la corretta
ricostruzione del fatto
. il giudice del merito affronta poi, con pieno potere e competenza, anche le questioni
in diritto pertinenti al caso
. un’ottima trattazione giuridica relativamente ad un fatto non ricostruito
adeguatamente è segno di inadeguatezza dell’approccio al caso concreto ad al compito
che la legge processuale riserva al giudice di merito (b)
(e in correlazione: merito e legittimità, c)
. quando il precedente di Cassazione che viene richiamato risulta determinante per la
decisione del punto, verificare la motivazione della sentenza e non fermarsi alla sua
massimazione; nel caso di riscontrato contrasto di giurisprudenza, occorre darne conto
e spiegare le ragioni dell’adesione ad uno dei due indirizzi. Se la giurisprudenza sul
punto è consolidata, basta la citazione di un precedente recente (introdotto da un “per
tutte:”). Come osservato dal presidente Lupo in uno dei documenti allegati alla traccia,
la giurisprudenza di merito può ben contribuire al formarsi degli orientamenti di
legittimità; ma dedicare paginate all’esposizione di principi giurisprudenziali ed
inquadramenti teorici pacifici è non solo inutile, al fine della tenuta della motivazione,
ma rischia pure di far sorvolare poi l’invece indispensabile approfondimento delle
peculiarità del caso (es., chiamata in correità; 570 cod. pen.: è ormai ben poco
rilevante esporre in modo articolato e diffuso la giurisprudenza sulla chiamata in
correità, il problema del processo specifico è se quel chiamante in correità è attendibile
e perché, confrontandosi con le opposte deduzioni difensive; se quel genitore che non
corrisponde il dovuto ad evitare i mezzi di sussistenza è effettivamente impossibilitato a
farlo o no e perché).
5. Contenuti della motivazione e riti di trattazione del processo.
. la motivazione della sentenza di patteggiamento: capacità dell’imputato,
correttezza dell’imputazione rispetto al fatto; insussistenza delle condizioni per
l’applicazione dell’art. 129 (tra clausole di stile e richiamo specifico a risultanze
concrete: verbale di arresto, ecc.); correttezza della configurazione delle circostanze;
congruità della pena; provvedimenti accessori (pene accessorie, confisca); sospensione
condizionale della pena, in particolare se non oggetto dell’accordo e richiesta ‘a parte’;
. la motivazione della sentenza che definisce un processo trattato con rito
abbreviato: il dramma del copiaeincolla; evitare che sia una … “sentenza di polizia” (il
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rischio nell’abbreviato: richiesta articolata di misura cautelare da parte della polizia
giudiziaria, diviene richiesta del pubblico ministero, diviene ordinanza custodiale,
diviene sentenza; l’irrilevanza della conferma del riesame: sono diversi i parametri,
gravità indiziaria e prova al di là di ogni ragionevole dubbio; l’irrilevanza della
“conferma” dell’ordinanza di riesame in Cassazione : statisticamente la maggior parte
dei ricorsi per cassazione contro ordinanze del riesame è dichiarata inammissibile
perché i motivi sono giudicati non consentiti in quanto trattano questioni di merito – il
che significa che la Corte di cassazione in quel caso lungi dal dire che il riesame aveva
valutato bene si è limitata a dire che le doglianze attenevano al merito e la cosa andava
quindi discussa davanti al giudice di merito!). Ora, è praticamente impossibile che dal
momento dell’adozione del provvedimento custodiale (atto a sorpresa) alla discussione
in esito al giudizio abbreviato la difesa non abbia introdotto deduzioni specifiche
sull’apprezzamento del materiale probatorio, rispetto ai diversi possibili punti della
decisione rilevanti, cui il giudice non debba rispondere, con apprezzamento autonomo
ed attento al diverso parametro dell’al di là di ogni ragionevole dubbio, nella propria
motivazione
.. un accorgimento grafico specifico: usare caratteri diversi per ciò che di altri si
riporta (contenuto di atti probatori, parti di argomentazione) e ciò che costituisce
esposizione diretta dell’autonomo percorso argomentativo del giudice che ha deliberato
la sentenza conclusiva
5.1 la motivazione della sentenza complessa, con più imputati e più capi di
imputazione
.. l’indice (un esempio da imitare: Trib. Nola, sent. 791/31.5-26.11.2010, Aliperti
Raffaele + 80)
.. individuazione e trattazione autonoma delle questioni processuali e probatorie
comuni (es. eccezioni in rito di competenza, utilizzabilità di intercettazioni, qualità di chi
rende le dichiarazioni, attendibilità soggettiva ed oggettiva dei singoli collaboratori o
dichiaranti)
… attenzione costante a riprendere i temi trattando le singole posizioni quando
siano state svolte deduzioni difensive peculiari per la singola posizione (es.
sull’attendibilità soggettiva ed oggettiva del singolo dichiarante)
.. coerenza tra le argomentazioni utilizzate per trattare le diverse posizioni,
specialmente se di concorrenti nel medesimo reato (es. attenuanti generiche applicate o
negate, rispetto a incensuratezza e precedenti penali)
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.. sempre attenzione alle peculiarità delle singole posizioni (es. quando si tratta di
considerare eventuali precedenti per valutazioni sul trattamenti sanzionatori: evitare
valutazioni complessive di situazioni individuali anche solo in parte differenti)
5.2 Il processo dal punto di vista dell’Amministrazione/Stato
.. la motivazione della pena nel caso di ritenuta continuazione tra più reati giudicati
nel medesimo processo: evita casi di annullamento con rinvio determinati da una non
puntuale indicazione dei singoli aumenti (nb: annullamento con rinvio significa ritorno
del fascicolo in appello, lavoro della cancelleria di cassazione, lavoro della cancelleria
d’appello, lavoro di altri quattro magistrati d’appello – collegio e pg –, altro ricorso e
quindi altro lavoro di cancelleria d’appello e di quella di cassazione, altro lavoro di sei
magistrati di cassazione – 5+1)
.. quando il processo è complesso, l’indicazione della collocazione negli atti delle fonti
di prova che si utilizzano (richiamo alla pagina del verbale stenotipico o del singolo
faldone: il giudice di primo grado che ha assunto o utilizzato la prova sa in quale parte
degli atti essa è documentata; o trasmette la sua conoscenza o il giudice che segue, per
la verifica di un’eventuale censura dell’appellante, deve avviare una nuova autonoma
ricerca della collocazione della documentazione della prova: il verbale di quella
perquisizione, quella determinata frase all’interno di una deposizione trascritta in decine
di pagine di verbale stenotipico; atti spesso sparsi in faldoni non indicizzati. Per
l’Amministrazione/Stato quell’informazione era stata acquisita e il dispendio di tempo
prezioso per rinnovare una ricerca che a volte può anche non avere esito
compiutamente positivo è un costo privo di giustificazione razionale: la spending review
inizia dal metodo di lavoro che ciascuno di noi segue)
.. l’uso di grafica che renda illeggibile o estremamente faticosa il percorso logico-
giuridico seguito dal decidente
.. l’uso di grafica che rende difficoltosa la scannerizzazione del testo
. un tema delicato: l’indipendenza del giudice è nel decidere, non necessariamente
nel modo di lavorare (? …)
6. La lingua della sentenza:
. l’attenzione alle parole :
.. le prove non ‘consentono’ di condannare, ma ‘impongono’ la affermazione di
responsabilità
.. “verosimile” : “è verosimile che” / “tale ricostruzione risulta anche del tutto
verosimile” / “plausibile”
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.. possibile/probabile/altamente probabile/al di là di ogni ragionevole dubbio”
… il giudice … giudica : ‘pare a questo giudice’, ‘ritiene questo giudice’ … : “giudica
questo Tribunale che” (il giudice si esprime per giudizi funzionali non per pareri)
… le attenuanti generiche si ‘applicano’ non si ‘concedono’ (perché o ci sono o non ci
sono le condizioni per applicarle; sono una previsione di legge, non una ‘grazia sovrana’
del giudice)
. la continenza espositiva (non attiene all’educazione, ma al ruolo ed alla funzione
che si sta esercitando) .. la continenza espositiva e l’efficacia della sentenza
[tema sempre centrale e dirompente: le ‘idee’ ed i ‘valori’ del Giudice come singolo
cittadino, la soggezione alla Legge ed ai valori costituzionali unica ragione della sua
indipendenza per il sistema costituzionale (101.2 Cost.), l’interpretazione delle norme,
la loro concreta applicazione al caso concreto: quello specifico fatto, quelle determinate
persone…]
... espressioni moralistiche
… polemiche con le parti, pubblica o private
… l’uso del ‘grassetto’ o del carattere di maggior dimensioni (quando non di
entrambi…): ‘forza grafica’ che nulla aggiunge all’efficacia propria dell’argomento!
(… Es.: attenuanti generiche ‘benevolmente concesse’, locuzione in grassetto e
carattere maggiore…) (d)
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Materiale documentale allegato alla traccia
(a)
SU 10251/2007, Michaeler:
4.1. Le Sezioni unite hanno chiarito che, nel sistema delle impugnazioni, la nozione
di "capo della sentenza" è riferita soprattutto alla sentenza plurima o cumulativa,
caratterizzata dalla confluenza nell'unico processo dell'esercizio di più azioni penali e
dalla costituzione di una pluralità di rapporti processuali, ciascuno dei quali inerisce ad
una singola imputazione; tanto che per capo deve intendersi ciascuna decisione emessa
relativamente ad uno dei reati attribuiti all'imputato. Può quindi affermarsi che il capo
corrisponde ad "un atto giuridico completo, tale da poter costituire da solo, anche
separatamente, il contenuto di una sentenza:"la decisione" che conclude una fase o un
grado del processo" può, dunque, "assumere struttura monolitica o composita, a
seconda che l'imputato sia stato chiamato a rispondere di un solo reato o di più reati";
nel primo caso, nel processo è dedotta un'unica regiudicanda mentre, nel secondo, "la
regiudicanda è scomponibile in tante autonome parti quanti sono i reati per i quali è
stata esercitata l'azione penale". Il concetto di "punto della decisione" ha una portata
più ristretta, in quanto riguarda tutte le statuizioni suscettibili di autonoma
considerazione necessarie per ottenere una decisione completa su un capo, tenendo
presente, però, che non costituiscono punti del provvedimento impugnato le
argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna statuizione: se ciascun capo è concretato
da ogni singolo reato oggetto di imputazione, i punti della decisione, ai quali fa espresso
riferimento l'art. 597, comma 1, c.p.p., coincidono con le parti della sentenza relative
alle statuizioni indispensabili per il giudizio su ciascun reato; in primo luogo,
l'accertamento della responsabilità e la determinazione della pena, che rappresentano,
in tal senso, due distinti punti della sentenza. Ne consegue che ad ogni capo
corrisponde una pluralità di punti della decisione, ognuno dei quali segna un passaggio
obbligato per la completa definizione di ciascuna imputazione, sulla quale il potere
giurisdizionale del giudice non può considerarsi esaurito se non quando siano stati
decisi tutti i punti, che costituiscono i presupposti della pronuncia finale su ogni reato,
quali l'accertamento del fatto, l'attribuzione di esso all'imputato, la qualificazione
giuridica, l'inesistenza di cause di giustificazione, la colpevolezza, e - nel caso di
condanna - l'accertamento delle circostanze aggravanti ed attenuanti e la relativa
comparazione, la determinazione della pena, la sospensione condizionale di essa, e le
altre eventuali questioni dedotte dalle parti o rilevabili di ufficio. Alla stregua della
distinzione tra capi e punti della sentenza - applicata nell'esperienza giudiziaria non
sempre con la dovuta chiarezza - deve ritenersi che la cosa giudicata si forma sul capo
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e non sul punto, nel senso che la decisione acquista il carattere dell'irrevocabilità
soltanto quando sono divenute irretrattabili tutte le questioni necessarie per il
proscioglimento o per la condanna dell'imputato rispetto ad uno dei reati attribuitigli.
Nel caso di processo relativo ad un solo reato la sentenza passa in giudicato nella sua
interezza, mentre nell'ipotesi di processo cumulativo o complesso la cosa giudicata può
coprire uno o più capi e il rapporto processuale può proseguire per gli altri, investiti
dall'impugnazione, onde, in una simile situazione, è corretto utilizzare la nozione di
giudicato parziale. I punti della sentenza non sono, invece, suscettibili di acquistare
autonomamente autorità di giudicato, potendo essere oggetto unicamente della
preclusione correlata all'effetto devolutivo delle impugnazioni (tantum devolutum
quantum appellatum) ed al principio della disponibilità del processo nella fase delle
impugnazioni, da cui consegue che - in mancanza di un motivo di impugnazione
afferente una delle varie questioni la cui soluzione è necessaria per la completa
definizione del rapporto processuale concernente un reato - il giudice non può spingere
la sua cognizione sul relativo punto, a meno che la legge processuale non preveda
poteri esercitabili ex officio. In altri termini, pur essendo certamente vero che al giudice
dell'impugnazione è interdetto l'esame del punto non impugnato e che l'accertamento
ad esso corrispondente non è più controvertibile, tranne la sussistenza di questioni
rilevabili anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo, tuttavia il fondamento della
preclusione operante rispetto al punto della sentenza non può essere spiegato con
l'utilizzazione del concetto di giudicato, riferendosi questo, per sua natura,
esclusivamente all'intera regiudicanda, coincidente con lo specifico capo di imputazione
e non già con le componenti di essa, alle quali corrispondono le singole statuizioni, che,
pur essendo caratterizzate dalla possibilità di autonoma valutazione, hanno la peculiare
funzione di convergere e di essere finalizzate alla pronuncia finale su quella
imputazione. Conseguentemente, in caso di sentenza di condanna, l'indagine sulla
responsabilità dell'imputato e quella sull'accertamento delle circostanze e sulla
determinazione della pena costituiscono altrettanti, distinti punti della decisione inseriti
all'interno di un medesimo capo; la mancata impugnazione della ritenuta responsabilità
dell'imputato fa sorgere, quindi, la preclusione su tale punto, ma non basta a fare
acquistare alla relativa statuizione l'autorità di cosa giudicata quando, per quello stesso
capo, l'impugnante abbia devoluto al giudice l'indagine riguardante la sussistenza di
circostanze e la quantificazione della pena. Il giudicato si forma allorché anche tali punti
sono definiti dal giudice dell'impugnazione e le relative statuizioni non sono censurate
con ulteriori mezzi di gravame: soltanto in presenza di tali inderogabili condizioni deve
considerarsi realizzata la consunzione del potere di decisione del giudice
dell'impugnazione, anche con riguardo alle questioni rilevabili d'ufficio in ogni stato e
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grado del processo, e la pronuncia sul capo, divenuta ormai completa, assume il
carattere della immutabilità, ostacolando, perciò, l'applicazione delle cause estintive del
reato (cfr., proprio in questi termini, Sez. un., 19 gennaio 2000, Tuzzolino).
(b)
Dalla Rivista Giustizia Insieme – 2-3/2009 – Aracne editrice
(NB il neretto nel testo è aggiunto in questa traccia)
giustizia e processo - Alla ricerca di linee guida affidabili per una motivazione concisa
Ernesto Lupo
1. Il dovere costituzionale (art.111, comma 2, e art.117, comma 1, Cost.) di
adeguare i tempi della nostra giustizia penale e civile alla durata ritenuta ragionevole
dalla Corte europea dei diritti dell’uomo impone una riflessione urgente sulle modalità
da seguire per pervenire a motivazioni delle sentenze che siano concise e, nello stesso
tempo, complete.
Non può negarsi, invero, che la stesura delle motivazioni costituisce il collo di
bottiglia del sistema giudiziario italiano, destinato a restare tale qualunque riforma
delle normative processuali si voglia realizzare. Prova evidente di siffatta valutazione è
data dal giudizio di cassazione (sia civile che penale) il quale, dal punto di vista tecnico,
è molto semplice e celere; eppure la Cassazione civile ha oggi accumulato una
pendenza di circa centomila ricorsi a causa dell’imbuto costituito dalla stesura delle
motivazioni delle decisioni. L’effetto è che il tempo medio di decisione dei ricorsi civili
per cassazione è di tre-quattro anni, mentre la Corte europea pone per tale giudizio il
tempo ragionevole di un anno, il cui superamento — già di per sé solo — è idoneo a
determinare indennizzi che, aggiunti a quelli causati dai ritardi dei giudizi di merito,
sono destinati ad incidere sempre più pesantemente sulla spesa statale.
Il legislatore del processo civile (legge 18/6/2009 n.69) è recentemente intervenuto
proprio per invitare i giudici a ridurre l’ampiezza delle motivazioni. L’art.132 n.4 c.p.c.
non richiede più l’esposizione dello svolgimento del processo (adeguandosi a quanto già
disposto dall’art.546, comma 1, del nuovo c.p.p.); ancora più importante è la modifica
dell’art.118, comma 1, disp. att. c.p.c., secondo cui la “esposizione dei fatti rilevanti
della causa e delle ragioni giuridiche della decisione” deve essere “succinta” (che è
termine già impiegato dallo stesso codice per la motivazione delle ordinanze: art.134,
comma 1), “anche con riferimento a precedenti conformi” (la accentuata rilevanza del
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precedente giurisprudenziale si ritrova poi nell’art.360-bis n.1 c.p.c., introdotto dalla
stessa novella legislativa).
E’ significativo che l’intervento legislativo diretto a ridurre l’ampiezza delle
motivazioni abbia riguardato la giustizia civile. è questo il settore in cui si lamenta in
misura enormemente maggiore la lentezza dei processi e nel quale la dottrina ha, da
tempo, rilevato un c.d. “eccesso di motivazione” (con riguardo specifico alle sentenze
della Cassazione civile debbo rinviare alla mia relazione su La redazione delle decisioni
in forma semplificata, in Giust. civ. 2009, II, p.97).
2. Ma le innovazioni legislative in tema di motivazione delle sentenze sono
inefficaci se non determinano un radicale cambiamento di mentalità e di prassi
nei giudici e nel ceto forense. E di tale mutamento ha urgente bisogno soprattutto il
settore civile, in cui i tempi di durata complessiva dei processi ci pongono al 156° posto
su 181 Stati (v. la relazione del Presidente della Cassazione Vincenzo Carbone
sull’amministrazione della giustizia nel 2008, p.15 della relativa pubblicazione).
Il mutamento deve riguardare sia il giudizio di legittimità che quello di merito; ma
esso non può che partire dalla Cassazione, perché spetta a questa Istituzione il compito
di giudicare sulle motivazioni delle sentenze di merito, onde non avrebbe senso
l’adozione, da parte dei giudici di merito, di criteri di stesura delle motivazioni più agili
ed essenziali se essi non trovassero adesione nel successivo controllo esercitato in sede
di legittimità.
L’ineliminabile punto di partenza è costituito dalla necessità di realizzare un uniforme
atteggiamento dei giudici della Cassazione in ordine all’attività di controllo
sull’accertamento di fatto compiuto dai giudici del merito. Tale controllo, che si esercita
attraverso l’esame dei vizi logici di motivazione (dedotti nel ricorso) in ordine alle
quaestiones facti, ha, nella attuale prassi della Corte suprema (sia in civile che in
penale), confini piuttosto indefiniti. Vi è, molto frequentemente, il tentativo dei
ricorrenti di pervenire ad un terzo grado di merito e non sempre tale tentativo viene
respinto dal giudice di legittimità, a cui l’ordinamento (a partire dall’art.111, comma 7,
Cost.) riserva le funzioni di nomofilachia, onde è su questa funzione (importantissima
soprattutto in un’epoca di caos legislativo) che dovrebbero essere concentrate
prioritariamente le risorse umane della Istituzione, le quali sono necessariamente
limitate (in rapporto all’enorme numero dei ricorsi proposti, che comporterebbe un
elevatissimo numero di magistrati, la cui esistenza è però praticamente incompatibile
con la funzione di nomofilachia).
La priorità del compito di nomofilachia della Corte di cassazione (rispetto a quello di
controllo sui vizi logici della motivazione sull’accertamento di fatto) non è una scelta
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 14
personale. Essa, innanzitutto, corrisponde alla intenzione che prevalse nell’ambito della
Assemblea Costituente, come può desumersi da una indagine sui relativi lavori (v. il
mio scritto su La Corte di Cassazione nella Costituzione, in Cass. pen. 2008, p.4444,
spec. § 6). Ed ha costituito il motivo ispiratore dei due recenti interventi legislativi sul
giudizio civile di cassazione. Già il titolo del decreto legislativo 2/2/2006 n.40 individua
il suo oggetto (parziale) nella disciplina del processo (civile) di cassazione “in funzione
nomofilattica”.
E le successive modifiche apportate alla stessa disciplina dall’art.47 della già citata
legge n.69/2009, volendo dichiaratamente introdurre un “filtro” alla ricorribilità per
cassazione (termine già usato dalla Corte cost. 11/4/2008 n.98), hanno previsto, nel
nuovo art.360-bis c.p.c., due nuove cause di inammissibilità del ricorso espressamente
limitate alle questioni di diritto proponibili con il ricorso per cassazione, dimostrando
così di prestare attenzione esclusiva al compito del giudice di legittimità che qui si va
considerando. La formulazione tecnica dell’art.360-bis c.p.c., purtroppo, dà adito a
molti problemi interpretativi (per una lucida e condivisibile impostazione degli stessi v.
la relazione di P. Vittoria al Convegno svoltosi in Cassazione il 28/10/2009: Il filtro al
ricorso per cassazione nella legge 69 del 2009: controriforma o completamento di una
riforma?). Ma non può negarsi che il legislatore, volendo diminuire il lavoro della
Suprema Corte nel settore civile (in ciò indotto dalla già segnalata situazione delle
pendenze, nonostante l’accresciuta produttività della Corte negli anni recenti), è
intervenuto sulla prospettazione delle questioni giuridiche, e non (o non anche) dei vizi
logici di motivazione; la ragione di questa limitazione dell’attenzione, da parte del
legislatore, può individuarsi, mi sembra, nella considerazione che già la disciplina
codicistica dei vizi di motivazione (e, in particolare, dell’art.360 n.5 c.p.c.), se
correttamente applicata, consente un alleggerimento dell’impegno dei magistrati della
Corte. Proprio a proposito della disposizione in ultimo citata, è importante, a mio
avviso, rilevare che la novella del 2006 ha modificato l’oggetto del vizio di motivazione,
sostituendo al concetto limitato di “punto” della controversia il riferimento globale al
“fatto” controverso. In tal modo il legislatore ha chiarito espressamente che il vizio di
motivazione non attiene alla soluzione della quaestio iuris (affermazione pacifica in
giurisprudenza, ma non in dottrina e, purtroppo, spesso ignorata dalla prassi forense);
ma, soprattutto, è tornato in parte alla formulazione originaria (anteriore alla riforma
del 1950) dell’art.360 n.5 c.p.c., che pure limitava il vizio al “fatto” (ed al suo “omesso
esame”, mentre, nel testo vigente, rileva anche l’insufficiente o contraddittoria
motivazione sullo stesso).
Il maggiore rispetto dei limiti posti dai codici di rito (civile e, con diversa
formulazione, penale) al controllo in sede di legittimità dei vizi logici di
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 15
motivazione sull’accertamento del fatto si scontra con la difficoltà psicologica
e culturale, per magistrati che provengono dal giudizio di merito, di rinunziare
a decidere non solo il ricorso, ma soprattutto il caso controverso nel modo che
si ritiene più rispondente alla soluzione corretta e giusta. Ciò comporta la non
accettazione di una sentenza che, sull’accertamento di fatto, appare motivata in modo
non persuasivo e non condivisibile da parte del collegio, nel senso che la prevalenza dei
suoi membri avrebbe deciso il caso in modo diverso da come esso è stato giudicato
dalla sentenza impugnata. Ma occorrerebbe tenere sempre presente che “motivare è
cosa diversa dal convincere” (G. Borré, La Corte di Cassazione oggi, in Diritto
Giurisprudenziale a cura di Bessone, Torino, 1996, p.182, § 7), che la non persuasività
non è, di per sé sola, un vizio della sentenza e, più in generale, che il giudice di
legittimità non può “sostituire i criteri e le massime di esperienza adottati dai giudici di
merito” (così si esprime la Relazione al progetto preliminare del nuovo c.p.p., in
relazione alla innovativa formulazione dell’art. 606, lettera e, ma detto limite è
perfettamente applicabile alla Cassazione civile).
L’atteggiamento del magistrato della Cassazione che mira a risolvere il caso
a lui affidato nel modo che ritiene giusto (andando, se mai, al di là dei risultati di
una mera verifica della correttezza logica della sentenza impugnata), se può sembrare
espressione di uno scrupolo positivo (se non, addirittura, encomiabile), non tiene
conto che a tale Istituzione è affidato il privilegio di dire l’ultima e definitiva
parola sulla controversia, ma tale privilegio trova, nell’ordinamento, il proprio
contrappeso nel rispetto dell’accertamento di fatto, il quale è riservato al
giudice del merito; onde la soluzione legale e giusta della controversia deve essere il
risultato finale della somma dei compiti propri dei due tipi di giudicanti; il che
implica un atteggiamento dei giudici di legittimità di self restraint nell’esame e nella
valutazione del giudizio di fatto.
3. La rilevanza della distinzione tra legittimità e merito della decisione
(penale e civile) ai fini del contenuto della motivazione comporta che il giudice
del merito giustifichi essenzialmente il giudizio di fatto, perché alle lacune
motivazionali di siffatto accertamento il giudice di legittimità non potrà
successivamente porre alcun rimedio. La motivazione della sentenza di merito non
assume, invece, rilievo rispetto alla quaestio iuris: qui importa soltanto la correttezza
o meno della soluzione, indipendentemente dalle ragioni che si siano esposte a
giustificazione della stessa soluzione. Non costituisce, quindi, un vizio della sentenza
impugnata con il ricorso per cassazione l’assenza di motivazione sulla interpretazione
che si è data alle norme giuridiche, essendo rilevante soltanto l’esattezza o meno di
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 16
detta interpretazione. In tal senso, come si è detto, è molto chiara (per il ricorso per
cassazione civile) la nuova formulazione dell’art.360 n.5 c.p.c., come modificata dal d.
lgs. 2/2/2006 n.40 (che fa riferimento al “fatto”); ma l’identico criterio vale anche per
distinguere il vizio di motivazione previsto dall’art.606, comma 1, lettera e) c.p.p. dai
vizi indicati nelle precedenti quattro lettere dello stesso comma.
Occorre che i giudici di merito abbiano chiara consapevolezza del loro
compito esclusivo di accertare compiutamente i fatti e di motivare
adeguatamente tale accertamento, mentre è loro consentito non diffondersi
nella motivazione degli aspetti giuridici. Rimane, ovviamente, immutato
l’impegno di studio necessario per dare una corretta soluzione ai problemi
giuridici, ma può ridursi il lavoro richiesto dalla stesura della motivazione, che occupa
tanto tempo dell’attività dei giudici.
Anche per i magistrati degli uffici di merito sussistono difficoltà psicologiche e
culturali a limitarsi alle motivazioni sui fatti ed a rinunziare ad esposizioni approfondite
degli aspetti giuridici delle controversie, tanto più quando questi aspetti siano stati
studiati e si sia pervenuti a motivati convincimenti.
Non si vuole sostenere che la motivazione sulle questioni giuridiche sia
inutile e da evitarsi: innanzitutto va precisato che essa è necessaria in tutti i
casi in cui il giudice di merito abbia seguito una interpretazione delle norme
diversa da quella data dalla Cassazione; ma anche sulle questioni nuove essa
può rivelarsi utile per il giudice di legittimità, se il caso giungerà in
Cassazione. Si vuole dire, piuttosto, che il tentativo di pervenire a motivazioni
concise dei giudici di merito va esercitato non sulle giustificazioni
dell’accertamento dei fatti, ma sulla esposizione delle ragioni giuridiche delle
decisioni. L’ottica delle osservazioni qui esposte non è quella della utilità di una
motivazione (di primo e di secondo grado) ampia anche nella parte in diritto. Pure
l’esposizione dello svolgimento del processo (soppressa, come si è detto, dal nuovo
codice di rito penale e, oggi, anche in quello di rito civile) è di indubbia utilità per il
giudice dell’impugnazione; tanto da farmi ritenere opportuno che tale svolgimento sia
esposto nell’atto di impugnazione, giovando esso alla comprensione dei relativi motivi.
Ma l’esigenza di definire con maggiore celerità un numero elevato di processi impone
la rinunzia a ciò che, pure essendo utile, non è necessario.
4. L’obiettivo di pervenire a motivazioni che, pure essendo concise, siano complete
richiede un discorso nuovo per la nostra cultura giuridica e, quindi, non facile ad
elaborarsi. Ma occorre che esso sia perseguito.
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 17
E le considerazioni qui esposte intendono costituire il semplice inizio di una ricerca
che deve avvalersi delle esperienze delle diverse attività giudiziarie ed affrontare le
specificità di ciascuna di esse.
Oggi, nell’ambito della ANM, è molto attuale il tema dei carichi di lavoro e della
individuazione dei tetti massimi esigibili per ogni tipo di funzione svolta dai magistrati.
Ritengo che questo argomento non debba essere separato, in linea generale, dalla
ricerca di un diverso modo di lavorare, che congiunga efficienza e qualità. I due
obbiettivi non sono alternativi, ma possono, a mio avviso, essere raggiunti
congiuntamente.
L’esempio tipico di questo mio convincimento è dato proprio dal tema delle
motivazioni delle sentenze. Le motivazioni prolisse del giudice di legittimità (che si
rinvengono soprattutto nel settore civile) spesso non consentono di percepire con
immediatezza e facilità la vera ratio decidendi della sentenza; permettono, inoltre,
all’estensore di aggiungere ai pochi argomenti emersi ed approvati nella camera di
consiglio collegiale una serie di affermazioni che, anche quando non costituiscono obiter
dicta, esprimono l’opinione dell’estensore medesimo (o, al più, anche del presidente che
aggiunge la sua firma), ma non sono certo il frutto di una discussione e di una
approvazione dell’intero collegio. Si realizza, così, quello che ho già chiamato “eccesso
di motivazione”, il quale non solo appesantisce il lavoro del singolo magistrato, ma
soprattutto è fonte di inefficienze e di disfunzioni della intera istituzione.
Ancora: la mancata definizione di una chiara ed uniforme individuazione dei vizi di
motivazione inerenti all’accertamento del fatto produce, nella prassi giudiziaria (sia
civile che penale), l’effetto negativo di rendere spesso incerto l’esito del ricorso per
cassazione che deduca tale tipo di vizi.
Anche nelle sentenze di merito non è infrequente il caso di motivazioni molto
approfondite in diritto, che però appaiono lacunose o superficiali nell’accertamento del
fatto e/o nella sua giustificazione, incorrendo così in vizi che non possono essere più
sanati in sede di legittimità.
Ma, come osservavo, la ricerca è solo all’inizio e richiede l’apporto delle diverse
esperienze degli operatori giudiziari. Ernesto Lupo
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 18
(c)
Caso concreto che ha dato spunto per una magistrale trattazione della differenza tra
apprezzamento di merito e limiti del controllo di legittimità. Si noti bene la decisione
della Corte di cassazione, che annulla senza rinvio
Da Italgiureweb/snpen (NB: grassetto aggiunto in questa traccia)
n. 48320/2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Udienza pubblica
Dott. RIZZO Aldo Sebastiano Presidente del 12/11/2009
Dott. MARZANO Francesco Consigliere SENTENZA
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe rel. Consigliere N. 2842
Dott. FOTI Giacomo Consigliere REGISTRO GENERALE
Dott. D'ISA Claudio Consigliere N. 38121/2007
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
1) DURANTE FRANCESCO N. IL 29/07/1976;
avverso la sentenza n. 2425/2003 CORTE APPELLO di MESSINA, del 01/06/2007;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2009 la relazione fatta dal Consigliere Dott.
BRUSCO Carlo Giuseppe;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. GIALANELLA Antonio che ha
concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. SCARFÒ Rosario che ha concluso per l'accoglimento.
La Corte:
OSSERVA
1) La Corte d'Appello di Messina, con sentenza 1 giugno 2007, ha confermato la
sentenza 20 febbraio 2003 del Tribunale della medesima Città che aveva condannato
DURANTE FRANCESCO alla pena di anni tre e mesi due di reclusione ed Euro 250,00 di
multa per i delitti di cui alla L. n. 895 del 1967, artt. 4 e 7 (porto illegale di una pistola)
e art. 624 c.p., art. 625 c.p., nn. 1, 2 e 3 (furto di alcuni capi di abbigliamento sottratti,
previa effrazione di una finestra, nell'abitazione di DE LUCA MARIO) ritenuti in
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 19
continuazione. La sentenza di primo grado aveva inoltre assolto DURANTE dal delitto di
detenzione illegale di arma e il coimputato LAURO DANIELE da tutti i medesimi reati
ascrittigli contestati in concorso con DURANTE.
I fatti oggetto del presente processo sono stati così ricostruiti dai giudici di merito.
La sera dell'8 febbraio 1998 veniva commesso un furto nell'abitazione di DE LUCA
MARIO, sita in Scaletta Zanclea, all'interno della quale i responsabili del fatto si erano
introdotti dopo aver forzato una serranda. I Carabinieri intervenuti, nel corso
dell'ispezione dei luoghi, accertavano la presenza di un'autovettura Fiat Uno nei pressi
dell'abitazione della persona offesa e, nel perimetro della medesima abitazione,
rinvenivano alcuni dei capi di abbigliamento sottratti (una pelliccia e un giaccone) oltre
ad una pistola cal. 38 in pessimo stato di manutenzione. All'interno dell'autovettura i
Carabinieri rinvenivano un libretto nel quale erano riportate le notizie relative alle
presentazioni all'autorità di pubblica sicurezza di tale DURANTE FRANCESCO sottoposto
a sorveglianza speciale. E le indagini svolte confermavano che l'autovettura, pur non
essendo intestata al predetto, era nella sua disponibilità; circostanza confermata dalla
denunzia di furto presentata il giorno successivo dall'imputato che peraltro non ha mai
contestato di essere il proprietario del veicolo.
2) Il giudice di primo grado aveva ritenuto che DURANTE fosse l'autore del furto
rilevando come l'abitazione di DE LUCA si trovasse in zona isolata e aggiungendo che
"considerando anche l'ora tarda e la notte piovosa, non può darsi alla presenza
dell'autovettura in quel luogo altro significato se non quello del collegamento con il furto
perpetrato ai danni di De Luca". La Corte d'Appello ha confermato la valutazione del
primo giudice e ha ribadito la responsabilità dell'imputato "stante la presenza della sua
autovettura nei pressi dell'abitazione della persona offesa." La sentenza impugnata ha
escluso poi ogni rilievo probatorio alla denuncia di furto dell'autovettura presentata da
DURANTE il giorno successivo e agli scontrini relativi al pagamento del pedaggio
autostradale prodotti dall'imputato per dimostrare che egli, al momento del furto, si
trovava in altra località.
3) Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso l'imputato a mezzo del
suo difensore il quale ha dedotto, come unico motivo di censura, il vizio di motivazione
nonché la violazione delle regole di valutazione della prova previste dall'art. 192 c.p.p..
Secondo il ricorrente la sentenza impugnata avrebbe fondato l'affermazione di
responsabilità su un unico indizio privo di alcun significato probatorio - quale la
presenza dell'autovettura nei pressi del luogo dove era avvenuto il furto - e privo dei
caratteri di gravità e precisione; senza che, inoltre, venissero neppure prese in
considerazione le ipotesi alternative che potevano essere formulate (per es. l'arma,
peraltro inutilizzabile, poteva essere stata detenuta dalla persona offesa).
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 20
3) Il ricorso deve ritenersi fondato. L'atto di impugnazione censura anzitutto la
sentenza impugnata deducendo la violazione delle regole di valutazione della prova
stabilite dall'art. 192 c.p.p. in quanto gli elementi indiziari utilizzati ai fini della
condanna non avrebbero carattere di gravità, precisione e concordanza. Va premesso
che i fatti descritti nelle sentenze di merito devono ritenersi ormai incensurabilmente
accertati e che, comunque, si tratta di fatti che neppure il ricorrente pone in
discussione. Va anche premesso che non è sindacabile, nel giudizio di legittimità, la
valutazione sull'irrilevanza dell'"alibi" fornito dal ricorrente in merito alla sua presenza
in altra località il giorno in cui è avvenuto il furto avendo, il giudice di merito, fornito
una valutazione non illogica sulla compatibilità tra gli orari indicati nei documenti
prodotti e la presenza dell'imputato sul luogo del furto nel momento in cui era stato
consumato.
Il problema che si pone al giudice di legittimità è invece quello di verificare se i
giudici di merito abbiano logicamente giustificato la loro valutazione - sulla sufficienza
degli elementi di natura indiziaria acquisiti al processo al fine di pervenire
all'affermazione che il ricorrente doveva ritenersi l'autore del furto e se abbiano
correttamente applicato i criteri di valutazione della prova indiziaria previsti dall'art. 192
c.p.p.. 4) È ancora opportuno rilevare che il vizio dedotto dal ricorrente non è
riconducibile al cd. "travisamento del fatto" perché, con il proposto ricorso, si pone il
problema dell'individuazione dei criteri che il giudice deve utilizzare per valutare
l'idoneità indiziaria dei fatti accertati e l'efficacia probatoria di questi indizi nonché la
loro capacità individualizzante.
Non viene quindi in considerazione il tema della ricomposizione del quadro
probatorio ormai "fotografato" con la ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di
merito che sarebbe inammissibile in questa sede. Compito del giudice di legittimità non
è infatti quello di ricostruire e valutare i fatti diversamente da quanto compiuto dal
giudice di merito ma di sindacare la correttezza del ragionamento di questi sulla
valutazione relativa alla efficacia indiziaria dei fatti accertati.
Il sindacato di legittimità sul procedimento logico che consente di pervenire al
giudizio di attribuzione del fatto con l'utilizzazione di criteri di inferenza, o massime di
esperienza, è diretto a verificare se il giudice di merito abbia indicato le ragioni del suo
convincimento e se queste ragioni siano plausibili. E, per giungere a queste conclusioni,
è necessario verificare se siano stati rispettati i principi di completezza (se il giudice
abbia preso in considerazione tutte le informazioni rilevanti), di correttezza e logicità
(se le conclusioni siano coerenti con questo materiale e fondate su corretti criteri di
inferenza e su deduzioni logicamente ineccepibili).
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 21
In particolare, sul tema della valutazione della gravità, precisione e concordanza
della prova indiziaria, i limiti dello scrutinio di legittimità attengono alla verifica della
correttezza del ragionamento probatorio compiuto dal giudice di merito che deve fornire
una ricostruzione non inficiata da manifeste illogicità o compiuta su base meramente
congetturale e priva di riferimenti individualizzanti ovvero con riferimenti di questo tipo
palesemente inadeguati.
Si tratta, come appare del tutto ovvio, di una zona posta al confine tra il merito e la
legittimità (ammesso che questo limite sia individuabile) con il concreto rischio, per la
Corte di cassazione, di sconfinare nella "zona proibita" della valutazione del complesso
probatorio. Ma l'esercizio di queste funzioni è reso obbligato dalla natura del controllo di
legittimità sul contenuto della decisione;
l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) preclude al giudice di legittimità di rivalutare
prove e indizi; non di verificare se questa valutazione sia avvenuta secondo criteri
logici, se cioè i criteri di inferenza usati dal giudice di merito possano essere ritenuti
plausibili o se ne siano consentiti di diversi, idonei a fondare soluzioni diverse, parimenti
plausibili.
Questo compito era attribuito al giudice di legittimità anche prima delle modificazioni
introdotte, alla lett. e dell'art. 606 c.p.p., dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8
comma 1, lett. b), che ha ricondotto il vizio di travisamento della prova nell'alveo del
vizio di motivazione senza intaccare l'ambito del sindacato di legittimità sui criteri
utilizzati dal giudice di merito per la valutazione della prova consentendo però alla Corte
di cassazione un limitato accesso agli atti quando il loro contenuto, senza necessità di
una loro valutazione - ma per la loro stessa valenza esplicativa - siano idonei a porre
nel nulla, da soli, le conclusioni ipotizzate dal giudice di merito.
È chiaro che, alla fine, la Corte di cassazione esprime un giudizio di valore come
quando ritiene "debole" la regola di inferenza utilizzata dal giudice di merito ma ciò
rientra nel controllo di legittimità previsto dalla norma indicata perché una prova
insufficiente o una regola di inferenza "debole" utilizzata dal giudice e su cui sia fondata
la decisione incrinano irrimediabilmente la congruità logica della decisione.
5) Questa forma di controllo esercitato dalla Corte di cassazione - controllo che, in
buona sostanza, si esaurisce nella ricerca dello standard probatorio minimo perché
debba ritenersi legittima una sentenza di condanna - ha trovato una conferma
normativa nella modifica (ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 5) dell'art. 533 c.p.p.,
comma 1 che oggi prevede che l'imputato possa essere condannato se "risulta
colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio".
Questo principio, nel nostro ordinamento, trova il suo fondamento nella presunzione
di non colpevolezza prevista dalla Costituzione: art. 27, comma 2). E - pur avendo
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 22
origine negli ordinamenti di common law (beyond any reasonable doubt: acronimo
Bard) - aveva già trovato ampia applicazione da parte della nostra giurisprudenza di
legittimità che l'aveva, in più occasioni, affermato. Dunque può dirsi che sia stato
introdotto un criterio normativo di valutazione della prova in precedenza solo di
formazione giurisprudenziale. Del resto il legislatore aveva già disciplinato un analogo
criterio per l'assoluzione stabilendo che, al di sotto di un determinato standard
probatorio il giudice deve assolvere (art. 530 c.p.p.: quando la prova manca, o è
insufficiente o è contradditoria). Adesso invece ha previsto il criterio per la sentenza di
condanna che è subordinata all'insussistenza di un dubbio o alla sua non
ragionevolezza.
È del tutto ovvio che non è possibile stabilire una netta linea di
demarcazione che separi le due situazioni e che esisteranno sempre le
situazioni di confine; in questi casi i limiti di intervento del giudice di
legittimità si riducono sensibilmente soprattutto se il giudice di merito abbia
logicamente e ragionevolmente motivato sulla scelta operata.
Non sembra però condivisibile quell'orientamento dottrinale secondo cui il criterio
del ragionevole dubbio prevarrebbe anche se la prova esiste, è sufficiente e non è
contradditoria se comunque non è idonea a superare il limite del ragionevole dubbio; in
questi casi, invero, se la prova è "sufficiente" (e non ci si trova quindi in presenza di un
elementi indiziari "deboli") lo standard probatorio idoneo a superare il ragionevole
dubbio dovrebbe ritenersi raggiunto. Naturalmente il dubbio deve essere "ragionevole";
tale non è quello che si fonda su un'ipotesi alternativa del tutto congetturale e priva di
qualsiasi conferma e la ragionevolezza non può che risultare dalla motivazione (un
dubbio non motivato è già di per sè "non ragionevole").
Se invece l'ipotesi alternativa è plausibile non è sufficiente che il giudice di merito
l'abbia ritenuta improbabile ma occorre che siano stati individuati gli elementi di
conferma dell'ipotesi accolta in modo da pervenire a ritenere non razionale il dubbio
derivante dall'esistenza di un'ipotesi alternativa. In questo senso si è espressa la più
recente giurisprudenza di legittimità (v. Cass., sez. 1^, 8 maggio 2009 n. 23813,
Manikam, rv. 243801; 21 maggio 2008 n. 31456, Franzoni, rv. 240763) secondo cui la
regola legittima la condanna quando il dato probatorio acquisito lascia fuori soltanto
eventualità remote - pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili - ma
prive di alcun riscontro nelle emergenze processuali.
Insomma la regola dell'oltre il ragionevole dubbio ha messo definitivamente in crisi
quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui, in presenza di più ipotesi ricostruttive
del fatto, era consentito al giudice di merito di adottarne una che conduceva alla
condanna sol perché la riteneva più probabile rispetto alle altre. Ciò non sarà più
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 23
consentito perché, per pervenire alla condanna, il giudice non solo deve ritenere non
probabile l'eventuale diversa ricostruzione del fatto che conduce all'assoluzione
dell'imputato ma deve altresì ritenere che il dubbio su questa ipotesi alternativa non sia
ragionevole (deve cioè trattarsi di ipotesi non plausibile o comunque priva di qualsiasi
conferma). Anche se l'errore giudiziario non potrà mai essere del tutto eliminato la
regola introdotta vale a significare che l'ordinamento - se tollera l'assoluzione del
colpevole - non tollera però la condanna dell'innocente. È indubbio che da questo
principio non deriva il superamento del principio del libero convincimento del giudice -
che si è contrapposto all'arcaico sistema delle prove legali - ma sta a significare che
questo principio trova un limite che si esprime all'interno di regole legali di valutazione
della prova e non si identifica con un soggettivismo insindacabile che potrebbe
sconfinare nell'arbitrio.
V'è da considerare un altro aspetto messo in evidenza dalla dottrina. È stato
osservato che il ragionamento probatorio del giudice di merito che abbia condannato
l'imputato erroneamente ritenendo (anche in modo implicito) che sia stata superata la
soglia del ragionevole dubbio non necessariamente esprime una valutazione
"manifestamente illogica" con la conseguenza che non sempre il vizio può essere
inquadrato nel vizio di motivazione previsto dall'art.606 c.p.p., comma 1, lett. e).
Queste conclusioni sono però opinabili; indipendentemente dalla soluzione del
problema se questo vizio integri la violazione delle regole di valutazione della prova
(art. 192 c.p.p., art. 530 c.p.p., comma 2 e art. 533 c.p.p., comma 1) deve osservarsi
che appare discutibile sostenere la logicità o la non contraddittorietà di una decisione
fondata su regole d'inferenza incongrue o su elementi indiziari palesemente privi dei
requisiti di gravità e precisione.
Occorre ancora rilevare che il problema dell'individuazione dello standard
probatorio è diverso da quello riguardante il travisamento della prova. Il
ragionevole dubbio concerne l'individuazione di questo standard e riguarda
esclusivamente l'individuazione del livello probatorio o indiziario richiesto
perché si possa legittimamente pervenire ad una sentenza di condanna in base
ai fatti accertati dal giudice di merito.
In questo caso la Corte di cassazione si limita a prendere atto di quanto accertato
dal giudice di merito e valuta se appaia logicamente motivato nella sentenza il
raggiungimento dello standard ricordato. Quando si deduce il vizio di travisamento della
prova il compito del giudice di legittimità è diverso (e richiede l'esame di specifici atti)
perché la censura riguarda l'affermazione dell'esistenza di una prova che non esiste o di
un risultato di prova incontrovertibilmente diverso da quello ritenuto dal giudice di
merito.
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6) Passando all'esame del caso oggetto del presente giudizio va intanto rilevato che
appare manifestamente illogica la valutazione dei giudici di merito che hanno attribuito
un carattere di gravità agli elementi indiziari presi in considerazione (in realtà si tratta
di un unico indizio e questa circostanza, da sola, pone un serio problema di conformità
alla previsione dell'art. 192 c.p.p., che sembra richiedere una pluralità di indizi).
La gravità indiziaria deve infatti essere valutata non solo in riferimento alla sua
valenza dimostrativa (se si tratti di un indizio "forte" o "debole") ma altresì con
riferimento alla possibilità di ipotizzare soluzioni alternative parimenti plausibili rispetto
a quella ipotizzata.
Un elemento indiziario "debole" può essere reso maggiormente significativo in
presenza di ulteriori elementi che valgano a confermare l'ipotesi di accusa e consentano
di verificare la natura congetturale delle ipotesi alternative ipotizzabili. Se l'elemento
indiziario è "forte" (si faccia l'ipotesi, nel nostro caso, che l'imputato fosse stato visto
uscire dal portone della casa dove è avvenuto il furto) questa conferma potrebbe non
essere ritenuta necessaria a meno che non venisse allegata una ragionevole
giustificazione che risulti confermativa della tesi difensiva (per es. la visita ad un
parente o ad un amico).
Siamo infatti in presenza, in questo caso, non di un'ipotesi che la dottrina qualifica
"semplice" ma di un'ipotesi che ne ammette di contrarie o di diverse (in particolare non
solo quella che l'auto fosse stata sottratta all'imputato ma anche che DURANTE si fosse
effettivamente recato nel luogo per ragioni che non vuole indicare o che abbia affidato
l'auto ad un terzo di cui non ha inteso fornire le generalità).
Ciò comporta che il giudice di merito, in presenza di altre ricostruzioni plausibili del
fatto, non possa omettere di valutarle per stabilire un giudizio di equiprobabilità (che
non consente la condanna dell'imputato) ovvero di maggiore, ma elevata, probabilità
dell'ipotesi di accusa che consenta di pervenire all'affermazione di responsabilità al di là
di ogni ragionevole dubbio anche per la natura congetturale di quelle alternative.
Insomma, nel caso in cui coesistano più ipotesi ricostruttive contrastanti, il giudice
deve verificare il grado di conferma (in senso qualitativo, non quantitativo) di ciascuna
di esse dopo aver acquisito tutte le informazioni rilevanti; e se ciò è impossibile non
potrà convalidare una delle ipotesi plausibili sol perché la ritiene più convincente di
altre. A maggior ragione nei casi in cui la prova è indiretta per cui è necessario
individuare una regola di inferenza "forte" per ricollegare il fatto accertato a quello da
provare.
È ancora opportuno precisare che non esiste un onere per l'imputato di allegare (e
tanto meno di provare) le ipotesi alternative; solo in presenza di un indizio "forte" (o
anche "debole" ma caratterizzato dalla presenza di elementi di conferma) la mancata
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 25
allegazione delle ipotesi alternative potrebbe avere rilievo confermativo dell'ipotesi
accolta dal giudice.
Nel caso in esame non solo ci troviamo in presenza di una prova insufficiente
fondata su un indizio "debole" e su una massima di esperienza illogica (se
un'autovettura viene trovata nei pressi del luogo dove è avvenuto un furto chi ne ha la
disponibilità deve essere considerato autore del furto) ma anche le ipotesi alternative,
certamente possibili e plausibili, non sono state proprio prese in considerazione dai
giudici d'appello i quali hanno ritenuto che la presenza del veicolo fosse da sola idonea
a confermare l'ipotesi di accusa.
Come è agevole verificare la motivazione sulla fondatezza dell'ipotesi ricostruttiva
accolta dai giudici di merito è meramente apparente perché non esistono elementi di
conferma dell'elemento indiziario di accusa "debole" per cui l'ipotesi formulata si
esaurisce in una congettura, forse fondata, ma che non perde tale natura congetturale
perché priva di qualunque elemento di conferma. In definitiva: l'unico fatto significativo
accertato dai giudici di merito è costituito dalla circostanza che un'autovettura nella
disponibilità dell'imputato è stata rinvenuta nei pressi del luogo dove è stato consumato
il furto. E deve dunque ritenersi che la sentenza impugnata, come già accennato, sia
fondata su una massima di esperienza illogica perché contraria ad opposte e
riconosciute massime di esperienza dirette invece a fondare la diversa conclusione che
non è sufficiente il ritrovamento di una cosa appartenente ad un soggetto nei pressi del
luogo del delitto per ritenerlo automaticamente autore del reato.
E la natura congetturale dell'ipotesi formulata è ancor più evidente con riferimento
al ritrovamento dell'arma per la quale le ipotesi alternative ragionevolmente ipotizzabili
sono ancor più numerose (il giudice di primo grado aveva addirittura ipotizzato che
l'arma potesse essere stata sottratta all'interno dell'abitazione e aveva dunque
condannato per il porto dell'arma e assolto per la sua detenzione).
In conclusione deve ritenersi che alcuna delle ragioni indicate nella sentenza
impugnata integri una prova "sufficiente" idonea a superare la soglia del ragionevole
dubbio o che comunque valga a sminuire la possibilità di ipotizzare ipotesi alternative:
ci si trova in presenza di più ipotesi ugualmente plausibili che dunque non valgono a far
ritenere superata la soglia indicata anche per la manifesta illogicità degli argomenti
posti, dai giudici di merito, a fondamento della condivisione di una delle ipotesi
alternative. 5) Per le considerazioni svolte il ricorso deve essere accolto; la sentenza
impugnata va conseguentemente annullata senza rinvio per non avere l'imputato
commesso il fatto non essendo ipotizzabili ulteriori accertamenti idonei a confermare
l'ipotesi di accusa.
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P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, annulla senza rinvio la
sentenza impugnata per non avere l'imputato commesso il fatto.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2009
(d)
Sez. 6, Sentenza n. 5903 del 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Camera di consiglio
Dott. GARRIBBA Tito - Presidente - del 22/01/2013
Dott. GRAMENDOLA Francesco - Consigliere - SENTENZA
Dott. LANZA Luigi - Consigliere - N. 139
Dott. CITTERIO C. - rel. Consigliere - REGISTRO GENERALE
Dott. PATERNÒ RADDUSA B. - Consigliere - N. 35259/2012
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R.L. N. IL (omesso) ;
avverso l'ordinanza n. 855/2011 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 07/12/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO;
lette le conclusioni del PG Dott. Riello per l'annullamento della sospensione in favore
della Cassa delle ammende rigetto nel resto.
CONSIDERATO IN FATTO
1. La Corte d'appello di Venezia ha dichiarato inammissibile la dichiarazione di
ricusazione che L.R. ha proposto nei confronti di un giudice del Tribunale di T., perché
relativa a processo (per il reato ex art. 570 c.p.) non ancora iniziato e asseritamente
solo assegnato e perché quanto riportato dal ricusante (in precedente processo per il
reato ex art. 572 c.p. quel giudice lo aveva qualificato "soggetto rozzo e violento")
esulava dai casi previsti dall'art. 37 c.p.p.. La Corte distrettuale condannava
contestualmente il R. al pagamento della somma di 1000 Euro in favore della Cassa
delle ammende.
2. Con ricorso personale, R. enuncia quattro motivi:
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 27
…
2 - medesimo vizio in relazione all'art. 37 c.p.p., comma 1, lett. A), perché le
espressioni usate dal giudice nel precedente processo a carico del ricorrente ("soggetto
rozzo e violento") sarebbero offensive e rasentanti l'ingiuria, costituendo motivo di
grave inimicizia;
…
2.1 Il procuratore generale in sede ha concluso per la fondatezza del primo e del
quarto motivo, con l'annullamento senza rinvio in ordine alla statuizione sanzionatoria,
con il rigetto del ricorso nel resto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
…
3.2 Secondo e terzo motivo debbono essere trattati insieme. La ricusazione
costituisce una peculiare "applicazione" del principio costituzionale del giudice naturale,
laddove permette alle parti di ottenere la sostituzione del giudice, designato alla
trattazione dello specifico procedimento secondo le norme codicistiche ed ordina
mentali, solo in presenza di specifiche e obiettive ragioni previste dalla stessa disciplina
codicistica. Se probabilmente non sarebbe infatti corretto parlare, a proposito della
ricusazione, di "eccezione" o "limitazione" rispetto al principio del giudice naturale
(perché in definitiva la sostituzione avviene per ragioni oggettive, ritenute dal
medesimo legislatore idonee ad individuare altro magistrato per la trattazione dello
specifico processo), è tuttavia evidente il valore pregnante della tassatività delle ipotesi
di "sostituzione" del giudice. Ogni interpretazione della pertinente disciplina codicistica
che valorizzasse mere aspettative del singolo per un più favorevole giudizio
condurrebbe, quindi, alla lesione dell'indefettibile principio costituzionale del giudice
naturale precostituito per legge.
3.2.1 Con tale premessa, il secondo motivo risulta infondato. L'attribuzione
all'imputato della qualifica di "soggetto rozzo e violento" nella sentenza 14.2.2011 non
risulta infatti funzionalmente del tutto estranea alla trattazione del reato per cui lì si
procedeva (delitto di maltrattamenti), sicché non è, per sè, riconducibile ad una
manifestazione di grave inimicizia personale. Va infatti ribadito il principio di diritto
secondo cui, ancorché, in termini generali, vada ribadita la certa inopportunità che
nel motivare i propri provvedimenti il giudice ceda a tentazioni espositive
estranee alle caratteristiche di sobrietà e continenza indefettibilmente proprie
del ruolo di garanzia e terzietà che gli compete (come può avvenire, a volte,
con l'uso del carattere in grassetto o della sottolineatura o del punto
esclamativo rispetto a espressioni o locuzioni che si connotino per contenuti
moralistici o di apprezzamento personale non indispensabili all'applicazione
SSM /Scandicci/ MOT/08/05/2017 – Citterio 28
della legge al caso concreto), quando ciò accada senza che, tuttavia, tali espressioni
o locuzioni o modalità espositive, pure solo grafiche, siano palesemente estranee ai
punti della decisione che deve essere adottata nel singolo processo, si verte in un
contesto che attiene eventualmente alla mera inopportunità, o ad aspetti di valutazione
della professionalità, o in ipotesi al rilievo disciplinare, senza che possa configurarsi la
condizione della grave inimicizia personale.
…
Orbene, stanti la rilevata infondatezza della prima ragione indicata dalla Corte veneta
a sostegno della decisione di inammissibilità e l'obiettiva estrema sinteticità della
seconda ragione (a fronte di un rilievo comunque attestante un fatto di inopportunità),
la ragione dell'impugnata condanna non può dirsi pur implicitamente indicata (Sez. 6,
sent. 47811/2003). Conformemente alla richiesta del procuratore generale in sede, la
corrispondente statuizione deve essere pertanto annullata senza rinvio.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata limitatamente alla condanna al
pagamento di somma in favore della Cassa delle ammende, che elimina. Rigetta nel
resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2013.
Depositato in Cancelleria il 6 febbraio 2013
Carlo Citterio
pres. sezione penale Corte d’appello di Venezia
3357032156