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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
La PEC è fantastica ma è un segretoDal prossimo 10 gennaio le Poste Italiane aumenteranno le tariffe delle raccomandate. Così, mandare la classica Raccomandata A.R. necessaria per esempio per disdettare un contratto con operatori telefonici e pay TV, costerà 5,95 euro. Praticamente tanto quanto costa, presso i principali provider (compreso Poste Italiane), sottoscrivere per un anno una casella di Posta Elettronica Certificata, la cosiddetta PEC, che la legge equipara alla raccomandata. Eppure le persone continuano a inviare le Raccomandate.
La PEC è una realtà che ha cambiato (in me-glio) la vita ad alcune categorie professionali ed enti: si pensi per esempio agli studi legali che possono notificare gli atti via PEC. In realtà, oramai da anni, è obbligatorio per ogni azienda e per molti professionisti disporre di una casella PEC. Per i cittadini invece non è obbligatoria ma è un’opzione da tenere in buon conto proprio per evitare sia i costi, sem-pre più alti, delle raccomandate, sia la noia di dover andare all’ufficio postale per inviare il plico cartaceo ed attendere per giorni l’avviso di ricevimento. Con la PEC si fa – o meglio si farebbe – tutto molto più velocemente, da casa, senza stampare carta e anche rispar-miando. Si farebbe perché l’indirizzo PEC non è riportata in quasi nessun sito delle aziende private con i quali i consumatori si trovano a interagire. Non c’è, infatti, al momento, alcun obbligo esplicito per le aziende di pubblicare sul proprio sito, insieme per esempio a dati ben meno utili come il numero di iscrizione al registro imprese, anche l’indirizzo di PEC. Niente PEC nella pagina dei contatti per la stragrande maggioranza delle grandi società: Trenitalia, Alitalia, Enel, TIM, Vodafone, H3G, Sky, e potremmo andare avanti molto ancora.
Evidentemente rendere troppo pubblica la PEC è visto dalle aziende che hanno a che fare con i consumatori come un rischio troppo grande di esporsi a una valanga di comunica-zioni certificate a cui poi si è obbligati a dare seguito e risposta. Inutile nascondersi dietro un dito: il prezzo alto della raccomandata e le scomodità dell’invio fisico sono unitilizzati come deterrente per ridurre le “grane” e le disdette; la PEC, invece, da questo punto di vista, è considerata la peggiore delle iatture. Resta ancora incredibile che - nel silenzio delle Autorità - si possano attivare solo con una telefonata servizi come abbonamenti telefonici o pay TV ma poi per disattivarli sia necessaria una raccomandata A.R. e invece non venga mai suggerito l’utilizzo della PEC.
Per fortuna esistono due siti che fanno da “elenco” delle PEC rispettivamente della Pub-blica Amministrazione e delle aziende private. Il primo permette di identificare l’indirizzo PEC di ogni ufficio dell’apparato pubblico, sia a livello nazionale che locale. Il secondo, INI-PEC, consente di trovare la PEC delle società private, partendo per esempio dalla denominazione o dalla partita IVA. Questi due siti meriterebbero molta più visibilità, una vera e propria Pubblicità Progresso per stimolare anche per i cittadini l’utilizzo della PEC. Anzi, andiamo oltre: invece di prevedere il ridicolo obbligo all’accettazione dei cookie (quasi tutti cliccano OK senza leggere), sarebbe stato meglio rendere obbligatoria la chiara pubblicazione sui siti aziendali della PEC. Perché la maggiore facilità per i consumatori di comunicare con le aziende non può essere mai considerata una minaccia, almeno da società che si professano leali e trasparenti.
Gianfranco GIARDINA
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Visita all’impianto di riciclo dei RAEE Del vecchio TV non si butta via nulla Viaggio nello stabilimento di Relight, uno dei principali centri di trattamento dei rifiuti elettrici ed elettronici italiani, dove i “rifiuti” si trasformano in nuove risorse04
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Roberto PEZZALI
S egreterie telefoniche a paga-
mento, difficoltà di disattivarle e
messaggi poco chiare sulle pa-
gine web: lo avevamo denunciato con
una nostra inchiesta a inizio novembre
(leggi qui) e ora cala feroce su Voda-
fone e H3G la mannaia dell’Autorità
per le Garanzie nelle Comunicazioni
che sanziona i due operatori per pra-
tica commerciale scorretta. Partiamo
con H3G: l’operatore attiva di default
la segreteria sulle nuove SIM e ogni
qual volta un utente consulta la casella
vocale si vede addebitati 20 centesimi.
Un costo da sostenere anche se si è
provveduto a disattivare il servizio di
segreteria telefonica, perché come ha
ammesso l’operatore “la procedura di
disattivazione del servizio di deviazio-
ne automatica in segreteria telefonica
è possibile tramite digitazione della
stringa ##002# [...] ma questo non
comporta la disattivazione della casel-
la vocale (che rimane attiva). E’ pos-
sibile quindi continuare a chiamare il
4133 per l’ascolto dei messaggi”.
Solo a seguito dell’avvio del procedi-
mento H3G ha chiarito che agli utenti è
consentita una disattivazione solo par-
ziale del servizio e che si inibisce infatti
la sola possibilità di lasciare messaggi
per chi chiama, ma la casella vocale
resta attiva e raggiungibile chiaman-
do il 4133 o cliccando sulla icona del-
la segreteria telefonica. Informazioni
MERCATO Chi ha disattivato le segreterie tefoniche degli operatori dovrà essere rimborsato
Agcom: Vodafone e H3G devono restituire agli utenti i soldi della segreteria telefonica Regalo natalizio dell’Agcom a tutti i clienti convinti di aver disattivato le segreterie telefoniche di Vodafone e H3G e che invece hanno continuato a pagare gli accessi alla casella vocale
queste che sul sito Internet non sono
affatto chiare, e inducono i clienti a
pensare di aver disattivato tutto.
L’Agcom non ha ritenuto convincenti
le contromisure messe in opera dal-
l’operatore per disattivare il servizio
e neppure quelle per rimborsare gli
utenti. H3G infatti ha dichiarato di “Sta-
re provvedendo ad avviare, a richiesta
dei clienti, il rimborso automatico delle
somme erroneamente addebitate” ma
giustamente Agcom fa notare, nella
delibera, che un rimborso non può de-
finirsi automatico se è su richiesta del
cliente. In quest’ottica, per l’Autorità, si
delinea un “ingiustificato arricchimen-
to dell’operatore che si realizza in tutti
i casi in cui il cliente non abbia conte-
stato l’addebito (non essendosene ac-
corto) o non si verifichino le condizioni
stabilite dalla Società per il rimborso”.
Simile il caso di Vodafone: anche in
questo caso le SIM nascono con la
segreteria attivata e la consultazione
costa ben 1.5 euro al giorno. Si può di-
sattivare il servizio, ma in caso di disat-
tivazione parziale, ovvero se si disattiva
solo la funzionalità di ridirezionamento
delle chiamate verso la casella con
i codici a tastiera, si continuerà a pa-
gare 1,5 euro per ogni consultazione
della segreteria, anche involontaria.
Vodafone si è attivata più volte, anche
in seguito all’istruttoria, per risolvere la
cosa ma secondo Agcom “non è stata
in grado di addurre argomentazioni
valide a dimostrare la correttezza del
proprio comportamento né ha propo-
sto idonee misure atte a farne cessare
la lesività a danno degli utenti.”
I due operatori ora dovranno comu-
nicare entro 30 giorni dalla notifica
dei provvedimenti la procedura, e la
relativa tempistica, che intendono im-
plementare per impedire che i propri
utenti possano incorrere nella consul-
tazione involontaria del servizio di se-
greteria telefonica pagando e dovran-
no anche modificare le pagine web
spiegando bene le procedure. Inoltre,
ed è questa forse la cosa più importan-
te, dovranno “riaccreditare, indipen-
dentemente dalla richiesta del cliente,
le somme addebitate per le chiamate
involontarie alla casella vocale effet-
tuate sia tramite il 42020 sia tramite
l’utilizzo dell’icona della segreteria te-
lefonica e inviare un sms che informi il
cliente dell’importo e delle modalità di
riaccredito, con espresso richiamo alla
delibera”. Dopo aver rimborsato tutti
gli italiani che hanno involontariamen-
te pagato per la segreteria dovranno
anche comunicare all’Agcom l’elenco
completo degli utenti ai quali è stato
effettuato l’accredito delle somme
specificando la data e l’importo per
ogni utente. Vodafone e H3G hanno
ora 2 mesi di tempo per fare ricorso
contro la delibera.
Stessa IVA su eBook e libri cartacei L’Europa segue il modello italianoL’Europa propone di abbassare l’IVA degli eBook portandola al livello di libri e riviste cartacee. Una vittoria per i Paesi (tra cui l’Italia) che avevano già deciso di equiparare i due strumenti di Roberto PEZZALI
I Paesi Ue saranno liberi di tagliare l’IVA per gli e-book e le pubblica-zioni digitali portandola allo stesso livello dei libri e giornali cartacei. Una scelta che l’Europa lascia a ogni singolo Paese e che, strano, per una volta vede gli altri inseguire l’Italia che aveva già deciso di ab-bassare l’IVA al 4% dal primo gen-naio del 2015 (qui la nostra super inchiesta). La proposta è contenuta in un pacchetto di norme proposte dalla Commissione Europea in fase di approvazione, e la decisione di eliminare la disparità tra cartaceo e digitale ha iniziato a raccogliere consensi da parte delle varie società degli editori, inclusa quella italiana. “Una grande vittoria per l’Italia e per i lettori di tutta Europa” è il commen-to del presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE) Federico Motta. “È una decisione che aspettiamo da tempo – ha aggiunto Motta -. Siamo stati i primi a chiedere che l’IVA per libri cartacei e digitali fosse equipa-rata. Adesso tutti i lettori europei po-tranno avere gli stessi diritti”. Quella di oggi, insomma, “è la conferma di una tendenza non più reversibile ed è bene che anche la Commissione Europea ne abbia preso atto” ha concluso Motta, “auspichiamo ora un iter spedito perché la proposta diventi operativa”. Per gli italiani non cambia nulla, ma il Governo può tirare un sospiro di sollievo perché insieme alla Francia e al Lussem-burgo rischiava una procedura di infrazione avendo violato le norme comunitarie.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Gaetano MERO
I l Tribunale Civile di Roma si è pronunciato a favo-
re della SIAE nel ricorso d’urgenza presentato il
13 ottobre scorso relativo al caso della rivendita dei
biglietti dei concerti ad un prezzo notevolmente supe-
riore rispetto a quello ufficiale, balzato agli onori della
cronaca per gli eventi dei Coldplay previsti per luglio
prossimo.
La sentenza: SIAE e Federconsumatori hanno ragioneLa sentenza emessa il 1 dicembre inibisce a Live
Nation 2, Seatwave, Ticketbis e Viagogo, l’ulteriore
vendita diretta o indiretta sul mercato secondario dei
biglietti dei concerti dei Coldplay del 3 e 4 luglio 2017
allo stadio San Siro di Milano, acquistati sul mercato
primario offline direttamente da Live Nation 2 o trami-
te i suoi distributori ufficiali, TicketOne e Best Union,
nonché quelli precedentemente acquistati sul merca-
to primario online da Seatwave, Ticketbis e Viagogo
tramite programmi informatici in grado di aggirare il
limite massimo di biglietti venduti a ciascun consu-
matore finale. Inoltre il giudice ha fissato una penale
di 2.000 euro per ogni ulteriore biglietto venduto in
violazione dell’ordine di inibizione e condanna le parti
chiamate in causa a rifondere tutte le spese proces-
suali a SIAE e a Federconsumatori, che è intervenuta a
sostegno delle richieste della Società.
“Siamo molto soddisfatti dell’esito positivo del ricorso.
Si tratta di un passo importante nella lotta al secon-
dary ticketing, sia per i consumatori, che per tutti gli
autori e tutti i titolari del diritto d’Autore e per coloro
che operano nel settore” - ha commentato Gaetano
Blandini, Direttore Generale di SIAE - “l’attività di ba-
garinaggio rappresenta un pregiudizio economico sia
per i consumatori che per gli autori”.
Sugar e Codacons chiedono la restituzione dei bigliettiPiù duro l’intervento di Filippo Sugar, presidente della
Società, durante la conferenza stampa monotematica
tenutasi qualche ora dopo la diffusione della notizia
nella sede SIAE. È stato reso noto che i biglietti emessi
per le date del 3 e 4 luglio ammontano a circa 100.000.
Di questi circa 10.000 sono ancora in vendita presso
le società di secondary ticket, Sugar ha quindi chiesto
che gli attori coinvolti “restituiscano i biglietti” al mer-
cato autorizzato affinché possano tornare in vendita al
prezzo normalmente stabilito. Il fenomeno, ribadisce
ancora il presidente, danneggia gli artisti e soprattutto
i consumatori.
Dello stesso avviso il Codacons che ha presentato
una istanza di sequestro urgente alla Procura della
Repubblica di Milano dei biglietti residui. “Il Tribunale
MERCATO SIAE ha ricevuto il parere favorevole del Tribunale Civile di Roma in merito al caso del secondary ticketing online dei Coldplay
Caso Coldplay, il Tribunale dà ragione a SIAE Ma i biglietti sono ancora online a prezzi folliLa risoluzione della questione è però ancora lontana e a pagarne le conseguenze, al momento, restano i consumatori
ha sposato la tesi del
Codacons – si legge
nella nota diffusa alla
stampa. Chiediamo
ora alla Procura,
che già indaga sul
fenomeno, di porre
sotto sequestro tutti
i biglietti del con-
certo dei Coldplay
rimasti invenduti sui
canali di vendita se-
condari, ordinando il
loro reinserimento in
commercio sui siti ufficiali e a prezzi regolari”. Secon-
do l’associazione il principio ribadito dai giudici per il
concerto dei Coldplay a Milano vale per tutte le situa-
zioni analoghe: questo vuol dire che deve essere da
subito inibita la vendita a prezzi maggiorati di biglietti
per la totalità degli spettacoli ed eventi attraverso i siti
di secondary ticketing.
La questione non è però così semplice, nella sentenza
difatti si legge: “l’attività di hosting provider svolta dalle
società resistenti (diverse da Live Nation 2) risulta leci-
ta e conforme alla normativa nazionale e comunitaria
vigente. Conseguentemente, nessuna responsabilità
può essere attribuita ai soggetti che svolgono sola-
mente l’attività di hosting provider”.
Dunque non sarà possibile chiedere l’immediata so-
spensione delle attività online e l’oscuramento dei
provider ma bisognerà andare a fondo della questione
verificando di volta in volta gli eventuali comportamenti
illeciti e le società effettivamente coinvolte.
Secondo Live Nation e Ticketbis nessun illecitoTicketbis ha affermato che “la sentenza ha confermato
la piena legittimità del modello di business di Ticketbis
così come della vendita di biglietti sul mercato secon-
dario” che non può dunque ritenersi a priori illecita. Dal
canto suo Live Nation ha tenuto a precisare la propria
posizione.
Il Tribunale di Roma, secondo quanto dichiarato dalla
società in un comunicato, “ha accolto solo parzialmen-
te il ricorso promosso da SIAE. La parziale inibitoria di-
sposta dal giudice muove da una presunzione erronea
in quanto Live Nation non ha mai venduto, né diret-
tamente, né indirettamente, alcun biglietto relativo ai
concerti dei Coldplay a siti di secondary ticketing”.
L’azienda specifica che l’attività non ha alcun riflesso
concreto sulla propria operatività e rimane perciò fer-
ma sulla “correttezza del proprio operato ritenendo
quindi ingiusta e giuridicamente errata l’ordinanza del
Giudice, tanto da aver conferito mandato ai suoi legali
di proporre reclamo nelle sedi apposite”.
Secondary ticketing A pagare sono i consumatoriLa vicenda del secondary ticketing si ferma, almeno
momentaneamente, a metà strada con ancora diversi
dubbi per i consumatori, l’anello più debole della cate-
na. Nelle ultime pagine della sentenza difatti si legge:
“attesa la liceità della mera attività di hosting provider e
l’impossibilità di appurare, allo stato degli atti, quali sono
i biglietti venduti occasionalmente e autonomamente
sul mercato secondario dagli utenti finali e quali quelli
venduti direttamente dalle società titolari delle piattafor-
me di commercio elettronico non può essere accolta né
la domanda cautelare di sequestro dei siti né quella di
sequestro dei biglietti dei Coldplay posti in vendita sulle
medesime piattaforme di commercio elettronico”.
Per l’applicazione della multa è necessario dunque dimo-
strare, come già detto, che i ticket siano stati effettiva-
mente acquistati “tramite programmi informatici in grado
di aggirare il limite massimo di biglietti venduti a ciascun
consumatore finale”. Una procedura che richiede proba-
bilmente un enorme sforzo da parte degli enti preposti e
che non sempre può portare al risultato sperato. Mentre
scriviamo è possibile trovare facilmente i biglietti per le
date di Milano del concerto della band britannica, fatta
eccezione per Viagogo che pare abbia sospeso la vendi-
ta dei ticket in questione già da qualche giorno. Il prezzo
iniziale dei biglietti su TicketOne era compreso tra 46
euro (anelli verde o blu numerati) fino ad un massimo di
109 euro (primo anello rosso numerato). Il costo di un bi-
glietto per il terzo anello verde, quello più lontano dal pal-
co, parte ora da 236 euro (SeatWave) fino ad arrivare a
327 euro (Ticketbis) mentre per l’anello rosso, quello più
ambito vicino al palco, il prezzo può salire fino a 2.500
euro. Il direttore SIAE Blandini conclude comunque so-
stenendo i consumatori e rinnovando il proprio impegno
nella lotta al bagarinaggio: “come SIAE continueremo la
nostra battaglia contro il secondary ticketing impegnan-
doci in tutte le attività possibili volte a combattere un
fenomeno che rappresenta un freno inaccettabile alla
crescita economica oltreché alle opportunità di lavoro
nel settore dello spettacolo e della cultura”.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Gianfranco GIARDINA
F iere, presentazioni e negozi: solitamente è questo
il nostro ambiente “naturale”. Tutti prodotti nuovi,
nuovissimi, a volte addirittura prototipi. Questa vol-
ta abbiamo cambiato drasticamente, pur rimanendo fra
migliaia di prodotti elettrici ed elettronici. Siamo infatti
andati a vedere cosa succede agli apparecchi vecchi,
quelli che si rompono irrimediabilmente o che sempli-
cemente vengono “prepensionati” a favore di nuovis-
simi modelli. L’occasione è la visita a Relight, uno dei
più grandi e importanti centri di riciclaggio dei RAEE in
Italia: sorge nei pressi di Milano e ricicla principalmente
televisori (circa un terzo di quelli dismessi e recuperati
in Italia), lampade e piccoli elettrodomestici. Un viaggio
interessante là dove l’elettronica di consumo finisce
per rinascere a nuova vita, che abbiamo riassunto nel
in questo video.Ci siamo fatti accompagnare in questa visita da Bibiana
Ferrari, fondatrice e amministratore delegato di Relight:
“Potrà sembrare strano, ma io sono proprio appas-
sionata del tema dei rifiuti e dei RAEE in particolare
– ci racconta -; tanto che chiedo alle mie persone di
identificare eventuali prodotti d’epoca che ci arrivano
per il riciclaggio e che sono ancora in buono stato”.
Ne è nato un vero e proprio museo, con pezzi di un
po’ tutte le epoche della storia dell’elettronica e degli
elettrodomestici.
Grazie all’impegno di alcuni giovani studenti, i pez-
zi sono stati catalogati, sono stati identificati marca e
modelli ed è stata stimata una “datazione”. Un piccolo
gioiello nato – cosa incredibile – frugando tra i rifiuti.
Ecco perché per Bibiana Ferrari – e da oggi anche per
noi – la parola “rifiuto” ha perso tutte le accezioni ne-
gative che normalmente il comune sentire gli assegna.
Una storia che, nell’era dei consumi, fa pensare.
RAEE, il destino dell’hi-techL’hi-tech invecchia, spesso anche velocemente. Pro-
dotti super tecnologici in poche stagioni diventano
“RAEE”, sigla che sta a significare “Rifiuto da Appa-
recchiature Elettriche ed Elettroniche”. La gestione dei
RAEE è regolamentata dalla legge e l’ultima cosa che
MERCATO Viaggio nello stabilimento di Relight, dove i rifiuti elettrici ed elettronici vengono trasformati in risorse da sfruttare
Del vecchio televisore non si butta via più nulla Reportage dall’impianto di trattamento dei RAEEIl trattamento dei RAEE, pur a pochi anni dalla sua istituzione, funziona bene e degli apparecchi si recupera quasi tutto
dovrebbe accadere è che i vecchi prodotti vengano
abbandonati in una scarpata o a bordo strada. E que-
sto per almeno due motivi: i RAEE abbandonati sono
fortemente inquinanti e potenzialmente pericolosi per
l’ambiente; inoltre, si nega ai materiali che li compon-
gono, quand’anche non fossero inquinanti, di rientrare
nel circuito produttivo come materie prime seconde.
Ma rimaniamo nel campo dei cittadini virtuosi, quelli
che non abbandonano i propri apparecchi: normal-
mente si sa molto poco del “fine vita” dei propri pro-
dotti. Il proprietario li saluta quando li lascia in negozio
o nelle mani di chi fa la consegna, contestualmente al-
l’acquisto di qualcosa di nuovo; la sostanza non cambia
se invece semplicemente dismette il vecchio prodotto,
senza comprare nulla: si può conferirlo in negozio (il
cosiddetto uno contro zero, se si tratta di un piccolo
elettrodomestico) oppure lo si può portare presso la
l’isola ecologica comunale. Di lì in poi si perdono le
tracce del vecchio apparecchio e non si sa se effetti-
vamente verrà recuperato qualcosa o semplicemente
tutto verrà ammassato in una discarica.
Dal container o dalla gabbia nella quale il vecchio pro-
dotto vede per l’ultima volta il suo vecchio “padrone”,
inizia un grande viaggio che porterà gli apparecchi, di-
visi per macrocategoria, presso un centro di riciclaggio
e recupero; e di lì, sotto forma di materie prime secon-
de, verso nuovi impianti di produzione, verso una nuo-
va vita, il più delle volte al di fuori dell’ambito elettrico
ed elettronico.
I RAEE e i 5 raggruppamentiI RAEE sono organizzati per legge in cinque raggrup-
pamenti la cui raccolta deve essere separata per es-
sere poi inviata agli impianti attrezzati per una corretta
gestione. Questi riguardano: frigoriferi, congelatori e
condizionatori (chiamato anche R1), i grandi elettro-
mestici senza “gas” (R2), TV e monitor (R3), i piccoli
elettrodomestici e tutti gli apparecchi digitali (R4) e le
lampade (R5).
Tutti i produttori e importatori di questi apparecchi de-
vono per legge consorziarsi in sistemi collettivi che di
fatto li rappresentano nella gestione del fine vita dei
prodotti. I sistemi collettivi in Italia sono 17 e operano
sotto il controllo del Centro di Coordinamento RAEE
che di fatto regola il flusso delle merci. Quando un cas-
sone di un particolare raggruppamento di RAEE presso
una piazzola ecologica è pieno, il comune si mette in
contatto Centro di Coordinamento chiedendone il riti-
ro; questo, grazie a un sofisticato algoritmo, è in grado
di determinare a quale sistema collettivo debba essere
assegnato il materiale in considerazione delle quote di
mercato di venduto degli associati. Di fatto, i produttori
di apparecchi elettrici ed elettronici provvedono al fi-
nanziamento del sistema in ragione del venduto e si
fanno carico, attraverso il sistema collettivo al quale
aderiscono allo smaltimento.
I RAEE arrivano quindi nei centri di riciclaggio (come
segue a pagina 05
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
quello da noi visitato): si tratta di realtà singolari, che
svolgono un’attività molto costosa e soggetta a mol-
te regolamentazioni di tipo ambientale, ma che di fat-
to ricava i propri proventi sia dai fornitori di materiale
(dai quali ricevono un compenso per la gestione e il
riciclaggio) sia dai clienti che acquistano i prodotti del
riciclaggio da utilizzare come materie prime seconde in
altri processi industriali.
Milioni di tubi neonIl nostro viaggio parte dall’impianto dal quale nel 1999
è nata l’azienda: il sistema di riciclaggio delle lampade,
soprattutto lampade al neon. Ne arrivano montagne
ogni giorno, da tutto il nord Italia e anche dal sud della
Francia, che non dispone di uno stabilimento attrezzato
al riciclaggio di questi materiali. Sulle lampade, la logisti-
ca ha un grosso impatto: il volume occupato è enorme
a fronte di pesi molto ridotti: “Praticamente è aria – ci
racconta Daniele Gotta, il supervisore tecnico dello sta-
bilimento –; ma le lampade non si possono frantumare
prima di arrivare qui, per motivi di sicurezza”.
La struttura di queste lampade è molto semplice: vetro
in mezzo e metallo, con un po’ di plastica, agli estremi.
Il grosso problema è la polvere fluorescente che rive-
ste l’interno del tubo e che è gravemente nociva dato
che, tra le altre cose, contiene mercurio.
Il processo parte con la frantumazione dei tubi, che
deve avvenire in una camera “chiusa” e in costante
aspirazione, proprio per catturare le polveri. Un car-
rello con la base sollevabile viene prima caricato dagli
addetti, che prelevano i tubi dai contenitori di traspor-
to, e quindi affiancato alla macchina frantumatrice; man
mano che questa “mastica” i tubi, se ne vede arrivare
automaticamente di nuovi. Le polveri aspirate vengono
radunate in appositi sacchi in fondo alla linea: verranno
poi trattate in un’altra parte dell’impianto per recupe-
rare alcuni materiali nobili in esse contenuti prima di
essere inviate al trattamento per rifiuti speciali.
Il materiale risultante dalla prima frantumazione, vie-
ne ulteriormente spezzettato in piccoli frammenti con
un macinatore più fine. Grazie a una serie di superfici
vibranti, vengono separati meccanicamente le porzio-
ni di vetro frantumato e le parti metalliche. Di questo
processo a occhio nudo non è possibile vedere nulla
perché – come dicevamo – avviene in camera chiusa
per il recupero delle polveri.
Alla fine della frantumazione e dello “scuotimento”, tut-
te le polveri sono state separate dagli altri materiali e
sono state aspirate. Il vetro frantumato viene raccolto
in appositi contenitori: a questo punto gli inevitabili mi-
crodetriti sono inferiori all’1%.
“L’operazione manuale di caricamento dei carrelli è
indispensabile – ci spiega il supervisore dell’impianto
– soprattutto perché iniziano a comparire anche i primi
‘falsi tubi’ realizzati a LED, che non hanno struttura in
vetro e incepperebbero la macchina se venissero trat-
tati insieme agli altri”. Le lampade LED, destinate ad
aumentare molto nei prossimi anni, vengono radunate
e trattate successivamente insieme ai piccoli elettrodo-
mestici: infatti al loro interno non ci sono le pericolose
polveri che rendono i neon una categoria a sé.
I TV a tubo catodico Si recupera il 98% del pesoI TV a tubo catodico hanno un grande vantaggio: sono
tendenzialmente costruiti tutti allo stesso modo e sono
abbastanza facili da separare nei loro componenti fon-
damentali. Qui arrivano circa un terzo dei TV depositati
nelle riciclerie comunali in Italia, organizzati in “gabbie”
nei quali sono in realtà semplicemente appoggiati qua-
si alla rinfusa. SI tratta di 18mila tonnellate tra TV e mo-
nitor all’anno: “Una quantità di camion – ci dice tanto
per farci capire Bibiana Ferrari - che, se la mettessimo
in fila, andrebbe da Milano a Roma”.
Gli operai abbassano via via una sponda delle gabbie
e trasferiscono sul tavolo di lavoro un apparecchio per
volta. Se si tratta di TV a pannello piatto (iniziano ad
arrivare in numero sempre maggiore, anche se larga-
mente minoritario), l’apparecchio viene accantonato e
mandato ad un’altra linea che si occupa solo di LCD e
plasma. Qui parte un lavoro che è largamente manuale,
anche se qualcosa di automatico più avanti arriva. Ogni
apparecchio viene preso e “scotennato” con modi che
definire gentili sarebbe quantomeno improprio.
Mediamente alla terza martellata lo chassis in plastica
si separa dal resto. Ma i “cazzotti” non finiscono qui:
gli operai devono separare anche il tubo catodico dal
resto dell’eletttronica.
Le parti in plastica vengono letteralmente “lanciate” su
un apposito nastro trasportatore: queste vanno verso
la macinazione e un futuro di facile riciclo.
Dopodiché l’operatore, con il TV a pancia aperta, pro-
cede a separare i macrocomponenti: il tubo catodico
MERCATO
Reportage, il trattamento dei RAEEsegue Da pagina 04
da una parte, i circuiti stampati dall’altra, i cavi da un’al-
tra ancora. Quindi viene tagliato il “giogo”, ovverosia
la parte più posteriore del tubo che integra il cannone
elettronico e tutti gli avvolgimenti necessaria alla de-
flessione del raggio: si tratta di una parte “pregiata”,
dato che è ricca di rame. Tutti i gioghi saranno quindi
trattati a parte.
Gli stadi di alimentazione nel tubo catodico sono anche
più complessi di quanto non accada nei più moderni
LCD: i condensatori sotto una certa dimensione (2 cm
di diametro) possono essere smaltiti con le altre parti
metalliche, altrimenti vanno separati e trattati diversa-
mente.
I cavi, insieme a quelli provenienti anche dagli altri
apparecchi trattati, vanno invece a un impianto specia-
lizzato: “Inutile creare qui il processo di separazione
tra plastica e rame – ci dice il supervisore tecnico del-
l’impianto – quando ci sono impianti che fanno con la
massima efficienza solo questo”.
Ma il centro dell’attenzione è sul tubo catodico, che da
solo rappresenta circa la metà del peso di un TV. Ci
sono alcune caratteristiche dei tubi catodici che richie-
dono una certa attenzione nell’attività di riciclo. Innan-
zitutto è necessario eliminare le ultime parti in metallo
presenti sul tubo catodico, come delle fasce che stan-
no sul contorno e altri connettori elettrici. L’operazione
viene svolta manualmente avvalendosi di un flessibile.
Una volta isolato il vetro, il lavoro è tutt’altro che finito.
Infatti il tubo è composto da due vetri diversi: la parte
frontale, lo schermo vero e proprio, è realizzato con
vetro al bario; tutto il resto è composto da vetro al
segue a pagina 06
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
piombo. Si tratta di due vetri diversi e che è necessario
separare per mandare il materiale recuperato verso il
miglior riuso possibile.
Per questo motivo il tubo catodico viene appoggiato su
un nastro che lo porta in un macchinario: qui un sistema
a riconoscimento ottico ne identifica le dimensioni e la
tipologia, interagendo anche con un grande database
di modelli, e procede automaticamente al taglio del
tubo sul fianco, con opportune frese, nel punto di mag-
giore larghezza. Dalla macchina esce il tubo catodico
apparentemente integro ma di fatto tagliato in due.
A questo punto l’operatore apre le due metà, ne estrae
una sorta di schermo metallico, che verrà trattato con
gli altri materiali metallici; quindi prende la parte di ve-
tro al piombo e lo “rompe” nell’apposito cassone, in-
sieme a tutto il vetro analogo già recuperato. La parte
frontale dello schermo, invece, va trattata, almeno in
questa fase, con più delicatezza: la superficie interna,
infatti, è ricoperta di fosfori, polveri non troppo diverse
da quelle presente nei neon.
L’operatore provvede quindi con un apposito aspira-
tore a prelevare queste polveri e a pulire lo schermo.
A questo punto, anche questa parte di tubo catodico
può essere inserito nel cassone del vetro, questa volta
nella sua varietà al bario, e rotto in modo da occupare
un volume inferiore. I vetri andranno così a pieno riuso
mentre le polveri recuperate dal tubo, una volta radu-
nate in sacchi, verranno trattate insieme a quelle pro-
venienti dalle lampade nella parte di impianto dedicato
al recupero delle terre rare, che vedremo più avanti.
I TV a pannello piatto: tutto manualeUn paradosso dei tempi: tutto lascerebbe pensare che
un prodotto più recente, come un TV LCD o plasma, sia
più facile da riciclare di quanto non accada a un vec-
chio tubo catodico. E invece no: il disassemblaggio e
e la separazione dei materiali “omogenei” è molto più
MERCATO
Reportage, il trattamento dei RAEEsegue Da pagina 05
complicata. Tanto che tutta la procedura di smontaggio
è manuale: gli operatori svitano il telaio e cercano, nel
migliore dei modi, di separare le parti in plastica.
Dopodiché, almeno per gli LCD, c’è da isolare il sistema
di retroilluminazione, che nella maggior parte dei casi
è ancora di tipo a fluorescenza. In questo caso le sottili
lampade devono essere staccate, possibilmente senza
rotture, e inviate allo stesso trattamento che tocca alle
più grandi lampade al neon.
Anche il pannello deve essere separato e inviato ad
aziende specializzate in questo tipo di riciclaggio, dato
che contiene sia le sottili lastre di vetro esterne, che il
film TFT che i cristalli liquidi stessi. Inoltre, nel modulo
LCD, quando è illuminato dai lati, si trova anche una
spessa lastra di plexiglass che serve appunto per la dif-
fusione della luce sull’intera superficie dello schermo:
anch’essa va estratta e mandata al recupero separa-
tamente.
Poi c’è il grande tema delle schede e dei circuiti stam-
pati, che si ritrova in larga parte anche in altri apparec-
chi, come i PC, per esempio: “Noi raccogliamo tutte le
schede e le inviamo a uno stabilimento che tratta solo
questo tipo di rifiuto – ci spiega Daniele Gotta, super-
visore tecnico di Relight –: con una serie di processi
dedicati, si recupera praticamente ogni sostanza,
compreso oro e argento che sono presenti in discrete
quantità su questo tipo di componenti”. La ratio è che
per fare questo tipo di “estrazione” in maniera efficien-
te sono necessari impianti giganteschi, che hanno bi-
sogno di funzionare continuamente e con grandi quan-
tità di prodotto da “elaborare”: “Noi non riusciremmo
a garantire – dice Gotta – una quantità sufficiente di
circuiti stampati per giustificare un impianto di questo
tipo in casa”. Altri sacconi che da qui partono alla volta
di ulteriori impianti.
Alla fine, tornando ai TV a cristalli liquidi, da queste
parti ancora non si sono visti i LED Edge e certamente
neppure gli OLED, ma prima o poi accadrà, man mano
che il tempo passa e che i tubi catodici lasceranno
spazio ai pannelli piatti: “Noi vediamo i prodotti con
il ritardo della loro vita media – ci dice Bibiana Fer-
rari, amministratore delegato di Relight -: i TV di oggi
diventeranno una realtà solo per noi solo tra un deci-
na d’anni e anche più. E il problema è proprio questo:
oggi stiamo discutendo in sede comunitaria per otte-
nere TV a schermo piatto più facili da disassemblare
e separare in componenti uniformi per quello che ri-
guarda il riciclaggio. Se i produttori ci ascoltassero e
iniziassero a progettare apparecchi più riciclabili, noi
ne vedremmo gli effetti solo tra molti anni”. E questo
“fuori sinc” che rende costringe – o costringerebbe – il
mondo della gestione dei RAEE a cercare di anticipare
i tempi e guardare molto più avanti.
I piccoli elettrodomestici, di tutto un po’Il raggruppamento 4, quello dei piccoli elettrodomesti-
ci, ha alcune peculiarità che lo rende da un lato il più
semplice da gestire e dall’altro il più complesso. Infatti
si tratta generalmente di rifiuti non contenenti sostanze
particolarmente pericolose, non tanto per l’ambiente,
per il quale anche una batteria è nociva, quando per la
gestione dei materiali e lo smontaggio: contrariamen-
te a lampade e TV, per esempio, non ci sono polveri
contenenti mercurio o altre sostanze fortemente tos-
siche. Il rovescio della medaglia è che si tratta degli
apparecchi più disparati: radio, tostapane, ventilatori
e giradischi; e così via, per tutte le tipologie di appa-
recchio elettrico ed elettronico che non ricada negli
altri raggruppamenti. Un’infinità di apparecchi, cellu-
lari compresi, che è difficile codificare e che di certo
non possono essere trattati con un approccio “seriale”
come avviene per le altre tipologie. Qui la separazio-
ne tra i materiali è assolutamente manuale, ma viene
aiutata da opportuni ingranaggi che provvedono a uno
“smontaggio” a forza almeno grossolano.
Infatti gli apparecchi arrivano su una vera e propria
“ruspa” che li carica nella bocca di una macchinario
che provvede a una prima “disgregazione”: questa
operazione “scassa” gli apparecchi quanto basta per
separarne il telaio dai componenti interni. Tutti i pezzi
passano su un nastro trasportatore sul quale una se-
rie di operatori separano plastica, cavi, legno, circuiti
stampati e così via.
segue a pagina 07
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
I rottami non ancora abbastanza disgregati proseguo-
no sul nastro verso un altro macchinario un po’ più
aggressivo del precedente: a valle di questo altri ope-
ratori provvedono, sempre manualmente, ad indentifi-
care parti separate ed omogenee e a riporle negli op-
portuni cassoni. Tutto quello che resta procede verso
l’ultima macchina, un vero e proprio macinatore, che
frammenta qualsiasi componente restante: il rimasu-
gli vengono quindi trattati meccanicamente per una
separazione tra parti metalliche e parti plastiche, le
MERCATO
Reportage, il trattamento dei RAEEsegue Da pagina 06
due grosse tipologie residue. La plastica, trasforma-
ta oramai quasi in “fiocchi”, cade placidamente in un
grande saccone. I rifiuti metallici, diventati piccole
porzioni di lamierini vengono invece separati con un
procedimento magnetico: da una parte quelli ferrosi e
dall’altra quelli non ferrosi, principalmente alluminio.
Ognuna delle due componenti verrà quindi inviata al
recupero in impianti specializzati.
Recuperare le terre rare dalle polveri tossicheDicevamo che le polveri tossiche, contenenti mercurio
e altri inquinanti, vengono raccolte e gestite da poten-
ti impianti di aspirazione a ciclo chiuso e che filtrano
completamente tutto il particolato che aspirano.
Tutti i sistemi di aspirazione delle polveri dell’impian-
to convergono senza perdite né sfiati a un sistema di
raccolta e filtraggio. Come previsto dalle normative,
periodicamente l’aria in uscita dai “camini” viene ana-
lizzata per verificare l’efficacia del sistema di filtraggio
e raccolta.
Si potrebbe pensare che il risultato di questa raccol-
ta venga poi inviato a impianti speciali di trattamento
rifiuti critici senza ulteriori operazioni. Invece da qual-
che tempo presso Relight c’è un nuovo sistema di
trattamento di queste polveri, realizzato grazie a un
progetto europeo e in collaborazione con il Politecni-
co di Milano e altri partner: si chiama HydroWEEE ed
è un vero e proprio impianto di trattamento chimico
che, partendo dalle polveri recuperate da lampade
e tubi catodici, recupera le cosiddette terre rare, ele-
menti chimici che, come dice la parola stessa, sono
presenti in natura in concentrazioni bassissime e che
però sono importantissimi per garantire determinate
caratteristiche fisico-chimiche alle sostanze che li uti-
lizzano.
In questo modo, le terre rare contenute nelle polve-
ri recuperate da Relight, soprattutto Ittrio e Europio,
vengono estratte e convertite in ossalati, un prepa-
rato pronto ad essere inviato presso gli stabilimenti
che ne fanno uso per nuove produzioni. Si parla per
esempio di ceramiche speciali particolarmente resi-
stenti e con punti di fusione altissimi (come quelle che
compongono le pastiglie speciali dei freni), colorazio-
ni particolari, conferimento di altre proprietà fisiche
ed elettroniche.
Il processo di estrazione è chimico e si svolge in una
batteria di reattori che potrebbe ricordare molto al-
cune ambientazioni alla “Breaking Bad”: il processo
permette di catturare le terre rare per un riuso im-
mediato in nuovi processi produttivi, evitando così il
ricorso alle società di estrazione di materia prima, in
larghissima parte cinesi.
In questo video, ecco come funziona il processo di
“raffinazione” delle terre rare dal trattamento delle
polveri raccolte da tubi catodici e neon.
di Franco AQUINI
Amazon ha finalmente mostrato il
suo modello di negozio di alimen-
tari. Si chiamano Amazon Go e
sono spazi innovativi che rivoluzionano
l’idea di negozio come lo conosciamo,
ovvero senza file e senza casse. Il primo
esperimento è stato mostrato a Seattle,
sede del gigante dell’ecommerce, con
un negozio di poco più di 500 metri qua-
drati pieno zeppo di telecamere e sen-
sori. Lo scopo è semplice, Amazon de-
manderà alle macchine quello che oggi
fa l’essere umano, attraverso la combi-
nazione di machine learning, intelligen-
za artificiale e computer vision. Per ac-
quistare basta entrare nel supermarket,
autenticarsi tramite l’app e cominciare
MERCATO Amazon ha mostrato il primo innovativo esperimento di negozio fisico, si chiama Amazon Go e non utilizza le casse
Amazon Go è il supermercato del futuro: senza fila e casse Si entra e si prende quello che si vuole, senza fare la fila alla cassa. Amazon avrebbe in cantiere anche altri due tipi di negozi
a fare la spesa. Da quel momento in poi
saremo osservati speciali da parte del
sistema di telecamere del negozio. Ogni
cosa che verrà presa dallo scaffale sarà
tracciata dal sistema informatico che
poi l’addebiterà sull’account autenticato
all’ingresso. Un genere di negozio che
Amazon starebbe pensando di portare
in tutti gli Stati Uniti, arrivando ad aprir-
ne, stando a quanto riporta il Wall Street
Journal, fino a 2000. Ma Amazon non
avrebbe in cantiere solo questo gene-
re di punto vendita. Bensì altri due tipi.
Il secondo modello sarebbe sullo stile
del discount europeo, quindi un super-
mercato da girare carrello alla mano, per
capirci. Il terzo invece sarebbe un mega
store sul modello Ikea dove l’utente po-
trà acquistare sia d’impulso che ritirando
ciò che ha già ordinato online. Anche se
questi due modelli sono ancora distanti
nel tempo, i piani di Amazon sembrano
essere ormai più che chiari: quello che
intende aggredire è il settore della gran-
de distribuzione alimentare, arrivando a
disseminare il territorio di negozi fisici
dove poter gestire meglio sia la conse-
gna che la domanda dei prodotti alimen-
tari per abbassare sempre di più i prezzi.
Se questo modello funzionerà negli Stati
Uniti, non c’è dubbio che presto si vedrà
qualcosa anche da noi.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Roberto PEZZALI
H a aperto i battenti a Milano, in zona Bicocca,
il primo “supermercato del futuro”. Lo ha de-
finito così Coop Lombardia, che ha saputo
trasporre alcuni concetti sviluppato da Carlo Ratti
per Expo in un negozio reale dove i clienti potranno
sperimentare e provare nuovi modi di fare la spesa.
Novecento metri quadrati, seimila referenze e un
assortimento improntato al fresco e al take away,
per venire incontro alle necessità di un quartiere
popolato soprattutto dagli studenti della vicina
università. Cosa cambia rispetto ad un normale su-
permercato? Passeggiando tra le corsie il cliente si
troverà di fronte ad enormi monitor a specchio: ele-
ganti, forse poco leggibili, ma davvero utili: Coop li
chiama “vele digitali” e mostrano ai clienti informa-
zioni aggiuntive sul prodotto, tra cui l’origine, i va-
lori nutrizionali, l’eventuale presenza di ingredienti
allergizzanti, le istruzioni per lo smaltimento, i pro-
dotti correlati e le promozioni in corso.
Il sistema è stato realizzato interamente con tec-
nologia Microsoft: i sensori Kinect, fino ad oggi
usati per i giochi, trovano qui applicazione in una
soluzione business, riconoscono i gesti dei clienti
e identificano il prodotto che stanno per scegliere,
arricchendo così l’esperienza di acquisto.
Un monitor informativo aggiuntivo, che si somma al
comunque presente cartellino del prezzo. Quest’ul-
timo, moda ormai diffusa in molti supermercati, è di
tipo e-Ink addirittura multicolore: i prezzi possono
essere cambiati dinamicamente e soprattutto sono
MERCATO Aperto a Milano un supermercato caratterizzato dalla forte impronta tecnologica, deriva dal progetto presentato a Expo
Coop apre a Milano il supermercato del futuro Il nuovo punto vendita usa Kinect per offrire su monitor a specchio informazioni aggiuntive sui prodotti. Lo abbiamo visitato
chiari e leggibili. Coop ha anche inserito una serie
di scaffali verticali inseriti tra gli scaffali tradizionali:
monitor touch con scanner di codice a barre aiuta-
no il cliente a orientarsi nella scelta di un prodotto,
mostrano una etichetta aumentata e facilitando la
ricerca di un prodotto preciso.
Una soluzione questa utile in un periodo dove il
controllo degli allergeni è fondamentali: si possono
creare filtri per evidenziare al volo prodotti privi di
glutine o di lattosio, senza dover necessariamente
esaminare etichetta per etichetta.
I monitor sono in totale 54, i totem virtuali 46, per
un totale di 100 monitor interattivi. Solo i clienti ora
potranno dire se quello fatto da Coop è utile per
fare la spesa o inutile, sicuramente è d’impatto. Il
bello della soluzione pensata da Coop e implemen-
tata da Microsoft e Accenture è l’appoggio ad Azure
come sistema cloud: la piattaforma creata per que-
sto primo punto vendita è scalabile senza altri costi
di sviluppo, perché tutto il database dei prodotti è
nella nuvola. Una possibilità questa che permette-
rà a Coop di aprire altri punti vendita simili, magari
piccoli negozi più snelli e veloci simili a quelli che
Amazon ha appena pensato negli Stati Uniti.
Il colosso dell’e-commerce si sta ritagliando un suo
spazio anche nel segmento alimentari, e probabil-
mente in Coop hanno capito che la tecnologia si
combatte solo con la tecnologia.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Emanuele VILLA
S iamo stati a Barcellona per seguire la sfida tra
Barcellona e Real Madrid, l’evento più importan-
te di questa prima parte di stagione calcistica,
l’incontro tra i team più forti del pianeta e un evento
mediatico di proporzioni colossali, pari soltanto alla
finale di Champions: un’audience da 650 milioni di
spettatori capaci di generare 900 milioni di tweet, 170
Paesi collegati e 58 stazioni televisive sono solo alcuni
dei numeri che spiegano perché El Clàsico è un ap-
puntamento fondamentale per chi ama il calcio o vuole
semplicemente assistere a un grandissimo spettacolo.
Ma DDAY.it è un magazine di tecnologia, non di sport.
Infatti siamo a Barcellona per capire come Intel ha de-
ciso di rivoluzionare il mondo del calcio sotto il profilo
della produzione e trasmissione dell’evento, rendendo
El Clàsico un apripista per molte partite de La Liga spa-
gnola e, chissà, per altri campionati europei tra cui la
Serie A. La novità si chiama Intel 360 replay technolo-
gy e la vedremo in azione nelle partite casalinghe del
Barcellona e del Real Madrid; a ben vedere non si tratta
di qualcosa di totalmente inedito, poiché Intel arriva a
Barcellona dopo le esperienze positive nei campiona-
ti americani maggiori (NFL, NBA e MLB), ma va anche
detto che questa tecnologia aveva fatto la sua appa-
rizione nel calcio solo in eventi specifici mentre ora,
previa installazione del suo poderoso apparato tec-
nologico (hardware, software, regia) negli stadi Camp
Nou e Santiago Bernabeu, diventerà un punto saldo
del modo di produrre, trasmettere e fruire dell’evento
sportivo.
Intel 360 replay, tra realtà e videogiocoSintonizzandosi su El Clàsico (che da noi è trasmesso
su Fox), tutti gli appassionati di calcio potranno assiste-
re alla prima partita di un campionato europeo con tec-
nologia di replay 360 di Intel. Quando si verificheranno
goal, falli dubbi o azioni spettacolari, la regia potrà de-
cidere di trasmettere un replay normale (fisso) o quello
a 360°, che in pratica seguirà l’azione fino al momento
clou, dopo di che cambierà prospettiva in modo fluido
e graduale per permettere al pubblico di visualizzare
quella migliore in assoluto. Qui un video che rende
bene l’idea di quello di cui stiamo parlando. La prima
impressione che abbiamo avuto di fronte a questi vi-
deo (che sono rendering, non reali azioni di gioco) è
stata l’incredibile avvicinamento della fruizione televisi-
va con quella videoludica: vedere un replay con cambi
di tempo, momenti in cui l’azione di ferma per gestire la
prospettiva, rotazioni a 360 gradi e improvvise accele-
razioni non si discosta molto da una tipica partita di Fifa
o affini. Ed è normale che sia così, visto che il sistema
messo in piedi da Intel per la replay 360 technology
è molto simile alle tecnologie adottate dei videogame,
solo viene calato in un altro contesto e in un’arena da
90 mila posti.
A prescindere dalla popolarità che potrà avere lo
strumento, l’idea di Intel è stata comunque azzec-
cata: mentre il mondo della produzione di un evento
sportivo come El Clàsico snocciola
dati tipo 36 videocamere 4K, Sky
Cam, Slow Motion HFR, un esercito
di mini-Camera e via dicendo, Intel
entra in questo enorme mercato for-
nendo ciò che sa fare meglio, ovve-
ro un sistema completo di hardware
e software che non è finalizzato ad
alzare la definizione, migliorare il
dettaglio o offrire dati aggiuntivi,
ma offrire al pubblico una fruizione
completamente inedita.
Ci si può poi domandare se un siste-
ma di questo tipo, che permette di
“sminuzzare” le azioni di gioco fer-
mandole e guardandole da tutte le
prospettive non possa essere utile anche per la cosid-
detta moviola in campo, un tema di grande attualità nel
mondo del calcio e che consiste nella visione in tempo
reale delle registrazioni nel caso di azioni e decisioni
dubbie: a parte il fatto che siamo ancora in fase speri-
mentale e che non è ben chiaro entro quali confini la
cosa verrà adottata, ma Intel ci fa sapere che la replay
360 technology ha puramente una finalità d’intratteni-
mento, è pensata per il pubblico e come tale va impie-
gata. Poi nessuno può ipotizzare cosa succederà in fu-
turo, ma per il momento la tecnologia resta indirizzata
alla fruizione domestica e basta.
36 videocamere 5K Un’infinità di dati e nervi saldiCome funziona la replay 360 technology di Intel? Il
punto di partenza è l’imponente apparato hardware
predisposto da Intel al Camp Nou, un apparato stabi-
le che verrà impiegato per le partite domestiche dei
blaugrana da qui in avanti (al momento, l’accordo con
la Liga è per tre stagioni): tra il primo e il secondo anello
sono state installate, posizionate e finemente orienta-
te 36 videocamere con sensore JAI da 20 mpixel in
grado di catturare immagini a 5K di risoluzione e a 25
fps, videocamere che servono unicamente per la pro-
duzione del replay 360 e che dunque si sommano al
tradizionale apparato produttivo presente nello stadio.
Lo scopo, detto in maniera molto semplice in conferen-
za stampa, è quello di “digitalizzare il volume dell’inte-
ro stadio”, creare dei pixel 3D (che si chiamano voxel)
dell’intera superficie di modo tale da realizzare scene
3D in tempo reale e impostare videocamere virtuali
che consentano all’utente di vivere l’azione da una
prospettiva completamente nuova. Le videocamere
MERCATO Intel approfitta de El Clàsico Barcellona - Real Madrid per lanciare una nuova tecnologia di replay a 360 gradi
Reportage: al Camp Nou per scoprire il sistemaReplay 360 e il nuovo modo di vedere la partitaLa nuova tecnologia di ripresa Replay 360 è nata per offrire agli spettatori un’esperienza inedita e realmente “immersiva”
Materiale estremamente robusto contro gli atti vandalici. Ecco come si presenta una videocamera 5K dedicata al replay a 360°.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
riprendono con una banda di 16 Mbit/s e trasmettono
in tempo reale su fibra alla regia mobile esterna che
impiega stabilmente due persone e si avvale di server
ad elevatissime prestazioni per l’elaborazione in tempo
reale dei dati che arrivano dallo stadio. Per la realiz-
zazione del volumetric video la calibrazione delle vi-
deocamere è fondamentale, poiché tutto il sistema 3D
poggia sull’elaborazione/interpolazione di prospettive
diverse che devono essere sincronizzate al singolo
frame onde evitare errori. Non vengono impiegate vi-
deocamere a 360° nel senso consumer del termine, né
particolari sensori: tutto poggia sulle videocamere 5K
inserite tra il primo e il secondo anello dello stadio, sul-
le “pile” di server esterni, su software allo stato dell’arte
e sul lavoro degli operatori, che da un lato verificano
che il sistema sia calibrato e funzioni a regola d’arte,
dall’altro decidono i punti in cui vanno posizionate le
videocamere 3D virtuali. Qui va fatta una piccola pa-
rentesi: se è vero che la cattura delle immagini è co-
stante e continua durante tutta la partita, sta alla regia
decidere di quali azioni (appena avvenute) elaborare
il replay 360 e quali lasciar correre. I tempi sono de-
terminanti: la decisione va presa in un attimo – cosa
che sui goal non è un problema, ma in falli, fuorigioco,
azioni spettacolari potrebbe esserlo – perché l’elabo-
razione è tutt’altro che in tempo reale: tra tutto passa
circa un minuto per il rendering finale (sempre meno
di 2 minuti, ci dicono), il che obbliga la regia a trovare
spazio in un’azione successiva.Ovviamente l’interesse
di Intel è portare questa attesa a zero, ma siamo ancora
piuttosto lontani, e per questo motivo potrebbero esse-
re prese in considerazioni ipotesi di automazione delle
decisioni, basandosi su situazioni prestabilite come un
goal, un rigore, una punizione dal limite e via dicendo.
E domani? Il replay lo deciderai tu a casaPer tre anni La Liga si avvarrà della tecnologia di re-
play 360 di Intel negli stadi di Barcellona e Madrid,
con la speranza di ampliarla in altre arene, eventi e
campionati. Ma non è il punto d’arrivo: la prima cosa
da eliminare è il tempo che intercorre tra la decisione
di attivare il replay e il risultato finale. L’ipotesi – che
evidentemente richiederà anni per essere concretiz-
zata – è quella di permettere a chiunque di “realiz-
zarsi” il suo replay da casa attingendo direttamente
dall’infinita mole di dati catturati dalle videocamere
dello stadio; un primo passo potrebbe essere quello
di permettere l’attivazione solo in momenti specifici,
poi si arriverà a un punto in cui il volumetric video sarà
totalmente a disposizione dell’utente, come e quanto
vuole. Ma per questo, ripetiamo, di acqua sotto i ponti
ne deve passare ancora molta.
Alcune delle videocamere 5K (equidistanti) posizionate tra il primo e il secondo anello dello stadio.
Una postazione di lavoro del Replay 360, la sincro-nizzazione tra le 36 videocamere è fondamentale.
Un particolare della sala server usata appositamen-te per i Replay 360.
MERCATO
Reportage Replay 360segue Da pagina 09
di Dario RONZONI
Jo Seong-jin è il nuovo ammini-
stratore delegato di LG. Il colosso
coreano dell’elettronica ha annun-
ciato la nomina a CEO dell’ex respon-
sabile della divisione elettrodomestici.
Jo, un veterano con oltre quarant’anni
di servizio in azienda, ha nel suo curri-
culum lo sviluppo della prima lavatrice
automatica di LG, lanciata nel 1980.
Il cambio al vertice giunge a un solo
anno di distanza dalla nomina di un
triumvirato, che comprendeva lo stes-
so Jo. Un esperimento di breve durata,
che lascia oggi spazio a una nomina
che sposta gli equilibri decisionali, so-
MERCATO A un anno dal varo di un triumvirato al vertice, LG rivede la propria organizzazione
Jo Seong-jin nominato nuovo CEO di LG Nel 2014 Jo Seong-jin venne accusato di aver sabotato alcune lavatrici della rivale Samsung
prattutto nei seg-
menti mobile e
home entertain-
ment.
I più attenti ricor-
deranno il nome di
Jo per un bizzarro
evento capitato a
IFA 2014, quando
l’attuale CEO di
LG fu accusato di
aver deliberata-
mente sabotato
alcune lavatrici di
Samsung. LG rispose alle accuse del-
l’azienda rivale mostrando un video
che scagionava Jo. Le accuse non eb-
bero poi alcuno strascico legale.
MERCATO
Apple Watch Vendite recordTim Cook in persona ha definito la prima settimana di shopping nata-lizio la migliore, per volume di ven-dite, nella storia di Apple Watch. Se le proiezioni sono corrette, questo potrebbe essere il miglior trimestre di sempre per lo smartwatch della Mela. Una dichiarazione che giunge a sole ventiquattro ore dalla pub-blicazione di una ricerca firmata IDC, che stimava un calo di vendite di Apple Watch nel terzo trimestre dell’anno pari al 71% rispetto allo stesso periodo del 2015. Dati non sorprendenti, trattandosi di numeri relativi al vecchio modello, sostituito dalla seconda generazio-ne proprio al termine del trimestre preso in considerazione.
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torna al sommario 12
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Roberto PEZZALI
I n attesa del lancio della nuova versio-
ne di HDMI, che secondo le ultime indi-
screzioni dovrebbe essere presentata
al CES di Las Vegas, l’HDMI Association
modifica la versione attuale, quella deno-
minata 2.0b. Un cambiamento piccolo ma
significativo, necessario per stare al pas-
so con i tempi e uniformarsi alle necessità
dei broadcaster che iniziano a vedere con
interesse l’Hybrid Log Gamma come stan-
dard di trasmissione per i contenuti HDR
via satellite o via digitale terrestre. L’HLG
è uno standard open source sviluppato
da BBC e NHK che ha una particolarità:
permette di trasmettere HDR e SDR su un
unico canale con un notevole risparmio di
banda: chi ha un TV HDR compatibile ve-
drà in HDR, chi ha un TV standard vedrà
sullo stesso canale una versione tradizio-
nale. Finora la connessione HDMI era in
grado di gestire un segnale HDR10 (il Dol-
by Vision usa un chip dedicato), ma grazie
alla modifica alla specifiche dell’HDMI As-
sociation sarà possibile trasportare anche
flussi HLG.
TV E VIDEO Il consorzio HDMI modifica lo standard HDMI 2.0b, utilizzato sulla maggior parte dei TV
L’HDMI cambia per accettare l’HDR HLG L’Hybrid Log Gamma è uno standard di trasmissione HDR via satellite o via digitale terrestre Per rendere compatibili i TV non occorrono modifiche hardware, basterà un aggiornamento
OLED Sony 55” e 65” al CES Ma arriveranno nella seconda metà del 2017Nuove conferme sull’arrivo di una serie di TV OLED Sony L’annuncio è previsto a Las Vegas, ma l’arrivo dei TV slitta al secondo semestre 2017: Sony vuole i nuovi pannelli LG di Roberto PEZZALI
Continuano le indiscrezioni sul-l’uscita dei nuovi TV OLED Sony e l’ennesima voce suona ormai come una conferma: Sony mostre-rà al CES di Las Vegas una serie di TV con pannello OLED LG. Due i modelli, un 55” e un 65”, che si posizioneranno in una fascia di prezzo medio alta partendo da circa 2000$. La notizia è stata riportata da Forbes e data da tal Barry Young, CEO di una fantoma-tica OLED Association con sede ad Austin, in Texas, ma come avevamo scritto in precedenza le stesse voci sono giunte anche ai nostri orecchi da più parti quindi sono abbastanza credibili.Il lancio, tuttavia, dovrebbe avve-nire nella seconda metà del 2017: questo perché LG inizierà a fornire i nuovi pannelli soltanto a marzo aprile e Sony giustamente vuole aver accesso alla nuova gene-razione di pannelli che LG userà il prossimo anno. Un ritardo che Sony dovrebbe comunque colma-re inserendo nei nuovi TV la sua eccellente sezione elettronica, e forse anche qualcosa in più. Man-ca ormai poco al CES 2017, meno di un mese: quest’anno per chi è ghiotto di news sui TV le novità non mancheranno.
Cosa cambia per i consumatori?Quella dell’HDMI è una modifica ad una
specifica che deve comunque essere
trasferita all’hardware: è stato aggiunto
in pratica un meta-dato statico (un flag)
che serve ad una sorgente per indicare
al TV che tipo di segnale sta per arriva-
re. Questo vuol dire che i TV dovranno
essere aggiornati: una cosa da poco,
fattibile via firmware, ma che richiede
comunque l’impegno dei produttori non
sempre attenti a questo tipo di cose.
Inoltre, la cosa riguarda solo i decoder
esterni: l’HLG è nato per le trasmissioni
DVB-T e DVB-S, pertanto la modifica
all’HDMI serve per creare decoder che
possano inviare ai TV flussi HLG: ci sono
televisori che già oggi gestiscono que-
sto segnale con i tuner interni e potreb-
bero non avere mai bisogno di questo
update. Non dovrebbero esserci co-
munque problemi per Sky: dal prossimo
anno Sky trasmetterà contenuti HDR, ma
difficilmente utilizzerà l’HLG come stan-
dard, ancora poco supportato dai TV. Più
probabile che il nuovo decoder 4K tra-
smetta contenuti in HDR10, compatibile
con tutti i TV e più universale. Sky, sul
satellite, non ha certo bisogno di rispar-
miare banda.
di Roberto PEZZALI
Quando ormai tutti gli utenti aveva-
no perso ogni speranza arriva il
regalo di Natale di Sony per tutti
coloro che hanno in casa una smart TV
Android del 2015 - 2016: negli States e in
Asia sta per iniziare la distribuzione della
versione 6.0 di Android, ovvero Marsh-
mallow, per la maggior parte dei modelli.
In Europa ancora nessun annuncio, ma
presupponiamo che anche per i modelli
italiani l’aggiornamento possa arrivare tra
qualche settimana, con l’update che ver-
rà rilasciato progressivamente partendo
da alcuni modelli per poi coprire tutta la
gamma.
Una buona notizia, anche se bisogna
ricordare che Android è ormai giunto
alla versione 7.0 e la TV solo oggi hanno
guadagnato la release 6.0, quindi resta-
TV E VIDEO Sony inizierà a distribuire progressivamente l’aggiornamento del sistema operativo
Android TV 6.0 sui TV Sony, si parte da metà dicembre La nuova versione porterà alcune novità di Marshmallow, ma resta indietro rispetto ad Android
no comunque indietro.
Ma cosa porta di nuovo
questa versione? Tra le
novità ci sono alcune
feature di Marshmal-
low presenti anche
sugli smartphone: una
gestione dei permessi
delle app granulare, più
efficace e sicura, e la possibilità di spo-
stare app e giochi su una memoria o un
hard disk esterno. Le novità più apprez-
zate però saranno un numero enorme di
bug risolti e una interfaccia decisamente
più snella e veloce, oltre che rivista in
alcune sezioni: la sezione ingressi viene
postata in basso, la ricerca ora è divisa
per generi e non vengono più mostrati i
duplicati nella vista “app” e “app in primo
piano”. Anche il design dell’interfaccia è
stato rivisto, riadattato ai più moderni ca-
noni di design della Material UI.
La release finale sarà la 6.0.1, e i model-
li interessati all’update saranno i Sony
X94C, X93C, X91C, X90C, S85C, S80C,
X85C, X83C, X81C, X80C, W95C, W87C,
W85C, W80C, W75C del 2015 e i Sony
X94D (XD94), X93D (XD93), X85D
(XD85), S85D (SD85), W9xxD, W8xxD del
2016. Sul sito americano è già presente
il file per il download: sconsigliamo l’uso
del firmware USA sulle TV europee, si
potrebbero perdere alcune funzionalità.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Roberto PEZZALI
Arriva il regalo di Natale anche per
gli abbonati Sky: è infatti disponibi-
le una nuova “home” e soprattutto
sarà attivata l’alta definizione sul servizio
On Demand. Una vera rivoluzione per
l’utente Sky, che ha sempre potuto fruire
dell’HD sui contenuti lineari ma mai sulla
sezione On Demand, una delle più usa-
te in assoluto con 2.3 milioni di utenti e
una media di 4.2 milioni di titoli scaricati
a settimana. L’utente potrà quindi sce-
gliere, per ogni contenuto, se scaricare
la versione SD oppure quella HD, oppu-
re potrà indicare la sua preferenza nel
pannello di controllo. I contenuti scaricati
hanno la stessa identica qualità della tra-
smissione lineare, un HD da 15 Mbps che
richiede qualche minuto prima di iniziare
la visione, ovviamente a seconda della
banda disponibile. L’Alta Definizione su
Sky On Demand è già disponibile con un
aggiornamento progressivo dei decoder
che terminerà entro dicembre, per tutti i
clienti che hanno attivato il servizio Sky
On Demand e hanno l’opzione HD. Tra i
contenuti ci saranno tutti i titoli di cinema,
la quasi totalità dell’offerta di Sky Box
Sets e il meglio di serie TV.
Rinnovata anche la homepage: Sky ha
realizzato una nuova interfaccia che va
“on top” al sistema operativo del MySky
e che offre una migliore organizzazione
ENTERTAINMENT Sky lancia una nuova home page per organizzare i contenuti e l’HD On Demand
Regalo di Natale, Sky On Demand ora è in HD Ma SkyGo e SkyGo Plus, almeno per il momento, restano ancora in standard definition
dei contenuti, con una zona inferiore di
suggerimento variabile a seconda delle
preferenze di visione, una barra di ricer-
ca finalmente intelligente, una preview
selezionabile e un menu per accedere
rapidamente alle varie sezioni del deco-
der. Migliorata notevolmente la ricerca:
se infatti fino ad oggi il sistema faceva un
match preciso della stringa, oggi cercan-
do “Leo” oltre a cercare film contenenti
le tre lettere “leo” trova anche i contenuti
dove Leonardo di Caprio o Leonardo Pie-
raccioni fanno parte del cast.
Qualcuno potrebbe pensare che questa
non è una grossa novità, così come la
nuova “home” non è affatto innovativa
come certe interfacce moderne, ma spes-
so non si calcola che Sky deve distribuire
le funzionalità su ogni decoder MySky
lanciato, assicurando il funzionamento
su diversi tipi di dispositivi alcuni dei quali
con quasi 10 anni di età alle spalle. Resta
invece in standard definition, almeno per
il momento, SkyGo e la sua versione evo-
luta SkyGo Plus: Sky ha pensato che fos-
se più importante concentrarsi sul gran-
de schermo, dando quindi la precedenza
all’On Demand, piuttosto che al mobile,
che già gode di una buona qualità. Sicu-
ramente il prossimo anno ci sarà spazio
anche per lui.
di Giulio MINOTTI
I l chief content officer Ted Sarandos di
Netflix ha illustrato, in una conferenza
tenutasi a New York, i progetti futuri
della sua compagnia: serie TV originali,
ma anche show e lungometraggi.
Netflix punta ad incrementare contenuti
originali fino a 1.000 ore nel 2017, più del
ENTERTAINMENT Netflix punta a coprire il 50% della programmazione con contenuti originali
Netflix, nel 2017 arriveranno 20 nuovi reality show A partire dal prossimo anno verrà intensificata di molto la produzione di reality show
doppio del 2016. Si passerà dai 5 miliar-
di di dollari di quest’anno a 6 miliardi di
investimento con l’obiettivo di arrivare ad
avere il 50% della programmazione com-
posto da contenuti originali. Attualmente
la famosa piattaforma di streaming ha 30
diversi serie televisive in vari stadi di svi-
luppo a cui si affiancheranno, nel 2017, 20
unscripted show.
“Quello dei reality è un business inte-
ressante, vogliamo puntare su contenuti
che possano piacere in tutto il mondo.
Ad esempio, Ultimate Beastmaster sarà
incentrata su atleti di sei differenti Paesi
(USA, Brasile, Corea del Sud, Messico,
Germania e Giappone)” ha dichiarato il
manager di Netflix.
Il prossimo anno arriveranno, infatti, 20
unscripted show (da noi più comunemen-
te noti come reality show) tra cui Ultimate
Beastmaster, prodotto da Sylvester Stallo-
ne. Definita come la prima serie compe-
titiva internazionale nel suo genere, con
sei versioni locali, vedrà la partecipazione
di 108 atleti/concorrenti cimentarsi in un
impegnativo percorso a ostacoli denomi-
nato The Beast.
Netflix punterà anche sui lungometraggi
autoprodotti; Ted Sarandos ha citato ad
esempio “Bright” il thriller fantasy che sarà
diretto da David Ayer, il regista di Suicide
Squad, e interpretato da Will Smith.
Apple vuole su iTunes i film quando ancora sono al cinema Gli esercenti si oppongonoApple sta cercando accordi con le major per portare i film su iTunes 14 giorni dopo l’uscita al cinema Qualcuno è favorevole ma i gestori dei cinema si oppongono e i prezzi sarebbero più alti di Roberto PEZZALI
Apple torna alla carica, nel mirino c’è la classica “window” di prote-zione dei film al cinema, che ga-rantisce ai gestori l’esclusività di sfruttamento di un contenuto per 90 giorni dalla sua uscita. Secondo Bloomberg, Apple vorrebbe questa finestra portare a soli 14 giorni, con i film a noleggio su iTunes quando ancora sono nelle sale cinemato-grafiche. L’azienda di Cupertino avrebbe sondato il terreno con 20th Century Fox, Warner Bros, e Univer-sal Pictures, e tutte e tre le major sarebbero propense al progetto. L’idea in effetti non è così assurda: agli esercenti restano le prime due settimane, quelle dove solitamente i film fanno il grosso degli incassi, e il circuito video on demand potreb-be iniziare a sfruttare questi diritti prima offrendo contenuti freschi a chi cerca qualcosa da “noleggia-re”. Per dare il via libera a Apple le major chiedono comunque più soldi: dai 25$ ai 50$ a film secon-do la fonti di Bloomberg, un costo ammortizzabile solo organizzando serate di proiezione con amici. La strada per la riduzione della finestra cinematografica è comunque molto lunga: gli esercenti non sono affatto d’accordo e si sono già opposti.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Roberto PEZZALI
D a qualche tempo, grazie all’aggiornamento del-
l’applicazione, è possibile finalmente scaricare
sul dispositivo i film e le serie TV di Netflix per ve-
derli in mobilità senza la necessità di connessione ad In-
ternet. Una sorta di rivoluzione per gli italiani, un popolo
di pendolari spesso in viaggio che può così sfruttare i
momenti liberi per godersi una puntata di una serie TV
facendo fruttare l’abbonamento mensile. Dopo aver già dato qualche dettaglio sulla nuova funzione, abbiamo
avuto modo di scambiare qualche opinione con Yann
Lafargue, Technology & Corporate Communications
Manager Netflix, che ci ha dato qualche informazione in
più sul servizio. Scaricare i contenuti di Netflix è sempli-
cissimo, ma ci sono tanti piccoli dettagli da sapere per
usare al meglio il servizio e non trovarsi spiazzati. Ecco
una completissima guida che toglie ogni dubbio.
Come faccio a scaricare un contenuto?Netflix è da sempre apprezzata per la sua facilità d’uso,
e dopo aver aperto l’applicazione aggiornata all’ultima
versione è semplicissimo trovare i contenuti scaricabili:
Netflix ha infatti preparato una vista dedicata e ha inse-
rito, di fianco ad ogni contenuto scaricabile, un logo con
freccia che fa partire l’azione di download immediata.
Per scaricare un contenuto il tablet o lo smartphone
devono ovviamente essere sotto rete Wi-Fi, anche se
questa impostazione può essere modificata dal menu
opzione. Il dispositivo scaricherà uno o più contenuti in
coda automaticamente raggruppandoli in una apposita
sezione.
Su quali dispositivi posso scaricare i film e le serie TV?Al momento il download di Netflix funziona su tutti i di-
spositivi iPhone o iPad con iOS 8 o superiore e su mol-
ti tablet o smartphone con Android 4.2.2 o superiore.
Netflix sta implementando progressivamente il numero
di dispositivi Android su cui il servizio è attivo, anche se
al momento buona parte dei prodotti più diffusi è com-
patibile. Il download non funziona sui dispositivi con
“root”, ovvero modificati. Mancano ancora all’appello i
vari Amazon Fire Tablet e i dispositivi basati su Windows,
mentre al momento la funzionalità di download non è
prevista né per le console e neppure per le Smart TV.
ENTERTAINMENT Una comoda FAQ divisa per punti che va a toccare tutti i temi caldi della nuova attesissima funzionalità
Guida al download di film e serie TV da NetflixTutto quello da sapere sulla nuova funzione download di Netflix, dalla gestione dei download alla durata dei contenuti
Tutti i film e tutte le serie TV sono scaricabili?No, anche se la maggior parte dei nuovi film lo saran-
no. Netflix ha rinegoziato i diritti con molti fornitori di
contenuti per poter dare questa possibilità ma c’è chi,
come Disney, non ha voluto in alcun modo che i suoi
contenuti fossero scaricabili. I contenuti della major,
incluso il ricco catalogo Marvel, non sono quindi dispo-
nibile per la visione offline. Si può comunque afferma-
re che almeno il 90% del catalogo è disponibile per il
download.
Come funziona il download quando viaggiamo all’estero?Netflix ha negoziato i diritti con i vari fornitori di conte-
nuti a livello territoriale, perché questo è ciò che impo-
ne la normativa. Quando viaggiamo dobbiamo quindi
stare attenti perché alcuni contenuti potrebbero non
essere visibili una volta giunti a destinazione. Per capi-
re meglio questa cosa possiamo fare due esempi. Un
cliente Netflix deve andare negli Stati Uniti e decide
di scaricare Stranger Things. Prima di imbarcarsi mette
la modalità “aereo” e si gode qualche puntata del ca-
polavoro Netflix in volo. Quando arriva a destinazione
toglie la modalità offline e potrà godersi ugualmente
le puntate restanti, perché Stranger Things è un’opera
globale Netflix che detiene i diritti dell’opera in tutto
il mondo. Mentre è negli Stati Uniti lo stesso utente
decide di scaricare House of Cards: mentre è sul volo
può guardarlo, ma appena arriva in Italia il contenuto
diventerà inaccessibile: Netflix non ha i diritti di House
of Cards per l’Italia, sono di Sky.
Quanto durano i contenuti scaricati?Per evitare problematiche contrattuali Netflix si è ade-
guata a quello che è lo standard di mercato, anche
se la cosa varai da titolo a titolo. Per i contenuti che
scadono in meno di sette giorni, nella pagina “I miei
download” dell’app Netflix viene visualizzato il tempo
rimanente per guardarlo mentre per alcuni titoli, dopo
aver iniziato la visione, ci sono solo 48 ore per comple-
tarla. Netflix ha comunque gestito la cosa in modo mol-
to intelligente: quando i diritti di visione di un contenuto
scaricato sono scaduti basta premere un tasto rinnova,
con il tablet collegato alla rete, per rinnovare tutto sen-
za necessariamente riscaricare il film, cosa necessaria
invece su altre piattaforme.
Per i contenuti scaricati ci sono lingue e sottotitoli?Si, tutti i contenuti scaricati hanno le stesse lingue e gli
stessi sottotitoli di quelli in streaming, quindi sono utili
anche per imparare una lingua straniera o per ascolta-
re la traccia audio originale, solitamente migliore.
Quanto spazio occupano i contenuti scaricabili?Dipende ovviamente dal tipo di contenuto: un episodio
da 57 minuti di The Get Down occupa in qualità stan-
dard 289,6 MB, mentre in qualità superiore lo stesso
contenuto occupa 698 MB. La qualità non viene decisa
per singolo titolo ma tramite una impostazione dell’app:
alta o superiore. Non c’è limite al download, o meglio, il
limite è lo spazio residuo sul dispositivo. Non tutti i con-
tenuti sono disponibili però in modalità superiore.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
I contenuti in alta qualità sono in alta definizione?No, al momento non disponibili titoli in HD da scarica-
re. La modalità superiore è infatti una via di mezzo tra
l’SD e l’HD, e la vera alta definizione arriverà solo tra
poco anche se è già prevista.
Netflix ha infatti lavorato moltissimo sull’encoding rea-
lizzando per il mobile due versioni di algoritmo di com-
pressione denominate AVCHi-Mobile e VP9-Mobile: a
parità di banda offrono una migliora qualità video degli
ENTERTAINMENT
Guida al download da Netflixsegue Da pagina 14
algoritmi usati per la TV. Netflix sta ricomprimendo tut-
to il catalogo per offrire a breve anche un HD di qualità
analoga a quella vista su un grande schermo ma capa-
ce di occupare meno spazio.
Posso scaricare i contenuti su memoria esterna?No, i contenuti scaricati possono risiedere solo sulla
memoria del dispositivo e non su SD Card: nei tablet
Android che permettono di espandere la memoria tra-
mite scheda esterna questa memoria non potrà essere
in alcun modo utilizzata per i contenuti video di Netflix.
Posso utilizzare Chromecast per inviare al TV contenuti scaricati?No, Chromecast non si può utilizzare per l’offline.
Posso collegare il telefono al TV per vedere i contenuti scaricati?Si, abbiamo provato l’adattatore HDMI per iPhone e
iPad e si può collegare un display o un monitor senza
problemi. Dovrebbero funzionare anche quasi tutti gli
adattatori e i cavi per tablet e smartphone android.
Come funziona con i profili utente?Ogni profilo ha il suo spazio dedicato per il download,
sia i profili bambini sia i profili adulti. Ogni utente vede
solo i contenuti scaricati da lui.
Ho l’account condiviso, ci sono limiti?Nessun limite, neppure ai dispositivi. Il download fun-
ziona a prescindere dal numero di device e da una
eventuale condivisione dell’abbonamento.
ENTERTAINMENT
Chromecast Ultra in Italia a 79 euroLa nuova chiavetta per lo streaming di Google è disponibile in Italia sul sito Google Play Devices a 79 euro, neppure troppo per la nuova versione della chiavetta che ora gestisce 4K, HDR, ha una con-nessione migliore e soprattutto può contare anche su una porta ether-net per chi ha un Wi-Fi ballerino. Ma a chi serve questa Chromecast Ultra? In realtà a poche persone: tutti coloro che hanno una Smart TV 4K probabilmente accedono già a Netflix o a YouTube in 4K, per tutti gli altri basta la Chromecast normale.La versione Ultra è indiriz-zata solo ad una nicchia di utenti che ha o un videoproiettore, quindi nessuna interfaccia smart, oppure un televisore di marca “esotica” con pannello Ultra HD ma con Net-flix non certificato: su un televisore di questo tipo la risoluzione di Netflix infatti si blocca a 720p.
di Roberto PEZZALI
Amazon Prime Video sta arrivando
in Italia: difficile dire se questo
accadrà proma o dopo Natale,
quel che è certo è che Amazon ha già
iniziato i preparativi per far sbarcare
anche nel nostro Paese il suo servizio
stile Netflix. Da qualche giorno, infat-
ti, utilizzando un account italiano di
Amazon abbonato al servizio Prime è
possibile accedere, passando tramite il
sito inglese, al catalogo di video esclu-
sivi e originali di Amazon, tra i quali
l’attesissimo The Grand Tour di Jeremy
Clarkson, Richard Hammond e James
May, il nuovo format del trio che ha
dato vita al più spettacolare show au-
tomobilistico di tutti i tempi, Top Gear.
Gli utenti italiani hanno accesso solo
a parte del catalogo, ovvero a tutti
i contenuti originali di Amazon per i
quali Amazon detiene i diritti in tutto
il mondo: se si prova ad esempio a
guardare Divergent un popup ci avvisa
che questa operazione non è possibile
perché Amazon non dispone dei dirit-
ti di visione per questo contenuto nel
nostro Paese.
I video sono in HD, con audio inglese
e sottotitoli in inglese, e nonostante le
ENTERTAINMENT Una scorciatoia che però funziona, in attesa dell’arrivo ufficiale del servizio
Amazon Video funziona già nel nostro Paese Con gli account Amazon Prime si possono già vedere spettacoli e serie TV dal sito inglese
barriere della lingua questa possibilità
sicuramente farà piacere a molti, sem-
pre che Amazon non decida di mettere
un blocco alla cosa in attesa del lancio
ufficiale.Considerando il catalogo, e la
possibilità di accesso con il semplice
Prime italiano, siamo propensi a cre-
dere che Amazon Prime Video verrà
lanciato in Italia in una sorta di “trial”
per saggiare le reazioni e l’interesse.
Amazon non ha un grosso catalogo nel
nostro Paese se escludiamo i contenu-
ti originali, e proprio per questo moti-
vo verrà quasi sicuramente tenuto un
basso profilo almeno in questa prima
fase, senza sovra presso e neppure
abbonamenti particolari. I contenuti
interessanti, soprattutto spettacoli e
serie, in ogni caso ci sono, The Grand
Tour in primis: non ci resta che atten-
dere qualche giorno, anche se chi ha
fretta, è abbonato Prime e conosce
l’inglese, può già tuffarsi su Amazon.
co.uk a farsi una scorpacciata di video.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Roberto PEZZALI
Chi è Huawei? Questa domanda se la sono fatta
probabilmente in molti negli ultimi mesi, anche
perché il nome Huawei inizia a essere conosciu-
to allo stesso modo di Samsung, Sony, LG o Apple.
Huawei è un’azienda cinese, e per questa azienda
l’Italia è il mercato europeo più importante. Se fino al
2013 pochi conoscevano Huawei, oggi, grazie anche
alla sponsorizzazione del Milan, alla pubblicità e agli
ottimi prodotti che sono arrivati sul mercato negli ultimi
anni è difficile trovare qualcuno che non sappia che
“Huawei è quella dei cellulari”. Una definizione forse
un po’ semplicistica, perché la divisione consumer rap-
presenta solo una piccola parte dei 60 miliardi di dollari
che compongono il fatturato annuale di Huawei, ma fa
capire che l’obiettivo dell’azienda è stato centrato in
pieno, usare prodotti che la gente usa tutti i giorni per
far conoscere il marchio che, con i suoi apparati, per-
mette a tutti di navigare in Internet e di telefonare. L’Ita-
lia, come dicevamo poc’anzi, è un paese decisamente
importante perché tra tutti gli stati europei è quello
dove le mode e i trend riescono, più di ogni altra cosa,
a influenzare i processi di acquisto: dalle magliette con
la margherita firmate Guru per arrivare recentemente
ai TV super sottili Samsung l’italiano si è sempre tuffato
sui marchi più forti e in vista del momento. Huawei oggi
è un marchio in vista: il millenials che fino a qualche
anno fa si vantavano con gli amici mostrando il loro
nuovo iPhone, dopo un periodo Galaxy, oggi sbandie-
rano fieri il loro Huawei P8 o il loro P9, seguendo il nuo-
vo trend del momento secondo il quale il brand cinese,
come Apple e Samsung, è un marchio “cool”. Una ten-
denza questa che dovrebbe preoccupare seriamente
chi sta davanti, e ci riferiamo soprattutto a Samsung: se
guardiamo alle quote di mercato in Italia Huawei si sta
avvicinando velocemente al colosso coreano e sono
in molti a scommettere che entro la fine del prossimo
anno, magari solo per qualche mese, potrà esserci un
sorpasso che sarebbe a tutti gli effetti storico non tanto
per Huawei quanto per la Cina, che dopo Lenovo ha
l’opportunità di piazzare un suo “prodotto” in cima alle
classifiche che contano. Riuscirà Huawei a sorpassare
Samsung, in Italia e in Europa? Dopo essere stati qual-
che giorno a casa di Huawei abbiamo tirato le somme:
MOBILE Dopo anni di dominio dei giapponesi e dei coreani, il mercato Consumer Electronics sta per essere travolto da Huawei
Huawei ai raggi X: vuole diventare la numero 1 Siamo stati in Cina per conoscere il Huawei-pensiero e capire come la multinazionale da 60 miliardi di dollari vive questo momento
ecco 6 motivi che ci spingono a credere che Huawei
può davvero diventare la numero 1 al mondo e altri 6
motivi che invece ci portano a pensare che serve an-
cora un po’ di tempo e lavoro, non tanto per arrivare in
cima ma più che altro per restarci, perché è questo alla
fine quello che conta.
Può diventare la numero uno perché...1 - Tutti remano nella stessa direzione perché Huawei è di tutti Huawei è una azienda atipica per assetto e struttura,
tanto che per la sua organizzazione è stata oggetto di
studio da parte di molte università di economia occiden-
tali. Mr. Ren Zhengfei, il suo fondatore, ha deciso infatti
che la cosa migliore da fare per tutelare l’azienda da lui
creata era quella di non possederla: di qui la decisione
di lasciare Huawei a tutti i suoi dipendenti. Huawei è
tutt’ora una società privata, dove il patron Ren Zhengfei
detiene solo l’1.4% delle azioni mentre il restante è di
proprietà di quella che viene definita l’Unione, ovvero
quasi tutti i 79,563 dipendenti che lavorano in Cina
(per quelli stranieri è previsto un piano simile fatto di
bonus e incentivi). Una sorta di schema simile allo stock
option americane, con la differenza che Huawei non è
una società quotata in borsa e mai lo sarà: ogni anno
vengono ridistribuiti i profitti tra i “soci” (in realtà viene
distribuito di più) per incentivare chi lavora in Huawei a
fare sempre meglio. Una organizzazione di successo,
che non crea disparità tra dipendenti e soprattutto che
non favorisce differenze nello stile di vita e nei guada-
gni tra l’ingegnere e il vice president di una divisione. In
Huawei vige anche una seconda regola legata a questo
schema di retribuzione: più si lavora duro più si viene
pagati e ricompensati con bonus e incentivi, ma solo
a patto che il lavoro sia finalizzato a migliorare il rap-
porto tra Huawei e i suoi clienti. È proprio quest’ultimo
sistema a spingere ricercatori, ingegneri e dipendenti
ad ogni livello a cercare di sfruttare ogni ora del proprio
tempo, anche quello libero, per trovare qualche soluzio-
ne che possa in qualche modo migliorare la posizione
dell’azienda sul mercato e rispetto ai concorrenti. E a
guadagnarci non è il diretto superiore o il capo della
divisione, ma il dipendente stesso.
2 - Huawei sa già cosa vuol dire diventare leader e restarloLa data cruciale per Huawei è il 2012, l’anno in cui il
colosso delle telecomunicazioni cinese, leader nel mer-
cato interno, ha sorpassato Ericsson diventando il primo
gruppo nella realizzazione di apparati di rete. Oggi la
Huawei che gestisce la parte “business”, ovvero le due
divisione Carrier e Enterprise è un incredibile case hi-
story per la realtà più giovane, quella degli smartphone:
è partita nel 1987 realizzando apparati “ispirati” a quelli
europei di Nokia e Ericsson e a quelli americani di Cisco
ed è arrivata a creare prodotti unici nel suo genere re-
gistrando brevetti a raffica (4000 all’anno) e lanciando
nuove sfide, come ad esempio il 4.5G dove Huawei
è uno dei player fondamentali. È grazie a tecnologie
esclusive di Huawei come l’LTE-TDD 4.5G WTTH che
in Sardegna Tiscali riuscirà a connettere ad alta velocità
sfruttando ponti LTE le zone rurali, ed è sempre grazie al
4.5G che i prossimi Mondiali di calcio potranno essere
inviati in streaming in 4K o addirittura in 8K tramite un
segnale radio con una latenza minima rispetto alla diret-
ta. Non è un caso che Huawei abbia spostato le migliori
pedine della divisione di successo in quella emergente:
James Zou, il nuovo General Manager Consumer Busi-
ness Group di Huawei Italia, ha vissuto sulla sua pelle la
scalata di Huawei ai vertici mondiali delle telecomunica-
segue a pagina 17
L’headquartier a Shenzen è un’oasi di pace immer-sa nel verde. E a breve sorgerà un nuovo campus.
Una delle antenne che permetterà di coprire la Sardegna con una connessione wireless simil-fibra.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
MOBILE
Huawei ai raggi Xsegue Da pagina 16
zioni, e ora con questo bagaglio di esperienza si prepa-
ra a fare altrettanto con Mate 9 e con i nuovi modelli in
arrivo, primo tra tutti l’attesissimo P10.
3 - Huawei produce tutto in casa per non dipendere da fornitori e gestire al meglio il prezzoHuawei è l’unica azienda che produce in casa tutti i
componenti chiave di uno smartphone, e questo è un
traguardo non da poco per una azienda con una storia
così giovane, soprattutto negli smartphone. Il SoC Kirin,
un processore che può tranquillamente rivaleggiare con
Qualcomm, Apple e Samsung, è il fiore all’occhiello di
una divisione che anno dopo anno riesce a sfornare un
modello più veloce ed ottimizzato senza sbagliare un
colpo. Apple con i processori della serie “A” ha fatto un
lavoro davvero incredibile, ma tutt’ora si affida a Qual-
comm o a Intel per la parte modem: Huawei costruisce
in casa anche il modem, e può sfruttare l’enorme baga-
glio di esperienza che arriva dalle altre divisioni. Con
l’arrivo del 5G la sezione radio di uno smartphone rive-
stirà una parte sempre più importante, soprattutto in re-
lazione ai consumi e alla gestione energetica: Huawei
insieme ad Ericsson è una delle aziende con il più ele-
vato numero di brevetti legati alle reti di nuova genera-
zione, un pacchetto che si aggiunge al numero totale
di brevetti registrati davvero impressionante. Huawei
ad oggi ha registrato oltre 50.000 brevetti in Cina, e
di questi 30.000 sono riconosciuti anche all’estero. Un
risultato che è il frutto dell’investimento del 10% del fat-
turato annuo in R&D, con oltre il 45% dei dipendenti
impegnati in attività di ricerca e sviluppo.
4 - Huawei non copia, “assorbe”, e la differenza sep-pur sottile è importante “I cinesi sanno solo copiare”. Questa idea, molto dif-
fusa, è vera solo in parte. Chi ha l’occasione di fare
un viaggio in Cina si renderà conto che ormai la Cina,
almeno se guardiamo al triangolo d’oro Shenzen,
Shangai e Hong Kong, è un paese che ha saputo rac-
cogliere moltissime influenze dal mondo occidentale
senza però snaturare il suo essere. La Cina non copia,
prende quello che fanno gli altri di buono e cerca di mi-
gliorarlo aggiungendoci qualcosa di suo. E Huawei in
questi anni ha fatto proprio questo, prendendo spunto
da Apple (soprattutto) e dagli altri marchi per portare
in casa tutte le idee buone, cambiarle e modificarle a
modo suo riproponendole su prodotti che seppur ispi-
rati sono comunque diversi.
È l’azienda stessa a incitare le persone a vedere quan-
to di buono hanno fatto i competitor, e non ci siamo
stupiti più di tanto quando nel corso di una intervista
Simon Wang, Vice Persident Handsets P and Mate Se-
ries, al posto di usare uno smartphone prodotto dal suo
gruppo di lavoro ha tirato fuori dalla tasca, per rispon-
dere ad una chiamata, un fiammante iPhone 7 Plus.
“Huawei chiede a tutti di usare i prodotti della concor-
renza, se vendono tanto è perché hanno delle cose
buone e solo provandoli ci accorgiamo cosa possiamo
migliorare e dove dobbiamo intervenire” ci spiega Pier
Giorgio Furcas, Deputy General Manager Consumer
Business Group di Huawei Italia. “E questo vale in tutto
il mondo, aggiunge il manager, anche in Italia usiamo
ogni tanto come secondo telefono Samsung o iPhone”.
Come non si vergogna affatto a mostrare una interfac-
cia EMUI con tanti tratti in comune con iOS di Apple
o un Mate 9 Porsche Design, che assomiglia davve-
ro tanto ad un Galaxy S7, Huawei non si fa problemi a
stroncare soluzioni che invece a suo avviso non sono
vincenti. “Avevamo messo sul Mate S lo schermo con
rilevamento di pressione come sull’iPhone 6S” - spiega
Sim Wang - “ma poi abbiamo capito che non era così
utile come si pensava e abbiamo preferito levarlo per
tenere il prezzo più basso.” Le idee buone restano e
si possono migliorare, ma se una idea non è vincente,
come ad esempio la rimozione del jack audio, Huawei
sceglie comunque la sua strada.
5 - Huawei è concreta, come lo sono i cinesi: si guar-da subito alla sostanzaAbbiamo chiesto a James Zou quale sarà secondo lui
la prossima grande rivoluzione nel mondo dell’elet-
tronica di consumo e la risposta, diretta e sincera, ci
ha colpito: “Realtà virtuale”. Non ci mettiamo molto a
capire il perché di questa risposta: ci è bastato infatti
spendere qualche ora per visitare una delle più gros-
se fiere tecnologiche cinesi, l’Hi Tech Cina di Shenzen,
per renderci conto che mentre in Europa e in America
tutti stanno ancora pensando quale può essere l’appli-
cazione perfetta per la realtà virtuale, perdendo tempo
in demo tanto affascinanti quanto inutili, in Cina le idee
le hanno ben chiare da tempo. Sono già nate infatti in-
tere sale giochi basate su visori di realtà virtuale, dai
simulatori di tuta alare ai roller coaster per passare alle
arene di combattimento e alle corse con le slitte i cinesi
hanno già capito come trasformare una nuova tecnolo-
gia, la realtà virtuale, in un business di successo capace
di fare utili. La stessa praticità Huawei l’ha adottata nei
suoi prodotti e continuerà a farlo.
6 - Huawei produce già gli smartphone con i robot, sono più precisi degli umaniApple produce in Cina, e continuerà a farlo fino a quan-
do Trump non deciderà che deve tornare a produrre
in America se vuole usufruire di vantaggi fiscali. Nelle
fabbriche Foxconn centinaia di migliaia di cinesi in bat-
terie producono iPhone, Watch, MacBook insieme ad
altre centinaia di prodotti destinati ai mercati di tutto
il mondo, dall’Xbox One alla Playstation. Foxconn pro-
duce anche smartphone Huawei, ma solo ed esclu-
sivamente i prodotti di fascia bassa: “L’outsourcing
conviene per certi tipi di prodotti, conferma Zou, ma
per i prodotti di punta non ci affidiamo agli umani ma
abbiamo una linea produttiva interamente robotizzata”.
Scopriamo quindi che i modelli top di Huawei, in que-
sto momento il Mate 9 e il Mate 9 Porsche Design e
prima di loro il P9 e il P9 Plus, vengono prodotti in una
fabbrica dove l’uomo ha solo un ruolo di controllo e di
gestione, nello specifico il caricamento dei componenti
in esaurimento all’interno delle enormi macchine robot.
L’assemblaggio e il montaggio degli smartphone top di
gamma è totalmente automatico e viene fatto con una
precisione che l’uomo non può avere, dal serraggio
delle viti alla deposizione degli adesivi. “Utilizzare i ro-
bot ad oggi costa di più, non solo per la manutenzione:
programmare un robot per fare uno smartphone è de-
cisamente più difficile che insegnarlo ad un uomo, ma
il risultato ci dà ragione”. Non è escluso che, in futuro,
tutta la produzione possa essere automatizzata con
benefici a tutti i livelli. Cade qui un altro mito occiden-
tale, quello delle batterie di cinesi chini su un tavolo a
montare smartphone senza pause e con turni di lavoro
massacranti: paradossalmente Huawei utilizza l’assem-
blaggio umano molto meno di quanto facciano le mul-
tinazionali americane e europee.
segue a pagina 18
Una antenna 5G: Huawei insieme a Ericsson è uno dei giocatori più importanti.
Un bel simulatore di tuta alare: dal ventilatore frontale ai movimenti la sensazione di realismo è notevole.
9.2 miliardi di dollari l’investimento in R&D nel 2015.
Batterie di server nella divisione che sta studiando soluzioni per l’IoT.
torna al sommario 18
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
Non è ancora pronta perché...1 - Solo gli smartphone non bastano per diventare la nuova SamsungLa strategia consumer di Huawei per diventare nume-
ro uno ruota esclusivamente attorno al business che
conosce meglio, quello delle telecomunicazioni. Una
scelta che riflette la praticità di una azienda che non
vuole né sbagliare né perdere tempo: è consapevole
dei suoi mezzi e del suo vantaggio tecnologico in un
campo che conosce bene. Grazie a quanto ha appreso
nel mondo enterprise è convinta di poter realizzare fin
da oggi smartphone migliori di quelli dei suoi competi-
tor. Questo però potrebbe non bastare: se togliamo le
briciole composte da qualche tablet con Windows e da
qualche accessorio per smartphone, non ci sono altre
categorie di prodotto che non siano gli smartphone. La
notorietà di Apple, di Samsung e prima di loro di Sony e
delle grade aziende giapponesi è stata costruita attor-
no ad un portafoglio di prodotti ricco e variegato, che
tocca anche la casa. Se vorrà lasciare un solco profon-
do nella storia della tecnologia, Huawei dovrà per for-
za di cose diversificare il suo business, guardando non
tanto a settori che ormai sono in “decadenza” come
TV e audio ma più che altro a automotive, Internet of
Things e smarthome. E, da quando abbiamo visto, ci
sta già timidamente provando.
2 - Huawei è solo una delle tante brave aziende cinesi che stanno emergendoHuawei è il fiore all’occhiello di una Cina tecnologica
che fino ad oggi ha realizzato i prodotti per l’occidente
e che ora ha voglia di dimostrare al mondo intero che
non solo può produrre, ma può anche creare e stupi-
re. In scia a Huawei, anche se ancora distanti, ci sono
moltissime altre aziende cinesi altrettanto brave e altret-
tanto valide. Basti pensare ad una One Plus, che tanto
piccola non è, capace di realizzare uno smartphone di
eccellente qualità come il One Plus 3T oppure a Xiao-
mi e Meizu, altri due marchi che sono rimasti troppo a
lungo “chiusi” all’interno della Muraglia e non vedono
l’ora di far vedere al mondo che ci sono anche loro. Riu-
sciranno insieme a creare una devastante onda d’urto
per il mercato o finiranno solo per ostacolarsi uno con
l’altro?
3 - Manca un prodotto che identifichi Huawei come leader anche nell’innovazioneL’impressione che ci siamo fatti, dopo una settimana in
Cina è che i cinesi siano ancora più bravi a insegui-
re che a guidare il gruppo, e questo in tutti i settori,
dalla moda alla comunicazione, alla tecnologia. La
divisione enteprise di Huawei ha saputo distinguersi
proponendo nel corso del tempo soluzioni innovative
e uniche, prodotti e brevetti che ancora oggi le ven-
gono riconosciuti, la divisione consumer non è ancora
riuscita a creare quel prodotto simbolo che possa in
qualche modo dare a Huawei la chiave del tempio
degli innovatori. Apple ha creato nel corso degli anni
molti prodotti che hanno fatto la storia, e lo stesso pos-
siamo anche dire di Samsung: il TV a LED è merito
dell’azienda coreana, lo stesso concetto di phablet è
un’intuizione Samsung e se si guarda al passato ci si
accorge che Samsung fu la prima a lanciare sul merca-
to una action camera, la EgoCam, forse un po’ troppo
d’anticipo rispetto ai tempi ma l’idea comunque c’era.
Huawei ancora un prodotto simbolo non lo ha realiz-
zato, e nessuno vince una coppa senza portare a casa
qualche vittoria.
4 - Gli Stati Uniti restano un tabùLa quasi totalità del fatturato di Huawei viene fatto con
Europa, Asia e Americhe, fatta eccezione per gli Stati
Uniti. La tecnologia di Huawei, soprattutto per quan-
to riguarda gli apparati di rete, non è ben vista negli
States per ragioni legate soprattutto alla sicurezza: il
timore che i cinesi possano avere in qualche modo
accesso alle telecomunicazioni americane è un’ipote-
si che nessuno in America ha mai voluto prendere in
considerazione. Inutile dire che il problema non sussi-
ste, anche perché nel mondo la maggior parte degli
operatori di rete usa Huawei senza problemi, Vodafo-
ne inclusa, e qualcuno ci suggerisce che la reticenza
a stelle e strisce nell’usare prodotti Huawei è dovuta
quasi esclusivamente alla difficoltà di accesso per gli
enti governativi a quegli apparati, cosa che impedireb-
be alla NSA di installare spyware e software di sorve-
glianza di massa. Tralasciando complotti e teorie alla
Snowden, l’assenza di Huawei negli States in qualche
modo potrebbe ostacolare la scalata alla leadership
del colosso cinese, soprattutto nel segmento consu-
mer. I rapporti tra Huawei e le aziende americane poi
sono tutt’altro che idilliaci, soprattutto quello con Goo-
gle, incrinato dalla recente vicenda legata ai Google
Pixel. Google avrebbe infatti voluto Huawei come part-
ner per i suoi smartphone, Huawei in cambio voleva
apporre il brand sul retro: è saltato tutto, e ora i Pixel
li produce HTC.
5 - Non si può vivere solo di hardwareHuawei è nato come produttore di hardware e al
momento vuole restare produttore di solo hardware
perché questo è quello che sa fare bene. Nel mondo
delle telecomunicazioni, dove è leader, questa è una
scelta vincente, anche perché Huawei deve fornire
una ottima infrastruttura di base che gli operatori e i
suoi partner implementano e gestiscono come meglio
credono con le loro soluzioni proprietarie. Nel mondo
degli smartphone essere un puro produttore potreb-
be non bastare: Huawei oggi smette di guadagnare
quando vende un Mate 9 o un P9, Apple in quel mo-
mento inizia a guadagnare. La soluzione per il produt-
tore cinese è ridurre i costi producendo tutto in casa,
dal primo all’ultimo componente, così da aumentare
i margini di guadagno e profitto, ma questo in futuro
potrebbe non bastare se l’obiettivo è riuscire ad ave-
re una divisione consumer forte e indipendente come
quella business. Anche perché, inutile girarci attorno,
oggi la divisione consumer è solo una stella, seppur
luminosa, della enorme galassia di prodotti di rete e
infrastruttura Huawei.
6 - Troppo convinti delle loro capacità Un leader globale dev’essere globale“Make it possible” è il pensiero che spinge i quasi
200.000 dipendenti Huawei a migliorare giorno per
giorno i loro prodotti per diventare i numeri uno, e
l’obiettivo finale è dimostrare che la Cina ce la può fare.
Il nome stesso Huawei, tradotto, significa “La Cina può
riuscirci”, ed è evidente che il marchio punta ad emer-
gere nel mondo come brand cinese. “Se c’è un inge-
gnere americano bravissimo a creare le antenne vuol
dire che anche un cinese, se studia e si applica, può
riuscirci. Anzi, sicuramente può fare di meglio”. Que-
sto è bene o male il pensiero che guida ogni azienda
cinese, tuttavia è davvero difficile emergere se non si
prendono elementi da tutte le altre culture: i dipendenti
stranieri stanno aumentando a vista d’occhio, i centri
r&d anche ma gran parte della ricerca e dello sviluppo
viene ancora fatto in Cina. Per diventare leader globale
Huawei deve iniziare a strappare i migliori ingegneri e
i migliori sviluppatori a Apple, a Google, a Microsoft,
a Ericsson e alle altre multinazionali. Una bilancia in
perfetto equilibrio, ma anche una bilancia che trascura
l’effetto temporale: rispetto alle altre realtà affermate
del consumer Huawei è quella che ha bruciato più di
tutti le tappe. E’ giovane, dinamica e atipica per esse-
re una società cinese, e soprattutto ha dimostrato con
ogni generazione di prodotti di tenere il passo degli
altri aggiungendo talvolta anche qualcosa in più. I con-
sumatori le danno fiducia, le aziende stesse le danno
fiducia, perché nessuno avrebbe mai pensato di vede-
re i loghi Leica e Porsche su uno smartphone cinese , e
mese dopo mese i numeri crescono. Stare in scia come
abbiamo detto è facile, è il sorpasso la manovra delica-
ta: un errore e sei fuori. Una cosa è sicura: il prossimo
anno, con il testa a testa tra Samsung e Huawei, ci sarà
davvero da divertirsi.
MOBILE
Huawei ai raggi Xsegue Da pagina 17
Mate 9 e Leica nel negozio dell’azienda tedesca a Shangai: anni fa un accostamento simile sarebbe stato considerato eresia pura.
Batterie di server nella divisione che sta studiando soluzioni per l’IoT.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Franco AQUINI
S econdo quanto comunicato a
Bloomberg da una fonte coinvol-
ta nello sviluppo, il nuovo Sam-
sung Galaxy S8 dovrebbe avere un
display senza cornici e il tasto home
virtuale. Un cambiamento, se fosse
confermato, radicale rispetto al passa-
to e in parte sicuramente giustificato
dalla necessità di rottura col recente
passato, segnato dal brutto affare del
Galaxy Note 7.
Samsung ha quindi bisogno di un nuo-
vo top di gamma innovativo, se è vero
che il nuovo iPhone, atteso per la fine
del 2017, adotterà un display OLED e
anche un nuovo design. Per farlo non
rimane quindi che affidarsi alla stessa
soluzione già adottata da Xiaomi con il
concept phone Mi Mix, che adotta un
display che copre il 91% della super-
ficie frontale. Certo rimangono molti
dettagli da definire, come la capsula
auricolare, le fotocamera frontale, tutta
la sensoristica posta sulla parte fronta-
le del telefono e infine il tasto home,
che finora Samsung ha preferito fisico
anche per la presenza del sensore
biometrico. Molte voci parlano inoltre
di funzionalità basate sull’intelligen-
za artificiale radicalmente differenti
rispetto ai modelli precedenti, grazie
anche all’apporto della recentemente
acquisita Viv Labs, fondata da svilup-
patori del team di Siri. La notizia, se
bene si tratti solo di un rumor, fa il paio
con quella che parla dell’assenza del
jack audio analogico sul prossimo S8. Stretegia per fornire un auricolare
audio wireless di alta gamma o sempli-
ce inseguimento della rivale di sempre
Apple? Tutti dubbi che verranno fugati
a breve se, come sembra, il nuovo fla-
gship Samsung verrà svelato durante il
Mobile World Congress di Barcellona.
MOBILE Bloomberg afferma che Samsung è pronta a rivoluzionare il design del Galaxy S8
Galaxy S8, senza cornici e senza tasto fisico Per l’S8 si parla di display full frame senza cornici, simile a quello Xiaomi, e tasto home virtuale
di Dario RONZONI
E ra il 18 maggio scorso quando Nokia
ufficializzava un accordo di licenza
esclusiva con HMD Global, un’ema-
nazione della stessa azienda finlandese
nata con fini operativi dopo la cessione
della divisione featurephone Nokia da
parte di Microsoft a FIH Mobile, sussidia-
ria del colosso taiwanese Foxconn. Ora
da Espoo è arrivata la conferma dell’inizio
delle attività: HMD Global sarà la nuova
casa dei telefoni marchiati Nokia, in base
a un accordo della durata di dieci anni.
Nokia, che non è né azionista né inve-
stitore di HMD Global, riceverà royalty
per ogni device, smartphone o tablet,
venduto col proprio marchio, di cui
continua a mantenere la proprietà intel-
lettuale. Nonostante il regno Microsoft
abbia decisamente appannato l’imma-
gine dello storico produttore finlande-
se, l’appeal del marchio resta forte tra i
consumatori, stando almeno alle dichia-
razioni di Brad Rodrigues, presidente
ad interim di Nokia Technologies, ed è
da questa certezza che il nuovo corso
vuole ripartire. Intanto sul sito di Nokia
si comincia a fare spazio per l’arrivo dei
nuovi smartphone motorizzati Android,
che dovrebbero vedere la luce entro la
metà del 2017.
MOBILE Dalla Finlandia arriva la comunicazione ufficiale dell’inizio delle attività di HMD Global
Nokia, i primi smartphone Android a metà 2017I primi smartphone e tablet del nuovo corso vedranno la luce dalla metà del nuovo anno
Arriva Bluetooth 5 più veloce, con un raggio più ampio e pensato per l’IoTÈ finalmente disponibile la quinta generazione del noto standard di connessione wireless due volte più veloce e pensato per collegare i dispositivi dell’Internet of Things di Giulio MINOTTIDopo l’annuncio dello scorso giu-gno da parte del Bluetooth Special Interest Group (SIG), la quinta ver-sione del famoso standard di co-municazione wireless è finalmente pronta per il mercato. Bluetooth 5, secondo le dichiarazioni ufficiali, sarà due volte più veloce (fino a 2 Mbps) e con un raggio d’azione quattro volte più ampio rispetto al Bluetooth 4.2. Avrà, inoltre, consu-mi in linea con l’attuale generazione ed una capacità trasmissiva dei dati otto volte superiore, con un occhio di riguardo al mondo IoT: “Blue-tooth sta rivoluzionando il modo in cui le persone vivono l’esperienza dell’IoT. Bluetooth 5 continua a gui-dare questa rivoluzione offrendo connessioni IoT affidabili e incenti-vando l’adozione dei beacon, che a loro volta ridurranno le barriere di connessione, consentendo una perfetta esperienza dell’IoT” ha dichiarato Mark Powell, Direttore Esecutivo di Bluetooth SIG.Questa nuova versione promette, infatti, anche beacon Bluetooth più efficienti, una tecnologia che per-mette ai dispositivi di trasmettere e ricevere dati entro brevi distanze, utilizzata da esempio dai negozi per contattare potenziali clienti. Inoltre il Bluetooth 5 sarà anche in grado di ridurre le interferenze con altre connessioni wireless come Wi-Fi e LTE, con una maggiore ef-ficienza nell’uso dei canali di tra-smissione sulla banda 2.4Ghz. I pri-mi prodotti compatibili con questo nuovo standard dovrebbero entra-re in produzione tra qualche mese (da 2 a 6 mesi), per poi diventare mainstream entro la fine dell’anno prossimo.
torna al sommario 20
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Gaetano MERO
M icrosoft è pronta a trasferire
l’intera esperienza desktop su
dispositivi mobili dotati di pro-
cessori con architettura ARM grazie (an-
che) alla collaborazione con Qualcomm,
confermando quanto già trapelato online. Tutti i programmi disponibili per
la versione classica di Windows saranno
dunque eseguibili anche su smartphone
e tablet. Dopo l’esperienza non proprio
appagante, soprattutto per gli utenti,
di Windows RT (nato appunto per per-
mettere l’installazione di Windows su
dispositivi basati su architettura ARM), la
Casa di Redmond ci riprova accorciando
le distanze tra PC tradizionale e device
come tablet e smartphone permettendo
a questi ultimi l’accesso al vastissimo
parco applicazioni di cui dispone Win-
dows. I programmi funzioneranno pro-
prio come su macchine con chipset Intel
assicura Terry Myerson in un’intervista a
The Verge, questo permetterà ai produt-
tori di concepire portatili, smartphone e
tablet sempre più veloci e con maggiore
autonomia, andando incontro alle esi-
MOBILE Windows 10 presto sui dispositivi mobili con CPU ARM, grazie anche a Qualcomm
Windows 10 sui device con processore ARM I programmi per Windows saranno eseguibili anche su smartphone e tablet, come su PC
genze di mercato.
Microsoft ha dimostra-
to in un video come
può girare Photoshop,
uno dei programmi
che richiede maggiori
risorse, il browser Edge
e l’applicativo Word su
un dispositivo dotato di
processore Qualcomm
Snapdragon 820 e 4
GB di RAM in modo
assolutamente fluido.
Proprio allo stesso modo di come acca-
de su un PC desktop con maggiori risor-
se hardware.
L’emulatore al momento non eseguirà
le versioni delle applicazioni a 64-bit,
ma questo pare non essere un grosso
problema dato che la maggior parte
dei programmi sono pensati in 32-bit e
molti offrono la doppia edizione. “I clienti
sono alla ricerca di dispositivi con una
migliore durata della batteria e dotati di
connettività cellulare” ha detto Myerson,
questo significa che anche i futuri smar-
tphone Windows potranno eseguire le
applicazioni desktop complete, imple-
mentando quindi quello già iniziato dalla
società con il sistema Continuum.
Una piattaforma universale pare esse-
re il futuro per Microsoft, in merito alla
concorrenza tra Intel e Qualcomm che
potrebbe diventare sempre più sostenu-
ta la società di Redmond spiega che la-
scerà alle case produttrici piena libertà di
scelta, e assicura che con Intel i rapporti
sono quantomai solidi visti i tanti progetti
in cantiere. Gli interrogativi sui futuri pro-
dotti con architettura ARM e Windows 10
a bordo sono tanti, tuttavia c’è ancora da
attendere visto che i primi device non
vedranno la luce ancora per molti mesi.
di Franco AQUINI
Alla conferenza WinHEC 2016,
Microsoft ha svelato molti dettagli
interessanti riguardanti Project EVO,
tra cui i requisiti minimi richiesti per i PC
a cui verrà collegato. Ricordiamo che
Project Evo è il progetto di Microsoft de-
dicato ai visori per la realtà virtuale a co-
sto contenuto e adatti a una moltitudine
di scopi: nelle intenzioni del produttore,
Project Evo è la piattaforma consumer
(quella hi-end resta Hololens) per la quale
è previsto il coinvolgimento di una serie
di produttori hardware come Acer, ASUS,
Dell, HP e Lenovo. Le caratteristiche tecni-
che richieste appaiono molto più contenu-
te rispetto alle controparti Oculus e HTC,
in particolare per quanto riguarda la sche-
da video. Si parla addirittura del supporto
di GPU Intel integrate, di conseguenza c’è
la conferma che sarà veramente la realtà
PC Alla conferenza WinHEC 2016 Microsoft svela le novità sul futuro di Windows e di Project EVO
Microsoft rivela i dettagli di Project EVOComunicate le caratteristiche tecniche richieste per supportare la realtà virtuale di Windows 10
virtuale per qualsiasi PC
in commercio (o quasi).
Di seguito i requisiti:
• CPU: Intel Mobile
Core i5 (es. 7200U)
• GPU: Intel® HD
Graphics 620 (GT2)
equivalente o superiore
con DirectX12
• RAM: 8GB Dual Chan-
nel, o più
• HDMI: HDMI 1.4 con supporto a risolu-
zione 2880x1440 @ 60 Hz, HDMI 2.0 o Di-
splayPort 1.3+ con supporto a risoluzione
2880x1440 @ 90 Hz
• HDD: 100GB o più SSD o meccanico
• USB: USB 3.0 Type-A o USB 3.1 Type-C
con DisplayPort Alternate Mode
• Bluetooth 4.0: per gli accessori
Project EVO, oltre a portare la realtà virtua-
le al grande pubblico (secondo le speran-
ze di Microsoft), permetterà a Windows 10
di integrare molte nuove funzionalità. Tra
la possibilità di utilizzare Cortana in ma-
niera simile a come si utilizza Amazon
Echo o Google Home, un nuovo sistema
di riconoscimento biometrico di Windows
Hello, audio spaziale e supporto all’HDR.
Tutte novità largamente attese nel pros-
simo, grande aggiornamento di Windows
10, il Creators Update, atteso per la metà
del 2017.
Sony vuole essere la prima a rilasciare Android 7.1.1 (Google a parte)Il team di sviluppo Sony sapere vuole rilasciare la prossima versione prima di tutti gli altri produttori diversi da Big G. Sarebbe già tutto pronto, in attesa solo degli ultimi test di compatibilità di Alvise SALICE
Stando ad un rumor apparso su Xperia Blog, Sony Mobile sembra abbia messo nel mirino un ambi-zioso obiettivo: rendere disponibi-le la prossima versione di Android Nougat (la 7.1.1) per prima. Dopo Google, per la precisione, ma in anticipo su tutti gli altri produttori di smartphone, anche quelli che sul mercato vantano posizioni do-minanti rispetto all’azienda giap-ponese, come Samsung e LG.Sony, evidentemente, ritiene stra-tegico riuscire ad implementare prima dei competitor quelle nuo-ve caratteristiche che Android 7.1.1 sfoggia sui dispositivi Nexus e Pixel. Il team di sviluppo è già in possesso del codice sorgente, e prima di procedere attende so-prattutto la Suite per i Test di Com-patibilità da parte di Google. Dopo aver avviato il roll-out del recente Android 7.0.1 su Xperia X Perfor-mance e Xperia XZ, Sony Mobile ha dichiarato “La nostra priorità è uscire per primi col prossimo update. Se doveste accorgervi che qualche altro produttore sarà riuscito a rilasciarlo più rapida-mente di noi, preparate pure i po-modori marci!”.Riusciranno i giapponesi ad esse-re stavolta più rapidi di coreani e cinesi?
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torna al sommario 22
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
GAMINGTra le tante novità gaming c’è posto per una modica delusione: sul fronte PlayStation VR c’è davvero poco da dire
The Last of Us 2, Crash Bandicoot: ecco il futuro della PS4 Dal palco del PlayStation Experience arrivano buone nuove sui titoli futuri che accompagneranno i giocatori nei prossimi anni
di Francesco FIORILLO
N el corso dell’immancabile show pre natalizio or-
ganizzato da Sony, il colosso nipponico ha svela-
to alcune novità legate all’universo PlayStation.
Uncharted 4 The Lost Legacy, la nuova espansione
single player dedicata all’ultimo capitolo della saga
con protagonista Nathan Drake, ha aperto le danze
mostrandosi in un lungo e interessante filmato di ga-
meplay. Il DLC, che permetterà ai giocatori di vivere
una nuova epopea vestendo i panni di Chloe (la co-
protagonista di Nathan già apparsa nel secondo ca-
pitolo) proporrà anche piccole variazioni nel game-
play, implementando tutta una serie di meccaniche
tipicamente Stealth.
Capiterà cosi di dover scassinare una serratura,
muoversi silenziosamente nell’ombra o, ancora, di
evitare un gruppo di nemici sgattaiolando sul corni-
cione di un edificio abbandonato.
Uncharted 4: The Lost Legacy
The Lost Legacy sarà un DLC standalone e potrà
essere quindi giocato anche da chi non possiede il
gioco completo.
Una data d’uscita precisa non è stata però divulga-
ta, ma tra le varie ambientazioni sarà presente un
inedito mix fatto di scenari urbani, giungle e antiche
rovine indiane.
Marvel Vs Capcom
Passata questa prima esclusiva, sul palco si sono
susseguiti tutta una serie di progetti piuttosto inte-
ressanti. Il nuovo capitolo del picchiaduro ad incontri
Marvel Vs Capcom, omaggiato questa volta dall’ap-
pellativo Infinite, arriverà nel 2017 su Playstation 4,
PC e Xbox One, mentre i fan del gioco di guida arca-
de WipEout dovranno attendere la prossima estate
prima di poter riaccendere i motori delle loro navette
antigravitazionali.
WipEout Omega Collection
WipEout Omega Collection non sarà però un nuovo
capitolo della storica serie ma, semplicemente, una
raccolta ri-masterizzata per PlayStation 4 che inclu-
derà WipEout HD, WipEout Fury e WipEout 2048.
Tutti i titoli potranno vantare su PS4 Pro una risolu-
zione 4K dinamica, 60 frame al secondo e l’imple-
mentazione dell’HDR. Il pacchetto sarà disponibile
nel corso dell’estate e offrirà in totale nove modalità,
tra le quali spicca la carriera di Wipeout 2048, venti-
sei percorsi e ben quarantasei differenti navicelle.
Anche l’iconico Crash Bandicoot è pronto a tornare
su PlayStation 4. Dopo l’annuncio all’E3 da parte di
Shawn Layden, l’evento PlayStation Experience ha of-
ferto la possibilità di dare finalmente uno sguardo al
gioco. Crash Bandicoot N-Sane Trilogy, questo il nome
scelto, è atteso nel corso del prossimo anno e permet-
terà ai nuovi (e vecchi) giocatori di rivivere le peripezie
del buffo marsupiale.
La raccolta includerà Crash Bandicoot, Crash Bandi-
coot 2 e Crash Bandicoot 3, manterrà le meccaniche
ludiche originali ma, fortunatamente, potrà contare an-
che su un comparto grafico totalmente rivisitato e, di
conseguenza, al passo coi tempi.
Il ritmo della conferenza Sony è stato piuttosto sinco-
pato e dopo aver mostrato Destiny: The Dawning, il
nuovo DLC in arrivo il prossimo 13 dicembre e desti-
nato ad ampliare le quest e gli oggetti dello sparatutto
firmato Bungie, il colosso giapponese ha dedicato un
po’ di spazio all’ultimo e discusso Resident Evil, ad Ace
Combat 7, nuovo capitolo del famoso gioco a base di
combattimenti aerei e caccia futuristici (confermando
anche il supporto per PlayStation VR) e agli immanca-
bili giochi indipendenti. Tutti i titoli indie sono sembrati
molto ispirati e dotati di stili davvero peculiari, ma su
tutti a spiccare è stato Vane: un’avventura piena di
enigmi e passaggi suggestivi, da vivere attraverso gli
occhi di una giovane fanciulla confinata in un mondo a
metà strada fra l’onirico e il post apocalittico. Anche il
vecchio gioco musicale PaRappa the Rapper tornerà
su PlayStation 4 grazie ad un semplice riedizione in
alta definizione, giusto in tempo per festeggiare il suo
ventesimo anniversario, mentre il controverso gioco di
piattaforme Knak potrà contare nel 2017 su un inatteso
(e forse superfluo) seguito. Dopo l’immancabile blocco
legato alle produzioni di stampo giapponese, da tene-
re in seria considerazione il gioco di ruolo Ni No Kuni
2 e l’adrenalinico action game Nier: Automata, svilup-
pato dai talentuosi Platinum Game, Shawn Layden ha
confermato nuovamente che il titolo automobilistico
GT Sport supporterà PS4 Pro, offrendo una risoluzio-
ne in 4K (upscalati dinamicamente) e implementando
l’HDR.
GT Sport
Sony ha inoltre colto l’occasione per rassicurare che
numerosi sono i titoli in sviluppo per il PlayStation VR
e ha mostrato un nuovo sparatutto in prima persona a
base di navicelle e scontri multiogiocatore per 4 piloti.
In Starblood Arena, atteso per la prossima primavera,
si potrà anche personalizzare la propria astronave, ma
le novità in ambito realtà virtuale si sono esaurite qui. I
riflettori del PlayStation Experience hanno poi illumina-
to nuovamente Horizon Zero Down, grazie ad un nuo-
vo filmato, e si sono spenti per offrire al pubblico pre-
sente l’ultima grande bomba: The Last of Us: Part II.
Il gioco vedrà il ritorno di Joel e di una cresciuta Ellie
e porterà avanti le vicende narrate nell’indimentica-
bile predecessore. I giocatori vestiranno i panni della
ragazza, ora diciannovenne, mentre il tema portante
dell’intera avventura sarà l’odio. Ovviamente il titolo è
alle prime fasi dello sviluppo, nessuna data d’uscita è
stata indicata e di certo quest’ultima esclusiva Sony
non apparirà sugli scaffali prima del 2018.
The Last of Us: Part II.
Crash Bandicoot
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Francesco FIORILLO
S in dal suo annuncio, avvenuto nel
corso dell’edizione 2015 dell’E3,
il programma di retro-compatibi-
lità imbastito da Microsoft ha raccolto
larghi consensi da parte dei consuma-
tori. La società di Redmond ha investito
ingenti risorse in questo interessante
progetto e attualmente il numero di ti-
toli Xbox 360 perfettamente funzionati
su Xbox One ha raggiunto la ragguar-
devole cifra dei 300 videogames.
Stando alle parole del colosso america-
no nei prossimi mesi la lista continuerà
ad espandersi e i vecchi possessori di
un gioco 360 non dovranno far altro
che inserire il disco all’interno della
loro Xbox One.
La retro-compatibilità si poggia infatti
su un sistema piuttosto semplice: chi è
in possesso di uno dei titoli della lista
GAMING Altri tre titoli per Xbox 360 sono entrati a far parte dei giochi compatibili con Xbox One
Xbox One, sono 300 i giochi retro-compatibiliNei prossimi mesi il catalogo dei giochi retro-compatibili verrà ulteriormente ampliato
acquistati in digitale lo ritroverà tra i
suoi acquisti, mentre chi ha un gioco
su disco dovrà solo inserirlo e attende-
re il completamento del download. In
quest’ultimo caso per giocare occorre-
rà comunque inserire il vecchio DVD, in
modo da verificarne ogni volta l’effetti-
vo possesso.
La serie completa di Gears of War,
Fallout3 , Assassin’s Creed 2, Fable 2
sono già presenti, me se volete dare
uno sguardo all’intera lista non dovrete
far altro che visitare la relativa pagina ufficiale di Xbox.
di Alvise SALICE
U no scherzo? Niente affatto. Con
coraggio e saggezza, alle soglie
del 2017 Casio presenta una fo-
tocamera provvista di un sensore da
appena 1.9 miseri megapixel. Un valore
che, se dal lato meramente numerico
riporta indietro di moltissimi anni nel
passato (perfino le fotocamere ante-
riori di molti smartphone vantano oggi
un pixel-count più generoso), in termini
tecnici bandisce gli specchietti per le
addole, e bada invece al sodo: 1.9 MP
significa pixel molto, molto più grandi
del normale, e di conseguenza ben
adeguati a catturare la luce. Malgrado,
infatti le dimensioni del sensore non
facciano affatto gridare al miracolo (ap-
pena 1/2.8 pollici), e la lunghezza foca-
le della lente si fermi ad un modesto
valore di f/2.8, la Exilim FR110H promet-
te sufficienti performance in low-light,
soprattutto in quelle situazioni dove
sarebbe scomodo e rischioso portarsi
dietro una più performante (ma delica-
ta) reflex DSLR. Exilim FR110H: compro-
messo perfetto?
FOTOGRAFIA Casio ha presentato la Exilim FR110H, una fotocamera “rugged” low-light
Casio ha una action cam che vede al buio Ha un sensore solo da 1.9 Mpx, ma è in grado di catturare la luce anche in situazioni difficili
La nuova diavoleria Casio è infatti prov-
vista di caratteristiche “rugged”, grazie
ad una scocca compatta e soprattutto
a prova di urti, polvere ed acqua.
L’obiettivo, flessibile e comodamente
distaccabile dal dorso, vanta una rag-
guardevole apertura grandangolare
di 20 mm-equivalenti. Può registrare
video in 1080p, realizzare scatti in low-
light toccando il poderoso valore ISO
di 51200. Probabilmente si tratta di
una cifra esistente solo sulla carta, e
che riempirà le immagini di così tanto
rumore video da renderle inservibili;
ma ecco intanto un video dimostrativo rilasciato dall’azienda giapponese
Ancora non ci è dato conoscerne il
prezzo, ma la Casio Exilim FR110H è in
uscita sul mercato giapponese
Il nuovo super computer HP è 8.000 volte più veloce di un PC normaleLa nuova architettura HP Enterprise sfrutta la luce per trasmettere le informazioni tra i componenti interni, raggiungendo velocità di calcolo strabilianti Per il momento è solo un prototipo di Andrea ZUFFI
HP ha presentato un nuovo calcola-tore ad altissime prestazioni definen-dolo il primo prototipo al mondo del-la generazione del Memory-Driven computing, secondo cui è la memo-ria, e non la potenza del processore, a guidare le performance dell’intero sistema. Secondo quanto riferito da HP Enterprise, durante la simula-zione sono state registrate velocità 8.000 volte superiori a quelle otte-nibili con computer convenzionali. Ambizioso quanto innovativo questo elaboratore sfrutta i fotoni, quindi la luce, e non gli elettroni per spostare le informazioni tra le componenti in-terne, permettendo a più processori di accedere contemporaneamente e in modo massivo alla memoria di sistema, senza il rischio che si ven-gano a creare colli di bottiglia dovuti ai tempi di trasferimento dei dati. Nel prototipo in questione inoltre la memoria totale è stata portata a 8 TeraByte, circa 30 volte quella solitamente a bordo di un server commerciale ad alte prestazioni e centinaia di volte maggiore rispetto alla RAM di un PC per “comuni mor-tali”. Nei piani di HP ci sarebbe ora lo sviluppo di banchi di memorie da migliaia di TB e l’applicazione di una nuova tecnologia sperimentale ba-sata sui “memristor”, chip in grado di non perdere i dati memorizzati, nemmeno in assenza di alimenta-zione elettrica.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Roberto PEZZALI
A quarant’anni dal lancio della prima Fiesta, Ford
cala il poker: un’auto totalmente nuova declina-
ta in quattro diversi modelli e con dotazioni tec-
nologiche incredibilmente complete se si considera
la fascia che la nuova Fiesta andrà ad occupare. Ford
è sicura: “La prossima generazione di Ford Fiesta
sarà la compatta più tecnologicamente avanzata al
mondo” e spiega anche il perché. Sarà la prima Ford
a essere dotata di una versione avanzata del siste-
ma di riconoscimento dei pedoni, che può aiutare a
evitare collisioni anche di notte, e avrà una versione
avanzata del sistema semiautomatico Active Park
Assist capace anche autonomamente di evitare i
piccoli urti durante le manovre di parcheggio.
ll fiore all’occhiello sarà il sistema audio: Ford tradisce
Sony e inizia ad utilizzare in esclusiva un sistema au-
dio B&O, azienda ora di proprietà di Samsung. B&O
Play era il marchio scelto dall’azienda danese per i si-
stemi audio consumer, ora diventa un marchio anche
per l’automotive ad uso esclusivo di Ford che da oggi
l’adotterà su tutti i modelli di auto di ogni fascia.
L’elegante Vignale, la sportiva ST-Line, la sofisticata
Titanium e la crossover Active saranno basate sulla
stessa piattaforma hi-tech, anche se ovviamente gli
optional e le varie dotazioni varieranno da configura-
zione a configurazione, e ancora i pacchetti per l’Italia
non sono stati annunciati.
Il modello top avrà a disposizione 2 telecamere, 3 ra-
dar e 12 sensori a ultrasuoni e sarà in grado di monito-
rare a 360 gradi l’area intorno all’auto; il radar, di nuo-
va concezione, ha una portata di 130 metri e funziona
in ogni condizione, avvisando tempestivamente chi
guida di un possibile ostacolo lungo la carreggiata.
Derivato dalle auto di classe superiore il sistema di
frenata automatica d’emergenza con assistenza
pre-collisione e riconoscimento dei pedoni: una vi-
deocamera grandangolare riconosce la presenza di
persone in prossimità dell’auto, e funziona anche di
notte se queste vengono illuminate dalla luce dei fari
anteriori per evitare incidenti mortali.
Clicca qui per il video.
Sempre dalle auto di categoria premium arriva sulla
Fiesta anche il sistema di parcheggio semiautomatico
Active Park Assist (manovre sia in parallelo che in per-
pendicolare), che grazie ad un aggiornamento softwa-
re ora frena da solo se il guidatore durante la manovra
assistita non interviene per evitare un impatto.
Clicca qui per il video.
“Per alcuni guidatori, vedere per la prima volta la pro-
pria auto parcheggiarsi da sola può essere talmente
sorprendente da generare distrazione”, ha spiegato
Darren Palmer, Small Car Vehicle Line Director, di Ford
AUTOMOTIVE Fiore all’occhiello del concentrato di tecnologia della nuova Fiesta è il sistema audio B&O scelto da Ford
Audio B&O Play, display, telecamere, radar, sensori La nuova Ford Fiesta fa il pieno di tecnologiaFord ha presentato a Colonia la nuova Ford Fiesta, l’auto icona del brand che spegne quest’anno 40 candeline Sarà l’automobile più tecnologica del suo segmento, con un sistema audio firmato B&O e innovativi aiuti alla guida
Europa. “L’intervento automatico dei fre-
ni durante l’uso dell’Active Park Assist, in
questa come molte altre occasioni, aiuta
a prevenire piccoli incidenti e a rendere
le manovre di parcheggio ancora meno
stressanti”.
Clicca qui per il video.
Tra le altre feature troviamo il sistema
di riconoscimento dei segnali stradali
(Traffic Sign Recognition), aggiornato per
distinguere i limiti di velocità delle singo-
le corsie autostradali mostrati sui cartelli
sovrastanti, gli abbaglianti automatici e il
monitoraggio del traffico in arrivo (Cross Traffic Alert),
che avvisa il guidatore, durante la retromarcia, della
presenza di veicoli in avvicinamento.
Su Fiesta sbarca anche Sync 3, il sistema di connet-
tività e comandi vocali Ford compatibile anche con
Car Play di Apple e Android Auto. L’interfaccia viene
disegnata su un nuovo touch-screen capacitivo da 8
pollici (ma c’è anche la versione da 6.5”), più veloce
e reattivo, e non mancano i comandi vocali disponibili
anche “offline” in grado di riconoscere anche frasi in
linguaggio naturale come ‘Devo fare rifornimento’ o
‘Trova un parcheggio’.
La camera sul retro che avvisa il guidatore di pericoli negli angoli morti.
segue a pagina 25
torna al sommario 25
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
Tutti gli schermi disponibili sono ad alta risoluzione e
rispetto a quelli usati dai concorrenti hanno, secondo
Ford, il doppio della luminosità per una maggiore leg-
gibilità in ogni condizione di luce. Per stare al passo
con le esigenze della nuova generazione non ci sarà
il CD, optional, ma non mancheranno Bluetooth per
streaming, doppia USB e radio DAB.
Come accennato in apertura, il sistema B&O Play sarà
un po’ la chicca: la taratura verrà fatta su misura per
ogni veicolo e grazie ad un DSP di equalizzazione
AUTOMOTIVE
Nuova Ford Fiestasegue Da pagina 24
dinamica sarà ottimizzato l’ascolto nella posizione di
guida e nei vari sedili. Cose già viste, ma non certo su
un’auto che sarà davvero alla portata di tutti.
Il sistema B&O PLAY a bordo della Fiesta si avva-
le di 10 diffusori, tra cui un subwoofer installato nel
bagagliaio, quattro diffusori a due vie nelle portiere
e un diffusore per medie frequenze posizionato sul
pannello strumenti, dove campeggia il logo in allumi-
nio B&O PLAY. La potenza totale del sistema è pari
a 675 watt.
Fiesta arriverà in Italia la prossima estate, tra le mo-
torizzazioni troveremo il classico 3 cilindri EcoBoost
1.0 in 3 step di potenza, da 100, 125 e 140 cavalli, il 3
cilindri 1.1 aspirato da 70 e 85 cavalli e il TDCi 1.5 da
85 e 120 cavalli tutti Euro 6. Un nuovo pulsante Eco
permetterà di regolare il motore per aiutare i guida-
tori a risparmiare carburante quando non hanno ne-
cessità di prestazioni superiori.
Non ci sono ovviamente motorizzazioni ibride o elet-
triche, anche se Ford ha annunciato di voler puntare
molto sull’elettrico: Ford con la Fiesta vuole propor-
re un’auto completa, tecnologica e compatta ad un
prezzo che non sarebbe compatibile con una moto-
rizzazione più “green”.
AUTOMOTIVE
Ottime valutazioni per Chrysler PacificaAl momento solo con una ibrida Plug-in, il gruppo FCA ha fatto il suo ingresso nel mondo delle auto elettri-che di serie. La prima nata è Chrysler Pacifica, la prima vettura famigliare che permette di avere almeno un mi-nimo di range in elettrico puro, e con i suoi 34.495 $ un costo accessibile. La batteria da 16 kWh è posizionata sotto i sedili per non togliere spazio di carico: 53 km di autonomia solo elettrica dopo le prime prove e i test dell’EPA, più del tipico tragitto quoti-diano di una famiglia media. Ciò che rende diversa la Pacifica è anche la provenienza delle soluzioni tecniche del powertrain: per il minivan un team interno ha sviluppato nuove tecnologie, a dimostrazione che le competenze tecniche nel gruppo ci sono. Resta da capire quando FCA con Fiat, Lancia e Alfa Romeo deci-derà di offrire auto elettriche o ibride plug-in anche nel mercato nostrano.
di Giulio MINOTTI
D opo numerosi rumor, Apple esce
allo scoperto confermando uffi-
cialmente il suo lavoro sulle auto a
guida autonoma. In una lettera inviata da
Cupertino alla NHTSA (National Highway
Safety Administration), l’ente governativo
statunitense dei trasporti, viene infatti di-
chiarato l’interesse dell’azienda per que-
sto settore. Il responsabile dell’integrità
del prodotto Steve Kenner ha dichiarato
“L’azienda sta investendo pesantemen-
te nello studio del machine learning ed
è entusiasta per le potenziali applica-
zioni dei sistemi automatizzati in nume-
rosi campi, incluso quello dei trasporti”.
Notizia confermata anche da una di-
chiarazione di Apple al Financial Times
“Abbiamo fornito considerazioni alla
NHTSA perché Apple sta effettuando
importanti investimenti nel machine
learning e nei sistemi autonomi. Ci
sono molte potenziali applicazioni per
queste tecnologie, compreso il futuro
AUTOMOTIVE Conferme in una lettera di Apple all’ente governativo americano NHTSA
Auto a guida autonoma: Apple allo scopertoL’azienda di Cupertino conferma gli investimenti e l’interesse per le auto a guida autonoma Apple, però, sembra non abbia intenzione di produrre automobili ma solo il loro cervello
del trasporto, quindi vogliamo lavorare
insieme alla NHTSA per aiutare a defi-
nire le migliori pratiche del settore”.
In particolare nella lettera datata 22 no-
vembre l’azienda californiana conferma
la sua volontà di collaborare con l’ente
governativo per lo sviluppo delle linee
guida dei trasporti del futuro, puntando
alla condivisione dei dati sugli incidenti
tra le varie Case automobilistiche che
stanno lavorando sulle auto a guida
autonoma. Inoltre l’azienda di Cuperti-
no invita l’NHTSA a trattare allo stesso
modo i costruttori di auto e i nuovi con-
correnti come le compagnie hi-tech.
Dichiarazioni che, in generale, confer-
mano gli investimenti di Apple sulle tec-
nologie di intelligenza artificiale e di au-
tomazione. Il colosso di Cupertino non
avrebbe, infatti, più intenzione di svilup-
pare una propria vettura, in precedenza
conosciuta come Project Titan.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Massimiliano ZOCCHI
Avevano dichiarato “se pensate che
Tesla sia innovativa, aspettate di
vedere cosa faremo noi”, e di si-
curo hanno mantenuto la promessa. In-
fatti, Nikola Motor Company ha svelato
ufficialmente Nikola One e i piani futuri
di un’azienda che vuole rivoluzionare il
mondo dei camion e dei trasporti via ter-
ra, e per farlo ha un piano decisamente
innovativo. Nikola One ha un powertrain
completamente elettrico, alimentato da
batterie da 320 kWh, sufficienti per 320
km di autonomia. Ma non è tutto, infatti
un serbatoio di idrogeno e un sistema di
fuel cell tengono cariche le batterie, per
arrivare fino a 1900 km per singolo rifor-
nimento. Nelle pause però le batterie
possono anche essere ricaricate come
accade già oggi per i veicoli solo elet-
trici, aumentando quindi ancora di più il
range totale.
Il concept, che dovrebbe essere molto
vicino al modello definitivo, ha 6 motori
distribuiti sugli assi, e raggiunge 1.000 cv
di potenza, e coppia elevatissima. Come
ogni camion a lunga percorrenza che si
rispetti, è quasi una casa per l’autista, e
anche qui Nikola sale di livello. Nella ca-
bina ci saranno uno o due letti, un TV 40
pollici 4K curvo, Apple TV con connetti-
vità 4G, oltre a frigorifero, congelatore e
forno microonde. Un vero e proprio mo-
nolocale su ruote.
Ma le novità di Nikola Motor Company
non si limitano al mezzo in sé, ma a tutta
una serie di servizi per rendere il tutto
utilizzabile e profittevole. Innanzitutto
Nikola One non potrà essere acquistato,
ma sarà accessibile solo tramite leasing
in un range tra 5.000 e 7.000 dollari
AUTOMOTIVE Nikola One è un camion con sei motori, 320 kWh di batterie e fuel cell a idrogeno
Rivoluzione elettrica anche nei trasporti Nikola One cambia il mondo dei camion L’autonomia puo arrivare a 1.900 km. A bordo anche un TV 4K, Apple Tv, letto e frigorifero
mensili, nei quali ci saranno inclusi chi-
lometri illimitati, rifornimento di idrogeno
illimitato, garanzia e programma di ma-
nutenzione. Dopo 72 mesi o un milione
di miglia si potrà decidere di restituire
il camion per averne uno nuovo con un
nuovo leasing.
Come noto, le stazioni di rifornimento
di idrogeno non sono molte per ora,
quindi per sostenere tutta l’operazio-
ne Nikola realizzerà fino a 364 punti di
rifornimento. L’idrogeno contenuto in
queste stazioni arriverà tutto da diverse
solarfarm da 100 megawatt ciascuna, e
prodotto per elettrolisi. Verrà quindi tra-
sportato proprio tramite dei Nikola One,
e stoccato nelle diverse stazioni. I punti
di rifornimento non saranno accessibili
solo ai mezzi Nikola, ma anche a qualsia-
si mezzo a idrogeno, a pagamento, 3.50
dollari per Kg.
In uno scenario di questo tipo, e con un
mezzo di certo non comune, la questio-
ne assistenza e riparazioni è prioritaria, e
Nikola si è mossa anche in questo sen-
so. Ha già stretto una partnership con
uno dei più importanti attori del settore,
ovvero Ryder Systems, con 800 location
in tutto il nord America. Oltre a questo
ogni Nikola One sarà dotato del softwa-
re Nikola Shipments, per tenere sempre
sott’occhio i trasporti disponibili, i costi,
le distanze, i punti di rifornimento, oltre
all’entertainment di bordo su un display
touchscreen da 21”. Se siete interessati
potete prenotare adesso il vostro Nikola
One, con un deposito di 1.500 dollari (al
momento si parla solo di Stati Uniti), con i
primi 2.500-5.000 camion in arrivo in cir-
ca 3-4 anni. L’attesa è ancora lunga, ma
può valerne la pena.
John Deere stupisce con il trattore elettrico Al SIMA Innovation Awards, John Deere si è portata a casa diversi riconoscimenti grazie al primo prototipo di trattore elettrico Due motori indipendenti e 300 kW di potenza per l’agricoltura a emissioni zero di Andrea ZUFFI
Al SEMI Innovation Awards a Parigi, John Deere ha messo in mostra un modello di trattore completamente elettrico dalle caratteristiche molto interessanti. SESAM, questo il nome del trattore che sta per Sustainable Energy Supply for Agricultural Ma-chinery, ha una potenza massima di 300 kW, distribuiti su due motori da 150 kW ciascuno. Le batterie al litio da 130 kWh possono garantire circa 4 ore di lavoro oppure 55 km di percorrenza, e la ricarica impiega circa 3 ore. Ideale per le aziende agricole che producono autonoma-mente energia elettrica da fonti rin-novabili o da scarti agricoli, SESAM normalmente utilizza un motore per la trazione e il secondo per attivare altri dispositivi come una pompa idraulica. Se necessario però en-trambi i motori possono essere con-figurati per la trazione, o per l’azione dei macchinari. Inoltre grazie a uno speciale sistema di trasmissione, si mantiene il vantaggio del singo-lo rapporto come nelle automobili elettriche, ma con il miglior rapporto scelto in base alle esigenze impo-state dal conducente. Al momento si tratta di uno studio avanzato di fattibilità, per cui non ha ancora un prezzo. Qui un breve video di pre-sentazione.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Massimiliano ZOCCHI
COOP offre ai suoi soci in Lom-bardia un servizio di noleggio a lungo termine, in partnership
con Drive Different, ed ora per la pri-ma volta tra le vetture che si possono scegliere arriva anche un’elettrica. A disposizione dei clienti c’è la Nissan Leaf allestimento Acenta, nella nuova versione con batteria da 30 kWh; per i primi 30 ordini sarà offerta al prezzo promozionale di 299 euro al mese, con anticipo di 4.000 euro. Sul sito dedicato ilgustodiguidare.it abbiamo provato a configurare un noleggio di 60 mesi, con 50.000 km inclusi, aggiungendo anche la clausola del-l’auto sostitutiva in caso di manuten-zione, e la tabella che riportiamo è il risultato.Nel caso il cliente pensi che l’auto elettrica non sia idonea ai suoi biso-gni, è possibile abbassare il noleggio fino a 2 anni e 30.000 km, ma la rata sale a 360 euro mensili. Comunque il prezzo è interessante e permette di
AUTOMOTIVE In collaborazione con Drive Different, COOP offre ai suoi soci l’elettrica Nissan Leaf
Leaf a soli 299 euro al mese per i soci COOPAbbiamo configurato un noleggio di 60 mesi e 50.000 km inclusi, scopriamo se conviene
I Carabinieri arruolano la Renault Zoe Stanno per entrare in servizio nuove vetture elettriche per l’Arma dei Carabinieri Si tratta delle Renault Zoe da 240 km di autonomia Verranno utilizzate nelle città e nelle zone a traffico limitato Le auto sono state prese con la formula del noleggio a lungo termine di Roberto FAGGIANO
Anche i Carabinieri passano al-l’elettrico: dopo qualche esem-plare di Mitsubishi I-Miev utiliz-zato sin dal 2014, stanno per entrare in servizio le Renault Zoe, che verranno utilizzate in città e dove ci sono zone a traf-fico limitato. Non sono le prime Renault a entrare in servizio, dato che già circolano molte Clio con la livrea dell’Arma.Le Zoe sono ancora quelle con autonomia limitata a 240 km e, per risparmiare energia, per le comunicazioni con la centra-le operativa i militari a bordo dovranno usare delle ricetra-smittenti al posto delle radio di servizio. Per risparmiare risorse economiche le nuove vetture non sono state acquistate ben-sì è stato stipulato un contrat-to di noleggio a lungo termine per 5 anni e 50.000 chilometri. Il contratto prevede anche la completa manutenzione della vettura, con ulteriori risparmi per lo Stato.
provare la mobilità elettrica di qualità senza una spesa eccessiva. La ver-sione Acenta è discretamente equi-paggiata, offre fino a 250 km di au-tonomia, circa 200 reali, caricatore AC da 6.6 kW e ricarica Fast DC da
50 kW inclusi. Anche a bordo ci sono buoni allestimenti con il sistema Nis-san Connect, fari e tergicristalli auto-matici, e la modalità di guida B-mode con freno motore maggiorato, per rigenerare di più in decelerazione.
di Massimiliano ZOCCHI
S i ricorrono le notizie secondo cui
Toyota ha rivisto i suoi piani futuri
a breve e medio termine, e ha de-
ciso di mettere momentaneamente da
parte auto ibride classiche e a idroge-
no per concentrarsi maggiormente su
batterie al litio e vetture elettriche, sia
al 100% sia ibride plug-in.
La Cina è un mercato su cui puntare
tantissimo, visti gli sforzi del governo
per spingere sempre più cittadini ad
acquistare veicoli elettrici, così anche
la casa giapponese ha pronta una ver-
sione della Corolla appositamente stu-
diata per i clienti cinesi, oltre a nuovi
fondi per investire maggiormente nella
sua filiale locale. La Corolla PHEV, cioè
ibrida, ma con possibilità di essere
ricaricata anche da una presa, sarà
presentata ufficialmente nel corso del
AUTOMOTIVE Toyota spinge forte sull’elettrico, intende aggredire anche il mercato cinese
Toyota sempre più elettrica: pronta la Corolla plug inLa Corolla ibrida plug-in arriverà nel 2017. Previsti anche nuovi investimenti per la ricerca
2017, per iniziare le vendite nel 2018,
ma intanto TMEC, la filiale cinese di
Toyota, fa sapere, per parola del CEO
Hiroji Onishi, che il reparto R&D loca-
le verrà notevolmente rinforzato, con
miglioramento e ampliamento dei la-
boratori esistenti, nuove strutture per
test dedicati alle batterie, e percorsi
di prova per auto elettriche. Le dichia-
razioni di Onishi chiariscono proprio
questi intenti: “Gli sforzi saranno rivolti
a migliorare il settore locale di R&D sul
lungo periodo. Speriamo di formare e
addestrare molti ingegneri cinesi, per
sviluppare nuove auto che soddisfino
i desideri dei clienti”.
torna al sommario 28
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Gaetano MERO
I l produttore di automobili tedesco Daimler, la cui scuderia è compo-sta da Mercedes-Benz e Smart,
ha annunciato un investimento pari a 10 miliardi di euro per lo sviluppo di veicoli elettrici nei prossimi die-ci anni. A dichiararlo è stato Thomas
Weber, responsabile del settore ri-
cerca e sviluppo del Gruppo, durante
un’intervista per il quotidiano tedesco
Stuttgarter Zeitung successivamente
ripresa da Reuters.
“Entro il 2025 vogliamo sviluppare 10
auto elettriche” sono state le parole di
Weber, tra i modelli annunciati ci saran-
no almeno tre Smart nuove di zecca più
l’adattamento di alcuni veicoli attual-
mente in commercio. Mercedes-Benz
si prepara nel frattempo al debutto del-
la EQ Generation, un crossover elettri-
co presentato in anteprima al salone di
Parigi, che vedrà la luce probabilmente
AUTOMOTIVE Entro il 2025 Daimler vuole arrivare a produrre dieci nuovi veicoli elettrici
Daimler investe 10 miliardi nell’auto elettricaLe nuove automobili avranno un’autonomia fino a 700 Km con un solo ciclo di ricarica
nel 2019 sul quale si concentreranno i
maggiori investimenti.
Weber ha rivelato che il produttore si
impegnerà soprattutto sul fronte auto-
nomia portando le performance della
batteria ad un livello superiore, i veico-
li saranno infatti in grado di garantire
fino a 700 Km con una sola ricarica.
Una caratteristica che, se confermata,
potrebbe davvero fare la differenza nel
settore risolvendo uno dei principali
limiti delle auto elettriche. Nel frattem-
po Daimler ha anche avviato assieme
a BMW, Volkswagen e Ford un accor-
do per la costruzione di un’imponente
infrastruttura dedicata al rifornimento
di auto elettriche lungo le autostrade
d’Europa.
di Massimiliano ZOCCHI
R enault ha recentemente calato
l’asso della Zoe ZE 40, ovvero la
sua elettrica compatta, rinnovata
e soprattutto con la nuova autonomia
fino a 400 km. Le mosse del gruppo
francese sembrano non essere finite,
perché ora pare che sia allo studio una
nuova vettura più economica, sempre
totalmente a batteria e quindi desti-
nata a fare numeri più importanti. E’
quanto è emerso dalle dichiarazioni di
Gilles Normand, appena nominato SVP
Electric Vehicle, che quindi nei prossimi
mesi si occuperà di spingere al meglio
questo ramo d’azienda per Renault.
Molto probabilmente la nuova arrivata
non sarà una nuova conoscenza, ben-
sì una vettura che è sempre stata nei
piani della divisione Zero Emission, la
Twingo ZE. Originariamente prevista
nel 2014, è stata poi rinviata di anno in
anno con la giustificazione che il mer-
AUTOMOTIVE Dopo il successo della Zoe ZE 40, Renault al lavoro su un’auto elettrica più economica
Renault al lavoro su una nuova elettrica abbordabilePotrebbe essere arrivato il momento della Twingo ZE, già nei piani ma da tempo in standby
cato non aveva ancora raggiunto una
domanda adeguata.
La Twingo ZE inoltre, da progetto
originale dovrebbe avere gran parte
della componentistica in comune con
la nuova Smart Electric, che recente-
mente è stata ufficialmente presenta-
ta, sdoganando ulteriormente l’idea
che sia venuto il momento anche per
la piccola francese. L’impegno di Re-
nault sul fronte delle motorizzazioni
alternative non si ferma inoltre qui,
con il concept Eolab fermo ai box, ot-
tima base per una auto ibrida plug-in.
Si preannuncia un 2017 ricco di novità
sul fronte transalpino.
Honda Neu l’elettrica con l’intelligenza artificiale Honda prova ad incuriosire con l’annuncio di NeuV una city-car elettrica con a bordo un sistema di intelligenza artificiale in grado di provare emozioni proprie di Andrea ZUFFI
Honda svela la prima immagine del veicolo sperimentale che pre-senterà il 5 gennaio in occasione dell’edizione 2017 del Consumer Electronic Show di Las Vegas. Il produttore del sol levante pun-ta a incuriosire il pubblico con il concept di NeuV, l’auto elettrica e automatica pensata per i tra-sferimenti a corto raggio come il tragitto casa-lavoro ed equi-paggiata con emotion engine un sistema evoluto di intelligen-za artificiale dai contorni e dal-le funzionalità non ancora ben specificati. Si tratterà, secondo quanto dichiarato da Honda, di un insieme di tecnologie in grado di fornire al mezzo emozioni pro-prie. Non è ancora chiaro se sarà un assistente alla guida che, oltre a dare indicazioni stradali, intrat-terrà con barzellette il guidatore imbottigliato nel traffico serale oppure di un cruscotto smart ca-pace di interagire in modo empa-tico con gli occupanti l’abitacolo e mostrare disappunto in caso di manovre azzardate. Per ora non resta che accontentarsi dell’av-veniristica silouette che Honda ha divulgato della nuova NeuV, veicolo che ricalca lo stile della “kei car” N-Box, il mini-van del produttore nipponico dedicato agli spostamenti cittadini.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Gaetano MERO
Quattro grandi gruppi automobili-
stici hanno appena annunciato
l’avvio di una joint venture per la
creazione di una rete di ricarica ad alta
potenza lungo le principali autostrade
d’Europa dedicata ai veicoli elettrici a
batteria (BEV). A siglare l’accordo per
l’imponente infrastruttura il Gruppo
BMW, il Gruppo Daimler (a cui fa capo
Mercedes e Smart), Ford Motor Com-
pany e Il Gruppo Volkswagen con Audi
e Porsche il cui intento primario è quel-
lo di consentire ai conducenti di auto
ad energia elettrica di poter compiere
viaggi a lungo raggio, operazione finora
preclusa per una scarsa disponibilità di
colonnine per il rifornimento energe-
tico. Ciò dovrebbe favorire inoltre una
più rapida diffusione dei veicoli a trazio-
AUTOMOTIVE I lavori inizieranno nel 2017, entro il 2020 le postazioni saranno qualche migliaio
BMW, Mercedes, Ford e Volkswagen insieme per rifornimento elettrico in EuropaBMW, Mercedes, Ford Motor Company e Il Gruppo Volkswagen insieme a Audi e Porsche Accordo per infrastruttura rifornimento di auto elettriche lungo le autostrade d’Europa
ne elettrica, un mercato già ora in for-
te crescita. L’obiettivo iniziale prevede
l’installazione di 400 siti per la ricarica
in Europa ed un livello di potenza della
rete fino a 350KW, i lavori partiranno ad
inizio 2017. Entro il 2020 le postazioni
dislocate in tutto il territorio dovrebbero
essere già qualche migliaia garantendo
dunque un rifornimento sempre dispo-
nibile per i veicoli elettrici così come ac-
cade per i distributori di carburante.
La rete si baserà sullo standard Combi-
ned Charging System (CCS) compatibile
con la maggior parte dei modelli di auto
attuali ed utilizzato nei veicoli di nuova
generazione per ridurre i tempi di rifor-
nimento supportando una maggiore
potenza.
Wallbox BMW ricarica l’auto al minor costo possibileContinua l’impegno della Casa tedesca nella gamma BMWi Con il Digital Charging Service e la wallbox intelligente, l’auto verrà caricata al minor costo possibile, compresa l’energia derivante dal fotovoltaico se presente di Massimiliano ZOCCHI
Dopo i rumor di una nuova i3 rivi-sta e aggiornata, BMW aggiunge un altro tassello alla sua offerta dedicata alle auto elettriche, il Di-gital Charging Service. Grazie alla nuova BMW i Wallbox Connect, che va ad aggiungersi a quelle già esistenti, connessa costante-mente a Internet, i clienti potranno impostare i parametri del costo dell’energia elettrica, e caricare (il più possibile) con le migliori tarif-fe. Quando presente, un impianto fotovoltaico sarà tenuto in consi-derazione e sfruttato il più possi-bile. Rispetto ai vecchi modelli, la Wallbox potrà ora supportare fino a 22 kW di potenza in trifase (la i3 si ferma in AC a 11 kW). Questo significa che nuovi modelli con maggiore potenza di ricarica sono in arrivo o che BMW strizza l’oc-chio anche a chi possiede modelli di auto della concorrenza. Dotata di WiFi, la wallbox in base ai dati forniti dal cliente tiene in conto la possibile produzione di un im-pianto fotovoltaico, in base alle previsioni del tempo, e imposta autonomamente un programma di ricarica controllabile via app.Al momento non si conosce il co-sto dell’accessorio e BMW fa sa-pere che inizierà con la vendita in Germania e Olanda a inizio 2017, per poi allargarsi ad altri Paesi. Le-cito supporre l’arrivo in Italia.
di Massimiliano ZOCCHI
Tra i costruttori giapponesi, alcuni non
sono ancora saltati sul treno della
mobilità elettrica, perché ci credo-
no ancora poco o perché, come Mazda,
sono pesci più piccoli che restano alla
finestra per attendere l’evolversi della
situazione. Anche la storica casa dovrà
accodarsi, soprattutto per rispettare le
leggi americane, che la costringeranno
a vendere un minimo di auto elettriche
in California. Così il CEO Masamichi Ko-
gai ha fatto sapere durante un’intervista
che Mazda sarà pronta con una vettura
zero emissioni nel 2019. Finora Mazda
si è limitata ad alcuni test di fattibilità,
AUTOMOTIVE Il mitico motore rotativo Wankel è il marchio di fabbrica proprio di Mazda
Il motore Wankel ricaricherà la nuova Mazda elettricaAnche Mazda sta studiando l’ingresso nel settore delle auto elettriche, entro il 2019 Non è chiaro come sarà la vettura, ma verrebbe rispolverato il motore rotativo Wankel
grazie anche a una part-
nership con Toyota per
sfruttare il powertrain del-
le sue auto ibride Synergy
Drive System. Oltre a que-
ste prove, si sono viste
anche versioni elettriche
della Mazda 2, di cui una
dotata di un range extender, ma non con
un tipico motore a pistoni, bensì con il
mitico motore rotativo Wankel, marchio
di fabbrica proprio di Mazda. Ed è stato il
capo della sezione R&D Kiyoshi Fujiwara
a confermare che Mazda sta studiando
questa soluzione. Il motore Wankel usa
una camera ellittica in cui ruota un ro-
tore triangolare che crea
contemporaneamente i
tre momenti del motore a
combustione. E’ conosciu-
to come un propulsore
dall’erogazione molto li-
neare e leggerissimo, per via della man-
canza di molte componenti meccaniche.
Sarebbe quindi l’ideale come range ex-
tender, eliminando anche i problemi di
consumi di olio e carburante, facendolo
girare a regimi bassi e stabili, utili solo
a generare corrente elettrica. Recente-
mente questa soluzione non era più in
uso in nessuna vettura Mazda, tranne
che nella concept Mazda Vision. Qualun-
que sarà la decisione finale, Fujiwara ha
già chiarito che si tratterà di una vettura
in gamma convertita e non di una nuova
auto appositamente progettata.
www.audiogamma.it
P5 Wireless.Abbiamo eliminatoil cavo ma il suonoè rimasto lo stesso.
P5 Bluethooth, musica in mobilitàsenza compromessi con 17 ore diautonomia e ricarica veloce perperformance allo stato dell'arte. Lasolita qualità e cura nei materiali diBowers & Wilkins adesso senza filigrazie alla nuova P5 S2 Bluetooth.
133_bw_P5w_pgp_ddy.qxp:- 19-09-2016 14:13 Pagina 1
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Roberto PEZZALI
U n mostro di tecnologia e potenza: così Apple ha
definito il nuovo MacBook Pro, dichiarazioni che
hanno sollevato un enorme numero di critiche,
soprattutto tra i detrattori del Mac: “Costa troppo”, “La
Touchbar è per bambini”, “Non è davvero Pro” e “Allo
stesso si comprano due PC migliori” sono solo alcune
delle obiezioni mosse da chi, forse tradito anche dal
prezzo poco popolare, ha deciso che era meglio lascia-
re il nuovo portatile Apple nei negozi.
Abbiamo in redazione da un po’ di settimane il modello
da 15”, e abbiamo scelto questo proprio per la presen-
za della configurazione più professionale rispetto alla
versione da 13”: il cuore è un processore quadcore
Core i7 Intel da 2.6 Ghz, mentre per la grafica all’inter-
no dello chassis in alluminio è stato trovato spazio per
una GPU discreta AMD Radeon Pro 450 con 2 GB di
memoria GDDR5 dedicata. Una configurazione, la no-
stra, che parte da 2.799 euro e rappresenta il modello
di ingresso della versione da 15”: qualcuno potrebbe
dire che il prezzo è esagerato, ma in Italia per il model-
lo precedente si spendeva una cifra analoga e a 2299
euro si portava a casa solo l’entry level con scheda
video Intel integrata. Il nuovo MacBook Pro è un pro-
dotto di rottura, forse la più grande rivoluzione mai
fatta da Apple nel campo dei notebook: a Cupertino
hanno cambiato praticamente ogni singolo elemento
creando un prodotto totalmente rinnovato che, per le
scelte fatte potrebbe non piacere a tutti. Ma andiamo
con ordine.
Un vero portatile: solo il peso è da 15”Il nuovo MacBook Pro da 15” si inserisce esattamen-
te, come dimensioni, tra il modello da 13” dell’Air e il
15” della serie precedente. Sembra assurdo, ma l’Air
è addirittura leggermente più spesso nella sua parte
alta, segno che il lavoro di gestione degli spazi fatto da
Apple è encomiabile. Nella borsa o nello zaino il nuovo
modello non sembra affatto ingombrante, anzi, è asso-
lutamente maneggevole grazie anche al peso ridotto.
Sulla bilancia il MacBook Pro da 15” fa segnare 1.8 Kg,
200 grammi in meno rispetto ai modelli più vecchi, e
TEST Un prodotto totalmente rinnovato, che ha sollevato critiche per le scelte radicali adottate da Apple e per il prezzo molto alto
In prova MacBook Pro con Touch Bar: che potenzaLo abbiamo provato e, prezzo a parte, si è rivelato un piccolo mostro di tecnologia, un upgrade rispetto alla gamma attuale
qui esistono due scuole di pensieri, chi preferisce ave-
re un prodotto potente ma compatto e leggero e chi
invece avrebbe preferito 1 mm in più di spessore, 200
grammi in più di peso e una batteria più grande per
un’ora in più di autonomia.
Con questo modello crediamo che Apple abbia trova-
to il giusto compromesso, perché la macchina nel suo
corpo il alluminio Space Gray è perfettamente bilancia-
ta negli spazi, dalla cornice attorno allo schermo fino ad
arrivare alla disposizione di tastiera, speaker laterali e
trackpad, che occupa gran parte della zona inferiore.
Quattro connettori Thunderbolt 3.0 Perché stiamo con AppleUna delle scelte più criticate dei nuovi MacBook Pro
è l’adozione, al posto delle USB classiche, di quattro
porte Thunderbolt 3.0 che possono funzionare ciascu-
na come DisplayPort, porta di ricarica o porta USB 3.0.
Apple ha scelto di eliminare ogni porta USB tradizio-
nale per spingere l’adozione dell’USB Type C e que-
sta scelta è pienamente condivisibile: la nuova GoPro
Hero 5 usa USB Type C, gli smartphone usano ormai
l’USB Type C e molti hard disk esterni iniziano ad usare
il nuovo connettore. Non c’è ragione per restare anco-
rati ad un passato “lento”, e tutte le aziende dovrebbe-
ro iniziare non solo ad adottare la nuova soluzione, ma
a fornire anche, con i prodotti, cavi USB Type C.
Abbiamo esplicitamente chiesto a Apple di non inviarci
un adattatore USB, e nei primi giorni di prova questa
scelta ci ha creato non pochi
problemi, soprattutto nel
trasferimento delle
foto da una video-
camera: alla fine
abbiamo capito
che, almeno
per una fase di
transizione un
adattatore serve.
Anzi, forse più che
un adattatore servono
un paio di cavi da micro USB
a Type C: la maggior parte delle periferiche usate tutti
i giorni dispone comunque di un cavo che può esse-
re sostituito. Più dell’USB classico ci sono mancati sul
MacBook Pro lo slot per le memory card di tipo SD e il
MagSafe: se qualcuno inciampa nel cavo sono alte le
probabilità che il MacBook finisca a terra, con il rischio
di danneggiare anche la porta stessa. Lo spazio per lo
slot di card invece c’era, e se da un lato può essere
lab
video
APPLE MACBOOK PROFANTASTICO, MA LA STORIA INSEGNA CHE FORSE È MEGLIO ASPETTARE UN ANNO
2799,99 €La prima cosa da dire è che sicuramente non siamo noi il target di Apple con questo MacBook Pro: scriviamo testi, facciamo editing di foto, montiamo video utilizzando Final Cut e Premiere e programmiamo in svariati linguaggi, ma tutto quello che facciamo difficilmente potrà mettere in crisi una mac-china così potente. Troppo comodo infatti parlare guardando i puri dati tecnici, confrontando questi MacBook con notebook Windows: Apple ha dalla sua software e firmare ottimizzati per la macchina e questo sicuramente conta di più di una GPU NVIDIA o di 16 GB di RAM in più. Si può prendere per buono il parere di un ingegnere della NASA, secondo cui il MacBook Pro è abbastanza professionale da poter svolgere velocemente complessi calcoli aereodin-amici, oppure di un editor video di una azienda londinese, che ha gestito senza alcun problema un workflow con due monitor 5K e una serie di effetti in tempo reale: ognuno ha le sue esigenze, ma siamo sicuri che nessuno resterà deluso. Il nuovo MacBook Pro è senza alcun dubbio un enorme upgrade rispetto all’attuale, ma come è successo con il primo Retina e con gli altri “nuovi” prodotti Apple la seconda generazione è quella vincente. Il nuovo MacBook resta comunque un prodotto fantastico per concezione, design e utilizzo. Certo, costasse qualcosa in meno.
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
9 9 10 9 9 78.7
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COSA NON CI PIACECOSA CI PIACELa Touch Bar: impossibile farne a menoDesign, peso e costruzione al topOttima tastiera nonostante le dimensioni
Prezzo di partenza elevatoIl Magsafe offriva più sicurezzaScheda AMD non a livello del prodotto
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
vero come dice Apple che l’utente tipo del modello da
15” non usa le SD Card, troppo consumer, come memo-
rie è anche vero che sulla versione da 13” si poteva fare
uno sforzo, magari su quella priva di TouchBar. In ogni
caso Apple ha un vantaggio che i competitor non han-
no: per ogni prodotto lanciato ci sono migliaia di pro-
duttori che realizzano prodotti aftermarket e accessori,
e anche per i nuovi MacBook stanno uscendo docking
per ogni esigenza dotate di tutte le porte che mamma
Apple non ha messo. In ogni caso, a Cupertino, pote-
vano ovviare al problema con una soluzione semplice
e banale: una porta USB classica sul caricatore da 87
Watt di fianco a quella USB Type C. Così facendo si
poteva non solo usare il caricatore del MacBook per ri-
caricare anche un iPhone, ma si poteva usare lo stesso
caricatore come hub per le periferiche legacy: minima
spesa massima resa.
Tastiera, schermo speaker e Touch Pad Migliora tuttoAbituati a scrivere, la prima cosa che proviamo solita-
mente di un portatile è la tastiera. Quella del MacBook
Pro è derivata direttamente da quella del MacBook, un
nuovo sistema di pressione butterfly che permette di
realizzare tasti con bassissima escursione ma precisi
e efficaci. Non siamo tifosi delle tastiere troppo piatte,
ma se quella del MacBook non ci aveva impressionato
per questa ci siamo dovuti ricredere. Dopo qualche ora
di ambientamento le dita scorrono rapide sulla tastiera
senza troppi errori: il polpastrello scivola sui tasti riu-
scendo sempre a premere il bottone giusto, e difficil-
mente schiacciamo due tasti insieme. L’ergonomia è
davvero buona, l’ampio trackpad non disturba più di
tanto e la digitazione ci restituisce una sensazione di
naturalezza unica per una tastiera così fine. Il merito è
anche dal feedback acustico, molto meccanico: anche
se i tasti sono in rilievo per soli 0.3mm, battendoli si
avverte distintamente quel tipico “ciak” delle tastiere
meccaniche. Buona anche la resa audio degli speaker
ai lati della tastiera: sono piccoli, ma godono di suffi-
ciente dinamica e di una resa che per un notebook è
superiore alle media. Da elogiare anche il trackpad:
rispetto ai modelli precedenti è enorme e permette di
coprire senza staccare il dito l’intero schermo. Il sistema
di palm rejection funziona bene, e non abbiamo avuto
nessun problema appoggiando le mani al trackpad
durante la digitazione. Chiudiamo con lo schermo, 15”
Retina da 2880×1800: siamo davanti ad uno schermo
simile a quello usato sui modelli precedenti ma miglio-
rano luminosità, contrasto e soprattutto gamut, con Ap-
ple che si adegua ad iPhone e iPad Pro aggiungendo
il supporto allo spazio colore Display P3. Ben fatta la
calibrazione dello schermo, soddisfacente nel 90% dei
casi: bene l’sRGB, migliorabile il profilo P3.
La Touch Bar non è “pro”, è per tutti Apple è furba, molto furba: la Touch Bar, quella piccola
striscia OLED da 2170 x 60 pixel posizionata al posto
dei tasti funzione, non è solo utile ma è anche incredi-
bilmente magnetica: chi la vede e la prova, soprattutto
in un negozio, non ci penserà due volte a spendere
i 350 euro in più che servono per il modello dotato
di Touch Bar. “Rivoluzionaria”, è questo quello che
abbiamo pensato quando Apple ha lanciato il nuovo
MacBook Pro e oggi, dopo qualche settimana d’utiliz-
zo, non possiamo che confermare quanto detto: la Tou-
ch Bar in moltissimi casi ci ha offerto scorciatoie rapide
per azioni che prima richiedevano l’uso del mouse.
Ci siamo resi conto, tuttavia, che forse questa feature
è meno “pro” di quanto si pensi: la TouchBar serve più
all’utente amatoriale che al professionista. Quest’ulti-
mo infatti conosce alla perfezione i suoi strumenti di
lavoro, e potrebbe trovarsi a disagio di fronte all’elimi-
nazione dei tasti funzione fisici: il “pro” non ha bisogno
di icone e neppure di slider o tasti aggiuntivi, ma solo
di una buona tastiera ergonomica che gli permetta
di impartire velocemente i comandi senza errore e
possibilmente guardando solo lo schermo. Chi scri-
ve guardando i tasti, chi non conosce le shortcut dei
programmi e chi usa un notebook in modo variegato,
senza un set di programmi fissi, troverà invece enormi
vantaggi nell’uso di questo strumento. Sotto l’aspetto
pratico il feedback è ottimo: ben visibile a 45°, la Touch
Bar ha una finitura leggermente opaca che ricorda un
po’ quella dei tasti, grazie anche ad una luminosità non
eccessiva e a colori non troppo accesi. Particolare il
rivestimento: basta passare il dito sulla superficie per
rendersi conto della facilità con cui scorre, al contrario
dei display touch degli smartphone che un minimo di
resistenza la offrono.
L’utente può personalizzare questo strumento come
meglio crede, e ovviamente quest’ultimo si adatta di-
namicamente a seconda dell’applicazione e anche al-
l’interno dell’applicazione stessa, mostrando i comandi
possibili a seconda delle opzioni scelte. Ad oggi la
maggior parte delle applicazioni Apple sono ottimizza-
te per l’utilizzo con la Touch Bar: alcune in modo im-
peccabile, come Final Cut e Garage Band, altre un po’
meno, come iMovie. In ogni caso il range di possibilità
offerte è sorprendente, e lo notiamo quando usiamo
ad esempio Pages o Numbers: la barra sembra quasi
aver capito quali sono le opzioni
che ci servono e ce le mostra,
senza doverle andare a cercare.
L’utilità si riduce ovviamente nel
momento in cui si usano app di
terze parti, molte delle quali sono
ancora prive di supporto: si tratta
solo di aspettare. Scavando nelle
configurazioni di sistema l’utente
scoprirà moltissime modalità di
utilizzo e configurazione di que-
sta barra, e grazie ad una serie di utility di terze parti
nei prossimi mesi le possibilità aumenteranno ulte-
riormente. Qualcuno, anche in redazione, si è chiesto
perché mai sulla Touch Bar non vengano ad esempio
visualizzati i widget, ma in realtà leggendo le linee gui-
da di Apple sul design delle app si capisce che la barra
può essere usata esclusivamente come “periferica di
TEST
Apple MacBook Prosegue Da pagina 31
segue a pagina 33
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
input” e non come display: ogni elemento visualizzato
dev’essere un tasto o un trigger di qualche tipo. Niente
paura quindi, non verrà usata per mostrare pubblicità.
GPU poco potente Le memorie sono fulminiLa dotazione hardware è stata forse quella più bersa-
gliata dalle critiche: al centro del mirino il processore
scelto, l’impossibilità di ordinare una soluzione con 32
GB di RAM e la scelta di AMD al posto di NVIDIA. Per
tutte queste scelte c’è ovviamente una spiegazione
logica: Apple ha scelto un processore Intel della gene-
razione Sky Lake perché i Kaby Lake sa-
ranno presentati solo a Las Vegas
e soprattutto perché, almeno
sul modello da 15”, le diffe-
renze prestazionali tra i
due processori non do-
vrebbero essere tali da
dover giustificare una
attesa e un rinvio. Se
pensiamo che i vecchi
MacBook Pro da 15”
avevano a bordo pro-
cessori Haswell, i nuovi
modelli possono ritener-
si ugualmente un buon up-
grade rispetto al passato: più
che la CPU in se, infatti, a que-
sto livello contano più le memorie,
la velocità del disco SSD e la sezione video
discreta, in questo caso la Radeon Pro 450 con 2 GB
di RAM DDR5 dedicata. Apple qui ha dovuto prendere
una decisione difficile: per poter gestire 2 schermi 5K
oltre allo schermo integrato infatti è stata costretta a
eliminare la configurazione base, quella con scheda
video Intel Iris Pro: una scelta che ha alzato il prezzo
medio del MacBook e ha anche penalizzato legger-
mente chi utilizza il portatile soprattutto come porta-
tile, e non come “workstation” agganciato a schermi
esterni e a RAID tramite adattatore Thunderbolt.
Quando si collega al nuovo MacBook Pro uno scher-
mo 5K come l’ottimo LG presentato infatti insieme al
portatile quello che l’utente sta guardando non è un
unico flusso video ma sono due flussi uniti tra loro: lo
standard DisplayPort 1.2 infatti non ha banda a suffi-
cienza per un segnale 5K a 60 Hz, e Apple ha dovuto
risolvere la cosa inviando due segnali distinti su un
singolo cavo Thunderbolt 3. Collegando due monitor
5K, e tenendo acceso lo schermo principale, servono
quindi ben 5 canali: la GPU Intel integrata ne può ge-
stire solo 3, mentre invece il processore AMD Polaris
può gestirne fino a 6. Ecco spiegato quindi perché sul
modello da 13”, che non dispone di scheda discreta, si
può gestire solo uno schermo 5K. Apple avrebbe po-
tuto utilizzare una GPU NVIDIA, ma si sarebbe dovuta
far realizzare dal produttore di Santa Clara un prodotto
ad hoc con consumo ridotto (la GPU Pascal più lenta
consuma il doppio rispetto a quella usata sul MacBook)
e avrebbe dovuto anche fare i conti con la presenza
sulle schede NVIDIA del più nuovo DisplayPort 1.3, in-
compatibile con la maggior
parte dei monitor in com-
mercio ancora basati sulla
vecchia versione.
Qui sicuramente Apple po-
teva fare di meglio, ma nella
storia dei MacBook non sono
mai state utilizzate soluzioni
grafiche potentissime: la scheda
AMD Radeon Pro 450 è una scheda
di fascia media, sicuramente offre presta-
zioni superiori rispetto alla GPU integrata Intel,
ma non è una scheda video da prodotto di fascia alta.
Per finire resta la questione legata alla memoria: nes-
suna configurazione può essere richiesta con 32 GB
di memoria perché i MacBook Pro utilizzano memo-
rie di tipo LPDDR3, ovvero Low Power. Una soluzio-
ne questa che permette di arrivare massimo a 16 GB:
le alternative sono le DDR4, ma avrebbe consumato
molto di più (5 watt al posto di 1.5 watt), o le LPDDR4,
che non sono però supportate dal processore Intel.
D’altra parte se Apple avesse potuto offrire come op-
tional la costosa opzione 32 GB sicuramente l’avreb-
be fatto: se non lo ha fatto un motivo c’è. Invidiabile
invece la velocità del disco SSD: la versione da 256
GB sul nostro modello raggiunge i 2.7 GB/s in lettura
e gli 1.4 GB/s in scrittura, il modello da 512 GB è sicu-
ramente più veloce.
Attenti all’autonomia: arrivare a 10 ore è difficileQuando si va a toccare un argomento come l’autono-
mia le variabili sono tante, soprattutto in un prodotto
come il MacBook che guadagna tantissimo se vengo-
no usate applicazioni ottimizzate. Inutile dire che la
ricetta per far durate la batteria di più è quella di usare
le app Apple: se con Safari, Mail e Pages siamo riusciti
bene o male a toccare le 8.30 ore di utilizzo con una
luminosità dello schermo modesta, basta passare a
Chrome e Office per scendere a circa 6 ore e mezza.
Lo stesso Final cut è decisamente più ottimizzato di
Adobe Premiere, e permette di guadagnare qualco-
sa facendo editing in mobilità. Il modello da 15” deve
poi fare i conti con la scheda grafica discreta AMD,
che consuma decisamente di più della Intel HD 530
di base: questa configurazione è sicuramente rivolta
ad un utilizzo più statico, con il notebook collegato al-
l’alimentazione.
Il problema di Apple non è il 15”, ma il modello più piccolo (che costa troppo)Prima di arrivare alle conclusioni, vogliamo fare una
piccola panoramica su quella che oggi è l’offerta di
MacBook Apple. Il MacBook Air è morto, inutile girarci
attorno: Apple lo ha lasciato a listino per avere un por-
tatile dal prezzo di ingresso conveniente, ma con un
hardware ormai datato l’Air ha di buono solo l’autono-
mia, il peso e il prezzo. Chi lo compra oggi dev’essere
consapevole che sta comprando un prodotto che tra
massimo un anno sparirà dal listino, e questo succe-
derà quando Apple abbasserà il prezzo del MacBook
Pro senza TouchBar rendendolo più conveniente. Chi
vuole un portatile Apple nuovo oggi deve spendere
1.749 euro, questo il prezzo del MacBook Pro da 13”
d’ingresso: tanto, soprattutto se a 350 euro in più c’è
il modello potenziato con TouchBar, una chicca adatta
forse ad un utente più casual che ad un vero “pro”.
Come abbiamo scritto infatti poco più sopra crediamo
che la TouchBar sia più indicata agli utilizzatori occa-
sionali del Mac, coloro che usano svariate app sen-
za conoscerne le varie scorciatoie da tastiera. Il vero
utente “pro”, colui che passa il 90% del suo tempo su
una serie ben specifica di applicazioni, sicuramente
conosce a memoria le varie combinazioni di tasti e
non ha bisogno di ricorrere ai suggerimenti della barra
OLED. Apple con la nuova gamma di notebook Pro ha
quindi lasciato un enorme buco nella parte bassa: da
una parte i modelli da 13” costano troppo, e soprattut-
to sono troppo vicini come prezzo, dall’altra sparisce
il 15” con grafica integrata e si parte con il più costoso
modello con GPU discreta. Il modello da 15”, quello da
noi provato, è assolutamente allineato ai 2699 euro
richiesti per il modello che questi MacBook vanno a
sostituire, ma resta un prodotto per pochi.
TEST
Apple MacBook Prosegue Da pagina 32
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Vittorio Romano BARASSI
D opo soli sei mesi di onorata carriera, OnePlus
ha deciso di mandare in pensione l’ottimo
OnePlus 3 per rilanciarsi sul mercato con la
sua diretta evoluzione: OnePlus 3T. Lo smartphone
è acquistabile direttamente dallo store ufficiale del
produttore cinese con un prezzo che parte dai 439
euro del modello da 64 GB di storage fisico a bordo
e che arriva a 479 euro per chi volesse virare sul mo-
dello con il doppio della capacità. Sono 40 euro in
più rispetto a OnePlus 3, cifra che tutto sommato non
va a snaturare l’aggressiva essenza “economica” del
brand cinese e che, se paragonata ai listini di tutti gli
altri top di gamma del mercato, risulta senza dubbio
impressionante.
Abbiamo testato a fondo OnePlus 3T e non abbiamo
potuto esimerci dall’effettuare dirette comparazioni
con OnePlus 3, modello che per mesi è stato tra le
nostre mani e che siamo stati in grado di apprezzare
e conoscere a fondo. Non ci sarà da stupirsi, dunque,
se nell’analisi che segue vi saranno frequenti richiami
al test dello smartphone precedente.
Il design non cambia, il display neppureOnePlus 3T si presenta all’utente praticamente come
OnePlus 3. Se la confezione di vendita non riportasse
una T “di troppo” al fianco del 3, al primo contatto sa-
rebbe pressoché impossibile distinguere i due smar-
tphone. Prendendo il dispositivo tra le mani si scopre
che per differenziare i modelli OnePlus ha scelto di
colorare il nuovo smartphone con una tonalità di gri-
gio più scura (Gunmetal); nelle prossime settimane
sarà anche disponibile una tonalità aggiuntiva (Soft
TEST Disponibile sullo store ufficiale del produttore cinese: 439 euro per il modello da 64 GB e 479 euro per quello da 128 GB
OnePlus 3T è il miglior smartphone Android?OnePlus lancia una versione “anabolizzata” del 3: OnePlus 3T è tutto ciò che un utente Android potrebbe desiderare Potenza senza confini, prezzo aggressivo, qualità costruttiva e batteria dalla buona autonomia. Ma ancora niente Nougat
lab
video
OnePlus 3TIL REGALO DI NATALE PER I PURISTI LO SMARTPHONE ANDROID DEL 2016 È LUI
439,00 €
Costa 439 euro, è il più attrezzato tra i top di gamma e ora ha anche un’autonomia degna di nota; aggiungiamoci l’esperienza Android pura e il fatto che OnePlus continua a seguire come pochissimi i propri prodotti. Il risultato è piuttosto scontato: 3T non può non essere considerato come il miglior smartphone di questa fine del 2016, anche perché la concorrenza non presenterà qualcosa di nuovo fino a febbraio e gli attuali flagship soffrono di qualche mese di troppo sulle spalle e di prezzi di listino più alti. Il mercato degli smartphone Android è sempre molto dinamico e in prossimità del Natale la battaglia si fa dura: OnePlus è l’unica che ha sorpreso con un nuovo modello, i concorrenti invece posso-no solo giocare su offerte e prezzi in discesa. Ma anche sotto questo aspetto è dura battere il rapporto qualità/prezzo di OnePlus 3T.
COSA CI PIACE COSA NON CI PIACELo smartphone Android più potentePrezzo molto aggressivoOttima autonomia e Dash Charge
Ancora niente NougatStessa fotocamera di OnePlus 3
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
9 9 7 8 9 108.9
gold), a solo appannaggio del modello da 64 GB.
Il prodotto è caratterizzato dallo stesso corpo in al-
luminio anodizzato che contraddistingueva OnePlus
3; le dimensioni sono le stesse, le finiture identiche
e anche il peso non varia nemmeno di mezzo gram-
mo, attestandosi sul più che accettabile valore di 158
grammi; insomma: in mano si fa sentire, ma la sen-
sazione di solidità che offre surclassa indubbiamente
ogni altra considerazione sul peso. Semmai si potreb-
be avere qualcosa da dire sulle dimensioni generali
e sul profilo non proprio snello; restiamo dunque
coerenti con quanto scritto a giugno su OnePlus 3: il
design non entusiasma e non è particolarmente ori-
ginale, ma negli ultimi tempi di smartphone davvero
belli e caratteristici se ne sono visti pochi. Non manca
l’uscita jack da 3.5mm, posizionata in basso al fianco
della porta USB Type-C.
Gli ingegneri OnePlus hanno deciso di non effettuare
variazioni anche nella scelta del display: il pannello
resta dunque il buon Optic AMOLED da 5,5 pollici di
diagonale e 1.920x1.080 pixel di risoluzione, con tutti i
suoi pregi ma pure i suoi piccoli difetti. Se neri perfet-
ti, buonissimi bianchi e tonalità molto vive contribui-
scono a rendere il display vincente, un occhio critico
potrebbe controbattere sguinzagliando la nota - e
leggera - tendenza al viraggio sul verde-blu apprez-
zabile quando si pone il dispositivo sotto un angolo
di visione non ottimale. Anche i colori, per quanto vivi,
non sono proprio naturali al 100%, ma stavolta One-
Plus ha deciso di inserire una modalità sRGB in grado
di rendere più realistici i parametri di riproduzione del-
la palette cromatica.
A parte il bilanciere del volume e il tasto di sblocco,
OnePlus 3T non propone altri tasti fisici ma si limita
a due pulsanti soft-touch raggiungibili al di sotto del
display, ai lati del sensore di impronte digitale che
funge pure da tasto home. È giusto spendere qualche
parola proprio sul sensore biometrico: il sistema di ri-
conoscimento di OnePlus 3, partendo già da una buo-
nissima base, è andato via via migliorando nel corso
dei mesi e con OnePlus 3T sembra aver risolto prati-
camente ogni tipologia di problematica. Il connubio
hardware-software riconosce le impronte in maniera
molto rapida e non sembra andare incontro a “perdite
di memoria” - riguardanti soprattutto il dito più fre-
quentemente utilizzato - come avveniva in passato.
segue a pagina 35
torna al sommario 35
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
OxygenOS al servizio di una smisurata - e fresca - potenza, aspettando NougatDopo aver testato la nuova CyanogenMod 14.1 (in ver-
sione sperimentale, basata su Android Nougat) su
OnePlus 3, sul nuovo OnePlus 3T siamo tornati ad
utilizzare Android Marshmallow 6.0.1 personalizzato
dall’azienda con la versione 3.5.3 di OxygenOS. Il
sistema operativo risulta come al solito snello e ve-
loce in ogni frangente e mai, durante il nostro test,
ha lasciato spazio ad incertezze e/o crash di alcun
tipo, evidente segno di un’ottimizzazione molto
soddisfacente tra la parte software e la controparte
hardware.
Rispetto alle versioni precedenti, OxygenOS risulta
pressoché identico e sono pochi gli elementi che lo
differenziano: tra tutti c’è un rinnovato Shelf, più mi-
nimal e funzionale, con il quale è possibile accedere
rapidamente a contatti, impostazioni o nel quale si
può decidere di installare i widget delle varie appli-
cazioni presenti sul dispositivo. Per il resto, a parte
qualche piccola modifica a livello grafico (ora si può
visualizzare la percentuale di batteria residua senza
troppe macchinazioni), c’è poco altro da segnalare.
Da evidenziare, invece, la più importante novità
hardware di OnePlus 3T: il nuovo smartphone del-
l’azienda cinese arriva sul mercato provvisto dell’ulti-
mo SoC di punta di Qualcomm, uno Snapdragon 821
con CPU quad-core (due Kryo da 2,35 GHz coadiu-
vati da altri due Kryo con clock massimo fissato a 1,6
GHz). Si tratta della diretta evoluzione del preceden-
te Snapdragon 820, la GPU è sempre l’Adreno 530
come sempre gli stessi sono i 6 GB di RAM preinstal-
lati a bordo, gestiti in maniera esemplare.
Inutile dilungarsi troppo sulle prestazioni generali di
OnePlus 3T: lo smartphone va più forte di prima, e
già OnePlus 3 era un mostro di velocità. Le applica-
zioni si installano e si avviano in un baleno e non c’è
alcun problema anche nelle sessioni di multitasking
più esagerate. I giochi 3D non mostrano mai alcuna
esitazione, i benchmark evidenziano punteggi da re-
cord e, lo ripetiamo, in circa due settimane di utilizzo,
non possiamo documentare alcun crash.
A parte Community, che rimanda al forum ufficiale
di OnePlus, nel pieno della filosofia aziendale non
vi sono fastidiose app preinstallate a disturbare
l’esperienza dell’utente. Aggiunte rispetto al passa-
to un’app Meteo e un Registratore vocale; tagliata di
netto la tastiera SwiftKey: non è mai piaciuta troppo
all’audience purista di OnePlus e si è dunque deciso
di rimuoverla dal sistema.
Con 64 GB di memoria a disposizione non ci si può
certo lamentare dell’assenza di uno slot per schede
microSD, ma questa è una mancanza che non si può
non evidenziare. Se veramente non si vuole correre
alcun rischio conviene optare per la versione - quella
da noi provata - da 128 GB: costa 60 euro in più ma
assicura spazio a volontà. La velocità delle memo-
rie UFS 2.0 installate a bordo è pressoché identica
a quella registrata su OnePlus 3, elemento che ci
porta ad affermare come, anche in questo caso, non
siano state apportate modifiche hardware e che le
componenti siano le medesime.
Impossibile dunque non rimanere sbalorditi dalle
performance di OnePlus 3T, smartphone che pre-
sto riceverà l’update ufficiale ad Android Nougat 7.
L’azienda sin dal momento della presentazione ha
annunciato che l’aggiornamento sarebbe arrivato in
tempi brevi e la community sta già testando alcune
build preliminari basate sull’ultima versione di An-
droid. Non saranno dimenticati neppure i possessori
di OnePlus 3: tutti riceveranno l’agognato update.
La fotocamera principale è la stessa Migliora (poco) quella frontaleSebbene le indiscrezioni alla vigilia della presenta-
zione di OnePlus 3T parlassero di un nuovo sensore
Sony per la fotocamera principale, gli ingegneri cinesi
hanno deciso di rimanere fedeli all’affidabile IMX 298
- sempre di Sony - già visto sul precedente model-
lo: il sensore è da 16 megapixel ed è posizionato alle
spalle di un obiettivo con apertura f/2.0, a sua volta
protetto - e questa è la novità - da un resistente vetro
in zaffiro a prova di graffio.
Le fotografie scattate con OnePlus 3T sono assolu-
tamente paragonabili a quelle ottenute con OnePlus
3; qualcuno potrebbe scorgere qualche piccolissimo
miglioramento in determinate condizioni di luce ma,
a conti fatti, è davvero impossibile trovare reali diffe-
TEST
Smartphone OnePlus 3Tsegue Da pagina 34
segue a pagina 36
torna al sommario 36
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
renze tra i due dispositivi. Il software alla base della
fotocamera continua a maturare ma resta sempre
povero di opzioni; si può scegliere se scattare in
HDR oppure in HQ, ma non ancora con entrambe le
impostazioni attive.
Complessivamente, è possibile confermare quanto
già affermato nella precedente prova: in condizioni
ottimali le immagini sono ricche di dettaglio, fedel-
mente colorate e con la stessa leggerissima ten-
denza a “ingiallire” bianchi che dovrebbero restar
tali. La messa a fuoco è veloce e i tempi di scatto
sono istantanei, anche con l’impostazione HQ atti-
va. Di sera o in ambienti poco illuminati il sensore
soffre la mancanza di luce e gli scatti scendono di
fattura, pur restando di qualità più che sufficiente;
più che il rumore è evidente la perdita di dettaglio,
segno inconfutabile di un pesante lavoro post-scat-
to effettuato dal programma dedicato. Rispetto a
OnePlus 3 c’è forse qualche piccolo miglioramento,
ma probabilmente tutto è imputabile ad un compar-
to software “più recente” che presto arriverà anche
sul modello precedente.
È possibile registrare filmati in 4K a 30 frame per
secondo e finalmente è stata aggiunta la modali-
tà di cattura a 1080/60p, feature non presente su
OnePlus 3 e che la community ha invocato ad al-
tissima voce; il nuovo algoritmo di stabilizzazione
digitale introdotto con OnePlus 3T non sembra fare
miracoli mentre a migliorare pare essere la messa
a fuoco, molto meno indecisa, anche in situazioni
piuttosto complicate. OnePlus ha scelto di sosti-
tuire il vecchio sensore della fotocamera frontale
da 8 megapixel con un nuovo esemplare da 16
megapixel; le foto scattate con il nuovo modulo (la
lente è f/2.0) non sconvolgono per qualità e non
sono neppure troppo diverse da quelle del prece-
dente sensore. In linea di massima un piccolo step
in avanti è senza dubbio percepibile, ma si poteva
fare qualcosa in più.
OnePlus 3T resta dunque sempre un ottimo came-
ra-phone ma continua ad inseguire - seppur asso-
lutamente a ruota - gli altri big del mercato. È in
questo ambito, forse, dove gli ingegneri avrebbero
dovuto concentrarsi maggiormente. Appuntamento
per il 4?
Pesa come prima, ma ora si vedono i muscoli della batteriaUno degli aspetti che meno convincevano di One-
Plus 3 era quello relativo alla discutibile autonomia
TEST
Smartphone OnePlus 3Tsegue Da pagina 35
di sistema garantita dalla batteria da 3000mAh; lo
smartphone sembrava soffrire moltissimo il lavoro
del modem 4G/LTE e una volta usciti dalla coper-
tura Wi-Fi di casa-ufficio l’autonomia scendeva in
maniera importante. Con OnePlus 3T tutto ciò non
accade per due motivi: la batteria ha una maggiore
capacità, arrivando a 3.400mAh (+13%) e in secondo
luogo perché il nuovo SoC Snapdragon 821 sembra
decisamente più in pace con la sua sezione radio.
Il risultato? Con lo stesso carico di utilizzo medio,
OnePlus 3T arriva a sera quasi sempre con il 30-
35% di autonomia residua (in un paio di occasioni
si è arrivati al 40%) mentre con OnePlus 3 si faceva
fatica a stare sopra il 20%.
È giusto ricordare come anche OnePlus 3T sia prov-
visto dell’esclusiva tecnologia Dash Charge, siste-
ma di ricarica messo a punto dall’azienda cinese il
quale preserva la vita della batteria dello smartpho-
ne facendo fare gran parte del lavoro al caricato-
re; tale tecnologia assicura anche tempi di ricarica
velocissimi: con mezzora si arriva al 60%, valore
per OnePlus - e che è stato possibile confermare
in maniera diretta - sufficiente a coprire un’intera
giornata lavorativa.La ricezione del telefono è più
che buona in ogni situazione, la qualità delle chia-
mate è ottima e la gestione della doppia scheda
nanoSIM è esemplare; c’è il Wi-Fi “ac”, il Bluetooth
4.2 e l’NFC. L’audio prodotto dal DAC integrato è di
buona qualità ed è apprezzabile soprattutto con un
paio di cuffie degne di questo nome; in confezione
non sono presenti auricolari e il modello Bullets V2
(realizzati in collaborazione con LOFO) che OnePlus
ci ha mandato insieme al telefono vale i 19,95 euro
che costa: belli, costruiti abbastanza bene ma non
in grado di fare miracoli.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Gianfranco GIARDINA
Aeroporto di Londra Heatrow, interno giorno. Una
miriade di persone corre in tutte le direzioni, i ne-
gozi brulicano di avventori, dai banchetti gentili
inservienti propongono la sottoscrizione di una nuova
carta di credito. Noi camminiamo più lenti, come se fos-
simo spettatori dell’infinità di movimenti dell’aeroporto
e non ne fossimo parte: è un effetto strano e piace-
vole al tempo stesso. Frutto di una cuffia che stiamo
provando: si tratta della Sony MDR-1000X, il modello
più evoluto del marchio giapponese a cancellazione
del rumore, presentata allo scorso IFA di Berlino. La
musica dolce e acustica che scorre verso le orecchie
non viene intaccata dal frastuono dell’aeroporto: solo
così scopriamo come il rumore ci condizioni subdola-
mente, come ci spinga a correre anche quando non
serve (il nostro volo parte tra un’ora). Senza rumore – e
magari con un po’ di buona musica – la realtà riprende
il sopravvento sulla suggestione: altro che “bolla” nella
quale si chiude chi entra in cuffia. Piuttosto il contrario:
l’isolamento da un’aggressione sonora eccessiva ci fa
riaprire gli occhi. E i nostri passi cadenzati tra migliaia di
persone che corrono ci svelano la verità.
Cancellare il suono, un lavoro difficilePartiamo con una premessa: difendersi dal rumore non
è generalmente considerata una priorità; anzi il più del-
le volte il rumore non lo si “ascolta” più, dopo un po’
che ci si è esposti. Ma è un artificio (pur meraviglioso)
del nostro sistema percettivo che interviene per pro-
teggerci e “cancella” la razionalizzazione del disturbo.
Ma l’orecchio continua a sentire e il sistema percettivo
ad “elaborare”: per questo alla fine, per esempio, di un
volo aereo intercontinentale si è comunque stanchi e
con la testa ovattata. Ben diverso quello che accade
con la luce: se è troppo intensa ci si difende con un
paio di occhiali scuri; e se non abbiamo gli occhiali,
ci sono le palpebre che possono essere “strizzate” o
addirittura completamente chiuse. Le orecchie invece
non hanno “palpebre” naturali. Ma possono avere una
buona cuffia “noise canceling”, ovverosia che è in gra-
do di cancellare buona parte del rumore ambientale
emettendo all’orecchio un’onda sonora uguale e inver-
sa (ovverosia in perfetta controfase) rispetto al distur-
bo. Per fare questo una cuffia nosie canceling dispone
almeno di un microfono esterno che deve rilevare il
rumore e di un processore DSP che deve rielaborare
questo segnale per “invertirlo” e miscelarlo alla musica
in ascolto, o anche al puro silenzio, per ottenere l’ef-
fetto voluto.
Il compito è tutt’altro che facile per una serie di motivi:
innanzitutto il microfono rileva normalmente il rumo-
re esterno, ma non quanto di questo rumore esterno
arriva all’interno del padiglione: è quindi necessario
che la cuffia faccia una “tara” per andare a cancellare
non tutto il rumore rilevato in ambiente ma solo quello
non schermato già naturalmente dalla cuffia; e poi è
necessario che tutto il processamento sia particolar-
TEST Sony lancia la sfida a Bose, raggiungendo e superando le prestazioni del leader di mercato delle cuffie noise canceling
Sony MDR-1000X, ascolto di qualità senza rumore La cuffia elimina bene i rumori, offre un suono qualitativamente ottimo e molto equilibrato, sia con NC attivo che spento L’interfaccia touch sul padiglione destro, poi, introduce qualcosa in più. Il prezzo (400 euro di listino ) spaventa un pò
mente rapido. Per cancellare bene la reazione deve
essere praticamente istantanea, cosa teoricamente
impossibile: per questo motivo, normalmente le cuffie
a cancellazione del rumore sono molto più efficaci sui
rumori continui e non “impulsivi”; sul rumore costante
di un aereo o di un treno vanno molto bene, meglio di
quanto non accada con rumori a transienti molto ra-
pidi, come la caduta di un mazzo di chiavi. Il compito
di cancellazione deve essere poi svolto con la giusta
moderazione: l’effetto di “risucchio” che si percepisce
attivando la cancellazione del rumore, se è eccessivo,
può anche dare fastidio, una sensazione di privazio-
ne dell’ambiente circostante simile a quella che si
percepisce entrando in una camera anecoica. Inoltre,
se l’azione del DSP è troppo aggressiva, si possono
creare degli artefatti anche sul segnale musicale che
invece deve essere ben percepito, rendendo il risul-
tato finale forse più fastidioso di quello ottenibile con
un paio di cuffie convenzionali. Insomma, si tratta di
un’alchimia complessa, la cui soluzione finale proba-
bilmente non è raggiungibile: ogni cuffia si avvicina più
o meno all’obiettivo e, in questo ambito forse più che
in altri digitali, una prova approfondita del prodotto ha
proprio senso.
È questa la prima cuffia noise canceling di Sony?Il mercato delle cuffie noise canceling ha un protagoni-
sta affermato: si chiama Bose che con le diverse gene-
razioni delle proprie QuietComfort ha monopolizzato il
mercato per anni. A dire il vero, nella gamma Sony da
qualche anno (come in quello di altri produttori) ci sono
diversi modelli di cuffie noise canceling; ma verrebbe
da dire che si tratta di un altro livello di prestazioni, una
sorta di semplice riduzione più che di cancellazione del
rumore; questi modelli, infatti, hanno una strategia di
segue a pagina 38
lab
video
Sony MDR-1000XUNA GRANDE CUFFIA (NON ADATTA ALLE TELEFONATE) A UN GRANDE PREZZO
400,00 €
Con la Sony MDR-1000x sulla testa si vive un’esperienza musicale non ordinaria: suona terribilmente bene, senza essere sguaiatamente eccessiva; tanto per intenderci, non ha quell’effetto (odioso) di “loudness” integrato nel progetto acustico che fa una cuffia “piaciona” nei primi cinque minuti e uccide a lungo andare. Ma soprattutto ha un sistema di cancellazione del rumore eccellente: lotta alla pari con il sistema Bose e surclassa quello Beats, decisamente più rozzo. Le gesture sul padiglione e le modalità “ibride” con la cancellazione parziale fanno il resto. A questa MDR-1000x, in ogni caso, non mancano i difetti, come è naturale per una prima generazione (perché di fatto è la prima vera noise canceling di Sony): il suo “abbraccio” è un po’ troppo vigoroso e le orecchie ne soffrono un po’; come anche non è confortevole l’effetto “scaldaorecchie” dovuto all’impossibilità meccanica che venga offerta traspirazione al padiglione. E poi le performance insoddisfacenti come viva voce. Poco male: i progettisti almeno hanno qualcosa da pensare per le prossime generazioni; nel frattempo l’ottima MDR-1000x di oggi sa fare meglio della concorrenza diretta e vale già tutti i suoi 400 euro (di listino). Non è un prodotto per tutti, ovviamente; ma chi può, ci faccia un pensiero: al momento a nostro avviso è il meglio che si può avere fra le cuffie a cancellazione di rumore.
COSA CI PIACE COSA NON CI PIACE- Cancellazione del rumore efficace e naturale
- Qualità della riproduzione audio- Interfaccia touch
- I padiglioni premono un po’ troppo e scaldano sulle orecchie
- Qualità in funzione vivavoce insoddisfacente
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
9 9 8 9 10 78.6
torna al sommario 38
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
cancellazione “cauta”, attenta più a non creare artefatti
che a isolare completamente l’utente; e per molti usi
questi modelli possono essere considerati sufficienti.
Ma per rumori “importanti” come quelli di cabina in
aereo, fino a poco tempo fa le prestazioni offerte dai
migliori modelli Bose erano di fatto il riferimento. Sony
con questa MDR-1000X vuole entrare proprio in que-
sto segmento con un prodotto che nulla ha da invidia-
re a quello Bose e che, anzi, come vedremo, sa offrire
anche qualcosa di più. Se da un lato, quindi, è scorretto
dire che questa è la prima cuffia Sony a cancellazione
del rumore, dall’altro è invece doveroso riconoscere a
questo modello lo status di “novità” a tutti gli effetti per
la gamma del produttore giapponese: si tratta di un’al-
tra classe di prodotto (anche per prezzo, purtroppo)
rispetto alle altre cuffie NC di Sony.
Una bella cuffia, progettata con molta attenzioneNel “mirino” di Sony – l’abbiamo detto – c’è Bose. E la
prima cosa che si fa notare delle QuietComfort è la cu-
stodia da viaggio. Infatti si presuppone, e probabilmen-
te a ragione, che una cuffia di questo tipo venga usata
soprattutto da chi viaggia. In questo ambito Sony ha
fatto un grande lavoro: la custodia, presente nella con-
fezione, è molto bella e tutto sommato compatta. La
cuffia dispone degli snodi necessari per assumere un
layout appiattito e molto efficiente in termini di occupa-
zione di spazio. Un disegno sul fondo della confezione
suggerisce come piegare la cuffia per la perfetta collo-
cazione nella custodia; un separatore guida il corretto
inserimento e ospita anche una taschina per sistemare
il convertitore a due jack necessario collegarsi al siste-
ma di in-flight entertainment degli aerei più vecchi.
La cuffia è davvero ben costruita: il peso è contenuto
rispetto alle funzionalità (275g contro i 310 della Bose);
la finitura superficiale in una credibilissima finta pelle
invece dei soliti materiali plastici; ma soprattutto quello
che convince è l’assenza di scricchiolii e indugi degli
assemblaggi quando la cuffia viene manipolata. L’ar-
chetto è imbottito e l’appoggio dei padiglioni decisa-
mente morbido.
In termini di comodità ed ergonomia, va detto che è
una cuffia che “avvolge”, che comunque si fa sentire,
anche se con una pressione uniforme. Il compito di
eliminare il rumore parte proprio dalla conformazione
stessa: la cuffia è “importante”, soprattutto nello spes-
sore dei padiglioni, e di fatto crea già di per se stessa
un discreto isolamento dall’esterno, anche a funzione
di cancellazione del rumore spenta.
Lo spessore generoso del padiglione è reso neces-
sario dall’utilizzo di un driver generoso: 40 mm sono
molti per una cuffia e soprattutto richiedono una certa
profondità per lo sviluppo del cono. Un effetto collate-
rale è una certa scomodità nel portare la cuffia al collo
nei momenti di non utilizzo: i padiglioni fanno quasi da
“collare” cervicale, ostacolando un po’ i movimenti a
desta e sinistra della testa. Insomma non è una cuffia
da uso casual e modaiolo, di quelli che la tengono più
al collo che in testa…
La Sony MDR-1000X ha anche un ingresso minijack
per il cavo in dotazione ma è soprattutto si tratta di una
cuffia wireless Bluetooth: nell’uso di tutti i giorni, stante
anche la durata della batteria eccellente (20 ore con
BT e NC attivati), il filo non si usa mai, anche se resta
un bel paracadute in caso si restasse a corto di ener-
gia: via filo la cuffia, pur cambiando impedenza, diventa
passiva e si può utilizzare con soddisfazione (ma non
con il noise canceling) anche a batterie completamen-
te a terra.
Resa acustica eccellente Anche a cancellazione del rumore attivaI dati della scheda tecnica parlano di una risposta in fre-
quenza di questa cuffia davvero estesa: da 4 a 40kHz.
Di certo l’idea che ci si fa anche sin dal primo ascolto
è che non manchi davvero nulla nel suono: bassi belli
corposi, ma che non mandano in vibrazione nessuna
parte della cuffia, assolutamente solidale; alti cristallini
ma non stancanti; transienti rapidi e dinamica eccellen-
te, come il magnete al neodimio che governa questa
cuffia faceva attendere. Anche mettendo il volume al
massimo, si arriva ampiamente alla soglia del fastidio
senza percepire distorsioni particolari.
Insomma, per prestazioni audio, siamo di fronte a una
cuffia davvero hi-fi e, vista l’esperienza di Sony in que-
sto ambito, c’era da aspettarselo. Quello che invece
non era affatto scontato e ci ha stupito è quanto il circui-
to di cancellazione del rumore, che come vedremo più
avanti è decisamente efficace, impatti poco, anzi quasi
nulla, sulla qualità audio: il suono è totalmente privo
degli artefatti che abbiamo sentito in passato su altre
cuffie NC, sia che l’ascolto avvenga a filo o wireless via
Bluetooth. Così l’ascolto procede piacevole e spedito
per ore, senza dare sensazioni di stanchezza, anche
con musica compressa di buona qualità, che – forse
per il circuito di ricostruzione e ricampionamento della
1000x – non affatica l’ascolto come accade general-
mente. La sensibilità della cuffia varia a seconda che la
si utilizzi in Bluetooth, utilizzando quindi l’amplificatore
interno, o la si usi con la connessione cablata. L’effetto
più facilmente udibile è un generalizzato aumento del
volume con l’utilizzo via cavo (ma può dipendere dalla
sorgente); ma, con un ascolto attento, a cuffia spenta
e collegamento a filo si percepisce un certo effetto di
affaticamento, segno tangibile di quanto il circuito di
ricampionamento della 1000x sia utile.
TEST
Sony MDR-1000Xsegue Da pagina 37
segue a pagina 39
torna al sommario 39
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
Due aspetti, invece, stancano durante le lunghe sessio-
ni di ascolto: una è la pressione forse un po’ eccessiva
sulla testa dei due padiglioni, che dopo più di un’ora si
fa sentire. Nulla di insopportabile, beninteso; ma già il
fatto che la cuffia si faccia “notare” dal proprio utente è
segno che l’ergonomia può essere migliorata. Il secon-
do aspetto riguarda una certa sensazione di “calore”
che si percepisce sulle orecchie: colpa forse della finta
pelle (che è comunque morbidissima) dei padiglioni
o del fatto che inevitabilmente il padiglione è chiuso,
come accade in tutte le cuffie NC. La nostra prova è
stata condotta in autunno, con gli ultimi giorni sempre
più freschi; d’estate questo aspetto potrebbe diventare
un vero disincentivo all’utilizzo. In certe situazioni (a noi
è successo un paio di volte durante la prova) l’audio
ha subito qualche interruzione nella modalità wireless:
questo può accadere in situazioni di spettro elettroma-
gnetico particolarmente disturbato e quando si utilizza
la cuffia al massimo delle sue prestazioni, ovverosia
con le modalità di collegamento Bluetooth ad alta qua-
lità (aptX ad alta risoluzione, per esempio); in tal caso si
può configurare la cuffia per preferire collegamenti più
modesti dal punto di vista qualitativo ma più stabili.
La cancellazione del rumore Che potenza e che versatilità!La funzione di cancellazione del rumore è il fiore al-
l’occhiello della MDR-1000x. Il processore della cuffia
deve lavorare duro per ottenere un risultato che - sen-
za dubbio - lascia a bocca aperta, soprattutto nelle
situazioni acusticamente molto inquinate. Ma non è
solo una questione di potenza di calcolo: è la cuffia ad
essere progettata bene. A partire dai microfoni per la
rilevazione del rumore: quelli esterni sono due, uno per
padiglione, il che migliora la resa rispetto ad altre cuffie
dotate di un microfono solo perché così è in grado di
non farsi ingannare da suoni troppo direzionali. Ma la
1000x ha anche due microfoni posti all’interno dei pa-
diglioni, sotto la classica telina nera che cela il drvier:
grazie a questi la cuffia è anche in grado di misurare la
quantità di rumore che entra nel padiglione e di con-
frontarla con quella percepibile fuori da esso. In questo
modo l’azione di cancellazione può essere più precisa,
andando ad operare solo proporzionalmente al quello
che entra in cuffia e non al solo rumore esterno. Anche
perché eccedere con la contro-onda corrispondereb-
be a un effetto di cancellazione molto meno efficace.
Questo stratagemma è necessario anche in considera-
zione dell’importante isolamento naturale che questo
padiglione garantisce anche semplicemente con la
sua struttura. L’isolamento dall’ambiente esterno a fun-
zione di noise canceling attiva è pressoché totale: una
rumorosa scopa elettrica passata davanti a noi durante
un ascolto di musica a volume medio ci è parsa lette-
ralmente spenta. In alcune condizioni, un isolamento di
questo tipo è perfetto (pensiamo per esempio al con-
testo classico di utilizzo durante la crociera in aereo);
in altre – per esempio l’attesa del volo in aeroporto
– potrebbe creare qualche disagio: resta il pensiero di
perdersi qualche comunicazione sul volo in partenza,
come un cambio di gate. Per questo motivo, la 1000x
offre diverse modalità di cancellazione del rumore: a
fianco di quella “completa”, ci sono due modalità par-
ziali, attivabili con un apposito pulsante denominato
“Ambient sound”. Nella prima modalità (“normal”) il
rumore ambientale, altrimenti naturalmente attutito
dai padiglioni, viene ripreso dai microfoni esterni e
delicatamente riproposto in cuffia, in modo da garan-
tire un contatto maggiore dell’utente con l’ambiente
circostante; nella seconda modalità (“voice”) – molto
più interessante – la cancellazione c’è ma vengono
lasciati passare i suoni in un intorno delle frequenze
della voce: in questo modo l’utente può percepire
immediatamente se qual-
cuno gli rivolge la parola
e accorgersi di eventuali
annunci vocali.
A ulteriore perfeziona-
mento del sistema di
cancellazione del rumore,
c’è anche una funzione
di auto-calibrazione: la
cuffia, che deve essere in-
dossata, emette una serie
di segnali test e, secondo
quanto scritto sul manua-
le, utilizzando i microfoni
interni ed esterni, ottimiz-
za la propria risposta sulla
testa dell’utente. Secondo le indicazioni di Sony, anche
solo una capigliatura diversa, la conformazione della
faccia o il fatto di indossare o meno gli occhiali può
influire sulla precisione della cancellazione; il test di
auto-calibrazione permette di tenere in considerazione
tutti questi aspetti e ottimizzare il comportamento della
cuffia. A onore del vero – almeno per quello che ci ri-
guarda – non abbiamo percepito grandi differenze pri-
ma e dopo la calibrazione, ma non possiamo escludere
che in altre condizioni, come per esempio un’utenza
femminile con i capelli lunghi, possa migliorare molto la
resa. Propendiamo piuttosto per qualcosa di più con-
creto: la calibrazione, per quello che abbiamo arguito
con l’utilizzo, ottimizza la risposta del circuito noise
canceling in base ai disturbi ambientali (che riesce me-
glio ad analizzare con i segnali test). In questo senso, è
bene rifare la calibrazione non tanto quando si cambia
capigliatura ma quando si cambia drasticamente am-
biente e tipologia di rumore di fondo. A questo propo-
sito, appare abbastanza chiaro come la cancellazione
del rumore della 1000x sia più efficace in ambienti
molto rumorosi rispetto a quelli più silenziosi: sembra
controintuitivo ma alla prova pratica è così.
Una cuffia noise canceling può essere usata con suc-
cesso anche senza musica, solo per isolarsi da un am-
biente particolarmente rumoroso. Purtroppo questa
Sony ha un limite non banale da questo punto di vista:
quando non è collegata in Bluetooth a un device resta
accesa cinque minuti e poi si spegne automaticamen-
te per risparmiare batterie. Questo rende impossibile
fruire della semplice cancellazione del rumore, se non
collegandosi comunque a un device bluetooth, pur
senza utilizzarlo.
C’è un ultimo aspetto, anzi un difetto, per noi veniale,
ma per certi utenti potrebbe essere non trascurabile:
questa cuffia può essere usata anche durante le telefo-
nate come sistema vivavoce, ma alla terza richiesta dei
nostri interlocutori di parlare più forte, abbiamo capito
che non è proprio possibile utilizzarla con soddisfazio-
ne a questo scopo. I microfoni, che sono pensati per
la cancellazione del rumore, sono evidentemente po-
sizionati in modo da non ottimizzare la funzionalità di
vivavoce; inoltre, parlare con una cuffia così chiusa e
TEST
Sony MDR-1000Xsegue Da pagina 38
Nella parte alta del padiglione si nota chiaramente il microfono esterno: ce n’è uno per padiglione, come anche ce ne sono altri due all’interno. La cancellazione del rumore avviene secondo un algoritmo che pesa in tempo reale tutti i dati provenienti dalle 4 capsule.
segue a pagina 40
torna al sommario 40
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
con la cancellazione di rumore attiva, senza avere un
ritorno chiaro della propria voce (che viene anch’essa
cancellata) è straniante: meglio non considerare que-
sta funzione come presente.
I comandi touch L’unicità che fa la differenzaLa cosa forse più originale di questa cuffia è il suo padi-
glione destro: la superficie esterna è in realtà sensibile
al tocco e gli ingegneri Sony hanno implementato una
serie di controlli via gesture che nell’utilizzo risultano
decisamente naturali. Il caso più classico è quello di
una persona che inaspettatamente rivolge la parola
all’utente, che ovviamente non è in grado di capire una
parola, visto che è in regime di cancellazione dei rumo-
ri esterni: in questo caso all’utente basta appoggiare la
mano sul padiglione e la musica viene attenuata quasi
completamente e parallelamente i suoni esterni rilevati
dai microfoni vengono amplificati in cuffia, a simulare
un ascolto a orecchie libere.
La resa del sistema è eccellente: di colpo si torna in
contatto con l’ambiente circostante semplicemente
portando una mano all’orecchio. Ideale per brevi con-
versazioni di servizio o per rispondere alla classica do-
manda della hostess sul drink preferito. Ma le funzio-
nalità del touch non finiscono certo qui: un dito verso
TEST
Sony MDR-1000Xsegue Da pagina 39
l’alto o verso il basso, alza e abbassa il volume; un dito
in avanti o all’indietro opera un salto traccia; con un
doppio tap si può mettere in pausa; con dito fermo per
un paio di secondi si attiva Siri su iPhone o iPad.
Chi ha mai usato una cuffia wireless, e quindi attiva,
sa bene perché avere questo controllo touch è impor-
tante e può fare la differenza. Il controllo del volume e
del salto traccia, non essendoci il filocomando, normal-
mente si fa operando su piccoli tastini posti sul bordo
del padiglione; ovviamente bisogna premere “a memo-
ria” e l’errore è dietro l’angolo. Le gesture touch sul pa-
diglione, invece, sono perfette; oltre che facili e a pro-
va di errore, sono anche intuitive. Certo, chi sta “fuori”
dalla cuffia forse non si spiegherà i gesti inconsueti, ma
non importa. La funzione di disattivare la cancellazione
con il palmo sul padiglione è poi sensazionale e molto
comoda: l’alternativa, nel mondo delle altre cuffie noise
canceling, è quella di “disarcionarsi” la cuffia al volo,
non appena si ha necessità di interagire con gli altri,
cosa assai scomoda.
di Roberto FAGGIANO
N uovo ingresso nella gamma
Beoplay, il marchio lanciato da
Bang & Olufsen per allargare
verso il basso la platea di potenziali
acquirenti. Arriva la nuova cuffia H9
(499 euro), un modello top di gamma
con finiture impeccabili in pelle e allu-
minio che integra un sistema attivo di
cancellazione del rumore. Apparente-
mente il nuovo modello sembra iden-
tico alla H8, ma leggendo le specifiche
tecniche si nota un aumento leggero
del peso - 295 grammi contro 255 -
e maggiori dimensioni. Pochi grammi
e pochi millimetri che servono per un
nuovo sistema di cancellazione attiva
del rumore definito ibrido: vengono
utilizzati due microfoni, uno esterno
al padiglione della cuffia, l’altro inter-
no, in modo da ottenere una migliore
rilevazione dei disturbi per cancellarli
in modo più efficace con un segnale
opposto. I controlli sono di tipo touch
HI-FI E HOME CINEMA Nuovo sistema di cancellazione del rumore ibrido per la cuffia top Beoplay
Beoplay H9, la cuffia per ascoltare il silenzioSi collega con o senza fili e ha autonomia di 21 o 14 ore. Il prezzo è però alto: 499 euro
sul padiglione, per volume, cambio
traccia, risposta e chiusura telefonate
oltre all’attivazione del circuito di ridu-
zione del rumore.
Dal punto di vista tecnico abbiamo un
trasduttore da 40 mm e la risposta in
frequenza compresa tra 20 e 22.000
Hz mentre il funzionamento è possi-
bile via cavo con minijack oppure tra-
mite Bluetooth 4.2 con aptX a bassa
latenza. L’au-
tonomia della
batteria è di 14
ore con Blue-
tooth e circui-
to NC attivato,
ma si sale a 21
ore se si usa il
collegamento via cavo. La finitura è di-
sponibile in colore nero oppure argilla.
MAGAZINE
Estratto dal quotidiano onlinewww.DDAY.it
Registrazione Tribunale di Milanon. 416 del 28 settembre 2009
direttore responsabileGianfranco Giardina
editingClaudio Stellari, Maria Chiara Candiago,
Greta Genellini, Simona Zucca
EditoreScripta Manent Servizi Editoriali srl
via Gallarate, 76 - 20151 MilanoP.I. 11967100154
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Roberto FAGGIANO
D iffondere musica in tutta la casa è ormai molto
facile grazie ai diffusori multiroom che si colle-
gano tra loro tramite Wi-Fi. Ma non tutti hanno
il Wi-Fi domestico, e da questa considerazione ecco i
diffusori Izzy di Philips, pronti per diffondere musica in
tutte le stanze della casa sfruttando più semplicemen-
te il Bluetooth: se ne possono collegare fino a cinque
per sonorizzare anche grandi appartamenti e posso-
no anche lavorare da soli quando ogni membro della
famiglia preferisce ascoltare la propria musica.
Un vantaggio di questa soluzione (che però potrebbe
anche diventare uno svantaggio a seconda dei pun-
ti di vista) è l’inutilità di un’applicazione dedicata da
installare su smartphone e tablet; i comandi realmen-
te utili sono infatti tutti sui diffusori. Tra gli svantaggi
ovviamente la versatilità, nel senso che la semplice
connessione bluetooth non permette una gestione
avanzata del multiroom (più sorgenti verso specifici
diffusori, configurazioni home theater...) e l’impossibi-
lità di accedere direttamente ai servizi di streaming o
alla riproduzione musicale da server, ma qui è tutto
all’insegna della semplicità, infatti anche il nome Izzy
andrebbe pronunciato isi, cioè facile in inglese.
Per il nostro test abbiamo provato i quattro modelli
attualmente disponibili in Italia: il BM50 (280 euro)
che è un vero sistema stereo con tanto di lettore CD
e radio, il compatto BM5 (130 euro), il più grande BM7
(230 euro) e il portatile con batteria ricaricabile BM6
(180 euro). All’IFA abbiamo visto anche altri nuovi
componenti della serie, tra i quali un piccolo sistema
stereo, ma da noi arriveranno solo in futuro.
La procedura di raggruppamento dei diffusori è molto
rapida: bisogna premere il tasto Group sul primo diffu-
sore e poi sul diffusore da abbinare (purchè nel range
del Bluetooth) e così via per collegarli tutti; alla secon-
da accensione i diffusori si accendono e si raggrup-
pano automaticamente, mentre per dissociarli basta
premere nuovamente il tasto Group. Su ogni diffusore
sono presenti tre led verdi che indicano la qualità del
segnale Bluetooth, se si accende un solo led la porta-
ta del segnale è appena sufficiente.
Per la prova abbiamo usato il BM50 come diffusore
master e sorgente musicale, piazzando gli altri diffu-
sori in altre stanze di un normale appartamento, con
pareti in muratura ed elementi in cemento armato. Ma
TEST I diffusori Izzy di Philips sono studiati per il multiroom ma senza usare il Wi-Fi: per collegarsi tra loro sfruttano il Bluetooth
Philips Izzy: il multiroom è anche senza Wi-Fi Il sistema permette di collegare fino a cinque diffusori. Il costo è moderato: da 130 euro a 280 euro, a seconda dei modelli
si possono anche usare diffusori tutti uguali oppure
far diventare master uno degli altri diffusori. Inoltre
abbiamo attentamente ascoltato ogni diffusore con le
sorgenti disponibili.
Philips BM50: c’è anche il lettore CDL’elemento fondamentale del nostro sistema multi-
room senza Wi-Fi è il BM50, un diffusore che è un
vero sistema stereo dato che ospita la radio FM con
30 preselezioni, un lettore CD con caricamento moto-
rizzato, una presa USB laterale per chiavette con mu-
sica MP3 e anche il Bluetooth per ricevere musica da
smartphone e tablet. Inoltre ha la funzione orologio e
sveglia. In dotazione c’è pure il telecomando per un
uso più comodo. Si tratta di una categoria di appa-
recchi ormai poco frequentata, ma interessante per
chi desidera ascoltare ancora le sorgenti tradizionali
senza occupare molto spazio; inoltre questo BM50
può anche essere installato a parete con gli accessori
in dotazione.
Ulteriore versatilità dell’apparecchio è la possibili-
tà dell’ascolto in cuffia e l’aggiunta di una sorgente
(magari un televisore) tramite un ingresso minijack sul
retro. Sul frontale, nella zona destra, è nascosto un
display che appare dietro le griglia di protezione: in-
dica la sorgente selezionata, l’ora, la frequenza radio
oppure tempi e tracce di un CD.
Per migliorare la resa sonora si possono impostare
cinque diverse curve di equalizzazione, in modo da
focalizzare la risposta sui bassi, sugli acuti o lasciar-
la uniforme, ma le correzioni apportate sono minime
e non stravolgono la resa sonora; probabilmente gli
utenti più giovani avrebbero preferito più “rumore”
ma il diffusore tiene bene anche un volume sopra la
media. Il piccolo telecomando in dotazione consente
di controllare tutte le funzioni ma non ha la tastiera nu-
merica per richiamare direttamente le stazioni radio
memorizzate o i brani di un CD, bisognerà procedere
solo in modo sequenziale. Il caricamento dei CD è mo-
torizzato in una fessura posta in alto, il meccanismo è
rapido e silenzioso ma per inserire il disco non si ca-
pisce mai quanto si debba premere sul disco, mentre
per espellerlo bisogna usare il tastino presente solo
sull’apparecchio. Il display indica, se presenti, anche
titolo del disco e artista. Per testare la resa sonora
iniziamo dalla radio FM, che mostra buona sensibilità
con il cavetto-antenna in dotazione; buona la sepa-
razione tra le stazioni ma viene fatto passare molto
fruscio, forse si poteva azzardare una radio DAB per
avere una migliore resa sonora.
Con i CD la resa migliora notevolmente e diventa
quasi sorprendente per la categoria, specie inseren-
do il DSP “balanced”: pur con gli inevitabili limiti fisici
in gamma bassa la musica esce piacevole e apre un
segue a pagina 43
lab
video
torna al sommario 43
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
fronte sonoro molto più ampio dei limiti dell’apparec-
chio; ben bilanciata la gamma acuta che restituisce
molti dettagli senza cadere nell’eccessiva brillantez-
za. Con il Bluetooth gli entusiasmi si smorzano e nello
streaming musicale ritornano i limiti della musica com-
pressa, cui avrebbe giovato un DSP dedicato per dare
più forza alla riproduzione.
Philips BM7 Grandi prestazioni a buon mercatoIl BM7 condivide l’estetica del modello più piccolo
BM5 con dimensioni più generose, in particolare la
rassicurante manopolona del volume decentrata sulla
destra del diffusore. Estetica sempre molto rigorosa
con l’unico tocco di vivacità delle spie che segnalano
la sorgente e il livello del segnale Bluetooth. Oltre al
collegamento senza fili, che su questo modello è ar-
ricchito dall’abbinamento automatico NFC, è sempre
disponibile l’ingresso minijack sul retro.
Molto interessante ciò che si cela dietro alla griglia
nera di protezione che avvolge completamente i lati
del BM7, il dispiegamento di altoparlanti è infatti molto
insolito per la categoria di prezzo: frontalmente tro-
viamo due piccoli midwoofer e due tweeter angolati
verso l’esterno, mentre sul retro ci sono due radiatori
passivi per migliorare la resa dei bassi.
Lo spiegamento di forze si traduce in ottime presta-
zioni sonore, dove lo streaming compresso via Blue-
tooth non condiziona la resa musicale, che si pone ai
vertici della categoria. Difficile trovare nella fascia di
prezzo dei 200 euro dei medio bassi così autorevo-
li ma privi di code o rimbombi, non da meno le voci
maschili e femminili che risultano ben in primo piano.
Sugli acuti un diffusore Bluetooth non può fare molto
ma comunque la lieve direzionalità dei tweeter verso
l’esterno amplia molto bene il piccolo fronte sonoro
e rende complessivamente molto gradevole l’ascolto
più attento.
Philips BM5: un compatto tuttofareIl BM5 è il diffusore più economico della serie Izzy,
andando a competere con una marea di altri diffusori
Bluetooth più colorati e più attraenti per il pubblico
più giovane. Il BM5 è invece molto più serioso con la
sua base quadrata e la finitura nera, in compenso la
grande manopola del volume lo rende più semplice
TEST
Philips Izzysegue Da pagina 42
da usare in una collocazione fissa, senza bisogno di
andare a cercare tastini nascosti sui lati o sul retro.
Come sorgente si può contare sul Bluetooth e sull’in-
gresso minijack sul retro.
Dal punto di vista tecnico il BM5 utilizza due larga
banda frontali con accordo reflex posteriore. I pochi
comandi disponibili sono tutti sul pannello superiore,
davanti alla grande manopola del volume. All’ascolto
il piccolo diffusore mette in mostra un bel carattere,
con una gamma bassa più vivace rispetto agli altri
Izzy, merito forse dell’accordo reflex posteriore.
Siamo comunque sempre nell’ambito di medio bassi
godibili e dinamici ma per nulla invadenti e adatti an-
che ai generi musicali più tranquilli o addirittura alla
musica classica. La gamma media e le voci sono di
buon livello per la categoria mentre gli acuti tendono
a risentire delle eccessive compressioni e sono poco
precisi e quasi sfumati, comunque nulla di grave per
l’ascolto standard in streaming. Molto buona l’apertu-
ra sonora oltre i limiti fisici del diffusore. Alla lunga il
BM5 diventa un buon diffusore, soprattutto conside-
rando il prezzo d’acquisto particolarmente contenu-
to, capace di offrire un convincente ascolto che va
oltre il semplice sottofondo.
Philips BM Il portatile resistente all’umiditàIl BM6 è l’unico diffusore portatile della serie Izzy
grazie alla batteria ricaricabile integrata, in grado di
far funzionare il diffusore per circa 8 ore in modalità
Bluetooth semplice oppure 4 ore in modalità multi-
room con l’Izzy link. La forma snella e compatta si
sposa con una bella finitura satinata, quasi elegante
nella sua semplicità.
I comandi sono tutti sul pannello superiore: ai quattro
estremi i tasti per accensione e sorgente, al centro
quelli per il volu-
me; sono tutti a
membrana per
soddisfare le
specifiche IPX4
(protetto dagli
spruzzi) e ga-
rantire l’utilizzo
anche in luoghi
a rischio umidità
come un giardi-
no e il terrazzo
oppure la cuci-
na e il bagno. Anche gli
ingressi posti sul retro
per la ricarica batteria
e per l’ingresso
di altre sorgenti,
sono protetti
da un tappo in
materiale gom-
moso. Sul lato
superiore ritro-
viamo l’anello
luminoso colorato
comune a tutta la
serie, che indica
l‘accensione e il
raggruppamen-
to in un sistema
Izzy. Sotto la
griglia di protezione il BM6 nasconde un progetto
molto elaborato per la categoria: sono infatti previsti
due altoparlanti larga banda frontali e due radiatori
passivi sui lati, un accorgimento che permette di mi-
gliorare la resa sonora mantenendo un cabinet molto
compatto.
Alla prova dei fatti il diffusore se la cava molto bene,
con un fronte sonoro ben maggiore di quanto ci si po-
trebbe aspettare da un diffusore che misura alla base
meno di 10 cm per lato. Non male perfino la gamma
bassa che riesce a restituire musica dinamica e ben
frenata, forse poco accordata sui gusti dei giovani ma
in grado di non sfigurare con le voci e perfino con la
musica classica. Si tratta di un progetto evidentemen-
te anche ascoltato e ben tarato, poco emozionante al
primo ascolto ma vincente a lungo termine. Peccato
che l’autonomia sia piuttosto scarsa e che non ci sia
modo di conoscere la carica residua.
Philips Izzy Quando i meriti superano gli svantaggiLa soluzione semplice di Philips per il multiroom ha il
vantaggio di non richiedere il collegamento Wi-fi e lo
svantaggio di non poter accedere direttamente alla
musica da archivi musicali come server o hard disk.
Ma per l’utente comune ormai la musica viene dallo
smartphone tramite streaming e quindi il problema
è di pochi. Il sistema funziona anche per la sempli-
cità nell’accoppiare i diversi diffusori e mantenere
agevolmente il collegamento anche sulle distanze
presenti in un comune appartamento. Interessante
anche la possibilità di sganciarsi rapidamente dal
gruppo quando si desidera ascoltare la musica nella
propria stanza. L’inserimento in gamma di un siste-
ma completo di radio e CD permette poi anche di
ascoltare le sorgenti tradizionali mentre gli altri dif-
fusori consentono di scegliere il modello più adatto
alle diverse stanze. In tema di difetti possiamo citare
l’estetica molto rigorosa, sicuramente poco attraente
per il pubblico giovane; anche il portatile BM6 non
brilla per la sua autonomia e il prezzo lo avvicina pe-
ricolosamente a molti big del settore, compresi quelli
con il Wi-fi. In generale comunque il sistema Izzy è
vincente sotto il profilo del rapporto qualità/prezzo e
merita un ascolto.
torna al sommario 44
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Michele LEPORI
L a primissima impressione “out of the box” di questa
mirrorless è quella di un corpo macchina sotto cura
ormonale: dimensioni generose, peso non proprio
piuma ed una linea da DSLR che non si discosta mol-
to dalla precedente X-T1. La disposizione dei comandi
appare subito ergonomica, con un’impugnatura in finta
pelle ben marcata e sagomata che ne facilita la presa
anche con lenti lunghe e pesanti: sulla destra trovano
spazio le ghiere con velocità dell’otturatore e aree con
i punti di messa a fuoco, che sulla X-T2 creano
un unicum più alto e più como-
damente raggiungibile di
quanto permettesse
X-T1. La ghiera
alla base è sta-
ta dotata di
un seletto-
re esterno
f r o n t a l e
raggiungi-
bile con l’in-
dice ma non
comodissimo
da spostare: stac-
care l’occhio dal mi-
rino per cambiare l’area
di messa a fuoco può capitare
più volte del previsto, ma l’abitudine all’uso
andrà a creare verosimilmente delle routine nel foto-
grafo. All’estremità destra la ghiera di compensazione
dell’esposizione con i canonici +/- 3EV ed una nuova
posizione “C” (mutuata da X-Pro2) che estende il ran-
ge a +/-5EV. Completa l’allestimento superiore destro
il tasto di scatto con richiami molto vintage anche que-
sti derivati dall’ammiraglia street di casa Fujifilm. Alla
sinistra del mirino (di cui parleremo dettagliatamente
più avanti), un’altra ghiera 2-in-uno con ISO e modalità
di scatto: come la precedente, entrambe sono dotate
di pulsante centrale di blocco del movimento rotatorio
che permette di tenere impostati correttamente i para-
metri anche rimettendo spesso in borsa la macchina,
senza rischio di cambiamenti indesiderati. Osservando
la X-T2 da dietro, alla destra del display trova spazio il
joystick per la navigazione nel menu e per la selezione
del punto di messa a fuoco e i 4 pulsanti personaliz-
zabili con impostazioni tagliate su misura. Se vogliamo
“dare i numeri” della macchina: 132,5mm x 91,8 x 49,2
e 507gr. Veniamo al display posteriore, un LCD da 3”
ed 1.04 milioni di punti che può essere “estratto” dal-
la sua alcova ed inclinato di poco meno di 90° grandi
in orientamento panoramico e ruotato verso l’alto in
modalità ritratto. Lo schermo presenta un’utile moda-
lità Info che mette a disposizione del fotografo tutti i
parametri chiave in visione comparata, offrendo anche
le modalità Standard e Custom Live View: la seconda,
in particolare, offre 14 personalizzazioni fra cui dei pa-
rametri per il mirino elettronico. Fujifilm decide di non
TEST Dopo due anni dall’uscita della X-Pro2 Fujifilm presenta X-T2 rilanciandone la filosofia, migliorandola in tanti aspetti
Fujifilm X-T2 in prova, la mirrorless più completaLa qualità dell’immagine è di primo livello, un RAW assolutamente senza rumore ed un Jpeg che non sbaglia una tonalità
proporre il touchscreen fra le caratteristiche di questo
display posteriore, e per quanto l’interfaccia utente
con joystick ed input sia funzionale e precisa, senza
rischi di infinite navigazioni fra i menu che potrebbe-
ro far perdere l’attimo, su macchine top di gamma è
un’assenza che ci manca e che dobbiamo sottolineare.
Il primo giudizio complessivo sul design è quindi una
promozione a pieni voti: Fujifilm strizza l’occhio a colo-
ro i quali cerchino una macchina che non li lasci orfani
di una linea estetica da DSLR (che probabilmente era
fidata compagna di lunga data), ma porta sul mercato
una macchina solida e ben costruita, con uno chassis
in lega di magnesio stabile e senza vibrazioni con una
tropicalizzazione garantita da 80 punti di chiusura che
ne garantiscono la funzionalità anche in condizioni di
acqua scrosciante, polvere e temperature fino a -10°C.
Elettronica, sensori e autofocus senza compromessiNe abbiamo accennato poco sopra, è giunto il momen-
to di approfondire la questione mirino: senza ombra di
dubbio uno dei punti di forza di questa macchina e una
delle maggiori criticità di chi sta vagliando il passaggio
da reflex a mirrorless. A differenza di X-Pro2, qui Fujifilm
non adotta l’innovativo mirino ibrido ottico/elettronico,
ma equipaggia la X-T2 con un modello OLED elettroni-
co ad altissima risoluzione: stesso valore di risoluzione
a 2.36 milioni di punti e 0.77x di ingrandimento presen-
te su X-T1 ma luminosità che raddoppia, passando da
250 cd/m2 a 500 cd/m2, con velocità di refresh stan-
dard fissata a 60fps che può essere portata all’incredi-
bile soglia di 100fps. Se aggiungiamo un lag di 0.005
secondi, ecco che i dubbi sulle velleità professionali di
questo tipo di mirino vengono spazzati via. Dimensio-
ni di base settate a 3:2, ma la X-T2 supporta anche il
formato 4:3 ed 1:1: nel formato nativo l’immagine sarà
letterbox con le bande nere sui lati superiori ed inferiori
lab
video
FUJIFILM X-T2QUALITÀ E RICCHEZZA DI FUNZIONI
1729,99 €Con la X-T2 ci siamo davvero divertiti. La costruzione e l’ergonomia sono di primissimo livello ed il feeling con la macchina nasce dalla prima accensione, ma siamo consapevoli che gran parte del divertimento è figlio della passione per la fotografia e per l’attenzione al dettaglio che questo tipo di macchina richiede al suo padrone: l’altissimo livello di personalizzazione su Auto ISO e parametri di gestione dell’autofocus da soddisfazione ai cultori delle impostazioni ma può togliere il piacere di fotografare “a cuor leggero” a coloro i quali ancora mal digeriscono la navigazione fra menu e preset. Zone e Wide Tracking tengono alta l’asticella anche con blasonate rivali APS-C quali D500, ma al calare della luce la X-T2 mostra qualche incertezza. La qualità dell’immagine è di primissimo livello, con un RAW assolutamente senza rumore ed un Jpeg che non sbaglia una tonalità cromatica: basterebbe anche la sola simulazione film Provia a regalare immagini di primissimo livello, ma non contenta Fujifilm ne aggiunge altre 8 completamente personalizzabili: an-cora una volta, un altissimo livello di personalizzazione che può (quasi) far paura. Un “vero” difetto? La durata della batteria, davvero ridotta per sole ses-sioni fotografiche: se l’uso diventa anche quello in ambito videomaking, l’extra grip con batteria supplementare passa da optional ad acquisto obbligato.
Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo
9 8 8 7 9 88.4
segue a pagina 45
COSA NON CI PIACECOSA CI PIACEPersonalizzazione estremaParco ottiche Fuji di prim’ordineResa RAW e JPEG da primato
I meno esperti avranno “da studiare”Autofocus rivedibile in scarsa luminositàDurata della batteria
torna al sommario 45
MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
usate per visualizzare dettagli ed informazioni extra, se
desiderato dall’utente. Questo per quanto riguarda i nu-
meri: ma come si può lavorare con questo gioiellino di
tecnologia fotografica? Fujifilm lascia inalterata la User
Interface del mirino elettronico che ha visto debuttare
sul mercato con la sorella X-Pro2: la prima opzione che
si palesa all’occhio del fotografico premendo il seletto-
re sulla destra della struttura di mira è il Full Mode, che
dà credito al proprio nome mostrando una visione inin-
terrotta della scena inquadrata assieme a tutte le infor-
mazioni necessarie, che trovano però spazio fuori dalla
composizione e che quindi non distraggono l’occhio,
lasciandolo concentrato sulla perfetta resa finale dello
scatto. La modalità Normal ottimizza la visione dell’in-
quadratura alleggerendo la mole di informazioni fornite
al fotografo e - per finire - l’interessante Dual Mode che
unisce il meglio dei due mondi: l’immagine appare divi-
sa in due, con l’inquadratura a sinistra ed un’area 100%
manual focus sulla destra. L’unica pecca? Questa mo-
dalità non ruota con l’orientamento del corpo macchi-
na. Il giudizio sul mirino elettronico è - in ultima analisi
- ampiamente positivo: il refresh, impercettibile anche
all’occhio più attento già a 60 fps smette di essere un
elemento di possibili preoccupazioni quando portato a
100fps in Boost Mode. Se non fossimo consapevoli di
essere alle spalle di un mirino non tradizionale, non no-
teremmo la differenza se non - forse - per un dettaglio:
il sensore che rileva l’avvicinamento/allontanamento
dell’occhio al mirino, e che quindi risveglia il display
posteriore, ha un piccolo “lag”, che lascia l’immagine
al buio per una frazione di secondo nel passaggio di
visuale. L’unico rimedio che abbiamo trovato è lasciare
il mirino sempre in funzione, sganciando il display dalla
sua alcova: la batteria, tuttavia, non approverà questa
scelta. Veniamo ora al cuore della macchina, il sensore
X-Trans III CMOS da 24,3 megapixel in formato APS-C.
Le ragioni che legano a doppio filo la casa giapponese
al formato di sensore più piccolo sono note da tempo,
ed il desiderio di non creare una macchina pesante ed
ingombrante come arriva inevitabilmente ad essere
il corpo di una fullframe si è avverato anche in X-T1.
Ma questa volta Fujifilm si spinge più in là, ribadendo
che “È impossibile notare la differenza tra il bokeh di
un sensore APS-C ad apertura massima e quello di un
sensore full frame con apertura chiusa di uno stop”
(come espresso qualche anno fa dal manager giappo-
nese Ueno Takashi) ed affermando senza paura la pos-
sibilità di rivaleggiare ad armi pari con molte fullframe
sul mercato, ed addirittura superandone qualcuna.
A mettere alla frusta queste pesanti affermazioni, la
lente che abbiamo in kit è un Fujinon XF 16-55mm
f/2.8 che ci ha seguito in giro per Milano ed hinterland,
ma che si è fatto una trasferta anche in Germania, più
precisamente alla fiera del gioco da tavolo di Essen:
due ambienti molto diversi per capire se Fujifilm sta
facendo marketing o se crede concretamente nelle
qualità fotografica del suo gioiel-
lino APS-C.
Prova sul campo Qualità eccezionale fin troppa libertà di personalizzazioneAlla prova sul campo, le sensazio-
ni e le consapevolezze maturate
nella fase di studio della X-T2 cer-
cano una controprova. Ma è an-
che l’occasione per saggiare la
bontà di un altro elemento distin-
tivo della produzione fotografica
d’alto livello: l’autofocus. Sulla X-
T2, Fujifilm dà al fotografo le chia-
vi della macchina, lasciandogli fin
da subito carta bianca su di un
gran numero di parametri, ma se
l’ampiezza di opzioni va solitamente a braccetto con
sensazioni positive riguardo il poter ottenere il massimo
da ogni situazione, si fa talvolta sentire qualche paura.
Le premesse alla base del lavoro compiuto da Fujifilm ci
sono e sono tangibili nel menu della X-T2, eppure qual-
cosa non torna come dovrebbe. La personalizzazione
troppo di fino alza l’asticella del cercare a tutti i costi la
soluzione migliore, portandola ad insinuare talvolta il
dubbio che - nonostante il tempo speso alla ricerca dei
dettagli corretti sia stato ben ripagato da uno scatto
pregevole - si sarebbe potuto ottenere di meglio incro-
ciando i dati diversamente. La X-T2 utilizza un sistema
di messa a fuoco dei soggetti in base al riconoscimento
della loro distanza dalla lente, e in Fujifilm hanno messo
anche il sistema di autofocus - e le sue molteplici perso-
nalizzazioni - nella lista delle variabili in mano all’utente,
che è chiamato a fare le sue scelte inquadrando e se-
guendo l’oggetto dello scatto: abbiamo messo alla fru-
sta il sistema in zona Porta Garibaldi, durante un pome-
riggio di inizio ottobre. Selezioniamo l’AF a punto
singolo, alterniamo la griglia fra le opzioni 3x3, 5x5 e
7x7 ed iniziamo a studiare il comportamento della mac-
china. X-T2 riesce a gestire il riconoscimento facciale
solo usando l’autofocus a ricerca di contrasto invece di
analizzare l’immagine per scegliere quale sia il miglior
punto di messa a fuoco e usare quindi il sistema a ricer-
ca di fase per acquisire e seguire il soggetto in movi-
mento. Le immagini che otteniamo sono ricche di detta-
gli e definite, ma bisogna abbassare la velocità
dell’otturatore (in altre scatti notturni si noterà ancora di
più): in buone condizioni di luminosità e con un sogget-
to statico o in posa, per contro, il riconoscimento degli
occhi (oltre che del volto) aiuta ad ottenere ottimi risul-
tati: la spina dorsale di questa qualità è data dal sensore
X-Processor Pro, che fa sì che ISO 800 diventi il nostro
nuovo normale, ed ISO 1600 un’ottima alternativa che
spesso nemmeno ci ricordiamo di aver impostato. Par-
lavamo di personalizzazioni di fino, forse troppo, e ini-
ziamo a capire perché: la X-T2 offre al fotografo i mezzi
per gestire il comportamento dell’autofocus con 3 para-
metri che si vanno a modulare sui 5+1 (quest’ultimo,
personalizzabile) preset installati sulla macchina, e che
se usati correttamente aiutano l’autofocus a dare il mas-
simo poiché fanno capire al sensore che tipo di sogget-
to si trova di fronte alla lente. Essi sono Tracking Sensi-
tivity, Speed Tracking Sensitivity e Zone Area Switching.
Il primo setta il tempo con cui cambiare il fuoco in base
TEST
Fujifilm X-T2segue Da pagina 44
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
al movimento del soggetto, lasciando in mano al foto-
grafo - in scala 0-4 - se l’AF deve “sganciare” il bersaglio
all’ingresso in primo piano di nuovi soggetti o se deve
rimanere concentrato il più possibile su quanto da noi
selezionato. Il secondo parametro mette in evidenza la
vocazione sportiva della X-T2 (del resto, è stata presen-
tata alla vigilia della 24 Ore di Le Mans) e permette di far
prevedere al sensore dove andrà il soggetto a fuoco,
basandosi sulla sua accelerazione/frenata e fornendo
al fotografo una scala di opzioni da 0 a 2 mentre da ul-
timo, l’opzione Zone Area Switching ci permette di dare
priorità ad un soggetto che si pone al centro della zona
di autofocus, ai soggetti in primo piano o lasciare cam-
po libero alla macchina. Quando rimaniamo nell’area a
riconoscimento di fase del sensore, l’aggancio del volto
desiderato fa si che il focus rimanga sul soggetto ed
anche se gli improvvisi ed imprevedibili getti invadano il
primo piano, nessun dettaglio del fuoco da noi deside-
rato si perda. Andare alla ricerca del dettaglio di un’oc-
chio o sperare di ottenere il massimo da una scena con
colori uniformi mette sotto pressione la X-T2, che dà
nettamente il meglio di sé con un contrasto tangibile fra
soggetto a fuoco e la profondità di campo dell’area cir-
costante. La nostra permanenza alla kermesse teutoni-
ca di Essen ci ha permesso di studiare il comportamen-
to della X-T2 anche in una
condizione molto particolare come
quella di una fiera di grandissime
dimensioni, dove di sicuro non si
può contare su condizioni di lumi-
nosità ottimale: luci variabili e
spesso troppo forti facevano da
contraltare ad angoli bui e
nascosti dove,
per ottenere
buoni risultati,
ci è toccato
spesso e vo-
lentieri intervenire in prima persona. Le belle parole
spese in apertura sull’ergonomia della X-T2 trovano
una grandissima conferma in questo frangente: i co-
mandi della X-T2 sono veloci e precisi, e la grandissima
personalizzazione dei tasti funzione posteriori ci per-
mette di impostare dei parametri diversificati che ben si
adattano alla situazione di repentini cambi di ambiente.
Uno su tutti: il bottone sinistro del pad direzionale è sta-
to personalizzato per proporre diversi livelli di Auto ISO,
che hanno permesso di avere subito pronte le migliori
impostazioni per le diverse aree della fiera. Spesso in
movimento da un tavolo all’altro a caccia di un posto li-
bero, abbiamo goduto degli ingombri relativamente ri-
dotti e - soprattutto - dei pulsanti di blocco delle ghiere:
una vera benedizione per una situazione così caotica
dove il rischio di un giro completo dei selettori si na-
scondeva dietro ogni stand. Negli angoli bui di cui so-
pra, tuttavia, si nascondono i problemi: ad ISO 3200 la
situazione è ancora sotto controllo nella maggior parte
dei casi, ed il dettaglio rimane ancora dove speriamo di
trovarlo, ma le limitazioni di un autofocus che si basa su
un sistema totalmente ibrido si fa sentire (letteralmente)
durante l’acquisizione di un soggetto in condizioni di
penombra, rallentando la messa a fuoco dell’immagine
di frazioni più o meno lunghe di secondo. Se a questo
ci aggiungiamo la gestualità tipica di un soggetto in pro-
cinto di spiegare ad un tavolo di appassionati le mecca-
niche della sua ultima creazione, si rischia di mandare
davvero in difficoltà la X-T2 con la “combo” soggetto in
movimento più scarsa luce. In completa penombra e
con soggetti immobili, tuttavia, lo stacco fra il soggetto
a fuoco e lo sfondo regala immagini di notevole qualità
anche ad ISO 6400 dove inizia ad emergere sulla foto
un effetto grana: attenzione però, non è rumore, ma
semplicemente l’effetto grana che inevitabilmente ini-
zia a dire la sua senza però appesantire (troppo) l’imma-
gine. Alzare l’asticella di ulteriori step, tuttavia, spinge la
X-T2 al limite: si supera la soglia
critica alle condizioni di luce e
contrasto di cui sopra, per
tutto il resto c’è un filtro
Acros B/W che assotti-
glia il limite fra scatto
artistico e parametri azzardati. La ricchezza di dettagli e
nitidezza sui toni senza colori è davvero invidiabile. Tut-
to questo per dire che la qualità fotografica della X-T2,
in RAW, non teme confronti con nessuna blasonata con-
corrente APS-C, né sul campo del rumore né in termini
di gamma dinamica. Gli scatti in JPEG, a loro volta, trag-
gono beneficio dalla completa e variegata palette di fil-
tri messi a disposizione all’utente, che ancora una volta
avrà solo “bei problemi” a scegliere quale usare. Alle
giuste condizioni di luce e soggetto, spingere il valore
ISO oltre la soglia di guardia può non creare i grattacapi
che ci si aspetterebbe sulla carta, ed anzi c’è la concre-
ta possibilità di trovarsi di fronte ad uno scatto pregevo-
le e che non dovrà subire un lungo processo di postpro-
duzione. Il pomeriggio milanese, il lungo weekend
tedesco ed i momenti in cui abbiamo potuto giocare
con X-T2 hanno avuto un’altro elemento in comune,
non gravissimo ma degno di segnalazione: la batteria di
X-T2 non brilla per autonomia. Alla prova anche con
bracketing prolungati, siamo riusciti a prosciugare una
carica da 100% in un pomeriggio scarso.
RAW principe dei dettagli, ma il JPEG Fujifilm rimane il primo della classeIl salto a 24 megapixel porta con sè un aumento del livel-
lo di dettaglio dell’immagine, che in aggiunta al lavoro di
X-Trans esalta la resa dell’immagine con qualsiasi filtro si
decida di lavorare: la maggior parte degli scatti di questa
recensione sono stati ottenuti con la X-T2 in modalità di
scatto RAW+Jpeg e filtro Provia. Il primo ci ha garantito
la versatilità di un doppio formato che permette l’impor-
tazione immediata su Lightroom dei file in alta qualità
senza limitarne al contempo la fruibilità del più versati-
le Jpeg su tablet e smartphone; il filtro Provia è stato
invece usato partendo dalle impostazione di fabbrica,
modificate nei valori di Alte Luci (abbassate a -2), Tono
Ombre (alzato a +2), Nitidezza e Riduzione Disturbo ab-
bassati a -4 e -3. Un intervento pesante, ma i valori che
la casa setta come 0 ci appaiono davvero troppo alti,
e la possibilità di lavorare con un’immagine più “pulita”
che può essere affinata in nitidezza con un - se neces-
sario - intervento di post produzione appare la scelta più
idonea per lavorare con una X-T2 così performante sulla
resa dei colori. Il Jpeg della casa giapponese si confer-
ma ancora una volta di altissimo livello, con una resa cro-
matica molto fedele al vero su gialli e verdi. Le tonalità
del rosso, di contro, prestano il fianco ad un più generale
appiattimento ed una saturazione più bassa che richie-
de qualche intervento di post produzione.
TEST
Fujifilm X-T2segue Da pagina 45
Clicca le immagini per vedere l’ingrandimento.
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
di Claudio STELLARI
S i può avere in auto un impianto audio di alta qua-
lità montato di serie? E soprattutto, come suona?
harman ci ha inviato a scoprirlo partecipando a
un evento organizzato per il lancio della nuova Toyota
C-HR; il crossover del costruttore giapponese, a se-
conda delle versioni, può infatti montare un sistema
audio progettato e realizzato appositamente per que-
sta vettura da JBL, azienda che come sappiamo fa parte della galassia Harman, passata recentemente
sotto il controllo di Samsung. JBL può vantare un in-
credibile know-how con l’80% delle installazioni audio
nei concerti dal vivo, oltre alla presenza dei suoi appa-
rati nel 70% degli studi di registrazione e nel 90% delle
sale cinema certificate THX. A tutto questo si somma
un posto in prima fila nel cuore di tutti gli amanti della
buona musica, guadagnato grazie a sistemi e diffusori
di qualità. Ce n’è abbastanza quindi per alimentare la
nostra curiosità, ma prima di passare alla parte audio
firmata JBL, vale la pena approfondire la conoscenza
con la Toyota C-HR, un’auto decisamente nuova e
coraggiosa, progettata con un occhio di riguardo per
soddisfare l’esigente clientela europea.
Aggressiva e hi-tech, dentro e fuoriLa Toyota C-HR è un’auto che va oltre i soliti sche-
mi, diverse dalle altre. Per capirlo basta un semplice
sguardo: il frontale ha un aspetto muscoloso, con linee
decise e forme stilistiche particolari. I passaruote sono
TEST Bella e innovativa, la Toyota C-HR offre un impianto audio realizzato da JBL. L’abbiamo ascoltato, ecco come suona
A bordo di Toyota C-HR per ascoltare il sound JBL Il sistema audio è stato realizzato appositamente per la C-HR, partendo dallo studio dei materiali per gli interni dell’auto
alti, ma grazie al tetto spiovente il crossover Toyota
mette in mostra un aspetto filante, che ricorda quello
di un coupè; un carattere sottolineato dalla forma delle
maniglie posteriori nascoste nelle linee del montante
e dallo spoiler posteriore che si raccorda al tetto.
L’aspetto deciso e tecnologico dell’auto è ripreso dal
design degli interni: i comandi sono rivolti verso il gui-
datore, ben accessibili e disposti in modo intuitivo; la
strumentazione è illuminata da una gradevole luce blu
e risulta sempre ben leggibile. La forma lineare della
plancia è sottolineata da un profilo realizzato con ma-
teriale morbido al tatto che si raccorda alle portiere an-
teriori, profilo che abbraccia al centro il grande display
touchscreen multicolore da 8”, centro di controllo del
sistema di infotainment della vettura, che troneggia in
posizione rialzata. Inizialmente sembra fin troppo pre-
sente nell’abitacolo della vettura, ma ci si abitua alla
svelta. Il navigatore è disponibile come optional, di
serie invece il pacchetto Toyota Safety Sense Plus con
sistema pre-collisione, avviso di superamento corsia,
riconoscimento della segnaletica stradale, sistema di
abbaglianti automatici, funzione di rilevamento pedoni
e cruise control adattivo. Sul alcune versioni è previsto
anche il sistema di riconoscimento della segnaletica
stradale, il C-HR può offrire inoltre altri equipaggia-
menti di sicurezza e assistenza alla guida, come il
blind spot monitor, per la rilevazione delle vetture in
avvicinamento negli angoli ciechi e il rear cross traf-
fic allert, che avvisa della presenza di ostacoli o del-
l’avvicinamento di altre vetture durante le manovre in
retromarcia.
Dal punto di vista tecnico, la Toyota C-HR utilizza la
stessa piattaforma modulare della Prius, la TNGA
(Toyota New Globale Architeture), da cui in parte ere-
dita anche la meccanica. Due le motorizzazioni pre-
viste: 1.2 turbo benzina da 116 cv e 185 Nm di coppia
(disponibile anche con trazione integrale), e 1.8 VVT-I
Full Hybrid da 122 cv; tutte le versioni destinate al no-
stro Paese montano la trasmissione automatica con
cambio CVT. Secondo le previsioni di Toyota questa
motorizzazione dovrebbe andare per la maggiore, con
una percentuale del 75% rispetto al totale delle vendi-
te in Europa. E dopo aver guidato per mezza giornata
ciascuna delle due versioni non ci sentiamo certo di
darle torto.
Progettato per suonare beneJBL ha progettato il sistema audio della Toyota C-HR
appositamente per questa vettura, non si tratta quin-
di del solito impianto in predisposizione che trovia-
mo normalmente montato di serie delle auto, ma di
qualcosa di decisamente diverso: la progettazione, ci
dicono, ha richiesto una stretta collaborazione tra gli
ingegneri Toyota e JBL, spingendosi fino allo studio
dei materiali e delle forme delle superfici degli interni
dell’auto per capire quale fosse la loro influenza sul-
l’ascolto.
Il risultato finale è il sistema JBL Premium, basato su
un’amplificatore da 576 Watt totali suddivisi su 8 ca-
nali e un totale di 9 altoparlanti. Nella parte anteriore
dell’auto troviamo un sistema tre vie con tweeter da
25 mm caricati a tromba (recentemente brevettati da
JBL) disposti nei montanti della vettura. I tweeter a
lab
video
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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016
tromba hanno un’elevata efficienza, offrono un’ampia
risposta alle alte frequenze e un’elevata dispersione,
disposti nel montante permettono di sfruttare le rifles-
sioni sul parabrezza e di innalzare il fronte sonoro,
facendo sembrare che il suono non provenga dai lati
della vettura ma da un punto in alto di fronte ai pas-
seggeri anteriori. Ai lati del cruscotto sono disposti i
midrarange da 80 mm di diametro a elevata disper-
sione, uno per lato; un woofer da 170 mm di diametro
trova posto nella parte bassa di ciascuna della due
portiere anteriori
Nella parte posteriore, disposti a portiera, troviamo
due altoparlanti full range da 150 mm di diametro; a
spingere le basse frequenze ci pensa il sub bass re-
flex con un altoparlante a doppia bobina da 190 mm
di diametro, sistemato nel bagagliaio sul lato destro,
perfettamente sagomato per occupare lo spazio a di-
sposizione dietro il passa ruote. In questo modo non
viene pregiudicata la capacità di carico della vettura e
nulla rimane in vista; anche l’ampli è sistemato sotto i
sedili posteriori. Per quanto riguarda la configurazio-
ne degli 8 canali dell’amplificazione, tweeter/midran-
ge anteriori condividono un canale dell’amplificatore,
uno per il lato destro e uno per il sinistro; i woofer
anteriori beneficiano ciascuno di una canale dedicato,
due canali di amplificazione sono dedicati alla coppia
di altoparlanti full range posteriori, i due rimanenti ca-
nali spingono vigorosamente il sub doppia bobina.
Poche regolazioni, ma è meglio cosìL’ampli è dotato di DSP e gestisce i tagli in frequenza
(attivi) verso i diffusori. Gli ingegneri JBL sono interve-
nuti sulle curve di equalizzazione e sui ritardi di ogni
canale, predisponendo un tuning fine del sistema.
L’utente può intervenire solo sul volume (indispensa-
bile), sulla regolazione dei toni (alti, medi, e bassi) e
sul fader per regolare il volume tra parte anteriore e
posteriore del sistema. Poche regolazioni quindi, ma si
tratta di una scelta del tutto condivisibile: l’impianto è
stato finemente regolato dai tecnici JBL per esprimer-
si al meglio, intervenendo manualmente a orecchio si
rischia solo di fare peggio. Durante l’ascolto, del resto
non abbiamo sentito nessuna necessità di regolare
nemmeno i toni, segno della bontà delle impostazioni
di fabbrica.Per quanto riguarda le sorgenti, il sistema
offre un ingresso USB (disponibile un ingresso nella
parte bassa del tunnel centrale), la selezione della ra-
dio, di un ingresso aux e naturalmente la connessione
Bluetooth, per il collegamento dei dispostivi mobili. Il
controllo può avvenire mediante i comandi a volante
o direttamente dal monitor touch.
Per ora niente Apple Car Play e Android AutoLa C-HR per ora non è compatibile ne con Apple
Car Play e nemmeno con Android Auto, Toyota sta
valutando con Apple l’introduzione della tecnologia
Apple Car Play sulle proprie vetture ma non è dato
sapere se arriverà e quando. Con l’acquisto del na-
vigatore, Toyota offre alcune app gratuitamente, tra
cui TomTom Traffic, Coyote, Google Stret View, Fuel
e Parking, Meteo, Aha, inoltre è possibile scaricare a
pagamento Aupeo e l’app di Twitter.
Dettaglio, potenza e un’ottima… immagineEccoci quindi proiettati alla guida della Toyota C-
HR in Spagna, sulle colline intorno a Madrid, pia-
cevolmente accompagnati dall’ascolto della musica
riprodotta dal sistema audio JBL. Il suono ha un’im-
postazione che tende a privilegiare gli estremi della
banda, ma non risulta mai sbilanciato, un carattere
che ben si adatta all’ascolto in auto.
La riproduzione offre un notevole dettaglio, soprattut-
to alle alte frequenze (merito dei tweeter a tromba),
che però non diventano mai eccessive o fastidiose.
Il sub sa essere discreto ma all’occorrenza sa fare la
voce grossa sottolineando con vigore e precisione
i passaggi più impegnativi senza mai divenire trop-
po presente, “lungo o gommoso”. Alzando il volume
fino al massimo si apprezza il notevole lavoro di se-
tup svolto da JBL: siamo arrivati fino a far vibrare lo
specchietto retrovisore interno dell’auto senza che
il suono divenisse fastidioso. Ovviamente dopo un
ascolto prolungato “al massimo” si è portati natural-
mente ad abbassare il volume (di poco), ma si tratta
di una necessità fisica. Anche in queste condizioni
estreme di ascolto non si nota alcun rumore provo-
cato dalla vibrazione degli elementi dell’abitacolo,
segno dell’ottimo lavoro svolto nella realizzazione
del sistema e nella costruzione della vettura.
Ad un ascolto più moderato si apprezza l’ottima
distribuzione del suono in auto: si ha l’impressione
la musica provenga da un punto di fronte a noi non
dai lati, dove sono gli altoparlanti, con le voci ben
posizionate in alto sopra il cruscotto. Perfetta anche
la gestione degli effetti, con i diversi suoni che ven-
gono posizionati esattamente dove sono collocati
in sede di incisione. Una prestazione convincente
sotto tutti punti vista; ovviamente è possibile anche
scegliere una strada diversa e rivolgersi a un instal-
latore specializzato di sistemi Hi-Fi Car, che saprà
confezionare un impianto su misura, per soddisfare
esigenze specifiche. Occorrerà però mettere in con-
to una spesa probabilmente superiore agli 800 euro
richiesti per dotare la Toyota C-HR del sistema JBL
Premium, accettando anche modifiche all’auto post
vendita. Vale la pena dotare la nostra C-HR del siste-
ma JBL Premium? È una scelta personale ma ci sen-
tiamo di consigliarvelo, soprattutto se passate diver-
se ora in macchina e apprezzate la qualità musicale
ovunque vi trovate, in casa ma anche in macchina.
Buon viaggio.
Il tweeter a tromba posizionato nel montante an-teriore della Toyota C-HR, il suo design si integra alla perfezione con quello dell’abitacolo.
Il subwoofer installato nel bagagliaio non pre-giudica in alcun modo la capacità di carico della vettura.
TEST
Toyota C-HR con sistema audio JBLsegue Da pagina 48