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Il titolo di questo saggio allude ad Adam Smith e alla sua opera fondamentale Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni. Smith era molto inte- ressato alle condizioni che promuovono il progresso economico. Il mio intervento verterà in particolare sul- l’interazione tra la regolamentazione e il progresso eco- nomico. Solo nel terzo libro della sua grande opera Smith affronta direttamente tale rapporto, precisamen- te nel primo capitolo del terzo libro, intitolato Il natura- le progresso dell’opulenza. Il titolo originale (Of the Natu- ral Progress of Opulence) suona bizzarro perfino per un anglosassone, al giorno d’oggi. “Opulenza” significa “ricchezza” nell’accezione moderna. Oggi, per un sag- gio del genere si sceglierebbe un titolo del tipo Come fa un’economia a generare ricchezza. L’argomento specifico di questo capitolo è la distri- buzione del capitale tra città e campagna. Smith sostie- ne che il progresso economico di una nazione sarebbe più rapido e durevole se il capitale venisse investito prima per la gran parte nell’agricoltura, per poi svilup- pare gradualmente l’industria e il commercio nei picco- li centri e nelle città. Smith ritiene anche che se gli inve- stitori fossero liberi di scegliere gli investimenti con il maggior rendimento, farebbero proprio questa scelta per incoraggiare il progresso. D’altro canto, egli osserva che nell’Europa del suo tempo «questo ordine naturale delle cose» è «del tutto 7 La regolamentazione e la ricchezza delle nazioni: il rapporto tra la regolamentazione e il processo economico di Sam Peltzman

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Il titolo di questo saggio allude ad Adam Smith ealla sua opera fondamentale Indagine sulla natura e lecause della ricchezza delle nazioni. Smith era molto inte-ressato alle condizioni che promuovono il progressoeconomico. Il mio intervento verterà in particolare sul-l’interazione tra la regolamentazione e il progresso eco-nomico. Solo nel terzo libro della sua grande operaSmith affronta direttamente tale rapporto, precisamen-te nel primo capitolo del terzo libro, intitolato Il natura-le progresso dell’opulenza. Il titolo originale (Of the Natu-ral Progress of Opulence) suona bizzarro perfino per unanglosassone, al giorno d’oggi. “Opulenza” significa“ricchezza” nell’accezione moderna. Oggi, per un sag-gio del genere si sceglierebbe un titolo del tipo Come faun’economia a generare ricchezza.

L’argomento specifico di questo capitolo è la distri-buzione del capitale tra città e campagna. Smith sostie-ne che il progresso economico di una nazione sarebbepiù rapido e durevole se il capitale venisse investitoprima per la gran parte nell’agricoltura, per poi svilup-pare gradualmente l’industria e il commercio nei picco-li centri e nelle città. Smith ritiene anche che se gli inve-stitori fossero liberi di scegliere gli investimenti con ilmaggior rendimento, farebbero proprio questa sceltaper incoraggiare il progresso.

D’altro canto, egli osserva che nell’Europa del suotempo «questo ordine naturale delle cose» è «del tutto

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La regolamentazione e la ricchezza delle nazioni:

il rapporto tra la regolamentazione e il processo economico

di Sam Peltzman

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invertito»; sono le città a crescere per prime, mentre lacampagna si sviluppa soltanto successivamente. Comesi spiega questo rovesciamento? Smith non ha dubbisulla risposta: tutto dipende dalle leggi di Londra, checon regole e imposte gonfiano artificialmente i rendi-menti degli investimenti in attività non agricole.

In linea con l’approccio generale della Ricchezza dellenazioni, il ragionamento di Smith va più in là della que-stione specifica e guarda alla crescita economica dilungo periodo. Perché il reddito pro capite cresce gra-dualmente in alcune società e stagna in altre? Smith hacapito, come pochi altri prima di lui, che la chiave dellaricchezza è il progresso, che le nazioni raggiungonouna prosperità duratura non già con la scoperta di unaminiera d’oro, ma creando le condizioni che possanofavorire una crescita costante.

L’aggettivo “naturale” nel titolo del capitolo offreuna chiave di lettura fondamentale della risposta diSmith al mistero della crescita costante: quando, inassenza di regolamentazione e distorsione, un’attivitàproduce un rendimento più elevato rispetto a un’altra,l’economia cresce se le risorse confluiscono verso l’atti-vità ad alto rendimento. E le risorse convergerebberocertamente in quella direzione se potessimo liberamen-te perseguire la nostra felicità. Quando il regolatoreadotta norme che modificano, o impediscono di reagirea, questi segnali del mercato, l’intera nazione finisce perdiventare più povera.

Il punto di vista di Smith è assolutamente ragione-vole, ma a mio parere il quadro del rapporto tra la rego-lamentazione e il progresso della ricchezza è incomple-to. Smith evidenzia il conflitto tra la regolamentazionee il progresso economico, e se si trovasse a scrivere unsaggio per l’Istituto Bruno Leoni probabilmente lo inti-tolerebbe La regolamentazione, nemica del progresso.

Io suggerirei invece all’IBL di pubblicare altri duesaggi, di cui vi voglio parlare.

Il primo, Il progresso, nemico della regolamentazione,sarebbe un saggio sul modo in cui le forze del mercatoe la prosperità possono minare gli effetti di una norma-

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tiva. Il fenomeno ha due facce: da un lato, spesso lanorma introdotta induce cambiamenti del comporta-mento di segno opposto rispetto all’intento della normastessa; dall’altro, in assenza di regolamentazione, il pro-gresso spesso produce automaticamente lo stesso tipodi benefici perseguiti dal regolatore, sebbene in modopiù lento e silezioso.

Il secondo saggio, Il progresso, amico della regolamen-tazione, rappresenterebbe un tentativo di rispondere aun problema che turbava Smith, ossia la capacità di unimpianto normativo di distruggere la ricchezza. Comepuò una simile normativa sopravvivere politicamente?La risposta è che spesso il progresso ne nasconde perlungo tempo gli effetti negativi, immunizzando la nor-mativa sul piano politico.

È assolutamente comprensibile che Smith abbia sot-tolineato il conflitto tra la regolamentazione e il natura-le progresso dell’opulenza, poiché il rapporto tra questedue forze è conflittuale per definizione. È legittimo chevi siano opinioni discordanti sulla bontà di un determi-nato orientamento regolatorio, ma c’è un filo condutto-re comune: tutte le normative in campo economicosono state create per negare e imbrigliare la spinta natu-rale del progresso della ricchezza. La regolamentazionemira alla miniera d’oro invece di accettare i risultati delprogresso graduale che nasce in assenza di regolamen-tazione. Come può il naturale progresso superare que-sta negazione, all’atto pratico?

Ho già accennato a una modalità: la regolamentazio-ne incentiva comportamenti che compensano alcuni otutti i suoi obiettivi teorici. Alcuni li definiscono “com-portamenti compensativi” (offsetting behaviors), e trabreve ve ne fornirò tre esempi, frutto del lavoro di varieconomisti di diverso orientamento, tra cui anche il sot-toscritto. Gli esempi sono tratti dalle cosiddette regola-mentazioni “sociali”, ma, come vedrete, i principi siapplicano anche ad altre forme di regolamentazione.

I tre cambiamenti normativi che mi accingo a discu-tere riguardano la legislazione in materia di sicurezzastradale, che negli Stati Uniti iniziò a svilupparsi negli

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anni Sessanta, l’Endangered Species Act degli anni Set-tanta (cioè la norma sulle specie in via di estinzione) el’Americans with Disabilities Act dei primi anni Novanta,che vorrebbe proteggere i disabili. A prima vista sem-brano esempi lontani l’uno dall’altro, ma mi auguro diriuscire a mostrarvi il filo conduttore che li lega, ossia ilcomportamento compensativo, che ha vanificato alcunio tutti gli effetti auspicati, e addirittura in un caso hasortito il risultato opposto.

La questione dei comportamenti compensativi non ènuova. Una delle prime lezioni del primo anno verte sulcontrollo dei prezzi da parte del governo. Raccontiamoai nostri studenti che, se il governo impone un prezzo aldi sotto del prezzo di equilibrio di mercato, si genera uneccesso di domanda. A quel punto, i compratori dovran-no passare del tempo in fila ad aspettare il loro turno, ospendere altre risorse preziose per procedere verso latesta della fila. In termini economici, queste spese equi-valgono a un aumento di prezzo e pertanto controbilan-ciano i controlli governativi. Infatti, in questo caso, i prin-cipi basilari dell’economia suggeriscono che il prezzofinale – ossia il prezzo ribassato imposto dalla legge piùil valore del tempo speso in attesa o forse le “mazzette”pagate per saltare la coda – può arrivare a essere più ele-vato del prezzo che si formerebbe autonomamente inassenza di regolamentazione. In altre parole, il compor-tamento dei consumatori può compensare all’eccesso glieffetti della regolamentazione.

Questa semplice storiella dimostra una cosa impor-tante: è raro che una normativa (di qualsiasi tipo) riescaa modificare le forze fondamentali all’origine dellavariabile specifica su cui il legislatore sta cercando diintervenire. Pertanto, dobbiamo chiederci se una nor-mativa ottiene davvero un cambiamento o se a cambia-re è soltanto la modalità di auto-affermazione delleforze del mercato.

1. Regolamentazione in materia di sicurezza stradalePartiamo dunque nel nostro viaggio alla ricerca di

risposte. Iniziamo dalla normativa in materia di sicu-

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rezza stradale, per la precisione con un numero: 3,5%.Voglio che vi ricordiate questo numero perché ci ritor-nerò più avanti. Come potete vedere dal grafico, è lapercentuale annua di diminuzione dei decessi permiglio stradale negli Stati Uniti dal 1925 al 1960, ossiadalle origini del mercato automobilistico di massa aglialbori del fermento politico che ha portato alla regola-mentazione.

Il dato -3,5% è importante perché indica che la sicu-rezza stradale ha visto un significativo progresso primadell’introduzione di una normativa specifica, un pro-gresso peraltro non dovuto a innovazioni epocali, bensìa una serie di piccoli miglioramenti su innumerevolifronti, dalla progettazione automobilistica e stradaleall’abilità dei conducenti, alle tecniche di pronto inter-vento medico e così via. In altre parole, è senz’altro leci-to affermare che questi miglioramenti sono l’effetto delnaturale progresso dell’opulenza: la crescente ricchezzagenerava una crescente domanda di salute e sicurezzapersonale e il mercato stava trovando il modo di soddi-

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Figura 1 Tasso di mortalità per incidente stradale prima dell’entrata in vigore della legge sulla sicurezza stradale

Dec

essi

per

mili

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iglia

-vei

colo

effettivo tendenziale: -3,5%/anno

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sfare l’aumento della domanda.Questo esempio specifico di progresso naturale

aveva una componente normativa, o governativa.Dopo tutto, è il governo di una nazione che ordina lacostruzione di strade e autostrade, predispone un codi-ce della strada e lo fa applicare. Nel periodo pre-regola-mentazione anche questi ambiti dell’attività di governosi stavano evolvendo. Ci tengo a sottolinearlo perché lateoria di naturale progresso di Smith non intende affat-to tagliare fuori il governo e il suo ruolo legislativo-ese-cutivo, né tantomeno intendo farlo io. Piuttosto, l’ideadi progresso naturale che mi sento di caldeggiare (eritengo che anche Smith sarebbe d’accordo) è un pro-gresso per cui temi come la sicurezza stradale si evol-vono in sintonia costante con le forze del mercato, in unmondo che diventa sempre più ricco e più abile. In que-sto scenario, il ruolo del governo è soprattutto di affian-care o integrare le forze del mercato, sicché l’attività delgoverno evolve gradualmente, in sintonia con il cam-biamento delle forze del mercato. Credo di aver cosìdelineato chiaramente la situazione fino agli anni Ses-santa, periodo in cui il tasso di mortalità per incidentistradali diminuiva costantemente.

Nell’ipotesi contraria, il governo svolge un ruolocentrale, in senso sia politico sia operativo. La questio-ne è ritenuta troppo importante per lasciare che siano leforze del mercato o anche le basse sfere del governo ascegliere la soluzione migliore per la propria realtàlocale. Perciò, il governo centrale sviluppa una strategiaunitaria finalizzata al raggiungimento dell’obiettivoprefissato e poi la impone al mercato. Ritengo di avercosì correttamente descritto lo scenario statunitensedella sicurezza stradale da quando il Congresso havarato il Motor Vehicle Safety Act nel 1966; da allora,gran parte del mondo occidentale ha copiato questosistema. Quando utilizzo il termine “regolamentazio-ne” e lo oppongo al naturale progresso dell’opulenza,mi riferisco soprattutto al fatto che la legge entra invigore all’improvviso e regolamenta tutto l’ambito diriferimento.

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La strategia unitaria che ha ispirato la normativa inmateria di sicurezza stradale a partire dal 1966 è moltochiara: la sicurezza dipende in misura critica da quantoi singoli elementi di progettazione delle automobilisono in grado di proteggere gli automobilisti dalle con-seguenze di un incidente, quindi l’invenzione e l’instal-lazione di tali elementi deve essere governata a livellocentrale. In questo sistema c’è spazio per le forze delmercato, per esempio nella scelta estetica degli elemen-ti di progettazione obbligatori e nella facoltà di supera-re gli standard minimi. Ma negli ultimi 40 anni circa, lescelte fondamentali nell’ambito della sicurezza stradaledegli Stati Uniti sono state guidate per lo più da Was-hington.

Oltre 30 anni fa, decisi di studiare da vicino l’espe-rienza relativa ai primi standard di sicurezza stradale,pochi anni dopo la loro introduzione. Era stata resaobbligatoria l’installazione di cinture di sicurezza e ipiantoni dello sterzo e il parabrezza dovevano esseread assorbimento d’urto, per proteggere i passeggeri nelcaso in cui vi fossero stati sbattuti contro.

A mio modesto parere, alcuni dei potenziali beneficidi questi dispositivi rischiavano di generare una com-pensazione, perché la normativa avrebbe incoraggiatogli automobilisti ad assumere rischi maggiori: la mag-gior protezione fornita dai dispositivi obbligatori perlegge di fatto riduceva il prezzo di una guida rischiosa.Mi spiego meglio: quando si ha fretta si è tentati di gui-dare in modo più veloce o più aggressivo; questa tenta-zione ha un prezzo, cioè un rischio più elevato di fareun incidente e rimanere feriti, se non addirittura di per-dere la vita. I dispositivi di sicurezza obbligatori ridu-cono questo prezzo riducendo la gravità delle conse-guenze a cui si potrebbe andare incontro in caso di inci-dente. Se prima dell’entrata in vigore della legge le con-seguenze di un incidente erano sufficientemente gravida scoraggiare una guida veloce o rischiosa, in seguitol’effetto deterrente era meno probabile. Dal punto divista economico, era assolutamente logico che a livelloaggregato i dispositivi obbligatori avrebbero incorag-

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giato un comportamento più rischioso e che l’assunzio-ne di rischi più elevati avrebbe in qualche misura com-pensato i benefici in termini di sicurezza promessi dainuovi dispositivi.

Purtroppo, i principi dell’economia non possonoaiutarci oltre. E soprattutto, un ragionamento dal puntodi vista economico non risponde alla domanda crucia-le: in che misura verranno compensati i potenziali bene-fici in termini di sicurezza? Potrebbe verificarsi unacompensazione parziale, totale o anche più che propor-zionale. In altre parole, la maggior parte del saggio chescrissi allora sulla questione si basava sui fatti cosìcome accertati alla metà degli anni Settanta. A mio avvi-so alcuni dati sembravano indicare una compensazionetotale dei benefici. In particolare, la mortalità dei pas-seggeri per incidente stradale era effettivamente calatain modo significativo rispetto a quanto sarebbe statoipotizzabile altrimenti. Tuttavia, questo dato è statointeramente compensato dall’aumento di incidenti efatalità a carico di “non passeggeri”, ossia pedoni, cicli-sti o motociclisti che non erano protetti dai dispositividi sicurezza obbligatori sulle auto.

Questo dato suscitò un notevole scetticismo tra eco-nomisti e no. La maggior parte dei miei colleghi, diver-samente dal resto del mondo accademico, accettò lalogica di fondo e si riservò, con un certo scetticismo, diaccertare se la teoria trovasse rispondenza nei fatti.Questo è il tipo di scetticismo più sano, che ha genera-to una prolifica e continua letteratura empirica nelcampo della sicurezza automobilistica e stradale e haseguito la variegata evoluzione delle legislazioni neivari paesi.

Nel complesso, ritengo che questa letteratura sup-porti l’ipotesi del comportamento compensativo. Glistudi divergono a seconda che la compensazione siatotale, come nel mio caso, o riguardi reazioni specifiche;per esempio, se derivi dall’aumento della mortalità tranon passeggeri o da un cambiamento comportamenta-le più generale. In ogni caso, l’evidenza ricorrente è chel’incidenza della legge sulla sicurezza stradale sul tasso

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di mortalità è notevolmente inferiore rispetto a quellache sarebbe se le persone in auto si comportassero comei manichini del crash test.

Un esempio recente è rappresentato dal saggio diAlma Cohen e Liran Einav (2003), che tira le fila di que-sta ricerca trentennale. I due hanno studiato gli effettidelle leggi che impongono l’utilizzo delle cinture disicurezza e ai loro occhi l’aumento della mortalità tra inon passeggeri non è significativo. Però, in linea con lamaggior parte di questi studi, hanno constatato che l’in-cidenza reale di queste leggi sulla mortalità stradale èsostanzialmente inferiore a quella ipotizzabile in assen-za di comportamenti compensativi. Le leggi hanno cer-tamente incrementato l’utilizzo delle cinture di sicurez-za, ma Einav e Cohen hanno calcolato che in assenza dicomportamenti compensativi un simile incremento diutilizzo avrebbe dovuto salvare più del triplo delle vitedi quanto in realtà è accaduto.

È importante chiarire che questo risultato deludentenon ha nulla a che fare con eventuali difetti tecnici deidispositivi di sicurezza, i quali sembrano funzionareproprio come dovrebbero: se siete coinvolti in un inci-dente grave, ve la caverete molto meglio se avete la cin-tura allacciata che non in caso contrario. Piuttosto, laletteratura in materia di sicurezza automobilistica estradale collega, direttamente o indirettamente, ilminor numero di vite salvate a un aumento di naturacompensativa della probabilità che si verifichi un inci-dente grave.

2. L’American with Disabilities Act Il secondo esempio di comportamento compensati-

vo è legato all’American with Disabilities Act (che perbrevità chiamerò ADA) del 1990. Come per la sicurezzaautomobilistica, gli USA non sono certo l’unico paesead avere una legge in materia di diritto al lavoro dellepersone con disabilità.

Questa legge proibisce la discriminazione nei con-fronti dei disabili in situazioni quali l’assunzione, laretribuzione, la promozione e il licenziamento e inoltre

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impone la “sistemazione ragionevole” di lavoratori dis-abili tramite l’adattamento del posto di lavoro allarispettiva disabilità. In questo modo, la legge si prefig-ge di incrementare il collocamento e il benessere deidisabili.

Pur senza dati precisi, è evidente che il progressonaturale dell’opulenza stava già producendo questoauspicabile risultato molto prima dell’ADA. Il gradua-le spostamento dell’attività economica dal lavoromanuale al lavoro intellettuale, ossia dalla produzionedi beni alla fornitura di servizi, stava già di per sé gene-rando un aumento delle opportunità di lavoro per i dis-abili. Come per la legge sulla sicurezza stradale, l’ADAnon riconosceva questo tipo di progresso graduale.

Tuttavia, due studi recenti sugli effetti di questalegge, uno di Thomas DeLeire (2000) e l’altro di DaronAcemoglu e Joshua Angrist (2001), dimostrano che inrealtà l’ADA non ha migliorato le opportunità di collo-camento dei disabili sul mercato del lavoro. Infatti,entrambi gli studi concludono che il tasso di occupa-zione dei disabili è calato percettibilmente dopo l’entra-ta in vigore dell’ADA. Com’è possibile? Entrambi glistudi concordano che la risposta si trova negli incentivicreati dall’ADA per non assumere lavoratori con dis-abilità.

Valutiamo gli incentivi di un potenziale datore dilavoro, Mario, che sta pensando di assumere Maria, dis-abile. Prima dell’ADA, Mario avrebbe potuto assumereMaria e valutare se la sua produttività giustificava lostipendio e i costi aggiuntivi per l’adattamento delposto di lavoro alla sua disabilità. A volte Maria sisarebbe rivelata un buon acquisto, altre volte no.

Con l’ADA, i costi relativi dell’assunzione e dellicenziamento sono cambiati: se Mario non assumeMaria, ora è punibile ai sensi di legge per discrimina-zione. D’altro canto, nel nostro sistema giuridico, Mariadeve dimostrare che la decisione di Mario è un atto dis-criminatorio.

E se Mario è sufficientemente attento nella sua ricercadi personale, persone disabili come Maria non troveran-

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no mai quell’opportunità di lavoro. Se però Mario assu-me Maria, a questo punto si trova ad affrontare due tipidi costi che prima non aveva: in primo luogo, è il regola-tore, e non più Mario, a determinare le spese da sostene-re per adattare il posto di lavoro alle esigenze di Maria ea decidere se lo stipendio è congruo oppure no; in secon-do luogo se ora la licenzia per evitare questi costi, è sicu-ramente perseguibile per discriminazione. Ora spetta aMario dimostrare che i costi della sistemazione sono“irragionevoli”. In quest’ottica, l’ADA impone nuovicosti sia per l’assunzione sia per la mancata assunzionedi Maria, ma il costo dell’assunzione (o più precisamen-te, forse dovremmo dire il successivo costo di licenzia-mento) è senz’altro più elevato. Facendo quattro conti, èmeglio evitare di assumere Maria che assumerla e soste-nere i nuovi costi imposti dall’ADA.

I fatti confermano quest’ipotesi: non soltanto il tassodi occupazione dei disabili è calato dopo l’introduzionedell’ADA, ma il calo è più marcato tra i giovani, che cer-cano occupazione più degli adulti, che sono già inseritinel mondo del lavoro. La tendenza si esprime più nellariduzione delle nuove assunzioni che non in un aumen-to dei licenziamenti e colpisce maggiormente i livelli diistruzione più bassi, che a questo punto non possono piùnemmeno offrire ai potenziali datori di lavoro l’opportu-nità di pagare meno per la mancanza di competenze.

Poiché l’ADA ha ridotto le opportunità di occupa-zione per i disabili, in questo caso la reazione compen-sativa è più che proporzionale. Sarebbe logico pensareche i disabili stiano chiedendo l’abrogazione dellalegge, ma in effetti alcuni ne hanno tratto vantaggio.Martina, per esempio, che già lavorava per Mario quan-do la legge è entrata in vigore nel 1992, ci ha guada-gnato nettamente: ha condizioni di lavoro migliori, ildatore di lavoro non può ridurle lo stipendio, mentrelei può denunciare il datore di lavoro per discrimina-zione dinanzi alle autorità. I disabili come Martina sonoconsapevoli della loro posizione di forza, mentre le vit-time, ossia le Maria che non verranno mai assunte,spesso non sanno nemmeno di essere vittime. Questo

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tipo di asimmetria spiega anche perché questo ambitonormativo ha sempre un forte appeal sul piano politico.

3. L’Endangered Species ActL’ultimo esempio di comportamento compensativo

è rappresentato dall’Endangered Species Act (ESA) del1973, una legge intesa a proteggere le specie animali arischio di estinzione. Come già accennato per gli altricasi, normative analoghe sono presenti in molti paesi,ma questa è anche quella che ho approfondito meno equindi non sono in grado né di precisare quanto siadeterminante il comportamento compensativo in que-sto ambito, né di delineare il quadro della tutela dellespecie prima dell’attuazione della normativa.

La legge prevede che sia un ente (in questo caso ilFish and Wildlife Service, FWS) a stabilire le specie inpericolo o che rischiano di diventarlo. Nel momento incui una specie viene inserita nell’elenco, i proprietari deiterreni dove è presente non possono fare cambiamentiche potrebbero metterne a repentaglio la sopravvivenza.Questo perché, secondo il FWS, «scopo ultimo dellalegge è quello di “recuperare” la specie, in modo chenon necessiti più della protezione della legge stessa».

Confrontiamo ora i fatti accaduti dal 1973 al 2006con questo obiettivo. Innanzitutto, guardate il numerodi specie presenti nell’elenco.

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Sulla base di normative precedenti, nel 1973 furonoinserite in elenco 119 specie; nei successivi 33 anni nesono state aggiunte in media 40 all’anno, per un totaledi oltre 1300 (sembrerebbe che in questo lasso di tempole conoscenze zoologiche siano sorprendentementemigliorate). Quante specie sono state tolte dalla lista,invece?

Esattamente 42, e badate bene, non 42 all’anno, ma42 in 33 anni. Di queste, 18 sono state cancellate permotivi tecnici (cambi nella tassonomia o dati errati), 9 sisono estinte e 15 sono state “recuperate”. A giudicaredall’obiettivo dichiarato, questo progetto normativo siè dimostrato un totale fallimento, visto che il tasso direcupero non raggiunge lo 0,5% (6 su oltre 1300) dellespecie in elenco. Sarebbe lecito dedurne che il veroscopo della legge sia di generare elenchi sempre piùlunghi.

Il comportamento compensativo responsabile inparte di questo fallimento, definito a volte “sviluppourbanistico preventivo”, ha dato adito a svariate inter-

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Figura 2 Numero delle specie in pericolo, 1973-2006

anno

1400

1200

1000

800

600

400

200

01970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010

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pretazioni, ma da economista ho scelto di parlare didue studi che se ne sono occupati in modo sistematico.

Il primo, effettuato da Lueck e Michael (2003), si rife-risce al picchio boreale, il secondo, di Margolis, Osgoode List (2007), alla civettina del Nord America. Il primomi aiuterà a illustrare come lo sviluppo preventivo siain grado di vanificare l’intento dell’ESA.

Il picchio boreale è una specie in pericolo che vive inboschi sfruttabili dal punto di vista commerciale. In unmercato non regolamentato questi boschi vengonolasciati crescere finché il taglio degli alberi diventa eco-nomicamente vantaggioso. Alcune di queste foresteverranno completamente cancellate – come si dice, sifarà pulizia. Altre saranno gradualmente ridotte. Alcu-ne delle foreste cancellate saranno ripiantate, altre no.L’ESA stravolge questa logica. Se si possiede un boscoin cui vive il picchio boreale, non è permesso abbatteregli alberi e ciò è un bene per i picchi. Tuttavia questivolatili tendono a spostarsi frequentemente e quindi chipossiede un’area boschiva nei pressi di un’altra dove èinsediato il picchio boreale ha un’unica soluzione:tagliare al più presto gli alberi! Infatti, se indugia e gliuccelli si trasferiscono nella sua zona non potrà piùricavarne legname. Questo non è un bene per i picchi,ma Lueck e Michael hanno dimostrato che è quanto si èsistematicamente verificato nei boschi del Nord Caroli-na. I boschi che avrebbero potuto essere solo sfoltiti olasciati crescere ancora sono stati abbattuti completa-mente nel momento in cui rischiavano di essere scelticome habitat dal picchio.

Lo studio effettuato da Margolis, Osgood e List, rife-rito ad alcune aree edificabili nei pressi della città diTucson in Arizona in cui viveva la civettina del NordAmerica, giunge alla stessa conclusione. Al momento didecidere se dare il via allo sfruttamento della zona daun punto di vista commerciale o se attendere, il com-portamento compensativo ha portato a uno sviluppoedilizio immediato nel momento in cui le civette si sonoinsediate nelle vicinanze.

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4. L’ironia dell’opulenza di SmithAvrete notato l’ironia negli esempi di comportamen-

to compensativo: la legge sulla sicurezza stradale favo-risce uno stile di guida imprudente; la legge sul dirittoal lavoro dei disabili li lascia disoccupati; la legge sullaprotezione delle specie a rischio di estinzione promuo-ve la distruzione dell’ambiente. Credo che sia stato que-sto aspetto ironico a stuzzicare l’interesse degli econo-misti verso questo tema, oltre che ad accendere la dis-cussione. Tendenzialmente, noi economisti preferiamoscoprire risvolti inaspettati che veder confermate lenostre ipotesi, soprattutto se emerge la forza della sem-plicità logica della nostra disciplina. D’altro canto, men-tre noi siamo in grado di guardare con sano scetticismoa nuovi risultati inattesi, da tempo immemore i politicisi rifiutano di riconoscere le nuove teorie economiche,perlomeno da quando Adam Smith propugnava il libe-ro commercio più di 200 anni fa.

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Figura 3 Numero totale di specie tolte dalla lista delle specie in pericolodal 1973 a oggi

* Dati inesatti, modifiche nella classificazione, ecc.

Totale Specie non più considerate in pericolo

Specie estinte

Errore nei dati*

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È giusto essere scettici. Vi ho raccontato come il com-portamento compensativo ha compromesso tre importan-ti tentativi di migliorare la nostra vita. Tuttavia, sono tuttevacche sacre del mondo politico; in nessuno di questiambiti sussiste un serio rischio di stravolgimento dellecose. E credetemi, tutti e tre hanno un forte appeal a livel-lo mondiale. Com’è possibile? Nell’esempio dell’ADA, hocercato la risposta analizzando la differenza tra i benefi-ciari, che sono consapevoli della loro posizione di forza, ele vittime, che non lo sono. Forse un’analisi più approfon-dita di quella che definiamo “economia politica” potreb-be aiutarci a comprendere la resistenza nel tempo deglialtri casi, ma ricordiamoci che rimangono soltanto esem-pi. Specialmente nell’ambito delle norme sociali, gli eco-nomisti sono abituati a scoprire che i benefici della rego-lamentazione deludono le aspettative e spesso non ripa-gano i costi dell’attuazione. Deve esserci una forza moltopotente che protegge queste norme così inefficienti.

Penso di aver trovato il colpevole. È il naturale pro-gresso dell’opulenza di Smith, la tendenza dei mercatinon regolamentati a contribuire a una crescita costante:vi dimostrerò che la forza economica che la regolazionesi rifiuta di riconoscere è la stessa che la sostiene politi-camente.

Sembra un paradosso, ma permettetemi di tornareall’inizio di questo scritto, e capirete presto dove voglioarrivare. Vi ho chiesto di ricordare un dato. Il dato è3,5%, ossia la percentuale annua di diminuzione dellamortalità per miglio-veicolo nel periodo precedenteall’entrata in vigore della legge sulla sicurezza stradale.

Ora, provate a indovinare qual è la percentuale cor-rispondente nel periodo successivo all’entrata in vigoredella legge sulla sicurezza stradale.

La risposta esatta è che dal 1965 al 2005 i decessi permiglio-veicolo dovuti a incidenti sono diminuiti del3,3% all’anno. In altre parole, tra i due periodi non c’èuna differenza significativa. L’identità sostanziale deidue dati mi sembra il modo migliore per stimolare invoi un atteggiamento scettico nei confronti dell’efficaciadel progetto normativo.

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Vi ho appena dimostrato che la legge sulla sicurezzastradale non ha portato a una riduzione dei comporta-menti rischiosi. Tuttavia, a mio parere è probabile che laforza del naturale progresso dell’opulenza sia ancorapiù importante. È probabile che la sicurezza in campoautomobilistico e stradale avrebbe continuato a miglio-rare indipendentemente dalle normative emanate daWashington, e non mi sorprenderei se il tasso di morta-lità per miglio-veicolo continuasse a diminuire del 3-4%all’anno per molti anni a venire, non soltanto negli StatiUniti ma anche in Europa. Infatti, anche sul fronte dellaprogettazione automobilistica, probabilmente le regoleimposte da Washington hanno solo accelerato un cam-biamento che altrimenti sarebbe stato più lento. Ovvia-mente, tanto è inimmaginabile che un’auto del 1965avesse il design del 1925, quanto è impossibile che unmodello del 2007 monti ancora la tecnologia degli anniSessanta in fatto di sicurezza. Non lo sapremo mai, maè probabile che molte delle caratteristiche progettuali

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Figura 4 Tasso di mortalità per incidente stradale dopo l’entrata in vigore della legge sulla sicurezza stradale

Dec

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effettivo tendenziale: -3,3%/anno

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rese obbligatorie dal regolatore sarebbero state intro-dotte comunque, magari più tardi.

La logica di progresso graduale che precede l’intro-duzione di un’importante innovazione legislativa ècomune a diversi ambiti di regolamentazione sociale,per esempio la sicurezza dei lavoratori e dei prodottinonché la qualità dell’ambiente. Una ricerca accuratapotrebbe dimostrare che l’introduzione di una regola-mentazione ha accelerato il processo, ma non lo dareiper scontato. Il punto è che nella maggior parte dei casiil progresso graduale avrebbe probabilmente seguito lasua naturale evoluzione indipendentemente dall’entra-ta in vigore di una legge. In questo senso, il progressopromuove spesso gli stessi obiettivi della regolamenta-zione.

Tuttavia, anche se il ritmo del progresso non cambiadopo l’introduzione di una norma, come accade peresempio nel campo della sicurezza stradale, vi è unadifferenza fondamentale: dopo l’entrata in vigore dellanorma si verifica comunque un progresso e questo con-sente al regolatore di sottolinearlo con orgoglio e diprendersene il merito.

Come potete vedere, un economista che valuta ilquadro completo potrebbe dire «la regolamentazionenon ha nulla a che vedere con il progresso, che si sareb-be verificato comunque», ma questa argomentazione ètroppo raffinata. I dati di realtà sono che è stata intro-dotta una reogla e che si è verificato un progresso, quin-di perché cambiare le cose?

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Possiamo constatare che c’è un legame di mutuosoccorso tra il progresso dell’opulenza e la regolamen-tazione, anche quando quest’ultima è inefficace o con-troproducente. Generalmente, fintanto che l’ambitoregolamentato sembra funzionare in modo accettabile,il che accade spesso in un’economia in crescita, le leggisono politicamente intoccabili. E proprio questo sareb-be il tema che svilupperei nel secondo saggio immagi-nario, Il progresso, amico della regolamentazione.

In un’opera del genere sottolineerei una differenzasostanziale nel modo di analizzare gli effetti della rego-lamentazione tra gli economisti e la maggior parte deglialtri studiosi. L’analisi economica parte dal controfat-tuale. In altre parole, l’economista inizia la sua analisichiedendosi «come starebbero le cose in assenza diregolamentazione?», poi confronta la situazione realecol controfattuale. La regolamentazione viene valutata

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Figura 5 Vite salvate dalle cinture di sicurezza e dagli airbag, 1991-2000

Individui di età superiore a 5 anni salvati dalle cinture di sicurezzaIndividui di età superiore a 13 anni salvati dalle cinture di sicurezza

Novembre 2003 2003 FCSM

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positivamente solo se i risultati si collocano ragionevol-mente al di sopra del benchmark previsto dal controfat-tuale. Fin dai tempi di Adam Smith, questo è il proce-dimento analitico adottato dagli economisti. Infatti, nelbreve capitolo che ha ispirato questo saggio, Smith nonsi limita a decantare i vantaggi derivanti dall’investirenella campagna, né richiede che vi si creda per unasemplice questione di logica. Piuttosto, Smith confron-ta gli effetti della politica mercantilista nell’Inghilterradei suoi tempi con uno scenario controfattuale trattodalla storia delle colonie dell’America settentrionale edell’antico Egitto. Successivamente, gli economistihanno adottato tecniche più efficaci ma la metodologiaanalitica è la stessa di Smith.

Tornando ai giorni nostri, è raro che una proposta diregola importante venga messo in discussione a livellopolitico perché non si presenta significativamente piùefficace di un controfattuale plausibile. Sembra invecevero il contrario, cioè che il processo politico abbia biso-gno di una dimostrazione assoluta di inefficacia primache si inneschi una potente spinta al cambiamento. Orave lo dimostro con due esempi tratti dalla mia espe-rienza professionale.

5. La politica delle riformeAll’inizio degli anni Settanta mi trovavo a Washing-

ton, perché facevo parte del gruppo di lavoro incarica-to di riformare il sistema di regolamentazione del tra-sporto merci; il gruppo era numeroso e composto daprofessionisti di talento. Noi economisti eravamo pres-soché concordi sulla necessità di una riforma, dimo-strando che la normativa esistente, il cui effetto princi-pale era di sopprimere le forze di mercato, si era rivela-ta assolutamente controproducente, probabilmente findai tempi della costruzione della prima rete autostra-dale negli anni Venti, se non addirittura da prima. Cio-nonostante, il nostro progetto di riforma è naufragato.

Entro i cinque anni successivi, questa infrastrutturanormativa, durata quasi cento anni, ha iniziato a sgre-tolarsi; un altro decennio e sarebbe scomparsa. Sembra

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una versione meno drammatica degli eventi che hannoscombussolato l’Europa orientale una ventina di annifa: se guardiamo indietro, i motivi del cambiamentoimprovviso sono simili. Tornando alla normativa nel-l’ambito dei trasporti, una gran parte del settore ferro-viario (che movimenta circa la metà delle merci negliStati Uniti) è stata colpita da una crisi finanziaria in unperiodo di generale prosperità, rendendo improcrasti-nabile un cambiamento a livello normativo. In questocaso, le forze del mercato sono dovute arrivare al puntodi provocare il collasso del sistema normativo primache potesse intervenire un cambiamento sostanziale.

Ora voltiamo pagina, vi racconto un altro progettonormativo recente che ho analizzato, relativo al lanciodi nuovi farmaci da parte della Food and Drug Admi-nistration (FDA). Negli Stati Uniti, una casa farmaceu-tica non può commercializzare un nuovo farmaco fin-ché non dimostra che il farmaco in questione non solo èsicuro ma anche “efficace”; in altre parole, la casa far-maceutica deve dimostrare che il farmaco fa quello chepromette di fare. Il requisito della “prova di efficacia” èstato introdotto nel lontano 1962 e circa un decenniopiù tardi mi sono trovato a studiare gli effetti di questalegge. Ho concluso che il requisito della prova di effica-cia era un disastro per la salute pubblica e in veritàfavoriva le malattie e addirittura la morte più di quan-to non dovesse prevenirle. Come per la mia ricerca sullasicurezza stradale, non citerei questo vecchio lavoro senon fosse stato oggetto di ulteriore disamina da parte dialtri economisti, ma nessuno degli studi successivi miha indotto a modificare la mia conclusione radicale eancora oggi la regolamentazione statunitense sul lanciodi nuovi farmaci continua a provocare disastri. Ciono-nostante, non è realistico pensare che nel prossimofuturo questa legge subisca la stessa sorte della norma-tiva sul trasporto merci.

Lasciate che vi spieghi come sono giunto a una con-clusione così dura, quello che è successo da allora equali sono, a mio parere, le ragioni della sopravvivenzapolitica di questa normativa.

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L’intento del legislatore è senz’altro lodevole: i far-maci inefficaci sottraggono risorse e tempo allo svilup-po di trattamenti migliori. Tuttavia, i test clinici neces-sari per dimostrare alla FDA che un farmaco è efficacerichiedono tempo, indipendentemente dal fatto cheottengano l’approvazione o meno. E di fatto, il tempo inpiù necessario a tal scopo è un costo che si estende peranni, non mesi o settimane.

In alcuni casi, questo costo ha la sua ragion d’essere,perché i farmaci inefficaci vengono bocciati; inoltre, l’e-levato numero di test permette di identificare e blocca-re i farmaci pericolosi. Tutti i farmaci efficaci che allafine del percorso di sperimentazione giungono sul mer-cato pagano un costo in termini di tempo, anche i cosid-detti “salvavita” o quelli in grado di alleviare la soffe-renza. In questi casi, il tempo in più che occorre al far-maco per arrivare sul mercato significa che mentre laFDA sta valutando i risultati dei test, i potenziali bene-ficiari vedono protrarsi la sofferenza o, nella peggioredelle ipotesi, sopraggiungere la morte. A mio modestoparere, alla luce dei dati disponibili quest’ultimo costoè troppo alto, qualsiasi sia il beneficio: infatti, i decessidovuti a questa lentezza procedurale sono migliaiaall’anno. Per contro, i benefici sono irrisori. Ho appura-to che prima dell’introduzione della normativa il mer-cato si liberava molto rapidamente dei farmaci ineffica-ci: le vendite crollavano entro pochi mesi dal lancio, percui c’era ben poco spazio di ottimizzazione regolatoriarispetto alle forze del mercato.

La prima reazione a questa ricerca nelle sedi istitu-zionali di Washington mi ha ricordato la reazione sovie-tica alla Primavera di Praga del 1968: ostile e difensiva.Qualsiasi cambiamento era visto come inutile e danno-so. Col tempo questa linea dura si è ammorbidita,anche perché la maggior parte degli studi accademicisuccessivi giungeva a conclusioni simili alle mie. Infine,i regolatori hanno riconosciuto la necessità di cambiaremarcia e hanno introdotto alcuni cambiamenti, chehanno leggermente accelerato il processo. Ciononostan-te, non c’è mai stata una vera pressione politica per un

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cambiamento davvero sostanziale, che eliminasse ilrequisito dell’efficacia tout court, per esempio. Ancoraoggi, oserei dire che la normativa uccide più persone diquante ne riesce a salvare.

Sono convinto che questa pessima normativasopravviva nello scenario politico perché è protetta dalnaturale progresso dell’opulenza. La medicina evolvecontinuamente su tutti i fronti e sul mercato giungonocontinuamente farmaci nuovi ed efficaci, sebbene conritardo. Il tasso di mortalità diminuisce al ritmo dell’1%all’anno, in linea con la tendenza degli ultimi centoanni. Allargando la prospettiva, qualche migliaio didecessi in più ogni anno non fa la differenza.

Ma c’è un altro aspetto, forse più importante: idecessi di cui parlo sono il risultato di un’ipotesi con-trofattuale, ossia non sono direttamente attribuibili a unfallimento regolatorio. Immaginate che cosa succede-rebbe se un pericoloso veleno venisse lanciato sul mer-cato come nuovo farmaco e causasse la morte dimigliaia di persone: sarebbe un grande scandalo. Que-sti decessi sarebbero collegati direttamente al processoregolatorio, che non riuscirebbe a sopravvivere sulpiano politico. Ma le vere vittime di questa normativanon hanno ingoiato una pillola velenosa approvata persbaglio da un’agenzia governativa, semplicemente nonhanno fatto in tempo a ingoiarne una efficace e nonsapranno mai cosa si sono persi. Fintanto che il pro-gresso della medicina continuerà a chiedere una rifor-ma in nome di vittime anonime, sarà difficile indurreun cambiamento politico. D’altro canto, i difensoridello status quo sfruttano il progresso a loro vantaggio,raccontandovi quanto la regolamentazione abbia con-tribuito al progresso e quali nefaste conseguenze deri-verebbero da ogni eventuale e significativa riforma.

6. ConclusioniPer concludere, vorrei dare due suggerimenti su

come affrontare il rapporto tra progresso economico eregolazione, uno riferito alle leggi già in vigore, l’altroalle nuove proposte legislative.

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È difficile sbarazzarsi di leggi esistenti, anche sesono controproducenti. Spesso per operare un cambia-mento significativo occorre una crisi nello specifico set-tore regolato o addirittura una crisi economica genera-le. La storia recente di questo paese ne è un esempio:dopo una crisi che ha generato un profondo cambia-mento, più recentemente si è assistito a un rallentamen-to del ritmo delle riforme. Entrambi i fenomeni sonoriconducibili all’idea di progresso naturale di Smith: ilblocco della prospettiva di progresso naturale ha scate-nato la crisi, il progresso parziale ha poi frenato la pro-secuzione del processo di riforma. Se si sta procedendopiù o meno nella direzione giusta, non è facile giustifi-care riforme sostanziali sul piano politico.

A un primo esame, le nuove proposte di regolamen-tazione sembrano spesso interessanti, promettono dirisolvere problemi di rilevanza generale senza sostan-ziali esborsi di denaro pubblico o ulteriori tasse. Neiconfronti di queste proposte suggerisco di tenere unatteggiamento scettico e paziente al tempo stesso: scet-tico sul fatto che i problemi vengano realmente risolti,perché è prevedibile che la gente si comporti in mododa compensare gli scopi della regolamentazione;paziente perché il progresso naturale spesso porta allacondizione che la regolamentazione si propone di crea-re, in modo forse più lento, ma anche più efficace ecompleto.

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