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MAGAZINE n.146 / 16 13 DICEMBRE 2016 La PEC è fantastica ma è un segreto Dal prossimo 10 gennaio le Poste Italiane aumenteranno le tariffe delle raccomandate. Così, mandare la classica Raccomandata A.R. necessaria per esempio per disdettare un contratto con operatori telefonici e pay TV, costerà 5,95 euro. Praticamente tanto quanto costa, presso i principali provider (compreso Poste Italiane), sottoscrivere per un anno una casella di Posta Elettronica Certificata, la cosiddetta PEC, che la legge equipara alla raccomandata. Eppure le persone continuano a inviare le Raccomandate. La PEC è una realtà che ha cambiato (in me- glio) la vita ad alcune categorie professionali ed enti: si pensi per esempio agli studi legali che possono notificare gli atti via PEC. In realtà, oramai da anni, è obbligatorio per ogni azienda e per molti professionisti disporre di una casella PEC. Per i cittadini invece non è obbligatoria ma è un’opzione da tenere in buon conto proprio per evitare sia i costi, sem- pre più alti, delle raccomandate, sia la noia di dover andare all’ufficio postale per inviare il plico cartaceo ed attendere per giorni l’avviso di ricevimento. Con la PEC si fa – o meglio si farebbe – tutto molto più velocemente, da casa, senza stampare carta e anche rispar- miando. Si farebbe perché l’indirizzo PEC non è riportata in quasi nessun sito delle aziende private con i quali i consumatori si trovano a interagire. Non c’è, infatti, al momento, alcun obbligo esplicito per le aziende di pubblicare sul proprio sito, insieme per esempio a dati ben meno utili come il numero di iscrizione al registro imprese, anche l’indirizzo di PEC. Niente PEC nella pagina dei contatti per la stragrande maggioranza delle grandi società: Trenitalia, Alitalia, Enel, TIM, Vodafone, H3G, Sky, e potremmo andare avanti molto ancora. Evidentemente rendere troppo pubblica la PEC è visto dalle aziende che hanno a che fare con i consumatori come un rischio troppo grande di esporsi a una valanga di comunica- zioni certificate a cui poi si è obbligati a dare seguito e risposta. Inutile nascondersi dietro un dito: il prezzo alto della raccomandata e le scomodità dell’invio fisico sono unitilizzati come deterrente per ridurre le “grane” e le disdette; la PEC, invece, da questo punto di vista, è considerata la peggiore delle iatture. Resta ancora incredibile che - nel silenzio delle Autorità - si possano attivare solo con una telefonata servizi come abbonamenti telefonici o pay TV ma poi per disattivarli sia necessaria una raccomandata A.R. e invece non venga mai suggerito l’utilizzo della PEC. Per fortuna esistono due siti che fanno da “elenco” delle PEC rispettivamente della Pub- blica Amministrazione e delle aziende private. Il primo permette di identificare l’indirizzo PEC di ogni ufficio dell’apparato pubblico, sia a livello nazionale che locale. Il secondo, INI-PEC, consente di trovare la PEC delle società private, partendo per esempio dalla denominazione o dalla partita IVA. Questi due siti meriterebbero molta più visibilità, una vera e propria Pubblicità Progresso per stimolare anche per i cittadini l’utilizzo della PEC. Anzi, andiamo oltre: invece di prevedere il ridicolo obbligo all’accettazione dei cookie (quasi tutti cliccano OK senza leggere), sarebbe stato meglio rendere obbligatoria la chiara pubblicazione sui siti aziendali della PEC. Perché la maggiore facilità per i consumatori di comunicare con le aziende non può essere mai considerata una minaccia, almeno da società che si professano leali e trasparenti. Gianfranco GIARDINA Al Camp Nou per scoprire la tecnologia Replay 360 Intel ha lanciato una nuova tecnologia di replay a 360 gradi che offre agli spettatori un’esperienza “immersiva” La nuova Ford Fiesta è un concentrato di tecnologia Huawei ai raggi X Punta a diventare la numero 1 16 09 Vodafone e H3G devono rimborsare i costi della segreteria 02 Download da Netflix La nostra guida completa Tutto quello che c’è da sapere sulla nuova funzione download di Netflix Una comoda FAQ, divisa per punti 14 34 OnePlus 3T, il miglior smartphone Android? IN PROVA IN QUESTO NUMERO Visita all’impianto di riciclo dei RAEE Del vecchio TV non si butta via nulla Viaggio nello stabilimento di Relight, uno dei principali centri di trattamento dei rifiuti elettrici ed elettronici italiani, dove i “rifiuti” si trasformano in nuove risorse 04 24 31 Apple MacBook Pro Potenza e portabilità 37 Sony MDR-1000X Qualità senza rumore

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

La PEC è fantastica ma è un segretoDal prossimo 10 gennaio le Poste Italiane aumenteranno le tariffe delle raccomandate. Così, mandare la classica Raccomandata A.R. necessaria per esempio per disdettare un contratto con operatori telefonici e pay TV, costerà 5,95 euro. Praticamente tanto quanto costa, presso i principali provider (compreso Poste Italiane), sottoscrivere per un anno una casella di Posta Elettronica Certificata, la cosiddetta PEC, che la legge equipara alla raccomandata. Eppure le persone continuano a inviare le Raccomandate.

La PEC è una realtà che ha cambiato (in me-glio) la vita ad alcune categorie professionali ed enti: si pensi per esempio agli studi legali che possono notificare gli atti via PEC. In realtà, oramai da anni, è obbligatorio per ogni azienda e per molti professionisti disporre di una casella PEC. Per i cittadini invece non è obbligatoria ma è un’opzione da tenere in buon conto proprio per evitare sia i costi, sem-pre più alti, delle raccomandate, sia la noia di dover andare all’ufficio postale per inviare il plico cartaceo ed attendere per giorni l’avviso di ricevimento. Con la PEC si fa – o meglio si farebbe – tutto molto più velocemente, da casa, senza stampare carta e anche rispar-miando. Si farebbe perché l’indirizzo PEC non è riportata in quasi nessun sito delle aziende private con i quali i consumatori si trovano a interagire. Non c’è, infatti, al momento, alcun obbligo esplicito per le aziende di pubblicare sul proprio sito, insieme per esempio a dati ben meno utili come il numero di iscrizione al registro imprese, anche l’indirizzo di PEC. Niente PEC nella pagina dei contatti per la stragrande maggioranza delle grandi società: Trenitalia, Alitalia, Enel, TIM, Vodafone, H3G, Sky, e potremmo andare avanti molto ancora.

Evidentemente rendere troppo pubblica la PEC è visto dalle aziende che hanno a che fare con i consumatori come un rischio troppo grande di esporsi a una valanga di comunica-zioni certificate a cui poi si è obbligati a dare seguito e risposta. Inutile nascondersi dietro un dito: il prezzo alto della raccomandata e le scomodità dell’invio fisico sono unitilizzati come deterrente per ridurre le “grane” e le disdette; la PEC, invece, da questo punto di vista, è considerata la peggiore delle iatture. Resta ancora incredibile che - nel silenzio delle Autorità - si possano attivare solo con una telefonata servizi come abbonamenti telefonici o pay TV ma poi per disattivarli sia necessaria una raccomandata A.R. e invece non venga mai suggerito l’utilizzo della PEC.

Per fortuna esistono due siti che fanno da “elenco” delle PEC rispettivamente della Pub-blica Amministrazione e delle aziende private. Il primo permette di identificare l’indirizzo PEC di ogni ufficio dell’apparato pubblico, sia a livello nazionale che locale. Il secondo, INI-PEC, consente di trovare la PEC delle società private, partendo per esempio dalla denominazione o dalla partita IVA. Questi due siti meriterebbero molta più visibilità, una vera e propria Pubblicità Progresso per stimolare anche per i cittadini l’utilizzo della PEC. Anzi, andiamo oltre: invece di prevedere il ridicolo obbligo all’accettazione dei cookie (quasi tutti cliccano OK senza leggere), sarebbe stato meglio rendere obbligatoria la chiara pubblicazione sui siti aziendali della PEC. Perché la maggiore facilità per i consumatori di comunicare con le aziende non può essere mai considerata una minaccia, almeno da società che si professano leali e trasparenti.

Gianfranco GIARDINA

Al Camp Nou per scoprire la tecnologia Replay 360 Intel ha lanciato una nuova tecnologia di replay a 360 gradi che offre agli spettatori un’esperienza “immersiva”

La nuova Ford Fiesta è un concentrato di tecnologia

Huawei ai raggi X Punta a diventare la numero 1 16

09

Vodafone e H3G devono rimborsare i costi della segreteria 02

Download da Netflix La nostra guida completa Tutto quello che c’è da sapere sulla nuova funzione download di Netflix Una comoda FAQ, divisa per punti14

34

OnePlus 3T, il miglior smartphone Android?

IN PROVA IN QUESTO NUMERO

Visita all’impianto di riciclo dei RAEE Del vecchio TV non si butta via nulla Viaggio nello stabilimento di Relight, uno dei principali centri di trattamento dei rifiuti elettrici ed elettronici italiani, dove i “rifiuti” si trasformano in nuove risorse04

24

31

Apple MacBook Pro Potenza e portabilità

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Sony MDR-1000X Qualità senza rumore

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Roberto PEZZALI

S egreterie telefoniche a paga-

mento, difficoltà di disattivarle e

messaggi poco chiare sulle pa-

gine web: lo avevamo denunciato con

una nostra inchiesta a inizio novembre

(leggi qui) e ora cala feroce su Voda-

fone e H3G la mannaia dell’Autorità

per le Garanzie nelle Comunicazioni

che sanziona i due operatori per pra-

tica commerciale scorretta. Partiamo

con H3G: l’operatore attiva di default

la segreteria sulle nuove SIM e ogni

qual volta un utente consulta la casella

vocale si vede addebitati 20 centesimi.

Un costo da sostenere anche se si è

provveduto a disattivare il servizio di

segreteria telefonica, perché come ha

ammesso l’operatore “la procedura di

disattivazione del servizio di deviazio-

ne automatica in segreteria telefonica

è possibile tramite digitazione della

stringa ##002# [...] ma questo non

comporta la disattivazione della casel-

la vocale (che rimane attiva). E’ pos-

sibile quindi continuare a chiamare il

4133 per l’ascolto dei messaggi”.

Solo a seguito dell’avvio del procedi-

mento H3G ha chiarito che agli utenti è

consentita una disattivazione solo par-

ziale del servizio e che si inibisce infatti

la sola possibilità di lasciare messaggi

per chi chiama, ma la casella vocale

resta attiva e raggiungibile chiaman-

do il 4133 o cliccando sulla icona del-

la segreteria telefonica. Informazioni

MERCATO Chi ha disattivato le segreterie tefoniche degli operatori dovrà essere rimborsato

Agcom: Vodafone e H3G devono restituire agli utenti i soldi della segreteria telefonica Regalo natalizio dell’Agcom a tutti i clienti convinti di aver disattivato le segreterie telefoniche di Vodafone e H3G e che invece hanno continuato a pagare gli accessi alla casella vocale

queste che sul sito Internet non sono

affatto chiare, e inducono i clienti a

pensare di aver disattivato tutto.

L’Agcom non ha ritenuto convincenti

le contromisure messe in opera dal-

l’operatore per disattivare il servizio

e neppure quelle per rimborsare gli

utenti. H3G infatti ha dichiarato di “Sta-

re provvedendo ad avviare, a richiesta

dei clienti, il rimborso automatico delle

somme erroneamente addebitate” ma

giustamente Agcom fa notare, nella

delibera, che un rimborso non può de-

finirsi automatico se è su richiesta del

cliente. In quest’ottica, per l’Autorità, si

delinea un “ingiustificato arricchimen-

to dell’operatore che si realizza in tutti

i casi in cui il cliente non abbia conte-

stato l’addebito (non essendosene ac-

corto) o non si verifichino le condizioni

stabilite dalla Società per il rimborso”.

Simile il caso di Vodafone: anche in

questo caso le SIM nascono con la

segreteria attivata e la consultazione

costa ben 1.5 euro al giorno. Si può di-

sattivare il servizio, ma in caso di disat-

tivazione parziale, ovvero se si disattiva

solo la funzionalità di ridirezionamento

delle chiamate verso la casella con

i codici a tastiera, si continuerà a pa-

gare 1,5 euro per ogni consultazione

della segreteria, anche involontaria.

Vodafone si è attivata più volte, anche

in seguito all’istruttoria, per risolvere la

cosa ma secondo Agcom “non è stata

in grado di addurre argomentazioni

valide a dimostrare la correttezza del

proprio comportamento né ha propo-

sto idonee misure atte a farne cessare

la lesività a danno degli utenti.”

I due operatori ora dovranno comu-

nicare entro 30 giorni dalla notifica

dei provvedimenti la procedura, e la

relativa tempistica, che intendono im-

plementare per impedire che i propri

utenti possano incorrere nella consul-

tazione involontaria del servizio di se-

greteria telefonica pagando e dovran-

no anche modificare le pagine web

spiegando bene le procedure. Inoltre,

ed è questa forse la cosa più importan-

te, dovranno “riaccreditare, indipen-

dentemente dalla richiesta del cliente,

le somme addebitate per le chiamate

involontarie alla casella vocale effet-

tuate sia tramite il 42020 sia tramite

l’utilizzo dell’icona della segreteria te-

lefonica e inviare un sms che informi il

cliente dell’importo e delle modalità di

riaccredito, con espresso richiamo alla

delibera”. Dopo aver rimborsato tutti

gli italiani che hanno involontariamen-

te pagato per la segreteria dovranno

anche comunicare all’Agcom l’elenco

completo degli utenti ai quali è stato

effettuato l’accredito delle somme

specificando la data e l’importo per

ogni utente. Vodafone e H3G hanno

ora 2 mesi di tempo per fare ricorso

contro la delibera.

Stessa IVA su eBook e libri cartacei L’Europa segue il modello italianoL’Europa propone di abbassare l’IVA degli eBook portandola al livello di libri e riviste cartacee. Una vittoria per i Paesi (tra cui l’Italia) che avevano già deciso di equiparare i due strumenti di Roberto PEZZALI

I Paesi Ue saranno liberi di tagliare l’IVA per gli e-book e le pubblica-zioni digitali portandola allo stesso livello dei libri e giornali cartacei. Una scelta che l’Europa lascia a ogni singolo Paese e che, strano, per una volta vede gli altri inseguire l’Italia che aveva già deciso di ab-bassare l’IVA al 4% dal primo gen-naio del 2015 (qui la nostra super inchiesta). La proposta è contenuta in un pacchetto di norme proposte dalla Commissione Europea in fase di approvazione, e la decisione di eliminare la disparità tra cartaceo e digitale ha iniziato a raccogliere consensi da parte delle varie società degli editori, inclusa quella italiana. “Una grande vittoria per l’Italia e per i lettori di tutta Europa” è il commen-to del presidente dell’Associazione Italiana Editori (AIE) Federico Motta. “È una decisione che aspettiamo da tempo – ha aggiunto Motta -. Siamo stati i primi a chiedere che l’IVA per libri cartacei e digitali fosse equipa-rata. Adesso tutti i lettori europei po-tranno avere gli stessi diritti”. Quella di oggi, insomma, “è la conferma di una tendenza non più reversibile ed è bene che anche la Commissione Europea ne abbia preso atto” ha concluso Motta, “auspichiamo ora un iter spedito perché la proposta diventi operativa”. Per gli italiani non cambia nulla, ma il Governo può tirare un sospiro di sollievo perché insieme alla Francia e al Lussem-burgo rischiava una procedura di infrazione avendo violato le norme comunitarie.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Gaetano MERO

I l Tribunale Civile di Roma si è pronunciato a favo-

re della SIAE nel ricorso d’urgenza presentato il

13 ottobre scorso relativo al caso della rivendita dei

biglietti dei concerti ad un prezzo notevolmente supe-

riore rispetto a quello ufficiale, balzato agli onori della

cronaca per gli eventi dei Coldplay previsti per luglio

prossimo.

La sentenza: SIAE e Federconsumatori hanno ragioneLa sentenza emessa il 1 dicembre inibisce a Live

Nation 2, Seatwave, Ticketbis e Viagogo, l’ulteriore

vendita diretta o indiretta sul mercato secondario dei

biglietti dei concerti dei Coldplay del 3 e 4 luglio 2017

allo stadio San Siro di Milano, acquistati sul mercato

primario offline direttamente da Live Nation 2 o trami-

te i suoi distributori ufficiali, TicketOne e Best Union,

nonché quelli precedentemente acquistati sul merca-

to primario online da Seatwave, Ticketbis e Viagogo

tramite programmi informatici in grado di aggirare il

limite massimo di biglietti venduti a ciascun consu-

matore finale. Inoltre il giudice ha fissato una penale

di 2.000 euro per ogni ulteriore biglietto venduto in

violazione dell’ordine di inibizione e condanna le parti

chiamate in causa a rifondere tutte le spese proces-

suali a SIAE e a Federconsumatori, che è intervenuta a

sostegno delle richieste della Società.

“Siamo molto soddisfatti dell’esito positivo del ricorso.

Si tratta di un passo importante nella lotta al secon-

dary ticketing, sia per i consumatori, che per tutti gli

autori e tutti i titolari del diritto d’Autore e per coloro

che operano nel settore” - ha commentato Gaetano

Blandini, Direttore Generale di SIAE - “l’attività di ba-

garinaggio rappresenta un pregiudizio economico sia

per i consumatori che per gli autori”.

Sugar e Codacons chiedono la restituzione dei bigliettiPiù duro l’intervento di Filippo Sugar, presidente della

Società, durante la conferenza stampa monotematica

tenutasi qualche ora dopo la diffusione della notizia

nella sede SIAE. È stato reso noto che i biglietti emessi

per le date del 3 e 4 luglio ammontano a circa 100.000.

Di questi circa 10.000 sono ancora in vendita presso

le società di secondary ticket, Sugar ha quindi chiesto

che gli attori coinvolti “restituiscano i biglietti” al mer-

cato autorizzato affinché possano tornare in vendita al

prezzo normalmente stabilito. Il fenomeno, ribadisce

ancora il presidente, danneggia gli artisti e soprattutto

i consumatori.

Dello stesso avviso il Codacons che ha presentato

una istanza di sequestro urgente alla Procura della

Repubblica di Milano dei biglietti residui. “Il Tribunale

MERCATO SIAE ha ricevuto il parere favorevole del Tribunale Civile di Roma in merito al caso del secondary ticketing online dei Coldplay

Caso Coldplay, il Tribunale dà ragione a SIAE Ma i biglietti sono ancora online a prezzi folliLa risoluzione della questione è però ancora lontana e a pagarne le conseguenze, al momento, restano i consumatori

ha sposato la tesi del

Codacons – si legge

nella nota diffusa alla

stampa. Chiediamo

ora alla Procura,

che già indaga sul

fenomeno, di porre

sotto sequestro tutti

i biglietti del con-

certo dei Coldplay

rimasti invenduti sui

canali di vendita se-

condari, ordinando il

loro reinserimento in

commercio sui siti ufficiali e a prezzi regolari”. Secon-

do l’associazione il principio ribadito dai giudici per il

concerto dei Coldplay a Milano vale per tutte le situa-

zioni analoghe: questo vuol dire che deve essere da

subito inibita la vendita a prezzi maggiorati di biglietti

per la totalità degli spettacoli ed eventi attraverso i siti

di secondary ticketing.

La questione non è però così semplice, nella sentenza

difatti si legge: “l’attività di hosting provider svolta dalle

società resistenti (diverse da Live Nation 2) risulta leci-

ta e conforme alla normativa nazionale e comunitaria

vigente. Conseguentemente, nessuna responsabilità

può essere attribuita ai soggetti che svolgono sola-

mente l’attività di hosting provider”.

Dunque non sarà possibile chiedere l’immediata so-

spensione delle attività online e l’oscuramento dei

provider ma bisognerà andare a fondo della questione

verificando di volta in volta gli eventuali comportamenti

illeciti e le società effettivamente coinvolte.

Secondo Live Nation e Ticketbis nessun illecitoTicketbis ha affermato che “la sentenza ha confermato

la piena legittimità del modello di business di Ticketbis

così come della vendita di biglietti sul mercato secon-

dario” che non può dunque ritenersi a priori illecita. Dal

canto suo Live Nation ha tenuto a precisare la propria

posizione.

Il Tribunale di Roma, secondo quanto dichiarato dalla

società in un comunicato, “ha accolto solo parzialmen-

te il ricorso promosso da SIAE. La parziale inibitoria di-

sposta dal giudice muove da una presunzione erronea

in quanto Live Nation non ha mai venduto, né diret-

tamente, né indirettamente, alcun biglietto relativo ai

concerti dei Coldplay a siti di secondary ticketing”.

L’azienda specifica che l’attività non ha alcun riflesso

concreto sulla propria operatività e rimane perciò fer-

ma sulla “correttezza del proprio operato ritenendo

quindi ingiusta e giuridicamente errata l’ordinanza del

Giudice, tanto da aver conferito mandato ai suoi legali

di proporre reclamo nelle sedi apposite”.

Secondary ticketing A pagare sono i consumatoriLa vicenda del secondary ticketing si ferma, almeno

momentaneamente, a metà strada con ancora diversi

dubbi per i consumatori, l’anello più debole della cate-

na. Nelle ultime pagine della sentenza difatti si legge:

“attesa la liceità della mera attività di hosting provider e

l’impossibilità di appurare, allo stato degli atti, quali sono

i biglietti venduti occasionalmente e autonomamente

sul mercato secondario dagli utenti finali e quali quelli

venduti direttamente dalle società titolari delle piattafor-

me di commercio elettronico non può essere accolta né

la domanda cautelare di sequestro dei siti né quella di

sequestro dei biglietti dei Coldplay posti in vendita sulle

medesime piattaforme di commercio elettronico”.

Per l’applicazione della multa è necessario dunque dimo-

strare, come già detto, che i ticket siano stati effettiva-

mente acquistati “tramite programmi informatici in grado

di aggirare il limite massimo di biglietti venduti a ciascun

consumatore finale”. Una procedura che richiede proba-

bilmente un enorme sforzo da parte degli enti preposti e

che non sempre può portare al risultato sperato. Mentre

scriviamo è possibile trovare facilmente i biglietti per le

date di Milano del concerto della band britannica, fatta

eccezione per Viagogo che pare abbia sospeso la vendi-

ta dei ticket in questione già da qualche giorno. Il prezzo

iniziale dei biglietti su TicketOne era compreso tra 46

euro (anelli verde o blu numerati) fino ad un massimo di

109 euro (primo anello rosso numerato). Il costo di un bi-

glietto per il terzo anello verde, quello più lontano dal pal-

co, parte ora da 236 euro (SeatWave) fino ad arrivare a

327 euro (Ticketbis) mentre per l’anello rosso, quello più

ambito vicino al palco, il prezzo può salire fino a 2.500

euro. Il direttore SIAE Blandini conclude comunque so-

stenendo i consumatori e rinnovando il proprio impegno

nella lotta al bagarinaggio: “come SIAE continueremo la

nostra battaglia contro il secondary ticketing impegnan-

doci in tutte le attività possibili volte a combattere un

fenomeno che rappresenta un freno inaccettabile alla

crescita economica oltreché alle opportunità di lavoro

nel settore dello spettacolo e della cultura”.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Gianfranco GIARDINA

F iere, presentazioni e negozi: solitamente è questo

il nostro ambiente “naturale”. Tutti prodotti nuovi,

nuovissimi, a volte addirittura prototipi. Questa vol-

ta abbiamo cambiato drasticamente, pur rimanendo fra

migliaia di prodotti elettrici ed elettronici. Siamo infatti

andati a vedere cosa succede agli apparecchi vecchi,

quelli che si rompono irrimediabilmente o che sempli-

cemente vengono “prepensionati” a favore di nuovis-

simi modelli. L’occasione è la visita a Relight, uno dei

più grandi e importanti centri di riciclaggio dei RAEE in

Italia: sorge nei pressi di Milano e ricicla principalmente

televisori (circa un terzo di quelli dismessi e recuperati

in Italia), lampade e piccoli elettrodomestici. Un viaggio

interessante là dove l’elettronica di consumo finisce

per rinascere a nuova vita, che abbiamo riassunto nel

in questo video.Ci siamo fatti accompagnare in questa visita da Bibiana

Ferrari, fondatrice e amministratore delegato di Relight:

“Potrà sembrare strano, ma io sono proprio appas-

sionata del tema dei rifiuti e dei RAEE in particolare

– ci racconta -; tanto che chiedo alle mie persone di

identificare eventuali prodotti d’epoca che ci arrivano

per il riciclaggio e che sono ancora in buono stato”.

Ne è nato un vero e proprio museo, con pezzi di un

po’ tutte le epoche della storia dell’elettronica e degli

elettrodomestici.

Grazie all’impegno di alcuni giovani studenti, i pez-

zi sono stati catalogati, sono stati identificati marca e

modelli ed è stata stimata una “datazione”. Un piccolo

gioiello nato – cosa incredibile – frugando tra i rifiuti.

Ecco perché per Bibiana Ferrari – e da oggi anche per

noi – la parola “rifiuto” ha perso tutte le accezioni ne-

gative che normalmente il comune sentire gli assegna.

Una storia che, nell’era dei consumi, fa pensare.

RAEE, il destino dell’hi-techL’hi-tech invecchia, spesso anche velocemente. Pro-

dotti super tecnologici in poche stagioni diventano

“RAEE”, sigla che sta a significare “Rifiuto da Appa-

recchiature Elettriche ed Elettroniche”. La gestione dei

RAEE è regolamentata dalla legge e l’ultima cosa che

MERCATO Viaggio nello stabilimento di Relight, dove i rifiuti elettrici ed elettronici vengono trasformati in risorse da sfruttare

Del vecchio televisore non si butta via più nulla Reportage dall’impianto di trattamento dei RAEEIl trattamento dei RAEE, pur a pochi anni dalla sua istituzione, funziona bene e degli apparecchi si recupera quasi tutto

dovrebbe accadere è che i vecchi prodotti vengano

abbandonati in una scarpata o a bordo strada. E que-

sto per almeno due motivi: i RAEE abbandonati sono

fortemente inquinanti e potenzialmente pericolosi per

l’ambiente; inoltre, si nega ai materiali che li compon-

gono, quand’anche non fossero inquinanti, di rientrare

nel circuito produttivo come materie prime seconde.

Ma rimaniamo nel campo dei cittadini virtuosi, quelli

che non abbandonano i propri apparecchi: normal-

mente si sa molto poco del “fine vita” dei propri pro-

dotti. Il proprietario li saluta quando li lascia in negozio

o nelle mani di chi fa la consegna, contestualmente al-

l’acquisto di qualcosa di nuovo; la sostanza non cambia

se invece semplicemente dismette il vecchio prodotto,

senza comprare nulla: si può conferirlo in negozio (il

cosiddetto uno contro zero, se si tratta di un piccolo

elettrodomestico) oppure lo si può portare presso la

l’isola ecologica comunale. Di lì in poi si perdono le

tracce del vecchio apparecchio e non si sa se effetti-

vamente verrà recuperato qualcosa o semplicemente

tutto verrà ammassato in una discarica.

Dal container o dalla gabbia nella quale il vecchio pro-

dotto vede per l’ultima volta il suo vecchio “padrone”,

inizia un grande viaggio che porterà gli apparecchi, di-

visi per macrocategoria, presso un centro di riciclaggio

e recupero; e di lì, sotto forma di materie prime secon-

de, verso nuovi impianti di produzione, verso una nuo-

va vita, il più delle volte al di fuori dell’ambito elettrico

ed elettronico.

I RAEE e i 5 raggruppamentiI RAEE sono organizzati per legge in cinque raggrup-

pamenti la cui raccolta deve essere separata per es-

sere poi inviata agli impianti attrezzati per una corretta

gestione. Questi riguardano: frigoriferi, congelatori e

condizionatori (chiamato anche R1), i grandi elettro-

mestici senza “gas” (R2), TV e monitor (R3), i piccoli

elettrodomestici e tutti gli apparecchi digitali (R4) e le

lampade (R5).

Tutti i produttori e importatori di questi apparecchi de-

vono per legge consorziarsi in sistemi collettivi che di

fatto li rappresentano nella gestione del fine vita dei

prodotti. I sistemi collettivi in Italia sono 17 e operano

sotto il controllo del Centro di Coordinamento RAEE

che di fatto regola il flusso delle merci. Quando un cas-

sone di un particolare raggruppamento di RAEE presso

una piazzola ecologica è pieno, il comune si mette in

contatto Centro di Coordinamento chiedendone il riti-

ro; questo, grazie a un sofisticato algoritmo, è in grado

di determinare a quale sistema collettivo debba essere

assegnato il materiale in considerazione delle quote di

mercato di venduto degli associati. Di fatto, i produttori

di apparecchi elettrici ed elettronici provvedono al fi-

nanziamento del sistema in ragione del venduto e si

fanno carico, attraverso il sistema collettivo al quale

aderiscono allo smaltimento.

I RAEE arrivano quindi nei centri di riciclaggio (come

segue a pagina 05

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

quello da noi visitato): si tratta di realtà singolari, che

svolgono un’attività molto costosa e soggetta a mol-

te regolamentazioni di tipo ambientale, ma che di fat-

to ricava i propri proventi sia dai fornitori di materiale

(dai quali ricevono un compenso per la gestione e il

riciclaggio) sia dai clienti che acquistano i prodotti del

riciclaggio da utilizzare come materie prime seconde in

altri processi industriali.

Milioni di tubi neonIl nostro viaggio parte dall’impianto dal quale nel 1999

è nata l’azienda: il sistema di riciclaggio delle lampade,

soprattutto lampade al neon. Ne arrivano montagne

ogni giorno, da tutto il nord Italia e anche dal sud della

Francia, che non dispone di uno stabilimento attrezzato

al riciclaggio di questi materiali. Sulle lampade, la logisti-

ca ha un grosso impatto: il volume occupato è enorme

a fronte di pesi molto ridotti: “Praticamente è aria – ci

racconta Daniele Gotta, il supervisore tecnico dello sta-

bilimento –; ma le lampade non si possono frantumare

prima di arrivare qui, per motivi di sicurezza”.

La struttura di queste lampade è molto semplice: vetro

in mezzo e metallo, con un po’ di plastica, agli estremi.

Il grosso problema è la polvere fluorescente che rive-

ste l’interno del tubo e che è gravemente nociva dato

che, tra le altre cose, contiene mercurio.

Il processo parte con la frantumazione dei tubi, che

deve avvenire in una camera “chiusa” e in costante

aspirazione, proprio per catturare le polveri. Un car-

rello con la base sollevabile viene prima caricato dagli

addetti, che prelevano i tubi dai contenitori di traspor-

to, e quindi affiancato alla macchina frantumatrice; man

mano che questa “mastica” i tubi, se ne vede arrivare

automaticamente di nuovi. Le polveri aspirate vengono

radunate in appositi sacchi in fondo alla linea: verranno

poi trattate in un’altra parte dell’impianto per recupe-

rare alcuni materiali nobili in esse contenuti prima di

essere inviate al trattamento per rifiuti speciali.

Il materiale risultante dalla prima frantumazione, vie-

ne ulteriormente spezzettato in piccoli frammenti con

un macinatore più fine. Grazie a una serie di superfici

vibranti, vengono separati meccanicamente le porzio-

ni di vetro frantumato e le parti metalliche. Di questo

processo a occhio nudo non è possibile vedere nulla

perché – come dicevamo – avviene in camera chiusa

per il recupero delle polveri.

Alla fine della frantumazione e dello “scuotimento”, tut-

te le polveri sono state separate dagli altri materiali e

sono state aspirate. Il vetro frantumato viene raccolto

in appositi contenitori: a questo punto gli inevitabili mi-

crodetriti sono inferiori all’1%.

“L’operazione manuale di caricamento dei carrelli è

indispensabile – ci spiega il supervisore dell’impianto

– soprattutto perché iniziano a comparire anche i primi

‘falsi tubi’ realizzati a LED, che non hanno struttura in

vetro e incepperebbero la macchina se venissero trat-

tati insieme agli altri”. Le lampade LED, destinate ad

aumentare molto nei prossimi anni, vengono radunate

e trattate successivamente insieme ai piccoli elettrodo-

mestici: infatti al loro interno non ci sono le pericolose

polveri che rendono i neon una categoria a sé.

I TV a tubo catodico Si recupera il 98% del pesoI TV a tubo catodico hanno un grande vantaggio: sono

tendenzialmente costruiti tutti allo stesso modo e sono

abbastanza facili da separare nei loro componenti fon-

damentali. Qui arrivano circa un terzo dei TV depositati

nelle riciclerie comunali in Italia, organizzati in “gabbie”

nei quali sono in realtà semplicemente appoggiati qua-

si alla rinfusa. SI tratta di 18mila tonnellate tra TV e mo-

nitor all’anno: “Una quantità di camion – ci dice tanto

per farci capire Bibiana Ferrari - che, se la mettessimo

in fila, andrebbe da Milano a Roma”.

Gli operai abbassano via via una sponda delle gabbie

e trasferiscono sul tavolo di lavoro un apparecchio per

volta. Se si tratta di TV a pannello piatto (iniziano ad

arrivare in numero sempre maggiore, anche se larga-

mente minoritario), l’apparecchio viene accantonato e

mandato ad un’altra linea che si occupa solo di LCD e

plasma. Qui parte un lavoro che è largamente manuale,

anche se qualcosa di automatico più avanti arriva. Ogni

apparecchio viene preso e “scotennato” con modi che

definire gentili sarebbe quantomeno improprio.

Mediamente alla terza martellata lo chassis in plastica

si separa dal resto. Ma i “cazzotti” non finiscono qui:

gli operai devono separare anche il tubo catodico dal

resto dell’eletttronica.

Le parti in plastica vengono letteralmente “lanciate” su

un apposito nastro trasportatore: queste vanno verso

la macinazione e un futuro di facile riciclo.

Dopodiché l’operatore, con il TV a pancia aperta, pro-

cede a separare i macrocomponenti: il tubo catodico

MERCATO

Reportage, il trattamento dei RAEEsegue Da pagina 04

da una parte, i circuiti stampati dall’altra, i cavi da un’al-

tra ancora. Quindi viene tagliato il “giogo”, ovverosia

la parte più posteriore del tubo che integra il cannone

elettronico e tutti gli avvolgimenti necessaria alla de-

flessione del raggio: si tratta di una parte “pregiata”,

dato che è ricca di rame. Tutti i gioghi saranno quindi

trattati a parte.

Gli stadi di alimentazione nel tubo catodico sono anche

più complessi di quanto non accada nei più moderni

LCD: i condensatori sotto una certa dimensione (2 cm

di diametro) possono essere smaltiti con le altre parti

metalliche, altrimenti vanno separati e trattati diversa-

mente.

I cavi, insieme a quelli provenienti anche dagli altri

apparecchi trattati, vanno invece a un impianto specia-

lizzato: “Inutile creare qui il processo di separazione

tra plastica e rame – ci dice il supervisore tecnico del-

l’impianto – quando ci sono impianti che fanno con la

massima efficienza solo questo”.

Ma il centro dell’attenzione è sul tubo catodico, che da

solo rappresenta circa la metà del peso di un TV. Ci

sono alcune caratteristiche dei tubi catodici che richie-

dono una certa attenzione nell’attività di riciclo. Innan-

zitutto è necessario eliminare le ultime parti in metallo

presenti sul tubo catodico, come delle fasce che stan-

no sul contorno e altri connettori elettrici. L’operazione

viene svolta manualmente avvalendosi di un flessibile.

Una volta isolato il vetro, il lavoro è tutt’altro che finito.

Infatti il tubo è composto da due vetri diversi: la parte

frontale, lo schermo vero e proprio, è realizzato con

vetro al bario; tutto il resto è composto da vetro al

segue a pagina 06

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

piombo. Si tratta di due vetri diversi e che è necessario

separare per mandare il materiale recuperato verso il

miglior riuso possibile.

Per questo motivo il tubo catodico viene appoggiato su

un nastro che lo porta in un macchinario: qui un sistema

a riconoscimento ottico ne identifica le dimensioni e la

tipologia, interagendo anche con un grande database

di modelli, e procede automaticamente al taglio del

tubo sul fianco, con opportune frese, nel punto di mag-

giore larghezza. Dalla macchina esce il tubo catodico

apparentemente integro ma di fatto tagliato in due.

A questo punto l’operatore apre le due metà, ne estrae

una sorta di schermo metallico, che verrà trattato con

gli altri materiali metallici; quindi prende la parte di ve-

tro al piombo e lo “rompe” nell’apposito cassone, in-

sieme a tutto il vetro analogo già recuperato. La parte

frontale dello schermo, invece, va trattata, almeno in

questa fase, con più delicatezza: la superficie interna,

infatti, è ricoperta di fosfori, polveri non troppo diverse

da quelle presente nei neon.

L’operatore provvede quindi con un apposito aspira-

tore a prelevare queste polveri e a pulire lo schermo.

A questo punto, anche questa parte di tubo catodico

può essere inserito nel cassone del vetro, questa volta

nella sua varietà al bario, e rotto in modo da occupare

un volume inferiore. I vetri andranno così a pieno riuso

mentre le polveri recuperate dal tubo, una volta radu-

nate in sacchi, verranno trattate insieme a quelle pro-

venienti dalle lampade nella parte di impianto dedicato

al recupero delle terre rare, che vedremo più avanti.

I TV a pannello piatto: tutto manualeUn paradosso dei tempi: tutto lascerebbe pensare che

un prodotto più recente, come un TV LCD o plasma, sia

più facile da riciclare di quanto non accada a un vec-

chio tubo catodico. E invece no: il disassemblaggio e

e la separazione dei materiali “omogenei” è molto più

MERCATO

Reportage, il trattamento dei RAEEsegue Da pagina 05

complicata. Tanto che tutta la procedura di smontaggio

è manuale: gli operatori svitano il telaio e cercano, nel

migliore dei modi, di separare le parti in plastica.

Dopodiché, almeno per gli LCD, c’è da isolare il sistema

di retroilluminazione, che nella maggior parte dei casi

è ancora di tipo a fluorescenza. In questo caso le sottili

lampade devono essere staccate, possibilmente senza

rotture, e inviate allo stesso trattamento che tocca alle

più grandi lampade al neon.

Anche il pannello deve essere separato e inviato ad

aziende specializzate in questo tipo di riciclaggio, dato

che contiene sia le sottili lastre di vetro esterne, che il

film TFT che i cristalli liquidi stessi. Inoltre, nel modulo

LCD, quando è illuminato dai lati, si trova anche una

spessa lastra di plexiglass che serve appunto per la dif-

fusione della luce sull’intera superficie dello schermo:

anch’essa va estratta e mandata al recupero separa-

tamente.

Poi c’è il grande tema delle schede e dei circuiti stam-

pati, che si ritrova in larga parte anche in altri apparec-

chi, come i PC, per esempio: “Noi raccogliamo tutte le

schede e le inviamo a uno stabilimento che tratta solo

questo tipo di rifiuto – ci spiega Daniele Gotta, super-

visore tecnico di Relight –: con una serie di processi

dedicati, si recupera praticamente ogni sostanza,

compreso oro e argento che sono presenti in discrete

quantità su questo tipo di componenti”. La ratio è che

per fare questo tipo di “estrazione” in maniera efficien-

te sono necessari impianti giganteschi, che hanno bi-

sogno di funzionare continuamente e con grandi quan-

tità di prodotto da “elaborare”: “Noi non riusciremmo

a garantire – dice Gotta – una quantità sufficiente di

circuiti stampati per giustificare un impianto di questo

tipo in casa”. Altri sacconi che da qui partono alla volta

di ulteriori impianti.

Alla fine, tornando ai TV a cristalli liquidi, da queste

parti ancora non si sono visti i LED Edge e certamente

neppure gli OLED, ma prima o poi accadrà, man mano

che il tempo passa e che i tubi catodici lasceranno

spazio ai pannelli piatti: “Noi vediamo i prodotti con

il ritardo della loro vita media – ci dice Bibiana Fer-

rari, amministratore delegato di Relight -: i TV di oggi

diventeranno una realtà solo per noi solo tra un deci-

na d’anni e anche più. E il problema è proprio questo:

oggi stiamo discutendo in sede comunitaria per otte-

nere TV a schermo piatto più facili da disassemblare

e separare in componenti uniformi per quello che ri-

guarda il riciclaggio. Se i produttori ci ascoltassero e

iniziassero a progettare apparecchi più riciclabili, noi

ne vedremmo gli effetti solo tra molti anni”. E questo

“fuori sinc” che rende costringe – o costringerebbe – il

mondo della gestione dei RAEE a cercare di anticipare

i tempi e guardare molto più avanti.

I piccoli elettrodomestici, di tutto un po’Il raggruppamento 4, quello dei piccoli elettrodomesti-

ci, ha alcune peculiarità che lo rende da un lato il più

semplice da gestire e dall’altro il più complesso. Infatti

si tratta generalmente di rifiuti non contenenti sostanze

particolarmente pericolose, non tanto per l’ambiente,

per il quale anche una batteria è nociva, quando per la

gestione dei materiali e lo smontaggio: contrariamen-

te a lampade e TV, per esempio, non ci sono polveri

contenenti mercurio o altre sostanze fortemente tos-

siche. Il rovescio della medaglia è che si tratta degli

apparecchi più disparati: radio, tostapane, ventilatori

e giradischi; e così via, per tutte le tipologie di appa-

recchio elettrico ed elettronico che non ricada negli

altri raggruppamenti. Un’infinità di apparecchi, cellu-

lari compresi, che è difficile codificare e che di certo

non possono essere trattati con un approccio “seriale”

come avviene per le altre tipologie. Qui la separazio-

ne tra i materiali è assolutamente manuale, ma viene

aiutata da opportuni ingranaggi che provvedono a uno

“smontaggio” a forza almeno grossolano.

Infatti gli apparecchi arrivano su una vera e propria

“ruspa” che li carica nella bocca di una macchinario

che provvede a una prima “disgregazione”: questa

operazione “scassa” gli apparecchi quanto basta per

separarne il telaio dai componenti interni. Tutti i pezzi

passano su un nastro trasportatore sul quale una se-

rie di operatori separano plastica, cavi, legno, circuiti

stampati e così via.

segue a pagina 07

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

I rottami non ancora abbastanza disgregati proseguo-

no sul nastro verso un altro macchinario un po’ più

aggressivo del precedente: a valle di questo altri ope-

ratori provvedono, sempre manualmente, ad indentifi-

care parti separate ed omogenee e a riporle negli op-

portuni cassoni. Tutto quello che resta procede verso

l’ultima macchina, un vero e proprio macinatore, che

frammenta qualsiasi componente restante: il rimasu-

gli vengono quindi trattati meccanicamente per una

separazione tra parti metalliche e parti plastiche, le

MERCATO

Reportage, il trattamento dei RAEEsegue Da pagina 06

due grosse tipologie residue. La plastica, trasforma-

ta oramai quasi in “fiocchi”, cade placidamente in un

grande saccone. I rifiuti metallici, diventati piccole

porzioni di lamierini vengono invece separati con un

procedimento magnetico: da una parte quelli ferrosi e

dall’altra quelli non ferrosi, principalmente alluminio.

Ognuna delle due componenti verrà quindi inviata al

recupero in impianti specializzati.

Recuperare le terre rare dalle polveri tossicheDicevamo che le polveri tossiche, contenenti mercurio

e altri inquinanti, vengono raccolte e gestite da poten-

ti impianti di aspirazione a ciclo chiuso e che filtrano

completamente tutto il particolato che aspirano.

Tutti i sistemi di aspirazione delle polveri dell’impian-

to convergono senza perdite né sfiati a un sistema di

raccolta e filtraggio. Come previsto dalle normative,

periodicamente l’aria in uscita dai “camini” viene ana-

lizzata per verificare l’efficacia del sistema di filtraggio

e raccolta.

Si potrebbe pensare che il risultato di questa raccol-

ta venga poi inviato a impianti speciali di trattamento

rifiuti critici senza ulteriori operazioni. Invece da qual-

che tempo presso Relight c’è un nuovo sistema di

trattamento di queste polveri, realizzato grazie a un

progetto europeo e in collaborazione con il Politecni-

co di Milano e altri partner: si chiama HydroWEEE ed

è un vero e proprio impianto di trattamento chimico

che, partendo dalle polveri recuperate da lampade

e tubi catodici, recupera le cosiddette terre rare, ele-

menti chimici che, come dice la parola stessa, sono

presenti in natura in concentrazioni bassissime e che

però sono importantissimi per garantire determinate

caratteristiche fisico-chimiche alle sostanze che li uti-

lizzano.

In questo modo, le terre rare contenute nelle polve-

ri recuperate da Relight, soprattutto Ittrio e Europio,

vengono estratte e convertite in ossalati, un prepa-

rato pronto ad essere inviato presso gli stabilimenti

che ne fanno uso per nuove produzioni. Si parla per

esempio di ceramiche speciali particolarmente resi-

stenti e con punti di fusione altissimi (come quelle che

compongono le pastiglie speciali dei freni), colorazio-

ni particolari, conferimento di altre proprietà fisiche

ed elettroniche.

Il processo di estrazione è chimico e si svolge in una

batteria di reattori che potrebbe ricordare molto al-

cune ambientazioni alla “Breaking Bad”: il processo

permette di catturare le terre rare per un riuso im-

mediato in nuovi processi produttivi, evitando così il

ricorso alle società di estrazione di materia prima, in

larghissima parte cinesi.

In questo video, ecco come funziona il processo di

“raffinazione” delle terre rare dal trattamento delle

polveri raccolte da tubi catodici e neon.

di Franco AQUINI

Amazon ha finalmente mostrato il

suo modello di negozio di alimen-

tari. Si chiamano Amazon Go e

sono spazi innovativi che rivoluzionano

l’idea di negozio come lo conosciamo,

ovvero senza file e senza casse. Il primo

esperimento è stato mostrato a Seattle,

sede del gigante dell’ecommerce, con

un negozio di poco più di 500 metri qua-

drati pieno zeppo di telecamere e sen-

sori. Lo scopo è semplice, Amazon de-

manderà alle macchine quello che oggi

fa l’essere umano, attraverso la combi-

nazione di machine learning, intelligen-

za artificiale e computer vision. Per ac-

quistare basta entrare nel supermarket,

autenticarsi tramite l’app e cominciare

MERCATO Amazon ha mostrato il primo innovativo esperimento di negozio fisico, si chiama Amazon Go e non utilizza le casse

Amazon Go è il supermercato del futuro: senza fila e casse Si entra e si prende quello che si vuole, senza fare la fila alla cassa. Amazon avrebbe in cantiere anche altri due tipi di negozi

a fare la spesa. Da quel momento in poi

saremo osservati speciali da parte del

sistema di telecamere del negozio. Ogni

cosa che verrà presa dallo scaffale sarà

tracciata dal sistema informatico che

poi l’addebiterà sull’account autenticato

all’ingresso. Un genere di negozio che

Amazon starebbe pensando di portare

in tutti gli Stati Uniti, arrivando ad aprir-

ne, stando a quanto riporta il Wall Street

Journal, fino a 2000. Ma Amazon non

avrebbe in cantiere solo questo gene-

re di punto vendita. Bensì altri due tipi.

Il secondo modello sarebbe sullo stile

del discount europeo, quindi un super-

mercato da girare carrello alla mano, per

capirci. Il terzo invece sarebbe un mega

store sul modello Ikea dove l’utente po-

trà acquistare sia d’impulso che ritirando

ciò che ha già ordinato online. Anche se

questi due modelli sono ancora distanti

nel tempo, i piani di Amazon sembrano

essere ormai più che chiari: quello che

intende aggredire è il settore della gran-

de distribuzione alimentare, arrivando a

disseminare il territorio di negozi fisici

dove poter gestire meglio sia la conse-

gna che la domanda dei prodotti alimen-

tari per abbassare sempre di più i prezzi.

Se questo modello funzionerà negli Stati

Uniti, non c’è dubbio che presto si vedrà

qualcosa anche da noi.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Roberto PEZZALI

H a aperto i battenti a Milano, in zona Bicocca,

il primo “supermercato del futuro”. Lo ha de-

finito così Coop Lombardia, che ha saputo

trasporre alcuni concetti sviluppato da Carlo Ratti

per Expo in un negozio reale dove i clienti potranno

sperimentare e provare nuovi modi di fare la spesa.

Novecento metri quadrati, seimila referenze e un

assortimento improntato al fresco e al take away,

per venire incontro alle necessità di un quartiere

popolato soprattutto dagli studenti della vicina

università. Cosa cambia rispetto ad un normale su-

permercato? Passeggiando tra le corsie il cliente si

troverà di fronte ad enormi monitor a specchio: ele-

ganti, forse poco leggibili, ma davvero utili: Coop li

chiama “vele digitali” e mostrano ai clienti informa-

zioni aggiuntive sul prodotto, tra cui l’origine, i va-

lori nutrizionali, l’eventuale presenza di ingredienti

allergizzanti, le istruzioni per lo smaltimento, i pro-

dotti correlati e le promozioni in corso.

Il sistema è stato realizzato interamente con tec-

nologia Microsoft: i sensori Kinect, fino ad oggi

usati per i giochi, trovano qui applicazione in una

soluzione business, riconoscono i gesti dei clienti

e identificano il prodotto che stanno per scegliere,

arricchendo così l’esperienza di acquisto.

Un monitor informativo aggiuntivo, che si somma al

comunque presente cartellino del prezzo. Quest’ul-

timo, moda ormai diffusa in molti supermercati, è di

tipo e-Ink addirittura multicolore: i prezzi possono

essere cambiati dinamicamente e soprattutto sono

MERCATO Aperto a Milano un supermercato caratterizzato dalla forte impronta tecnologica, deriva dal progetto presentato a Expo

Coop apre a Milano il supermercato del futuro Il nuovo punto vendita usa Kinect per offrire su monitor a specchio informazioni aggiuntive sui prodotti. Lo abbiamo visitato

chiari e leggibili. Coop ha anche inserito una serie

di scaffali verticali inseriti tra gli scaffali tradizionali:

monitor touch con scanner di codice a barre aiuta-

no il cliente a orientarsi nella scelta di un prodotto,

mostrano una etichetta aumentata e facilitando la

ricerca di un prodotto preciso.

Una soluzione questa utile in un periodo dove il

controllo degli allergeni è fondamentali: si possono

creare filtri per evidenziare al volo prodotti privi di

glutine o di lattosio, senza dover necessariamente

esaminare etichetta per etichetta.

I monitor sono in totale 54, i totem virtuali 46, per

un totale di 100 monitor interattivi. Solo i clienti ora

potranno dire se quello fatto da Coop è utile per

fare la spesa o inutile, sicuramente è d’impatto. Il

bello della soluzione pensata da Coop e implemen-

tata da Microsoft e Accenture è l’appoggio ad Azure

come sistema cloud: la piattaforma creata per que-

sto primo punto vendita è scalabile senza altri costi

di sviluppo, perché tutto il database dei prodotti è

nella nuvola. Una possibilità questa che permette-

rà a Coop di aprire altri punti vendita simili, magari

piccoli negozi più snelli e veloci simili a quelli che

Amazon ha appena pensato negli Stati Uniti.

Il colosso dell’e-commerce si sta ritagliando un suo

spazio anche nel segmento alimentari, e probabil-

mente in Coop hanno capito che la tecnologia si

combatte solo con la tecnologia.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Emanuele VILLA

S iamo stati a Barcellona per seguire la sfida tra

Barcellona e Real Madrid, l’evento più importan-

te di questa prima parte di stagione calcistica,

l’incontro tra i team più forti del pianeta e un evento

mediatico di proporzioni colossali, pari soltanto alla

finale di Champions: un’audience da 650 milioni di

spettatori capaci di generare 900 milioni di tweet, 170

Paesi collegati e 58 stazioni televisive sono solo alcuni

dei numeri che spiegano perché El Clàsico è un ap-

puntamento fondamentale per chi ama il calcio o vuole

semplicemente assistere a un grandissimo spettacolo.

Ma DDAY.it è un magazine di tecnologia, non di sport.

Infatti siamo a Barcellona per capire come Intel ha de-

ciso di rivoluzionare il mondo del calcio sotto il profilo

della produzione e trasmissione dell’evento, rendendo

El Clàsico un apripista per molte partite de La Liga spa-

gnola e, chissà, per altri campionati europei tra cui la

Serie A. La novità si chiama Intel 360 replay technolo-

gy e la vedremo in azione nelle partite casalinghe del

Barcellona e del Real Madrid; a ben vedere non si tratta

di qualcosa di totalmente inedito, poiché Intel arriva a

Barcellona dopo le esperienze positive nei campiona-

ti americani maggiori (NFL, NBA e MLB), ma va anche

detto che questa tecnologia aveva fatto la sua appa-

rizione nel calcio solo in eventi specifici mentre ora,

previa installazione del suo poderoso apparato tec-

nologico (hardware, software, regia) negli stadi Camp

Nou e Santiago Bernabeu, diventerà un punto saldo

del modo di produrre, trasmettere e fruire dell’evento

sportivo.

Intel 360 replay, tra realtà e videogiocoSintonizzandosi su El Clàsico (che da noi è trasmesso

su Fox), tutti gli appassionati di calcio potranno assiste-

re alla prima partita di un campionato europeo con tec-

nologia di replay 360 di Intel. Quando si verificheranno

goal, falli dubbi o azioni spettacolari, la regia potrà de-

cidere di trasmettere un replay normale (fisso) o quello

a 360°, che in pratica seguirà l’azione fino al momento

clou, dopo di che cambierà prospettiva in modo fluido

e graduale per permettere al pubblico di visualizzare

quella migliore in assoluto. Qui un video che rende

bene l’idea di quello di cui stiamo parlando. La prima

impressione che abbiamo avuto di fronte a questi vi-

deo (che sono rendering, non reali azioni di gioco) è

stata l’incredibile avvicinamento della fruizione televisi-

va con quella videoludica: vedere un replay con cambi

di tempo, momenti in cui l’azione di ferma per gestire la

prospettiva, rotazioni a 360 gradi e improvvise accele-

razioni non si discosta molto da una tipica partita di Fifa

o affini. Ed è normale che sia così, visto che il sistema

messo in piedi da Intel per la replay 360 technology

è molto simile alle tecnologie adottate dei videogame,

solo viene calato in un altro contesto e in un’arena da

90 mila posti.

A prescindere dalla popolarità che potrà avere lo

strumento, l’idea di Intel è stata comunque azzec-

cata: mentre il mondo della produzione di un evento

sportivo come El Clàsico snocciola

dati tipo 36 videocamere 4K, Sky

Cam, Slow Motion HFR, un esercito

di mini-Camera e via dicendo, Intel

entra in questo enorme mercato for-

nendo ciò che sa fare meglio, ovve-

ro un sistema completo di hardware

e software che non è finalizzato ad

alzare la definizione, migliorare il

dettaglio o offrire dati aggiuntivi,

ma offrire al pubblico una fruizione

completamente inedita.

Ci si può poi domandare se un siste-

ma di questo tipo, che permette di

“sminuzzare” le azioni di gioco fer-

mandole e guardandole da tutte le

prospettive non possa essere utile anche per la cosid-

detta moviola in campo, un tema di grande attualità nel

mondo del calcio e che consiste nella visione in tempo

reale delle registrazioni nel caso di azioni e decisioni

dubbie: a parte il fatto che siamo ancora in fase speri-

mentale e che non è ben chiaro entro quali confini la

cosa verrà adottata, ma Intel ci fa sapere che la replay

360 technology ha puramente una finalità d’intratteni-

mento, è pensata per il pubblico e come tale va impie-

gata. Poi nessuno può ipotizzare cosa succederà in fu-

turo, ma per il momento la tecnologia resta indirizzata

alla fruizione domestica e basta.

36 videocamere 5K Un’infinità di dati e nervi saldiCome funziona la replay 360 technology di Intel? Il

punto di partenza è l’imponente apparato hardware

predisposto da Intel al Camp Nou, un apparato stabi-

le che verrà impiegato per le partite domestiche dei

blaugrana da qui in avanti (al momento, l’accordo con

la Liga è per tre stagioni): tra il primo e il secondo anello

sono state installate, posizionate e finemente orienta-

te 36 videocamere con sensore JAI da 20 mpixel in

grado di catturare immagini a 5K di risoluzione e a 25

fps, videocamere che servono unicamente per la pro-

duzione del replay 360 e che dunque si sommano al

tradizionale apparato produttivo presente nello stadio.

Lo scopo, detto in maniera molto semplice in conferen-

za stampa, è quello di “digitalizzare il volume dell’inte-

ro stadio”, creare dei pixel 3D (che si chiamano voxel)

dell’intera superficie di modo tale da realizzare scene

3D in tempo reale e impostare videocamere virtuali

che consentano all’utente di vivere l’azione da una

prospettiva completamente nuova. Le videocamere

MERCATO Intel approfitta de El Clàsico Barcellona - Real Madrid per lanciare una nuova tecnologia di replay a 360 gradi

Reportage: al Camp Nou per scoprire il sistemaReplay 360 e il nuovo modo di vedere la partitaLa nuova tecnologia di ripresa Replay 360 è nata per offrire agli spettatori un’esperienza inedita e realmente “immersiva”

Materiale estremamente robusto contro gli atti vandalici. Ecco come si presenta una videocamera 5K dedicata al replay a 360°.

segue a pagina 10

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

riprendono con una banda di 16 Mbit/s e trasmettono

in tempo reale su fibra alla regia mobile esterna che

impiega stabilmente due persone e si avvale di server

ad elevatissime prestazioni per l’elaborazione in tempo

reale dei dati che arrivano dallo stadio. Per la realiz-

zazione del volumetric video la calibrazione delle vi-

deocamere è fondamentale, poiché tutto il sistema 3D

poggia sull’elaborazione/interpolazione di prospettive

diverse che devono essere sincronizzate al singolo

frame onde evitare errori. Non vengono impiegate vi-

deocamere a 360° nel senso consumer del termine, né

particolari sensori: tutto poggia sulle videocamere 5K

inserite tra il primo e il secondo anello dello stadio, sul-

le “pile” di server esterni, su software allo stato dell’arte

e sul lavoro degli operatori, che da un lato verificano

che il sistema sia calibrato e funzioni a regola d’arte,

dall’altro decidono i punti in cui vanno posizionate le

videocamere 3D virtuali. Qui va fatta una piccola pa-

rentesi: se è vero che la cattura delle immagini è co-

stante e continua durante tutta la partita, sta alla regia

decidere di quali azioni (appena avvenute) elaborare

il replay 360 e quali lasciar correre. I tempi sono de-

terminanti: la decisione va presa in un attimo – cosa

che sui goal non è un problema, ma in falli, fuorigioco,

azioni spettacolari potrebbe esserlo – perché l’elabo-

razione è tutt’altro che in tempo reale: tra tutto passa

circa un minuto per il rendering finale (sempre meno

di 2 minuti, ci dicono), il che obbliga la regia a trovare

spazio in un’azione successiva.Ovviamente l’interesse

di Intel è portare questa attesa a zero, ma siamo ancora

piuttosto lontani, e per questo motivo potrebbero esse-

re prese in considerazioni ipotesi di automazione delle

decisioni, basandosi su situazioni prestabilite come un

goal, un rigore, una punizione dal limite e via dicendo.

E domani? Il replay lo deciderai tu a casaPer tre anni La Liga si avvarrà della tecnologia di re-

play 360 di Intel negli stadi di Barcellona e Madrid,

con la speranza di ampliarla in altre arene, eventi e

campionati. Ma non è il punto d’arrivo: la prima cosa

da eliminare è il tempo che intercorre tra la decisione

di attivare il replay e il risultato finale. L’ipotesi – che

evidentemente richiederà anni per essere concretiz-

zata – è quella di permettere a chiunque di “realiz-

zarsi” il suo replay da casa attingendo direttamente

dall’infinita mole di dati catturati dalle videocamere

dello stadio; un primo passo potrebbe essere quello

di permettere l’attivazione solo in momenti specifici,

poi si arriverà a un punto in cui il volumetric video sarà

totalmente a disposizione dell’utente, come e quanto

vuole. Ma per questo, ripetiamo, di acqua sotto i ponti

ne deve passare ancora molta.

Alcune delle videocamere 5K (equidistanti) posizionate tra il primo e il secondo anello dello stadio.

Una postazione di lavoro del Replay 360, la sincro-nizzazione tra le 36 videocamere è fondamentale.

Un particolare della sala server usata appositamen-te per i Replay 360.

MERCATO

Reportage Replay 360segue Da pagina 09

di Dario RONZONI

Jo Seong-jin è il nuovo ammini-

stratore delegato di LG. Il colosso

coreano dell’elettronica ha annun-

ciato la nomina a CEO dell’ex respon-

sabile della divisione elettrodomestici.

Jo, un veterano con oltre quarant’anni

di servizio in azienda, ha nel suo curri-

culum lo sviluppo della prima lavatrice

automatica di LG, lanciata nel 1980.

Il cambio al vertice giunge a un solo

anno di distanza dalla nomina di un

triumvirato, che comprendeva lo stes-

so Jo. Un esperimento di breve durata,

che lascia oggi spazio a una nomina

che sposta gli equilibri decisionali, so-

MERCATO A un anno dal varo di un triumvirato al vertice, LG rivede la propria organizzazione

Jo Seong-jin nominato nuovo CEO di LG Nel 2014 Jo Seong-jin venne accusato di aver sabotato alcune lavatrici della rivale Samsung

prattutto nei seg-

menti mobile e

home entertain-

ment.

I più attenti ricor-

deranno il nome di

Jo per un bizzarro

evento capitato a

IFA 2014, quando

l’attuale CEO di

LG fu accusato di

aver deliberata-

mente sabotato

alcune lavatrici di

Samsung. LG rispose alle accuse del-

l’azienda rivale mostrando un video

che scagionava Jo. Le accuse non eb-

bero poi alcuno strascico legale.

MERCATO

Apple Watch Vendite recordTim Cook in persona ha definito la prima settimana di shopping nata-lizio la migliore, per volume di ven-dite, nella storia di Apple Watch. Se le proiezioni sono corrette, questo potrebbe essere il miglior trimestre di sempre per lo smartwatch della Mela. Una dichiarazione che giunge a sole ventiquattro ore dalla pub-blicazione di una ricerca firmata IDC, che stimava un calo di vendite di Apple Watch nel terzo trimestre dell’anno pari al 71% rispetto allo stesso periodo del 2015. Dati non sorprendenti, trattandosi di numeri relativi al vecchio modello, sostituito dalla seconda generazio-ne proprio al termine del trimestre preso in considerazione.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Roberto PEZZALI

I n attesa del lancio della nuova versio-

ne di HDMI, che secondo le ultime indi-

screzioni dovrebbe essere presentata

al CES di Las Vegas, l’HDMI Association

modifica la versione attuale, quella deno-

minata 2.0b. Un cambiamento piccolo ma

significativo, necessario per stare al pas-

so con i tempi e uniformarsi alle necessità

dei broadcaster che iniziano a vedere con

interesse l’Hybrid Log Gamma come stan-

dard di trasmissione per i contenuti HDR

via satellite o via digitale terrestre. L’HLG

è uno standard open source sviluppato

da BBC e NHK che ha una particolarità:

permette di trasmettere HDR e SDR su un

unico canale con un notevole risparmio di

banda: chi ha un TV HDR compatibile ve-

drà in HDR, chi ha un TV standard vedrà

sullo stesso canale una versione tradizio-

nale. Finora la connessione HDMI era in

grado di gestire un segnale HDR10 (il Dol-

by Vision usa un chip dedicato), ma grazie

alla modifica alla specifiche dell’HDMI As-

sociation sarà possibile trasportare anche

flussi HLG.

TV E VIDEO Il consorzio HDMI modifica lo standard HDMI 2.0b, utilizzato sulla maggior parte dei TV

L’HDMI cambia per accettare l’HDR HLG L’Hybrid Log Gamma è uno standard di trasmissione HDR via satellite o via digitale terrestre Per rendere compatibili i TV non occorrono modifiche hardware, basterà un aggiornamento

OLED Sony 55” e 65” al CES Ma arriveranno nella seconda metà del 2017Nuove conferme sull’arrivo di una serie di TV OLED Sony L’annuncio è previsto a Las Vegas, ma l’arrivo dei TV slitta al secondo semestre 2017: Sony vuole i nuovi pannelli LG di Roberto PEZZALI

Continuano le indiscrezioni sul-l’uscita dei nuovi TV OLED Sony e l’ennesima voce suona ormai come una conferma: Sony mostre-rà al CES di Las Vegas una serie di TV con pannello OLED LG. Due i modelli, un 55” e un 65”, che si posizioneranno in una fascia di prezzo medio alta partendo da circa 2000$. La notizia è stata riportata da Forbes e data da tal Barry Young, CEO di una fantoma-tica OLED Association con sede ad Austin, in Texas, ma come avevamo scritto in precedenza le stesse voci sono giunte anche ai nostri orecchi da più parti quindi sono abbastanza credibili.Il lancio, tuttavia, dovrebbe avve-nire nella seconda metà del 2017: questo perché LG inizierà a fornire i nuovi pannelli soltanto a marzo aprile e Sony giustamente vuole aver accesso alla nuova gene-razione di pannelli che LG userà il prossimo anno. Un ritardo che Sony dovrebbe comunque colma-re inserendo nei nuovi TV la sua eccellente sezione elettronica, e forse anche qualcosa in più. Man-ca ormai poco al CES 2017, meno di un mese: quest’anno per chi è ghiotto di news sui TV le novità non mancheranno.

Cosa cambia per i consumatori?Quella dell’HDMI è una modifica ad una

specifica che deve comunque essere

trasferita all’hardware: è stato aggiunto

in pratica un meta-dato statico (un flag)

che serve ad una sorgente per indicare

al TV che tipo di segnale sta per arriva-

re. Questo vuol dire che i TV dovranno

essere aggiornati: una cosa da poco,

fattibile via firmware, ma che richiede

comunque l’impegno dei produttori non

sempre attenti a questo tipo di cose.

Inoltre, la cosa riguarda solo i decoder

esterni: l’HLG è nato per le trasmissioni

DVB-T e DVB-S, pertanto la modifica

all’HDMI serve per creare decoder che

possano inviare ai TV flussi HLG: ci sono

televisori che già oggi gestiscono que-

sto segnale con i tuner interni e potreb-

bero non avere mai bisogno di questo

update. Non dovrebbero esserci co-

munque problemi per Sky: dal prossimo

anno Sky trasmetterà contenuti HDR, ma

difficilmente utilizzerà l’HLG come stan-

dard, ancora poco supportato dai TV. Più

probabile che il nuovo decoder 4K tra-

smetta contenuti in HDR10, compatibile

con tutti i TV e più universale. Sky, sul

satellite, non ha certo bisogno di rispar-

miare banda.

di Roberto PEZZALI

Quando ormai tutti gli utenti aveva-

no perso ogni speranza arriva il

regalo di Natale di Sony per tutti

coloro che hanno in casa una smart TV

Android del 2015 - 2016: negli States e in

Asia sta per iniziare la distribuzione della

versione 6.0 di Android, ovvero Marsh-

mallow, per la maggior parte dei modelli.

In Europa ancora nessun annuncio, ma

presupponiamo che anche per i modelli

italiani l’aggiornamento possa arrivare tra

qualche settimana, con l’update che ver-

rà rilasciato progressivamente partendo

da alcuni modelli per poi coprire tutta la

gamma.

Una buona notizia, anche se bisogna

ricordare che Android è ormai giunto

alla versione 7.0 e la TV solo oggi hanno

guadagnato la release 6.0, quindi resta-

TV E VIDEO Sony inizierà a distribuire progressivamente l’aggiornamento del sistema operativo

Android TV 6.0 sui TV Sony, si parte da metà dicembre La nuova versione porterà alcune novità di Marshmallow, ma resta indietro rispetto ad Android

no comunque indietro.

Ma cosa porta di nuovo

questa versione? Tra le

novità ci sono alcune

feature di Marshmal-

low presenti anche

sugli smartphone: una

gestione dei permessi

delle app granulare, più

efficace e sicura, e la possibilità di spo-

stare app e giochi su una memoria o un

hard disk esterno. Le novità più apprez-

zate però saranno un numero enorme di

bug risolti e una interfaccia decisamente

più snella e veloce, oltre che rivista in

alcune sezioni: la sezione ingressi viene

postata in basso, la ricerca ora è divisa

per generi e non vengono più mostrati i

duplicati nella vista “app” e “app in primo

piano”. Anche il design dell’interfaccia è

stato rivisto, riadattato ai più moderni ca-

noni di design della Material UI.

La release finale sarà la 6.0.1, e i model-

li interessati all’update saranno i Sony

X94C, X93C, X91C, X90C, S85C, S80C,

X85C, X83C, X81C, X80C, W95C, W87C,

W85C, W80C, W75C del 2015 e i Sony

X94D (XD94), X93D (XD93), X85D

(XD85), S85D (SD85), W9xxD, W8xxD del

2016. Sul sito americano è già presente

il file per il download: sconsigliamo l’uso

del firmware USA sulle TV europee, si

potrebbero perdere alcune funzionalità.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Roberto PEZZALI

Arriva il regalo di Natale anche per

gli abbonati Sky: è infatti disponibi-

le una nuova “home” e soprattutto

sarà attivata l’alta definizione sul servizio

On Demand. Una vera rivoluzione per

l’utente Sky, che ha sempre potuto fruire

dell’HD sui contenuti lineari ma mai sulla

sezione On Demand, una delle più usa-

te in assoluto con 2.3 milioni di utenti e

una media di 4.2 milioni di titoli scaricati

a settimana. L’utente potrà quindi sce-

gliere, per ogni contenuto, se scaricare

la versione SD oppure quella HD, oppu-

re potrà indicare la sua preferenza nel

pannello di controllo. I contenuti scaricati

hanno la stessa identica qualità della tra-

smissione lineare, un HD da 15 Mbps che

richiede qualche minuto prima di iniziare

la visione, ovviamente a seconda della

banda disponibile. L’Alta Definizione su

Sky On Demand è già disponibile con un

aggiornamento progressivo dei decoder

che terminerà entro dicembre, per tutti i

clienti che hanno attivato il servizio Sky

On Demand e hanno l’opzione HD. Tra i

contenuti ci saranno tutti i titoli di cinema,

la quasi totalità dell’offerta di Sky Box

Sets e il meglio di serie TV.

Rinnovata anche la homepage: Sky ha

realizzato una nuova interfaccia che va

“on top” al sistema operativo del MySky

e che offre una migliore organizzazione

ENTERTAINMENT Sky lancia una nuova home page per organizzare i contenuti e l’HD On Demand

Regalo di Natale, Sky On Demand ora è in HD Ma SkyGo e SkyGo Plus, almeno per il momento, restano ancora in standard definition

dei contenuti, con una zona inferiore di

suggerimento variabile a seconda delle

preferenze di visione, una barra di ricer-

ca finalmente intelligente, una preview

selezionabile e un menu per accedere

rapidamente alle varie sezioni del deco-

der. Migliorata notevolmente la ricerca:

se infatti fino ad oggi il sistema faceva un

match preciso della stringa, oggi cercan-

do “Leo” oltre a cercare film contenenti

le tre lettere “leo” trova anche i contenuti

dove Leonardo di Caprio o Leonardo Pie-

raccioni fanno parte del cast.

Qualcuno potrebbe pensare che questa

non è una grossa novità, così come la

nuova “home” non è affatto innovativa

come certe interfacce moderne, ma spes-

so non si calcola che Sky deve distribuire

le funzionalità su ogni decoder MySky

lanciato, assicurando il funzionamento

su diversi tipi di dispositivi alcuni dei quali

con quasi 10 anni di età alle spalle. Resta

invece in standard definition, almeno per

il momento, SkyGo e la sua versione evo-

luta SkyGo Plus: Sky ha pensato che fos-

se più importante concentrarsi sul gran-

de schermo, dando quindi la precedenza

all’On Demand, piuttosto che al mobile,

che già gode di una buona qualità. Sicu-

ramente il prossimo anno ci sarà spazio

anche per lui.

di Giulio MINOTTI

I l chief content officer Ted Sarandos di

Netflix ha illustrato, in una conferenza

tenutasi a New York, i progetti futuri

della sua compagnia: serie TV originali,

ma anche show e lungometraggi.

Netflix punta ad incrementare contenuti

originali fino a 1.000 ore nel 2017, più del

ENTERTAINMENT Netflix punta a coprire il 50% della programmazione con contenuti originali

Netflix, nel 2017 arriveranno 20 nuovi reality show A partire dal prossimo anno verrà intensificata di molto la produzione di reality show

doppio del 2016. Si passerà dai 5 miliar-

di di dollari di quest’anno a 6 miliardi di

investimento con l’obiettivo di arrivare ad

avere il 50% della programmazione com-

posto da contenuti originali. Attualmente

la famosa piattaforma di streaming ha 30

diversi serie televisive in vari stadi di svi-

luppo a cui si affiancheranno, nel 2017, 20

unscripted show.

“Quello dei reality è un business inte-

ressante, vogliamo puntare su contenuti

che possano piacere in tutto il mondo.

Ad esempio, Ultimate Beastmaster sarà

incentrata su atleti di sei differenti Paesi

(USA, Brasile, Corea del Sud, Messico,

Germania e Giappone)” ha dichiarato il

manager di Netflix.

Il prossimo anno arriveranno, infatti, 20

unscripted show (da noi più comunemen-

te noti come reality show) tra cui Ultimate

Beastmaster, prodotto da Sylvester Stallo-

ne. Definita come la prima serie compe-

titiva internazionale nel suo genere, con

sei versioni locali, vedrà la partecipazione

di 108 atleti/concorrenti cimentarsi in un

impegnativo percorso a ostacoli denomi-

nato The Beast.

Netflix punterà anche sui lungometraggi

autoprodotti; Ted Sarandos ha citato ad

esempio “Bright” il thriller fantasy che sarà

diretto da David Ayer, il regista di Suicide

Squad, e interpretato da Will Smith.

Apple vuole su iTunes i film quando ancora sono al cinema Gli esercenti si oppongonoApple sta cercando accordi con le major per portare i film su iTunes 14 giorni dopo l’uscita al cinema Qualcuno è favorevole ma i gestori dei cinema si oppongono e i prezzi sarebbero più alti di Roberto PEZZALI

Apple torna alla carica, nel mirino c’è la classica “window” di prote-zione dei film al cinema, che ga-rantisce ai gestori l’esclusività di sfruttamento di un contenuto per 90 giorni dalla sua uscita. Secondo Bloomberg, Apple vorrebbe questa finestra portare a soli 14 giorni, con i film a noleggio su iTunes quando ancora sono nelle sale cinemato-grafiche. L’azienda di Cupertino avrebbe sondato il terreno con 20th Century Fox, Warner Bros, e Univer-sal Pictures, e tutte e tre le major sarebbero propense al progetto. L’idea in effetti non è così assurda: agli esercenti restano le prime due settimane, quelle dove solitamente i film fanno il grosso degli incassi, e il circuito video on demand potreb-be iniziare a sfruttare questi diritti prima offrendo contenuti freschi a chi cerca qualcosa da “noleggia-re”. Per dare il via libera a Apple le major chiedono comunque più soldi: dai 25$ ai 50$ a film secon-do la fonti di Bloomberg, un costo ammortizzabile solo organizzando serate di proiezione con amici. La strada per la riduzione della finestra cinematografica è comunque molto lunga: gli esercenti non sono affatto d’accordo e si sono già opposti.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Roberto PEZZALI

D a qualche tempo, grazie all’aggiornamento del-

l’applicazione, è possibile finalmente scaricare

sul dispositivo i film e le serie TV di Netflix per ve-

derli in mobilità senza la necessità di connessione ad In-

ternet. Una sorta di rivoluzione per gli italiani, un popolo

di pendolari spesso in viaggio che può così sfruttare i

momenti liberi per godersi una puntata di una serie TV

facendo fruttare l’abbonamento mensile. Dopo aver già dato qualche dettaglio sulla nuova funzione, abbiamo

avuto modo di scambiare qualche opinione con Yann

Lafargue, Technology & Corporate Communications

Manager Netflix, che ci ha dato qualche informazione in

più sul servizio. Scaricare i contenuti di Netflix è sempli-

cissimo, ma ci sono tanti piccoli dettagli da sapere per

usare al meglio il servizio e non trovarsi spiazzati. Ecco

una completissima guida che toglie ogni dubbio.

Come faccio a scaricare un contenuto?Netflix è da sempre apprezzata per la sua facilità d’uso,

e dopo aver aperto l’applicazione aggiornata all’ultima

versione è semplicissimo trovare i contenuti scaricabili:

Netflix ha infatti preparato una vista dedicata e ha inse-

rito, di fianco ad ogni contenuto scaricabile, un logo con

freccia che fa partire l’azione di download immediata.

Per scaricare un contenuto il tablet o lo smartphone

devono ovviamente essere sotto rete Wi-Fi, anche se

questa impostazione può essere modificata dal menu

opzione. Il dispositivo scaricherà uno o più contenuti in

coda automaticamente raggruppandoli in una apposita

sezione.

Su quali dispositivi posso scaricare i film e le serie TV?Al momento il download di Netflix funziona su tutti i di-

spositivi iPhone o iPad con iOS 8 o superiore e su mol-

ti tablet o smartphone con Android 4.2.2 o superiore.

Netflix sta implementando progressivamente il numero

di dispositivi Android su cui il servizio è attivo, anche se

al momento buona parte dei prodotti più diffusi è com-

patibile. Il download non funziona sui dispositivi con

“root”, ovvero modificati. Mancano ancora all’appello i

vari Amazon Fire Tablet e i dispositivi basati su Windows,

mentre al momento la funzionalità di download non è

prevista né per le console e neppure per le Smart TV.

ENTERTAINMENT Una comoda FAQ divisa per punti che va a toccare tutti i temi caldi della nuova attesissima funzionalità

Guida al download di film e serie TV da NetflixTutto quello da sapere sulla nuova funzione download di Netflix, dalla gestione dei download alla durata dei contenuti

Tutti i film e tutte le serie TV sono scaricabili?No, anche se la maggior parte dei nuovi film lo saran-

no. Netflix ha rinegoziato i diritti con molti fornitori di

contenuti per poter dare questa possibilità ma c’è chi,

come Disney, non ha voluto in alcun modo che i suoi

contenuti fossero scaricabili. I contenuti della major,

incluso il ricco catalogo Marvel, non sono quindi dispo-

nibile per la visione offline. Si può comunque afferma-

re che almeno il 90% del catalogo è disponibile per il

download.

Come funziona il download quando viaggiamo all’estero?Netflix ha negoziato i diritti con i vari fornitori di conte-

nuti a livello territoriale, perché questo è ciò che impo-

ne la normativa. Quando viaggiamo dobbiamo quindi

stare attenti perché alcuni contenuti potrebbero non

essere visibili una volta giunti a destinazione. Per capi-

re meglio questa cosa possiamo fare due esempi. Un

cliente Netflix deve andare negli Stati Uniti e decide

di scaricare Stranger Things. Prima di imbarcarsi mette

la modalità “aereo” e si gode qualche puntata del ca-

polavoro Netflix in volo. Quando arriva a destinazione

toglie la modalità offline e potrà godersi ugualmente

le puntate restanti, perché Stranger Things è un’opera

globale Netflix che detiene i diritti dell’opera in tutto

il mondo. Mentre è negli Stati Uniti lo stesso utente

decide di scaricare House of Cards: mentre è sul volo

può guardarlo, ma appena arriva in Italia il contenuto

diventerà inaccessibile: Netflix non ha i diritti di House

of Cards per l’Italia, sono di Sky.

Quanto durano i contenuti scaricati?Per evitare problematiche contrattuali Netflix si è ade-

guata a quello che è lo standard di mercato, anche

se la cosa varai da titolo a titolo. Per i contenuti che

scadono in meno di sette giorni, nella pagina “I miei

download” dell’app Netflix viene visualizzato il tempo

rimanente per guardarlo mentre per alcuni titoli, dopo

aver iniziato la visione, ci sono solo 48 ore per comple-

tarla. Netflix ha comunque gestito la cosa in modo mol-

to intelligente: quando i diritti di visione di un contenuto

scaricato sono scaduti basta premere un tasto rinnova,

con il tablet collegato alla rete, per rinnovare tutto sen-

za necessariamente riscaricare il film, cosa necessaria

invece su altre piattaforme.

Per i contenuti scaricati ci sono lingue e sottotitoli?Si, tutti i contenuti scaricati hanno le stesse lingue e gli

stessi sottotitoli di quelli in streaming, quindi sono utili

anche per imparare una lingua straniera o per ascolta-

re la traccia audio originale, solitamente migliore.

Quanto spazio occupano i contenuti scaricabili?Dipende ovviamente dal tipo di contenuto: un episodio

da 57 minuti di The Get Down occupa in qualità stan-

dard 289,6 MB, mentre in qualità superiore lo stesso

contenuto occupa 698 MB. La qualità non viene decisa

per singolo titolo ma tramite una impostazione dell’app:

alta o superiore. Non c’è limite al download, o meglio, il

limite è lo spazio residuo sul dispositivo. Non tutti i con-

tenuti sono disponibili però in modalità superiore.

segue a pagina 15

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

I contenuti in alta qualità sono in alta definizione?No, al momento non disponibili titoli in HD da scarica-

re. La modalità superiore è infatti una via di mezzo tra

l’SD e l’HD, e la vera alta definizione arriverà solo tra

poco anche se è già prevista.

Netflix ha infatti lavorato moltissimo sull’encoding rea-

lizzando per il mobile due versioni di algoritmo di com-

pressione denominate AVCHi-Mobile e VP9-Mobile: a

parità di banda offrono una migliora qualità video degli

ENTERTAINMENT

Guida al download da Netflixsegue Da pagina 14

algoritmi usati per la TV. Netflix sta ricomprimendo tut-

to il catalogo per offrire a breve anche un HD di qualità

analoga a quella vista su un grande schermo ma capa-

ce di occupare meno spazio.

Posso scaricare i contenuti su memoria esterna?No, i contenuti scaricati possono risiedere solo sulla

memoria del dispositivo e non su SD Card: nei tablet

Android che permettono di espandere la memoria tra-

mite scheda esterna questa memoria non potrà essere

in alcun modo utilizzata per i contenuti video di Netflix.

Posso utilizzare Chromecast per inviare al TV contenuti scaricati?No, Chromecast non si può utilizzare per l’offline.

Posso collegare il telefono al TV per vedere i contenuti scaricati?Si, abbiamo provato l’adattatore HDMI per iPhone e

iPad e si può collegare un display o un monitor senza

problemi. Dovrebbero funzionare anche quasi tutti gli

adattatori e i cavi per tablet e smartphone android.

Come funziona con i profili utente?Ogni profilo ha il suo spazio dedicato per il download,

sia i profili bambini sia i profili adulti. Ogni utente vede

solo i contenuti scaricati da lui.

Ho l’account condiviso, ci sono limiti?Nessun limite, neppure ai dispositivi. Il download fun-

ziona a prescindere dal numero di device e da una

eventuale condivisione dell’abbonamento.

ENTERTAINMENT

Chromecast Ultra in Italia a 79 euroLa nuova chiavetta per lo streaming di Google è disponibile in Italia sul sito Google Play Devices a 79 euro, neppure troppo per la nuova versione della chiavetta che ora gestisce 4K, HDR, ha una con-nessione migliore e soprattutto può contare anche su una porta ether-net per chi ha un Wi-Fi ballerino. Ma a chi serve questa Chromecast Ultra? In realtà a poche persone: tutti coloro che hanno una Smart TV 4K probabilmente accedono già a Netflix o a YouTube in 4K, per tutti gli altri basta la Chromecast normale.La versione Ultra è indiriz-zata solo ad una nicchia di utenti che ha o un videoproiettore, quindi nessuna interfaccia smart, oppure un televisore di marca “esotica” con pannello Ultra HD ma con Net-flix non certificato: su un televisore di questo tipo la risoluzione di Netflix infatti si blocca a 720p.

di Roberto PEZZALI

Amazon Prime Video sta arrivando

in Italia: difficile dire se questo

accadrà proma o dopo Natale,

quel che è certo è che Amazon ha già

iniziato i preparativi per far sbarcare

anche nel nostro Paese il suo servizio

stile Netflix. Da qualche giorno, infat-

ti, utilizzando un account italiano di

Amazon abbonato al servizio Prime è

possibile accedere, passando tramite il

sito inglese, al catalogo di video esclu-

sivi e originali di Amazon, tra i quali

l’attesissimo The Grand Tour di Jeremy

Clarkson, Richard Hammond e James

May, il nuovo format del trio che ha

dato vita al più spettacolare show au-

tomobilistico di tutti i tempi, Top Gear.

Gli utenti italiani hanno accesso solo

a parte del catalogo, ovvero a tutti

i contenuti originali di Amazon per i

quali Amazon detiene i diritti in tutto

il mondo: se si prova ad esempio a

guardare Divergent un popup ci avvisa

che questa operazione non è possibile

perché Amazon non dispone dei dirit-

ti di visione per questo contenuto nel

nostro Paese.

I video sono in HD, con audio inglese

e sottotitoli in inglese, e nonostante le

ENTERTAINMENT Una scorciatoia che però funziona, in attesa dell’arrivo ufficiale del servizio

Amazon Video funziona già nel nostro Paese Con gli account Amazon Prime si possono già vedere spettacoli e serie TV dal sito inglese

barriere della lingua questa possibilità

sicuramente farà piacere a molti, sem-

pre che Amazon non decida di mettere

un blocco alla cosa in attesa del lancio

ufficiale.Considerando il catalogo, e la

possibilità di accesso con il semplice

Prime italiano, siamo propensi a cre-

dere che Amazon Prime Video verrà

lanciato in Italia in una sorta di “trial”

per saggiare le reazioni e l’interesse.

Amazon non ha un grosso catalogo nel

nostro Paese se escludiamo i contenu-

ti originali, e proprio per questo moti-

vo verrà quasi sicuramente tenuto un

basso profilo almeno in questa prima

fase, senza sovra presso e neppure

abbonamenti particolari. I contenuti

interessanti, soprattutto spettacoli e

serie, in ogni caso ci sono, The Grand

Tour in primis: non ci resta che atten-

dere qualche giorno, anche se chi ha

fretta, è abbonato Prime e conosce

l’inglese, può già tuffarsi su Amazon.

co.uk a farsi una scorpacciata di video.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Roberto PEZZALI

Chi è Huawei? Questa domanda se la sono fatta

probabilmente in molti negli ultimi mesi, anche

perché il nome Huawei inizia a essere conosciu-

to allo stesso modo di Samsung, Sony, LG o Apple.

Huawei è un’azienda cinese, e per questa azienda

l’Italia è il mercato europeo più importante. Se fino al

2013 pochi conoscevano Huawei, oggi, grazie anche

alla sponsorizzazione del Milan, alla pubblicità e agli

ottimi prodotti che sono arrivati sul mercato negli ultimi

anni è difficile trovare qualcuno che non sappia che

“Huawei è quella dei cellulari”. Una definizione forse

un po’ semplicistica, perché la divisione consumer rap-

presenta solo una piccola parte dei 60 miliardi di dollari

che compongono il fatturato annuale di Huawei, ma fa

capire che l’obiettivo dell’azienda è stato centrato in

pieno, usare prodotti che la gente usa tutti i giorni per

far conoscere il marchio che, con i suoi apparati, per-

mette a tutti di navigare in Internet e di telefonare. L’Ita-

lia, come dicevamo poc’anzi, è un paese decisamente

importante perché tra tutti gli stati europei è quello

dove le mode e i trend riescono, più di ogni altra cosa,

a influenzare i processi di acquisto: dalle magliette con

la margherita firmate Guru per arrivare recentemente

ai TV super sottili Samsung l’italiano si è sempre tuffato

sui marchi più forti e in vista del momento. Huawei oggi

è un marchio in vista: il millenials che fino a qualche

anno fa si vantavano con gli amici mostrando il loro

nuovo iPhone, dopo un periodo Galaxy, oggi sbandie-

rano fieri il loro Huawei P8 o il loro P9, seguendo il nuo-

vo trend del momento secondo il quale il brand cinese,

come Apple e Samsung, è un marchio “cool”. Una ten-

denza questa che dovrebbe preoccupare seriamente

chi sta davanti, e ci riferiamo soprattutto a Samsung: se

guardiamo alle quote di mercato in Italia Huawei si sta

avvicinando velocemente al colosso coreano e sono

in molti a scommettere che entro la fine del prossimo

anno, magari solo per qualche mese, potrà esserci un

sorpasso che sarebbe a tutti gli effetti storico non tanto

per Huawei quanto per la Cina, che dopo Lenovo ha

l’opportunità di piazzare un suo “prodotto” in cima alle

classifiche che contano. Riuscirà Huawei a sorpassare

Samsung, in Italia e in Europa? Dopo essere stati qual-

che giorno a casa di Huawei abbiamo tirato le somme:

MOBILE Dopo anni di dominio dei giapponesi e dei coreani, il mercato Consumer Electronics sta per essere travolto da Huawei

Huawei ai raggi X: vuole diventare la numero 1 Siamo stati in Cina per conoscere il Huawei-pensiero e capire come la multinazionale da 60 miliardi di dollari vive questo momento

ecco 6 motivi che ci spingono a credere che Huawei

può davvero diventare la numero 1 al mondo e altri 6

motivi che invece ci portano a pensare che serve an-

cora un po’ di tempo e lavoro, non tanto per arrivare in

cima ma più che altro per restarci, perché è questo alla

fine quello che conta.

Può diventare la numero uno perché...1 - Tutti remano nella stessa direzione perché Huawei è di tutti Huawei è una azienda atipica per assetto e struttura,

tanto che per la sua organizzazione è stata oggetto di

studio da parte di molte università di economia occiden-

tali. Mr. Ren Zhengfei, il suo fondatore, ha deciso infatti

che la cosa migliore da fare per tutelare l’azienda da lui

creata era quella di non possederla: di qui la decisione

di lasciare Huawei a tutti i suoi dipendenti. Huawei è

tutt’ora una società privata, dove il patron Ren Zhengfei

detiene solo l’1.4% delle azioni mentre il restante è di

proprietà di quella che viene definita l’Unione, ovvero

quasi tutti i 79,563 dipendenti che lavorano in Cina

(per quelli stranieri è previsto un piano simile fatto di

bonus e incentivi). Una sorta di schema simile allo stock

option americane, con la differenza che Huawei non è

una società quotata in borsa e mai lo sarà: ogni anno

vengono ridistribuiti i profitti tra i “soci” (in realtà viene

distribuito di più) per incentivare chi lavora in Huawei a

fare sempre meglio. Una organizzazione di successo,

che non crea disparità tra dipendenti e soprattutto che

non favorisce differenze nello stile di vita e nei guada-

gni tra l’ingegnere e il vice president di una divisione. In

Huawei vige anche una seconda regola legata a questo

schema di retribuzione: più si lavora duro più si viene

pagati e ricompensati con bonus e incentivi, ma solo

a patto che il lavoro sia finalizzato a migliorare il rap-

porto tra Huawei e i suoi clienti. È proprio quest’ultimo

sistema a spingere ricercatori, ingegneri e dipendenti

ad ogni livello a cercare di sfruttare ogni ora del proprio

tempo, anche quello libero, per trovare qualche soluzio-

ne che possa in qualche modo migliorare la posizione

dell’azienda sul mercato e rispetto ai concorrenti. E a

guadagnarci non è il diretto superiore o il capo della

divisione, ma il dipendente stesso.

2 - Huawei sa già cosa vuol dire diventare leader e restarloLa data cruciale per Huawei è il 2012, l’anno in cui il

colosso delle telecomunicazioni cinese, leader nel mer-

cato interno, ha sorpassato Ericsson diventando il primo

gruppo nella realizzazione di apparati di rete. Oggi la

Huawei che gestisce la parte “business”, ovvero le due

divisione Carrier e Enterprise è un incredibile case hi-

story per la realtà più giovane, quella degli smartphone:

è partita nel 1987 realizzando apparati “ispirati” a quelli

europei di Nokia e Ericsson e a quelli americani di Cisco

ed è arrivata a creare prodotti unici nel suo genere re-

gistrando brevetti a raffica (4000 all’anno) e lanciando

nuove sfide, come ad esempio il 4.5G dove Huawei

è uno dei player fondamentali. È grazie a tecnologie

esclusive di Huawei come l’LTE-TDD 4.5G WTTH che

in Sardegna Tiscali riuscirà a connettere ad alta velocità

sfruttando ponti LTE le zone rurali, ed è sempre grazie al

4.5G che i prossimi Mondiali di calcio potranno essere

inviati in streaming in 4K o addirittura in 8K tramite un

segnale radio con una latenza minima rispetto alla diret-

ta. Non è un caso che Huawei abbia spostato le migliori

pedine della divisione di successo in quella emergente:

James Zou, il nuovo General Manager Consumer Busi-

ness Group di Huawei Italia, ha vissuto sulla sua pelle la

scalata di Huawei ai vertici mondiali delle telecomunica-

segue a pagina 17

L’headquartier a Shenzen è un’oasi di pace immer-sa nel verde. E a breve sorgerà un nuovo campus.

Una delle antenne che permetterà di coprire la Sardegna con una connessione wireless simil-fibra.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

MOBILE

Huawei ai raggi Xsegue Da pagina 16

zioni, e ora con questo bagaglio di esperienza si prepa-

ra a fare altrettanto con Mate 9 e con i nuovi modelli in

arrivo, primo tra tutti l’attesissimo P10.

3 - Huawei produce tutto in casa per non dipendere da fornitori e gestire al meglio il prezzoHuawei è l’unica azienda che produce in casa tutti i

componenti chiave di uno smartphone, e questo è un

traguardo non da poco per una azienda con una storia

così giovane, soprattutto negli smartphone. Il SoC Kirin,

un processore che può tranquillamente rivaleggiare con

Qualcomm, Apple e Samsung, è il fiore all’occhiello di

una divisione che anno dopo anno riesce a sfornare un

modello più veloce ed ottimizzato senza sbagliare un

colpo. Apple con i processori della serie “A” ha fatto un

lavoro davvero incredibile, ma tutt’ora si affida a Qual-

comm o a Intel per la parte modem: Huawei costruisce

in casa anche il modem, e può sfruttare l’enorme baga-

glio di esperienza che arriva dalle altre divisioni. Con

l’arrivo del 5G la sezione radio di uno smartphone rive-

stirà una parte sempre più importante, soprattutto in re-

lazione ai consumi e alla gestione energetica: Huawei

insieme ad Ericsson è una delle aziende con il più ele-

vato numero di brevetti legati alle reti di nuova genera-

zione, un pacchetto che si aggiunge al numero totale

di brevetti registrati davvero impressionante. Huawei

ad oggi ha registrato oltre 50.000 brevetti in Cina, e

di questi 30.000 sono riconosciuti anche all’estero. Un

risultato che è il frutto dell’investimento del 10% del fat-

turato annuo in R&D, con oltre il 45% dei dipendenti

impegnati in attività di ricerca e sviluppo.

4 - Huawei non copia, “assorbe”, e la differenza sep-pur sottile è importante “I cinesi sanno solo copiare”. Questa idea, molto dif-

fusa, è vera solo in parte. Chi ha l’occasione di fare

un viaggio in Cina si renderà conto che ormai la Cina,

almeno se guardiamo al triangolo d’oro Shenzen,

Shangai e Hong Kong, è un paese che ha saputo rac-

cogliere moltissime influenze dal mondo occidentale

senza però snaturare il suo essere. La Cina non copia,

prende quello che fanno gli altri di buono e cerca di mi-

gliorarlo aggiungendoci qualcosa di suo. E Huawei in

questi anni ha fatto proprio questo, prendendo spunto

da Apple (soprattutto) e dagli altri marchi per portare

in casa tutte le idee buone, cambiarle e modificarle a

modo suo riproponendole su prodotti che seppur ispi-

rati sono comunque diversi.

È l’azienda stessa a incitare le persone a vedere quan-

to di buono hanno fatto i competitor, e non ci siamo

stupiti più di tanto quando nel corso di una intervista

Simon Wang, Vice Persident Handsets P and Mate Se-

ries, al posto di usare uno smartphone prodotto dal suo

gruppo di lavoro ha tirato fuori dalla tasca, per rispon-

dere ad una chiamata, un fiammante iPhone 7 Plus.

“Huawei chiede a tutti di usare i prodotti della concor-

renza, se vendono tanto è perché hanno delle cose

buone e solo provandoli ci accorgiamo cosa possiamo

migliorare e dove dobbiamo intervenire” ci spiega Pier

Giorgio Furcas, Deputy General Manager Consumer

Business Group di Huawei Italia. “E questo vale in tutto

il mondo, aggiunge il manager, anche in Italia usiamo

ogni tanto come secondo telefono Samsung o iPhone”.

Come non si vergogna affatto a mostrare una interfac-

cia EMUI con tanti tratti in comune con iOS di Apple

o un Mate 9 Porsche Design, che assomiglia davve-

ro tanto ad un Galaxy S7, Huawei non si fa problemi a

stroncare soluzioni che invece a suo avviso non sono

vincenti. “Avevamo messo sul Mate S lo schermo con

rilevamento di pressione come sull’iPhone 6S” - spiega

Sim Wang - “ma poi abbiamo capito che non era così

utile come si pensava e abbiamo preferito levarlo per

tenere il prezzo più basso.” Le idee buone restano e

si possono migliorare, ma se una idea non è vincente,

come ad esempio la rimozione del jack audio, Huawei

sceglie comunque la sua strada.

5 - Huawei è concreta, come lo sono i cinesi: si guar-da subito alla sostanzaAbbiamo chiesto a James Zou quale sarà secondo lui

la prossima grande rivoluzione nel mondo dell’elet-

tronica di consumo e la risposta, diretta e sincera, ci

ha colpito: “Realtà virtuale”. Non ci mettiamo molto a

capire il perché di questa risposta: ci è bastato infatti

spendere qualche ora per visitare una delle più gros-

se fiere tecnologiche cinesi, l’Hi Tech Cina di Shenzen,

per renderci conto che mentre in Europa e in America

tutti stanno ancora pensando quale può essere l’appli-

cazione perfetta per la realtà virtuale, perdendo tempo

in demo tanto affascinanti quanto inutili, in Cina le idee

le hanno ben chiare da tempo. Sono già nate infatti in-

tere sale giochi basate su visori di realtà virtuale, dai

simulatori di tuta alare ai roller coaster per passare alle

arene di combattimento e alle corse con le slitte i cinesi

hanno già capito come trasformare una nuova tecnolo-

gia, la realtà virtuale, in un business di successo capace

di fare utili. La stessa praticità Huawei l’ha adottata nei

suoi prodotti e continuerà a farlo.

6 - Huawei produce già gli smartphone con i robot, sono più precisi degli umaniApple produce in Cina, e continuerà a farlo fino a quan-

do Trump non deciderà che deve tornare a produrre

in America se vuole usufruire di vantaggi fiscali. Nelle

fabbriche Foxconn centinaia di migliaia di cinesi in bat-

terie producono iPhone, Watch, MacBook insieme ad

altre centinaia di prodotti destinati ai mercati di tutto

il mondo, dall’Xbox One alla Playstation. Foxconn pro-

duce anche smartphone Huawei, ma solo ed esclu-

sivamente i prodotti di fascia bassa: “L’outsourcing

conviene per certi tipi di prodotti, conferma Zou, ma

per i prodotti di punta non ci affidiamo agli umani ma

abbiamo una linea produttiva interamente robotizzata”.

Scopriamo quindi che i modelli top di Huawei, in que-

sto momento il Mate 9 e il Mate 9 Porsche Design e

prima di loro il P9 e il P9 Plus, vengono prodotti in una

fabbrica dove l’uomo ha solo un ruolo di controllo e di

gestione, nello specifico il caricamento dei componenti

in esaurimento all’interno delle enormi macchine robot.

L’assemblaggio e il montaggio degli smartphone top di

gamma è totalmente automatico e viene fatto con una

precisione che l’uomo non può avere, dal serraggio

delle viti alla deposizione degli adesivi. “Utilizzare i ro-

bot ad oggi costa di più, non solo per la manutenzione:

programmare un robot per fare uno smartphone è de-

cisamente più difficile che insegnarlo ad un uomo, ma

il risultato ci dà ragione”. Non è escluso che, in futuro,

tutta la produzione possa essere automatizzata con

benefici a tutti i livelli. Cade qui un altro mito occiden-

tale, quello delle batterie di cinesi chini su un tavolo a

montare smartphone senza pause e con turni di lavoro

massacranti: paradossalmente Huawei utilizza l’assem-

blaggio umano molto meno di quanto facciano le mul-

tinazionali americane e europee.

segue a pagina 18

Una antenna 5G: Huawei insieme a Ericsson è uno dei giocatori più importanti.

Un bel simulatore di tuta alare: dal ventilatore frontale ai movimenti la sensazione di realismo è notevole.

9.2 miliardi di dollari l’investimento in R&D nel 2015.

Batterie di server nella divisione che sta studiando soluzioni per l’IoT.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

Non è ancora pronta perché...1 - Solo gli smartphone non bastano per diventare la nuova SamsungLa strategia consumer di Huawei per diventare nume-

ro uno ruota esclusivamente attorno al business che

conosce meglio, quello delle telecomunicazioni. Una

scelta che riflette la praticità di una azienda che non

vuole né sbagliare né perdere tempo: è consapevole

dei suoi mezzi e del suo vantaggio tecnologico in un

campo che conosce bene. Grazie a quanto ha appreso

nel mondo enterprise è convinta di poter realizzare fin

da oggi smartphone migliori di quelli dei suoi competi-

tor. Questo però potrebbe non bastare: se togliamo le

briciole composte da qualche tablet con Windows e da

qualche accessorio per smartphone, non ci sono altre

categorie di prodotto che non siano gli smartphone. La

notorietà di Apple, di Samsung e prima di loro di Sony e

delle grade aziende giapponesi è stata costruita attor-

no ad un portafoglio di prodotti ricco e variegato, che

tocca anche la casa. Se vorrà lasciare un solco profon-

do nella storia della tecnologia, Huawei dovrà per for-

za di cose diversificare il suo business, guardando non

tanto a settori che ormai sono in “decadenza” come

TV e audio ma più che altro a automotive, Internet of

Things e smarthome. E, da quando abbiamo visto, ci

sta già timidamente provando.

2 - Huawei è solo una delle tante brave aziende cinesi che stanno emergendoHuawei è il fiore all’occhiello di una Cina tecnologica

che fino ad oggi ha realizzato i prodotti per l’occidente

e che ora ha voglia di dimostrare al mondo intero che

non solo può produrre, ma può anche creare e stupi-

re. In scia a Huawei, anche se ancora distanti, ci sono

moltissime altre aziende cinesi altrettanto brave e altret-

tanto valide. Basti pensare ad una One Plus, che tanto

piccola non è, capace di realizzare uno smartphone di

eccellente qualità come il One Plus 3T oppure a Xiao-

mi e Meizu, altri due marchi che sono rimasti troppo a

lungo “chiusi” all’interno della Muraglia e non vedono

l’ora di far vedere al mondo che ci sono anche loro. Riu-

sciranno insieme a creare una devastante onda d’urto

per il mercato o finiranno solo per ostacolarsi uno con

l’altro?

3 - Manca un prodotto che identifichi Huawei come leader anche nell’innovazioneL’impressione che ci siamo fatti, dopo una settimana in

Cina è che i cinesi siano ancora più bravi a insegui-

re che a guidare il gruppo, e questo in tutti i settori,

dalla moda alla comunicazione, alla tecnologia. La

divisione enteprise di Huawei ha saputo distinguersi

proponendo nel corso del tempo soluzioni innovative

e uniche, prodotti e brevetti che ancora oggi le ven-

gono riconosciuti, la divisione consumer non è ancora

riuscita a creare quel prodotto simbolo che possa in

qualche modo dare a Huawei la chiave del tempio

degli innovatori. Apple ha creato nel corso degli anni

molti prodotti che hanno fatto la storia, e lo stesso pos-

siamo anche dire di Samsung: il TV a LED è merito

dell’azienda coreana, lo stesso concetto di phablet è

un’intuizione Samsung e se si guarda al passato ci si

accorge che Samsung fu la prima a lanciare sul merca-

to una action camera, la EgoCam, forse un po’ troppo

d’anticipo rispetto ai tempi ma l’idea comunque c’era.

Huawei ancora un prodotto simbolo non lo ha realiz-

zato, e nessuno vince una coppa senza portare a casa

qualche vittoria.

4 - Gli Stati Uniti restano un tabùLa quasi totalità del fatturato di Huawei viene fatto con

Europa, Asia e Americhe, fatta eccezione per gli Stati

Uniti. La tecnologia di Huawei, soprattutto per quan-

to riguarda gli apparati di rete, non è ben vista negli

States per ragioni legate soprattutto alla sicurezza: il

timore che i cinesi possano avere in qualche modo

accesso alle telecomunicazioni americane è un’ipote-

si che nessuno in America ha mai voluto prendere in

considerazione. Inutile dire che il problema non sussi-

ste, anche perché nel mondo la maggior parte degli

operatori di rete usa Huawei senza problemi, Vodafo-

ne inclusa, e qualcuno ci suggerisce che la reticenza

a stelle e strisce nell’usare prodotti Huawei è dovuta

quasi esclusivamente alla difficoltà di accesso per gli

enti governativi a quegli apparati, cosa che impedireb-

be alla NSA di installare spyware e software di sorve-

glianza di massa. Tralasciando complotti e teorie alla

Snowden, l’assenza di Huawei negli States in qualche

modo potrebbe ostacolare la scalata alla leadership

del colosso cinese, soprattutto nel segmento consu-

mer. I rapporti tra Huawei e le aziende americane poi

sono tutt’altro che idilliaci, soprattutto quello con Goo-

gle, incrinato dalla recente vicenda legata ai Google

Pixel. Google avrebbe infatti voluto Huawei come part-

ner per i suoi smartphone, Huawei in cambio voleva

apporre il brand sul retro: è saltato tutto, e ora i Pixel

li produce HTC.

5 - Non si può vivere solo di hardwareHuawei è nato come produttore di hardware e al

momento vuole restare produttore di solo hardware

perché questo è quello che sa fare bene. Nel mondo

delle telecomunicazioni, dove è leader, questa è una

scelta vincente, anche perché Huawei deve fornire

una ottima infrastruttura di base che gli operatori e i

suoi partner implementano e gestiscono come meglio

credono con le loro soluzioni proprietarie. Nel mondo

degli smartphone essere un puro produttore potreb-

be non bastare: Huawei oggi smette di guadagnare

quando vende un Mate 9 o un P9, Apple in quel mo-

mento inizia a guadagnare. La soluzione per il produt-

tore cinese è ridurre i costi producendo tutto in casa,

dal primo all’ultimo componente, così da aumentare

i margini di guadagno e profitto, ma questo in futuro

potrebbe non bastare se l’obiettivo è riuscire ad ave-

re una divisione consumer forte e indipendente come

quella business. Anche perché, inutile girarci attorno,

oggi la divisione consumer è solo una stella, seppur

luminosa, della enorme galassia di prodotti di rete e

infrastruttura Huawei.

6 - Troppo convinti delle loro capacità Un leader globale dev’essere globale“Make it possible” è il pensiero che spinge i quasi

200.000 dipendenti Huawei a migliorare giorno per

giorno i loro prodotti per diventare i numeri uno, e

l’obiettivo finale è dimostrare che la Cina ce la può fare.

Il nome stesso Huawei, tradotto, significa “La Cina può

riuscirci”, ed è evidente che il marchio punta ad emer-

gere nel mondo come brand cinese. “Se c’è un inge-

gnere americano bravissimo a creare le antenne vuol

dire che anche un cinese, se studia e si applica, può

riuscirci. Anzi, sicuramente può fare di meglio”. Que-

sto è bene o male il pensiero che guida ogni azienda

cinese, tuttavia è davvero difficile emergere se non si

prendono elementi da tutte le altre culture: i dipendenti

stranieri stanno aumentando a vista d’occhio, i centri

r&d anche ma gran parte della ricerca e dello sviluppo

viene ancora fatto in Cina. Per diventare leader globale

Huawei deve iniziare a strappare i migliori ingegneri e

i migliori sviluppatori a Apple, a Google, a Microsoft,

a Ericsson e alle altre multinazionali. Una bilancia in

perfetto equilibrio, ma anche una bilancia che trascura

l’effetto temporale: rispetto alle altre realtà affermate

del consumer Huawei è quella che ha bruciato più di

tutti le tappe. E’ giovane, dinamica e atipica per esse-

re una società cinese, e soprattutto ha dimostrato con

ogni generazione di prodotti di tenere il passo degli

altri aggiungendo talvolta anche qualcosa in più. I con-

sumatori le danno fiducia, le aziende stesse le danno

fiducia, perché nessuno avrebbe mai pensato di vede-

re i loghi Leica e Porsche su uno smartphone cinese , e

mese dopo mese i numeri crescono. Stare in scia come

abbiamo detto è facile, è il sorpasso la manovra delica-

ta: un errore e sei fuori. Una cosa è sicura: il prossimo

anno, con il testa a testa tra Samsung e Huawei, ci sarà

davvero da divertirsi.

MOBILE

Huawei ai raggi Xsegue Da pagina 17

Mate 9 e Leica nel negozio dell’azienda tedesca a Shangai: anni fa un accostamento simile sarebbe stato considerato eresia pura.

Batterie di server nella divisione che sta studiando soluzioni per l’IoT.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Franco AQUINI

S econdo quanto comunicato a

Bloomberg da una fonte coinvol-

ta nello sviluppo, il nuovo Sam-

sung Galaxy S8 dovrebbe avere un

display senza cornici e il tasto home

virtuale. Un cambiamento, se fosse

confermato, radicale rispetto al passa-

to e in parte sicuramente giustificato

dalla necessità di rottura col recente

passato, segnato dal brutto affare del

Galaxy Note 7.

Samsung ha quindi bisogno di un nuo-

vo top di gamma innovativo, se è vero

che il nuovo iPhone, atteso per la fine

del 2017, adotterà un display OLED e

anche un nuovo design. Per farlo non

rimane quindi che affidarsi alla stessa

soluzione già adottata da Xiaomi con il

concept phone Mi Mix, che adotta un

display che copre il 91% della super-

ficie frontale. Certo rimangono molti

dettagli da definire, come la capsula

auricolare, le fotocamera frontale, tutta

la sensoristica posta sulla parte fronta-

le del telefono e infine il tasto home,

che finora Samsung ha preferito fisico

anche per la presenza del sensore

biometrico. Molte voci parlano inoltre

di funzionalità basate sull’intelligen-

za artificiale radicalmente differenti

rispetto ai modelli precedenti, grazie

anche all’apporto della recentemente

acquisita Viv Labs, fondata da svilup-

patori del team di Siri. La notizia, se

bene si tratti solo di un rumor, fa il paio

con quella che parla dell’assenza del

jack audio analogico sul prossimo S8. Stretegia per fornire un auricolare

audio wireless di alta gamma o sempli-

ce inseguimento della rivale di sempre

Apple? Tutti dubbi che verranno fugati

a breve se, come sembra, il nuovo fla-

gship Samsung verrà svelato durante il

Mobile World Congress di Barcellona.

MOBILE Bloomberg afferma che Samsung è pronta a rivoluzionare il design del Galaxy S8

Galaxy S8, senza cornici e senza tasto fisico Per l’S8 si parla di display full frame senza cornici, simile a quello Xiaomi, e tasto home virtuale

di Dario RONZONI

E ra il 18 maggio scorso quando Nokia

ufficializzava un accordo di licenza

esclusiva con HMD Global, un’ema-

nazione della stessa azienda finlandese

nata con fini operativi dopo la cessione

della divisione featurephone Nokia da

parte di Microsoft a FIH Mobile, sussidia-

ria del colosso taiwanese Foxconn. Ora

da Espoo è arrivata la conferma dell’inizio

delle attività: HMD Global sarà la nuova

casa dei telefoni marchiati Nokia, in base

a un accordo della durata di dieci anni.

Nokia, che non è né azionista né inve-

stitore di HMD Global, riceverà royalty

per ogni device, smartphone o tablet,

venduto col proprio marchio, di cui

continua a mantenere la proprietà intel-

lettuale. Nonostante il regno Microsoft

abbia decisamente appannato l’imma-

gine dello storico produttore finlande-

se, l’appeal del marchio resta forte tra i

consumatori, stando almeno alle dichia-

razioni di Brad Rodrigues, presidente

ad interim di Nokia Technologies, ed è

da questa certezza che il nuovo corso

vuole ripartire. Intanto sul sito di Nokia

si comincia a fare spazio per l’arrivo dei

nuovi smartphone motorizzati Android,

che dovrebbero vedere la luce entro la

metà del 2017.

MOBILE Dalla Finlandia arriva la comunicazione ufficiale dell’inizio delle attività di HMD Global

Nokia, i primi smartphone Android a metà 2017I primi smartphone e tablet del nuovo corso vedranno la luce dalla metà del nuovo anno

Arriva Bluetooth 5 più veloce, con un raggio più ampio e pensato per l’IoTÈ finalmente disponibile la quinta generazione del noto standard di connessione wireless due volte più veloce e pensato per collegare i dispositivi dell’Internet of Things di Giulio MINOTTIDopo l’annuncio dello scorso giu-gno da parte del Bluetooth Special Interest Group (SIG), la quinta ver-sione del famoso standard di co-municazione wireless è finalmente pronta per il mercato. Bluetooth 5, secondo le dichiarazioni ufficiali, sarà due volte più veloce (fino a 2 Mbps) e con un raggio d’azione quattro volte più ampio rispetto al Bluetooth 4.2. Avrà, inoltre, consu-mi in linea con l’attuale generazione ed una capacità trasmissiva dei dati otto volte superiore, con un occhio di riguardo al mondo IoT: “Blue-tooth sta rivoluzionando il modo in cui le persone vivono l’esperienza dell’IoT. Bluetooth 5 continua a gui-dare questa rivoluzione offrendo connessioni IoT affidabili e incenti-vando l’adozione dei beacon, che a loro volta ridurranno le barriere di connessione, consentendo una perfetta esperienza dell’IoT” ha dichiarato Mark Powell, Direttore Esecutivo di Bluetooth SIG.Questa nuova versione promette, infatti, anche beacon Bluetooth più efficienti, una tecnologia che per-mette ai dispositivi di trasmettere e ricevere dati entro brevi distanze, utilizzata da esempio dai negozi per contattare potenziali clienti. Inoltre il Bluetooth 5 sarà anche in grado di ridurre le interferenze con altre connessioni wireless come Wi-Fi e LTE, con una maggiore ef-ficienza nell’uso dei canali di tra-smissione sulla banda 2.4Ghz. I pri-mi prodotti compatibili con questo nuovo standard dovrebbero entra-re in produzione tra qualche mese (da 2 a 6 mesi), per poi diventare mainstream entro la fine dell’anno prossimo.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Gaetano MERO

M icrosoft è pronta a trasferire

l’intera esperienza desktop su

dispositivi mobili dotati di pro-

cessori con architettura ARM grazie (an-

che) alla collaborazione con Qualcomm,

confermando quanto già trapelato online. Tutti i programmi disponibili per

la versione classica di Windows saranno

dunque eseguibili anche su smartphone

e tablet. Dopo l’esperienza non proprio

appagante, soprattutto per gli utenti,

di Windows RT (nato appunto per per-

mettere l’installazione di Windows su

dispositivi basati su architettura ARM), la

Casa di Redmond ci riprova accorciando

le distanze tra PC tradizionale e device

come tablet e smartphone permettendo

a questi ultimi l’accesso al vastissimo

parco applicazioni di cui dispone Win-

dows. I programmi funzioneranno pro-

prio come su macchine con chipset Intel

assicura Terry Myerson in un’intervista a

The Verge, questo permetterà ai produt-

tori di concepire portatili, smartphone e

tablet sempre più veloci e con maggiore

autonomia, andando incontro alle esi-

MOBILE Windows 10 presto sui dispositivi mobili con CPU ARM, grazie anche a Qualcomm

Windows 10 sui device con processore ARM I programmi per Windows saranno eseguibili anche su smartphone e tablet, come su PC

genze di mercato.

Microsoft ha dimostra-

to in un video come

può girare Photoshop,

uno dei programmi

che richiede maggiori

risorse, il browser Edge

e l’applicativo Word su

un dispositivo dotato di

processore Qualcomm

Snapdragon 820 e 4

GB di RAM in modo

assolutamente fluido.

Proprio allo stesso modo di come acca-

de su un PC desktop con maggiori risor-

se hardware.

L’emulatore al momento non eseguirà

le versioni delle applicazioni a 64-bit,

ma questo pare non essere un grosso

problema dato che la maggior parte

dei programmi sono pensati in 32-bit e

molti offrono la doppia edizione. “I clienti

sono alla ricerca di dispositivi con una

migliore durata della batteria e dotati di

connettività cellulare” ha detto Myerson,

questo significa che anche i futuri smar-

tphone Windows potranno eseguire le

applicazioni desktop complete, imple-

mentando quindi quello già iniziato dalla

società con il sistema Continuum.

Una piattaforma universale pare esse-

re il futuro per Microsoft, in merito alla

concorrenza tra Intel e Qualcomm che

potrebbe diventare sempre più sostenu-

ta la società di Redmond spiega che la-

scerà alle case produttrici piena libertà di

scelta, e assicura che con Intel i rapporti

sono quantomai solidi visti i tanti progetti

in cantiere. Gli interrogativi sui futuri pro-

dotti con architettura ARM e Windows 10

a bordo sono tanti, tuttavia c’è ancora da

attendere visto che i primi device non

vedranno la luce ancora per molti mesi.

di Franco AQUINI

Alla conferenza WinHEC 2016,

Microsoft ha svelato molti dettagli

interessanti riguardanti Project EVO,

tra cui i requisiti minimi richiesti per i PC

a cui verrà collegato. Ricordiamo che

Project Evo è il progetto di Microsoft de-

dicato ai visori per la realtà virtuale a co-

sto contenuto e adatti a una moltitudine

di scopi: nelle intenzioni del produttore,

Project Evo è la piattaforma consumer

(quella hi-end resta Hololens) per la quale

è previsto il coinvolgimento di una serie

di produttori hardware come Acer, ASUS,

Dell, HP e Lenovo. Le caratteristiche tecni-

che richieste appaiono molto più contenu-

te rispetto alle controparti Oculus e HTC,

in particolare per quanto riguarda la sche-

da video. Si parla addirittura del supporto

di GPU Intel integrate, di conseguenza c’è

la conferma che sarà veramente la realtà

PC Alla conferenza WinHEC 2016 Microsoft svela le novità sul futuro di Windows e di Project EVO

Microsoft rivela i dettagli di Project EVOComunicate le caratteristiche tecniche richieste per supportare la realtà virtuale di Windows 10

virtuale per qualsiasi PC

in commercio (o quasi).

Di seguito i requisiti:

• CPU: Intel Mobile

Core i5 (es. 7200U)

• GPU: Intel® HD

Graphics 620 (GT2)

equivalente o superiore

con DirectX12

• RAM: 8GB Dual Chan-

nel, o più

• HDMI: HDMI 1.4 con supporto a risolu-

zione 2880x1440 @ 60 Hz, HDMI 2.0 o Di-

splayPort 1.3+ con supporto a risoluzione

2880x1440 @ 90 Hz

• HDD: 100GB o più SSD o meccanico

• USB: USB 3.0 Type-A o USB 3.1 Type-C

con DisplayPort Alternate Mode

• Bluetooth 4.0: per gli accessori

Project EVO, oltre a portare la realtà virtua-

le al grande pubblico (secondo le speran-

ze di Microsoft), permetterà a Windows 10

di integrare molte nuove funzionalità. Tra

la possibilità di utilizzare Cortana in ma-

niera simile a come si utilizza Amazon

Echo o Google Home, un nuovo sistema

di riconoscimento biometrico di Windows

Hello, audio spaziale e supporto all’HDR.

Tutte novità largamente attese nel pros-

simo, grande aggiornamento di Windows

10, il Creators Update, atteso per la metà

del 2017.

Sony vuole essere la prima a rilasciare Android 7.1.1 (Google a parte)Il team di sviluppo Sony sapere vuole rilasciare la prossima versione prima di tutti gli altri produttori diversi da Big G. Sarebbe già tutto pronto, in attesa solo degli ultimi test di compatibilità di Alvise SALICE

Stando ad un rumor apparso su Xperia Blog, Sony Mobile sembra abbia messo nel mirino un ambi-zioso obiettivo: rendere disponibi-le la prossima versione di Android Nougat (la 7.1.1) per prima. Dopo Google, per la precisione, ma in anticipo su tutti gli altri produttori di smartphone, anche quelli che sul mercato vantano posizioni do-minanti rispetto all’azienda giap-ponese, come Samsung e LG.Sony, evidentemente, ritiene stra-tegico riuscire ad implementare prima dei competitor quelle nuo-ve caratteristiche che Android 7.1.1 sfoggia sui dispositivi Nexus e Pixel. Il team di sviluppo è già in possesso del codice sorgente, e prima di procedere attende so-prattutto la Suite per i Test di Com-patibilità da parte di Google. Dopo aver avviato il roll-out del recente Android 7.0.1 su Xperia X Perfor-mance e Xperia XZ, Sony Mobile ha dichiarato “La nostra priorità è uscire per primi col prossimo update. Se doveste accorgervi che qualche altro produttore sarà riuscito a rilasciarlo più rapida-mente di noi, preparate pure i po-modori marci!”.Riusciranno i giapponesi ad esse-re stavolta più rapidi di coreani e cinesi?

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

GAMINGTra le tante novità gaming c’è posto per una modica delusione: sul fronte PlayStation VR c’è davvero poco da dire

The Last of Us 2, Crash Bandicoot: ecco il futuro della PS4 Dal palco del PlayStation Experience arrivano buone nuove sui titoli futuri che accompagneranno i giocatori nei prossimi anni

di Francesco FIORILLO

N el corso dell’immancabile show pre natalizio or-

ganizzato da Sony, il colosso nipponico ha svela-

to alcune novità legate all’universo PlayStation.

Uncharted 4 The Lost Legacy, la nuova espansione

single player dedicata all’ultimo capitolo della saga

con protagonista Nathan Drake, ha aperto le danze

mostrandosi in un lungo e interessante filmato di ga-

meplay. Il DLC, che permetterà ai giocatori di vivere

una nuova epopea vestendo i panni di Chloe (la co-

protagonista di Nathan già apparsa nel secondo ca-

pitolo) proporrà anche piccole variazioni nel game-

play, implementando tutta una serie di meccaniche

tipicamente Stealth.

Capiterà cosi di dover scassinare una serratura,

muoversi silenziosamente nell’ombra o, ancora, di

evitare un gruppo di nemici sgattaiolando sul corni-

cione di un edificio abbandonato.

Uncharted 4: The Lost Legacy

The Lost Legacy sarà un DLC standalone e potrà

essere quindi giocato anche da chi non possiede il

gioco completo.

Una data d’uscita precisa non è stata però divulga-

ta, ma tra le varie ambientazioni sarà presente un

inedito mix fatto di scenari urbani, giungle e antiche

rovine indiane.

Marvel Vs Capcom

Passata questa prima esclusiva, sul palco si sono

susseguiti tutta una serie di progetti piuttosto inte-

ressanti. Il nuovo capitolo del picchiaduro ad incontri

Marvel Vs Capcom, omaggiato questa volta dall’ap-

pellativo Infinite, arriverà nel 2017 su Playstation 4,

PC e Xbox One, mentre i fan del gioco di guida arca-

de WipEout dovranno attendere la prossima estate

prima di poter riaccendere i motori delle loro navette

antigravitazionali.

WipEout Omega Collection

WipEout Omega Collection non sarà però un nuovo

capitolo della storica serie ma, semplicemente, una

raccolta ri-masterizzata per PlayStation 4 che inclu-

derà WipEout HD, WipEout Fury e WipEout 2048.

Tutti i titoli potranno vantare su PS4 Pro una risolu-

zione 4K dinamica, 60 frame al secondo e l’imple-

mentazione dell’HDR. Il pacchetto sarà disponibile

nel corso dell’estate e offrirà in totale nove modalità,

tra le quali spicca la carriera di Wipeout 2048, venti-

sei percorsi e ben quarantasei differenti navicelle.

Anche l’iconico Crash Bandicoot è pronto a tornare

su PlayStation 4. Dopo l’annuncio all’E3 da parte di

Shawn Layden, l’evento PlayStation Experience ha of-

ferto la possibilità di dare finalmente uno sguardo al

gioco. Crash Bandicoot N-Sane Trilogy, questo il nome

scelto, è atteso nel corso del prossimo anno e permet-

terà ai nuovi (e vecchi) giocatori di rivivere le peripezie

del buffo marsupiale.

La raccolta includerà Crash Bandicoot, Crash Bandi-

coot 2 e Crash Bandicoot 3, manterrà le meccaniche

ludiche originali ma, fortunatamente, potrà contare an-

che su un comparto grafico totalmente rivisitato e, di

conseguenza, al passo coi tempi.

Il ritmo della conferenza Sony è stato piuttosto sinco-

pato e dopo aver mostrato Destiny: The Dawning, il

nuovo DLC in arrivo il prossimo 13 dicembre e desti-

nato ad ampliare le quest e gli oggetti dello sparatutto

firmato Bungie, il colosso giapponese ha dedicato un

po’ di spazio all’ultimo e discusso Resident Evil, ad Ace

Combat 7, nuovo capitolo del famoso gioco a base di

combattimenti aerei e caccia futuristici (confermando

anche il supporto per PlayStation VR) e agli immanca-

bili giochi indipendenti. Tutti i titoli indie sono sembrati

molto ispirati e dotati di stili davvero peculiari, ma su

tutti a spiccare è stato Vane: un’avventura piena di

enigmi e passaggi suggestivi, da vivere attraverso gli

occhi di una giovane fanciulla confinata in un mondo a

metà strada fra l’onirico e il post apocalittico. Anche il

vecchio gioco musicale PaRappa the Rapper tornerà

su PlayStation 4 grazie ad un semplice riedizione in

alta definizione, giusto in tempo per festeggiare il suo

ventesimo anniversario, mentre il controverso gioco di

piattaforme Knak potrà contare nel 2017 su un inatteso

(e forse superfluo) seguito. Dopo l’immancabile blocco

legato alle produzioni di stampo giapponese, da tene-

re in seria considerazione il gioco di ruolo Ni No Kuni

2 e l’adrenalinico action game Nier: Automata, svilup-

pato dai talentuosi Platinum Game, Shawn Layden ha

confermato nuovamente che il titolo automobilistico

GT Sport supporterà PS4 Pro, offrendo una risoluzio-

ne in 4K (upscalati dinamicamente) e implementando

l’HDR.

GT Sport

Sony ha inoltre colto l’occasione per rassicurare che

numerosi sono i titoli in sviluppo per il PlayStation VR

e ha mostrato un nuovo sparatutto in prima persona a

base di navicelle e scontri multiogiocatore per 4 piloti.

In Starblood Arena, atteso per la prossima primavera,

si potrà anche personalizzare la propria astronave, ma

le novità in ambito realtà virtuale si sono esaurite qui. I

riflettori del PlayStation Experience hanno poi illumina-

to nuovamente Horizon Zero Down, grazie ad un nuo-

vo filmato, e si sono spenti per offrire al pubblico pre-

sente l’ultima grande bomba: The Last of Us: Part II.

Il gioco vedrà il ritorno di Joel e di una cresciuta Ellie

e porterà avanti le vicende narrate nell’indimentica-

bile predecessore. I giocatori vestiranno i panni della

ragazza, ora diciannovenne, mentre il tema portante

dell’intera avventura sarà l’odio. Ovviamente il titolo è

alle prime fasi dello sviluppo, nessuna data d’uscita è

stata indicata e di certo quest’ultima esclusiva Sony

non apparirà sugli scaffali prima del 2018.

The Last of Us: Part II.

Crash Bandicoot

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Francesco FIORILLO

S in dal suo annuncio, avvenuto nel

corso dell’edizione 2015 dell’E3,

il programma di retro-compatibi-

lità imbastito da Microsoft ha raccolto

larghi consensi da parte dei consuma-

tori. La società di Redmond ha investito

ingenti risorse in questo interessante

progetto e attualmente il numero di ti-

toli Xbox 360 perfettamente funzionati

su Xbox One ha raggiunto la ragguar-

devole cifra dei 300 videogames.

Stando alle parole del colosso america-

no nei prossimi mesi la lista continuerà

ad espandersi e i vecchi possessori di

un gioco 360 non dovranno far altro

che inserire il disco all’interno della

loro Xbox One.

La retro-compatibilità si poggia infatti

su un sistema piuttosto semplice: chi è

in possesso di uno dei titoli della lista

GAMING Altri tre titoli per Xbox 360 sono entrati a far parte dei giochi compatibili con Xbox One

Xbox One, sono 300 i giochi retro-compatibiliNei prossimi mesi il catalogo dei giochi retro-compatibili verrà ulteriormente ampliato

acquistati in digitale lo ritroverà tra i

suoi acquisti, mentre chi ha un gioco

su disco dovrà solo inserirlo e attende-

re il completamento del download. In

quest’ultimo caso per giocare occorre-

rà comunque inserire il vecchio DVD, in

modo da verificarne ogni volta l’effetti-

vo possesso.

La serie completa di Gears of War,

Fallout3 , Assassin’s Creed 2, Fable 2

sono già presenti, me se volete dare

uno sguardo all’intera lista non dovrete

far altro che visitare la relativa pagina ufficiale di Xbox.

di Alvise SALICE

U no scherzo? Niente affatto. Con

coraggio e saggezza, alle soglie

del 2017 Casio presenta una fo-

tocamera provvista di un sensore da

appena 1.9 miseri megapixel. Un valore

che, se dal lato meramente numerico

riporta indietro di moltissimi anni nel

passato (perfino le fotocamere ante-

riori di molti smartphone vantano oggi

un pixel-count più generoso), in termini

tecnici bandisce gli specchietti per le

addole, e bada invece al sodo: 1.9 MP

significa pixel molto, molto più grandi

del normale, e di conseguenza ben

adeguati a catturare la luce. Malgrado,

infatti le dimensioni del sensore non

facciano affatto gridare al miracolo (ap-

pena 1/2.8 pollici), e la lunghezza foca-

le della lente si fermi ad un modesto

valore di f/2.8, la Exilim FR110H promet-

te sufficienti performance in low-light,

soprattutto in quelle situazioni dove

sarebbe scomodo e rischioso portarsi

dietro una più performante (ma delica-

ta) reflex DSLR. Exilim FR110H: compro-

messo perfetto?

FOTOGRAFIA Casio ha presentato la Exilim FR110H, una fotocamera “rugged” low-light

Casio ha una action cam che vede al buio Ha un sensore solo da 1.9 Mpx, ma è in grado di catturare la luce anche in situazioni difficili

La nuova diavoleria Casio è infatti prov-

vista di caratteristiche “rugged”, grazie

ad una scocca compatta e soprattutto

a prova di urti, polvere ed acqua.

L’obiettivo, flessibile e comodamente

distaccabile dal dorso, vanta una rag-

guardevole apertura grandangolare

di 20 mm-equivalenti. Può registrare

video in 1080p, realizzare scatti in low-

light toccando il poderoso valore ISO

di 51200. Probabilmente si tratta di

una cifra esistente solo sulla carta, e

che riempirà le immagini di così tanto

rumore video da renderle inservibili;

ma ecco intanto un video dimostrativo rilasciato dall’azienda giapponese

Ancora non ci è dato conoscerne il

prezzo, ma la Casio Exilim FR110H è in

uscita sul mercato giapponese

Il nuovo super computer HP è 8.000 volte più veloce di un PC normaleLa nuova architettura HP Enterprise sfrutta la luce per trasmettere le informazioni tra i componenti interni, raggiungendo velocità di calcolo strabilianti Per il momento è solo un prototipo di Andrea ZUFFI

HP ha presentato un nuovo calcola-tore ad altissime prestazioni definen-dolo il primo prototipo al mondo del-la generazione del Memory-Driven computing, secondo cui è la memo-ria, e non la potenza del processore, a guidare le performance dell’intero sistema. Secondo quanto riferito da HP Enterprise, durante la simula-zione sono state registrate velocità 8.000 volte superiori a quelle otte-nibili con computer convenzionali. Ambizioso quanto innovativo questo elaboratore sfrutta i fotoni, quindi la luce, e non gli elettroni per spostare le informazioni tra le componenti in-terne, permettendo a più processori di accedere contemporaneamente e in modo massivo alla memoria di sistema, senza il rischio che si ven-gano a creare colli di bottiglia dovuti ai tempi di trasferimento dei dati. Nel prototipo in questione inoltre la memoria totale è stata portata a 8 TeraByte, circa 30 volte quella solitamente a bordo di un server commerciale ad alte prestazioni e centinaia di volte maggiore rispetto alla RAM di un PC per “comuni mor-tali”. Nei piani di HP ci sarebbe ora lo sviluppo di banchi di memorie da migliaia di TB e l’applicazione di una nuova tecnologia sperimentale ba-sata sui “memristor”, chip in grado di non perdere i dati memorizzati, nemmeno in assenza di alimenta-zione elettrica.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Roberto PEZZALI

A quarant’anni dal lancio della prima Fiesta, Ford

cala il poker: un’auto totalmente nuova declina-

ta in quattro diversi modelli e con dotazioni tec-

nologiche incredibilmente complete se si considera

la fascia che la nuova Fiesta andrà ad occupare. Ford

è sicura: “La prossima generazione di Ford Fiesta

sarà la compatta più tecnologicamente avanzata al

mondo” e spiega anche il perché. Sarà la prima Ford

a essere dotata di una versione avanzata del siste-

ma di riconoscimento dei pedoni, che può aiutare a

evitare collisioni anche di notte, e avrà una versione

avanzata del sistema semiautomatico Active Park

Assist capace anche autonomamente di evitare i

piccoli urti durante le manovre di parcheggio.

ll fiore all’occhiello sarà il sistema audio: Ford tradisce

Sony e inizia ad utilizzare in esclusiva un sistema au-

dio B&O, azienda ora di proprietà di Samsung. B&O

Play era il marchio scelto dall’azienda danese per i si-

stemi audio consumer, ora diventa un marchio anche

per l’automotive ad uso esclusivo di Ford che da oggi

l’adotterà su tutti i modelli di auto di ogni fascia.

L’elegante Vignale, la sportiva ST-Line, la sofisticata

Titanium e la crossover Active saranno basate sulla

stessa piattaforma hi-tech, anche se ovviamente gli

optional e le varie dotazioni varieranno da configura-

zione a configurazione, e ancora i pacchetti per l’Italia

non sono stati annunciati.

Il modello top avrà a disposizione 2 telecamere, 3 ra-

dar e 12 sensori a ultrasuoni e sarà in grado di monito-

rare a 360 gradi l’area intorno all’auto; il radar, di nuo-

va concezione, ha una portata di 130 metri e funziona

in ogni condizione, avvisando tempestivamente chi

guida di un possibile ostacolo lungo la carreggiata.

Derivato dalle auto di classe superiore il sistema di

frenata automatica d’emergenza con assistenza

pre-collisione e riconoscimento dei pedoni: una vi-

deocamera grandangolare riconosce la presenza di

persone in prossimità dell’auto, e funziona anche di

notte se queste vengono illuminate dalla luce dei fari

anteriori per evitare incidenti mortali.

Clicca qui per il video.

Sempre dalle auto di categoria premium arriva sulla

Fiesta anche il sistema di parcheggio semiautomatico

Active Park Assist (manovre sia in parallelo che in per-

pendicolare), che grazie ad un aggiornamento softwa-

re ora frena da solo se il guidatore durante la manovra

assistita non interviene per evitare un impatto.

Clicca qui per il video.

“Per alcuni guidatori, vedere per la prima volta la pro-

pria auto parcheggiarsi da sola può essere talmente

sorprendente da generare distrazione”, ha spiegato

Darren Palmer, Small Car Vehicle Line Director, di Ford

AUTOMOTIVE Fiore all’occhiello del concentrato di tecnologia della nuova Fiesta è il sistema audio B&O scelto da Ford

Audio B&O Play, display, telecamere, radar, sensori La nuova Ford Fiesta fa il pieno di tecnologiaFord ha presentato a Colonia la nuova Ford Fiesta, l’auto icona del brand che spegne quest’anno 40 candeline Sarà l’automobile più tecnologica del suo segmento, con un sistema audio firmato B&O e innovativi aiuti alla guida

Europa. “L’intervento automatico dei fre-

ni durante l’uso dell’Active Park Assist, in

questa come molte altre occasioni, aiuta

a prevenire piccoli incidenti e a rendere

le manovre di parcheggio ancora meno

stressanti”.

Clicca qui per il video.

Tra le altre feature troviamo il sistema

di riconoscimento dei segnali stradali

(Traffic Sign Recognition), aggiornato per

distinguere i limiti di velocità delle singo-

le corsie autostradali mostrati sui cartelli

sovrastanti, gli abbaglianti automatici e il

monitoraggio del traffico in arrivo (Cross Traffic Alert),

che avvisa il guidatore, durante la retromarcia, della

presenza di veicoli in avvicinamento.

Su Fiesta sbarca anche Sync 3, il sistema di connet-

tività e comandi vocali Ford compatibile anche con

Car Play di Apple e Android Auto. L’interfaccia viene

disegnata su un nuovo touch-screen capacitivo da 8

pollici (ma c’è anche la versione da 6.5”), più veloce

e reattivo, e non mancano i comandi vocali disponibili

anche “offline” in grado di riconoscere anche frasi in

linguaggio naturale come ‘Devo fare rifornimento’ o

‘Trova un parcheggio’.

La camera sul retro che avvisa il guidatore di pericoli negli angoli morti.

segue a pagina 25

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

Tutti gli schermi disponibili sono ad alta risoluzione e

rispetto a quelli usati dai concorrenti hanno, secondo

Ford, il doppio della luminosità per una maggiore leg-

gibilità in ogni condizione di luce. Per stare al passo

con le esigenze della nuova generazione non ci sarà

il CD, optional, ma non mancheranno Bluetooth per

streaming, doppia USB e radio DAB.

Come accennato in apertura, il sistema B&O Play sarà

un po’ la chicca: la taratura verrà fatta su misura per

ogni veicolo e grazie ad un DSP di equalizzazione

AUTOMOTIVE

Nuova Ford Fiestasegue Da pagina 24

dinamica sarà ottimizzato l’ascolto nella posizione di

guida e nei vari sedili. Cose già viste, ma non certo su

un’auto che sarà davvero alla portata di tutti.

Il sistema B&O PLAY a bordo della Fiesta si avva-

le di 10 diffusori, tra cui un subwoofer installato nel

bagagliaio, quattro diffusori a due vie nelle portiere

e un diffusore per medie frequenze posizionato sul

pannello strumenti, dove campeggia il logo in allumi-

nio B&O PLAY. La potenza totale del sistema è pari

a 675 watt.

Fiesta arriverà in Italia la prossima estate, tra le mo-

torizzazioni troveremo il classico 3 cilindri EcoBoost

1.0 in 3 step di potenza, da 100, 125 e 140 cavalli, il 3

cilindri 1.1 aspirato da 70 e 85 cavalli e il TDCi 1.5 da

85 e 120 cavalli tutti Euro 6. Un nuovo pulsante Eco

permetterà di regolare il motore per aiutare i guida-

tori a risparmiare carburante quando non hanno ne-

cessità di prestazioni superiori.

Non ci sono ovviamente motorizzazioni ibride o elet-

triche, anche se Ford ha annunciato di voler puntare

molto sull’elettrico: Ford con la Fiesta vuole propor-

re un’auto completa, tecnologica e compatta ad un

prezzo che non sarebbe compatibile con una moto-

rizzazione più “green”.

AUTOMOTIVE

Ottime valutazioni per Chrysler PacificaAl momento solo con una ibrida Plug-in, il gruppo FCA ha fatto il suo ingresso nel mondo delle auto elettri-che di serie. La prima nata è Chrysler Pacifica, la prima vettura famigliare che permette di avere almeno un mi-nimo di range in elettrico puro, e con i suoi 34.495 $ un costo accessibile. La batteria da 16 kWh è posizionata sotto i sedili per non togliere spazio di carico: 53 km di autonomia solo elettrica dopo le prime prove e i test dell’EPA, più del tipico tragitto quoti-diano di una famiglia media. Ciò che rende diversa la Pacifica è anche la provenienza delle soluzioni tecniche del powertrain: per il minivan un team interno ha sviluppato nuove tecnologie, a dimostrazione che le competenze tecniche nel gruppo ci sono. Resta da capire quando FCA con Fiat, Lancia e Alfa Romeo deci-derà di offrire auto elettriche o ibride plug-in anche nel mercato nostrano.

di Giulio MINOTTI

D opo numerosi rumor, Apple esce

allo scoperto confermando uffi-

cialmente il suo lavoro sulle auto a

guida autonoma. In una lettera inviata da

Cupertino alla NHTSA (National Highway

Safety Administration), l’ente governativo

statunitense dei trasporti, viene infatti di-

chiarato l’interesse dell’azienda per que-

sto settore. Il responsabile dell’integrità

del prodotto Steve Kenner ha dichiarato

“L’azienda sta investendo pesantemen-

te nello studio del machine learning ed

è entusiasta per le potenziali applica-

zioni dei sistemi automatizzati in nume-

rosi campi, incluso quello dei trasporti”.

Notizia confermata anche da una di-

chiarazione di Apple al Financial Times

“Abbiamo fornito considerazioni alla

NHTSA perché Apple sta effettuando

importanti investimenti nel machine

learning e nei sistemi autonomi. Ci

sono molte potenziali applicazioni per

queste tecnologie, compreso il futuro

AUTOMOTIVE Conferme in una lettera di Apple all’ente governativo americano NHTSA

Auto a guida autonoma: Apple allo scopertoL’azienda di Cupertino conferma gli investimenti e l’interesse per le auto a guida autonoma Apple, però, sembra non abbia intenzione di produrre automobili ma solo il loro cervello

del trasporto, quindi vogliamo lavorare

insieme alla NHTSA per aiutare a defi-

nire le migliori pratiche del settore”.

In particolare nella lettera datata 22 no-

vembre l’azienda californiana conferma

la sua volontà di collaborare con l’ente

governativo per lo sviluppo delle linee

guida dei trasporti del futuro, puntando

alla condivisione dei dati sugli incidenti

tra le varie Case automobilistiche che

stanno lavorando sulle auto a guida

autonoma. Inoltre l’azienda di Cuperti-

no invita l’NHTSA a trattare allo stesso

modo i costruttori di auto e i nuovi con-

correnti come le compagnie hi-tech.

Dichiarazioni che, in generale, confer-

mano gli investimenti di Apple sulle tec-

nologie di intelligenza artificiale e di au-

tomazione. Il colosso di Cupertino non

avrebbe, infatti, più intenzione di svilup-

pare una propria vettura, in precedenza

conosciuta come Project Titan.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Massimiliano ZOCCHI

Avevano dichiarato “se pensate che

Tesla sia innovativa, aspettate di

vedere cosa faremo noi”, e di si-

curo hanno mantenuto la promessa. In-

fatti, Nikola Motor Company ha svelato

ufficialmente Nikola One e i piani futuri

di un’azienda che vuole rivoluzionare il

mondo dei camion e dei trasporti via ter-

ra, e per farlo ha un piano decisamente

innovativo. Nikola One ha un powertrain

completamente elettrico, alimentato da

batterie da 320 kWh, sufficienti per 320

km di autonomia. Ma non è tutto, infatti

un serbatoio di idrogeno e un sistema di

fuel cell tengono cariche le batterie, per

arrivare fino a 1900 km per singolo rifor-

nimento. Nelle pause però le batterie

possono anche essere ricaricate come

accade già oggi per i veicoli solo elet-

trici, aumentando quindi ancora di più il

range totale.

Il concept, che dovrebbe essere molto

vicino al modello definitivo, ha 6 motori

distribuiti sugli assi, e raggiunge 1.000 cv

di potenza, e coppia elevatissima. Come

ogni camion a lunga percorrenza che si

rispetti, è quasi una casa per l’autista, e

anche qui Nikola sale di livello. Nella ca-

bina ci saranno uno o due letti, un TV 40

pollici 4K curvo, Apple TV con connetti-

vità 4G, oltre a frigorifero, congelatore e

forno microonde. Un vero e proprio mo-

nolocale su ruote.

Ma le novità di Nikola Motor Company

non si limitano al mezzo in sé, ma a tutta

una serie di servizi per rendere il tutto

utilizzabile e profittevole. Innanzitutto

Nikola One non potrà essere acquistato,

ma sarà accessibile solo tramite leasing

in un range tra 5.000 e 7.000 dollari

AUTOMOTIVE Nikola One è un camion con sei motori, 320 kWh di batterie e fuel cell a idrogeno

Rivoluzione elettrica anche nei trasporti Nikola One cambia il mondo dei camion L’autonomia puo arrivare a 1.900 km. A bordo anche un TV 4K, Apple Tv, letto e frigorifero

mensili, nei quali ci saranno inclusi chi-

lometri illimitati, rifornimento di idrogeno

illimitato, garanzia e programma di ma-

nutenzione. Dopo 72 mesi o un milione

di miglia si potrà decidere di restituire

il camion per averne uno nuovo con un

nuovo leasing.

Come noto, le stazioni di rifornimento

di idrogeno non sono molte per ora,

quindi per sostenere tutta l’operazio-

ne Nikola realizzerà fino a 364 punti di

rifornimento. L’idrogeno contenuto in

queste stazioni arriverà tutto da diverse

solarfarm da 100 megawatt ciascuna, e

prodotto per elettrolisi. Verrà quindi tra-

sportato proprio tramite dei Nikola One,

e stoccato nelle diverse stazioni. I punti

di rifornimento non saranno accessibili

solo ai mezzi Nikola, ma anche a qualsia-

si mezzo a idrogeno, a pagamento, 3.50

dollari per Kg.

In uno scenario di questo tipo, e con un

mezzo di certo non comune, la questio-

ne assistenza e riparazioni è prioritaria, e

Nikola si è mossa anche in questo sen-

so. Ha già stretto una partnership con

uno dei più importanti attori del settore,

ovvero Ryder Systems, con 800 location

in tutto il nord America. Oltre a questo

ogni Nikola One sarà dotato del softwa-

re Nikola Shipments, per tenere sempre

sott’occhio i trasporti disponibili, i costi,

le distanze, i punti di rifornimento, oltre

all’entertainment di bordo su un display

touchscreen da 21”. Se siete interessati

potete prenotare adesso il vostro Nikola

One, con un deposito di 1.500 dollari (al

momento si parla solo di Stati Uniti), con i

primi 2.500-5.000 camion in arrivo in cir-

ca 3-4 anni. L’attesa è ancora lunga, ma

può valerne la pena.

John Deere stupisce con il trattore elettrico Al SIMA Innovation Awards, John Deere si è portata a casa diversi riconoscimenti grazie al primo prototipo di trattore elettrico Due motori indipendenti e 300 kW di potenza per l’agricoltura a emissioni zero di Andrea ZUFFI

Al SEMI Innovation Awards a Parigi, John Deere ha messo in mostra un modello di trattore completamente elettrico dalle caratteristiche molto interessanti. SESAM, questo il nome del trattore che sta per Sustainable Energy Supply for Agricultural Ma-chinery, ha una potenza massima di 300 kW, distribuiti su due motori da 150 kW ciascuno. Le batterie al litio da 130 kWh possono garantire circa 4 ore di lavoro oppure 55 km di percorrenza, e la ricarica impiega circa 3 ore. Ideale per le aziende agricole che producono autonoma-mente energia elettrica da fonti rin-novabili o da scarti agricoli, SESAM normalmente utilizza un motore per la trazione e il secondo per attivare altri dispositivi come una pompa idraulica. Se necessario però en-trambi i motori possono essere con-figurati per la trazione, o per l’azione dei macchinari. Inoltre grazie a uno speciale sistema di trasmissione, si mantiene il vantaggio del singo-lo rapporto come nelle automobili elettriche, ma con il miglior rapporto scelto in base alle esigenze impo-state dal conducente. Al momento si tratta di uno studio avanzato di fattibilità, per cui non ha ancora un prezzo. Qui un breve video di pre-sentazione.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Massimiliano ZOCCHI

COOP offre ai suoi soci in Lom-bardia un servizio di noleggio a lungo termine, in partnership

con Drive Different, ed ora per la pri-ma volta tra le vetture che si possono scegliere arriva anche un’elettrica. A disposizione dei clienti c’è la Nissan Leaf allestimento Acenta, nella nuova versione con batteria da 30 kWh; per i primi 30 ordini sarà offerta al prezzo promozionale di 299 euro al mese, con anticipo di 4.000 euro. Sul sito dedicato ilgustodiguidare.it abbiamo provato a configurare un noleggio di 60 mesi, con 50.000 km inclusi, aggiungendo anche la clausola del-l’auto sostitutiva in caso di manuten-zione, e la tabella che riportiamo è il risultato.Nel caso il cliente pensi che l’auto elettrica non sia idonea ai suoi biso-gni, è possibile abbassare il noleggio fino a 2 anni e 30.000 km, ma la rata sale a 360 euro mensili. Comunque il prezzo è interessante e permette di

AUTOMOTIVE In collaborazione con Drive Different, COOP offre ai suoi soci l’elettrica Nissan Leaf

Leaf a soli 299 euro al mese per i soci COOPAbbiamo configurato un noleggio di 60 mesi e 50.000 km inclusi, scopriamo se conviene

I Carabinieri arruolano la Renault Zoe Stanno per entrare in servizio nuove vetture elettriche per l’Arma dei Carabinieri Si tratta delle Renault Zoe da 240 km di autonomia Verranno utilizzate nelle città e nelle zone a traffico limitato Le auto sono state prese con la formula del noleggio a lungo termine di Roberto FAGGIANO

Anche i Carabinieri passano al-l’elettrico: dopo qualche esem-plare di Mitsubishi I-Miev utiliz-zato sin dal 2014, stanno per entrare in servizio le Renault Zoe, che verranno utilizzate in città e dove ci sono zone a traf-fico limitato. Non sono le prime Renault a entrare in servizio, dato che già circolano molte Clio con la livrea dell’Arma.Le Zoe sono ancora quelle con autonomia limitata a 240 km e, per risparmiare energia, per le comunicazioni con la centra-le operativa i militari a bordo dovranno usare delle ricetra-smittenti al posto delle radio di servizio. Per risparmiare risorse economiche le nuove vetture non sono state acquistate ben-sì è stato stipulato un contrat-to di noleggio a lungo termine per 5 anni e 50.000 chilometri. Il contratto prevede anche la completa manutenzione della vettura, con ulteriori risparmi per lo Stato.

provare la mobilità elettrica di qualità senza una spesa eccessiva. La ver-sione Acenta è discretamente equi-paggiata, offre fino a 250 km di au-tonomia, circa 200 reali, caricatore AC da 6.6 kW e ricarica Fast DC da

50 kW inclusi. Anche a bordo ci sono buoni allestimenti con il sistema Nis-san Connect, fari e tergicristalli auto-matici, e la modalità di guida B-mode con freno motore maggiorato, per rigenerare di più in decelerazione.

di Massimiliano ZOCCHI

S i ricorrono le notizie secondo cui

Toyota ha rivisto i suoi piani futuri

a breve e medio termine, e ha de-

ciso di mettere momentaneamente da

parte auto ibride classiche e a idroge-

no per concentrarsi maggiormente su

batterie al litio e vetture elettriche, sia

al 100% sia ibride plug-in.

La Cina è un mercato su cui puntare

tantissimo, visti gli sforzi del governo

per spingere sempre più cittadini ad

acquistare veicoli elettrici, così anche

la casa giapponese ha pronta una ver-

sione della Corolla appositamente stu-

diata per i clienti cinesi, oltre a nuovi

fondi per investire maggiormente nella

sua filiale locale. La Corolla PHEV, cioè

ibrida, ma con possibilità di essere

ricaricata anche da una presa, sarà

presentata ufficialmente nel corso del

AUTOMOTIVE Toyota spinge forte sull’elettrico, intende aggredire anche il mercato cinese

Toyota sempre più elettrica: pronta la Corolla plug inLa Corolla ibrida plug-in arriverà nel 2017. Previsti anche nuovi investimenti per la ricerca

2017, per iniziare le vendite nel 2018,

ma intanto TMEC, la filiale cinese di

Toyota, fa sapere, per parola del CEO

Hiroji Onishi, che il reparto R&D loca-

le verrà notevolmente rinforzato, con

miglioramento e ampliamento dei la-

boratori esistenti, nuove strutture per

test dedicati alle batterie, e percorsi

di prova per auto elettriche. Le dichia-

razioni di Onishi chiariscono proprio

questi intenti: “Gli sforzi saranno rivolti

a migliorare il settore locale di R&D sul

lungo periodo. Speriamo di formare e

addestrare molti ingegneri cinesi, per

sviluppare nuove auto che soddisfino

i desideri dei clienti”.

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torna al sommario 28

MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Gaetano MERO

I l produttore di automobili tedesco Daimler, la cui scuderia è compo-sta da Mercedes-Benz e Smart,

ha annunciato un investimento pari a 10 miliardi di euro per lo sviluppo di veicoli elettrici nei prossimi die-ci anni. A dichiararlo è stato Thomas

Weber, responsabile del settore ri-

cerca e sviluppo del Gruppo, durante

un’intervista per il quotidiano tedesco

Stuttgarter Zeitung successivamente

ripresa da Reuters.

“Entro il 2025 vogliamo sviluppare 10

auto elettriche” sono state le parole di

Weber, tra i modelli annunciati ci saran-

no almeno tre Smart nuove di zecca più

l’adattamento di alcuni veicoli attual-

mente in commercio. Mercedes-Benz

si prepara nel frattempo al debutto del-

la EQ Generation, un crossover elettri-

co presentato in anteprima al salone di

Parigi, che vedrà la luce probabilmente

AUTOMOTIVE Entro il 2025 Daimler vuole arrivare a produrre dieci nuovi veicoli elettrici

Daimler investe 10 miliardi nell’auto elettricaLe nuove automobili avranno un’autonomia fino a 700 Km con un solo ciclo di ricarica

nel 2019 sul quale si concentreranno i

maggiori investimenti.

Weber ha rivelato che il produttore si

impegnerà soprattutto sul fronte auto-

nomia portando le performance della

batteria ad un livello superiore, i veico-

li saranno infatti in grado di garantire

fino a 700 Km con una sola ricarica.

Una caratteristica che, se confermata,

potrebbe davvero fare la differenza nel

settore risolvendo uno dei principali

limiti delle auto elettriche. Nel frattem-

po Daimler ha anche avviato assieme

a BMW, Volkswagen e Ford un accor-

do per la costruzione di un’imponente

infrastruttura dedicata al rifornimento

di auto elettriche lungo le autostrade

d’Europa.

di Massimiliano ZOCCHI

R enault ha recentemente calato

l’asso della Zoe ZE 40, ovvero la

sua elettrica compatta, rinnovata

e soprattutto con la nuova autonomia

fino a 400 km. Le mosse del gruppo

francese sembrano non essere finite,

perché ora pare che sia allo studio una

nuova vettura più economica, sempre

totalmente a batteria e quindi desti-

nata a fare numeri più importanti. E’

quanto è emerso dalle dichiarazioni di

Gilles Normand, appena nominato SVP

Electric Vehicle, che quindi nei prossimi

mesi si occuperà di spingere al meglio

questo ramo d’azienda per Renault.

Molto probabilmente la nuova arrivata

non sarà una nuova conoscenza, ben-

sì una vettura che è sempre stata nei

piani della divisione Zero Emission, la

Twingo ZE. Originariamente prevista

nel 2014, è stata poi rinviata di anno in

anno con la giustificazione che il mer-

AUTOMOTIVE Dopo il successo della Zoe ZE 40, Renault al lavoro su un’auto elettrica più economica

Renault al lavoro su una nuova elettrica abbordabilePotrebbe essere arrivato il momento della Twingo ZE, già nei piani ma da tempo in standby

cato non aveva ancora raggiunto una

domanda adeguata.

La Twingo ZE inoltre, da progetto

originale dovrebbe avere gran parte

della componentistica in comune con

la nuova Smart Electric, che recente-

mente è stata ufficialmente presenta-

ta, sdoganando ulteriormente l’idea

che sia venuto il momento anche per

la piccola francese. L’impegno di Re-

nault sul fronte delle motorizzazioni

alternative non si ferma inoltre qui,

con il concept Eolab fermo ai box, ot-

tima base per una auto ibrida plug-in.

Si preannuncia un 2017 ricco di novità

sul fronte transalpino.

Honda Neu l’elettrica con l’intelligenza artificiale Honda prova ad incuriosire con l’annuncio di NeuV una city-car elettrica con a bordo un sistema di intelligenza artificiale in grado di provare emozioni proprie di Andrea ZUFFI

Honda svela la prima immagine del veicolo sperimentale che pre-senterà il 5 gennaio in occasione dell’edizione 2017 del Consumer Electronic Show di Las Vegas. Il produttore del sol levante pun-ta a incuriosire il pubblico con il concept di NeuV, l’auto elettrica e automatica pensata per i tra-sferimenti a corto raggio come il tragitto casa-lavoro ed equi-paggiata con emotion engine un sistema evoluto di intelligen-za artificiale dai contorni e dal-le funzionalità non ancora ben specificati. Si tratterà, secondo quanto dichiarato da Honda, di un insieme di tecnologie in grado di fornire al mezzo emozioni pro-prie. Non è ancora chiaro se sarà un assistente alla guida che, oltre a dare indicazioni stradali, intrat-terrà con barzellette il guidatore imbottigliato nel traffico serale oppure di un cruscotto smart ca-pace di interagire in modo empa-tico con gli occupanti l’abitacolo e mostrare disappunto in caso di manovre azzardate. Per ora non resta che accontentarsi dell’av-veniristica silouette che Honda ha divulgato della nuova NeuV, veicolo che ricalca lo stile della “kei car” N-Box, il mini-van del produttore nipponico dedicato agli spostamenti cittadini.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Gaetano MERO

Quattro grandi gruppi automobili-

stici hanno appena annunciato

l’avvio di una joint venture per la

creazione di una rete di ricarica ad alta

potenza lungo le principali autostrade

d’Europa dedicata ai veicoli elettrici a

batteria (BEV). A siglare l’accordo per

l’imponente infrastruttura il Gruppo

BMW, il Gruppo Daimler (a cui fa capo

Mercedes e Smart), Ford Motor Com-

pany e Il Gruppo Volkswagen con Audi

e Porsche il cui intento primario è quel-

lo di consentire ai conducenti di auto

ad energia elettrica di poter compiere

viaggi a lungo raggio, operazione finora

preclusa per una scarsa disponibilità di

colonnine per il rifornimento energe-

tico. Ciò dovrebbe favorire inoltre una

più rapida diffusione dei veicoli a trazio-

AUTOMOTIVE I lavori inizieranno nel 2017, entro il 2020 le postazioni saranno qualche migliaio

BMW, Mercedes, Ford e Volkswagen insieme per rifornimento elettrico in EuropaBMW, Mercedes, Ford Motor Company e Il Gruppo Volkswagen insieme a Audi e Porsche Accordo per infrastruttura rifornimento di auto elettriche lungo le autostrade d’Europa

ne elettrica, un mercato già ora in for-

te crescita. L’obiettivo iniziale prevede

l’installazione di 400 siti per la ricarica

in Europa ed un livello di potenza della

rete fino a 350KW, i lavori partiranno ad

inizio 2017. Entro il 2020 le postazioni

dislocate in tutto il territorio dovrebbero

essere già qualche migliaia garantendo

dunque un rifornimento sempre dispo-

nibile per i veicoli elettrici così come ac-

cade per i distributori di carburante.

La rete si baserà sullo standard Combi-

ned Charging System (CCS) compatibile

con la maggior parte dei modelli di auto

attuali ed utilizzato nei veicoli di nuova

generazione per ridurre i tempi di rifor-

nimento supportando una maggiore

potenza.

Wallbox BMW ricarica l’auto al minor costo possibileContinua l’impegno della Casa tedesca nella gamma BMWi Con il Digital Charging Service e la wallbox intelligente, l’auto verrà caricata al minor costo possibile, compresa l’energia derivante dal fotovoltaico se presente di Massimiliano ZOCCHI

Dopo i rumor di una nuova i3 rivi-sta e aggiornata, BMW aggiunge un altro tassello alla sua offerta dedicata alle auto elettriche, il Di-gital Charging Service. Grazie alla nuova BMW i Wallbox Connect, che va ad aggiungersi a quelle già esistenti, connessa costante-mente a Internet, i clienti potranno impostare i parametri del costo dell’energia elettrica, e caricare (il più possibile) con le migliori tarif-fe. Quando presente, un impianto fotovoltaico sarà tenuto in consi-derazione e sfruttato il più possi-bile. Rispetto ai vecchi modelli, la Wallbox potrà ora supportare fino a 22 kW di potenza in trifase (la i3 si ferma in AC a 11 kW). Questo significa che nuovi modelli con maggiore potenza di ricarica sono in arrivo o che BMW strizza l’oc-chio anche a chi possiede modelli di auto della concorrenza. Dotata di WiFi, la wallbox in base ai dati forniti dal cliente tiene in conto la possibile produzione di un im-pianto fotovoltaico, in base alle previsioni del tempo, e imposta autonomamente un programma di ricarica controllabile via app.Al momento non si conosce il co-sto dell’accessorio e BMW fa sa-pere che inizierà con la vendita in Germania e Olanda a inizio 2017, per poi allargarsi ad altri Paesi. Le-cito supporre l’arrivo in Italia.

di Massimiliano ZOCCHI

Tra i costruttori giapponesi, alcuni non

sono ancora saltati sul treno della

mobilità elettrica, perché ci credo-

no ancora poco o perché, come Mazda,

sono pesci più piccoli che restano alla

finestra per attendere l’evolversi della

situazione. Anche la storica casa dovrà

accodarsi, soprattutto per rispettare le

leggi americane, che la costringeranno

a vendere un minimo di auto elettriche

in California. Così il CEO Masamichi Ko-

gai ha fatto sapere durante un’intervista

che Mazda sarà pronta con una vettura

zero emissioni nel 2019. Finora Mazda

si è limitata ad alcuni test di fattibilità,

AUTOMOTIVE Il mitico motore rotativo Wankel è il marchio di fabbrica proprio di Mazda

Il motore Wankel ricaricherà la nuova Mazda elettricaAnche Mazda sta studiando l’ingresso nel settore delle auto elettriche, entro il 2019 Non è chiaro come sarà la vettura, ma verrebbe rispolverato il motore rotativo Wankel

grazie anche a una part-

nership con Toyota per

sfruttare il powertrain del-

le sue auto ibride Synergy

Drive System. Oltre a que-

ste prove, si sono viste

anche versioni elettriche

della Mazda 2, di cui una

dotata di un range extender, ma non con

un tipico motore a pistoni, bensì con il

mitico motore rotativo Wankel, marchio

di fabbrica proprio di Mazda. Ed è stato il

capo della sezione R&D Kiyoshi Fujiwara

a confermare che Mazda sta studiando

questa soluzione. Il motore Wankel usa

una camera ellittica in cui ruota un ro-

tore triangolare che crea

contemporaneamente i

tre momenti del motore a

combustione. E’ conosciu-

to come un propulsore

dall’erogazione molto li-

neare e leggerissimo, per via della man-

canza di molte componenti meccaniche.

Sarebbe quindi l’ideale come range ex-

tender, eliminando anche i problemi di

consumi di olio e carburante, facendolo

girare a regimi bassi e stabili, utili solo

a generare corrente elettrica. Recente-

mente questa soluzione non era più in

uso in nessuna vettura Mazda, tranne

che nella concept Mazda Vision. Qualun-

que sarà la decisione finale, Fujiwara ha

già chiarito che si tratterà di una vettura

in gamma convertita e non di una nuova

auto appositamente progettata.

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www.audiogamma.it

P5 Wireless.Abbiamo eliminatoil cavo ma il suonoè rimasto lo stesso.

P5 Bluethooth, musica in mobilitàsenza compromessi con 17 ore diautonomia e ricarica veloce perperformance allo stato dell'arte. Lasolita qualità e cura nei materiali diBowers & Wilkins adesso senza filigrazie alla nuova P5 S2 Bluetooth.

133_bw_P5w_pgp_ddy.qxp:- 19-09-2016 14:13 Pagina 1

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Roberto PEZZALI

U n mostro di tecnologia e potenza: così Apple ha

definito il nuovo MacBook Pro, dichiarazioni che

hanno sollevato un enorme numero di critiche,

soprattutto tra i detrattori del Mac: “Costa troppo”, “La

Touchbar è per bambini”, “Non è davvero Pro” e “Allo

stesso si comprano due PC migliori” sono solo alcune

delle obiezioni mosse da chi, forse tradito anche dal

prezzo poco popolare, ha deciso che era meglio lascia-

re il nuovo portatile Apple nei negozi.

Abbiamo in redazione da un po’ di settimane il modello

da 15”, e abbiamo scelto questo proprio per la presen-

za della configurazione più professionale rispetto alla

versione da 13”: il cuore è un processore quadcore

Core i7 Intel da 2.6 Ghz, mentre per la grafica all’inter-

no dello chassis in alluminio è stato trovato spazio per

una GPU discreta AMD Radeon Pro 450 con 2 GB di

memoria GDDR5 dedicata. Una configurazione, la no-

stra, che parte da 2.799 euro e rappresenta il modello

di ingresso della versione da 15”: qualcuno potrebbe

dire che il prezzo è esagerato, ma in Italia per il model-

lo precedente si spendeva una cifra analoga e a 2299

euro si portava a casa solo l’entry level con scheda

video Intel integrata. Il nuovo MacBook Pro è un pro-

dotto di rottura, forse la più grande rivoluzione mai

fatta da Apple nel campo dei notebook: a Cupertino

hanno cambiato praticamente ogni singolo elemento

creando un prodotto totalmente rinnovato che, per le

scelte fatte potrebbe non piacere a tutti. Ma andiamo

con ordine.

Un vero portatile: solo il peso è da 15”Il nuovo MacBook Pro da 15” si inserisce esattamen-

te, come dimensioni, tra il modello da 13” dell’Air e il

15” della serie precedente. Sembra assurdo, ma l’Air

è addirittura leggermente più spesso nella sua parte

alta, segno che il lavoro di gestione degli spazi fatto da

Apple è encomiabile. Nella borsa o nello zaino il nuovo

modello non sembra affatto ingombrante, anzi, è asso-

lutamente maneggevole grazie anche al peso ridotto.

Sulla bilancia il MacBook Pro da 15” fa segnare 1.8 Kg,

200 grammi in meno rispetto ai modelli più vecchi, e

TEST Un prodotto totalmente rinnovato, che ha sollevato critiche per le scelte radicali adottate da Apple e per il prezzo molto alto

In prova MacBook Pro con Touch Bar: che potenzaLo abbiamo provato e, prezzo a parte, si è rivelato un piccolo mostro di tecnologia, un upgrade rispetto alla gamma attuale

qui esistono due scuole di pensieri, chi preferisce ave-

re un prodotto potente ma compatto e leggero e chi

invece avrebbe preferito 1 mm in più di spessore, 200

grammi in più di peso e una batteria più grande per

un’ora in più di autonomia.

Con questo modello crediamo che Apple abbia trova-

to il giusto compromesso, perché la macchina nel suo

corpo il alluminio Space Gray è perfettamente bilancia-

ta negli spazi, dalla cornice attorno allo schermo fino ad

arrivare alla disposizione di tastiera, speaker laterali e

trackpad, che occupa gran parte della zona inferiore.

Quattro connettori Thunderbolt 3.0 Perché stiamo con AppleUna delle scelte più criticate dei nuovi MacBook Pro

è l’adozione, al posto delle USB classiche, di quattro

porte Thunderbolt 3.0 che possono funzionare ciascu-

na come DisplayPort, porta di ricarica o porta USB 3.0.

Apple ha scelto di eliminare ogni porta USB tradizio-

nale per spingere l’adozione dell’USB Type C e que-

sta scelta è pienamente condivisibile: la nuova GoPro

Hero 5 usa USB Type C, gli smartphone usano ormai

l’USB Type C e molti hard disk esterni iniziano ad usare

il nuovo connettore. Non c’è ragione per restare anco-

rati ad un passato “lento”, e tutte le aziende dovrebbe-

ro iniziare non solo ad adottare la nuova soluzione, ma

a fornire anche, con i prodotti, cavi USB Type C.

Abbiamo esplicitamente chiesto a Apple di non inviarci

un adattatore USB, e nei primi giorni di prova questa

scelta ci ha creato non pochi

problemi, soprattutto nel

trasferimento delle

foto da una video-

camera: alla fine

abbiamo capito

che, almeno

per una fase di

transizione un

adattatore serve.

Anzi, forse più che

un adattatore servono

un paio di cavi da micro USB

a Type C: la maggior parte delle periferiche usate tutti

i giorni dispone comunque di un cavo che può esse-

re sostituito. Più dell’USB classico ci sono mancati sul

MacBook Pro lo slot per le memory card di tipo SD e il

MagSafe: se qualcuno inciampa nel cavo sono alte le

probabilità che il MacBook finisca a terra, con il rischio

di danneggiare anche la porta stessa. Lo spazio per lo

slot di card invece c’era, e se da un lato può essere

lab

video

APPLE MACBOOK PROFANTASTICO, MA LA STORIA INSEGNA CHE FORSE È MEGLIO ASPETTARE UN ANNO

2799,99 €La prima cosa da dire è che sicuramente non siamo noi il target di Apple con questo MacBook Pro: scriviamo testi, facciamo editing di foto, montiamo video utilizzando Final Cut e Premiere e programmiamo in svariati linguaggi, ma tutto quello che facciamo difficilmente potrà mettere in crisi una mac-china così potente. Troppo comodo infatti parlare guardando i puri dati tecnici, confrontando questi MacBook con notebook Windows: Apple ha dalla sua software e firmare ottimizzati per la macchina e questo sicuramente conta di più di una GPU NVIDIA o di 16 GB di RAM in più. Si può prendere per buono il parere di un ingegnere della NASA, secondo cui il MacBook Pro è abbastanza professionale da poter svolgere velocemente complessi calcoli aereodin-amici, oppure di un editor video di una azienda londinese, che ha gestito senza alcun problema un workflow con due monitor 5K e una serie di effetti in tempo reale: ognuno ha le sue esigenze, ma siamo sicuri che nessuno resterà deluso. Il nuovo MacBook Pro è senza alcun dubbio un enorme upgrade rispetto all’attuale, ma come è successo con il primo Retina e con gli altri “nuovi” prodotti Apple la seconda generazione è quella vincente. Il nuovo MacBook resta comunque un prodotto fantastico per concezione, design e utilizzo. Certo, costasse qualcosa in meno.

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

9 9 10 9 9 78.7

segue a pagina 32

COSA NON CI PIACECOSA CI PIACELa Touch Bar: impossibile farne a menoDesign, peso e costruzione al topOttima tastiera nonostante le dimensioni

Prezzo di partenza elevatoIl Magsafe offriva più sicurezzaScheda AMD non a livello del prodotto

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

vero come dice Apple che l’utente tipo del modello da

15” non usa le SD Card, troppo consumer, come memo-

rie è anche vero che sulla versione da 13” si poteva fare

uno sforzo, magari su quella priva di TouchBar. In ogni

caso Apple ha un vantaggio che i competitor non han-

no: per ogni prodotto lanciato ci sono migliaia di pro-

duttori che realizzano prodotti aftermarket e accessori,

e anche per i nuovi MacBook stanno uscendo docking

per ogni esigenza dotate di tutte le porte che mamma

Apple non ha messo. In ogni caso, a Cupertino, pote-

vano ovviare al problema con una soluzione semplice

e banale: una porta USB classica sul caricatore da 87

Watt di fianco a quella USB Type C. Così facendo si

poteva non solo usare il caricatore del MacBook per ri-

caricare anche un iPhone, ma si poteva usare lo stesso

caricatore come hub per le periferiche legacy: minima

spesa massima resa.

Tastiera, schermo speaker e Touch Pad Migliora tuttoAbituati a scrivere, la prima cosa che proviamo solita-

mente di un portatile è la tastiera. Quella del MacBook

Pro è derivata direttamente da quella del MacBook, un

nuovo sistema di pressione butterfly che permette di

realizzare tasti con bassissima escursione ma precisi

e efficaci. Non siamo tifosi delle tastiere troppo piatte,

ma se quella del MacBook non ci aveva impressionato

per questa ci siamo dovuti ricredere. Dopo qualche ora

di ambientamento le dita scorrono rapide sulla tastiera

senza troppi errori: il polpastrello scivola sui tasti riu-

scendo sempre a premere il bottone giusto, e difficil-

mente schiacciamo due tasti insieme. L’ergonomia è

davvero buona, l’ampio trackpad non disturba più di

tanto e la digitazione ci restituisce una sensazione di

naturalezza unica per una tastiera così fine. Il merito è

anche dal feedback acustico, molto meccanico: anche

se i tasti sono in rilievo per soli 0.3mm, battendoli si

avverte distintamente quel tipico “ciak” delle tastiere

meccaniche. Buona anche la resa audio degli speaker

ai lati della tastiera: sono piccoli, ma godono di suffi-

ciente dinamica e di una resa che per un notebook è

superiore alle media. Da elogiare anche il trackpad:

rispetto ai modelli precedenti è enorme e permette di

coprire senza staccare il dito l’intero schermo. Il sistema

di palm rejection funziona bene, e non abbiamo avuto

nessun problema appoggiando le mani al trackpad

durante la digitazione. Chiudiamo con lo schermo, 15”

Retina da 2880×1800: siamo davanti ad uno schermo

simile a quello usato sui modelli precedenti ma miglio-

rano luminosità, contrasto e soprattutto gamut, con Ap-

ple che si adegua ad iPhone e iPad Pro aggiungendo

il supporto allo spazio colore Display P3. Ben fatta la

calibrazione dello schermo, soddisfacente nel 90% dei

casi: bene l’sRGB, migliorabile il profilo P3.

La Touch Bar non è “pro”, è per tutti Apple è furba, molto furba: la Touch Bar, quella piccola

striscia OLED da 2170 x 60 pixel posizionata al posto

dei tasti funzione, non è solo utile ma è anche incredi-

bilmente magnetica: chi la vede e la prova, soprattutto

in un negozio, non ci penserà due volte a spendere

i 350 euro in più che servono per il modello dotato

di Touch Bar. “Rivoluzionaria”, è questo quello che

abbiamo pensato quando Apple ha lanciato il nuovo

MacBook Pro e oggi, dopo qualche settimana d’utiliz-

zo, non possiamo che confermare quanto detto: la Tou-

ch Bar in moltissimi casi ci ha offerto scorciatoie rapide

per azioni che prima richiedevano l’uso del mouse.

Ci siamo resi conto, tuttavia, che forse questa feature

è meno “pro” di quanto si pensi: la TouchBar serve più

all’utente amatoriale che al professionista. Quest’ulti-

mo infatti conosce alla perfezione i suoi strumenti di

lavoro, e potrebbe trovarsi a disagio di fronte all’elimi-

nazione dei tasti funzione fisici: il “pro” non ha bisogno

di icone e neppure di slider o tasti aggiuntivi, ma solo

di una buona tastiera ergonomica che gli permetta

di impartire velocemente i comandi senza errore e

possibilmente guardando solo lo schermo. Chi scri-

ve guardando i tasti, chi non conosce le shortcut dei

programmi e chi usa un notebook in modo variegato,

senza un set di programmi fissi, troverà invece enormi

vantaggi nell’uso di questo strumento. Sotto l’aspetto

pratico il feedback è ottimo: ben visibile a 45°, la Touch

Bar ha una finitura leggermente opaca che ricorda un

po’ quella dei tasti, grazie anche ad una luminosità non

eccessiva e a colori non troppo accesi. Particolare il

rivestimento: basta passare il dito sulla superficie per

rendersi conto della facilità con cui scorre, al contrario

dei display touch degli smartphone che un minimo di

resistenza la offrono.

L’utente può personalizzare questo strumento come

meglio crede, e ovviamente quest’ultimo si adatta di-

namicamente a seconda dell’applicazione e anche al-

l’interno dell’applicazione stessa, mostrando i comandi

possibili a seconda delle opzioni scelte. Ad oggi la

maggior parte delle applicazioni Apple sono ottimizza-

te per l’utilizzo con la Touch Bar: alcune in modo im-

peccabile, come Final Cut e Garage Band, altre un po’

meno, come iMovie. In ogni caso il range di possibilità

offerte è sorprendente, e lo notiamo quando usiamo

ad esempio Pages o Numbers: la barra sembra quasi

aver capito quali sono le opzioni

che ci servono e ce le mostra,

senza doverle andare a cercare.

L’utilità si riduce ovviamente nel

momento in cui si usano app di

terze parti, molte delle quali sono

ancora prive di supporto: si tratta

solo di aspettare. Scavando nelle

configurazioni di sistema l’utente

scoprirà moltissime modalità di

utilizzo e configurazione di que-

sta barra, e grazie ad una serie di utility di terze parti

nei prossimi mesi le possibilità aumenteranno ulte-

riormente. Qualcuno, anche in redazione, si è chiesto

perché mai sulla Touch Bar non vengano ad esempio

visualizzati i widget, ma in realtà leggendo le linee gui-

da di Apple sul design delle app si capisce che la barra

può essere usata esclusivamente come “periferica di

TEST

Apple MacBook Prosegue Da pagina 31

segue a pagina 33

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torna al sommario 33

MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

input” e non come display: ogni elemento visualizzato

dev’essere un tasto o un trigger di qualche tipo. Niente

paura quindi, non verrà usata per mostrare pubblicità.

GPU poco potente Le memorie sono fulminiLa dotazione hardware è stata forse quella più bersa-

gliata dalle critiche: al centro del mirino il processore

scelto, l’impossibilità di ordinare una soluzione con 32

GB di RAM e la scelta di AMD al posto di NVIDIA. Per

tutte queste scelte c’è ovviamente una spiegazione

logica: Apple ha scelto un processore Intel della gene-

razione Sky Lake perché i Kaby Lake sa-

ranno presentati solo a Las Vegas

e soprattutto perché, almeno

sul modello da 15”, le diffe-

renze prestazionali tra i

due processori non do-

vrebbero essere tali da

dover giustificare una

attesa e un rinvio. Se

pensiamo che i vecchi

MacBook Pro da 15”

avevano a bordo pro-

cessori Haswell, i nuovi

modelli possono ritener-

si ugualmente un buon up-

grade rispetto al passato: più

che la CPU in se, infatti, a que-

sto livello contano più le memorie,

la velocità del disco SSD e la sezione video

discreta, in questo caso la Radeon Pro 450 con 2 GB

di RAM DDR5 dedicata. Apple qui ha dovuto prendere

una decisione difficile: per poter gestire 2 schermi 5K

oltre allo schermo integrato infatti è stata costretta a

eliminare la configurazione base, quella con scheda

video Intel Iris Pro: una scelta che ha alzato il prezzo

medio del MacBook e ha anche penalizzato legger-

mente chi utilizza il portatile soprattutto come porta-

tile, e non come “workstation” agganciato a schermi

esterni e a RAID tramite adattatore Thunderbolt.

Quando si collega al nuovo MacBook Pro uno scher-

mo 5K come l’ottimo LG presentato infatti insieme al

portatile quello che l’utente sta guardando non è un

unico flusso video ma sono due flussi uniti tra loro: lo

standard DisplayPort 1.2 infatti non ha banda a suffi-

cienza per un segnale 5K a 60 Hz, e Apple ha dovuto

risolvere la cosa inviando due segnali distinti su un

singolo cavo Thunderbolt 3. Collegando due monitor

5K, e tenendo acceso lo schermo principale, servono

quindi ben 5 canali: la GPU Intel integrata ne può ge-

stire solo 3, mentre invece il processore AMD Polaris

può gestirne fino a 6. Ecco spiegato quindi perché sul

modello da 13”, che non dispone di scheda discreta, si

può gestire solo uno schermo 5K. Apple avrebbe po-

tuto utilizzare una GPU NVIDIA, ma si sarebbe dovuta

far realizzare dal produttore di Santa Clara un prodotto

ad hoc con consumo ridotto (la GPU Pascal più lenta

consuma il doppio rispetto a quella usata sul MacBook)

e avrebbe dovuto anche fare i conti con la presenza

sulle schede NVIDIA del più nuovo DisplayPort 1.3, in-

compatibile con la maggior

parte dei monitor in com-

mercio ancora basati sulla

vecchia versione.

Qui sicuramente Apple po-

teva fare di meglio, ma nella

storia dei MacBook non sono

mai state utilizzate soluzioni

grafiche potentissime: la scheda

AMD Radeon Pro 450 è una scheda

di fascia media, sicuramente offre presta-

zioni superiori rispetto alla GPU integrata Intel,

ma non è una scheda video da prodotto di fascia alta.

Per finire resta la questione legata alla memoria: nes-

suna configurazione può essere richiesta con 32 GB

di memoria perché i MacBook Pro utilizzano memo-

rie di tipo LPDDR3, ovvero Low Power. Una soluzio-

ne questa che permette di arrivare massimo a 16 GB:

le alternative sono le DDR4, ma avrebbe consumato

molto di più (5 watt al posto di 1.5 watt), o le LPDDR4,

che non sono però supportate dal processore Intel.

D’altra parte se Apple avesse potuto offrire come op-

tional la costosa opzione 32 GB sicuramente l’avreb-

be fatto: se non lo ha fatto un motivo c’è. Invidiabile

invece la velocità del disco SSD: la versione da 256

GB sul nostro modello raggiunge i 2.7 GB/s in lettura

e gli 1.4 GB/s in scrittura, il modello da 512 GB è sicu-

ramente più veloce.

Attenti all’autonomia: arrivare a 10 ore è difficileQuando si va a toccare un argomento come l’autono-

mia le variabili sono tante, soprattutto in un prodotto

come il MacBook che guadagna tantissimo se vengo-

no usate applicazioni ottimizzate. Inutile dire che la

ricetta per far durate la batteria di più è quella di usare

le app Apple: se con Safari, Mail e Pages siamo riusciti

bene o male a toccare le 8.30 ore di utilizzo con una

luminosità dello schermo modesta, basta passare a

Chrome e Office per scendere a circa 6 ore e mezza.

Lo stesso Final cut è decisamente più ottimizzato di

Adobe Premiere, e permette di guadagnare qualco-

sa facendo editing in mobilità. Il modello da 15” deve

poi fare i conti con la scheda grafica discreta AMD,

che consuma decisamente di più della Intel HD 530

di base: questa configurazione è sicuramente rivolta

ad un utilizzo più statico, con il notebook collegato al-

l’alimentazione.

Il problema di Apple non è il 15”, ma il modello più piccolo (che costa troppo)Prima di arrivare alle conclusioni, vogliamo fare una

piccola panoramica su quella che oggi è l’offerta di

MacBook Apple. Il MacBook Air è morto, inutile girarci

attorno: Apple lo ha lasciato a listino per avere un por-

tatile dal prezzo di ingresso conveniente, ma con un

hardware ormai datato l’Air ha di buono solo l’autono-

mia, il peso e il prezzo. Chi lo compra oggi dev’essere

consapevole che sta comprando un prodotto che tra

massimo un anno sparirà dal listino, e questo succe-

derà quando Apple abbasserà il prezzo del MacBook

Pro senza TouchBar rendendolo più conveniente. Chi

vuole un portatile Apple nuovo oggi deve spendere

1.749 euro, questo il prezzo del MacBook Pro da 13”

d’ingresso: tanto, soprattutto se a 350 euro in più c’è

il modello potenziato con TouchBar, una chicca adatta

forse ad un utente più casual che ad un vero “pro”.

Come abbiamo scritto infatti poco più sopra crediamo

che la TouchBar sia più indicata agli utilizzatori occa-

sionali del Mac, coloro che usano svariate app sen-

za conoscerne le varie scorciatoie da tastiera. Il vero

utente “pro”, colui che passa il 90% del suo tempo su

una serie ben specifica di applicazioni, sicuramente

conosce a memoria le varie combinazioni di tasti e

non ha bisogno di ricorrere ai suggerimenti della barra

OLED. Apple con la nuova gamma di notebook Pro ha

quindi lasciato un enorme buco nella parte bassa: da

una parte i modelli da 13” costano troppo, e soprattut-

to sono troppo vicini come prezzo, dall’altra sparisce

il 15” con grafica integrata e si parte con il più costoso

modello con GPU discreta. Il modello da 15”, quello da

noi provato, è assolutamente allineato ai 2699 euro

richiesti per il modello che questi MacBook vanno a

sostituire, ma resta un prodotto per pochi.

TEST

Apple MacBook Prosegue Da pagina 32

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Vittorio Romano BARASSI

D opo soli sei mesi di onorata carriera, OnePlus

ha deciso di mandare in pensione l’ottimo

OnePlus 3 per rilanciarsi sul mercato con la

sua diretta evoluzione: OnePlus 3T. Lo smartphone

è acquistabile direttamente dallo store ufficiale del

produttore cinese con un prezzo che parte dai 439

euro del modello da 64 GB di storage fisico a bordo

e che arriva a 479 euro per chi volesse virare sul mo-

dello con il doppio della capacità. Sono 40 euro in

più rispetto a OnePlus 3, cifra che tutto sommato non

va a snaturare l’aggressiva essenza “economica” del

brand cinese e che, se paragonata ai listini di tutti gli

altri top di gamma del mercato, risulta senza dubbio

impressionante.

Abbiamo testato a fondo OnePlus 3T e non abbiamo

potuto esimerci dall’effettuare dirette comparazioni

con OnePlus 3, modello che per mesi è stato tra le

nostre mani e che siamo stati in grado di apprezzare

e conoscere a fondo. Non ci sarà da stupirsi, dunque,

se nell’analisi che segue vi saranno frequenti richiami

al test dello smartphone precedente.

Il design non cambia, il display neppureOnePlus 3T si presenta all’utente praticamente come

OnePlus 3. Se la confezione di vendita non riportasse

una T “di troppo” al fianco del 3, al primo contatto sa-

rebbe pressoché impossibile distinguere i due smar-

tphone. Prendendo il dispositivo tra le mani si scopre

che per differenziare i modelli OnePlus ha scelto di

colorare il nuovo smartphone con una tonalità di gri-

gio più scura (Gunmetal); nelle prossime settimane

sarà anche disponibile una tonalità aggiuntiva (Soft

TEST Disponibile sullo store ufficiale del produttore cinese: 439 euro per il modello da 64 GB e 479 euro per quello da 128 GB

OnePlus 3T è il miglior smartphone Android?OnePlus lancia una versione “anabolizzata” del 3: OnePlus 3T è tutto ciò che un utente Android potrebbe desiderare Potenza senza confini, prezzo aggressivo, qualità costruttiva e batteria dalla buona autonomia. Ma ancora niente Nougat

lab

video

OnePlus 3TIL REGALO DI NATALE PER I PURISTI LO SMARTPHONE ANDROID DEL 2016 È LUI

439,00 €

Costa 439 euro, è il più attrezzato tra i top di gamma e ora ha anche un’autonomia degna di nota; aggiungiamoci l’esperienza Android pura e il fatto che OnePlus continua a seguire come pochissimi i propri prodotti. Il risultato è piuttosto scontato: 3T non può non essere considerato come il miglior smartphone di questa fine del 2016, anche perché la concorrenza non presenterà qualcosa di nuovo fino a febbraio e gli attuali flagship soffrono di qualche mese di troppo sulle spalle e di prezzi di listino più alti. Il mercato degli smartphone Android è sempre molto dinamico e in prossimità del Natale la battaglia si fa dura: OnePlus è l’unica che ha sorpreso con un nuovo modello, i concorrenti invece posso-no solo giocare su offerte e prezzi in discesa. Ma anche sotto questo aspetto è dura battere il rapporto qualità/prezzo di OnePlus 3T.

COSA CI PIACE COSA NON CI PIACELo smartphone Android più potentePrezzo molto aggressivoOttima autonomia e Dash Charge

Ancora niente NougatStessa fotocamera di OnePlus 3

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

9 9 7 8 9 108.9

gold), a solo appannaggio del modello da 64 GB.

Il prodotto è caratterizzato dallo stesso corpo in al-

luminio anodizzato che contraddistingueva OnePlus

3; le dimensioni sono le stesse, le finiture identiche

e anche il peso non varia nemmeno di mezzo gram-

mo, attestandosi sul più che accettabile valore di 158

grammi; insomma: in mano si fa sentire, ma la sen-

sazione di solidità che offre surclassa indubbiamente

ogni altra considerazione sul peso. Semmai si potreb-

be avere qualcosa da dire sulle dimensioni generali

e sul profilo non proprio snello; restiamo dunque

coerenti con quanto scritto a giugno su OnePlus 3: il

design non entusiasma e non è particolarmente ori-

ginale, ma negli ultimi tempi di smartphone davvero

belli e caratteristici se ne sono visti pochi. Non manca

l’uscita jack da 3.5mm, posizionata in basso al fianco

della porta USB Type-C.

Gli ingegneri OnePlus hanno deciso di non effettuare

variazioni anche nella scelta del display: il pannello

resta dunque il buon Optic AMOLED da 5,5 pollici di

diagonale e 1.920x1.080 pixel di risoluzione, con tutti i

suoi pregi ma pure i suoi piccoli difetti. Se neri perfet-

ti, buonissimi bianchi e tonalità molto vive contribui-

scono a rendere il display vincente, un occhio critico

potrebbe controbattere sguinzagliando la nota - e

leggera - tendenza al viraggio sul verde-blu apprez-

zabile quando si pone il dispositivo sotto un angolo

di visione non ottimale. Anche i colori, per quanto vivi,

non sono proprio naturali al 100%, ma stavolta One-

Plus ha deciso di inserire una modalità sRGB in grado

di rendere più realistici i parametri di riproduzione del-

la palette cromatica.

A parte il bilanciere del volume e il tasto di sblocco,

OnePlus 3T non propone altri tasti fisici ma si limita

a due pulsanti soft-touch raggiungibili al di sotto del

display, ai lati del sensore di impronte digitale che

funge pure da tasto home. È giusto spendere qualche

parola proprio sul sensore biometrico: il sistema di ri-

conoscimento di OnePlus 3, partendo già da una buo-

nissima base, è andato via via migliorando nel corso

dei mesi e con OnePlus 3T sembra aver risolto prati-

camente ogni tipologia di problematica. Il connubio

hardware-software riconosce le impronte in maniera

molto rapida e non sembra andare incontro a “perdite

di memoria” - riguardanti soprattutto il dito più fre-

quentemente utilizzato - come avveniva in passato.

segue a pagina 35

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

OxygenOS al servizio di una smisurata - e fresca - potenza, aspettando NougatDopo aver testato la nuova CyanogenMod 14.1 (in ver-

sione sperimentale, basata su Android Nougat) su

OnePlus 3, sul nuovo OnePlus 3T siamo tornati ad

utilizzare Android Marshmallow 6.0.1 personalizzato

dall’azienda con la versione 3.5.3 di OxygenOS. Il

sistema operativo risulta come al solito snello e ve-

loce in ogni frangente e mai, durante il nostro test,

ha lasciato spazio ad incertezze e/o crash di alcun

tipo, evidente segno di un’ottimizzazione molto

soddisfacente tra la parte software e la controparte

hardware.

Rispetto alle versioni precedenti, OxygenOS risulta

pressoché identico e sono pochi gli elementi che lo

differenziano: tra tutti c’è un rinnovato Shelf, più mi-

nimal e funzionale, con il quale è possibile accedere

rapidamente a contatti, impostazioni o nel quale si

può decidere di installare i widget delle varie appli-

cazioni presenti sul dispositivo. Per il resto, a parte

qualche piccola modifica a livello grafico (ora si può

visualizzare la percentuale di batteria residua senza

troppe macchinazioni), c’è poco altro da segnalare.

Da evidenziare, invece, la più importante novità

hardware di OnePlus 3T: il nuovo smartphone del-

l’azienda cinese arriva sul mercato provvisto dell’ulti-

mo SoC di punta di Qualcomm, uno Snapdragon 821

con CPU quad-core (due Kryo da 2,35 GHz coadiu-

vati da altri due Kryo con clock massimo fissato a 1,6

GHz). Si tratta della diretta evoluzione del preceden-

te Snapdragon 820, la GPU è sempre l’Adreno 530

come sempre gli stessi sono i 6 GB di RAM preinstal-

lati a bordo, gestiti in maniera esemplare.

Inutile dilungarsi troppo sulle prestazioni generali di

OnePlus 3T: lo smartphone va più forte di prima, e

già OnePlus 3 era un mostro di velocità. Le applica-

zioni si installano e si avviano in un baleno e non c’è

alcun problema anche nelle sessioni di multitasking

più esagerate. I giochi 3D non mostrano mai alcuna

esitazione, i benchmark evidenziano punteggi da re-

cord e, lo ripetiamo, in circa due settimane di utilizzo,

non possiamo documentare alcun crash.

A parte Community, che rimanda al forum ufficiale

di OnePlus, nel pieno della filosofia aziendale non

vi sono fastidiose app preinstallate a disturbare

l’esperienza dell’utente. Aggiunte rispetto al passa-

to un’app Meteo e un Registratore vocale; tagliata di

netto la tastiera SwiftKey: non è mai piaciuta troppo

all’audience purista di OnePlus e si è dunque deciso

di rimuoverla dal sistema.

Con 64 GB di memoria a disposizione non ci si può

certo lamentare dell’assenza di uno slot per schede

microSD, ma questa è una mancanza che non si può

non evidenziare. Se veramente non si vuole correre

alcun rischio conviene optare per la versione - quella

da noi provata - da 128 GB: costa 60 euro in più ma

assicura spazio a volontà. La velocità delle memo-

rie UFS 2.0 installate a bordo è pressoché identica

a quella registrata su OnePlus 3, elemento che ci

porta ad affermare come, anche in questo caso, non

siano state apportate modifiche hardware e che le

componenti siano le medesime.

Impossibile dunque non rimanere sbalorditi dalle

performance di OnePlus 3T, smartphone che pre-

sto riceverà l’update ufficiale ad Android Nougat 7.

L’azienda sin dal momento della presentazione ha

annunciato che l’aggiornamento sarebbe arrivato in

tempi brevi e la community sta già testando alcune

build preliminari basate sull’ultima versione di An-

droid. Non saranno dimenticati neppure i possessori

di OnePlus 3: tutti riceveranno l’agognato update.

La fotocamera principale è la stessa Migliora (poco) quella frontaleSebbene le indiscrezioni alla vigilia della presenta-

zione di OnePlus 3T parlassero di un nuovo sensore

Sony per la fotocamera principale, gli ingegneri cinesi

hanno deciso di rimanere fedeli all’affidabile IMX 298

- sempre di Sony - già visto sul precedente model-

lo: il sensore è da 16 megapixel ed è posizionato alle

spalle di un obiettivo con apertura f/2.0, a sua volta

protetto - e questa è la novità - da un resistente vetro

in zaffiro a prova di graffio.

Le fotografie scattate con OnePlus 3T sono assolu-

tamente paragonabili a quelle ottenute con OnePlus

3; qualcuno potrebbe scorgere qualche piccolissimo

miglioramento in determinate condizioni di luce ma,

a conti fatti, è davvero impossibile trovare reali diffe-

TEST

Smartphone OnePlus 3Tsegue Da pagina 34

segue a pagina 36

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

renze tra i due dispositivi. Il software alla base della

fotocamera continua a maturare ma resta sempre

povero di opzioni; si può scegliere se scattare in

HDR oppure in HQ, ma non ancora con entrambe le

impostazioni attive.

Complessivamente, è possibile confermare quanto

già affermato nella precedente prova: in condizioni

ottimali le immagini sono ricche di dettaglio, fedel-

mente colorate e con la stessa leggerissima ten-

denza a “ingiallire” bianchi che dovrebbero restar

tali. La messa a fuoco è veloce e i tempi di scatto

sono istantanei, anche con l’impostazione HQ atti-

va. Di sera o in ambienti poco illuminati il sensore

soffre la mancanza di luce e gli scatti scendono di

fattura, pur restando di qualità più che sufficiente;

più che il rumore è evidente la perdita di dettaglio,

segno inconfutabile di un pesante lavoro post-scat-

to effettuato dal programma dedicato. Rispetto a

OnePlus 3 c’è forse qualche piccolo miglioramento,

ma probabilmente tutto è imputabile ad un compar-

to software “più recente” che presto arriverà anche

sul modello precedente.

È possibile registrare filmati in 4K a 30 frame per

secondo e finalmente è stata aggiunta la modali-

tà di cattura a 1080/60p, feature non presente su

OnePlus 3 e che la community ha invocato ad al-

tissima voce; il nuovo algoritmo di stabilizzazione

digitale introdotto con OnePlus 3T non sembra fare

miracoli mentre a migliorare pare essere la messa

a fuoco, molto meno indecisa, anche in situazioni

piuttosto complicate. OnePlus ha scelto di sosti-

tuire il vecchio sensore della fotocamera frontale

da 8 megapixel con un nuovo esemplare da 16

megapixel; le foto scattate con il nuovo modulo (la

lente è f/2.0) non sconvolgono per qualità e non

sono neppure troppo diverse da quelle del prece-

dente sensore. In linea di massima un piccolo step

in avanti è senza dubbio percepibile, ma si poteva

fare qualcosa in più.

OnePlus 3T resta dunque sempre un ottimo came-

ra-phone ma continua ad inseguire - seppur asso-

lutamente a ruota - gli altri big del mercato. È in

questo ambito, forse, dove gli ingegneri avrebbero

dovuto concentrarsi maggiormente. Appuntamento

per il 4?

Pesa come prima, ma ora si vedono i muscoli della batteriaUno degli aspetti che meno convincevano di One-

Plus 3 era quello relativo alla discutibile autonomia

TEST

Smartphone OnePlus 3Tsegue Da pagina 35

di sistema garantita dalla batteria da 3000mAh; lo

smartphone sembrava soffrire moltissimo il lavoro

del modem 4G/LTE e una volta usciti dalla coper-

tura Wi-Fi di casa-ufficio l’autonomia scendeva in

maniera importante. Con OnePlus 3T tutto ciò non

accade per due motivi: la batteria ha una maggiore

capacità, arrivando a 3.400mAh (+13%) e in secondo

luogo perché il nuovo SoC Snapdragon 821 sembra

decisamente più in pace con la sua sezione radio.

Il risultato? Con lo stesso carico di utilizzo medio,

OnePlus 3T arriva a sera quasi sempre con il 30-

35% di autonomia residua (in un paio di occasioni

si è arrivati al 40%) mentre con OnePlus 3 si faceva

fatica a stare sopra il 20%.

È giusto ricordare come anche OnePlus 3T sia prov-

visto dell’esclusiva tecnologia Dash Charge, siste-

ma di ricarica messo a punto dall’azienda cinese il

quale preserva la vita della batteria dello smartpho-

ne facendo fare gran parte del lavoro al caricato-

re; tale tecnologia assicura anche tempi di ricarica

velocissimi: con mezzora si arriva al 60%, valore

per OnePlus - e che è stato possibile confermare

in maniera diretta - sufficiente a coprire un’intera

giornata lavorativa.La ricezione del telefono è più

che buona in ogni situazione, la qualità delle chia-

mate è ottima e la gestione della doppia scheda

nanoSIM è esemplare; c’è il Wi-Fi “ac”, il Bluetooth

4.2 e l’NFC. L’audio prodotto dal DAC integrato è di

buona qualità ed è apprezzabile soprattutto con un

paio di cuffie degne di questo nome; in confezione

non sono presenti auricolari e il modello Bullets V2

(realizzati in collaborazione con LOFO) che OnePlus

ci ha mandato insieme al telefono vale i 19,95 euro

che costa: belli, costruiti abbastanza bene ma non

in grado di fare miracoli.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Gianfranco GIARDINA

Aeroporto di Londra Heatrow, interno giorno. Una

miriade di persone corre in tutte le direzioni, i ne-

gozi brulicano di avventori, dai banchetti gentili

inservienti propongono la sottoscrizione di una nuova

carta di credito. Noi camminiamo più lenti, come se fos-

simo spettatori dell’infinità di movimenti dell’aeroporto

e non ne fossimo parte: è un effetto strano e piace-

vole al tempo stesso. Frutto di una cuffia che stiamo

provando: si tratta della Sony MDR-1000X, il modello

più evoluto del marchio giapponese a cancellazione

del rumore, presentata allo scorso IFA di Berlino. La

musica dolce e acustica che scorre verso le orecchie

non viene intaccata dal frastuono dell’aeroporto: solo

così scopriamo come il rumore ci condizioni subdola-

mente, come ci spinga a correre anche quando non

serve (il nostro volo parte tra un’ora). Senza rumore – e

magari con un po’ di buona musica – la realtà riprende

il sopravvento sulla suggestione: altro che “bolla” nella

quale si chiude chi entra in cuffia. Piuttosto il contrario:

l’isolamento da un’aggressione sonora eccessiva ci fa

riaprire gli occhi. E i nostri passi cadenzati tra migliaia di

persone che corrono ci svelano la verità.

Cancellare il suono, un lavoro difficilePartiamo con una premessa: difendersi dal rumore non

è generalmente considerata una priorità; anzi il più del-

le volte il rumore non lo si “ascolta” più, dopo un po’

che ci si è esposti. Ma è un artificio (pur meraviglioso)

del nostro sistema percettivo che interviene per pro-

teggerci e “cancella” la razionalizzazione del disturbo.

Ma l’orecchio continua a sentire e il sistema percettivo

ad “elaborare”: per questo alla fine, per esempio, di un

volo aereo intercontinentale si è comunque stanchi e

con la testa ovattata. Ben diverso quello che accade

con la luce: se è troppo intensa ci si difende con un

paio di occhiali scuri; e se non abbiamo gli occhiali,

ci sono le palpebre che possono essere “strizzate” o

addirittura completamente chiuse. Le orecchie invece

non hanno “palpebre” naturali. Ma possono avere una

buona cuffia “noise canceling”, ovverosia che è in gra-

do di cancellare buona parte del rumore ambientale

emettendo all’orecchio un’onda sonora uguale e inver-

sa (ovverosia in perfetta controfase) rispetto al distur-

bo. Per fare questo una cuffia nosie canceling dispone

almeno di un microfono esterno che deve rilevare il

rumore e di un processore DSP che deve rielaborare

questo segnale per “invertirlo” e miscelarlo alla musica

in ascolto, o anche al puro silenzio, per ottenere l’ef-

fetto voluto.

Il compito è tutt’altro che facile per una serie di motivi:

innanzitutto il microfono rileva normalmente il rumo-

re esterno, ma non quanto di questo rumore esterno

arriva all’interno del padiglione: è quindi necessario

che la cuffia faccia una “tara” per andare a cancellare

non tutto il rumore rilevato in ambiente ma solo quello

non schermato già naturalmente dalla cuffia; e poi è

necessario che tutto il processamento sia particolar-

TEST Sony lancia la sfida a Bose, raggiungendo e superando le prestazioni del leader di mercato delle cuffie noise canceling

Sony MDR-1000X, ascolto di qualità senza rumore La cuffia elimina bene i rumori, offre un suono qualitativamente ottimo e molto equilibrato, sia con NC attivo che spento L’interfaccia touch sul padiglione destro, poi, introduce qualcosa in più. Il prezzo (400 euro di listino ) spaventa un pò

mente rapido. Per cancellare bene la reazione deve

essere praticamente istantanea, cosa teoricamente

impossibile: per questo motivo, normalmente le cuffie

a cancellazione del rumore sono molto più efficaci sui

rumori continui e non “impulsivi”; sul rumore costante

di un aereo o di un treno vanno molto bene, meglio di

quanto non accada con rumori a transienti molto ra-

pidi, come la caduta di un mazzo di chiavi. Il compito

di cancellazione deve essere poi svolto con la giusta

moderazione: l’effetto di “risucchio” che si percepisce

attivando la cancellazione del rumore, se è eccessivo,

può anche dare fastidio, una sensazione di privazio-

ne dell’ambiente circostante simile a quella che si

percepisce entrando in una camera anecoica. Inoltre,

se l’azione del DSP è troppo aggressiva, si possono

creare degli artefatti anche sul segnale musicale che

invece deve essere ben percepito, rendendo il risul-

tato finale forse più fastidioso di quello ottenibile con

un paio di cuffie convenzionali. Insomma, si tratta di

un’alchimia complessa, la cui soluzione finale proba-

bilmente non è raggiungibile: ogni cuffia si avvicina più

o meno all’obiettivo e, in questo ambito forse più che

in altri digitali, una prova approfondita del prodotto ha

proprio senso.

È questa la prima cuffia noise canceling di Sony?Il mercato delle cuffie noise canceling ha un protagoni-

sta affermato: si chiama Bose che con le diverse gene-

razioni delle proprie QuietComfort ha monopolizzato il

mercato per anni. A dire il vero, nella gamma Sony da

qualche anno (come in quello di altri produttori) ci sono

diversi modelli di cuffie noise canceling; ma verrebbe

da dire che si tratta di un altro livello di prestazioni, una

sorta di semplice riduzione più che di cancellazione del

rumore; questi modelli, infatti, hanno una strategia di

segue a pagina 38

lab

video

Sony MDR-1000XUNA GRANDE CUFFIA (NON ADATTA ALLE TELEFONATE) A UN GRANDE PREZZO

400,00 €

Con la Sony MDR-1000x sulla testa si vive un’esperienza musicale non ordinaria: suona terribilmente bene, senza essere sguaiatamente eccessiva; tanto per intenderci, non ha quell’effetto (odioso) di “loudness” integrato nel progetto acustico che fa una cuffia “piaciona” nei primi cinque minuti e uccide a lungo andare. Ma soprattutto ha un sistema di cancellazione del rumore eccellente: lotta alla pari con il sistema Bose e surclassa quello Beats, decisamente più rozzo. Le gesture sul padiglione e le modalità “ibride” con la cancellazione parziale fanno il resto. A questa MDR-1000x, in ogni caso, non mancano i difetti, come è naturale per una prima generazione (perché di fatto è la prima vera noise canceling di Sony): il suo “abbraccio” è un po’ troppo vigoroso e le orecchie ne soffrono un po’; come anche non è confortevole l’effetto “scaldaorecchie” dovuto all’impossibilità meccanica che venga offerta traspirazione al padiglione. E poi le performance insoddisfacenti come viva voce. Poco male: i progettisti almeno hanno qualcosa da pensare per le prossime generazioni; nel frattempo l’ottima MDR-1000x di oggi sa fare meglio della concorrenza diretta e vale già tutti i suoi 400 euro (di listino). Non è un prodotto per tutti, ovviamente; ma chi può, ci faccia un pensiero: al momento a nostro avviso è il meglio che si può avere fra le cuffie a cancellazione di rumore.

COSA CI PIACE COSA NON CI PIACE- Cancellazione del rumore efficace e naturale

- Qualità della riproduzione audio- Interfaccia touch

- I padiglioni premono un po’ troppo e scaldano sulle orecchie

- Qualità in funzione vivavoce insoddisfacente

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

9 9 8 9 10 78.6

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torna al sommario 38

MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

cancellazione “cauta”, attenta più a non creare artefatti

che a isolare completamente l’utente; e per molti usi

questi modelli possono essere considerati sufficienti.

Ma per rumori “importanti” come quelli di cabina in

aereo, fino a poco tempo fa le prestazioni offerte dai

migliori modelli Bose erano di fatto il riferimento. Sony

con questa MDR-1000X vuole entrare proprio in que-

sto segmento con un prodotto che nulla ha da invidia-

re a quello Bose e che, anzi, come vedremo, sa offrire

anche qualcosa di più. Se da un lato, quindi, è scorretto

dire che questa è la prima cuffia Sony a cancellazione

del rumore, dall’altro è invece doveroso riconoscere a

questo modello lo status di “novità” a tutti gli effetti per

la gamma del produttore giapponese: si tratta di un’al-

tra classe di prodotto (anche per prezzo, purtroppo)

rispetto alle altre cuffie NC di Sony.

Una bella cuffia, progettata con molta attenzioneNel “mirino” di Sony – l’abbiamo detto – c’è Bose. E la

prima cosa che si fa notare delle QuietComfort è la cu-

stodia da viaggio. Infatti si presuppone, e probabilmen-

te a ragione, che una cuffia di questo tipo venga usata

soprattutto da chi viaggia. In questo ambito Sony ha

fatto un grande lavoro: la custodia, presente nella con-

fezione, è molto bella e tutto sommato compatta. La

cuffia dispone degli snodi necessari per assumere un

layout appiattito e molto efficiente in termini di occupa-

zione di spazio. Un disegno sul fondo della confezione

suggerisce come piegare la cuffia per la perfetta collo-

cazione nella custodia; un separatore guida il corretto

inserimento e ospita anche una taschina per sistemare

il convertitore a due jack necessario collegarsi al siste-

ma di in-flight entertainment degli aerei più vecchi.

La cuffia è davvero ben costruita: il peso è contenuto

rispetto alle funzionalità (275g contro i 310 della Bose);

la finitura superficiale in una credibilissima finta pelle

invece dei soliti materiali plastici; ma soprattutto quello

che convince è l’assenza di scricchiolii e indugi degli

assemblaggi quando la cuffia viene manipolata. L’ar-

chetto è imbottito e l’appoggio dei padiglioni decisa-

mente morbido.

In termini di comodità ed ergonomia, va detto che è

una cuffia che “avvolge”, che comunque si fa sentire,

anche se con una pressione uniforme. Il compito di

eliminare il rumore parte proprio dalla conformazione

stessa: la cuffia è “importante”, soprattutto nello spes-

sore dei padiglioni, e di fatto crea già di per se stessa

un discreto isolamento dall’esterno, anche a funzione

di cancellazione del rumore spenta.

Lo spessore generoso del padiglione è reso neces-

sario dall’utilizzo di un driver generoso: 40 mm sono

molti per una cuffia e soprattutto richiedono una certa

profondità per lo sviluppo del cono. Un effetto collate-

rale è una certa scomodità nel portare la cuffia al collo

nei momenti di non utilizzo: i padiglioni fanno quasi da

“collare” cervicale, ostacolando un po’ i movimenti a

desta e sinistra della testa. Insomma non è una cuffia

da uso casual e modaiolo, di quelli che la tengono più

al collo che in testa…

La Sony MDR-1000X ha anche un ingresso minijack

per il cavo in dotazione ma è soprattutto si tratta di una

cuffia wireless Bluetooth: nell’uso di tutti i giorni, stante

anche la durata della batteria eccellente (20 ore con

BT e NC attivati), il filo non si usa mai, anche se resta

un bel paracadute in caso si restasse a corto di ener-

gia: via filo la cuffia, pur cambiando impedenza, diventa

passiva e si può utilizzare con soddisfazione (ma non

con il noise canceling) anche a batterie completamen-

te a terra.

Resa acustica eccellente Anche a cancellazione del rumore attivaI dati della scheda tecnica parlano di una risposta in fre-

quenza di questa cuffia davvero estesa: da 4 a 40kHz.

Di certo l’idea che ci si fa anche sin dal primo ascolto

è che non manchi davvero nulla nel suono: bassi belli

corposi, ma che non mandano in vibrazione nessuna

parte della cuffia, assolutamente solidale; alti cristallini

ma non stancanti; transienti rapidi e dinamica eccellen-

te, come il magnete al neodimio che governa questa

cuffia faceva attendere. Anche mettendo il volume al

massimo, si arriva ampiamente alla soglia del fastidio

senza percepire distorsioni particolari.

Insomma, per prestazioni audio, siamo di fronte a una

cuffia davvero hi-fi e, vista l’esperienza di Sony in que-

sto ambito, c’era da aspettarselo. Quello che invece

non era affatto scontato e ci ha stupito è quanto il circui-

to di cancellazione del rumore, che come vedremo più

avanti è decisamente efficace, impatti poco, anzi quasi

nulla, sulla qualità audio: il suono è totalmente privo

degli artefatti che abbiamo sentito in passato su altre

cuffie NC, sia che l’ascolto avvenga a filo o wireless via

Bluetooth. Così l’ascolto procede piacevole e spedito

per ore, senza dare sensazioni di stanchezza, anche

con musica compressa di buona qualità, che – forse

per il circuito di ricostruzione e ricampionamento della

1000x – non affatica l’ascolto come accade general-

mente. La sensibilità della cuffia varia a seconda che la

si utilizzi in Bluetooth, utilizzando quindi l’amplificatore

interno, o la si usi con la connessione cablata. L’effetto

più facilmente udibile è un generalizzato aumento del

volume con l’utilizzo via cavo (ma può dipendere dalla

sorgente); ma, con un ascolto attento, a cuffia spenta

e collegamento a filo si percepisce un certo effetto di

affaticamento, segno tangibile di quanto il circuito di

ricampionamento della 1000x sia utile.

TEST

Sony MDR-1000Xsegue Da pagina 37

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

Due aspetti, invece, stancano durante le lunghe sessio-

ni di ascolto: una è la pressione forse un po’ eccessiva

sulla testa dei due padiglioni, che dopo più di un’ora si

fa sentire. Nulla di insopportabile, beninteso; ma già il

fatto che la cuffia si faccia “notare” dal proprio utente è

segno che l’ergonomia può essere migliorata. Il secon-

do aspetto riguarda una certa sensazione di “calore”

che si percepisce sulle orecchie: colpa forse della finta

pelle (che è comunque morbidissima) dei padiglioni

o del fatto che inevitabilmente il padiglione è chiuso,

come accade in tutte le cuffie NC. La nostra prova è

stata condotta in autunno, con gli ultimi giorni sempre

più freschi; d’estate questo aspetto potrebbe diventare

un vero disincentivo all’utilizzo. In certe situazioni (a noi

è successo un paio di volte durante la prova) l’audio

ha subito qualche interruzione nella modalità wireless:

questo può accadere in situazioni di spettro elettroma-

gnetico particolarmente disturbato e quando si utilizza

la cuffia al massimo delle sue prestazioni, ovverosia

con le modalità di collegamento Bluetooth ad alta qua-

lità (aptX ad alta risoluzione, per esempio); in tal caso si

può configurare la cuffia per preferire collegamenti più

modesti dal punto di vista qualitativo ma più stabili.

La cancellazione del rumore Che potenza e che versatilità!La funzione di cancellazione del rumore è il fiore al-

l’occhiello della MDR-1000x. Il processore della cuffia

deve lavorare duro per ottenere un risultato che - sen-

za dubbio - lascia a bocca aperta, soprattutto nelle

situazioni acusticamente molto inquinate. Ma non è

solo una questione di potenza di calcolo: è la cuffia ad

essere progettata bene. A partire dai microfoni per la

rilevazione del rumore: quelli esterni sono due, uno per

padiglione, il che migliora la resa rispetto ad altre cuffie

dotate di un microfono solo perché così è in grado di

non farsi ingannare da suoni troppo direzionali. Ma la

1000x ha anche due microfoni posti all’interno dei pa-

diglioni, sotto la classica telina nera che cela il drvier:

grazie a questi la cuffia è anche in grado di misurare la

quantità di rumore che entra nel padiglione e di con-

frontarla con quella percepibile fuori da esso. In questo

modo l’azione di cancellazione può essere più precisa,

andando ad operare solo proporzionalmente al quello

che entra in cuffia e non al solo rumore esterno. Anche

perché eccedere con la contro-onda corrispondereb-

be a un effetto di cancellazione molto meno efficace.

Questo stratagemma è necessario anche in considera-

zione dell’importante isolamento naturale che questo

padiglione garantisce anche semplicemente con la

sua struttura. L’isolamento dall’ambiente esterno a fun-

zione di noise canceling attiva è pressoché totale: una

rumorosa scopa elettrica passata davanti a noi durante

un ascolto di musica a volume medio ci è parsa lette-

ralmente spenta. In alcune condizioni, un isolamento di

questo tipo è perfetto (pensiamo per esempio al con-

testo classico di utilizzo durante la crociera in aereo);

in altre – per esempio l’attesa del volo in aeroporto

– potrebbe creare qualche disagio: resta il pensiero di

perdersi qualche comunicazione sul volo in partenza,

come un cambio di gate. Per questo motivo, la 1000x

offre diverse modalità di cancellazione del rumore: a

fianco di quella “completa”, ci sono due modalità par-

ziali, attivabili con un apposito pulsante denominato

“Ambient sound”. Nella prima modalità (“normal”) il

rumore ambientale, altrimenti naturalmente attutito

dai padiglioni, viene ripreso dai microfoni esterni e

delicatamente riproposto in cuffia, in modo da garan-

tire un contatto maggiore dell’utente con l’ambiente

circostante; nella seconda modalità (“voice”) – molto

più interessante – la cancellazione c’è ma vengono

lasciati passare i suoni in un intorno delle frequenze

della voce: in questo modo l’utente può percepire

immediatamente se qual-

cuno gli rivolge la parola

e accorgersi di eventuali

annunci vocali.

A ulteriore perfeziona-

mento del sistema di

cancellazione del rumore,

c’è anche una funzione

di auto-calibrazione: la

cuffia, che deve essere in-

dossata, emette una serie

di segnali test e, secondo

quanto scritto sul manua-

le, utilizzando i microfoni

interni ed esterni, ottimiz-

za la propria risposta sulla

testa dell’utente. Secondo le indicazioni di Sony, anche

solo una capigliatura diversa, la conformazione della

faccia o il fatto di indossare o meno gli occhiali può

influire sulla precisione della cancellazione; il test di

auto-calibrazione permette di tenere in considerazione

tutti questi aspetti e ottimizzare il comportamento della

cuffia. A onore del vero – almeno per quello che ci ri-

guarda – non abbiamo percepito grandi differenze pri-

ma e dopo la calibrazione, ma non possiamo escludere

che in altre condizioni, come per esempio un’utenza

femminile con i capelli lunghi, possa migliorare molto la

resa. Propendiamo piuttosto per qualcosa di più con-

creto: la calibrazione, per quello che abbiamo arguito

con l’utilizzo, ottimizza la risposta del circuito noise

canceling in base ai disturbi ambientali (che riesce me-

glio ad analizzare con i segnali test). In questo senso, è

bene rifare la calibrazione non tanto quando si cambia

capigliatura ma quando si cambia drasticamente am-

biente e tipologia di rumore di fondo. A questo propo-

sito, appare abbastanza chiaro come la cancellazione

del rumore della 1000x sia più efficace in ambienti

molto rumorosi rispetto a quelli più silenziosi: sembra

controintuitivo ma alla prova pratica è così.

Una cuffia noise canceling può essere usata con suc-

cesso anche senza musica, solo per isolarsi da un am-

biente particolarmente rumoroso. Purtroppo questa

Sony ha un limite non banale da questo punto di vista:

quando non è collegata in Bluetooth a un device resta

accesa cinque minuti e poi si spegne automaticamen-

te per risparmiare batterie. Questo rende impossibile

fruire della semplice cancellazione del rumore, se non

collegandosi comunque a un device bluetooth, pur

senza utilizzarlo.

C’è un ultimo aspetto, anzi un difetto, per noi veniale,

ma per certi utenti potrebbe essere non trascurabile:

questa cuffia può essere usata anche durante le telefo-

nate come sistema vivavoce, ma alla terza richiesta dei

nostri interlocutori di parlare più forte, abbiamo capito

che non è proprio possibile utilizzarla con soddisfazio-

ne a questo scopo. I microfoni, che sono pensati per

la cancellazione del rumore, sono evidentemente po-

sizionati in modo da non ottimizzare la funzionalità di

vivavoce; inoltre, parlare con una cuffia così chiusa e

TEST

Sony MDR-1000Xsegue Da pagina 38

Nella parte alta del padiglione si nota chiaramente il microfono esterno: ce n’è uno per padiglione, come anche ce ne sono altri due all’interno. La cancellazione del rumore avviene secondo un algoritmo che pesa in tempo reale tutti i dati provenienti dalle 4 capsule.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

con la cancellazione di rumore attiva, senza avere un

ritorno chiaro della propria voce (che viene anch’essa

cancellata) è straniante: meglio non considerare que-

sta funzione come presente.

I comandi touch L’unicità che fa la differenzaLa cosa forse più originale di questa cuffia è il suo padi-

glione destro: la superficie esterna è in realtà sensibile

al tocco e gli ingegneri Sony hanno implementato una

serie di controlli via gesture che nell’utilizzo risultano

decisamente naturali. Il caso più classico è quello di

una persona che inaspettatamente rivolge la parola

all’utente, che ovviamente non è in grado di capire una

parola, visto che è in regime di cancellazione dei rumo-

ri esterni: in questo caso all’utente basta appoggiare la

mano sul padiglione e la musica viene attenuata quasi

completamente e parallelamente i suoni esterni rilevati

dai microfoni vengono amplificati in cuffia, a simulare

un ascolto a orecchie libere.

La resa del sistema è eccellente: di colpo si torna in

contatto con l’ambiente circostante semplicemente

portando una mano all’orecchio. Ideale per brevi con-

versazioni di servizio o per rispondere alla classica do-

manda della hostess sul drink preferito. Ma le funzio-

nalità del touch non finiscono certo qui: un dito verso

TEST

Sony MDR-1000Xsegue Da pagina 39

l’alto o verso il basso, alza e abbassa il volume; un dito

in avanti o all’indietro opera un salto traccia; con un

doppio tap si può mettere in pausa; con dito fermo per

un paio di secondi si attiva Siri su iPhone o iPad.

Chi ha mai usato una cuffia wireless, e quindi attiva,

sa bene perché avere questo controllo touch è impor-

tante e può fare la differenza. Il controllo del volume e

del salto traccia, non essendoci il filocomando, normal-

mente si fa operando su piccoli tastini posti sul bordo

del padiglione; ovviamente bisogna premere “a memo-

ria” e l’errore è dietro l’angolo. Le gesture touch sul pa-

diglione, invece, sono perfette; oltre che facili e a pro-

va di errore, sono anche intuitive. Certo, chi sta “fuori”

dalla cuffia forse non si spiegherà i gesti inconsueti, ma

non importa. La funzione di disattivare la cancellazione

con il palmo sul padiglione è poi sensazionale e molto

comoda: l’alternativa, nel mondo delle altre cuffie noise

canceling, è quella di “disarcionarsi” la cuffia al volo,

non appena si ha necessità di interagire con gli altri,

cosa assai scomoda.

di Roberto FAGGIANO

N uovo ingresso nella gamma

Beoplay, il marchio lanciato da

Bang & Olufsen per allargare

verso il basso la platea di potenziali

acquirenti. Arriva la nuova cuffia H9

(499 euro), un modello top di gamma

con finiture impeccabili in pelle e allu-

minio che integra un sistema attivo di

cancellazione del rumore. Apparente-

mente il nuovo modello sembra iden-

tico alla H8, ma leggendo le specifiche

tecniche si nota un aumento leggero

del peso - 295 grammi contro 255 -

e maggiori dimensioni. Pochi grammi

e pochi millimetri che servono per un

nuovo sistema di cancellazione attiva

del rumore definito ibrido: vengono

utilizzati due microfoni, uno esterno

al padiglione della cuffia, l’altro inter-

no, in modo da ottenere una migliore

rilevazione dei disturbi per cancellarli

in modo più efficace con un segnale

opposto. I controlli sono di tipo touch

HI-FI E HOME CINEMA Nuovo sistema di cancellazione del rumore ibrido per la cuffia top Beoplay

Beoplay H9, la cuffia per ascoltare il silenzioSi collega con o senza fili e ha autonomia di 21 o 14 ore. Il prezzo è però alto: 499 euro

sul padiglione, per volume, cambio

traccia, risposta e chiusura telefonate

oltre all’attivazione del circuito di ridu-

zione del rumore.

Dal punto di vista tecnico abbiamo un

trasduttore da 40 mm e la risposta in

frequenza compresa tra 20 e 22.000

Hz mentre il funzionamento è possi-

bile via cavo con minijack oppure tra-

mite Bluetooth 4.2 con aptX a bassa

latenza. L’au-

tonomia della

batteria è di 14

ore con Blue-

tooth e circui-

to NC attivato,

ma si sale a 21

ore se si usa il

collegamento via cavo. La finitura è di-

sponibile in colore nero oppure argilla.

MAGAZINE

Estratto dal quotidiano onlinewww.DDAY.it

Registrazione Tribunale di Milanon. 416 del 28 settembre 2009

direttore responsabileGianfranco Giardina

editingClaudio Stellari, Maria Chiara Candiago,

Greta Genellini, Simona Zucca

EditoreScripta Manent Servizi Editoriali srl

via Gallarate, 76 - 20151 MilanoP.I. 11967100154

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Roberto FAGGIANO

D iffondere musica in tutta la casa è ormai molto

facile grazie ai diffusori multiroom che si colle-

gano tra loro tramite Wi-Fi. Ma non tutti hanno

il Wi-Fi domestico, e da questa considerazione ecco i

diffusori Izzy di Philips, pronti per diffondere musica in

tutte le stanze della casa sfruttando più semplicemen-

te il Bluetooth: se ne possono collegare fino a cinque

per sonorizzare anche grandi appartamenti e posso-

no anche lavorare da soli quando ogni membro della

famiglia preferisce ascoltare la propria musica.

Un vantaggio di questa soluzione (che però potrebbe

anche diventare uno svantaggio a seconda dei pun-

ti di vista) è l’inutilità di un’applicazione dedicata da

installare su smartphone e tablet; i comandi realmen-

te utili sono infatti tutti sui diffusori. Tra gli svantaggi

ovviamente la versatilità, nel senso che la semplice

connessione bluetooth non permette una gestione

avanzata del multiroom (più sorgenti verso specifici

diffusori, configurazioni home theater...) e l’impossibi-

lità di accedere direttamente ai servizi di streaming o

alla riproduzione musicale da server, ma qui è tutto

all’insegna della semplicità, infatti anche il nome Izzy

andrebbe pronunciato isi, cioè facile in inglese.

Per il nostro test abbiamo provato i quattro modelli

attualmente disponibili in Italia: il BM50 (280 euro)

che è un vero sistema stereo con tanto di lettore CD

e radio, il compatto BM5 (130 euro), il più grande BM7

(230 euro) e il portatile con batteria ricaricabile BM6

(180 euro). All’IFA abbiamo visto anche altri nuovi

componenti della serie, tra i quali un piccolo sistema

stereo, ma da noi arriveranno solo in futuro.

La procedura di raggruppamento dei diffusori è molto

rapida: bisogna premere il tasto Group sul primo diffu-

sore e poi sul diffusore da abbinare (purchè nel range

del Bluetooth) e così via per collegarli tutti; alla secon-

da accensione i diffusori si accendono e si raggrup-

pano automaticamente, mentre per dissociarli basta

premere nuovamente il tasto Group. Su ogni diffusore

sono presenti tre led verdi che indicano la qualità del

segnale Bluetooth, se si accende un solo led la porta-

ta del segnale è appena sufficiente.

Per la prova abbiamo usato il BM50 come diffusore

master e sorgente musicale, piazzando gli altri diffu-

sori in altre stanze di un normale appartamento, con

pareti in muratura ed elementi in cemento armato. Ma

TEST I diffusori Izzy di Philips sono studiati per il multiroom ma senza usare il Wi-Fi: per collegarsi tra loro sfruttano il Bluetooth

Philips Izzy: il multiroom è anche senza Wi-Fi Il sistema permette di collegare fino a cinque diffusori. Il costo è moderato: da 130 euro a 280 euro, a seconda dei modelli

si possono anche usare diffusori tutti uguali oppure

far diventare master uno degli altri diffusori. Inoltre

abbiamo attentamente ascoltato ogni diffusore con le

sorgenti disponibili.

Philips BM50: c’è anche il lettore CDL’elemento fondamentale del nostro sistema multi-

room senza Wi-Fi è il BM50, un diffusore che è un

vero sistema stereo dato che ospita la radio FM con

30 preselezioni, un lettore CD con caricamento moto-

rizzato, una presa USB laterale per chiavette con mu-

sica MP3 e anche il Bluetooth per ricevere musica da

smartphone e tablet. Inoltre ha la funzione orologio e

sveglia. In dotazione c’è pure il telecomando per un

uso più comodo. Si tratta di una categoria di appa-

recchi ormai poco frequentata, ma interessante per

chi desidera ascoltare ancora le sorgenti tradizionali

senza occupare molto spazio; inoltre questo BM50

può anche essere installato a parete con gli accessori

in dotazione.

Ulteriore versatilità dell’apparecchio è la possibili-

tà dell’ascolto in cuffia e l’aggiunta di una sorgente

(magari un televisore) tramite un ingresso minijack sul

retro. Sul frontale, nella zona destra, è nascosto un

display che appare dietro le griglia di protezione: in-

dica la sorgente selezionata, l’ora, la frequenza radio

oppure tempi e tracce di un CD.

Per migliorare la resa sonora si possono impostare

cinque diverse curve di equalizzazione, in modo da

focalizzare la risposta sui bassi, sugli acuti o lasciar-

la uniforme, ma le correzioni apportate sono minime

e non stravolgono la resa sonora; probabilmente gli

utenti più giovani avrebbero preferito più “rumore”

ma il diffusore tiene bene anche un volume sopra la

media. Il piccolo telecomando in dotazione consente

di controllare tutte le funzioni ma non ha la tastiera nu-

merica per richiamare direttamente le stazioni radio

memorizzate o i brani di un CD, bisognerà procedere

solo in modo sequenziale. Il caricamento dei CD è mo-

torizzato in una fessura posta in alto, il meccanismo è

rapido e silenzioso ma per inserire il disco non si ca-

pisce mai quanto si debba premere sul disco, mentre

per espellerlo bisogna usare il tastino presente solo

sull’apparecchio. Il display indica, se presenti, anche

titolo del disco e artista. Per testare la resa sonora

iniziamo dalla radio FM, che mostra buona sensibilità

con il cavetto-antenna in dotazione; buona la sepa-

razione tra le stazioni ma viene fatto passare molto

fruscio, forse si poteva azzardare una radio DAB per

avere una migliore resa sonora.

Con i CD la resa migliora notevolmente e diventa

quasi sorprendente per la categoria, specie inseren-

do il DSP “balanced”: pur con gli inevitabili limiti fisici

in gamma bassa la musica esce piacevole e apre un

segue a pagina 43

lab

video

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torna al sommario 43

MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

fronte sonoro molto più ampio dei limiti dell’apparec-

chio; ben bilanciata la gamma acuta che restituisce

molti dettagli senza cadere nell’eccessiva brillantez-

za. Con il Bluetooth gli entusiasmi si smorzano e nello

streaming musicale ritornano i limiti della musica com-

pressa, cui avrebbe giovato un DSP dedicato per dare

più forza alla riproduzione.

Philips BM7 Grandi prestazioni a buon mercatoIl BM7 condivide l’estetica del modello più piccolo

BM5 con dimensioni più generose, in particolare la

rassicurante manopolona del volume decentrata sulla

destra del diffusore. Estetica sempre molto rigorosa

con l’unico tocco di vivacità delle spie che segnalano

la sorgente e il livello del segnale Bluetooth. Oltre al

collegamento senza fili, che su questo modello è ar-

ricchito dall’abbinamento automatico NFC, è sempre

disponibile l’ingresso minijack sul retro.

Molto interessante ciò che si cela dietro alla griglia

nera di protezione che avvolge completamente i lati

del BM7, il dispiegamento di altoparlanti è infatti molto

insolito per la categoria di prezzo: frontalmente tro-

viamo due piccoli midwoofer e due tweeter angolati

verso l’esterno, mentre sul retro ci sono due radiatori

passivi per migliorare la resa dei bassi.

Lo spiegamento di forze si traduce in ottime presta-

zioni sonore, dove lo streaming compresso via Blue-

tooth non condiziona la resa musicale, che si pone ai

vertici della categoria. Difficile trovare nella fascia di

prezzo dei 200 euro dei medio bassi così autorevo-

li ma privi di code o rimbombi, non da meno le voci

maschili e femminili che risultano ben in primo piano.

Sugli acuti un diffusore Bluetooth non può fare molto

ma comunque la lieve direzionalità dei tweeter verso

l’esterno amplia molto bene il piccolo fronte sonoro

e rende complessivamente molto gradevole l’ascolto

più attento.

Philips BM5: un compatto tuttofareIl BM5 è il diffusore più economico della serie Izzy,

andando a competere con una marea di altri diffusori

Bluetooth più colorati e più attraenti per il pubblico

più giovane. Il BM5 è invece molto più serioso con la

sua base quadrata e la finitura nera, in compenso la

grande manopola del volume lo rende più semplice

TEST

Philips Izzysegue Da pagina 42

da usare in una collocazione fissa, senza bisogno di

andare a cercare tastini nascosti sui lati o sul retro.

Come sorgente si può contare sul Bluetooth e sull’in-

gresso minijack sul retro.

Dal punto di vista tecnico il BM5 utilizza due larga

banda frontali con accordo reflex posteriore. I pochi

comandi disponibili sono tutti sul pannello superiore,

davanti alla grande manopola del volume. All’ascolto

il piccolo diffusore mette in mostra un bel carattere,

con una gamma bassa più vivace rispetto agli altri

Izzy, merito forse dell’accordo reflex posteriore.

Siamo comunque sempre nell’ambito di medio bassi

godibili e dinamici ma per nulla invadenti e adatti an-

che ai generi musicali più tranquilli o addirittura alla

musica classica. La gamma media e le voci sono di

buon livello per la categoria mentre gli acuti tendono

a risentire delle eccessive compressioni e sono poco

precisi e quasi sfumati, comunque nulla di grave per

l’ascolto standard in streaming. Molto buona l’apertu-

ra sonora oltre i limiti fisici del diffusore. Alla lunga il

BM5 diventa un buon diffusore, soprattutto conside-

rando il prezzo d’acquisto particolarmente contenu-

to, capace di offrire un convincente ascolto che va

oltre il semplice sottofondo.

Philips BM Il portatile resistente all’umiditàIl BM6 è l’unico diffusore portatile della serie Izzy

grazie alla batteria ricaricabile integrata, in grado di

far funzionare il diffusore per circa 8 ore in modalità

Bluetooth semplice oppure 4 ore in modalità multi-

room con l’Izzy link. La forma snella e compatta si

sposa con una bella finitura satinata, quasi elegante

nella sua semplicità.

I comandi sono tutti sul pannello superiore: ai quattro

estremi i tasti per accensione e sorgente, al centro

quelli per il volu-

me; sono tutti a

membrana per

soddisfare le

specifiche IPX4

(protetto dagli

spruzzi) e ga-

rantire l’utilizzo

anche in luoghi

a rischio umidità

come un giardi-

no e il terrazzo

oppure la cuci-

na e il bagno. Anche gli

ingressi posti sul retro

per la ricarica batteria

e per l’ingresso

di altre sorgenti,

sono protetti

da un tappo in

materiale gom-

moso. Sul lato

superiore ritro-

viamo l’anello

luminoso colorato

comune a tutta la

serie, che indica

l‘accensione e il

raggruppamen-

to in un sistema

Izzy. Sotto la

griglia di protezione il BM6 nasconde un progetto

molto elaborato per la categoria: sono infatti previsti

due altoparlanti larga banda frontali e due radiatori

passivi sui lati, un accorgimento che permette di mi-

gliorare la resa sonora mantenendo un cabinet molto

compatto.

Alla prova dei fatti il diffusore se la cava molto bene,

con un fronte sonoro ben maggiore di quanto ci si po-

trebbe aspettare da un diffusore che misura alla base

meno di 10 cm per lato. Non male perfino la gamma

bassa che riesce a restituire musica dinamica e ben

frenata, forse poco accordata sui gusti dei giovani ma

in grado di non sfigurare con le voci e perfino con la

musica classica. Si tratta di un progetto evidentemen-

te anche ascoltato e ben tarato, poco emozionante al

primo ascolto ma vincente a lungo termine. Peccato

che l’autonomia sia piuttosto scarsa e che non ci sia

modo di conoscere la carica residua.

Philips Izzy Quando i meriti superano gli svantaggiLa soluzione semplice di Philips per il multiroom ha il

vantaggio di non richiedere il collegamento Wi-fi e lo

svantaggio di non poter accedere direttamente alla

musica da archivi musicali come server o hard disk.

Ma per l’utente comune ormai la musica viene dallo

smartphone tramite streaming e quindi il problema

è di pochi. Il sistema funziona anche per la sempli-

cità nell’accoppiare i diversi diffusori e mantenere

agevolmente il collegamento anche sulle distanze

presenti in un comune appartamento. Interessante

anche la possibilità di sganciarsi rapidamente dal

gruppo quando si desidera ascoltare la musica nella

propria stanza. L’inserimento in gamma di un siste-

ma completo di radio e CD permette poi anche di

ascoltare le sorgenti tradizionali mentre gli altri dif-

fusori consentono di scegliere il modello più adatto

alle diverse stanze. In tema di difetti possiamo citare

l’estetica molto rigorosa, sicuramente poco attraente

per il pubblico giovane; anche il portatile BM6 non

brilla per la sua autonomia e il prezzo lo avvicina pe-

ricolosamente a molti big del settore, compresi quelli

con il Wi-fi. In generale comunque il sistema Izzy è

vincente sotto il profilo del rapporto qualità/prezzo e

merita un ascolto.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Michele LEPORI

L a primissima impressione “out of the box” di questa

mirrorless è quella di un corpo macchina sotto cura

ormonale: dimensioni generose, peso non proprio

piuma ed una linea da DSLR che non si discosta mol-

to dalla precedente X-T1. La disposizione dei comandi

appare subito ergonomica, con un’impugnatura in finta

pelle ben marcata e sagomata che ne facilita la presa

anche con lenti lunghe e pesanti: sulla destra trovano

spazio le ghiere con velocità dell’otturatore e aree con

i punti di messa a fuoco, che sulla X-T2 creano

un unicum più alto e più como-

damente raggiungibile di

quanto permettesse

X-T1. La ghiera

alla base è sta-

ta dotata di

un seletto-

re esterno

f r o n t a l e

raggiungi-

bile con l’in-

dice ma non

comodissimo

da spostare: stac-

care l’occhio dal mi-

rino per cambiare l’area

di messa a fuoco può capitare

più volte del previsto, ma l’abitudine all’uso

andrà a creare verosimilmente delle routine nel foto-

grafo. All’estremità destra la ghiera di compensazione

dell’esposizione con i canonici +/- 3EV ed una nuova

posizione “C” (mutuata da X-Pro2) che estende il ran-

ge a +/-5EV. Completa l’allestimento superiore destro

il tasto di scatto con richiami molto vintage anche que-

sti derivati dall’ammiraglia street di casa Fujifilm. Alla

sinistra del mirino (di cui parleremo dettagliatamente

più avanti), un’altra ghiera 2-in-uno con ISO e modalità

di scatto: come la precedente, entrambe sono dotate

di pulsante centrale di blocco del movimento rotatorio

che permette di tenere impostati correttamente i para-

metri anche rimettendo spesso in borsa la macchina,

senza rischio di cambiamenti indesiderati. Osservando

la X-T2 da dietro, alla destra del display trova spazio il

joystick per la navigazione nel menu e per la selezione

del punto di messa a fuoco e i 4 pulsanti personaliz-

zabili con impostazioni tagliate su misura. Se vogliamo

“dare i numeri” della macchina: 132,5mm x 91,8 x 49,2

e 507gr. Veniamo al display posteriore, un LCD da 3”

ed 1.04 milioni di punti che può essere “estratto” dal-

la sua alcova ed inclinato di poco meno di 90° grandi

in orientamento panoramico e ruotato verso l’alto in

modalità ritratto. Lo schermo presenta un’utile moda-

lità Info che mette a disposizione del fotografo tutti i

parametri chiave in visione comparata, offrendo anche

le modalità Standard e Custom Live View: la seconda,

in particolare, offre 14 personalizzazioni fra cui dei pa-

rametri per il mirino elettronico. Fujifilm decide di non

TEST Dopo due anni dall’uscita della X-Pro2 Fujifilm presenta X-T2 rilanciandone la filosofia, migliorandola in tanti aspetti

Fujifilm X-T2 in prova, la mirrorless più completaLa qualità dell’immagine è di primo livello, un RAW assolutamente senza rumore ed un Jpeg che non sbaglia una tonalità

proporre il touchscreen fra le caratteristiche di questo

display posteriore, e per quanto l’interfaccia utente

con joystick ed input sia funzionale e precisa, senza

rischi di infinite navigazioni fra i menu che potrebbe-

ro far perdere l’attimo, su macchine top di gamma è

un’assenza che ci manca e che dobbiamo sottolineare.

Il primo giudizio complessivo sul design è quindi una

promozione a pieni voti: Fujifilm strizza l’occhio a colo-

ro i quali cerchino una macchina che non li lasci orfani

di una linea estetica da DSLR (che probabilmente era

fidata compagna di lunga data), ma porta sul mercato

una macchina solida e ben costruita, con uno chassis

in lega di magnesio stabile e senza vibrazioni con una

tropicalizzazione garantita da 80 punti di chiusura che

ne garantiscono la funzionalità anche in condizioni di

acqua scrosciante, polvere e temperature fino a -10°C.

Elettronica, sensori e autofocus senza compromessiNe abbiamo accennato poco sopra, è giunto il momen-

to di approfondire la questione mirino: senza ombra di

dubbio uno dei punti di forza di questa macchina e una

delle maggiori criticità di chi sta vagliando il passaggio

da reflex a mirrorless. A differenza di X-Pro2, qui Fujifilm

non adotta l’innovativo mirino ibrido ottico/elettronico,

ma equipaggia la X-T2 con un modello OLED elettroni-

co ad altissima risoluzione: stesso valore di risoluzione

a 2.36 milioni di punti e 0.77x di ingrandimento presen-

te su X-T1 ma luminosità che raddoppia, passando da

250 cd/m2 a 500 cd/m2, con velocità di refresh stan-

dard fissata a 60fps che può essere portata all’incredi-

bile soglia di 100fps. Se aggiungiamo un lag di 0.005

secondi, ecco che i dubbi sulle velleità professionali di

questo tipo di mirino vengono spazzati via. Dimensio-

ni di base settate a 3:2, ma la X-T2 supporta anche il

formato 4:3 ed 1:1: nel formato nativo l’immagine sarà

letterbox con le bande nere sui lati superiori ed inferiori

lab

video

FUJIFILM X-T2QUALITÀ E RICCHEZZA DI FUNZIONI

1729,99 €Con la X-T2 ci siamo davvero divertiti. La costruzione e l’ergonomia sono di primissimo livello ed il feeling con la macchina nasce dalla prima accensione, ma siamo consapevoli che gran parte del divertimento è figlio della passione per la fotografia e per l’attenzione al dettaglio che questo tipo di macchina richiede al suo padrone: l’altissimo livello di personalizzazione su Auto ISO e parametri di gestione dell’autofocus da soddisfazione ai cultori delle impostazioni ma può togliere il piacere di fotografare “a cuor leggero” a coloro i quali ancora mal digeriscono la navigazione fra menu e preset. Zone e Wide Tracking tengono alta l’asticella anche con blasonate rivali APS-C quali D500, ma al calare della luce la X-T2 mostra qualche incertezza. La qualità dell’immagine è di primissimo livello, con un RAW assolutamente senza rumore ed un Jpeg che non sbaglia una tonalità cromatica: basterebbe anche la sola simulazione film Provia a regalare immagini di primissimo livello, ma non contenta Fujifilm ne aggiunge altre 8 completamente personalizzabili: an-cora una volta, un altissimo livello di personalizzazione che può (quasi) far paura. Un “vero” difetto? La durata della batteria, davvero ridotta per sole ses-sioni fotografiche: se l’uso diventa anche quello in ambito videomaking, l’extra grip con batteria supplementare passa da optional ad acquisto obbligato.

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

9 8 8 7 9 88.4

segue a pagina 45

COSA NON CI PIACECOSA CI PIACEPersonalizzazione estremaParco ottiche Fuji di prim’ordineResa RAW e JPEG da primato

I meno esperti avranno “da studiare”Autofocus rivedibile in scarsa luminositàDurata della batteria

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

usate per visualizzare dettagli ed informazioni extra, se

desiderato dall’utente. Questo per quanto riguarda i nu-

meri: ma come si può lavorare con questo gioiellino di

tecnologia fotografica? Fujifilm lascia inalterata la User

Interface del mirino elettronico che ha visto debuttare

sul mercato con la sorella X-Pro2: la prima opzione che

si palesa all’occhio del fotografico premendo il seletto-

re sulla destra della struttura di mira è il Full Mode, che

dà credito al proprio nome mostrando una visione inin-

terrotta della scena inquadrata assieme a tutte le infor-

mazioni necessarie, che trovano però spazio fuori dalla

composizione e che quindi non distraggono l’occhio,

lasciandolo concentrato sulla perfetta resa finale dello

scatto. La modalità Normal ottimizza la visione dell’in-

quadratura alleggerendo la mole di informazioni fornite

al fotografo e - per finire - l’interessante Dual Mode che

unisce il meglio dei due mondi: l’immagine appare divi-

sa in due, con l’inquadratura a sinistra ed un’area 100%

manual focus sulla destra. L’unica pecca? Questa mo-

dalità non ruota con l’orientamento del corpo macchi-

na. Il giudizio sul mirino elettronico è - in ultima analisi

- ampiamente positivo: il refresh, impercettibile anche

all’occhio più attento già a 60 fps smette di essere un

elemento di possibili preoccupazioni quando portato a

100fps in Boost Mode. Se non fossimo consapevoli di

essere alle spalle di un mirino non tradizionale, non no-

teremmo la differenza se non - forse - per un dettaglio:

il sensore che rileva l’avvicinamento/allontanamento

dell’occhio al mirino, e che quindi risveglia il display

posteriore, ha un piccolo “lag”, che lascia l’immagine

al buio per una frazione di secondo nel passaggio di

visuale. L’unico rimedio che abbiamo trovato è lasciare

il mirino sempre in funzione, sganciando il display dalla

sua alcova: la batteria, tuttavia, non approverà questa

scelta. Veniamo ora al cuore della macchina, il sensore

X-Trans III CMOS da 24,3 megapixel in formato APS-C.

Le ragioni che legano a doppio filo la casa giapponese

al formato di sensore più piccolo sono note da tempo,

ed il desiderio di non creare una macchina pesante ed

ingombrante come arriva inevitabilmente ad essere

il corpo di una fullframe si è avverato anche in X-T1.

Ma questa volta Fujifilm si spinge più in là, ribadendo

che “È impossibile notare la differenza tra il bokeh di

un sensore APS-C ad apertura massima e quello di un

sensore full frame con apertura chiusa di uno stop”

(come espresso qualche anno fa dal manager giappo-

nese Ueno Takashi) ed affermando senza paura la pos-

sibilità di rivaleggiare ad armi pari con molte fullframe

sul mercato, ed addirittura superandone qualcuna.

A mettere alla frusta queste pesanti affermazioni, la

lente che abbiamo in kit è un Fujinon XF 16-55mm

f/2.8 che ci ha seguito in giro per Milano ed hinterland,

ma che si è fatto una trasferta anche in Germania, più

precisamente alla fiera del gioco da tavolo di Essen:

due ambienti molto diversi per capire se Fujifilm sta

facendo marketing o se crede concretamente nelle

qualità fotografica del suo gioiel-

lino APS-C.

Prova sul campo Qualità eccezionale fin troppa libertà di personalizzazioneAlla prova sul campo, le sensazio-

ni e le consapevolezze maturate

nella fase di studio della X-T2 cer-

cano una controprova. Ma è an-

che l’occasione per saggiare la

bontà di un altro elemento distin-

tivo della produzione fotografica

d’alto livello: l’autofocus. Sulla X-

T2, Fujifilm dà al fotografo le chia-

vi della macchina, lasciandogli fin

da subito carta bianca su di un

gran numero di parametri, ma se

l’ampiezza di opzioni va solitamente a braccetto con

sensazioni positive riguardo il poter ottenere il massimo

da ogni situazione, si fa talvolta sentire qualche paura.

Le premesse alla base del lavoro compiuto da Fujifilm ci

sono e sono tangibili nel menu della X-T2, eppure qual-

cosa non torna come dovrebbe. La personalizzazione

troppo di fino alza l’asticella del cercare a tutti i costi la

soluzione migliore, portandola ad insinuare talvolta il

dubbio che - nonostante il tempo speso alla ricerca dei

dettagli corretti sia stato ben ripagato da uno scatto

pregevole - si sarebbe potuto ottenere di meglio incro-

ciando i dati diversamente. La X-T2 utilizza un sistema

di messa a fuoco dei soggetti in base al riconoscimento

della loro distanza dalla lente, e in Fujifilm hanno messo

anche il sistema di autofocus - e le sue molteplici perso-

nalizzazioni - nella lista delle variabili in mano all’utente,

che è chiamato a fare le sue scelte inquadrando e se-

guendo l’oggetto dello scatto: abbiamo messo alla fru-

sta il sistema in zona Porta Garibaldi, durante un pome-

riggio di inizio ottobre. Selezioniamo l’AF a punto

singolo, alterniamo la griglia fra le opzioni 3x3, 5x5 e

7x7 ed iniziamo a studiare il comportamento della mac-

china. X-T2 riesce a gestire il riconoscimento facciale

solo usando l’autofocus a ricerca di contrasto invece di

analizzare l’immagine per scegliere quale sia il miglior

punto di messa a fuoco e usare quindi il sistema a ricer-

ca di fase per acquisire e seguire il soggetto in movi-

mento. Le immagini che otteniamo sono ricche di detta-

gli e definite, ma bisogna abbassare la velocità

dell’otturatore (in altre scatti notturni si noterà ancora di

più): in buone condizioni di luminosità e con un sogget-

to statico o in posa, per contro, il riconoscimento degli

occhi (oltre che del volto) aiuta ad ottenere ottimi risul-

tati: la spina dorsale di questa qualità è data dal sensore

X-Processor Pro, che fa sì che ISO 800 diventi il nostro

nuovo normale, ed ISO 1600 un’ottima alternativa che

spesso nemmeno ci ricordiamo di aver impostato. Par-

lavamo di personalizzazioni di fino, forse troppo, e ini-

ziamo a capire perché: la X-T2 offre al fotografo i mezzi

per gestire il comportamento dell’autofocus con 3 para-

metri che si vanno a modulare sui 5+1 (quest’ultimo,

personalizzabile) preset installati sulla macchina, e che

se usati correttamente aiutano l’autofocus a dare il mas-

simo poiché fanno capire al sensore che tipo di sogget-

to si trova di fronte alla lente. Essi sono Tracking Sensi-

tivity, Speed Tracking Sensitivity e Zone Area Switching.

Il primo setta il tempo con cui cambiare il fuoco in base

TEST

Fujifilm X-T2segue Da pagina 44

Clicca le immagini per vedere l’ingrandimento.

segue a pagina 46

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

al movimento del soggetto, lasciando in mano al foto-

grafo - in scala 0-4 - se l’AF deve “sganciare” il bersaglio

all’ingresso in primo piano di nuovi soggetti o se deve

rimanere concentrato il più possibile su quanto da noi

selezionato. Il secondo parametro mette in evidenza la

vocazione sportiva della X-T2 (del resto, è stata presen-

tata alla vigilia della 24 Ore di Le Mans) e permette di far

prevedere al sensore dove andrà il soggetto a fuoco,

basandosi sulla sua accelerazione/frenata e fornendo

al fotografo una scala di opzioni da 0 a 2 mentre da ul-

timo, l’opzione Zone Area Switching ci permette di dare

priorità ad un soggetto che si pone al centro della zona

di autofocus, ai soggetti in primo piano o lasciare cam-

po libero alla macchina. Quando rimaniamo nell’area a

riconoscimento di fase del sensore, l’aggancio del volto

desiderato fa si che il focus rimanga sul soggetto ed

anche se gli improvvisi ed imprevedibili getti invadano il

primo piano, nessun dettaglio del fuoco da noi deside-

rato si perda. Andare alla ricerca del dettaglio di un’oc-

chio o sperare di ottenere il massimo da una scena con

colori uniformi mette sotto pressione la X-T2, che dà

nettamente il meglio di sé con un contrasto tangibile fra

soggetto a fuoco e la profondità di campo dell’area cir-

costante. La nostra permanenza alla kermesse teutoni-

ca di Essen ci ha permesso di studiare il comportamen-

to della X-T2 anche in una

condizione molto particolare come

quella di una fiera di grandissime

dimensioni, dove di sicuro non si

può contare su condizioni di lumi-

nosità ottimale: luci variabili e

spesso troppo forti facevano da

contraltare ad angoli bui e

nascosti dove,

per ottenere

buoni risultati,

ci è toccato

spesso e vo-

lentieri intervenire in prima persona. Le belle parole

spese in apertura sull’ergonomia della X-T2 trovano

una grandissima conferma in questo frangente: i co-

mandi della X-T2 sono veloci e precisi, e la grandissima

personalizzazione dei tasti funzione posteriori ci per-

mette di impostare dei parametri diversificati che ben si

adattano alla situazione di repentini cambi di ambiente.

Uno su tutti: il bottone sinistro del pad direzionale è sta-

to personalizzato per proporre diversi livelli di Auto ISO,

che hanno permesso di avere subito pronte le migliori

impostazioni per le diverse aree della fiera. Spesso in

movimento da un tavolo all’altro a caccia di un posto li-

bero, abbiamo goduto degli ingombri relativamente ri-

dotti e - soprattutto - dei pulsanti di blocco delle ghiere:

una vera benedizione per una situazione così caotica

dove il rischio di un giro completo dei selettori si na-

scondeva dietro ogni stand. Negli angoli bui di cui so-

pra, tuttavia, si nascondono i problemi: ad ISO 3200 la

situazione è ancora sotto controllo nella maggior parte

dei casi, ed il dettaglio rimane ancora dove speriamo di

trovarlo, ma le limitazioni di un autofocus che si basa su

un sistema totalmente ibrido si fa sentire (letteralmente)

durante l’acquisizione di un soggetto in condizioni di

penombra, rallentando la messa a fuoco dell’immagine

di frazioni più o meno lunghe di secondo. Se a questo

ci aggiungiamo la gestualità tipica di un soggetto in pro-

cinto di spiegare ad un tavolo di appassionati le mecca-

niche della sua ultima creazione, si rischia di mandare

davvero in difficoltà la X-T2 con la “combo” soggetto in

movimento più scarsa luce. In completa penombra e

con soggetti immobili, tuttavia, lo stacco fra il soggetto

a fuoco e lo sfondo regala immagini di notevole qualità

anche ad ISO 6400 dove inizia ad emergere sulla foto

un effetto grana: attenzione però, non è rumore, ma

semplicemente l’effetto grana che inevitabilmente ini-

zia a dire la sua senza però appesantire (troppo) l’imma-

gine. Alzare l’asticella di ulteriori step, tuttavia, spinge la

X-T2 al limite: si supera la soglia

critica alle condizioni di luce e

contrasto di cui sopra, per

tutto il resto c’è un filtro

Acros B/W che assotti-

glia il limite fra scatto

artistico e parametri azzardati. La ricchezza di dettagli e

nitidezza sui toni senza colori è davvero invidiabile. Tut-

to questo per dire che la qualità fotografica della X-T2,

in RAW, non teme confronti con nessuna blasonata con-

corrente APS-C, né sul campo del rumore né in termini

di gamma dinamica. Gli scatti in JPEG, a loro volta, trag-

gono beneficio dalla completa e variegata palette di fil-

tri messi a disposizione all’utente, che ancora una volta

avrà solo “bei problemi” a scegliere quale usare. Alle

giuste condizioni di luce e soggetto, spingere il valore

ISO oltre la soglia di guardia può non creare i grattacapi

che ci si aspetterebbe sulla carta, ed anzi c’è la concre-

ta possibilità di trovarsi di fronte ad uno scatto pregevo-

le e che non dovrà subire un lungo processo di postpro-

duzione. Il pomeriggio milanese, il lungo weekend

tedesco ed i momenti in cui abbiamo potuto giocare

con X-T2 hanno avuto un’altro elemento in comune,

non gravissimo ma degno di segnalazione: la batteria di

X-T2 non brilla per autonomia. Alla prova anche con

bracketing prolungati, siamo riusciti a prosciugare una

carica da 100% in un pomeriggio scarso.

RAW principe dei dettagli, ma il JPEG Fujifilm rimane il primo della classeIl salto a 24 megapixel porta con sè un aumento del livel-

lo di dettaglio dell’immagine, che in aggiunta al lavoro di

X-Trans esalta la resa dell’immagine con qualsiasi filtro si

decida di lavorare: la maggior parte degli scatti di questa

recensione sono stati ottenuti con la X-T2 in modalità di

scatto RAW+Jpeg e filtro Provia. Il primo ci ha garantito

la versatilità di un doppio formato che permette l’impor-

tazione immediata su Lightroom dei file in alta qualità

senza limitarne al contempo la fruibilità del più versati-

le Jpeg su tablet e smartphone; il filtro Provia è stato

invece usato partendo dalle impostazione di fabbrica,

modificate nei valori di Alte Luci (abbassate a -2), Tono

Ombre (alzato a +2), Nitidezza e Riduzione Disturbo ab-

bassati a -4 e -3. Un intervento pesante, ma i valori che

la casa setta come 0 ci appaiono davvero troppo alti,

e la possibilità di lavorare con un’immagine più “pulita”

che può essere affinata in nitidezza con un - se neces-

sario - intervento di post produzione appare la scelta più

idonea per lavorare con una X-T2 così performante sulla

resa dei colori. Il Jpeg della casa giapponese si confer-

ma ancora una volta di altissimo livello, con una resa cro-

matica molto fedele al vero su gialli e verdi. Le tonalità

del rosso, di contro, prestano il fianco ad un più generale

appiattimento ed una saturazione più bassa che richie-

de qualche intervento di post produzione.

TEST

Fujifilm X-T2segue Da pagina 45

Clicca le immagini per vedere l’ingrandimento.

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

di Claudio STELLARI

S i può avere in auto un impianto audio di alta qua-

lità montato di serie? E soprattutto, come suona?

harman ci ha inviato a scoprirlo partecipando a

un evento organizzato per il lancio della nuova Toyota

C-HR; il crossover del costruttore giapponese, a se-

conda delle versioni, può infatti montare un sistema

audio progettato e realizzato appositamente per que-

sta vettura da JBL, azienda che come sappiamo fa parte della galassia Harman, passata recentemente

sotto il controllo di Samsung. JBL può vantare un in-

credibile know-how con l’80% delle installazioni audio

nei concerti dal vivo, oltre alla presenza dei suoi appa-

rati nel 70% degli studi di registrazione e nel 90% delle

sale cinema certificate THX. A tutto questo si somma

un posto in prima fila nel cuore di tutti gli amanti della

buona musica, guadagnato grazie a sistemi e diffusori

di qualità. Ce n’è abbastanza quindi per alimentare la

nostra curiosità, ma prima di passare alla parte audio

firmata JBL, vale la pena approfondire la conoscenza

con la Toyota C-HR, un’auto decisamente nuova e

coraggiosa, progettata con un occhio di riguardo per

soddisfare l’esigente clientela europea.

Aggressiva e hi-tech, dentro e fuoriLa Toyota C-HR è un’auto che va oltre i soliti sche-

mi, diverse dalle altre. Per capirlo basta un semplice

sguardo: il frontale ha un aspetto muscoloso, con linee

decise e forme stilistiche particolari. I passaruote sono

TEST Bella e innovativa, la Toyota C-HR offre un impianto audio realizzato da JBL. L’abbiamo ascoltato, ecco come suona

A bordo di Toyota C-HR per ascoltare il sound JBL Il sistema audio è stato realizzato appositamente per la C-HR, partendo dallo studio dei materiali per gli interni dell’auto

alti, ma grazie al tetto spiovente il crossover Toyota

mette in mostra un aspetto filante, che ricorda quello

di un coupè; un carattere sottolineato dalla forma delle

maniglie posteriori nascoste nelle linee del montante

e dallo spoiler posteriore che si raccorda al tetto.

L’aspetto deciso e tecnologico dell’auto è ripreso dal

design degli interni: i comandi sono rivolti verso il gui-

datore, ben accessibili e disposti in modo intuitivo; la

strumentazione è illuminata da una gradevole luce blu

e risulta sempre ben leggibile. La forma lineare della

plancia è sottolineata da un profilo realizzato con ma-

teriale morbido al tatto che si raccorda alle portiere an-

teriori, profilo che abbraccia al centro il grande display

touchscreen multicolore da 8”, centro di controllo del

sistema di infotainment della vettura, che troneggia in

posizione rialzata. Inizialmente sembra fin troppo pre-

sente nell’abitacolo della vettura, ma ci si abitua alla

svelta. Il navigatore è disponibile come optional, di

serie invece il pacchetto Toyota Safety Sense Plus con

sistema pre-collisione, avviso di superamento corsia,

riconoscimento della segnaletica stradale, sistema di

abbaglianti automatici, funzione di rilevamento pedoni

e cruise control adattivo. Sul alcune versioni è previsto

anche il sistema di riconoscimento della segnaletica

stradale, il C-HR può offrire inoltre altri equipaggia-

menti di sicurezza e assistenza alla guida, come il

blind spot monitor, per la rilevazione delle vetture in

avvicinamento negli angoli ciechi e il rear cross traf-

fic allert, che avvisa della presenza di ostacoli o del-

l’avvicinamento di altre vetture durante le manovre in

retromarcia.

Dal punto di vista tecnico, la Toyota C-HR utilizza la

stessa piattaforma modulare della Prius, la TNGA

(Toyota New Globale Architeture), da cui in parte ere-

dita anche la meccanica. Due le motorizzazioni pre-

viste: 1.2 turbo benzina da 116 cv e 185 Nm di coppia

(disponibile anche con trazione integrale), e 1.8 VVT-I

Full Hybrid da 122 cv; tutte le versioni destinate al no-

stro Paese montano la trasmissione automatica con

cambio CVT. Secondo le previsioni di Toyota questa

motorizzazione dovrebbe andare per la maggiore, con

una percentuale del 75% rispetto al totale delle vendi-

te in Europa. E dopo aver guidato per mezza giornata

ciascuna delle due versioni non ci sentiamo certo di

darle torto.

Progettato per suonare beneJBL ha progettato il sistema audio della Toyota C-HR

appositamente per questa vettura, non si tratta quin-

di del solito impianto in predisposizione che trovia-

mo normalmente montato di serie delle auto, ma di

qualcosa di decisamente diverso: la progettazione, ci

dicono, ha richiesto una stretta collaborazione tra gli

ingegneri Toyota e JBL, spingendosi fino allo studio

dei materiali e delle forme delle superfici degli interni

dell’auto per capire quale fosse la loro influenza sul-

l’ascolto.

Il risultato finale è il sistema JBL Premium, basato su

un’amplificatore da 576 Watt totali suddivisi su 8 ca-

nali e un totale di 9 altoparlanti. Nella parte anteriore

dell’auto troviamo un sistema tre vie con tweeter da

25 mm caricati a tromba (recentemente brevettati da

JBL) disposti nei montanti della vettura. I tweeter a

lab

video

segue a pagina 49

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MAGAZINEn.146 / 1613 DICEMBRE 2016

tromba hanno un’elevata efficienza, offrono un’ampia

risposta alle alte frequenze e un’elevata dispersione,

disposti nel montante permettono di sfruttare le rifles-

sioni sul parabrezza e di innalzare il fronte sonoro,

facendo sembrare che il suono non provenga dai lati

della vettura ma da un punto in alto di fronte ai pas-

seggeri anteriori. Ai lati del cruscotto sono disposti i

midrarange da 80 mm di diametro a elevata disper-

sione, uno per lato; un woofer da 170 mm di diametro

trova posto nella parte bassa di ciascuna della due

portiere anteriori

Nella parte posteriore, disposti a portiera, troviamo

due altoparlanti full range da 150 mm di diametro; a

spingere le basse frequenze ci pensa il sub bass re-

flex con un altoparlante a doppia bobina da 190 mm

di diametro, sistemato nel bagagliaio sul lato destro,

perfettamente sagomato per occupare lo spazio a di-

sposizione dietro il passa ruote. In questo modo non

viene pregiudicata la capacità di carico della vettura e

nulla rimane in vista; anche l’ampli è sistemato sotto i

sedili posteriori. Per quanto riguarda la configurazio-

ne degli 8 canali dell’amplificazione, tweeter/midran-

ge anteriori condividono un canale dell’amplificatore,

uno per il lato destro e uno per il sinistro; i woofer

anteriori beneficiano ciascuno di una canale dedicato,

due canali di amplificazione sono dedicati alla coppia

di altoparlanti full range posteriori, i due rimanenti ca-

nali spingono vigorosamente il sub doppia bobina.

Poche regolazioni, ma è meglio cosìL’ampli è dotato di DSP e gestisce i tagli in frequenza

(attivi) verso i diffusori. Gli ingegneri JBL sono interve-

nuti sulle curve di equalizzazione e sui ritardi di ogni

canale, predisponendo un tuning fine del sistema.

L’utente può intervenire solo sul volume (indispensa-

bile), sulla regolazione dei toni (alti, medi, e bassi) e

sul fader per regolare il volume tra parte anteriore e

posteriore del sistema. Poche regolazioni quindi, ma si

tratta di una scelta del tutto condivisibile: l’impianto è

stato finemente regolato dai tecnici JBL per esprimer-

si al meglio, intervenendo manualmente a orecchio si

rischia solo di fare peggio. Durante l’ascolto, del resto

non abbiamo sentito nessuna necessità di regolare

nemmeno i toni, segno della bontà delle impostazioni

di fabbrica.Per quanto riguarda le sorgenti, il sistema

offre un ingresso USB (disponibile un ingresso nella

parte bassa del tunnel centrale), la selezione della ra-

dio, di un ingresso aux e naturalmente la connessione

Bluetooth, per il collegamento dei dispostivi mobili. Il

controllo può avvenire mediante i comandi a volante

o direttamente dal monitor touch.

Per ora niente Apple Car Play e Android AutoLa C-HR per ora non è compatibile ne con Apple

Car Play e nemmeno con Android Auto, Toyota sta

valutando con Apple l’introduzione della tecnologia

Apple Car Play sulle proprie vetture ma non è dato

sapere se arriverà e quando. Con l’acquisto del na-

vigatore, Toyota offre alcune app gratuitamente, tra

cui TomTom Traffic, Coyote, Google Stret View, Fuel

e Parking, Meteo, Aha, inoltre è possibile scaricare a

pagamento Aupeo e l’app di Twitter.

Dettaglio, potenza e un’ottima… immagineEccoci quindi proiettati alla guida della Toyota C-

HR in Spagna, sulle colline intorno a Madrid, pia-

cevolmente accompagnati dall’ascolto della musica

riprodotta dal sistema audio JBL. Il suono ha un’im-

postazione che tende a privilegiare gli estremi della

banda, ma non risulta mai sbilanciato, un carattere

che ben si adatta all’ascolto in auto.

La riproduzione offre un notevole dettaglio, soprattut-

to alle alte frequenze (merito dei tweeter a tromba),

che però non diventano mai eccessive o fastidiose.

Il sub sa essere discreto ma all’occorrenza sa fare la

voce grossa sottolineando con vigore e precisione

i passaggi più impegnativi senza mai divenire trop-

po presente, “lungo o gommoso”. Alzando il volume

fino al massimo si apprezza il notevole lavoro di se-

tup svolto da JBL: siamo arrivati fino a far vibrare lo

specchietto retrovisore interno dell’auto senza che

il suono divenisse fastidioso. Ovviamente dopo un

ascolto prolungato “al massimo” si è portati natural-

mente ad abbassare il volume (di poco), ma si tratta

di una necessità fisica. Anche in queste condizioni

estreme di ascolto non si nota alcun rumore provo-

cato dalla vibrazione degli elementi dell’abitacolo,

segno dell’ottimo lavoro svolto nella realizzazione

del sistema e nella costruzione della vettura.

Ad un ascolto più moderato si apprezza l’ottima

distribuzione del suono in auto: si ha l’impressione

la musica provenga da un punto di fronte a noi non

dai lati, dove sono gli altoparlanti, con le voci ben

posizionate in alto sopra il cruscotto. Perfetta anche

la gestione degli effetti, con i diversi suoni che ven-

gono posizionati esattamente dove sono collocati

in sede di incisione. Una prestazione convincente

sotto tutti punti vista; ovviamente è possibile anche

scegliere una strada diversa e rivolgersi a un instal-

latore specializzato di sistemi Hi-Fi Car, che saprà

confezionare un impianto su misura, per soddisfare

esigenze specifiche. Occorrerà però mettere in con-

to una spesa probabilmente superiore agli 800 euro

richiesti per dotare la Toyota C-HR del sistema JBL

Premium, accettando anche modifiche all’auto post

vendita. Vale la pena dotare la nostra C-HR del siste-

ma JBL Premium? È una scelta personale ma ci sen-

tiamo di consigliarvelo, soprattutto se passate diver-

se ora in macchina e apprezzate la qualità musicale

ovunque vi trovate, in casa ma anche in macchina.

Buon viaggio.

Il tweeter a tromba posizionato nel montante an-teriore della Toyota C-HR, il suo design si integra alla perfezione con quello dell’abitacolo.

Il subwoofer installato nel bagagliaio non pre-giudica in alcun modo la capacità di carico della vettura.

TEST

Toyota C-HR con sistema audio JBLsegue Da pagina 48