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La Regina Mab di Percy Bysshe Shelley Dedicato ad Harriet Di chi è l'amore che, fulgido sul mondo devia del suo schema il dardo avvelenato? Di chi la calda lode benigna, premio dolcissimo della virtù? Sotto quei sguardi l'anima mia ridesta più fida al vero e ardimentosa crebbe Quale pupilla col cuor fissai, e amai più forte l'umanità? La tua, Enrichetta, che più pura idea fosti dell'anima e ispiratrice al canto; Tuoi questi incolti fiori novelli sono, benché il serto testo e da me. Pegno d'amore, quindi al seno stringilo e credi pur che per quanto mutino i tempi, e gli anni scorrano, ciascun fiore nel mio cuor colto, sarà consacrato a te. Canto I Come é meravigliosa la Morte: la Morte, e il Sonno fratelli! Pallida, come la luna, che muore così lontano, di un livido bluastro, la bocca ha l'una; rosato l'altro, quando al mattino, incoronato dalle onde dell'Oceano, la terra arrossa. Pur che mirabile transito fanno la Morte e il Sonno! Che forse fu il suo spirito innocente rapito da la fosca Dea che impera su i tumuli corrotti? Periranno quelle grazie del suo volto divine, che amor spirano ed estasi di palpiti profondi; quelle vene azzurrine, che si celano lievi, qual rivoli serpeggianti sotto un campo di nevi; quel profilo seducente, fulgido di bellezza, quale marmo vivente? Dovrà lo spirito infetto www.demetra.org

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La Regina Mab di Percy Bysshe Shelley

Dedicato ad Harriet

Di chi è l'amore che, fulgido sul mondodevia del suo schema il dardo avvelenato?Di chi la calda lode benigna,premio dolcissimo della virtù?Sotto quei sguardi l'anima mia ridestapiù fida al vero e ardimentosa crebbeQuale pupilla col cuor fissai,e amai più forte l'umanità?La tua, Enrichetta, che più pura ideafosti dell'anima e ispiratrice al canto;Tuoi questi incolti fiori novellisono, benché il serto testo e da me.Pegno d'amore, quindi al seno stringiloe credi pur che per quanto mutino i tempi,e gli anni scorrano, ciascun fiorenel mio cuor colto, sarà consacrato a te.

Canto I

Come é meravigliosa la Morte:la Morte, e il Sonno fratelli!Pallida, come la luna,che muore così lontano,di un livido bluastro,la bocca ha l'una;rosato l'altro, quandoal mattino, incoronato dalle ondedell'Oceano, la terra arrossa.Pur che mirabile transitofanno la Morte e il Sonno!Che forse fu il suo spiritoinnocente rapito da la foscaDea che impera su i tumuli corrotti?Periranno quelle graziedel suo volto divine,che amor spirano ed estasidi palpiti profondi;quelle vene azzurrine,che si celano lievi,qual rivoli serpeggiantisotto un campo di nevi;

quel profilo seducente,fulgido di bellezza,quale marmo vivente?Dovrà lo spirito infetto

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della caducità, nulla di questodivino volto lasciare,tranne che i rifiuti e la rovina?E non salvar null'altroche un lugubre soggettosu cui moralizzarepossano i cuori leggeri?Oppure soltanto i sensiuna soave sonnolenza occupa,che il respiro della rosata auroraricaccia nelle tenebre?Si risveglierà ancoralanthe e di gioia colmerà quel senofedele, il cui spirito vigile aspettaper cogliere dal suo sorriso luce,vita e rapimento?Si, desterà ancora,benché le membra sue tiepide, inertisiano, e tacita quellabocca soave, che faconda primacol suo respiro d'una tigre l'iracalmata avrebbe, e d'un tiranno scioltaL'anima irrigidita.Gli occhi suoi rugiadosison chiusi, e sul tessuto cosi tenuedelle palpebre, che celano appenaappena il raggio nero-celestinodei globi luminosi,posa il Sonno bambino.Ombrano le trecce d'orola purità superbadel seno, inanellatecome viticci di una pianta parassitasu colonna di marmo.

Udite! Da dove viene quel suono frenetico?Così simile alla strana melodiadi un turbine che spazza e gira intornoalle deserte rovine,quando spira il vento dall'Occidente,e le onde del mare tempestosorisuonano nella sera, l'eco che giunge dal lido;più fiero delle note confuse, che la lirainvisibile dei boschi e della valle,tocca da i geni della brezza, diffonde.Fluttuante sopra onde di musica e di luce,ecco, il carro s'avanza della Fata Regina!I corsieri celesti fendono l'aria indocile;della Regina al cenno se fermano. Tali fibrosee fermano ubbidienti le redini di luce.La Regina maliosa li spinsedentro, spargendo d'intornol'incanto, e, dall'etereo carrograziosamente declina,

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trattenne muta lo sguardosu la vergine assopita.Agile la figura della Fata,agile era, qual nubeche sorprende i più pallidi coloridel giorno, quando cedea la notte la sera;

lucida, come quel fibroso veloappare, quando si vestono le stelledi fugaci splendori.La sua sottile forma nebulosaveleggiava col tremito dell'aria.S'alzavano d'intorno melodie,simili ai dolci mormoriidegli odorosi vential risvegliarsi della Primavera,e ne vibrava tuttala stanza e il cielo della mezzanotte.

Disse: "Lo Spirito supremo conosce quanta Vergine divinitàé in te, ed a te svelerà il vero che solo vedono i savi, che trovanonella luce del loro pensiero la loro beatitudine. Tusdegni costumi, fede e potere, non ascolti e sei pronta a difendereed a portare la luce. Dal profondo sacrario di natura tivenga la forza per impugnare la fiaccola ardente. Dirai ciòche vedi e senti: Anima, staccati dal tuo carcere terreno!"

REGINA MAB.

Tacque: e dal muto, immobilecorpo un'Anima raggiantesorse, nella sua nudapurità tutta bella.Sopra il letto giacevail corpo avvolto nei ciechiabissi del sonno.

Anima, che scendesti tanto in fondo;Anima, che volasti tanto in alto;tu, sicura e gentil la grazia accettaal tuo merito dovuta;ascendi il carro con me.

ANIMA"Forse io sogno? ed e questasensazione novellauna larva del sonno.Se, in vero, io sono un'Animalibera, da la carne

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anima disunita,parlami ancora."

FATA"Sono la Fata Mab custode dei segreti; conosco il benee il male che è nel cuore dell'uomo; il presente, il passato e ilfuturo. Prevedo ogni evento ed ho il potere di dare la luceagli uomini, che troveranno la felicità, premio della virtù.

Anima felice,Ascendi il carro con me."Le servili catene della Terracaddero dallo spirito di lanthe,vibrarono, scoppiarono,come nodi di paglia,costretti dalla forzadi un ridesto gigante.Ella conobbe il cambiosublime e, stupefatta,sentì gli irresistibilirapimenti novellispiegati a se davanti:della vita mortalei sogni giornalieri;i fantasmi deliridel sonni che i dì chiuseromeritatamente spesiparevano realtà.La Fata e l'Anima si mossero;sparì la nube d'argento,e, appena ascesero sul magicocarro, di nuovo un concentomuto nell'aria vibrò.Di nuovo i corsieri dell'eterespiegarono il volo azzurrino,e la Regina, le fulgidebriglie agitando, il camminoceleste loro additò.II carro magico vola.La notte e bella, ed innumerevoliastri la volta trapuntanoazzurra-scura del cielo.L'onda Orientale e già pallidacol primo riso dell'alba.II carro magico vola.Tocco da l'ugne celesti,L'atmosfera di roventifaville s'accende, e dovesu i culmini alti dei monditurbinano le volubiliruote brucianti, tracciatoera un solco di fulmine.Ecco, lontano trasvola

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già sopra l'ultimo picco,confine della terra immensa,simile al fronte dell'Andeche rincurva il tenebrosociglio sul mare d'argento.Lontano, lontano del carrosotto la traccia, tranquillo,come bamboccio dormiente,giace il tremendo Oceano.Riflette il quieto suo specchiole scialbe stelle cadenti,il fiammeggiante solco del carro,la grigia luce dell'alba,che colorava le nubisoffici, nelle cui piegheera cullata l'Aurorabambina. Pareva che il carroattraverso il vuoto volassedi un'ampia concava volta,costellata di infinitiastri raggianti, di innumerevoliombre e colori dipinta,e d'una curva cerchiatada un cinto, perennemente,di meteore sfavillante.II carro magico vola.Quanto più s'appressano alla meta,i corsieri sembrano più rapidamenteturbinare il volo.Non più visibile è il mare;

la terra un'ampia sfera ombrosaappariva, e il disvelatodisco del sole girava,l'oscura volta fendendo.I suoi veloci fulgentiraggi si spezzavano intornoal volo più lieve del carro,e cadevano, come le schiumecandide del mar dal senobollente in fronte gettatea la prora d'una nave.II carro magico vola.L'orbe lontano della terrail più breve punto appareche sfavillante e nel cielo.Mentre, d'intorno a la viacorsa dal carro, si volvonoinnumerevoli sistemi,e spandono sfere infiniteun eternamente variosplendore glorioso.Oh, meraviglia! falcatequeste qual Luna crescente;

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quelle sfavillano dolceuna luce argentea, comeEspero sul mare occidentale.Oblique scorrono le altrecon un seguito di fiamma,quai mondi a morte sospintied a ovina. Rifulgonoalcune, simili a stelle,e, come il carro trapassa,smorzano ogni altro splendore.

Spirito di Naturalqui, in questa vastitàsenza fine di mondi,di cui l'immensitàanche la fantasiaesaltata spaventa,tuo degno tempio e qui.Pur non è la più lievetrepida fronda, che si piegaal soffio dell'aura, menoanimata di te.Neppure il verme più vile,che si nasconde nei tumulie si gonfia sui morti; partecipamen dell'eterno tuo spirito.Spirito di Naturaltu, come questa scenagloriosa, imperitura!Tuo degno tempio e qui!

CANTO II.Se mai la solitudine t'addussedel mar commosso a l'echeggiante lido,attardandoti là, finché del Solel'ampio disco ti parve che su le ondeposasse incandescenti ; tu de' scortoaver gli intrecci della rete d'oro,che senza mutamento era sospesasu la cadente sfera.E visto avrai montagne fluttuantidi nuvole, che orlate di fulgoriabbaglianti, quai massi d'alabastroprotesi,torreggiavano nel vuotosopra l'abisso inceso.E c'e un memento allora, mentre l'estremacurva superiore della sferadel Sole su l'orlo occidentale del marespunta, come una stella;quando quelle di porpora piumatenubi lontane brillano, come isole,sul mare azzurro-cupo,che da la terra avrà levato il voloe raccolto la mente tua le piume

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nel tempio della Fata.Ma, nelle isole d'oro che tra i fluttibrillano a l'orizzonte di purpurealuce; nei tenui veli che del Soleadornano la culla luminosa;né dell'Oceano le onde incandescenti,spianate sotto quell'augusto tempio,appaiono più mirabili e più belledell'eterea magione della Fata.Molto simile al manto della serae quel magico tempio.Come si spiega il ciel curvo sulle onde,sul pavimento d'abbagliante lucestendeva le vaste sue volte azzurrine;e sopra gli orli dell'oscuro abisso,dove i merli procombon di cristallosul tenebror voto del mondo, diecimila sfere diffondono baglioriattraverso le sue porte di diamante.

II carro magico posa.La Fata e l'Anima entrarononella magion maliosa.Quelle nuvole d'oro, che, come onde,s'intrecciano fulgide sottol'azzurro padiglione, non tremanoal tocco agile dei passi.La luce e la nebbia, rubratra le vaste colonne e l'altaredi perle, alzavano scorrentimelodiosi concenti.

"Spirito," disse la Fata;a render gli altri feliciapprendi. Spirito, vieni!Tutto il passato risortoconoscer dovrai, il presenteti aprirò dei future i segreti.

La Fata e l'Alma i procombenti merliraggiunsero. Si stendevain fondo l'Universo.Colà per quanto è il limite lontanoche traccia il volo della fantasia,innumerevoli mondi infinitis'intrecciavano in corsa vorticosa,pur seguendo con ordine le leggidell'eterna Natura.Sotto, sopra e d'intornoi roteanti sistemi stupendadavano un'armonia.Dritto ciascuno il suo corso seguiva

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meravigliosamente con facondosilenzio per l'immensità del vuoto.Era là una piccola lucenteStella nella caligine lontana.

La Fata punto alla Terra.L'occhio mentale dell'Animariconosceva i congiunti.Le brulicanti migliaia,a un vago sguardo, sembravanoformiche raccolte sui colli.Gran meraviglia è, che purepassioni, pregiudizi, interessisul più abietto mortali dominanti;che il più leggero contattoche scuote i nervi più fini,e nel pensiero dell'uomoproduce 1'idea più bella,anello sia della grandecatena della natural"Guarda," la Fata grido,di Palmira le rovine deipalazzi! Guarda ove torvainsolentì la grandezza,dove il piacere sorrise.Che resta più? la memoriadella stupiditàe della vergogna. Quiviimmortale che cosa e? Nulla.

Al Nilo eterno da pressole Piramidi son sorte.II Nilo proseguiràl'immutabile suo corso,le Piramidi cadranno.

Guarda quell'arido spazio,dove or dell'arabo errantemossa é la tenda dal ventodel deserto. Dove una voltaaderse le sue millantaal cielo guglie dorateil tempio dell'antica Salemme,e nella faccia arrossatadel dì espose l'infame sua gloria.Oh! molte vedove e moltiorfani scagliarono bestemmiecontro le pietre del tempio;e molti padri imprecarono,stremati dalla faticae dalla schiavitù, il Diodei poveri, che spazzatovia da la terra l'avesse,e i figli loro salvati

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da l'aborrito lavoro,che alzava pietra su pietra,ed avvelenava il fiorepiù eletto della vita, soltantoper soddisfar la maniastolta d'un vecchio malnato.Quivi una razza inumanae selvaggia mugulavapreghiere odiose al diabolicosuo Dio. Correva furibondaa la guerra, gli immaturifrutti strappava dal senodelle madri. La vecchiezzapromiscuamente perivacon 'infanzia, e le vittricispade non lasciaro un'animasola vivente. Oh, i demoni!Ma chi fu quello che disseloro che il Dio della naturae della benevolenzaaveva dato si espressa sanzionea quel mercato di sangue?

Dove fur Sparta ed Atenee Roma e quasi un deserto.

I colonnati distesiin solitudine muta,tra cui s'aggira lo spiritodi libertà, rassomiglianoa un'aria ben conosciuta,che, con piacere sentitain qualche scena a noi cara,ora ritorna col pianto.Ma oh! quanto ancor più mutati!Quanto e più triste il contrastocola dell'umana naturalCodardo e pazzo, lo schiavod'un tiranno, ove morivaSocrate, sparse d'intornola morte, e quindi, tremandocadde egli stesso. Ove Tullioed Antonino vissero, un frateipocrita, incappucciato,prega, bestemmia e inganna.

"Spirito! dieci mila annisono già quasi passatida quando, sul devastatesuolo, dove or beve il selvaggioil sangue del suo nemico,e, scimmiottando d'Europai figli, sveglia di guerral'empia canzone, sorgeva,

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regina del continenteoccidentale, superbauna città. Le colonnepetrose avvolte nel muschio,che un tempo sembrava sfidasserotutto, tranne la rovinadella patria loro, corroseora da l'ugna del tempovorace ; e l'ampia foresta,ruvida della bellezzaincolta dei giardini, fattida lungo tempo selvaggi,sembrano, a l'involontarioospite che in quel desertoper caso attarda i suoi passi,fossero stati cosi,da che la Terra fu Terra.Eppure quella una voltafu la più attiva metropoli,dove forestieri, e navie mercanzie confluivano,come ad un centro comune.La libertà benedicevae la pace un tempo il pianofiorito, ma la ricchezza,maledizione dell'uomo,inaridiva i bocciolidella sua prosperità.Scienza e virtù, veritàe libertà, s'involaronoe non verranno più mai,fintanto che l'uomo ignorache potranno dare esse solecon degna felicitàad un anima che si proclamafiglia dell'Eternità.Di quella terra non c'èatomo, che non sia statoprima parte di un uomovivente; ne la più piccolastilla di pioggia, sospesasulla sua nube più fine,che nelle vene fluitadell'uomo non sia: e da gli ardentipiani, ove i Libici mostristridono, dalle più foschecaverne della Groenlandiapriva di Sole, fin dovei campi d'oro della fertileAlbione stendono le messiloro al Sole, non c'è punto,che sostenuto non abbiauna fiorente città.

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Com'è stolta l'umana superbia!lo ti dico, che gli esseri vivi,cui d'erba un fragile stelo,spuntato insieme col giornoe morto prima del pomeriggio,appare un mondo infinito ;io ti dico, che gli impercettibiliesseri, che dimorano dentrole particelle minutedell'atmosfera insensibile,pensano, sentono, vivono,simili a l'uomo; che, comel'uomo con l'amore e con l'odio,van producendo le leggi,che ne correggono gli istinti;ed il più debole polso,che a lor diffonde nel corpoil più lieve e il più debole moto,e indispensabile e fisso,come le leggi supreme,che guidano gli astri lontani.

Tacque la Fata. Lo Spiritosentiva in estasi d'ammirazionedel passato rivivere tuttala conoscenza. Gli eventidell'Evo Antico dei miti,che oscure ininterrotte tramandanotradizioni ai volghi crudeli,svelati apparvero a l'occhio,(sebbene ancora confusiper la loro vastità),illuminati a bastanza.

Sembrava che ivi lo Spiritosi ergesse sopra un pinnacolosolitario nell'altura;e dell'età le correnti si rivolvessero sotto;di sopra v'era l'abissodell'Universo infinito,e intorno intorno tutta la stabilearmonia della Natura.

CANTO III."Fata" l'Anima disse,e fissò gli occhi etereisu la Maga Regina,"io ti ringrazio. Mi destiun dono molto gradito,e ciò che giova sapereappreso m'hai. Conoscoil passato, e dal passatotrarrò l'ammonimento

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per l'avvenire:cosi che delle mancanzecommesse ognuno si giovi,e dalla sua stessa folliaderivi la conoscenza.Perché quando il poter d'impartirela gioia sarà uguale al desiderio,l'anima umana bisognonon avrà più d'altri cieli."

FATA"Volgiti, Spirito sublime!Ancora molto rimane nascosto.

"Volgi lo sguardo a la stupenda reggia,che in quella città popolosa in mezzo,slancia nell'aria le sue mille torrie, sola, sembra una città. Drappellitristi di guardie, in rigide silentifile schierate,vi girano attorno,Chi dimora là non può felicee libero ritenersi. Beh! non sentidegli orfani le grida e le bestemmiedi coloro che privi son d'amici?Egli passa via. II Re, colui che portauna catena d'oro, che gli legal'Anima si che l'immiserisce ; il matto,che i cortigiani dicono monarca,mentre e lo schiavo dai più bassi istinti.

"Guardalo distesosul magnifico letto; il suo cervellofebbrile vertiginosamente un pocovacilla: ma, ahi! finisce troppo prestoil sonno dell'intemperanza, e il serpentevigile, la coscienza sua chiamala cova velenosa per il compitonotturno. Ascolta! parla! oh! nota l'occhiosuo delirante, oh! nota quel palloredi morte."

RE"Senza fine! oh! dovrà sempredurare cosi? Morte tremenda, vieni,ti bramo, eppure temo la tua stretta!Non un momento di sonno tranquillo!O cara pace benedetta! nellamiseria e nella carcere nascondila tua purezza verginale, perché?Perché mai col pencolo e la mortee con la solitudine t'appiatti,disertando la reggia, che io ti eressi?Sacra Pace! a me, pietosa vienisolo una volta, versami una stilla

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di balsamo sull'Anima inaridita."

FATA"Stolto! il cuor virtuoso è quella reggia,e le nivee sue vesti non deturpala Pace, in una vile stamberga, qualee la tua. Ascolta! egli borbotta ancora.I suoi riposi sono varie agonie,che gli mordono le fonti della vita,come scorpioni. No, non é l'Inferno,dai bigotti inventato, necessarioa tormentare il peccatore: la Terrain se stessa contiene male e rimedio.Quelle mosche dorate, che si riscaldano al febeosplendore della corte, che s'ingrassanonella sua corruzione, chi son essimai? Sono i fuchi della società.Si nutrono del lavoro dell'artigiano ;i coloni famelici per lorosferzano le dure glebe a dar raccolti,che essi non condividono; e più seccadell'ossuta miseria, quella forma,che squallida, una vita senza Solestrema nelle pestifere miniere,per saziar dei fuchi la grandezzatrascina col lavoro la morte avanti;e perché pochi possano dell'oziosaper le cure ed i martirii, moltidalla fatica cadono sfiniti.Donde credi tu che re e parassitisorsero?Nacquero dal vizio, dal più nero e sporco vizio;da rapina, pazzia, delitto e frode,da tutto ciò che porta lo squalloresulla Terra e di triboli ne fannouna landa selvaggia; da lussuria,vendetta ed assassinio.

Dov'è la fama, che eternar procacciano,pieni di vento, i grandi della Terra?Oh! il più debole suono, che sollevala leggera orma del tempo, con l'ondapiù lieve, che degli evi gonfia il corso,nel nulla dissolverà l'aerea bolla.Oggi, si, ancor severe e del tirannoL'imperio, rosso lo sguardo, che sfavillasquallore, e forte il braccio, che disperdele moltitudini. Verrà il domani:quell'imperio sarà simile a tuonospento nell'età già volta; quel guardoun lampo passeggero, su cui fu chiusala notte, e su quel braccio avranno i vermiassolto il pasto.

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L'uomo virtuosogrande è nell'umiltà, così come i resono piccoli nella loro grandezza.

L'utile pellegrinaggio suo sul mondonon passerà giammai ....

La natura rigetta il re, non l'uomo:danna lo schiavo, non il cittadino:perché suddito e re, nemici alterni,giocano sempre un rovinoso giocoL'uno contro l'altro; e la vincita poiè vizio e miseria. L'uomo virtuosoné comanda, né serve. La potenza,come peste desolatrice, infettaogni cosa che tocca; e l'ubbidienza,veleno di tutti i geni, libertà,verità, virtù rendono schiavo l'uomoe il corpo umano macchina incosciente.

Volgi lo sguardo alla Terra lontana:Le dorati messi ondeggiano; inesaustoil Sole diffonde la luce e la vita;alberi e fiori alternativamentesorgono e frutti; parlano le cosetutte di pace, d'armonia, d'amore.L'Universo con l'eloquenza mutadella natura dice come tuttoper l'amore fatica e per la gioia;tutto, tranne un misero solo: l'uomo.Egli fonde la spada che trafiggela sua pace; carezza i serpentiche gli mordono il cuore; egli sollevail tiranno che gode dei suoi guaie dell'agonia sua prende sollazzo.Illumina quel Sole soltanto i grandi?E i raggi della Luna, dormono essimeno soavemente sulla rusticacapanna, che su la magione regale?La madre Terra e di essa una matrignaper i numerosi figli, che da leicon lavoro costante gli indivisidoni acquistano, e madre solamentedei bimbi lamentosi,che,nutriticon cura e fasto, fanno dell'infanzialor giocattoli gli uomini, e distruggononell'infantilità presuntuosala pace, che soltanto 1'uomo apprezza?

Spirito della Natura!No! palpita in ogni cuoreumano ugualmente puro,il soffio della tua vita.

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Dove ponesti già il tronodel tuo supremo potere.Giudice sei tu, al cui cenno,fragile e lieve, dell'uomoil voler piega impotente,simile a vento che vaga,oziandogli da presso.II tribunale, che avanzaqualunque umana Giustizia,come Dio sorpassal'uomo, é tuo.

Spirito della NaturalTu solo dell'infinitamoltitudine la vita;anima di quelle sferesublimi, che, per le tacite,profonde zone del cielo,ritornano all'eterno cammino;anima dei più minutiesseri, la cui dimorae un debole raggio d'aprile;l'uomo, come tutte le altrecose, passivo, il voleretuo inconsciamente compisce.L' Eternità della pacesua, come quella degli altri,che il tempo rapidamentematura, presto verrà.E l'universale sostanza,che tu pervadi, saràsenza una macchia che adombrila tua perfetta armonia.

CANTO IV.Com'è bella la notte! i più soavisospiri, che a l'udito della serai zefiri percuotono dell'aprile,sarebbero scordanze a la parlantequiete che avvolge questa immobile scena.La volta nera del cielo trapuntatadi stelle fulgidissime, tra cuila serena pienezza della Lunaincede, pare un baldacchino apertodal Dio d'amore per coprire il regnodella sera dormiente. Le vettelontane, vestite di immacolate nevi;1'oscure rocce da cui pendono purii ghiaccioli, così che delle lorospire la candidezza luminosanon appanna il bel vivido chiaroredella Luna, la castellata rupe,su la cui torre da l'età corrosa,pende il vessillo senza mutamento,

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tanto che pare un simbolo di pacea l'estatica mente; tutto formauno spettacolo, ove la sognantesolitudine sollevare desideral'anima sopra la terrestre sfera,dove solo il silenzio indisturbato,cosi freddo, quieto lucido potràvegliare.A l'orizzonte occiduo l'astrodel giorno cade sul mare tranquillo,dolce ridente; non c'è il più leggerosoffio che disturbi il levigate specchiodelle acque; immote nubi vespertinei pigri raggi riflettono del giorno,e Bella ancor l'imago della seras'alza sul mare occidentale. Vieneil nuovo giorno, nubi su nubi, in foschiavvolgimenti sempre più profonditrascorrono sul seno cupo delle acque;lo scroscio orrendo del tuono rimbombaspaventoso lontano, e la tempestale sue ali sbatte sopra il tenebroresospeso sui bollenti flutti; il demonespietato con i venti tutti e i fulminiinsegue la sua preda; il conturbatoabisso s'apre, la nave sprofondanell'increspato gorgo.Ah! donde l'arcodel cielo sprigiona quelle fiamme? il fumonero-rubente, che l'argentea Lunaricopre? Nell'oscurità le stelles'immergono, e le pure scintillantinevi luccicano appena dietro il buio,che d'intorno s'accoglie. Odi lo scroscio,i cui rapidi tuoni assordantirimbombano ripercossi da mille echidi monte in monte, la notte atterrendopallida sul suo trono costellato!Quindi s'allarga il confuso fragore,il ripetuto strepito tremendodelle bombe che scoppiano; i cadentitetti, le grida, i gemiti, il baccano,1'incessante clangore, la furiosaressa d'uomini ciechi da la rabbia.Forte, più forte quel frastuono cresce,finché la morte pallida la scenachiude e sul vincitore distende e il vintoil suo funereo velo freddo e sanguigno.Di quanti il Sole cadente videuomini di superba e vigorosagiovinezza fiorir, di tanti cuori,che palpitare nell'ansia della vita,al tramonto sopravvivono pochi appena.appena pochi palpitano ancora !

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Or tutto e silenzio profondo, comela paurosa calma che sonnecchianella sosta del temporale sinistra,rotto soltanto dalle pazze gridadel vedovato amore, quando frementesi alza sui venti, o dal breve sospirocol quale qualche spirito abbandonal'argilla umana, a le lottanti sueforze costretta intorno.Grigia spunta l'Aurora su la dolorosa scena.II fumo solforoso innanzi al ventogelato lento lento si dissolve,ed i fulgidi raggi del mattinorigido danzano sul niveo smalto.Di la tracce di sangue penetrantifino a la selva in fondo, ed armi sparseed estinti guerrieri, cui la mortestessa non seppe raddolcir le durelinee del volto, segnano l'orrendavia battuta dal vincitore partito.Dietro, più lontano, fan le fosche cenerifede del luogo, dove la superbaloro città sorgeva. In quella forestas'apre una cupa valle: ogni albero ivi,che le guarda l'oscurità dal giorno,ondeggia su la morte d'un guerriero.

lo ti vedo tremare, Spirito sublime!Ancora umano sei tu? Vedo un'ombrapassar di dubbio e d'orrore traversele tue monde fattezze. Non temereper tanto : questa non è senza alcunacagione irreparabile miseria.La cattiva natura dell'uomo, questascusa, con che re dominanti e viliprostesi tentano coprir delittisenza numero, il sangue ella non versache desola la terra devastatadalla discordia. Deriva la guerrada re, da sacerdoti e da statisti,la cui salvezza sta nella profondadell'uomo ineluttabile miseria,la cui potenza sorge su la suadegradazione. Lascia che la scurepiombi su la radice; il velenosoalbero cadrà; e dove i suoi letalisfoghi diffusero rovina, mortee dolore, dove giacciono milionia saziar la fame del serpente,e l'ossa loro candeggiano insepolteai pestiferi venti, sorgeràdell'Eden favoloso assai più vagoun giardino.Ha lo Spirito di Natura,

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che formò questo mondo cosi bello,che spande la fecondità dellaTerra nel seno, e della vita fecevibrare le più tenui corde, ognunadi immutabili accordi; che ai felicipennati i boschi per dimora diede;che concesse a gli abitatori del mareil gran silenzio dell'immensità ;ed il verme più vile, che striscia nellapolvere, fornì l'Anima, di pensieroe d'amore; ha lo Spirito di Naturasu l'uomo solo, ingiusto, accumulateper sua malignità, senza cagione,rovina e vizio capricciosamentee schiavitù? Bruciata l'Anima suadi funeste maledizioni, postodella felicita lontano il sole,che, inafferrabile serva soltantoper abbagliarlo su l'orrendo abissosotto i suoi piedi aperto?

La Natura!No! Re, preti ed uomini di Statofin dentro i suoi più teneri bocciolischiantano il fiore umano; l'influenzaloro corrode, quale veleno sottile,le vacue vene della desolataSocietà. Prima che il bambino snodila lingua a balbettare della madreil sacro nome, gonfia di superbiasnaturata, delittuosa e levala sua spada infantile, come un eroe.Quel piccolino braccio poi diventail più sanguigno flagello della Terradevastata, mentre speciosi nomi,nella fedele tenera infanziaappresi, si trasformano in sofismi,coi quali la virilità confondela luce del giudizio, e l'arma alzatasantifica per spargere fraternosangue innocente. Cessino gli schiavidi proclamar, guidati da i ministridi Dio, che l'uomo ereditava vizioe miseria, allorché su la culladell'infante sospese stanno la Forzae la Frode, per soffocare tuttala bontà naturale nel più rudeamplesso.

CANTO V.Van cosi della Terrale generazioni a la tomba,e cosi dal suo grembospuntano, sopravvivendo

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l'immortale vicenda,che eternamente rinnovail mondo. Come le foglie,che sparpagliate dai gelidiventi frizzanti dell'annomorente per la foresta,dove, per molte stagioniammonticchiate,benché soffochino a lungo,(gravando di immondizieputride il suolo), tutti i germoglipronti a sbocciare,pur quando gli alberi immani,da cui caddero, spogliatidelle forme lor graziose,giacciono al suolo putrescenti,fecondano la Terralungo tempo da loro deformata,finché dal prato esultantespunta fuori una selvaIntegra, giovine, bella,come l'altra da cui preseessa la vitaper nascere e morire:L'egoismo suicida,che del vergine cuore corrompei sensi più dolci,e cosi destinato a perire;mentre dal suolo sorgerannovirtù completa,gioia piena, intero amore,e cesserà la ragionedi muover snaturata guerracontro l'invincibile mostradella passione.Nato da un parto con la Religione,l'Egoismo con questa gareggiain frode e delitti,scimmiottando i pazzeschi erroridel suo gioco sanguigno.Quindi deriva il commercio,scambio venale di quantoarte umana o naturaproduce, che la ricchezzaacquistar non dovrebbe,ma l'indigenza richiedereed affrettarsi la naturalebontà a concederedalle fontane colmedel suo sconfinato amore,soffocate, ora, disperse,intorbidite per sempre.II commercio il segno scolpivadell'egoismo, il suggello

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del suo potere che rendeschiava ogni cosa,su d'una fulgida verga che appellad'oro col nome.Davanti all'immagine dell'oros'inchina il grand'uomo volgare,il ricco sfarzoso,il miserabile superbo,la folla dei contadini,nobili, sacerdoti e re;e, con affetti ciechi, la forzaadorano essi che li riducein polvere di miseria.Perché Dio vivente nel tempiodel cuore venale e l'oroe, tranne la virtù sola, reggesprezzando tutte le altrecose mondane.La pace, la felicita dell'uomoa la ricchezza cededelle nazioni.E gli statisti gonfiano superbidella ricchezza!La rumorosa eloquenza,che a la rovina dei lorocuori sopravvive, indoradella nazione l'amarotossico della miseria.E può perfino distoglierela folla servile dal cultodella virtù, calpestatadalle loro zampe ferrigne,e prosternarla al corrotto,idolo abbagliante,la Fama, benché erettaabbia la base superbasopra un'orrenda campagna,sparsa di membra recise,cerchiata dalle rovineintorno di case fumanti.Della Penuria la ferreaverga ancor sforza i suoi schiavimiseramente a prostrarsia la ricchezza davanti,ed avvelena la vita,priva d'ogni sollievo,con lavoro senza mercede,rinsaldando cosi le catenestesse che li costringono, legatia sopportar la condanna.Voluttà miserevolihan cinto intorno la Terrad'una catena cosi stretta,che tutto in essa e venale,

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tranne l'uomo virtuoso .Tutto si vende.La stessa luce del cieloe venale:della Terra il libero donod'amore, le più minutespregevoli cosenei ciechi abissi nascose,gli oggetti tutti che servonoal viver nostro, la vitastessa e la misera partedi libertà che permessavien dalla legge,L'amicizia e quei doveri,che il cuore, caldo d'amor naturale,dovrebbe spingere l'uomospontaneamente a compiere,sono comprati e venduti,come in un pubblico mercato,dall'Egoismo che mette,senza rossore,sopra ogni cosa quel prezzoche gli convieneed il sigillo di vendita.Anche l'amore e venduto.La Menzogna oro e non altroper pagar chiede i tormentidella coscienza oltraggiata;perché il servile sacerdotegran conto non fa della suafede venale.Ahi, quanto l'uomo egoistainutilmente s'affannadietro la felicita,che alla virtù soltanto e concessa!Ciechi e incalliti son quelliche, sospirando la pace,la cercano tra le tempestedelle loro inquietudini,che la potenza sospirano,senza conoscerne l'uso,ed il piacere desideranoche dare a gli altri rifiutano!Ma l'Egoismo canutoebbe il suo colpo mortale,e, trepidante, discendea la tomba. Una più chiaraalba sospira il gran giornodell'umanità, quandopovertà, ricchezza,desiderio d'onore e paura d'infamia,mali e miseria, guerracon i suoi millanta orrorie l'orrido inferno saranno

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vivi soltantonella memoria del tempo,che, libertino penitente,si fermerà, e, voltoindietro lo sguardo,dei suoi più giovani anni a la vistasi farà di gelo.

CANTO VI.Tutta fremente, tutta occhi e udito,l'Anima ascoltò della Fatal'acceso discorso.Sopra i sottili tessutidelle sue formei varianti periodidipingevano mutabili ardori;come in un vespro d'estate,quando la musica, il cuoreavvolgendo, vibra d'intorno,il limpido specchio del lagoriflette dell'Orienteil cielo tetro, fondendoconvulsamentele sue tinte di porporacol brunito oro del tramonto.Lo Spirito allora così disse:"Misero mondo selvaggio,pieno di tribolazioni e mali,che ogni demoniaco a piacerepuò fare sua preda.O Fata! c'è nella fugadei tempi qualche speranzaserbata? Girerannoquei lontani Soli in eterno,illuminando la nottedi tanti spiriti perversisenza vedere per essialcuna speranza?Rivivificherà mail'Anima della NaturaUniversale questi pallidi sprazzi di cielo?"

Serenamente schiuse un sorrisoconsolatore la Fata,ed un fulgido raggiodi speranza se diffuse sul voltodell'Anima. "Oh! sii pur tranquilla;scaccia quei tristi tuoi dubbi.Si, su la Terra delittici sono e miserie, menzogne,errori, dissolutezze ;ma l'eterno Universoal tempo stesso contiene

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il male e la cura.Anche nei tempi più gravibalzarono fuori spiriti sublimi in virtù.La verità dalle purelabbra uscita, immortale,avvincerà con un sertodi imperiture favillelo scorpione della frode,finché il mostro, il pungiglionecontro se stesso rivolto,si darà la morte.Ora alla scenache t'apro tacita volgiil tuo sguardo, e vi leggid'ogni sciagura il sanguignostatuto che, presto, Naturamisericordiosa, con manoristoratrice, dal libro della terracancellerà.Come superbo il remeggio dell'alavagante della Passione;come leggero il passodell'orma più fermadella Ragione;quanto più dolci e tranquillele vittorie della vita;e senza terrore i trionfidella Morte; quanto il bracciodel re più grande impotente,vana la sua alta minaccia,ancor più vano il suo sdegno!Come ridicolo il gridodogmatico del prete,e lieve il peso dei suoisterminatori anatemi,e quanto sarebbe evidentela sua carità affettata,che ben s'adatta all'impulsodelle vicende del tempo,se gli mancasse l'aiuto,oh, Religione, che gli dai!Se non fosse per te, larvaprolifica, che la Terrapopoli tutta di diavoli,l'inferno d'uominie il cielo di schiavi!Ogni cosa che sotto il tuo sguardocade tu guasti! Gli astri, che soprala tua cuna brillar cosi dolcela lor limpida luce, furono Deia la giocondità rumorosadella tua libera infanzia.Gli alberi e le erbe,

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le nubi, i monti, il mare;ogni cosa viventeche cammina, che nuota, che striscia,o vola, fu Dio.Gli spiriti dell'aria, le larvetremanti, i geni degli elementile energie, che informano il variolavoro della natura,ebbero vita e sostegnonel credo corrottodall'accecato tuo cuore.E per tanto le mani giovanilid'umano sangue furono monde.Poi la virilità diede forzaed ardore a la pazza tua mente.Con avidi sguardi scrutavila scena stupenda,le cui meraviglie irridevanola conoscenza della tua superbia.Le loro eterne leggi immutabilila tua ignoranza dannarono.Delusa ed oscuraintanto vivevi.Allora del tuo saper gli elementitutti raccolti: le variestagioni, lo spoglioimpero dell'inverno,l'etere-spiranti gemmedegli alberi, le eternesfere che la notte adornano,la nascita del Sole,il tramonto lunare,il terremoto e la guerra,il veleno e la peste,

e le cause ai lor condensatetutte in un punto astratto,tu, prostrata, Dio le dicevi!A se stesso bastevole,onnipossente Dio, misericordioso,Nume vendicatore che, prototipodell'umano disordine, siedenel regno alto dei cieli, su tronodorato, come un re della Terra;Dio, il cui triste lavoro,l'Infernoapre perennemente alle vittimeinfelici del Fato, createin un'ora di gioco, soltantoperché possa godere i tormentidelle loro cadute.Senti la Terra il suo nome,e tremo, quando il fumodella sua vendetta salivaalto per i cieli, macchiando

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le costellazioni,e s'udivano per tutta la Terralamenti delle innumerevoli vittimemacellate, allorché più fiduciosierano in pace sicura,e il patto della saluteavevano saldatocon giuramenti verbosiinvocanti il terribile suo nome;quando i bimbi innocenti spiravanotrapassati dalla tua lanciarigida, e tu di pazzagioia ridevi, sentendodella madre le grida,mentre il ferro sacronelle dilaniate sue viscerasi congelava col sangue!

Anima della NaturalPoter che tutto comprendi!Necessità genitricedel mondo! tu dissimile al Diodell'errore umano, lodi non chiedie ne preci. II capriccio del debolevolere dell'uomo non ti appartiene,più di quanto le mobilipassioni del tuo cuorealle costanti tue legginon appartengano.Lo schiavo, le cui bramesmodate sul mondoseminarono miseria;l'uomo giusto, che esalta se stessodi virtuoso orgoglio a la vistadella felicita che zampilladal suo lavoro; la piantavelenosa la cui ombra disseccaogni vita e la quercia sublime,che la cupola frondosa slancianell'aria, come un tempio, dove i votistanno dell'amor felice raccolti,son tutti eguali per te.Né l'amor favoreggi, né l'odio,non sai vendette, o favori,o la brama peggior della gloria.Tutte le cose, che il mondoimmenso comprende,son tuoi strumenti passivi;

e tu imparzialmente diffondisopra di tutto il tuo sguardo.Sentir non può la gioialoro, o il dolore la naturatua, perché senso umano non hai,

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perché umano pensiero non sei.Si, quando il turbo rapacedel tempo avrà la funereasua canzone cantata sui templiin rovina, e gli altari travoltidell'onnipossente diavolo,il cui nome ti usurpa gli onori;quando il sangue rappreso attraversoi secoli sarà già fluitonel torbo flutto degli evi,incontrastata vivrai.Ne il turbinoso spiro del tempo,ne la sterminata onda scorrentesu la breve fantasmagoriadella terra a distrugger verrannol'ara costruita per te,la diffusa sensitivitàdel mondo: quel superbo ed eternosantuario, ove gioia e dolore,bene e male si uniscono a compieredella possente Necessitail volere, e la vitacon forme molteplici, ancoraaffrettantesi, doveun limite fisso non può arrestarla,come volubile fiammadivoratrice s'attorced'intorno alle eterne colonnedella sua fortezza.209CANTO VII.SPIRITO'Ero bimba allorché la madre miaandò a vedere un ateo bruciare,e mi menava con se.Erano i preti, nelle lor sottanenere, raccolti a la catasta intorno;la folla muta, estatica guardava;e quando giunse, alteramente erettoil colpevole, nell'inflessibile occhioraggio tranquillo, mistoad un sereno riso,Lo sprezzo. La vorace fiamma avvolsele sue robuste membra, e gli occhi arditiin un istante furono arsi e spenti.L'ultimo suo lamento mi trafisse11 cuore. L'insensata follia un urlosollevo di trionfo, ed io piangevo.Non piangere, bambina mia, la madremi sgridava, perché quell'uomo ha dettoche Dio non c'e.FATANon v'ha Dio! la Naturariconferma la fede suggellata

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dal suo dolore estremo.Lascia che terra e cielo, che dell'uomola rivolvente razza,e le generazioni sue perennidicano la loro istoria; lascia che ogniparte, sospesa a la catenache 1'unisce al tutto,c'indichi qualcunoche ne comprenda il nome.Lascia che ogni semecaduto nella muta sua favellal'accolta delle sue prove scopra.L'infinita di fuori,l'infinita di dentronega la creazione.Dio sol della Naturae l'anima immortale che la feconda:ma la superbia umanaad inventare e destrai nomi più speciosiper coprir l'ignoranza.II nome di Diocinse di santità tutti i delitti,creatura egli stessodei suoi adoratori,nomi attributi e passioni cambiaShiva, Buddha, Fo gi, Jehova, Dio,Signore, anche con bonzi,che loro i templi fondano serventiancor quale parolad'ordine al cominciare della stragesul mondo dalla guerra insanguinato.211CANTO VIII."Hai visto Presente e Passato :miserando spettacolo!Apprendi ora, Spirito, i segreti del futuro. Tempo,dischiudi Tali serratedelle tue tenebre. Lasciavenir libere fuorile tue mezzo-corrosecreature, e da la culladell'eternità, dove giaccionomilioni assopite nel sonnoloro assegnato, presso il profondomormorante fiume delle cosecaduche, strappa il velooscuro che le copre.Spirito, guardail tuo glorioso destino !"L'Alma s'illuminò di letizia.Da 1'ampio squarcio sul veloeterno del tempo,

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lucente, tra le caliginidella paura,si affaccio la speranza.La terra non era più Inferno ;salute, amor, libertàla loro maturitàavevano dato ai fruttidella prima fiorita;e i loro polsi battevanoconcordi col ritmo dellesfere planetarie.212Una musica soaveallora si levò, intonatacon le corde vitali dell'anima,che in dolci note languenti, si diffuse, cogliendoda temporanea mortevita novella.Come i vaghi sospiri d'un ventoche sveglia, a sera, le piccoleonde del mare dormiente,e langue sopra le crespedal suo respiro create,e muore, s'alza, ricadee gonfia di tratto in tratto,era cosi Fonda puradegli affetti, che, sorti da quellenote soavi, fluivanotranquillamente con motilievi e gentilisu l'umane simpatie dell'anima.L'Alma s'illuminò di letizia,della letizia che arrideall'amante, quando 1'elettadel suo cuor vede felicee contempla la pace di lei,il cui malor cagione di penegli fu piu dure di morte;quando guarda le guance fiorenti,radiose animarsico' primi vivi coloridella salute, ed esultanella luce degli occhi suoi belli,che, come due stelle in mezzo213al mar sospiroso, scintillanoa traverse un liquido risodi beatitudine.Di gloria allor circonfusaparlo la Fata Regina:"Tutta la terra abitabilegonfia di felicita.Quei deserti di gelidi flutti

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intorno al polo scagliatida perenni tempeste nevose,dove ne vegetare, ne viverela materia s'attenta, ma ghiaccisenza fine ricingonod'una tacita zona distesala solitudine immensa,sono disciolti, e fragrantidalle isolette odorosei zefiri ad incresparevanno il placido seno del mare,che su l'arena declivevolge gli ampi suoi flutti lucenti,e scrosciando risveglia echi soavia mormorar tra i boschi,spiranti luce di cielo,a melodiare con la naturabenedetta dell'uomole loro canzoni.Quegli arenosi desertisconfinati, dove da secoliun'infocata arsura

non cesse volo ad uccello,a stelo d'erba la vita;dove sol 1'ainoroso stridiodella lucertola verderuppe il silenzio bruciante,son ora sparsi d'innumeririvi, di ombrosi boschettidi macchie di frumentone,pascoli e bianche rustiche casette.E dove, trasalendo, la selvavide un conquistatore selvaggio,inzuppato di sangue fraterno,una tigre di sangue d'agnellosatollar le smoderate bramedei figli ancora sdentati,mentre grida si levavano ed ululinella foresta, un declivioverde di margherite coperto,offrendo incensi soavial sol nascente, sorrideal bimbo, che, innanzi alla portadella casa materna,divide il pan mattutinocol basilisco verde-dorato,che s'appressa a leccarglicon la lingua il piede.Quegli abissi senza traccia,dove molte abbattute vele viderosopra l'immensa pianuraseguire il giorno a la nottee la notte al tramonto;

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quando non c'era ancor terra veruna,che le ombrose montagne stendendo

sul mare scintillante di soleil pellegrino invitasse,dove gli alti muggiti dei fluttitempestosi con i sibili furonolungamente confusi del ventoin solitudine triste,e corsero il deserto del maredesolato, d'accordo soltantocon l'acutissimo stridod'uccelli marini e di mostrimugulanti con l'impetodella tempesta,ora rispondono ai dolcicommisti suoni molteplicidei più gentili impulsidell'uomo. Quei solitarireami son gemmati di lucideisole in fiore, come giardini,da trasparenti nubiaccerchiate e da fulgidiseni di mare e fertilivallate risonantidi beatitudine, dovevirenti foreste ricopronole onde, che simili a stanchilavoratori, saltano la rivaper incontrare i bacidei fiorellini.

Ricreate son tutte le cose,e la fiamma d'amor consentaneoispira tutta la vita.II fertile grembo del suoloministra il latte a innumeri

cose, che crescono ancorasotto le cure maternedella terra, 1'amor ricambiandolecon la lor pura bellezza.Lo spiro dolce del ventola sua sorbe virtù, che soffiandosparge per i lidi lontani:e la salute trascorrein mezzo a 1'aria gentile,raggia nei frutti maturie si distende sui rivi.Non c'è tempesta che veliil fulgido occhio del cielo,e che disperda con freddibuffi superbi degli alberiverdeggianti le foglie;

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ma i frutti ognora maturie i fiori son sempre belli,ed orgoglioso l'Autunnola sua grazia matrona rimena,imporporando di vergognail viso gentiledi Primavera,che, vergine fiorente, sotto i fruttirubicondi riflettele loro tinte e s'accended'amore. Si aprono più vividii boccioli, finché ne più gelo,ne tempeste, ne più la vicendaalterna delle stagionimordono la freschezzadelle foglie lor d'amaranto.

Qui vive or l'uomo, adornandoquesta bellissima terracon corpo ed anima pura;dotato fin dalla cullad'ogni impulso gentile, che risvegliadolcemente tutte le passionibenevoli e i desideriincorrotti, nel nobile cuore.La ragion più non combattecol desiderio, ma liberoognuno le sue energieconquistatrici diffondesopra la terra, e lo scettroquivi tiene d'un immenso dominio,mentre ogni forma e figuradella materia presta la forzaa l'onnipotenza del genio,che dal suo cuore profondospicca la gemma del veroper decorarne il suoparadiso di pace.

CANTO IX.Terra felice! celesterealtà, cui quelle animeirrequiete sospirano,che nell'umano universos'urtano senza mai posa!O tu, speranza supremad'ogni speranza mortale!

Vista t'ha il genio ne' suoifervidi sogni, e gli oscuripresentimenti della tua bellezza,covanti nel cuore dell'uomo,han ivi fuse tra lorole radicate speranze

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d'una ridente di gioialanda, ove amici ed amantisi uniscono per non dividersipiù maiLentamente per gradisaliva l'alba d'amore;stettero a lungo le nubidel tenebrore su la scenagravi, finché dal cielonatio scomparvero. Primasu le speranze tutte scorreva,sfacciato, nudo, superbo, fortee trionfante il delitto,mentre, nel velo mascheratadella virtù, la menzognasantificava ogni operadel vizio e della miseria,fin tanto che dal suo stessopungiglione velenoso trafittaa morte, il mondo lasciava,moralizzato senza una leggeche più tarpasse l'arditeali al desiderio, o la ragionedisseccasse col fuoco di Dio.Assiduamente il felicefermento allora fecondava;libera fu la Ragione;e benché per l'intricate

Valletta e i prati rinchiusinei boschi gisse selvaggiala passione, tessendo ghirlandedei fiori più sconosciuti,pur, come Tape tornantea la regina, i più belliella legò sulle cigliadella sorella che, mitee sobria, colma di bacila creatura festevole,non più trepidante a la vistadella spezzata verga.Era soave la lentanecessita della morte.L' alma tranquilla a la strettacedeva senza un sospiroe quasi senza paura,calma, come un pellegrinorivolto a lande remote,e piena simile ad essodi meraviglia e speranza.Allora quel dolce legame,che l'essenza e della stessalibertà e col soffice nododelle sensazioni rinsalda

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i sensi affini dell'alma,uopo non ebbe dei ceppidella tirannica legge.Quei timidi impulsi gentilientro la primitiva purezzasorsero della natura,e con sicurezza fidente

i crescenti desideri scoprironodella lor alba d'amore,non soffocato più dall'uggiosacastità egoista,questa virtù del più miseriamatore di virtù, che in se stessiesaltano l'insensibilitàed il ghiaccio. Non più della gioiae della vita le fontiavvelenava la tabedella prostituzione;uomini e donne con fedee amor, eguali, liberi e puri,congiunti, l'erta salivanodella virtù, che bagnatapiù non era col sanguedai piedi di moltipellegrini scorrente.La terra, come un fanciullosotto l'amor della madre,si invigorisce d'ogni bene,e di anno in anno poi crebbesempre più nobile e bella.Or su la scena raccoglieil tempo Tale sue foschedi tenebrore invincibile,e il future scompareda l'incantata vista.L' opera nostra e compiuta.Svelata fu la sapienza.Conosci già della terrale meraviglie, paure

e speranze che questeportano con se.Spirito, avanza!Delia virtù non e morte nemica.La terra vide sul palco omicidale più vive fiorir rose d'amore,che, miste ai serti immortalidi libertà, predisserovera la visionedella beatitudine.E' il tuo voler destinatoeterna guerra a combattere

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contro la tiranniae la menzogna, e a schiantaredal cuore dell'uomoi germi della miseria.La virtù sostiene sul camminogià percorso i tuoi passi,e molti giorni di bellesperanze benedirannola tua purissima vitad'amor soave e sacro.Discendi or, fortunata!e la gioia porta a quel cuore,il cui vigile spiritoattende per cogliere dal tuo sorrisoluce, vita e rapimento.

La Fata scosse la verga incantata.Di felicita muta,piegando gli occhi ridentidi gratitudine, l'Animasalì sul carro che pressoi bastioni scorreva.Di nuovo i corsierimagici furono aggiogati;e le sue ruote focosenuovamente infiammaronola discesa precipitedell'incalpestata volta dei cieli.Rapido il carro e lontanofuggiva. Gli immensi, infocatiglobi, che girano intornoa la porta del tempio incantato,a poco a poco mancanti,subitamente sembraronotanti piccoli puntilucenti, come le sferedei pianeti che la, corteggiandola potenza solare,con luce riflessa si muovonoin orbite più brevi.In fondo fluttuava la terra.Quivi il carro un istanterista, e l'Anima scende.Battono il suolo insuetogli inquieti corsieri,sbruffando l'aria pesante,e, il lor compito assolto,spiegano Tale ai venti del cielo.

II corpo e l'Alma s'unirono:una lievissima scossacorse le membra di lanthe.

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Le palpebre venate si schiuserodolcemente. Restarono immotii nero-azzurri globi per breve.Ella guardo, sorpresa,intorno e vide Enrico,che presso il letto in ginocchio,tacitamente, guardavacon occhi d'amore muto,il suo sonno e le ridentivivide stelle raggiantinel vano della finestra.

Trad. di Antonio Calitri

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