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QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE n. 3/2008 Italo Magnani La riforma sociale nella formazione di Nitti economista UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA

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QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE

n. 3/2008

Italo Magnani

La riforma sociale nella formazione di Nitti economista

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA

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QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE UNIVERSITA’ DI PAVIA ______________________________________________________________________ REDAZIONE Enrica Chiappero Martinetti Dipartimento di Economia Pubblica e Territoriale Università degli Studi di Pavia Corso Strada Nuova 65 27100 PAVIA tel. 0039-382-984401 -984354 fax 0039-382-984402 E-MAIL [email protected] COMITATO SCIENTIFICO Italo Magnani (coordinatore) Luigi Bernardi Renata Targetti Lenti La collana di QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE ha lo scopo di favorire la tempestiva divulgazione, in forma provvisoria o definitiva, di ricerche scientifiche originali. La pubblicazione di lavori nella collana è soggetta, con parere di referees, all’approvazione del Comitato Scientifico. La Redazione ottempera agli obblighi previsti dall’art. 1 del D.L.L 31/8/1945 n. 660 e successive modifiche. Le richieste di copie della presente pubblicazione dovranno essere indirizzate alla Redazione.

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QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE

n. 3/2008

UNIVERSITÀ DI PAVIA

Italo Magnani

Professore ordinario di economia politica nella facoltà di giurisprudenza dell’università di Pavia

La riforma sociale nella formazione di Nitti

economista

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LA RIFORMA SOCIALE NELLA FORMAZIONE DI NITTI ECONOMISTA1

di

Italo Magnani2

Sommario: 1. – Premessa; 2. – Direzione, redazione e dintorni; 3. – Le radici degli ideali; 4. – L'intitolazione: La riforma sociale; 5. – "Economisti letterari"; 6. – Simpatie socialiste; 7. – Impegno alla imparzialità sul modello dell'Economic Journal; 8. – La riforma sociale, The Economic Journal e The Economic Review; 9. – Il mancato incontro con il Giornale degli economisti; 10. – Nitti su produzione e distribuzione; 11. – Nitti sul metodo; 12. – La protezione del lavoro e la legislazione sociale; 13. – Il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita; 14. - Politica sociale interna e scambi internazionali; 15. – Economia-scienza triste?; 16. – Squilibri regionali e intervento pubblico; 17. – La distribuzione regionale delle entrate e delle spese pubbliche: Pantaleoni; 18. – Segue: Nitti; 19 Segue: Bresciani-Turroni; 20. – Squilibri regionali e protezionismo internazionale: la ricetta del libero scambio; 21. - Nitti contro le semplificazioni dei libero scambisti; 22. - Sintesi e conclusioni.

1 Relazione presentata al Convegno nazionale dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici su "Francesco Saverio Nitti", Trani-Napoli, 5-7 giugno 2008. 2 L'Autore è professore ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Pavia. Indirizzo: Dipartimento di Economia Pubblica e Territoriale dell'Università di Pavia, Corso Carlo Alberto, 5 – 27100 Pavia. Telefono: 0382-984412. Indirizzo di posta elettronica: [email protected]

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“Equidem beatos puto, quibus deorum munere

datum est aut facere scribenda aut scribere legenda, beatissimos vero quibus utrumque”.

["Secondo me sono beati coloro ai quali, per dono degli dei,

fu concesso o di compiere fatti degni di essere scritti o di scrivere fatti degni di essere letti,

ma beatissimi coloro ai quali furono concesse entrambe le cose"].

(Plinio il Giovane, Epistulae, VI 16, C. Plinius Tacito suo) 1. - Premessa

Nel 1890 il Giornale degli economisti si era disfatto dell'ecclettismo di Alberto Zorli. Era finito

nelle mani di Antonio de Viti de Marco, Maffeo Pantaleoni e Ugo Mazzola, e aveva cambiato pelle. Si

era imposto come la principale rivista economica italiana e tra le migliori al mondo, aveva portato in

Italia e vi aveva fatto vincere il marginalismo di Walras, di Jevons e di Menger, aveva messo sul trono

il liberismo di Francesco Ferrara, aveva rivendicato una linea di continuità con l'economia dei classici,

aveva battuto in breccia i seguaci dello storicismo tedesco e aveva sbaragliato il campo3 .

E sembrava che la vittoria fosse definitiva. Ma erano trascorsi appena quattro anni da che il

Giornale degli economisti era passato di mano ed ecco che, nel 1894, compare una nuova rivista di

economia: La riforma sociale.

2. - Direzione, redazione e dintorni

La riforma sociale nasce sul ceppo del quindicinale fiorentino Rassegna di scienze sociali e

politiche, dopo che il suo direttore, Carlo Ridolfi, aveva ceduto la testata al giolittiano On. Luigi Roux

(nel febbraio del 1894) e questi aveva associato alla direzione Francesco Saverio Nitti, giovane di

venticinque anni.

La redazione attinge a studiosi che hanno estrazione diversa e orientamenti non riconducibili a un

comune progetto ideale e, per giunta, sono studiosi per lo più raccolti attorno a quel neonato

3 Già nel luglio 1890 Pantaleoni poteva scrivere trionfalmente: "è finito il periodo di ribellione all'economia classica, il periodo dello storicismo e quello del socialismo di stato. Sarebbe impossibile rifare ora il congresso di Milano ...".

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"Laboratorio di economia politica della Regia Università di Torino"4 al quale il suo fondatore Salvatore

Cognetti de Martiis aveva inteso dare carattere di neutralità e indipendenza5.

Dunque la situazione era ideale perché l'iniziale impronta della rivista fosse tutta di Nitti,

responsabile effettivo da che Roux gli aveva garantito "libertà piena ed intera, larghi fondi [...] e unicità

di indirizzo", ossia sin da subito.

E Nitti vi porta di suo il temperamento, una formazione famigliare e culturale adatta a valorizzare un

positivismo imbevuto di storicismo e filantropia e la propensione per un socialismo di tipo umanitario e

cooperativistico.

Vi porta, altresì, il suo celebrato maestro Achille Loria6, "abituato a concepire la scienza come fuoco

d'artificio" (nel biasimo di Croce, 1896, p. 55), ma dotato di una potenza d'ingegno "che, in taluni

lapidari scorci, sembra assurgere ai fastigi dell'epoca classica della scienza" (nell'elogio di Einaudi,

1929, p. 388 ").

Nitti non cerca invece e non vi porta il Léon Walras, caposcuola del nuovo indirizzo scientifico, al

quale guardavano Pantaleoni, de Viti, Mazzola, Pareto e (a suo modo) persino uno studioso come

Achille Loria che pure era così poco affine a Walras quanto era invece, in quel momento, vicino a Nitti.

4 Il "Laboratorio" fu fondato da Salvatore Cognetti de Martiis presso la facoltà di Giurisprudenza di Torino e divenne operativo l'11 dicembre 1893, appena un anno prima che nascesse La riforma sociale. Aveva tra le figure più significative presenti sin da subito, Luigi Albertini (co-segretario), Eugenio Masè-Dari (assistente alla direzione), Pasquale Jannaccone (co-segretario), Luigi Einaudi, Gaetano Mosca, Giuseppe Prato, Riccardo Bachi, oltre che lo stesso Salvatore Cognetti de Martiis, che ne era direttore. 5 Lo avrebbe fatto rimarcare Luigi Einaudi nella commemorazione di Salvatore Cognetti De Martiis (1901, pp. 21-22): "Erano liberisti che sarebbero stati seccati ove si fosse imposto un credo protezionista, che pur da altri era difeso; erano socialisti democratici. i quali desideravano liberamente esporre i loro concetti; erano dei socialisti cattolici, che si sarebbero sentiti a disagio in un ambiente ostile. Eppure tutti convivevano e discutevano fraternamente sotto la guida del direttore, il quale astringeva [sic] i frequentatori del Laboratorio a due soli obblighi: Usare cortesia di forma nel dibattito e esporre argomentazioni serie, tratte da uno studio accurato del problema discusso. Egli poi riassumeva la discussione infine con una imparzialità che poteva sembrare indifferenza da presidente di Corte d'assise, e era invece dettata dall' amore alla istituzione sua". 6 "Una rivista da me diretta non può uscire senza un vostro articolo sul primo numero. Scrivete di quello che volete, quanto volete, ma fate che il 10 marzo io riceva il vostro articolo, che deve andare nel primo numero". Così scrive Nitti a Loria il 23 febbraio 1894; fonte: Barbagallo, 1984, p. 51. È, infatti, con l'articolo di Loria dedicato a Scienza sociale e riforma sociale che La riforma sociale si inaugura nel marzo 1894. I rapporti tra Nitti e Loria si sarebbero tosto raffreddati, in ragione dell'esito del concorso di Economia politica di Napoli del 1895, che vide Loria, commissario e relatore (cfr. Loria, 1895a), far mancare il suo appoggio a Nitti e questi soccombere di fronte a Pantaleoni. Già 1'8 ottobre 1897 Nitti scriveva a Colajanni: "Loria è un'anima meschina, uno spirito volgare".

Molti anni dopo (1903) Nitti avrà modo di ricambiare, quando toccherà a lui sbarrare la strada alla chiamata di Loria a Roma.

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Vero è che anche Nitti si era rivolto a Walras già nel 1890, quando era poco più che ventenne, ma si

era lasciato attrarre da motivi opposti a quelli dei marginalisti italiani e il rapporto, a quanto ne so, non

sarebbe andato oltre un fuggevole contatto che si sarebbe esaurito sul nascere. Stava scrivendo Il

socialismo cattolico (sarebbe uscito nel '91) ed era interessato a Walras come autore della Recherche

de l'idéal social (1868)7 e teorico dello "stato inteso come un tipo sociale del medesimo valore

dell'individuo", in una parola era interessato al Walras "metafisico", ossia quel Walras campione di

tutto ciò che i marginalisti italiani rigettavano senza esitazione8, che aveva reso tanto laborioso a Pareto

scoprire l'"oro" che stava nascosto dietro alle sue "fumisterie" (cioè il concetto dell' equilibrio

economico generale), che avrebbe finito per dividere i due studiosi di Losanna anche sul piano

personale.

Non vi è da stupirsi che, almeno sino a quando Einaudi non sarà entrato nella Riforma sociale

(come redattore nel settembre 1900 e poi come direttore nel dicembre 1902), la rivista di Nitti non

potesse amare il Giornale degli economisti di de Viti de Marco & Co. né questo potesse amare La

riforma sociale di Nitti.

3. - Le radici degli ideali

Il dissidio tra il Giornale degli economisti e La riforma sociale, se pur più temperato, non è

dissimile da quello che, anni addietro, aveva diviso, da una parte, Francesco Ferrara e i seguaci di "ciò

7 Lo si vede bene dalla lettera di Walras a Nitti del 28 dicembre 1890: "Je vois que c'est surtout des six leçons formant la Recherche de l'idéal social que vous auriez besoin. Je vous les envoie aujourd'hui qu'elles ont paru dans le journal Le travail avant d'ètre reproduites en volume".

A mio sapere, la corrispondenza Nitti-Walras si interrompe, appena iniziata. Deve esserci stato scarso interesse a continuare e forse qualche malinteso; diversamente Nitti non avrebbe tenuto per sé lo scritto che Walras si era premurato di inviargli come semplice prestito. Lo ricorda uno spazientito Walras a Barone (16 novembre 1895), per ammonirlo con un precedente da non imitare. Barone lo avrebbe rassicurato il 20 novembre: "Je vous assure que je ne ferai pas comme M. Nitti, que j'en aurai tout le soin possible, que vos communications je les considèrerai comme absolument confidentielles, et que je les tiendrai toujours à votre disposition".

8 Mi riferisco, soprattutto, a Pareto e alle sue innumerevoli testimonianze, a cominciare dalla lettera a Pantaleoni del lontano 27 luglio 1892: "Quando [Walras] discorre del metodo sperimentale e metafisico dice enormità". Si vedano anche le lettere di Pareto a Pantaleoni del 2 aprile 1896: "Il Walras ora vive nelle nuvole colla sua metafisica e gli capita come l'astronomo che cade in un pozzo"; 30 aprile: "Se ti capita di vedere La revue socialiste dell'aprile, leggi un articolo del Walras. Vale proprio niente. lo non gliene avrei parlato; ma egli ha voluto avere il mio parere e ho dovuto dirgli la verità"; 9 giugno: "Il Walras stampa cose incredibili. Tu sei più giovane di me. Quando io scriverò cose di tal genere, ti prego di avvisarmi di smettere. Allora andrò a spasso con Raton e Pico [i gatti di Pareto] e lascerò stare lo scrivere e lo stampare".

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che havvi di più etico al mondo, cioè l'esistenza delle leggi naturali nel campo economico, l'irrecusabile

bisogno della più ampia libertà d'azione dell'individuo"9 e, dall' altra, gli epigoni di quel "germanismo

economico" ai quali la vis polemica di Ferrara assegnava cattive intenzioni:

"«Non vogliamo, come i socialisti vorrebbero, operare una livellazione ideale delle umane società; invochiamo soltanto il soccorso dello stato a favore delle classi che soffrono; non pretendiamo la libertà abolita, ma la libertà controllata; combattiamo la concorrenza sfrenata, domandiamo l'indipendenza dell'operaio, respingiamo la tirannia del capitale; e finalmente, al gretto principio del tornaconto economico, noi desideriamo sostituire un generoso spirito di filantropia e di dovere morale. Siamo liberisti noi pure, ma temperati e prudenti. Siamo i pronipoti di Smith». [...] Il che - nella lettura che ne dà Ferrara - evidentemente si può tradurre in termini che mi parrebbero più modesti e più veri: «Noi vogliamo tutto ciò che il socialismo ha sempre voluto, meno (sinché si possa) il bisogno di scendere sulla piazza e prender le armi per ottenerlo» [...]. Insomma - conclude Ferrara - è un socialismo, ingentilito bensì, e virtuoso abbastanza per vergognarsi di sé medesimo; ma appunto perciò mi sembra tanto meno pregevole quant'è inferiore l'ipocrisia alla franchezza"10.

4. - L'intitolazione: La riforma sociale

La stessa intitolazione, "La riforma sociale", deve essere stata niente affatto casuale. Sebbene essa

riprenda esplicitamente il nome della rivista del riformatore francese Fédéric Le Play ("La réforme

sociale", appunto), essa mi riporta alla mente soprattutto le idee e le proposte contro cui, vent' anni

prima, si scagliava il Ferrara ispiratore degli ideali ai quali si richiamava il Giornale degli economisti.

Voglio dire che, da molti anni ormai, la parola "riforma" e il suo aggettivo "sociale" si erano

caricati di un robusto significato emblematico (che dura inossidabile ancora oggi), se è vero che Ferrara

vi si riferiva (sin dal 1874) per accanirsi contro nel suo Germanismo economico in Italia:

"Un titolo, molto più comodo, parve già bello e trovato nella lusinghiera parola riforma, che mai non manca di fare la sua apparizione quante volte sorga un capriccio di novità nell' ordine sociale e politico. La setta tedesca, dunque, non tardò a farsi chiamare riformatrice come, prima di essa, sansimonisti, furieristi, cabetisti, etc., furono tutti riformatori; e questo concetto di riforma si estese su tutti coloro che, in un modo o in un altro, radicalmente o incompletamente, ripudiavano la massima del lasciar fare, cercando mezzi artificiali per sciogliere il problema della così detta questione sociale" (p. 564).

9 Ferrara, Il germanismo economico in Italia, 1874, p. 565.

10 Ibidem, pp. 565-566.

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5. - "Economisti letterari"

Ebbene, già nel Programma (a firma "La Direzione" e attribuibile a Nitti) apparso in apertura del

primo numero della Rivista (marzo 1894), si avverte una sottile insofferenza nei riguardi del liberismo

e, insieme, delle teorizzazioni più intransigenti che scorrazzavano per le pagine del Giornale; ad

esempio, quando Nitti denuncia l'errore di "imporre come delle verità quelle che non erano se non

ipotesi" e raccomanda di tornare indietro e di cambiar metodo perché "la vecchia scienza economica

inglese ha reso senza dubbio dei grandi e utili servizi; ma l'abuso di astrazioni e generalizzazioni non

poteva non essere dannoso"11.

Anche per ciò, l'invito rivolto a tutti i collaboratori è che "trattino di argomenti che, per l'indole

loro, possano interessare il pubblico, e ne trattino in una forma facilmente accessibile"12 .

Vero è che la Rivista vuole essere a larga diffusione (anzi internazionale) e capace di "influire

sull'opinione pubblica del paese"13, ma di sicuro non può dispiacere a Nitti che, in questo modo, si

vanno a privilegiare, rivalutare e incoraggiare gli "economisti letterari", a assecondare l'idea che la

matematica (che, proprio allora, il marginalismo faceva germogliare qua e là) non aiuterebbe a

progredire più di quanto non si possa senza di essa, a mettere un freno alle spavalderie degli

"economisti matematici", ad esempio di Edgeworth quando rispondeva alle osservazioni di Augusto

Graziani in tono ultimativo: "The use of the method is not necessariIy attended with an exaggeration of

its importance. The inability to use it is not a qualification for appreciating its usefulness"14 .

6. - Simpatie socialiste

Il Nitti autore de Il socialismo cattolico (1891) propone altresì di aprirsi al socialismo, pur depurato

delle sue valenze teorico-dogmatiche e del suo programma collettivista, ma ben meritevole di

attenzione se visto nell' ottica tipica di un Achille Loria, e cioè di tendenza e di indirizzo riformatore

dell'ambiente storico e delle condizioni economiche del paese.

11 Cfr. Programma, in La riforma sociale, marzo 1894, p. 3. 19.

12 Ibidem, p. 6.

13 Cfr. Nitti a Loria, 23 febbraio 1894, in Fiorot, 1983, p. 87. 14 Cfr. Edgeworth, Professor Graziani on the Mathematical Theory of Monopoly, 1898, p. 239.

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Difatti, le dottrine socialiste "non sono più quello che erano mezzo secolo fa delle semplici

concezioni ideali prive di ogni fondamento positivo. Oramai, invece, la tendenza socialista penetra

dovunque e tutta la scienza sociale, come tutta la vita sociale, ne sono influenzate"15.

La simpatia (neppure tanto velata) è dunque per lo storicismo tedesco "di cui - a sentire la Direzione

- si è preso spesso non il lato migliore, ma il lato più scadente e più inutile"16.

7. - Impegno alla imparzialità sul modello dell'Econonic Journal

Tutto ciò non contraddiceva affatto l'intenzione de La riforma sociale di aprirsi a tutte le scuole e a

tutte le opinioni e, in questo senso, si capisce l'intenzione dichiarata di prendere a modello l' Economic

Journal, al cui programma esplicitamente si richiama17 non senza molta ambizione e un poco di

forzatura, sol che si pensi che la rivista inglese doveva pur essere ingombra di quella "scienza

economica inglese" che a Nitti piaceva pochissimo.

Del resto, succede spesso che proponimenti consimili - voglio dire: il voler essere aperti a tutte le

opinioni - non manchino di ambiguità. Li si possono intendere come li intendeva Filippo Turati,

quando salutava la nascita della Riforma sociale con lampi, fulmini, tuoni e feroce sarcasmo:

"Una specie di albergo. L'eclettismo! La babele delle idee e delle lingue! Un colpo al cerchio e l'altro alla botte! Un'idea che elide la precedente e che smussa quella che segue! Un assieme che non urta nessuno e che fa buon sangue a tutti! Ma questo è l'ideale del carattere, della tradizione, del bon ton italiano!"18.

Le intenzioni di imparzialità possono essere interpretate, altresì, nel senso di voler dar fiato anche a

15 Programma, in La riforma sociale, marzo 1894, p. 5.

16 Ibidem, p. 7.

17 "Tre anni or sono, quando la British Economic Association fondò The Economic Journal, una delle riviste più serie e meglio fatte d'Europa, F.Y. Edgeworth spiegò il suo programma con mirabile lucidità, in totale spirito di tolleranza: «Esso sarà aperto agli scrittori delle varie scuole. Le più opposte dottrine vi si combatteranno in campo aperto. Così le difficoltà del socialismo saranno studiate nel primo fascicolo, le difficoltà dell'individualismo nel secondo». La riforma sociale fa sue le parole di Edgeworth. Nessuno né ora né mai sarà escluso da questa rivista a causa delle sue opinioni". Così si esprime la Direzione della Riforma sociale nell'articolo di presentazione del Programma, comparso in apertura del primo fascicolo (marzo 1894, pp. 4-5).

18 Così Turati scrive nella rubrica "Le riviste" della sua Critica sociale del 10 aprile 1894. Nitti replica sulla Riforma sociale (1894, anno I, voI. I, fase. II, pp. 271-272), per respingere tutte le accuse e per confermare l'intenzione di fare della sua rivista "un campo aperto a coloro che si occupano di studi sociali con serietà".

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quella parte delle idee e delle opinioni che non trovassero di che esprimersi altrove e dunque di volerle

privilegiare e, in questo modo, accettarne l'inevitabile caratterizzazione, come fa notare Le monde

économique del 12 maggio 1894 non appena vede le firme di Loria19 e di Schmoller20 in calce agli

articoli di apertura.

Difficilmente si possono intendere tali propositi nel senso in cui li voleva realizzare Edgeworth

(con Marshall sullo sfondo) quando, nella sua qualità di editor della rivista della British Economic

Association, ne stilava il programma. Dopotutto, bisognerà pur supporre che Edgeworth condividesse

la linea del nuovo Giornale degli economisti, se è vero che, sin dal marzo 1891, pubblicava

regolarmente su detta rivista21, anch' essa aperta a tutte le opinioni (forse più di quanto non fosse aperto

l’Economic Journal nei riguardi di Losanna e degli studiosi che guardavano in quella direzione), ma

dalla quale La Riforma sociale voleva pur distinguersi.

8. - La riforma sociale, The Economic Journal e The Economic Review

Valgano, infìne, le buone ragioni prospettate da Pantaleoni che, con l'autorevolezza che gli veniva

dall'essere membro corrispondente per l'Italia della British Economic Association, dava il benvenuto

alle neonate Economic Journal e Economic Review22, faceva notare ai lettori del Giornale degli

economisti che erano ben più omogenei l'ambiente e lo stato della cultura economica inglese e troppo

diversi rispetto a quella italiana, perché potesse aver senso accostare la Riforma sociale all'Economic

Journal: "la maggior tolleranza è cosa relativamente facile in Inghilterra, dove tutti gli economisti sono

passati su per giù per la stessa scuola e non si hanno degli economisti storici che vanno fino alla

micrografia dei seguaci di Schmoller, dei protezionisti che vivono ancora in pieno mercantilismo, dei

socialisti hegheliani e altre molestie consimili".

È per ciò che

"la Economic Review attirerà probabilmente a sé gli scrittori statolatri, gli economisti storici, i

19 Cfr. Loria, Scienza sociale e riforma sociale, 1894.

20 Cfr. Schmoller, L'economia politica: la sua teoria e il suo metodo, 1894. 21 Il primo articolo di Edgeworth pubblicato sul Giornale degli economisti è apparso nel marzo 1891 sotto il titolo Osservazioni sulla teoria matematica dell'economia politica con riguardo speciale ai "Principii di economia" di Alfredo Marshall (pp. 233-245). 22 Cfr. Pantaleoni, Due nuovi giornali di economia, 1891.

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protezionisti o fair traders e i christiani [sic]; all'incontro. la rivista della British Economic Association raggrupperà prevalentemente intorno a sé i teorici dell' economia, gli individualisti e i liberisti. Gli scrittori e i lettori che un giornale può riunire sono coloro che veramente ne determinano il carattere, qualunque siano le prime intenzioni! E le scuole economiche sono purtroppo ancora un fatto e non una cosa da volere o non volere".

Insomma, La riforma sociale prometteva di somigliare alla Economic Review più di quanto non

volessero le intenzioni di ispirarsi all' Economic Journal, ove si ponga mente al diverso carattere delle

due riviste inglesi che Pantaleoni preconizzava nel passo riportato sopra.

9. - Il mancato incontro con il Giornale degli economisti

Se si vuole, fu La riforma sociale a voler ripescare l'antico progetto di Alberto Zorli che Pantaleoni

& C. avevano affondato, con una differenza, tuttavia: il Giornale di Zorli subentrava alla serie

padovana con l'impegno di aprirsi ai liberisti; La riforma sociale si muoverà invece nella direzione

contraria per reagire alla serie romana del Giornale con il proposito di ridar fiato alla parte avversa.

Certo è che l'attenzione e la simpatia con cui La riforma sociale guarda, sia pure con occhio

liberale, a un riformismo di stampo social-solidaristico-cooperativistico non può agevolmente

coniugarsi con l'individualismo intransigente degli ambienti legati al Giornale degli economisti. Perciò,

non mancano contrapposizioni sul terreno della politica economica e sociale, persino ostilità, gelosie,

incomprensioni e acrimonie personali, rivalità anche accademiche, incomunicabilità sul piano

dell'impegno politico.

In questa relazione mi limiterò ad alcune poche osservazioni dedicate a Nitti e al modo con il quale

la posizione sua e quella della sua Rivista si discostava dalla posizione del Giornale degli economisti

sul terreno del metodo, della scienza economica, della politica sociale, degli squilibri territoriali e del

problema del Mezzogiorno23.

10. - Nitti su produzione e distribuzione

Sul terreno delle prescrizioni di politica economica e sociale, Nitti non potrebbe essere più distante

dal credo dei liberisti e lo dichiara apertamente lui stesso nell'articolo scritto apposta per presentare la

23 Per una più ampia analisi rinvio al mio Dibattito tra economisti italiani di fine ottocento, FrancoAngeli, Milano, 2003.

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Associazione economica liberale italiana, alla quale faceva capo il Giornale degli economisti24.

L'articolo, che già nel titolo ne rievoca i "preconcetti", dichiara bensì di condividere e far proprio

l'impegno del Giornale degli economisti a combattere la legislazione doganale, il "mandarinismo

funzionaristico" e la corruzione politica e governativa ma, subito dopo, se ne discosta per far notare

come "essere liberali in ciò che riguarda la circolazione della ricchezza non vuol dire punto che si deve

esserlo in quel che riguarda la distribuzione. Sono due cose perfettamente diverse che non vanno

confuse".

Sono affermazioni che sembrano quasi voler replicare, a distanza di vent'anni, alle accuse che lo

smithiano Ferrara rivolgeva ai "dotti e rispettabili professori tedeschi" che avevano il torto di negare

"qualunque armonia fra le leggi regolatrici della produzione e quelle della distribuzione"25, secondo la

lezione risalente addietro ai Principles di John Stuart Mill, quando proclamavano che "la distribuzione

della ricchezza è solamente un fatto di istituzioni umane", mentre le leggi che presiedono alla

produzione "hanno il carattere delle verità fisiche"26.

11. - Nitti sul metodo

La adesione di Nitti alla distinzione milliana tra produzione e distribuzione è la premessa a un

problema di scelte di politica economica che, a sua volta, armonizza con una concezione dell'economia

che non si presterebbe a generalizzazioni di natura astratta.

Insomma, per dirla con lo stesso Nitti, "l'osservazione diretta dello svolgersi di un fenomeno è

sempre preferibile alla più ardita speculazione astratta"27 dei Pantaleoni, dei Pareto e di tutti coloro che

avrebbero il torto di partire da ipotesi a priori per trarne teorie infeconde. È dunque l' ''osservazione"

che occorre tener buona ed è appunto da lì che Nitti parte ed è a quella e non invece alle ipotesi astratte

che aggancia direttamente la propria analisi.

Ne risulta una lettura che finisce per essere inevitabilmente empirico-descrittiva (e non

interpretativa) e, in quanto tale, capace di sottrarre Nitti alla "tirannia di quelle leggi eterne

dell'economia" proprie della scienza dei liberisti, almeno per la parte che più lo interessa, ossia la

24 Cfr. Nitti, L'Associazione per la libertà economica e i suoi preconcetti, 1894, p. 460.

25 Cfr. Ferrara, Il germanismo economico in Italia, 1874, p. 565.

26 Traduco da Mill, Principles of Political Economy, 1848, libro II, cap. 1, par. l. 27 Cfr. Nitti nella Prefazione dei suoi Principii di scienza delle finanze, 1903.

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"distribuzione" (riferita essenzialmente ai temi del lavoro28, del Mezzogiorno29 e della finanza

pubblica)30.

12. - La protezione del lavoro e la legislazione sociale .

Quanto al tema del lavoro (tutele, legislazione sociale e pubblica assistenza), si ricordi che già nel

1892 Nitti non aveva alcuna difficoltà a lamentare come pessima la qualità della legislazione sociale

italiana, "la più povera, più manchevole, più difettosa d'Europa,”31 e, due anni dopo, sarebbe tornato a

deplorare che, in questo campo, l’Italia "ha fatto meno di qualsiasi nazione progredita"32. Soggiunge

Nitti: "soltanto nel 1886 una legge ha regolato il lavoro dei fanciulli e non è mai stata applicata,

nessuna legge si occupa del lavoro dei fanciulli e di quello delle donne, nessuna (pare addirittura

incredibile) si occupa degli infortuni. Quale è dunque questo socialismo, quale è questo vincolismo di

cui si parla?”33.

È, in verità, lo stesso socialismo e lo stesso vincolismo paventato da un Pantaleoni indispettito

dall'articolo di Heinrich Herkner sulle leggi protettrici degli operai in Germania, perché,

"quando si sappia che giunge fino a reclamare una legge che limiti per gli adulti la durata del lavoro, si può facilmente immaginare quel che l'A. ritenga necessario per la protezione dei fanciulli e delle donne!"34.

Così si bisticciava dall'una e dall'altra parte e si trovavano tutti nella penosa situazione per cui era

28 Sono i temi che Nitti sviluppa nella sua Riforma sociale, segnatamente con i saggi dedicati a: L'alimentazione e la forza lavoro dei popoli (1894); Il Lavoro (1895); L'economia degli alti salari (1895).

29 Cfr. Nitti, Scritti sulla questione meridionale, in Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti, vol1. IV-I e IV-II(l958). Tra questi va ricordato principalmente il saggio Nord e Sud (1900); è una versione sintetica dell' amplissimo scritto comparso qualche mese prima sotto il titolo Il bilancio dello stato dal 1862 al 1896-97 (1900). 30 Cfr. Nitti, Principii di scienza delle finanze, 1903, su cui vedasi soprattutto i commenti di Forte nella Prefazione della ristampa del 1972, pp. V-XLIV. 31 Cfr. Nitti, La legislazione sociale in 1talia e le sue difficoltà, 1892, p. 173. 32 Cfr. Nitti, L'Associazione per la libertà economica e i suoi preconcetti, 1894, p. 461. 33 Ibidem. 34 Cfr. la Rivista dei periodici e recenti pubblicazioni, curata da Pantaleoni per il Giornale degli economisti del settembre 1890, p. 356.

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tanto più urgente ricorrere a misure di politica sociale quanto meno il sistema economico era in grado

di sostenerle. Bisognerà aspettare ben oltre il giro di boa della crisi di fine secolo e attendere il 19

giugno 1902 prima di vedere approvate una disciplina organica del lavoro delle donne e dei fanciulli e

una serie di disposizioni assicurative e previdenziali che preludono all'istituzione del monopolio statale

delle assicurazioni sulla vita (1. 4 aprile 1912, n. 305).

13. - Il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita

Noto che l'Istituto fu istituito con il ruolo attivo di Nitti35 e che il progetto originario fu annacquato

a causa della violentissima opposizione raccolta attorno ad Antonio Salandra, sorretta dalle grandi

compagnie private e animata dalle polemiche di economisti liberisti del prestigio di Luigi Einaudi36,

Maffeo Pantaleoni37 e Antonio de Viti de Marco38, ma anche (dalla parte opposta) dalle accuse di

demagogia scagliate da Napoleone Colajanni contro un sorpreso Nitti che, mai più, si sarebbe aspettato

un attacco di quella fatta e da quell'amico39.

Si potrà discutere quanto si vuole del controverso monopolio statale delle assicurazioni sulla vita.

Qui preme sottolineare che esso è tra i risultati più emblematici dell'azione politica di Nitti in campo

sociale. Dietro di esso vi è la sua straordinaria capacità nel dare forma e sostanza a quella concezione

dell'economia come arte rivolta a guidare l'intervento pubblico che i liberisti aborrivano e i germanofili

idealizzavano con una fede pari alla loro difficoltà di andare oltre e di renderla effettivamente viva e

35 Tutto il materiale è ora raccolto in Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti, voI. IX-V(l969). 36 Gli scritti di Einaudi contro il monopolio delle assicurazioni sono ora ristampati nelle sue Cronache economiche e politiche di un trentennio, vol. III: 1910-1914. Sulla vicenda che vide contrapposti Einaudi e Nitti cfr. l'ampio saggio di Forte, Einaudi e Nitti: ruolo economico dello stato; Nord-Sud ed Europa, 1982, oltre che il libro di Faucci, Luigi Einaudi, 1986, pp. 106-111. 37 Di Pantaleoni si veda Il programma del governo e il monopolio sulle assicurazioni, scritto per La tribuna del 30 aprile 1911, con il proposito di prospettare il rischio di ripercussioni negative sul sistema creditizio italiano. È a questo articolo che si riferisce Nitti scrivendo a Colajanni il 1 maggio 1911: "Da Pantaleoni non mi aspettavo l'articolo idiota e cattivo che ha pubblicato nella Tribuna. Dice che facciamo il monopolio di stato delle assicurazioni... per affarismo. Decisamente è impazzito. Il liberismo è una cosa molto comoda e molto comica". 38 Cfr. de Viti de Marco, Le enormità del progetto Nitri, 1911; Discorso in Parlamento del deputato Antonio de Viti de Marco, tornata del 25 giugno 1911; Dichiarazioni in sede di voto di fiducia, 8 luglio 1911. 39 Colajanni (Il monopolio delle assicurazioni, 1911) trova demagogica l'idea di finanziare la Cassa nazionale per le pensioni operaie con i proventi del monopolio delle assicurazioni.

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operante nel concreto.

Dietro vi sta altresì - l'ho appena ricordato - il disappunto per una legislazione sociale del tutto

inadeguata, la convinzione - cui pure ho fatto cenno - che produzione e distribuzione si collocassero su

piani diversi e dunque non interferissero reciprocamente, e infine vi sta altresì la persuasione che

occorresse promuovere un miglioramento delle condizioni di vita delle classi povere (non importa

come), nella tranquilla certezza che esso non sarebbe affatto in conflitto con lo sviluppo della

produzione e anzi ne sarebbe condizione, il più delle volte, imprescindibile.

Sono, queste ultime, le tesi presentate, documentate e arricchite in una serie di studi di ampio

respiro parzialmente pubblicati nella Riforma sociale del 1894 e del '95 e che Nitti progettava di

completare in un unico progetto organico da riunirsi sotto il titolo: Il lavoro umano e le sue leggi40 .

È anche la stessa posizione già prospettata nella trionfale prolusione al corso libero di Economia

politica tenuta a Napoli il giorno di lunedì 4 dicembre 1893 (ore 11) sotto il titolo: I problemi del

lavoro e che Nitti avrebbe ripreso nel Programmo della Riforma sociale, reso pubblico nel suo primo

numero:

"Nel 1849, quando l'Inghilterra volle sviluppare la sua legislazione delle fabbriche, tutti gli economisti si opposero: fedeli alle vecchie dottrine, essi credevano che la legislazione protettrice dei lavoratori avrebbe assottigliati i profitti industriali, diminuite le mercedi, messi sul lastrico gran numero di lavoratori, creata all'Inghilterra una posizione d'inferiorità sui mercati stranieri. Gli operai non si scoraggiarono: «Se - essi dissero - l'economia politica è contro di noi, noi siamo contro l'economia politica». È passato mezzo secolo e gli operai hanno avuto ragione. Infatti, altre leggi ancor più radicali, ancor più modificatrici delle condizioni del lavoro sono state fatte. Ma l'industria inglese ha immensamente progredito, i salari sono cresciuti, i profitti si sono anch'essi sviluppati, il numero degli operai e la produttività loro sono cresciuti quasi parallelamente e l'Inghilterra si è affermata sempre più come la nazione più industrialmente e più commercialmente progredita di Europa"41. 14. - Politica sociale interna e scambi internazionali Da una parte sta l'ottimismo, la fiducia, il pragmatismo e "il grande e geniale buon senso concreto" di

40 Il progetto prevedeva quattro parti: l) Il lavoro; 2) L'economia degli alti salari; 3) L'alimentazione e la forza di lavoro dei popoli; 4) Rapporti tra le condizioni del lavoro e la natalità dei popoli. Nitti pubblicò sulla Riforma sociale solamente la parte terza (nel 1894) e le prime due parti (l'anno seguente). Il lavoro è ora pubblicato, secondo lo schema del progetto iniziale, negli Scritti di economia e finanza, voI. IV (1960) della Edizione nazionale delle opere di Francesco Saverio Nitti, pp. 271-482. 41 Cfr. Nitti, in La riforma sociale, 1894, fasc. I, pp. 3-4.

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Nitti42, dettati dalle positive esperienze di altri paesi, dal sentimento e dalla sensibilità e non, invece,

dalle possibili implicazioni di una teoria economica che Nitti non possiede, non ama e non cerca.

Sul fronte opposto stanno Pantaleoni e de Viti de Marco, preoccupati di salvaguardare quelle regole

della concorrenza capaci di fare emergere i migliori in un'ottica di selezione naturale à la Spencer43,

che è più di Pantaleoni che di un de Viti, la cui visione della politica sociale è, per altri aspetti, più

articolata di quanto non possa sembrare a prima vista e non così pregiudizialmente negativa44. Nessuno

dei due ritiene di guardare allo stato delle cose (che pure erano davanti agli occhi), come invece fa

realisticamente Nitti. Per giunta non sembrano rendersi conto che la politica sociale può essere

effettivamente concepita in chiave assicurativa (ossia come strumento di riduzione del costo del vivere

o, se si vuole, di rimozione degli ostacoli che impediscono di schiacciare i salari al pavimento), anziché

essere intesa come obiettivo da perseguirsi anche a prezzo di un aumento del costo del lavoro.

Forse Nitti intravede il problema. La sua simpatia per L'economia degli alti salari (è il titolo del

noto saggio del 1895) e la sua propensione a separare la "produzione" dalla "distribuzione" gli spalanca

la strada per farsi paladino della politica sociale interna ("distribuzione") e, al contempo, nemico della

legislazione doganale internazionale ("circolazione della ricchezza"45) in una prospettiva che sarebbe

stata colta da Augusto Graziani, tra i primi e con grande lucidità nell'articolo dedicato a Libero scambio

e legislazione sociale (1904). La polemica è ancora contro i liberisti e contro la tesi secondo cui il

libero scambio farebbe soccombere il paese che praticasse una "politica legislativa di carattere

sociale"46, la quale, dunque, avrebbe bisogno di essere affiancata da opportuni interventi da carattere

protezionistico. In realtà, agli occhi di Graziani sarebbe vero il contrario, ossia non esisterebbe alcun

conflitto tra libero scambio e legislazione sociale la quale infatti, avendo l'effetto di "rinvigorire il

lavoratore e di aumentarne la forza e la volontà"47, farebbe vincere il paese che la praticasse48.

42 Così Murray, 1913, pp. 205-206. 43 Di Spencer cfr., in particolare: The Data of Ethics, 1879. 44 È l'impressione che si ricava dalla lettura del saggio devitiano dedicato a: La fallaciadi una legislazione internazionale limitatrice del lavoro, 1890. 45 "Bisogna modificare radicalmente il nostro sistema di dazi, di dogane, di imposte vessatorie". Così si esprimeva Nitti nel commentare Le sommosse di ieri e le repressioni dell'oggi, 1898, p. 554. 46 Cfr. Graziani, 1904, p. 283. 47 Ibidem, p. 285.

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15. - Economia - scienza triste?

L'economia di Nitti presenta, dunque, connotati di speranza che raccomandano quantomeno di

metterla alla prova sul terreno della sua concreta applicazione e la discostano da quella "scienza" che

Thomas Carlyle condannava a essere "triste", perché condannava la povera gente a essere povera. Né

essa è così astrusa da non poter "godere del favore presso il popolo", perché gli articoli di scienza

possono essere fatti "in modo da interessare anche chi non è cultore di scienza [...].Voi sapete meglio di

me, caro amico - scrive Nitti a Colajanni -, che tutte le cose si possono dire in tal forma da renderle

accessibili a tutti"49.

Persino da questo punto di vista, si noti la diversa convinzione di Nitti, discendente di una "famiglia

di piccola borghesia meridionale"50, e quella invece radicata nell'atteggiamento aristocratico degli

economisti di parte liberista, che trovano mille "ragioni per le quali l'economia politica ha perduto il

favore presso il pubblico"51 e il fenomeno sarebbe destinato ad aggravarsi con l'allargamento

dell'elettorato attivo, "perché lo sviluppo della democrazia ha rimesso la preparazione dei mezzi, le

decisioni da prendersi e le finalità da raggiungere nelle mani di masse sempre meno colte e

intelligenti".

Così scrive Pantaleoni52, che certo non si riconosce nelle "masse sempre meno colte e intelligenti"

("le grossolanità di esse lo irritavano")53, legato come è a quella borghesia "che è la parte dell'umanità

48 Per una più ampia analisi delle diverse posizioni in tema di protezionismo interno e scambi internazionali mi si consenta di rinviare alle mie Note in tema di politica sociale, protezionismo interno e scambi internazionali, 1991. 49 Il brano è tratto da una lettera-circolare del 28 febbraio 1894 con la quale Nitti presenta il progetto della sua nuova rivista e invita alla collaborazione.

50 Così Barbagallo, 1984, p. 6. 51 La frase virgolettata evoca il titolo di una antica memoria paretiana: Perché l'economia politica non gode favore presso il pubblico? (3 febbraio 1889). È un tema caro agli economisti di scuola liberale. Ricordo l'attenzione che ad esso dedica Pantaleoni nel saggio Una visione cinematografica del progresso della scienza economica (J 870- J 907), 1907, par. 6, p. 196. Ricordo anche la recensione dell'opera di Pigou che Einaudi scrive per La riforma sociale del gennaio-febbraio 1930 sotto un titolo che riecheggia quello dell'antica memoria paretiana: Perché la scienza economica non è popolare.

52 Le frasi virgolettate sono in Una visione cinematografica del progresso della scienza economica, 1907, par. 6, p. 196. 53 Così Cabiati, Maffeo Pantaleoni, 1924, p. 782.

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alla quale egli non può [fare] a meno di appartenere”54, cioè quella borghesia di cui era parte la sua

stessa famiglia e che, con Cavour, aveva fatto l'Italia e l'aveva voluta liberale55.

Né vi si sarebbe potuto riconoscere Ugo Mazzola, erede di ricchi mercanti napoletani, e neanche il

marchese Antonio de Viti de Marco nè Vilfredo Pareto, anch'egli marchese, "figlio di Raffaele Pareto,

nipote di Domenico Pareto, già ministro plenipotenziario del Re di Sardegna a Roma e a

Costantinopoli, cugino di Lorenzo Pareto, senatore e ministro del Re, cugino dello arcivescovo di

Genova, etc., etc ."56. 16. - Squilibri regionali e intervento pubblico

La diversità tra i due diversi modi di guardare alla diseguaglianza tra le persone, quello di Nitti da

una parte e quello di un Pantaleoni o di un de Viti de Marco dall'altra, riaffiorano in termini per molti

versi analoghi a proposito della questione meridionale, delle disparità regionali e del ruolo da assegnare

a questo riguardo alla finanza pubblica.

Converrà dunque accennare alle diverse diagnosi e ricette degli uni e degli altri, avendo come

riferimento d'obbligo gli scritti seminali di Pantaleoni sulla ricchezza privata in Italia57 e la monografia

che Nitti pubblica nel 1900 con il titolo Nord e Sud.

Non interessa qui sapere quanto affidabili possano essere stati i risultati dell'uno e dell'altro né il

perché essi fossero così differenti tra di loro58. Importa, invece, far notare la diversa interpretazione di

Nitti, de Viti de Marco e Pantaleoni a proposito degli squilibri economici regionali, delle sperequazioni

54 Così Pantaleoni scrive di sé stesso in terza persona nella lettera a Pareto del 17 ottobre 1907.

55 La madre è lane Isabella Massy Dawson, di nobile famiglia irlandese. Il padre è Diomede, medico di antica famiglia maceratese, discepolo di Francesco Puccinotti, umanista, storico e politico, amico e confidente di Gioberti, Cavour e D'Azeglio . 56 È lo stesso Pareto a ricordarlo a Pantaleoni in una lettera del 21 luglio 1897. Fonte: Pareto, 1960. 57 Cfr. Pantaleoni, Dell'ammontare probabile della ricchezza privata in Italia, 1884; Pantaleoni, Dell'ammontare probabile della ricchezza privata in Italia dal 1872 al 1889, 1890; Pantaleoni, Delle regioni d'Italia in ordine alla loro ricchezza ed al loro carico tributario, 1891. In particolare quest'ultimo saggio solleva il problema della sperequazione tributaria. di cui soffrirebbe il Mezzogiorno e mostra che essa "grava principalmente sulle province napoletane (relativamente meno ricche) e non già sulla Sicilia (relativamente più ricca) [...]. La sperequazione più leggera di cui è oggetto l'Italia centrale concerne in varia misura tutte le sue regioni". 58 I risultati di Nitti sono diversi da quelli che Pantaleoni aveva ottenuto nove anni prima. In particolare, la discriminazione a danno del Mezzogiorno risulterebbe sottostimata, se non si considerassero anche le spese pubbliche accanto alle entrate tributarie. Così facendo si troverebbe che "sono quasi tutte nel Mezzogiorno d'Italia le regioni che non solo danno [di più], proporzionalmente alla loro ricchezza, ma quelle che ricevono meno in paragone di ciò che danno" (Ivi, p. 83).

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territoriali della finanza pubblica e della loro valutazione politica: il tema è quello dei criteri cui

affidarsi per distribuire le entrate e le spese pubbliche tra le regioni59.

17. - La distribuzione regionale delle entrate e delle spese pubbliche: Pantaleoni

E cominciamo col dire che Pantaleoni non è disposto ad accettare come obiettivo per sè la

eguaglianza o, più genericamente, l'equità nella distribuzione regionale delle imposte e delle spese

pubbliche. Quale che siano le conseguenze sotto il profilo della eguaglianza, a lui preme che la

localizzazione delle entrate e delle spese pubbliche obbedisca esclusivamente agli interessi generali

del1'intero paese senza riguardo ad alcun interesse localistico e secondo quanto sancito dall'art. 41 dello

Statuto, per il quale deve essere appunto "negato ogni riconoscimento a distinzioni di classi e a interessi

regionali"60.

Sul versante delle entrate, il naturale corollario sarà un sistema tributario proporzionale, perché

neutrale (del tutto impersonale) rispetto alla posizione che ciascuno occupa nella scala dei redditi61. Sul

versante della spesa, la regola è, invece, "l'incremento massimo possibile del benessere totale e non già

una diffusione, per quanto può dirsi eguale, del benessere tra le varie regioni di ciascuno stato, a meno

che essa non sia una condizione di quello e perciò rientri nel postulato di un massimo benessere

totale"62.

Può essere interessante notare che queste osservazioni, che risalgono al 189163, saranno ribadite

molti anni più tardi in una nota inserita nel Contributo allo teoria del riparto delle spese pubbliche, in

59 Le diverse posizioni di Nitti e di de Viti de Marco sul meridionalismo sono ampiamente presentate in Cardini, Antonio de Viti de Marco, 1985, pp. 133 ss.

60 Cfr. Pantaleoni, Delle regioni d'Italia in ordine alla loro ricchezza ed alloro carico tributario, 1891, pp. 222-223. L'articolo 41 dello Statuto dichiara che "il principio supremo della politica interna è legalmente in Italia quello del massimo benessere totale (con ignoranza del1'interesse regionale)". 61 Ibidem. 62 Il brano prosegue con considerazioni molto interessanti che meritano di essere riportate per esteso: "l'unione in uno stato solo può portare vantaggi netti a tutte le regioni consorziate, eguali o diversi, come può pure portare vantaggi a talune soltanto, senza danni per le altre, o con danni ad esse [...]. I porti, le strade, i canali si creano e si perfezionano dallo stato dove sono maggiormente utili alla nazione, come se si trattasse di un tutto privo di parti aventi una vitalità propria e distinta [...]. E i sacrifici di interessi regionali, per quello che appare come un bene pubblico, possono essere gravissimi" (ivi, pp. 218-220, corsivo mio). 63 Cfr. Pantaleoni, 1891.

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occasione della sua ristampa sulla prima serie (1904) degli Scritti varii di economia64. La nota è messa

lì quasi che Pantaleoni volesse prendere l'occasione per ribadire la sua contrarietà alle idee che Nitti

aveva appena presentato nel Bilancio dello Stato dal 1861 al 1896-97 e nell'opuscolo Nord e Sud

(apparsi entrambi nel 1900).

18. - Segue: Nitti

Veniamo dunque a Nitti. La sua idea, del tutto rovesciata rispetto a quella di Pantaleoni, è che occorra

andare verso una maggiore eguaglianza e da questo punto di vista il bilancio pubblico si presterebbe ad

essere lo strumento più idoneo per una doverosa politica redistributiva capace di correggere le

sperequazioni economiche e fiscali di cui soffriva il Mezzogiorno65.

Di fatti Nitti si fa propugnatore di un intervento attivo dello stato, vuole che alla finanza pubblica

siano affidati compiti di redistribuzione e di riequilibrio territoriale, raccomanda che questi siano

perseguiti con opportune politiche sul versante della spesa, ritiene che il rimedio stia soprattutto

nell'avviare un processo di industrializzazione del Mezzogiorno, scommette sullo sviluppo industriale

del paese e sul ruolo propulsivo dello stato.

All'alba del nuovo secolo, cerca una soluzione tecnica che abbia il pregio di essere "idonea a un

paese povero di ferro e di carbone (anzi tra i più poveri d'Europa)" e che sia capace di adattarsi alle

"forme di produzione ancora prevalenti". L'idea è di abbandonare il vapore e di rivolgersi alle

potenzialità delle risorse idriche, affrancandole da un sistema privato soffocante.

Di qui la proposta di nazionalizzazione del settore idroelettrico. Nitti la prospetta nel saggio del

1905 su La conquista della forza66 e Bresciani-Turroni la ripropone 1'anno dopo (nel marzo 1906)67

64 Cfr. Pantaleoni, Contributo alla teoria del riparto delle spese pubbliche, 1883, pp. 12 15, nota 1: "È cadere in una iperdeterminazione del problema dire: la spesa s'ha da fare in modo da consentire il massimo effetto compatibile con il suo ammontare, e aggiungervi: ma s'ha da fare qua e non là, in questo tempo e non in quel tempo, anzi, s'ha da fare in modo che resti disseminata ovunque in proporzione ai contributi versati e disseminata nel tempo pure in proporzione delle epoche di versamento". 65 Non vado oltre se non per registrare il dissenso dello stesso Graziani, che aveva bene in mente la lezione di Pantaleoni e la ricordava a Loria il 22 giugno 1900: "Che dici del libro di Nitti? [Bilancio dello stato dal 1861 al 1896-97]: A parte l'utilità di certi dati di statistica finanziaria, mi pare che la tesi non sia dimostrata; poi, per me, il problema è mal posto, poiché non si può confrontare quanto una provincia paga per imposte e quanto riceve, dacché le spese debbono farsi dove è utile alla collettività e, se fosse utile, anche potrebbero concentrarsi tutte in un punto del territorio" (fonte: Allocati, a cura di, 1990, pp. 20-21). 66 Nitti (La conquista della forza, 1905) inquadra la sua proposta di nazionalizzazione in una regola generale, secondo la quale occorre rivolgersi all'iniziativa dello stato tutte le volte che l'attività dei privati fosse

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con nuovi argomenti.

19. - Segue: Bresciani-Turroni

In particolare, Bresciani-Turroni parte dai risultati delle sue ricerche empiriche secondo cui i divari

regionali tenderebbero sistematicamente ad ampliarsi tanto che "una volta stabilita la supremazia

economica delle regioni industriali, questa ha una tendenza immanente a perdurare e ad accentuarsi,

mentre le condizioni economiche delle regioni agricole vieppiù si deprimono"68.

Se queste sono le tendenze, vi sarebbe una ragione in più per nazionalizzare l'industria idroelettrica,

la quale,

"rivoluzionando le basi tecniche della produzione, porterebbe forse a uno sviluppo notevole dell'industria in alcune regioni del Mezzogiorno d'Italia e diminuirebbe le diversità di condizioni economiche tra queste e il Nord"69.

Converrà sottolineare che, in questo modo, Bresciani-Turroni anticipa di alcuni decenni la teoria della

causazione cumulativa della ricchezza e della povertà e nega l'efficacia (quando non l'esistenza) di

meccanismi spontanei di riequilibrio, anche territoriale, riconducibili a schemi concorrenziali, che

perciò non meriterebbero la fiducia che vi riponevano quei liberisti impegnati a mostrare, anche sotto

questo profilo, i danni del protezionismo internazionale e a rimuoverli.

20. – Squilibri regionali e protezionismo internazionale: la ricetta del libero scambio

insufficiente o pericolosa. Sarebbe questo il caso dell'industria idroelettrica, perché "l'appropriazione di forze idrauliche da parte dei privati non si svolge senza danno, distruggendo con l'azione disordinata masse ingenti di forza, [sicché] il più grande vantaggio non può essere ottenuto se non sostituendo l'azione collettiva a quella individuale manchevole. Che la sostituzione su larga scala della elettricità al vapore sia anche in Italia impossibile, date le forme attuali, è evidente. [...] L'energia derivata dalle cadute di acqua è proprietà della nazione intera; sostituirà un giorno completamente o quasi il vapore; acquisterà un valore sempre più grande. Non essendo prodotta da alcun lavoro e l'opera di appropriazione essendo relativamente semplice, tutte le forme di concessione, quando vincolino l'avvenire del paese, sono da ritenersi come condannevoli. Ciò che occorre è nazionalizzare l'energia idroelettrica; come l'acqua dei laghi e dei fiumi è proprietà collettiva, la forza da essi prodotta non può essere appropriata a benefizio privato". 67 Lo scritto è: Distribuzione della ricchezza fra regioni industriali e regioni agricole in alcuni stati, 1906. 68 Cfr. Bresciani-Turroni, 1906, pp. 241-242: "Le differenze economiche fra regione e regione, piccole dapprima, sono andate in tutti gli stati continuamente accrescendosi, pari passo con 1'evolversi dell'economia capitalistica". 69 lbidem, p. 242.

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Tra questi vi è de Viti de Marco. Difatti, il fervente meridionalista (ma vicino a Gaetano Salvemini e

a Giustino Fortunato più di quanto non si sentisse in sintonia con Nitti), nel guardare alla arretratezza del

Mezzogiorno e nel cercare di capire i modi per farvi fronte, è soprattutto interessato a che siano rimossi

gli ostacoli di natura protezionistica e fiscale, chiede di eliminare ogni retaggio della tariffa del 1887 e

del blocco tra "industriali del Nord e latifondisti del Sud", reclama sgravi fiscali e tariffari e vuole

trattati internazionali di commercio il più possibile liberali.

Analogamente, Pantaleoni insiste sui danni della tariffa doganale del 1887, sull'impoverimento

delle regioni più deboli, sulle disastrose conseguenze patite dalle colture meridionali degli agrumi,

della vite e dell'ulivo. Egli capisce che il protezionismo, riducendo le importazioni, riduce del pari le

esportazioni, e perciò distrugge ricchezza; vede che i settori protetti si distribuiscono sul territorio in

modo non sincronizzato con i settori danneggiati; in questo modo, è in grado di ricondurre anche gli

squilibri regionali interni alle responsabilità del protezionismo internazionale e da ciò può far

discendere rimedi strettamente consequenziali.

21. - Nitti contro le semplificazioni dei libero-scambisti

Sono queste, con sfumature diverse, le idee e le ricette che daranno luogo a quelle semplificazioni

del liberismo outré di cui Bresciani-Turroni diffida, che Colajanni, neo-protezionista e antico

meridionalista, non vuole proprio accettare70 e delle quali Nitti non sa davvero cosa fare, che anzi

ridicolizza, riferendosi esplicitamente al siciliano di adozione Visconte Combes de Lèstrade e a Pareto,

ma anche (più in generale) a tutti quanti i liberisti, accusati di non sapere accettare altro fuorché

"una sola soluzione: il libero scambio, soluzione che egli [De Lèstrade] afferma émise pour la première fois par des économistes. Basterà creare l'indipendenza doganale della Sicilia e darle la libertà commerciale perché tutti i mali presenti cessino di un tratto. Ahimè! Da Aristotele in qua la scienza sociale non sarebbe che un vaneggiamento, poiché tutto, in conclusione delle conclusioni, si riduce a un rimedio negativo: non fare nulla. Anche di recente l'ingegnere Pareto (o delizie della ofelimità!), con quella violenza di linguaggio che gli è abituale, discutendo il progetto Crispi sulla Sicilia, affermava nel Giornale degli economisti (settembre 1894, p. 303) che basterebbe dare il libero cambio alla Sicilia per farla prosperare e far sparire i mali presenti. Come il libero [s]cambio possa agire sulla divisione delle classi sociali e influenzare profondamente i fenomeni della distribuzione, come possa soprattutto agire nel senso di una più equa distribuzione dei prodotti del suolo e dare ai contratti agrari una base diversa, è cosa che difficilmente si riesce a

70 Cfr. Colajanni, L'utopia liberista (Far male al Nord senza arrecare del bene al Sud!), 1903.

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penetrare persino da chi è sostenitore convinto della libertà doganale. Anche la Turchia è paese di libero cambio e io non oserei giungere [a sostenere] che, nelle campagne dell' interno, i rapporti economici siano migliori e più equi che in Sicilia. A tutti questi empirici che vivono, come i santoni maomettani, di poche formule, a tutti questi empirici, i quali battezzano per utopia ogni tentativo audace e non sanno e non intendono e non sentono che una sola cosa, bisogna ripetere ciò che Amleto diceva a Horatio: Vi sono, o Horatio, sopra la terra e sotto il cielo tante cose che la tua filosofia non può sognare" 71. 22. - Sintesi e conclusioni

Riassumo e concludo. Le tesi e le ricette dei liberisti che guardavano al marginalismo di Jevons,

Menger e Walras e quelle degli storicisti di ispirazione germanofila à la Lampertico, Scialoja, Cossa e

Luzzatti erano indubbiamente diverse, anzi inconciliabili come lo era il loro modo di concepire la

scienza economica e il metodo più adeguato per esplorarne le leggi.

Quanto a Nitti, egli è uno studioso che senza dubbio è più dalla parte degli storicisti che dei teorici

liberisti. E tuttavia la sua sensibilità nei riguardi della situazione concreta del paese, la capacità di

suggerire interventi di politica economica nuovi e persino eterodossi, il saper cogliere e documentare le

ragioni perché fosse tempo ormai di superare la concezione liberale dello stato ottocentesco, la

proposta di uno stato nuovo al quale affidare compiti e competenze nuove che lo rendessero capace di

intervenire attivamente nell'economia, tutto ciò colloca Nitti in una singolare posizione di piena

autonomia tra gli studiosi del suo tempo.

Di fatti, come del resto ho cercato di spiegare in questa relazione, Nitti non è vicino al liberismo

esasperato di un Pantaleoni o di un Pareto che credevano nelle teorie, volevano servirsene per capirne

di più, ma stentavano a ricondurvi una realtà concreta che scorreva via come fosse un flusso di un

coacervo disordinato di cose che passano apparentemente alla rinfusa. Credo però che faremmo

egualmente torto a Nitti se lo collocassimo all'altro estremo, nell'alveo dello storicismo in senso stretto.

Aveva infatti ciò che gli storicisti non avevano, ossia aveva qualche cosa in più rispetto all'interesse per

la mera osservazione di fatti ritenuti meritevoli di essere visti e descritti. In realtà era un politico

militante capace di fare e insieme capace di illuminare le ragioni del suo fare in perfetta coerenza con la

visione della scienza economica da lui professata e del paese da lui vissuto.

Forse vi sarebbe un poco di forzatura, ma le cose che ho cercato di esporre in questa relazione mi

incoraggiano a immaginare che potrebbe non essere esageratamente fuori luogo dire anche di Nitti

71 Cfr. Nitti, Recensione del libro di Combes De Lestrade, "La Sicilie sous la monarchie de Savoie", 1894, p. 308. Il riferimento è alla proposta di Pareto, che aveva scritto nella Cronaca del Giornale del settembre 1894, p. 303: "Alla Sicilia si provi di dare il libero cambio".

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quanto Plinio il Giovane scriveva a Tacito a proposito di Plinio il Vecchio: "sono beati coloro ai quali,

per dono degli dei, fu concesso o di compiere fatti degni di essere scritti o di scrivere fatti degni di

essere letti, ma beatissimi coloro ai quali furono concesse entrambe le cose".

OPERE CITATE

ALLOCATI Antonio, a cura di, 1990, Carteggio Loria-Graziani (1888-1943), Ministero per i Beni culturali e ambientali - Pubblicazioni degli Archivi di stato, Fonti XI, Roma. BARBAGALLO Francesco, 1984, Francesco Saverio Nitti, Utet, Torino. BOCCIARELLI Rossella e CIOCCA PierLuigi, a cura di, 1994, Scrittori italiani di economia, Laterza, Bari. BRESCIANI-TURRONI Costantino, 1906, La distribuzione della ricchezza fra regioni industriali e regioni agricole in alcuni stati, in “Giornale degli economisti”, serie seconda, anno XVII, vol. XXXII, marzo, pp. 229-243 (cui si riferiscono le citazioni). Ristampato in BRESCIANI-TURRONI C., 1961, pp. 165-178. BRESCIANI-TURRONI Costantino, 1961, Saggi di economia, Giuffré, Milano. COLAJANNI Napoleone, 1903, L’utopia liberista (far male al Nord senza far bene al Sud), in “Rivista popolare di politica, lettere e scienze sociali”, 15 agosto e 30 agosto. COLAJANNI Napoleone, 1911, Il monopolio delle assicurazioni, in “Rivista popolare di politica, lettere e scienze sociali”, n. 11, 25 giugno, p. 282.

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ELENCO DEI QUADERNI DEL DIPARTIMENTO DI ECONOMIA PUBBLICA E TERRITORIALE PUBBLICATI n. 1/2008 Italo Magnani, Il pubblico e il privato nella economia della città n. 2/2008 Italo Magnani, Note a margine di una recente opera sull'indirizzo sociologico della

scienza delle finanze italiana n. 3/2008 Italo Magnani, La riforma sociale nella formazione di Nitti economista

********** n. 1/2006 Italo Magnani, Città. L’intreccio pubblico-privato nella formazione dell’ordine

sociale spontaneo

********** n. 1/2005 Paola Salardi, How much of Brazilian Inequality can be explained? n. 2/2005 Italo Magnani, Economisti Campani: a proposito della pubblicazione di due inediti

di Carlo Antonio Broggia n. 3/2005 Italo Magnani, Ricordo del Professor Giannino Parravicini n. 4/2005 Italo Magnani, A proposito degli “Studi in onore di Mario Talamona”

********** n. 1/2004 Italo Magnani, Il “Paretaio” n. 2/2004 Italo Magnani, L’economia di Luigi Einaudi: ovvero la virtù del buon senso n. 3/2004 Marisa Bottiroli Civardi e Enrica Chiappero Martinetti, Povertà between and within groups: a reformulation of the FGT class of index n. 4/2004 Marco Missaglia, Demand policies for long run growth: being Keynesian both in the

short and in the long run? n. 5/2004 Andrea Zatti, La tariffazione dei parcheggi come strumento di gestione della

mobilità urbana: alcuni aspetti critici

********** n. 1/2003 Giorgio Panella, La gestione delle aree protette: il finanziamento dei parchi regionali n. 2/2003 Marco Stella, A Ban on Child Labour: the Basu and Van’s Model Applied to the Indian “Carpet-Belt” Industry n. 3/2003 Marco Missaglia e Paul de Boer, Employment programs in Palesatine: food-for-work or cash-for-work?

Giugno, 2008