la realtà di 1lab

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA Facoltà di Sociologia Corso di laurea in Management e design dei servizi Capitale sociale e coworking “La realtà di 1Lab” Capitale sociale e sistemi socioeconomici sociali A cura di: Maddalena Caon, 808811 Andrea Castiglioni, 728771 Simone D’Amora, 811565 Diana Schillaci, 763491 Anno Accademico 2015/2016

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UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA

Facoltà di Sociologia

Corso di laurea in Management e design dei servizi

Capitale sociale e coworking

“La realtà di 1Lab”

Capitale sociale e sistemi socioeconomici sociali

A cura di: Maddalena Caon, 808811

Andrea Castiglioni, 728771

Simone D’Amora, 811565

Diana Schillaci, 763491

Anno Accademico 2015/2016

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INDICE

1. Introduzione

2. Oggetto della ricerca

3. Teorie di riferimento

3.1. Il Coworking come luogo di condivisione

3.2. Il Coworking come fonte di capitale sociale

4. Disegno della ricerca

4.1. Domande di ricerca

4.2. Metodologia

5. Interviste al responsabile ed ai coworkers

6. Analisi dei dati

7. Conclusione

8. Bibliografia

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1. Introduzione

Nell’attuale contesto lavorativo, che è caratterizzato da un’elevata competizione e

dalla necessità di ottimizzare tutte le risorse a disposizione, non ultime quelle umane,

stanno acquisendo sempre maggiore importanza la creatività e le competenze

individuali. La necessità di offrire sul mercato prodotti e servizi sempre più complessi

ed innovativi richiede un elevato numero di lavoratori indipendenti altamente

qualificati, dotati di conoscenze specifiche da applicare ai progetti su commissione. Tra

i numerosi fattori che determinano il successo vi è anche la capacità di integrazione e

collaborazione di professionalità e personalità molto diverse tra loro, ponendo

l’attenzione non tanto sul singolo quanto sulla rete in cui esso è inserito.

L’indipendenza di molte professioni e le nuove tecnologie informatiche, che spesso

portano il lavoratore a svolgere la propria attività a casa, quindi isolato dai colleghi, si

contrappone alla necessità di coltivare nuove relazioni sociali. Come conseguenza di

questa trasformazione socio economica nasce un nuovo modo di lavorare, innovativo e

che cerca di conciliare questi due aspetti: il coworking. Esso consiste in una struttura,

variabile per dimensione e servizi offerti, che mette a disposizione di coloro che vi si

recano per lavorare (i cosiddetti coworkers) diverse postazioni di lavoro, sia open space

sia uffici individuali. Tali postazioni sono affittabili singolarmente o in gruppo (ad

esempio, un team di cinque persone può affittare uno spazio in un coworking e

lavorare lì piuttosto che in azienda) e sono locate in spazi condivisi che incentivano la

socializzazione, il confronto e la collaborazione. L’ideologia di fondo si basa

sull’importanza dell’interazione tra persone diverse, così da permettere al singolo di

allargare il proprio network di relazioni, ma anche di acquisire nuove conoscenze.

Inoltre, l’apertura di questi spazi può anche avere un effetto di riqualificazione del

territorio, poiché permette il riutilizzo di spazi abbandonati o in disuso, come nel caso

del coworking di cui ci siamo occupati.

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2. Oggetto della ricerca

L’oggetto della nostra ricerca, come abbiamo già detto, è il coworking; il significato

letterale di questo termine è “lavorare insieme”. Abbiamo analizzato in modo

teorico ed empirico questa nuova realtà professionale che incentiva la condivisione

di un ambiente di lavoro all’interno di una struttura attrezzata ed organizzata. Il

suo target di riferimento è molto vario ed ampio: spazia da professionisti qualificati

che svolgono un'attività indipendente, come possono essere gli avvocati ed i notai,

ai lavoratori dipendenti. Entrando nello specifico, la nostra analisi empirica si è

focalizzata su 1Lab, un coworking situato nella zona della Stazione Centrale di

Milano al cui interno è presente anche un job club. Tuttavia, esso non era attivo nel

periodo in cui è stata fatta la nostra indagine e pertanto non abbiamo potuto

condurre delle indagini approfondite su di esso.

Il coworking 1lab è un’estensione di un’agenzia per il lavoro chiamata Articolo1

Soluzioni HR, ed è nato soprattutto grazie alla spinta del Dottor Luca Chiappetti (da

noi intervistato), coadiuvata dagli investimenti dei proprietari della stessa agenzia e

da alcuni finanziamenti del Comune di Milano. Per questo motivo, oltre a prendere

in considerazione gli elementi principali cui si pensa quando si parla di coworking,

quali l’incremento delle conoscenze, della collaborazione e del capitale sociale,

abbiamo cercato di capire anche il perché creare un coworking all’interno di un

ambiente particolare come quello di un’agenzia interinale.

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3. Teorie di riferimento

3.1 Il Coworking come luogo di condivisione

Il termine coworking indica la condivisione di uno stesso ambiente fisico di lavoro da

parte di singoli individui o di gruppi che svolgono attività tra loro indipendenti.

L’incentivo più evidente che spinge ad usufruire di tali strutture è la possibilità, per la

singola attività economica, di ridurre alcuni costi di esercizio. Tuttavia, nella realtà il

termine coworking ha assunto un significato più ampio che include lo sviluppo di un

senso di appartenenza collettiva che accomuna persone con una concezione del lavoro

più moderna, aperta al confronto e che valorizzi la diversità delle esperienze

individuali. Quindi, possiamo affermare che il fenomeno dei coworking si inserisce

nella categoria della sharing economy: una nuova economia della condivisione che si

sta diffondendo negli ultimi anni, nata soprattutto grazie ad internet ed alle altre

tecnologie che hanno consentito di abbattere sensibilmente i costi per comunicare e

far viaggiare le informazioni. La condivisione è una pratica di lunga data che, oltre a

creare nuovi metodi di approvvigionamento di beni e servizi, costruisce opportunità di

“consumo collaborativo”. Le pratiche di condivisione che si sono diffuse negli ultimi

anni sono principalmente quattro:

- la circolazione dei beni, tra cui rientra l’informazione

- lo scambio di servizi

- l’ottimizzazione nell’uso delle risorse

- la costruzione di relazioni sociali

Il coworking può essere inserito all’interno della terza e della quarta categoria. Infatti,

esso è un sistema che permette di ottimizzare l’utilizzo di un bene durevole, come un

ufficio con annessi vari strumenti di lavoro (wi fi, stampanti, fax, ...), ma offre anche

molti spazi in condivisione, il che è un incentivo alla socializzazione ed alla

collaborazione. L’obiettivo è, quindi, quello di creare un maggiore collegamento sociale

che consenta di ampliare la propria rete di relazioni, ma anche la formazione di nuove

conoscenze.

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Pertanto, possiamo dire che il coworking abbia sia una motivazione economica, poiché

permette di ridurre i costi che si avrebbero acquistando un proprio spazio personale,

sia una motivazione di tipo sociale, in quanto aiuta a costruire reti sociali. A ciò

possiamo aggiungere anche un obiettivo di riqualificazione del territorio nel caso in cui

la struttura sorga in un edificio abbandonato o in disuso. Inoltre, bisogna valutare

anche i benefici derivanti dal far sorgere il coworking in luoghi ben collegati e

raggiungibili grazie ai mezzi pubblici: in momento storico come quello attuale,

caratterizzato da un’attenzione ed una cura dell’ambiente più alte che in passato, è un

ulteriore modo per migliorare la qualità della vita della propria città, riducendo

l’inquinamento.

Basandosi sulla classificazione dell’economista Michael Polanyi (da non confondere

con Karl Polanyi), il coworking può essere inserito all’interno della pratica della

collaborazione. Le forme collaborative hanno un effetto positivo sui costi e rendono il

mercato più efficiente, in quanto se vi è fiducia tra le parti vengono meno alcuni costi

di transazione e di controllo, oltre a ridursi i tempi della transazione stessa.

Collaborare, inoltre, permette l’uso comune di beni materiali rivali ma sotto utilizzati,

cioè tutti quei beni che sono rivali nel consumo (l’utilizzo da parte di una persona ne

preclude l’uso da parte di un’altra), ma che non sono ottimizzati, cioè potrebbero

essere allocati meglio, in modo più efficiente. Pur rimanendo una pratica troppo

debole per risollevare le sorti dell’economia, i coworking sono sicuramente un modo

nuovo di lavorare, ancora inesplorato in tutti i suoi aspetti, quindi con dei margini di

miglioramento e che pertanto possono condurre a considerevoli vantaggi economici,

politici e sociali. Polanyi, quindi, ha una visione utilitaristica della collaborazione: la

ritiene un mezzo per raggiungere un fine (ridurre tempi e costi).

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3.2 Il Coworking come fonte di capitale sociale

Il termine coworking è stato utilizzato per la prima volta dall’ingegnere informatico

Brad Neuberg, che nel 2005 ha fondato a San Francisco lo spazio Hat Factory, e ne ha

dato la seguente definizione:

“Di solito la società ci obbliga a scegliere fra lavorare a casa in proprio o lavorare in

ufficio per una compagnia. Se lavoriamo per una compagnia in modo tradizionale […]

abbiamo comunità e struttura, ma perdiamo la libertà e la possibilità di controllare le

nostre vite. Se lavoriamo in proprio a casa, guadagniamo indipendenza, ma soffriamo

la solitudine e siamo soggetti a quelle cattive abitudini che derivano dal non essere

circondati da una comunità lavorativa. Il coworking è una soluzione a questo problema.

Con il coworking scrittori, programmatori e creatori indipendenti si trovano insieme in

comunità alcuni giorni alla settimana. Il coworking ti dà l’ufficio tipico del classico

lavoro per un’azienda, ma in un modo assolutamente unico” (Neuberg in Jones,

Sundsted, e Bacigalupo 2009, 9, trad. di Lucia Parrino).

Ciò che contraddistingue un coworking dagli altri spazi di lavoro è che all’interno di

esso si sviluppa un senso di comunità e di appartenenza tra persone che svolgono un

lavoro indipendente. “Gli spazi di coworking forniscono sia uno spazio lavorativo sia

(un senso di) comunità a quelle persone che spesso lavorano da sole” (Centre for Social

Innovation 2010, 16, trad. di Lucia Parrino). La condivisione degli spazi favorisce

l’instaurarsi di relazioni sociali: l’essere umano si caratterizza e distingue dagli altri

animali, tra le tante cose, per il fatto di essere “un animale sociale” (Aristotele). Di

conseguenza, l’individuo non può essere inteso come un’unità a sé stante, ma come un

soggetto sociale inserito in un mondo di scambi e relazioni. L’insieme di queste

relazioni costituisce il capitale sociale di un individuo.

Uno dei primi studiosi che ha analizzato il concetto di capitale sociale è stato il

sociologo e filosofo francese Pierre Bourdieu, definendolo come l’insieme delle risorse

(da lui definite liasons) derivanti dall’appartenenza ad un gruppo. Il volume e la qualità

del capitale sociale di un individuo dipendono sia dall’estensione della propria rete di

relazioni sia dallo stesso capitale di coloro che fanno parte di tale rete. La rete di

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liasons di ognuno di noi non è un dono naturale, ma dipende dalla propria capacità di

instaurare rapporti durevoli e utili che permettano di ottenere dei benefici; è la

risultante di un processo continuo.

James Coleman ha fornito una propria definizione. Egli identifica il capitale sociale,

costituito dalle relazioni sociali in possesso di un individuo, come un insieme di risorse

che costui può utilizzare, congiuntamente ad altre risorse, per meglio perseguire i

propri fini. Coleman, quindi, ci riporta ad una visione strumentale del capitale sociale,

molto simile a quella di Polanyi.

Altri autori, invece, ne sostengono un concetto differente. La sociologa ed economista

Elinor Ostrom sostiene la necessità di un rapporto di fiducia reiterata tra gli individui,

affinché essi non agiscano solo per meri scopi egoistici. La studiosa individua tre

elementi chiave per far avvenire ciò:

- l’affidabilità, con cui si fa riferimento alle caratteristiche del “fiduciario”

affinché risulti affidabile al “fiduciante”

- le reti sociali, poiché il fiduciario immesso nella rete sa che è nel suo interesse

collaborare e mantenere la relazione (vedi anche la “teoria del principale

agente”, o teoria principal agent, per un ulteriore esempio)

- le istituzioni, che sono un importante forma di capitale sociale che fornisce

informazioni sufficienti per accrescere la probabilità che i fiduciari collaborino,

favorendo le azioni collettive

Alla base di tutto ciò, vi è un’importantissima convinzione, senza la quale tutto il

nostro lavoro verrebbe meno: i risultati ottenuti da un’azione collettiva efficiente

producono dei benefici maggiori a tutti i membri della società. Collaborare, creare

relazioni, aumentare il capitale sociale, alla fine porterà alla creazione di sinergie non

ottenibili se ognuno pensasse solo per sé e non per la collettività. Per avere

un’immagine semplice ma efficace di questo concetto, è come se la somma di cinque

fattori, ognuno con un valore di 1, non desse come risultato 5 ma 6 o di più. E’

un’importante conquista, supportata da numerosi studi, come “La teoria dei giochi”.

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Anche altri autori condividono una posizione simile, sostenendo come la

collaborazione e la cooperazione possano portare vantaggi alla collettività nel suo

complesso.

Secondo Alessandro Pizzorno, si costituisce capitale sociale in due casi:

- quando si determinano relazioni basate su legami forti e su principi di

solidarietà di gruppo

- quando si instaurano relazioni basate sulla “forza dei legami deboli”

(Granovetter). Celeberrimo in questo caso è l’esperimento condotto Nel 1967

dallo psicologo americano Stanley Milgram: selezionò, in modo casuale, un

gruppo di statunitensi del Midwest e chiese loro di spedire un pacchetto a un

estraneo che abitava nel Massachusetts, a diverse migliaia di chilometri di

distanza. Ognuno di essi conosceva il nome del destinatario, il suo impiego e la

zona in cui risiedeva, ma non l'indirizzo preciso. Fu quindi chiesto a ciascuno

dei partecipanti all'esperimento di spedire il proprio pacchetto a una persona

da loro conosciuta che, a loro giudizio, poteva avere la maggiore probabilità di

conoscere il destinatario finale. Quella persona avrebbe fatto lo stesso, e così

via, fino a che il pacchetto non fosse stato consegnato al destinatario finale.

Milgram si aspettava che il completamento della catena avrebbe richiesto

almeno un centinaio di intermediari, rilevando invece che i pacchetti, per

giungere al destinatario, richiesero in media solo tra i cinque e i sette passaggi

Secondo Pizzorno, “si potrebbe avanzare l’idea che una teoria del capitale sociale

viene a coincidere con una teoria della riproduzione della socialità; non soltanto,

quindi, dei processi attraverso i quali un soggetto d’azione utilizza le strutture sociali

per perseguire i propri fini singolari, bensì anche dei processi attraverso i quali le stesse

relazioni interpersonali di riconoscimento vengono prodotte e riprodotte a formare il

tessuto della socialità”. Quindi, oltre ad essere una risorsa strategica individuale che

permette di portare a termine i propri obiettivi, il capitale sociale ha effetti positivi

sulla collettività.

Anche il sociologo Robert Putnam sostiene che l’instaurarsi di relazioni sociali migliora

lo stare in società. Infatti esse, basandosi su fiducia e cooperazione, risolvono i

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problemi derivanti da azioni egoistiche, facendo diminuire le ostilità e favorendo il

progresso. Tali relazioni, inoltre, migliorano ed incentivano il flusso delle informazioni

utili anche per il raggiungimento di scopi individuali, portando benefici al singolo e

migliorando il suo benessere complessivo.

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4. Disegno della ricerca

4.1 Domande di ricerca

Fino a questo punto, per condurre la nostra analisi abbiamo posto l’attenzione sulla

definizione teorica di coworking e sulle principali teorie sociologiche di riferimento per

comprendere meglio il fenomeno. Da adesso in poi, ci concentreremo sull’indagine

empirica, per cercare di capire se ciò che è stato trattato in letteratura trova

fondamento nella realtà.

Prima di mettere in atto la nostra indagine, ci siamo posti i seguenti interrogativi:

- Come funziona un coworking?

- È davvero possibile che uno spazio di coworking stimoli lo sviluppo di relazioni

che ampliano il capitale sociale di un individuo?

- E’ possibile che tale effetto sia positivo anche per la società nel suo

complesso?

Di seguito, coadiuvati dalla nostra analisi empirica, cercheremo di rispondere a tali

interrogativi.

4.2 Metodologia

L’obiettivo del lavoro è quello di capire i motivi che portano un soggetto a realizzare un

coworking, perché un soggetto preferisce svolgere la propria attività lavorativa

all’interno di un “cowo” anziché in un ordinario ufficio ed infine studiare le relazioni

sociali all’interno: se ne nascono, di che tipo ed a cosa si limitano.

Per riuscire ad ottenere le informazioni utili per rispondere alle nostre domande è

stato necessario in primo luogo reperire più informazioni possibili attraverso la

visualizzazione dei siti web, le quali riguardano i fondatori, i servizi offerti, i prezzi,

l’anno di fondazione di tutti i coworking. Successivamente, è stato fondamentale

recarsi sul posto ed intervistare sia il responsabile del coworking sia i coworkers

(coloro che hanno affittato una postazione all’interno della struttura e vi si recano

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regolarmente per lavorare). Abbiamo posto loro una serie di domande

precedentemente stabilite e, contemporaneamente, abbiamo registrato le interviste.

Ciò è servito per un successivo lavoro di sbobinatura utile ad analizzare nel migliore dei

modi le informazioni ottenute. Alcune domande erano uguali sia per il coworker sia

per i coworkers; riguardavano la formazione, la professione e la soddisfazione del

proprio lavoro. Altre domande erano più specifiche: al responsabile sono stati chiesti i

motivi che l’hanno spinto a fondare il coworking, il percorso di costituzione dello

stesso, l’ideologia che ne sta alla base ed infine il livello di soddisfazione raggiunto. Ai

coworkers abbiamo chiesto i motivi che li hanno spinti a scegliere questo nuovo spazio

di lavoro, il livello di soddisfazione e se si sono formati rapporti e relazioni che

proseguono anche dopo l’attività lavorativa, così da ottenere rapporti duraturi con

l’obiettivo di far crescere il proprio network di conoscenze ed il capitale sociale.

Il metodo utilizzato per svolgere la nostra analisi risulta essere di tipo qualitativo e non

quantitativo. Quest’ultimo metodo è costituito da un insieme di tecniche che ricorrono

ad aspetti di tipo matematico o scientifico, e prevedono un gran numero di intervistati,

almeno cinquanta (il numero varia a seconda dei casi). L’analisi di tipo qualitativa,

invece, ricorre ad indagini approfondite, eseguite su un campione molto più contenuto

in modo da poter ottenere più informazioni possibili, utilizzando tecniche che spaziano

da interviste a brainstorming, focus group, questionari sulla soddisfazione, indagini sul

campo ed altro.

La scelta di questo metodo ci è sembrata la più adatta per poter raggiungere nel

miglior modo possibile il nostro obiettivo. Dovendo comprendere una situazione

complessa ed articolata, non sarebbero stati sufficienti dei brevi questionari di

soddisfazione con domande standardizzate, ma abbiamo trascorso oltre mezz’ora con

ognuno dei nostri intervistati, cercando di non trascurare nessun dettaglio e di non

farci fuorviare da possibili risposte “politiche”. Infine, abbiamo cercato di capire se

questo nuovo modo di lavorare avesse particolari difetti o generasse problemi.

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5. Interviste al responsabile ed ai coworkers

Il coworking 1lab nasce all’interno di Articolo 1 Soluzioni HR, che è un’agenzia per il

lavoro. E’ una società a conduzione famigliare secondo il modello della SRL

Unipersonale. Il responsabile dell’agenzia è il Dottor Luca Chiappetti il quale, circa due

anni fa, si interessò ad un bando del comune di Milano che offriva incentivi per la

creazione degli spazi di coworking. Avendo lui già avuto modo di conoscere e

sperimentare, seppur brevemente, tale realtà all’estero, fu molto interessato all’idea.

Così decise di parlarne con la proprietà di Articolo 1, la quale si dimostrò interessata,

ma prima cercò di capire se vi fosse un modo per riuscire ad interagire con il comune:

lo scopo era quello di riuscire a partecipare al bando per poi poter realizzare il

coworking. Come si sarà ormai intuito, il tutto ha avuto successo: il comune ha

approvato il progetto pervenutogli e si è impegnato ad erogare un finanziamento di

circa 20.000€.

Esaminiamo ora, più nel dettaglio, quella che è la realtà del coworking 1lab, partendo

dal suo fondatore. Il Dott. Luca Chiappetti è nato a Milano ed ha quarantacinque anni.

Ha studiato ragioneria e poi si è iscritto a scienze politiche, ad indirizzo sociologico e

politico. Una volta conseguita la laurea ha lavorato presso Adecco, un’altra agenzia per

il lavoro, come responsabile della filiale di Milano per cinque anni. Successivamente, si

è trasferito nella zona di Saronno ed è diventato responsabile di due filiali della zona.

Dopo circa dieci anni in Adecco è stato assunto da una società che si occupava di

ricerche di mercato, in particolare di rilevazione a scaffale di tutto ciò che era esposto

all’interno di grandi magazzini come MediaWorld ed Euronics. In seguito, è tornato nel

mondo delle agenzie del lavoro e, dopo averne cambiate alcune, è stato assunto da

Articolo 1 nel 2012, prima come responsabile dell’area Milano poi anche dell’area

Varese. Da Ottobre dell’anno scorso (2015) è stato incaricato di portare avanti quella

che è l’implementazione delle politiche attive sulla regione Lombardia: si occupa di

capire ed esaminare tutte quelle che sono le doti lavorative richieste al giorno d’oggi e

tutto quello che riguarda l’ambito dei bandi, sia italiani sia europei, per fare in modo di

essere presenti anche su un mercato che ad oggi ci vede distanti, come quello dei

coworking. Il responsabile del coworking, durante l’intervista, ha spiegato uno dei

motivi che ha portato alla realizzazione di questa nuova realtà:

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“Ho visto negli ultimi anni, seguendo tutta una serie di percorsi di rete, che sono la

strada che hanno permesso a molte aziende di uscire dalla crisi, di non entrarci o di

arrivare a determinate realtà sia produttive che distributive che prima neanche

potevano avere da sole. Anche cooperando con quelli che erano i loro competitor

istituzionali su determinati settori e aree dove c’era una possibilità di cooperare senza

andare a confliggere, hanno ottenuto degli ottimi risultati”.

Entrando invece nello specifico di 1Lab, tale realtà è stata realizzata pensando che ciò

avrebbe portato dei vantaggi ad Articolo 1. Più precisamente, si pensava alla possibilità

di entrare in contatto con le aziende. Articolo 1 è una società interinale, quindi da

questo punto di vista avere delle aziende all’interno della struttura permette di avere

scambi più efficaci. Questa strategia ha avuto successo, infatti Fiabilis, società spagnola

che ha scelto di “appoggiarsi” su un coworking, ha iniziato a collaborare in modo

stretto con 1Lab. Un altro motivo che ha portato alla realizzazione del coworking era

l’elevato interesse ad entrare in contatto con un’istituzione importante quale il

comune di Milano.

Il coworking 1Lab è situato in una posizione strategica, più precisamente vicino alla

stazione Centrale di Milano; ciò permette a tutti gli utenti di poter raggiungere la

struttura nel modo più semplice e comodo possibile, con un notevole risparmio di

tempo, costi ed una riduzione delle emissioni di CO2 usando i mezzi pubblici invece

delle automobili.

1Lab è un coworking di medio piccole dimensioni; i servizi che offre sono studiati per il

target specifico e, confrontato con altri coworking di grandi dimensioni, ha strategie e

relazioni molti differenti. Ospitare ogni giorno migliaia di persone diverse, implica

l’applicazione di regole rigide per riuscire a gestirle adeguatamente. Dal canto suo,

1lab può ospitare quaranta persone al massimo, il che consente di offrire servizi ed

imporre tariffe ad hoc. Ad esempio, è possibile applicare una tariffazione specifica per

ognuno in base alla sue esigenze, oppure ridurre il prezzo a fronte del non utilizzo di

alcuni dei servizi offerti. Tutto ciò garantisce la massima flessibilità e personalizzazione

dell’offerta, ma, ripetiamo, è fattibile solo in virtù del numero di coworkers

relativamente basso. In particolare, 1lab mette a disposizione: una sala riunioni, venti

postazioni di open space adattabili a seconda delle esigenze, tre uffici individuali, una

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sala relax, stampanti, fax, wi fi, sala fumatori, rete telefonica. Un coworker potrebbe,

ad esempio, rinunciare all’uso della stampante e del fax pagando di meno. L’idea di

fondo, comunque, è quella di avere spazi condivisi, non ambienti dove opera

solamente una persona, il che si evince dal ridotto numero di uffici individuali (solo

tre).

Il finanziamento di 20.000€ è il massimo che offre il Comune di Milano per un

coworking, ed è stato possibile ottenerlo grazie all’ampia gamma di servizi che il

coworking stesso offre. Infatti, ci sono degli standard che devono essere rispettati

poiché sono stati imposti dal bando del Comune. Il bando distingue tra coworking di

tipo A e C, i quali prevedono due tipi di offerte. 1lab è di tipo A, in quanto offre una

reception, delle stampanti, una sala break, uno spazio per poter fumare, uno spazio

per le riunioni, accesso per i disabili ed una rete wi fi. Pertanto è riuscito ad ottenere il

massimo finanziamento previsto.

Attualmente 1Lab ospita un grosso cliente, l’azienda spagnola Fiabilis, che detiene

tredici postazioni open space sulle venti disponibili, ma sta comunicando la forte

volontà di crescere di almeno altre dieci postazioni dati gli ottimi risultati ottenuti

anche grazie alla collaborazione ed alle sinergie generatesi nel coworking. Il contratto

con Fiabilis dura un anno e prevede un costo complessivo di 4200€ per tredici persone,

quindi circa 325€ a testa al mese. All’interno del coworking, sono presenti attualmente

anche una psicologa ed una libera professionista che, una volta abbandonata l’attività

lavorativa dell’azienda dove stava operando per motivi personali, si è messa in proprio

nell’ambito del web design. Purtroppo, non sono frequentatrici assidue del coworking,

vi si recano poche volte alla settimana ed in giorni variabili, quindi non siamo riuscite

ad intervistarle.

Dalla nostra indagine, è emerso che la situazione attuale di 1Lab sia molto positiva, e ci

sono progetti che portano non solo al mantenimento della struttura ma ad un

continuo miglioramento della stessa. Uno dei pochi problemi emersi è che il rimborso

previsto dal bando del comune non è ancora arrivato. A tal proposito, comunque, il

Dott. Chiappetti non è preoccupato, ed ha affermato:

“Sono molto soddisfatto anche se per ora i soldi non sono arrivati, ma dovrebbero

arrivare 20.000€, considerando anche che li abbiamo già spesi tutti (risate). Il bando

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prevedeva il rimborso del 50% delle spese fatte per attivare il coworking, con un tetto

di 20.000€, e noi li abbiamo ottenuti tutti. Sono molto soddisfatto di ciò”.

E’ molto positivo anche il giudizio dell’amministratore delegato di Fiabilis Italia, lo

spagnolo José Antonio García de Leániz Caprile, dati i risultati che la sede centrale in

Spagna ha riscontrato. Per quanto riguarda i motivi che lo hanno spinto a scegliere un

coworking ha affermato:

“Sono venuto in Italia da solo e ho incominciato a formare il mio team di lavoro. Prima

ho assunto due persone, ingegneri informatici, poi il numero è cresciuto, fino ai dodici

attuali (più lui tredici). Il problema è che nessuno in Italia affittava l’ufficio per meno di

tre anni, e non sapevo se dopo quel periodo sarei ancora stato qui e di quanto spazio

avrei avuto bisogno; quindi, il coworking era l’unica soluzione. Prima sono andato da

Copernico, ma lì c’era meno flessibilità e non mi davano un intranet solo per me ed i

miei dipendenti. Quindi ho dovuto cambiare”.

Qui si evince uno dei fattori critici di successo di 1lab: la flessibilità, che neanche un

coworking più grande e di tutto rispetto come Copernico può offrire a livelli così alti.

Molto probabilmente i dipendenti dell’azienda presenti in 1Lab aumenteranno, infatti

il responsabile di questa azienda afferma:

“Settimana scorsa sono venuti i miei superiori dalla Spagna a controllare come stessero

andando le cose e si sono detti molto soddisfatti. Gli è piaciuto l’ambiente di lavoro che

siamo riusciti a creare e hanno detto che le nostre performance sono superiori alle

attese. Infatti, a breve potrò assumere altre dieci persone, per un totale di ventidue

(contro i 12 attuali: grosso aumento del budget disponibile, il che è emblematico del

supporto e della soddisfazione che il loro lavoro si è meritato)”.

Prendendo in considerazione la situazione di 1Lab, dopo l’aumento di dipendenti

previsto da Fiabilis potrà ospitare sempre meno esterni all’interno del coworking date

le sue dimensioni. Questo da un lato è positivo, perché mantenere i rapporti con un

unico grande cliente è più semplice, dall’altro si rischia di perdere di vista uno degli

obiettivi del coworking, che è l’integrazione di professionalità diverse. Inoltre, qualora

questo trend continuasse, ci sarebbe la possibilità, in un futuro non molto lontano, che

gli spazi di 1Lab non siano più sufficienti data la continua crescita di Fiabilis. A ciò si

deve aggiungere, anche se il Dott. Chiappetti non ne ha parlato, del rischio che corre

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qualunque azienda che vende ad un solo cliente: il rischio che il venir meno del

rapporto con lo stesso porti a gravi danni economici. Ma è un problema che, almeno

nel medio periodo, non sembra sussistere.

Però tutto ciò non basta: 1Lab deve migliore e continuare a crescere e per farlo si

impegna nel promuovere il rapporto con le istituzioni milanesi ed a saturare la sua

capacità produttiva, sfruttando tutte le occasioni possibili. Ad esempio, alcuni spazi

come la sala riunioni vengono utilizzati anche nei week end per singoli eventi. In tal

senso, il Dott. Chiappetti ha affermato:

“Abbiamo avuto la presentazione da parte di un artista di alcune opere, abbiamo avuto

una piccola conferenza tenuta da un docente della Statale di Milano, abbiamo

l’interesse da parte di alcune associazioni per riunirsi anche durante il weekend perché

è uno spazio comunque comodo e ben servito dai mezzi”.

Di recente il sito è stato migliorato (http://1lab.it/), con tutte le informazioni relative

agli spazi disponibili. Una particolarità è l’assenza dei prezzi, in quanto essi vengono

fatti su misura per il cliente e non con un tariffario fisso. In precedenza, il sito esponeva

una tabella con i prezzi che variavano in base alla durata del contratto (un giorno, una

settimana, un mese, tre mesi, sei mesi ed un anno) ed alla quantità di servizi offerti

ma, come abbiamo già detto, si finiva con il negoziare quasi sempre un prezzo ad hoc

per ognuno; pertanto, si è scelto di non stabilire prezzi a priori.

Come abbiamo già detto, il coworking ospita anche un job club, anche se in questo

periodo non è attivo. Non ci dilunghiamo su di esso, anche perché è il tema principale

di un altro gruppo, ma riportiamo un breve estratto dell’intervista del Dottor

Chiappetti a sostegno del fatto che anch’esso ha avuto successo sotto tutti i punti di

vista:

“Se alcune persone, con diverse esperienze in ambiti differenti, si riuniscono intorno ad

un tavolo, possono condividere, oltre alle loro competenze, anche i loro contatti

relazionali, così da permettere ad ognuno di entrare in contatto con persone e aziende

che non facevano parte della propria rete personale. Oltre a ciò il Job Club permette di

non sentirsi soli. Abbiamo ospitato all’inizio una ventina di persone, poi sono rimasti in

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dieci, poiché nel frattempo chi trova una piccola attività preferisce, giustamente,

andare a lavorare. Dei dieci rimasti, cinque hanno trovato lavoro a tempo

indeterminato e due avvocatesse hanno aperto il loro studio, un altro è tornato a fare

l’agente con uno slancio diverso ed una donna, che era stata espulsa dal mercato del

lavoro tre anni fa e che si occupava dell’ambito IT, ha creato insieme alla classe un

progetto per presentarsi ad una azienda in modo differente. Tale progetto è andato a

buon fine e nonostante i suoi 54 anni e i tre anni di distanza dall’ultimo impiego è stata

assunta dall’azienda come responsabile di IT. Questa è stata una cosa che ci ha fatto

veramente molto piacere”.

Un’altra domanda cui dobbiamo rispondere è la seguente: a quale categoria

appartiene questo coworking? 1lab nasce come un coworking di tipo A: ognuno può

scegliere se affittare uno spazio individuale o di gruppo, ma ognuno è portato a

lavorare individualmente, specie se è un lavoratore autonomo. Tuttavia, il fatto di

avere così tanti dipendenti che formano un unico team, e che quindi devono

adempiere a mansioni interdipendenti tra loro, fa in modo che i coworkers si

interfaccino e comunichino molto tra di loro. Si stringono relazioni, anche amicali in

alcuni casi, vi è molto confronto, ognuno è portato a ricercare la collaborazione,

sapendo che non sarebbe possibile lavorare individualmente ed ottenere risultati

all’altezza. Come si è già detto, la somma dei fattori da come risultato un valore

maggiore della somma dei singoli fattori. Quindi, possiamo dire che 1lab è un

coworking di tipo A che, data la particolare situazione contingente, si comporta come

uno di tipo B.

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6. Analisi dei dati

Il coworking è una realtà che si sta diffondendo sia in Italia sia in Europa

principalmente, ma non solo, nelle città di grandi dimensioni come Milano.

Intervistando il responsabile di 1Lab ci siamo resi conto che la creazione di coworking

può essere un modo per uscire da uno stato di difficoltà in cui può trovarsi un’azienda.

La trasformazione di un edificio inutilizzato in un coworking può portare ad ottenere

dei profitti ed uscire da una situazione negativa.

La creazione di questa nuova realtà può essere utile, come nel nostro caso, ad

interagire con il Comune di Milano, ma soprattutto con le aziende, portando così

vantaggi ad Articolo1. Infatti Fiabilis, l’azienda presente nel coworking, ed 1Lab hanno

creato collaborazioni e sinergie tra di loro.

1Lab si caratterizza per il fatto di poter modificare le tariffe in base al soggetto che si

trova davanti e cerca sempre di poter soddisfare il possibile coworkers; infatti Fiabilis

precedentemente si trovava in un altro coworking che gli impediva di poter avere una

rete intranet e telefonica personale.

Per quanto riguarda uno degli obiettivi principali di un coworking, cioè quello di creare

interazioni e capitale sociale, dalla nostra analisi emerge che ciò sia stato raggiunto.

Principalmente, il coworking è occupato da Fiabilis con tredici postazioni ma, secondo

quanto detto dal responsabile di tale società, si sono ottenuti ottimi risultati grazie al

fatto che i dipendenti lavorano a stretto contatto tra di loro e non in singoli uffici ed in

questo modo possono interagire e scambiare le loro conoscenze, contribuendo così

all’aumento di capitale sociale. Va tuttavia precisato che ciò si è verificato grazie

all’open space e non al coworking, quindi si potrebbero raggiungere questi risultati

anche restando in azienda.

In un ambiente come quello del coworking si dovrebbero creare forti relazioni tra i

coworkers ed infatti, come dimostrato nel nostro caso, i rapporti tra i coworkers non si

limitano solo all’ambiente lavorativo, ma continuano anche all’esterno attraverso

aperitivi, cene, attività sportive e ricreative di diverso genere.

Infine, fondamentale è il luogo in cui è situato un coworking, il quale deve essere

facilmente raggiungibile per poter agevolare il più possibile i coworkers; infatti la

maggior parte dei coworking di Milano sono situati nella zona della Stazione Centrale.

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7. Conclusione

La parte teorica della nostra ricerca consente di capire come il Coworking sia stato

pensato per uno scopo preciso, nel quale la socialità e la condivisone dovevano essere

la forza promotrice di questa nuova realtà.

Nel contesto lavorativo attuale, sempre più competitivo, risulta sempre più complicato

riuscire ad instaurare rapporti lavorativi che consentano ai lavoratori di aiutarsi a

vicenda nel trovare e scambiarsi informazioni e contatti così da aumentare il proprio

capitale sociale.

Oggigiorno, la realtà del coworking rappresenta un modo per ridurre gli alti costi fissi

che non consentono a neoprofessionisti o aziende di aprire uno studio o un ufficio

nelle zone centrali di una città, facilmente raggiungibili. Oltre a questo aspetto, che è

importante, bisogna considerare la possibilità di aumentare il proprio capitale sociale,

derivante dalla possibilità di condivisone per che offre il coworking.

Nel caso preso in esame si capisce che ci siamo trovati davanti ad un coworking che è

partito dal basso, grazie ad un’idea del Dott. Chiappetti che ha deciso di rivalutare

un’area non sfruttata di Articolo1 per creare un’altra realtà.

Ora 1lab è una solida realtà che ha trovato una sua collocazione ben definita nel

panorama dei “coworking milanesi”, che sono molteplici, rispettando gli standard di

qualità e reinterpretando a suo modo il “come fare coworking”, concentrandosi non

sulla quantità ma sulla qualità. Essendo piccolo, basa il suo vantaggio competitivo sul

mantenere i costi bassi ed instaurare dei rapporti molto stretti ed amicali con i clienti.

A Milano ci sono molti coworking quindi la concorrenza è alta, ma questo non fermerà

mai 1lab perché riesce ad offrire un servizio su misura dell’utente ed istaurare rapporti

che prescindono e vanno oltre l’ambiente lavorativo.

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8. Bibliografia

Bourdieu, “Questions de sociologie”, Minuit, Paris, 1980

Gianelle, Panzeri, “Nuove esperienze, nuove idee: coworking. Una nuova forma di

lavoro che aiuta a scoprirsi imprenditori?” In Economia e Società Regionale, 2013

Ostrom, “Social capital and collective action”, 2008

Pais, Provasi, “Sharing economy: a step towards the re-embeddedness of the

economy?”, in Stato e Mercato, Il Mulino, 2015

Parrino, “Coworking: assessing the role of proximity”, Knowledge Management

Research & Practise, 2015.

Pizzorno, “Perché si paga il benzinaio. Nota per una teoria del capitale sociale”, in Stato

e mercato, n. 57, pp. 373-394, 1999

Polanyi, M. (1966) The Tacit Dimension, London: Routledge and Kegan Paul

Putnam R. “Capitale sociale e individualismo”, Bologna, IL Mulino, cap. XVI, XIX, XXII,

2000

Schor, “Collaborating and Connecting: The emergence of the sharing economy”, 2014