la nota dolente
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Io e Tullo siamo entrambi appartenenti al "Circolo dei folli", una simpatica combricola di artistoidi i quali ogni giovedi’ sera si riuniscono e si confrontano gli uni con gli altri. C'e’ chi legge le proprie poesie, c'e’ chi recita (come il sottoscritto), c'e’ chi canta, c'e’ chi espone i propri quadri, c'e’ chi suona qualcosa (come il mio amico Tullo).TRANSCRIPT
Alberto Andreanelli
La Nota Dolente
(1997)
Quando lasciai l'appartamento di Tullo, alle cinque del mattino,
rimasi molto scosso, tanto da non ricordarmi, per qualche minuto,
dove si trovasse il mio, di appartamento. In realta’, rimasi
scosso per tutta la settimana, e quella dopo ancora, fino a ieri,
quando ho deciso di mettere tutto per iscritto, un po' per
sfogarmi, un po' per rendermi conto di cio’ che il mio amico mi
disse quella notte.
Io e Tullo siamo entrambi appartenenti al "Circolo dei
folli", una simpatica combricola di artistoidi i quali ogni
giovedi’ sera si riuniscono e si confrontano gli uni con gli
altri. C'e’ chi legge le proprie poesie, c'e’ chi recita (come il
sottoscritto), c'e’ chi canta, c'e’ chi espone i propri quadri, c'e’
chi suona qualcosa (come il mio amico Tullo). Ci sono studenti,
ci sono lavoratori dipendenti, ci sono liberi professionisti, ci
sono uomini e donne. Siamo una ventina di persone, compreso
qualche amico curioso che vuole passare una serata inconsueta e
piacevole all'insegna dell'arte e della cultura. Talvolta si
organizzano delle trasferte vere e proprie per visitar musei o
recarsi a dei concerti. E’ tutto molto spontaneo, genuino, e
ciascuno di noi e’ felice di partecipare a queste riunioni "fuori
dal tempo". Siamo tutti degli artisti "del dopolavoro": c'e’ il
Conte, c'e’ l'Elefante, c'e’ la Pantera, etcetc. Ognuno si ritrova
appioppato un soprannome, tutti meno il caro Tullo, il piu’
geniale dei nostri "confratelli". Tullo lavora come guardia
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giurata e fa servizio di fronte alle banche o nei supermercati.
Tutti sanno che Tullo fa la guardia giurata, e tutti sanno anche
che, in passato, Tullo e’ stato uno dei piu’ grandi pianisti che
abbiano mai calcato i teatri e le sale da concerto del mondo.
Proprio cosi’, un grande genio del pianoforte, a livello di
Rubistein, di Michelangeli, di Arrau. Ma poi, un qualcosa si e’
inceppato nel meccanismo e...Pafh! tutto finito. Un rigetto quasi
completo per il pianoforte, un rigetto che lo porta a rifiutare
il suo presente e futuro successo, ed iniziare una carriera
all'interno della sicurezza nazionale. Nessuno, tranne lui, ed
ora, il sottoscritto, ha mai conosciuto il motivo per cui tutto
fu abbandonato, ma tutti rimangono estasiati dalle sue, pur
brevissime, esibizioni durante i raduni del Circolo. Un suono
ancestrale, "e’ come se Monet e Cezanne dessero una pennellata
ciascuno ai suoni del pianoforte" ama dire il Parigino, con la
prosa che gli e’ propria. C'e’ poco da dire, basta
chiudere gli occhi ed ascoltare.
Al termine di una riunione alquanto movimentata, che fu il
preludio di cio’ che andro’ a raccontare, Tullo, a dire la verita’
stranamente alticcio quella sera, mi prese sottobraccio e mi
chiese di accompagnarlo a casa, poiche’ lui non si sentiva molto
bene. Niente di piu’ facile, gli dissi io, e lo accompagnai.
Parlava molto quella sera, non so se per effetto del vino o per
quale altro motivo, ma fattosta’ che mi invito’ a seguirlo nel suo
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appartamento. Quando entrammo in casa, mi fece accomodare in
salotto e si riempi’ un bicchiere di vino bianco, che butto’ giu’ tutto
d'un fiato. Era stranamente alterato, nervoso, aveva una voglia
dannata di parlare con qualcuno di qualcosa. Continuava a
pettinarsi i capelli con la mano, quei capelli castano chiaro che
gli cadevano insistentemente sulla fronte. Gli occhi color
nocciola brillavano come nei momenti in cui suonava i suoi brani
al pianoforte. Si mordeva lo labbra e sorrideva nervosamente. Io
rimanevo seduto sul divano in attesa di qualche sua parola che,
puntualmente, arrivo’. Non mi guardava in faccia mentre mi
parlava, e questo, forse, lo aiutava. Disse che non aveva avuto
da Dio il dono della parola, ma che aveva voglia di parlare,
tanta di quella voglia che non riusciva neppure lui a
comprenderne il motivo. "Non bisogna aver avuto il dono da Dio,
per parlare", gli dissi io, "basta farlo". Si giro’ verso di me
con uno sguardo terribilmente duro che mi mise a disagio. Poi i
suoi occhi diventarono terribilmente dolci e si apri sulla sua
bocca un sorriso amabile che mi calmo’ subito. "Non lo so ,
ma ho deciso di parlare con te perche’ sento che tra tutti quelli
che conosco, tu sei simile a me, poiche’ guardi le cose non per
quello che sono in apparenza ma anche per quello che potrebbero
essere". Il mio silenzio e il mio sguardo incerto lo fecero
continuare: "Voglio dire, che io so che se adesso ti raccontassi
una storia su di me, sul come e perche’ sono quello che sono e
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sono stato quello che sono stato, per quanto assurda fosse non mi
diresti che sono pazzo, forse lo penseresti, e forse "ci"
penseresti. Ci penseresti e ti renderesti conto che la realta’ non
e’ mai quella che noi vediamo, ma e’ quella che ci creiamo". Una
risatina soffocata da un colpo di tosse usci’ involontariamente
dalla mia bocca. Tullo giro’ la testa verso il pianoforte a muro
che gli stava di fronte e vi appoggio’ entrambe le mani come per
accarezzarlo. Pareva accarezzasse il volto di una donna, gli
occhi gonfi, e il sorriso dipinto sul volto. Quando arrivo’
all'altezza della tastiera incrocio’ le mani, le fece salire fino
al collo e poi le apri’. Sembrava un vecchio druido durante una
cerimonia pagana. D'un tratto, con violenza inaudita, le sue mani
piombarono sui tasti del pianoforte, facendone uscire un suono
terribile ed angoscioso. "Beethoven", mi disse. Non era stato un
gesto casuale, un rumore improvvisato, le sue dita avevano
composto perfettamente il mosaico di note di quel suono oscuro.
"Mi devi promettere che non interromperai mai il mio racconto",
disse guardandomi con gli occhi semichiusi. Annuii, e mi accorsi
di avere ancora il cappotto addosso. mi alzai e lo misi
sull'appendiabiti. La serata era splendida, una leggera brezza
muoveva gli scuri alle finestre, e l'abbaiare di un cagnolino per
la strada mi riavvicino’ improvvisamente al pianeta Terra dal
quale mi ero allontanato. Incrociai le gambe e guardai l'ora:
2:50. Ero un po' stanco, ma ansioso di ascoltare il racconto del
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mia pianista preferito. Lo guardavo mentre fissava nonsisacosa
dalla finestra e mi venne in mente la prima volta che lo
ascoltai. Una decina di anni fa mi trovavo per lavoro a New York
e, grazie ai favori di un'amica musicista, riuscii ad avere la
grande fortuna di vedere l'ultimo concerto in pubblico di questo
leggendario, anche se giovane, genio della tastiera in bianco e
nero. La mia amica era una vera fanatica di Tullo, aveva tutti i
suoi dischi, non si perdeva un concerto ogni qualvolta passava
per lo stato di New York, seguiva le recensioni e i commenti
delle sue esibizioni. Insomma era praticamente cotta! mi racconto’
dei primi, straordinari passi nel mondo musicale di Tullo: a due
anni mise le mani sul pianoforte per la prima volta suonando
qualche battuta del secondo movimento del concerto n. 5 di
Beethoven per pianoforte ed orchestra strabiliando i suoi
genitori, soprattutto suo padre che era un pianista "da
battaglia". A quattro anni il suo primo concerto in pubblico,
suonando le Variazioni Goldberg di Bach! Sembrava che giocasse con
il Lego, ed invece creava suoni meravigliosi con quelle mani
piccole piccole. Pareva addirittura impossibile che fosse un
bambino a suonare quelle note. Era nato un grande
artista o un fenomeno da baraccone? fortunatamente il padre del
piccolo Tullo non aveva intenzione di farsi un sacco di soldi
alle spalle del figlio, e lo amministro’ con giudizio e sani
valori morali, cosa che stupi’ tutti gli addetti ai lavori.
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"Generalmente avviene il contrario, ma tanto meglio per il
piccolo". Si diplomo’ al conservatorio a sette anni, ed inizio’ la
sua carriera di bambino prodigio in giro per il mondo. In verita’,
le sue esibizioni erano abbastanza rare, a causa dei suoi impegni
di studio. Il piccolo andava a scuola regolarmente e con ottimi
risultati. La sera, prima di coricarsi incideva qualche sonata
per le maggiori case discografiche, che si facevano in quattro
per produrre i suoi famosi "Concerti in salotto". Talvolta
riceveva la visita di un grande solista, che generalmente
rimaneva sbalordito dalla sua tecnica eccezionale in un corpo
cosi’ acerbo. Ma Tullo aveva avuto il dono della musica. Diceva
sempre che si voleva diplomare all’istituto tecnico "perche’ non si sa
mai nella vita”,magari un giorno mi stufo e non suono piu’". Lui lo
diceva e gli
altri ridevano, pensando ad una battuta. Cercai di ricordarmi il
suo volto quando lo vidi la prima volta a New York e subito lo
confrontai con quello che mi stava di fronte, appoggiato al muro
e con lo sguardo al di la’ della finestra. Non era cambiato
neppure di una virgola, straordinariamente fresco e
giovanile...giovanile, d'altra parte era ancora davvero giovane,
poiche’ si era diplomato, senza perdere neppure un anno, l'estate
passata. Io, invece, mi ero diplomato diverse estati prima,
molte...diverse, ma era come se non ci fosse un giorno di
differenza tra me e lui, in quel momento, in quell'attimo che
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sembrava essere senza tempo, senza spazio, che sembrava non
esistere. Lo guardavo ed attendevo che inziasse il suo racconto.
Guardai l'orologio sul suo polso che diceva: sono le 3:00. "E’ la
seconda volta che guardi l'orologio nel giro di dieci minuti,
cosa c'e’, devi andare?" mi chiese. "No, non ti preoccupare, non
ho orari, oggi." Sbuffo’ sorridendomi e mi si avvicino’. Si sedette
accanto a me sul divano e mi disse, indicando il pianoforte: "Lo
vedi? Lo vedi quel pianoforte? E’ per quel coso li’ che io non
suono piu’! E’ successo tutto li’ sopra!" Lo guardai in silenzio con
un'aria un po' interdetta che lui respinse con un sorriso. "Ok,
lo so, lo so, tutto cosa? Cosa puo’ essere mai successo sul quel
pianoforte di cosi’ dannatamente terribile da farmi rinunciare a
tutto il successo e la fama che mi erano stati elargiti dal
destino? Oh, mio Dio, se soltanto tu potessi sapere cos'e’ per me
la musica, cos'e’ per me il suono di un tasto di pianoforte. E’ la
vita, e’ l'amore, e’ la gioia, e’ la rabbia, e’ l'odio. Quando ho
posato un dito per la prima volta sulla tastiera, il suono che ne
e’ scaturito mi ha parlato, mi si e’ fatto amico, ha giocato con
me, ed io l'ho inseguito, e lui mi ha presentato altri amici e
siamo stati insieme. Io parlavo con le note, io le ascoltavo, per
me avevano un odore ed un peso. Io le seguivo e ci giocavo, loro
mi accompagnavano e mi accudivano. Io non ho mai fatto fatica nel
suonare un brano, nel creare della musica: io sapevo gia’ tutto!
Era gia’ tutto nel cervello, se non avessi avuto un pianoforte a
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casa, forse non avrei mai saputo di possedere questa
straordinaria capacita’. Ti rendi conto che quando avevo
quattordici anni sono stato tutto il pomeriggio a parlare di Bach
con Glenn Gould in camera mia, in un albergo a Toronto? Dico,
Glenn Gould, un mistico del XX secolo che era considerato un
mezzo matto, un eremita che non usciva mai, che stava dalla
mattina alla sera a suonare Bach, ed io c'ho parlato, c'ho riso e
scherzato! A sedici anni! Questa era la mia vita, una vita nella
quale la musica e’ entrata senza traumi, senza fatiche: scale
ascendenti? cromatiche? esatonali? Tonalita’? Dissonanze? Io le ho
scoperte dopo tutte queste cose, prima le suonavo e basta,
naturalmente, come l'usignolo sul ramo dell'albero. Cosa diavolo
ne sa lui se quello che sta cantando sia in Do minore o se la
scala sia diatonica di primo grado? Lui canta e basta! E, forse,
non lo sa neppure di esibirsi! Io non ho mai amato le esibizioni
in pubblico, ho sempre preferito incidere dischi. Perche’? Non lo
so, credo perche’ sia una cosa molto intima suonare, e’ come se
parlassi di te stesso, di quello fai, di come sei, e sono pochi
a capire queste cose. E parlare di se’ stessi significa anche
improvvisare, ecco perche’ non mi sono limitato allo studi dei
classici. Certo, interpretandoli dico qualcosa anche di me
stesso, dico quello che sono, ma e’ soprattutto improvvisando che
parlo di me e lo studio del jazz e’ stata la scoperta piu’
affascinante in questo senso. Mi ricordo di aver parlato una sera
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con Keith Jarrett, il quale mi diceva che i grandi compositori
del passato sono stati grandi improvvisatori e che della loro
arte noi abbiamo soltanto le pagine scritte. C'e’ quindi da
chiedersi che cosa sarebbe la musica oggi se ci fosse stato un
registratore all'epoca...ma questo e’ un altro discorso. E’
meraviglioso improvvisare, meraviglioso. Quando fai un assolo .
come se tu parlassi, e’ come se tu facessi un discorso, e quindi
devi seguirne il filo, devi dargli un senso, deve avere un inizio
ed una fine e, soprattutto, deve essere assolutamente tuo. Ecco
perche’, talvolta, odio i classici, proprio perche’ non sono io che
parlo, non sono io che ho scritto quel discorso! E poi non e’
spontaneo suonare per qualcuno, e’ troppo vincolante; bisogna fare
sempre quello che vuole il pubblico, poiche’ il pubblico si
aspetta qualcosa da te, e quella cosa, magari; tu non hai voglia
di farla quella sera! ma sei costretto! Al diavolo, si fottano
tutti e tutto! Adesso posso fare quello che voglio, sono
libero...o forse sono ancora prigioniero...non lo so! Non lo so!"
Si alzo’ di scatto e diresse verso il leggio sul pianoforte ove
era posto uno spartito. Lo prese e ritorno’ a sedersi vicino a me.
Lo sfoglio’ rapidamente fin quando si fermo’ su di una pagina che
sembrava bruciacchiata. "La vedi questa pagina? E’ successo tutto
dentro questa maledetta pagina di fuoco. Guarda, questa e’ la
partitura della Sonata p.r pianoforte n. 32 opera 111 di Ludwig
Van Beethoven, l'ultima delle sue pagine scritte per il
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pianoforte. L'ultima e la piu’ misteriosa, poiche’, ancor'oggi, non
tutto il significato di questo capolavoro e’ stato compreso. Tengo
molto a questo spartito, mi e’ stato donato in regalo dal
grande Vladimir Horowitz in occasione di un concerto che tenni a
Vienna qualche anno fa. Questa sonata mi ha sempre affascinato
molto, mi ha trasportato ai confini dell'umano, nelle recondite
profondita’ dell'anima. Ti sembreranno parole grosse, tanto per
fare un po' di scena, e te ne do atto, sono davvero parole
grosse: confini, profondita’, animo umano. Non sappiamo bene che
cosa siano, ma ci piace parlarne di continuo. Forse Beethoven,
nella completa oscurita’ della sua sordita’ e’ riuscito ad arrivare
in quei luoghi dell'anima che tutti noi cerchiamo disperatamente
di raggiungere. Sono un po'...palloso, vero? Me lo immagino,
forse sono un po' brillo, e questo non fa altro che rendermi
ancora piu’ sincero! Quello che mi e’ successo e che ora ti
raccontero’ e’ la storia piu’ assurda che tu potrai mai ascoltare da
un essere vivente e cosciente, che sa quello che dice e che sa
con chi sta parlando. Non sono un pazzo, credimi, e soprattutto
non ho sognato. Dopo ti mostrero’ qualcosa che confermero’ la mia
storia. Ma adesso ci vuole un altro bicchierino." E cosi’ si
allungo’ verso il bar e verso’ un po' di vino in due bicchieri.
Brindammo alla sua storia e tracannammo.
"Erano le sette di sera, ero appena rientrato da una corsa
al parco ed avevo molta voglia di suonare. Mi feci una bella
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doccia e mi misi in accappatoio di fronte alla libreria, cercando
uno spartito che mi ispirasse dalla punta dei capelli fino alla
punta dei piedi. Passavo il dito indice su tutti i tomi, andavo e
tornavo, era come se l'indice cercasse da solo cosa avrei dovuto
suonare. Dopo un bel po' di tempo scelse la sonata n. 32 di
Beethoven. Mi misi una maglietta ed un paio di pantaloni di una
vecchia tuta e, con lo spartito sottobraccio, mi sedetti al
pianoforte. Iniziai a strimpellare qualche accordo di
riscaldamento, poiche’ avevo le mani ancora un po' affaticate
dalla corsa, e subito sentii qualcosa di strano nella tastiera,
qualcosa che non avevo mai sentito prima: mi stava chiamando. Non
mi chiamava con delle parole precise, ma era come se i suoni da
me evocati mi avvolgessero e mi portassero verso l'interno del
pianoforte. Sgranai gli occhi stupefatto della sensazione che
stavo provando e mi alzai dirigendomi verso la cucina, ove mi
preparai una spremuta d'arancia. Ritornai sui miei passi e mi
promisi di restare calmo! Aprii lo spartito ed iniziai a suonare
senza guardare il pentagramma. Ad un certo punto mi fermai e
controllai sullo spartito: aveva gia’ suonato quindici pagine. Mi
sentivo molto in forma quella sera, ed avevo lo strano
presentimento che qualcosa sarebbe successo di li’ a poco, e
quando io sento qualcosa puoi star certo che qualcosa accade. Per
esempio, alla fenice di Venezia debuttai a dodici anni e, seppure
non avessi paura di esibirmi in pubblico, sentivo che sarebbe
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accaduto qualcosa di spiacevole ed inatteso. E fu l'acqua alta,
che impedi’ a trequarti del pubblico di raggiungere il teatro in
orario; iniziai lo spettacolo con due ore di ritardo rispetto al
previsto, e fu un grande successo". Mi venne subito in mente il
titolo del giornale che si riferiva a quell'episodio: "Il piccolo
Tullo sconfigge l'acqua alta". Lo guardai e provai ad immaginarmi
quante cose avesse potuto vedere nella sua breve vita quel
giovane talento, quante cose avesse fatto, quante persone avesse
potuto incontrare durante i suoi viaggi, ed aveva ancora tutta la
vita di fronte a se’. "Ripresi a suonare con grande trasporto la
sonata per altre venti pagine e poi, curiosamente, mi 'incastrai'
su di una nota. Non riuscivo a capire perche’, ma non era la nota
di sempre: o era scordato il pianoforte, cosa impossibile, o il
mio orecchio era andato fuori uso. Continuavo a premere il dito
sul tasto e il suono che ne usciva era fastidiosissimamente
stonato. Mi spostavo sui tasti vicini e tutto andava bene,
ritornavo su quel maledetto e...Zach! una staffilata nelle
orecchie! Guardai sullo spartito e mi accorsi, con grande
stupore, che quella nota non esisteva nella sonata, non esisteva
in quella musica. E allora perche’ continuavo a suonarla, e perche’
continuava ad uscirne un suono cosi’ antipatico? Il dito medio
continuava imperterrito a strimpellare su quel tasto, prima
accarezzandolo, poi con forza, premendo rabbiosamente...e poi, e
poi, avvenne quello che nessuno potrebbe mai credere, avvenne
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quello per cui potrei finire in una clinica psichiatrica, avvenne
quello per cui ora sono una guardia giurata felice di essere una
guardia giurata." Chiuse gli occhi e si porto’ le mani sul viso,
massangiandolo con vigore. Si gratto’ nervosamente la nuca con
entrambe le mani e riprese il racconto. "Stavo suonando quella
nota senza spazio e senza tempo, quella nota che non esisteva se
non dentro me stesso, quando vidi che il mio dito, la mia mano,
il mio braccio iniziavano ad evaporare e condensarsi in qualcosa
di scuro. Non sentivo alcun dolore, non sentivo niente, neppure i
rumori consueti del mio appartamento, ed intanto anche i piedi e
le gambe se ne erano andati, e comincio’ ad insinuarsi nelle mie
orecchie quel suono terribile che aveva iniziato ad angosciarmi.
Stavo scomparendo nel nulla, stavo diventando minuscolo, stavo
diventanto un piccolo puntino nero, ed al rumore fastidioso della
nota infelice si sostitui’ una sinfonia di suoni colorati come non
avevo mai sentito in vita. Il mio corpo era completamente
scomparso, e tutto, intorno a me, era diventato gigantesco; non
avevo piu’ un peso, stavo galleggiando nell'aria e l'unica cosa
che riuscivo a distinguere era il pentagramma di fronte a me.
All'improvviso, come se fossi diventato pesante mille tonnellate,
precipitai violentemente proprio sul pentagramma e mi schiantai
sulla carta. E fu il buio.
Non so quanto tempo passo’ dal momento in cui mi schiantai a
quello in cui ripresi conoscenza. Potevano essere passati anche
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degli anni. Al buio pesto che aveva accompagnato la mia caduta
segui’ un arcobaleno accecante che mi fece balzare in piedi
atterrito, poiche’ non ricordavo assolutamente che cosa mi fosse
capitato. La luce svani’ e cominciai a pensare di essere diventato
completamente pazzo e che stavo sognando. Vidi che il mio corpo
aveva ripreso la sua forma originaria, le mani erano tornate
mani, le braccia braccia e anche tutto il resto era al suo posto!
Provai a camminare ma mi accorsi di essere legato ad un muro da
qualche filo invisibile. Ridetti di quello che mi stava
succedendo e pensai che non avrei piu’ suonato dopo una corsa al
parco: troppa fatica! E queste sono le conseguenze! Stavo ancora
ridendo quando alzai lo sguardo per dare un'occhiata alla stanza
nella quale ero rinchiuso. Ma non riuscivo a non pensare, primo:
perche’ dovrei essere rinchiuso in una stanza? Secondo: cosa ho
fatto di male? Perche’ non riesco a liberarmi da questi fili?
Perche’ sono dei fili invisibili? Esistono i fili invisibili?
Pensavo a queste cose quando mi venne una voglia terribile di
gridare! Gridai, ed il suono che usci’ dalla mia bocca mi
sconvolse: era quello della nota infelice! Provai a parlare
normalmente, a dire il mio nome e cognome...! Gesu’! Niente,
sempre e soltanto quel maledetto suono! Non era possibile. Era un
maledetto incubo dal quale avrei dovuto svegliarmi al piu’ presto.
Chiusi gli occhi e provai a svegliarmi...niente! Niente! Niente!
Era tutto vero. Era tutto vero. Non era un sogno. Era la mia
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vita. Ero in trappola. Avevo iniziato a respirare affannosamente,
e decisi di calmarmi, di affrontare quella folle situazione con
calma. Iniziai a ridere, e a scuotere la testa, a maledire la mia
condizione, non lo neppure io cosa pensavo, e tutto, intorno a
me, era immobile. Pensavo di essere in una stanza ma forse non lo
era, l'unica cosa certa e’ che sentivo dei suoni che si ripetevano
con un certo ritmo. In principio, credevo che fossero soltanto
dei suoni, ma piano piano questi suoni presero vita, e mi
sembrava addirittura di capirli. Ma non riuscivo a scorgere
niente di fronte a me, se non una luce biancastra. Mi giravo a
destra e a sinistra, cercavo di vedere se c'era qualcun'altro
insieme a me, ma niente, niente, niente! Rimasi con gli occhi
chiusi per un bel pezzo. Quando li riaprii il colore della luce
era mutato in una sfumatura porpora e, incredulo, cominciai a
guardare con attenzione la cosa che mi si parava di fronte, ad
una distanza di qualche metro. Probabilmente c'era sempre stata,
anche prima che chiudessi gli occhi ma, non avendo mai visto
niente del genere in vita mia, non la distinguevo dalle ombre e
dalle luci nelle quali ero immerso. Hai mai pensato a quante cose
esistono e che noi non vediamo, e che per questo motivo diciamo
che non esistono?...Scusa, son proprio discorsi da 3:OO di notte!
Gesu’! Pensai di avere le traveggole: vidi una linea lunga lunga,
forse tre metri, ondulata e sinuosa, che quando si
muoveva...suonava, una sorta di lamento, ed ogni volta era sempre
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lo stesso suono, un suono cupo. Doveva essere imprigionata come
lo ero io, poiche’ non si muoveva dal suo posto. Girai lo sguardo
verso destra e scorsi un'altra forma che prima non avevo visto:
hai presente il filo del telefono, tutto arricciato? Una cosetta
alta un metro, nera come la pece, che si agitava tutta, emettendo
un suono dolce acutissimo. Forse non ero proprio pazzo, anzi,
forse mi era stata concessa la possibilta’ di entrare nella mia
testa e di fare la conoscenza della...della...o forse sono
proprio pazzo". Si lascio’ cadere sullo schienale del divano e
sbuffo’. Rimanemmo in silenzio per circa cinque minuti, cinque
lunghissimi minuti. Poi riprese. "Iniziai a pensare seriamente ad
un sogno, e mi dissi che tanto valeva divertirsi un po'.
Riconobbi altre due figure nella stanza, una sfera e una 'esse'
piccola piccola. Cercai di comunicare con esse ma, purtroppo, il
suono della mia voce dava fastidio anche a loro. Senza rendermene
conto, nella mia testa stava succedendo qualcosa: stavo cambiando
il mio sistema di linguaggio, se cosi’ posso definirlo. Avvenne
tutto naturalmente, e non poteva essere altrimenti! Nella mia
mente, i pensieri non erano piu’ composti da parole in sequenza
logica; ma da frasi musicali. D'improvviso le parole erano
scomparse, come se non fossero mai esistite, e fu la musica. Era
una cosa che avevo desiderato e che avevo cercato di fare per
tutta la mia giovane vita: poter pensare in musica, poter parlare
in musica. Ed ora che vi ero giunto tanto vicino la mia voce mi
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tradiva e mi abbandonava. O forse era la voce dell'anima, forse
non ero puro come avrei duvuto essere per un appuntamento
importante come quello. O forse sono tutte fregnacce! Cosa ne so
io? Cosa ne so?....mi rendevo conto che eravamo tutti li’ per lo
stesso motivo, ma qual'era questo motivo? Che cosa avevo fatto di
talmente grave? Non sapevo che fare, se ridere o se piangere. Il
tempo passava lentamente o, perlomeno, a me sembrava cosi’ e,
oltretutto, non riuscivo a scambiare due parole con i miei
compagni di cella, se cosi’ vogliamo chiamarli. Il muro porporato
che delimitava il mio campo visivo prese un colore crema e si
squaglio’ come un gelato. L'apertura che si formo’ permise a tre
strane figure di entrare e di prelevare altrettante forme
prigioniere, e di lasciarmi a bocca aperta: le tre figure erano
delle intersecazioni di forme originali; tipo un cerchio ed un
quadrato, e si muovevano come i meccanismi interni di un
orologio. Pareva che rotolassero, emettendo un suono incantevole.
Non appena se ne uscirono il muro riprese il suo aspetto
originario ed il silenzio la fece da padrone per un bel po'! In
realta’ non era un vero e proprio silenzio, poiche’ vi era sempre,
in sottofondo, un lieve tintinnio. Ero rimasto solo con il "filo
del telefono", e cercai di parlargli. mi presentai, e gli chiesi
se era a conoscenza di dove ci trovavamo. "Accidenti, che brutta
voce che ti ritrovi! ma che diavolo di nota sei?" fece lui. Gli
spiegai che non ero una nota, ma bensi’ un musicista. "Ah! Sei uno
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sfruttatore, allora!" Mi disse che tutte quelle strane cose che
avevo viste erano delle note, e le tre figure che avevano sciolto
il muro erano degli accordi. Ero capitato in una sorta di
prigione-purgatorio per le note che non rispettavano le regole.
"Le note vengono trasferite dalla superficie dello spartito
all'interno della musica, e ad ognuna di loro viene spiegato il
proprio ruolo e significato all'interno della struttura
generale." Mi disse che non tutte le note sanno quello che devono
fare; la maggior parte nasce ed e’ gia’ a conoscenza della propria
destinazione e del proprio incarico; ma esiste una minoranza
che deve essere istruita. "Ma non riesco a capire cosa diavolo ci
faccia uno come te quaggiu’!" si domandava. In principio ero
convinto di essere all'interno di un sogno rivelatore, uno di
quei sogni che ti fanno cambiare vita. Ma piu’ passava il tempo e
piu’ mi rendevo conto che era tutto assurdamente vero. Mentre si
parlava del piu’ e del meno (con mio grande stupore mi accorsi che
la nota non conosceva ne’ forme binarie, ne’ ritmo, ne’ scale, ne’
intervalli) fui prelevato da un paio di accordi senza
accorgermene e mi ritrovai a camminare lungo dei corridoi
turchesi, larghi all'incirca sei o sette metri. Osservai con
attenzione gli accordi: erano straordinari. Perfetti nel loro
movimento meccanico, davano una sensazione di assoluta festosita’
grazie, soprattutto, alla musica che producevano ad ogni
movimento: era una musica che non avevo mai sentito...o meglio,
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che avevo sempre sentito e ma che non ero mai riuscito a
riprodurre. Era la musica della mia anima; quella musica che, fin
da bambino, aveva circolato nel mio sangue, quella musica che mi
aveva permesso di suonare tutto senza difficolta’. Avevo soltanto
due accordi accanto a me, e sembrava che ci fosse un'intera
orchestra. Attraversammo un ampio salone porporato e ci fermammo.
Mi dissero di aspettare li’, e si allontanarono. In sottofondo
persisteva quel lieve tintinnio che avevo sentito in cella. Mi
guardai un po' attorno ma non scorsi nulla che potesse
incuriosire i miei sensi e feci una passeggiata girando in tondo.
L'eco dei miei passi si confondeva al tintinnio persistente.
Cercai di trovare una sorta di unisono con esso: mi misi a
ballare. Pensai immediatamente a Fred Astaire e al tip tap.
Pensai a Fats Waller. Pensai che era tutto meraviglioso, anche
l'essere finito laggiu’. E ballai, seguendo il tintinnio, che non
sembrava piu’ un tintinnio, ma era molto di piu’. E ballai ancora.
Ne usciva una sorta di contrappunto, tra i miei passi ed il lieve
tintinnio; non stavo usando le mani questa volta, ma i piedi, ed
era sempre musica. D'un tratto il tintinnio s'interruppe, per
riprendere qualche momento dopo. Io continuai a danzare, a girare
su me stesso, a saltare, a gridare! ma dovetti arrestare il
mio...sfogo: alle mie spalle una forma gigantesca, di un'ocra
bruna, quasi eterea, indefinibile, oscurava il porpora del
salane. Mi si avvicino’ e mi parlo’: "Eccoti finalmente arrivato.
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Era da tempo che ti aspettavamo. Hai avuto fortuna finora,
qualcuno ti ha protetto, evidentemente, ma adesso non puoi piu’
sfuggire." Non sapevo che dire, non riuscivo a parlare. La
melodia che avevo appena ascoltato era incredibilmente seducente
come tutta la musica che...girava li’ attorno. Non c'era astio nei
miei confronti, ma soltanto rigore. Io ero stato scorretto e
dovevo ritornare sui miei passi. "Io sono la tonalita’ della
sonata di Beethoven che stavi suonando, sono il Do minore.
Comando io qua dentro, mentre tu comandi fuori. Sono sicuro che non
hai ancora compreso il motivo per il quale sei qui, vero?
Come immaginavo. In questo momento ti trovi all'interno della
sonata. Tutte le note e gli accordi che hai visto e che vedrai
sono tutti integrati o da integrare alla sonata. Il tintinnio
perpetuo, o quasi, che senti e’ la nostra piccola fabbrica: le
note stanno costruendo gli accordi. Il motivo per cui sei qui e’
molto semplice: devi tornare a suonare con l'anima. Mi e’ stato
riferito che, da qualche tempo a questa parte, stai suonando
senza cuore, come una macchina. E questo va bene per chi non ha
talento, ma da quel che ne so io, e ti conosco da molto tempo, a
te e’ stata concessa la fortuna di parlare con le note! Ed ora
tu!...ci volgi le spalle, e ci tratti come se non esistessimo.
Devi pagare per la tua prepotenza! Sei soltanto uno sfruttatore!
E questo non e’ possibile! E’ per questo che sei finito qua, per
ritrovare quello che hai perduto! Voi musicisti credete di
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suonare sempre la stessa nota! Ah! Stupidaggini! Non esistono due
note uguali: non esistono due do o due rebemolle! Ne esistono
migliaia, ed ognuna possiede un significato particolare. E tu,
questo lo sapevi, te ne rendevi conto ogni volta che posavi le
dita sulla tastiera. E donavi loro vita, donavi loro respiro, e
le facevi volare. Devi tornare a farle volare, le tue note, o
morirai con loro. E soltanto passando per di qua potrai tornare
alla tua realta’, e alla tua liberta’. Non sei piu’ un poeta, sei
prigioniero della tua tecnica, della tua abilita’, e del tuo
successo. Sei tu, la nota infelice, che stona all'interno della
sonata. E soltanto questa musica, la musica di Beethoven ti puo’
salvare: la musica di chi non puo’ piu’ sentire con l'orecchio, ma
di chi puo’ ascoltare con l'anima." Cercai di spiegargli che era
assurdo tutto quello che mi stava dicendo, ma non ottenni altro
risultato se non quello di farla infuriare! "Ma e’ mai possibile
che tu non ti renda conto della gravita’ della situazione? Credi
davvero di essere in sogno, e che tutto cio’ non sia vero? Non
esiste soltanto la tua realta’, mio caro! C'e’ tutto un mondo
inesplorato che ti sta di fronte e che tu eviti ogni giorno della
tua vita...ne rimarresti raggelato! Vedi, e’ raro che un musicista
finisca qui, ed e’ un grande privilegio se cio’ accade. Bisogna
saperne approfittare, bisogna essere capaci di dire a se stessi
che si e’ sbagliato qualcosa, e che si puo’ rimediare all'errore. E
tu sei qui per questo. Adesso ti spieghero’ brevemente che cosa
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dovrai fare, quale sara’ la tua...penitenza. Verrai portato sulla
Strada delle Note, e ciascuna nota che incontrerai dovra’
accendersi e innalzarsi alla sua giusta altezza, poiche’ ora si
trovano tutte allo stesso punto, sono tutte sulla linea, sono
tutte senza vita. Tocca a te rimettere tutto a posto! Soltanto
cosi’ potrai tornare indietro, e ritrovare la tua giusta tonalita’.
Ed ora basta, ho parlato anche troppo! Accordi! Presto, a me!"
Cosi’ dicendo si allontano’ dal mio campo visivo e scomparve. fui
accompagnato da un paio di accordi fino alla Strada delle Note:
un lungo sentiero nerazzurro sospeso nel vuoto, un vuoto color
crema. Distese sul sentiero potei scorgere un numera incredibile
di forme...cioe’, di note. Quella era la mia salvezza, la mia Via
Crucis. Gli accordi se ne andarono lasciandomi solo di fronte a
quella vista che mi dava le vertigini. Il sentiero era largo
circa quattro metri, e da entrambe le parti si apriva un
precipizio senza fondo, un viaggio verso l’infinito, verso il
nulla. Mi feci coraggio, respirai a fondo, e mi avvicinai alla
prima nota. Non avevo alcuna idea di come avrei potuto
risvegliare quelle creature e cosi’, provai a toccare la nota con
una mano. Era fredda come il ghiaccio e la sensazione mi fece
ritrarre il braccio di scatto. Piu’ guardavo la nota e piu’ mi
convincevo che non sarei mai stato in grado di salvarmi, che
sarei rimasto per sempre prigioniero li’ dentro. Mi sedetti e mi
strinsi nelle ginocchia. Pensai alle parole della tonalita’, al
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mio animo "corrotto", ma corrotto da cosa? Cosa avevo fatto di
cosi’ terribile? Chiusi gli occhi ed iniziai a ripassare
mentalmente tutte prime le note della sonata, provai a cantarle,
mi alzai e provai a ballarle, provai a sentirle. Ripetei
l'operazione, e poi all'inverso, fino a quando, , con gli occhi
chiusi, strabiliandomi, riuscii a vederle! Ero riuscito a vedere
le note! Aprii gli occhi, ed erano le stesse note che avevo di
fronte a me. Ecco quello che mi mancava! Non ero mai riuscito a
vederle, a distingurle le une dalle altre, se non attraverso una
notazione grafica sul pentagramma! Ma, in realta’, erano
differenti le une dalle altre, come io lo sono da te! E non lo
sapevo, non me ne ero mai reso conto. Mi sentivo scoppiare di
gioia, e corsi verso la prima nota, la toccai con la mano ed essa
si alzo’ ed inizio’ a volare sopra la mia testa. Rimasi a mirarla,
a bocca aperta, fino a quando non si arresto’ e non rimase
immobile e bellissima come un'opera d'arte. Ed era soltanto una
nota. Cominciai a correre attraverso le altre come un forsennato,
con il sorriso di un folle stampato sul viso. Le toccavo ed esse
volavano come dei fenicotteri impazziti sulla mia strada, ma era
tutto preciso, tutto calcolato, era tutta la musica! Ero pazzo di
gioia, ero pieno di energia, pensavo di essere finito in un
cartone animato, ed invece era l'ultima possibilita’ di tornare a
vivere. Pazzesco! Col passare del tempo mi accorsi che non tutta
la disposizione era causale: come nelle pagine di uno spartito
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esistevano delle proporzioni tra una zona e l'altra, ed erano
dettate da "chiavi di violino" viventi, che definivano gli spazi
come i muri di una casa. Non avevo bisogno di farle rivivere,
poiche’ lo erano gia’. Era la piu’ grande esibizione della mia vita!
A meta’ strada, o almeno pensavo che fosse cosi’, mi fermai per
riposarmi, e fui avvicinato da un accordo, che aveva il compito di
controllare ogni mio movimento. "Ti devo dire una cosa." mi
spiego’, "anche se arriverai fino in fondo, non riuscirai mai a
salvarti! Se sei finito qui e’ perche’ qui devi rimanerci. Non si
torna indietro." Non riuscivo a capire. "Ti sembrera’ strano che
sia proprio un accordo a dirti questo, ma ne ho viste troppe di
ingiustizie per continuare a rimanere in silenzio. Hai soltanto
una possibilita’ per andartene e tornare da dove sei venuto! Gia’,
perche’, lungo il sentiero, troverai una nota che avra’ la
forma...che avra’ proprio la tua forma, troverai te stesso sul
sentiero. Quello che devi fare e’ gettare il tuo gemello dalla
Strada e raggiungere, su di una chiave di violino l'apertura che
si e’ formata proprio nel punto in cui sei giunto qui! Quando sei
arrivato, sei passato attraverso un piccolo pertugio che non e’ stato
ancora chiuso.
E’ quella la tua via di fuga.
Ricordati che non esistono gemelli nella musica. O tu o lui, questa e’ la
legge, e se tu lo sveglierai, non ritroverai la tua tonalita’,
ma bensi’...la tua morte. Questo non e’ il tuo mondo, ma il suo!
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Tu non potrai mai sopravvivere. Devo andare ora,
ti raccomando, scappa!" E torno’
sui suoi "passi", lasciandomi esterrefatto e muto. Cercai di
ritrovare rapidamente il lume della ragione e continuai il mio
cammino, concentrandomi sul mio compito. Dovevo andarmene,
questo
lo sapevo e, forse, quello che avevo appena sentito non era vero,
erano delle fregnacce. Ma non era cosi’. D'un tratto, a qualche
metro di distanza vidi, disteso sulla Strada, il mio corpo...il
mio corpo. Era tutto vero, dunque. Ero proprio io, come
addormentato, comodamente accovacciato. Mi misi le mani nei
capelli, e imprecai. Ma non serviva a niente. Era tutto inutile.
Pensai subito alla chiave di violino, cercai il piccolo foro dal
quale ero entrato: era di fronte ai miei occhi, ad una distanza
di qualche metro oltre il baratro in cui dovevo gettare il mio
gemello. Niente gemelli nella musica!" Tullo si alzo’ di scatto
e si diresse in cerca del suo cappotto, ne tiro’ fuori il pacchetto
di sigarette ed un accendino. Se ne accese una e rimase a parlare
in piedi, con le spalle al pianoforte. "Mi avvicinai per
spostarlo, ma non appena lo toccai egli si ridesto’ come da un
sonno secolare e mi fisso’ con uno sguardo diabolico. Non lo
volevo far volare, lo volevo soltanto gettare
dal sentiero, ma, evidentemente, nelle mie mani c'era la musica! E
tutto cio’
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che toccavo prendeva vita. Mi afferro’ per la gola e cerco’ di spingermi
verso il precipizio. Riuscii a divincolarmi dalla sua presa e a
fuggire verso la chiave di violino che avevo precedentemente
individuato. Saltai e risvegliai alcune note, giusto per
interporle tra me ed il mio inseguitore che si accaniva nella sua
azione. Fondamentale in questo senso fu il mio ex compagno di
cella, il filo arricciato, che fece piombare al suolo il mio
gemello, permettendomi cosi’ di saltare in groppa alla chiave di
violino. Era come andare a cavallo. Tornai indietro e puntai
contro me stesso, il quale riusci’ ad evitare lo scontro e ad
afferrarmi per una caviglia. Era terribilmente forte, e non
mollava la presa. La chiave di violino sbando’ lateralmente
facendomi perdere l'equilibrio, ma riuscii a rimanere in sella
aggrappandomi al suo collo. Il mio aggressore era sempre
avvinghiato alla mia caviglia che iniziava a sanguinare. In
equilibrio molto precario tirai fuori da una tasca dei pantaloni
un accedino. Gli occhi del mio gemello girarono su se stessi
poiche’ aveva capito cosa volevo fare, ma cio’ nonostante egli non
mollo’ la presa. Stavo per raggiungere la mia salvezza. Accesi
l'accendino e cercai di dar fuoco al mio diavolo. Il suo volto si
infuoco’ come una torcia, pareva fosse un essere di carta, ma non
mollava ancora la presa. Giungemmo come dei treni all'entrata del
piccolo tunnel che mi avrebbe portato alla vita. Non appena vi
entrammo la chiave di violino ai sgretolo’, il mio sosia esplose
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come una bomba ed io fui catapultato fuori come uno sputo."
Si avvicino’ al divano ed indico’: "Mi ritrovai proprio su questo
divano, con il viso schiacciato sullo schienale ed il sedere in
alto, la caviglia ancora sanguinante. Mi girai verso il
pianoforte e vidi che lo spartito stava bruciacchiando. Corsi
rapidamente verso di esso e, con il bicchiere che tenevo sul
pianoforte, riuscii a...domare l'incendio. Mi guardai le mani e
mi ritrovai a stringere l'accendino. Tremavo come una foglia. Ero
come svuotato." A quel punto si tiro’ il calzino della gamba
sinistra e mi fece notare che c'erano delle cicatrici sulla
caviglia. Mi veniva da vomitare. Non lo so perche’, ma mi veniva
da vomitare. Tullo mi si avvicino’ e mi prese la mano. Me la
strinse vigorosamente e mi abbraccio’. "Ti ringrazio" mi disse
affettuosamente e si diresse verso la camera da letto. Rimasi in
piedi come un fico secco a guardarlo mentre la porta della sua
stanza si chiudeva dietro di lui. Presi il mio cappotto ed uscii
dal suo appartamento. Per qualche minuto feci fatica a ricordare
dove si trovasse il mio, di appartamento.
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