la storia di ibn khaldūn - a. cangialosi (storia della filosofia medievale)

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Storia della Filosofia Medievale CdL Filosofia AA 2010-11 Elaborato di Andrea Cangialosi La storia di Ibn Khaldūn «Tra i numerosi esponenti della cultura arabo-musulmana che meritano di essere maggiormen- te conosciuti e apprezzati […] Ibn Khaldūn è forse il principale». Ho voluto principiare con questa lapidaria e lusinghiera affermazione di Paolo Branca, che si trova all'incipit de “Il mondo della storia secondo Ibn Khaldūn” 1 , per invocare la meritata attenzione sulle vicende dell'autore e delle sue opere. Al di là dei raffronti possibili con personalità, a noi occi- dentali, più vicine come Machiavelli, Vico e Montesquieu, l'unicità di Ibn Khaldūn si ritrova nei ri- svolti più tormentati e travagliati del suo vissuto, nonché nella sua vasta opera principale: il Kitab al-‘ibar. Ne tenterò qui una concisa — spero non concitata — ricognizione, soffermandomi su alcuni aspetti, tacendone mio malgrado molti altri. Il contesto storico Il periodo in cui visse Ibn Khaldūn è il quattordicesimo, epoca in cui l'Africa settentrionale versa- va in un periodo di transizione fra la dominazione almohade agonizzante e la conquista ottomana dei secoli successivi. Gli Almohadi (al-Muwaḥḥiddūn) che aveva unificato il Nord Africa — odierna Tunisia e Marocco - e la Spagna e che avevano dato vita a una civiltà fiorente, aperta alle influenze andaluse. Proprio sotto il loro califfato vissero due importanti filosofi arabi: Ibn Ṭufayl (fra i latini, Abubacer) e Ibn Rushd (Averroè). Tramontata questa dinastia, per tre secoli i resti dell'impero al- mohade — i tre regni in cui venne frazionato — vissero una profonda crisi politica. Infatti, tre rivali di- nastie berbere (Abdelwadidi, Hasfidi, Marinidi), tentarono senza successo di ricostruirne l'impero, e il suo modello, dei predecessori: non solo queste erano in concorrenza fra loro, ma subivano l'in- subordinazione interna di diverse tribù che non riconoscevano l'autorità. Durante il regno degli Hasfidi, già governatori dell'Ifrīqiya sotto gli Almohadi, Tunisi divenne un'importante capitale del Mediterraneo, al centro di un'intensa attività commerciale col l'Oriente per via terrestre e marittima e con l'Europa cristiana — Venezia, Pisa, Genova, Firenze e vari porti francesi. La dinastia hafside riuscì a esercitare il controllo della regione per tre secoli e mezzo. Tunisia, Marocco, Spagna, Egitto: Ibn Khaldūn attraversò e visse tutti gli ambienti delle principali corti, in alterne fortuna e disgrazia, durante il corso della sua vita irrequieta e peregrina, designato ad incarichi in svariati ambiti (politica, diritto e insegnamento). La vita Ibn Khaldūn nacque a Tunisi il primo giorno del mese di ramaḍān dell'anno musulmano 732, corrispondente al 27 maggio 1332 dell'era cristiana. La fonte principale per la conoscenza della vita è la sua stessa autobiografia. I suoi antenati, in seguito alla conquista cattolica, abbandonaro- no l'Andalusia per il Nord Africa: legati agli Hafsidi, ricoprirono prestigiose cariche pubbliche, dive- nendo parte dell'élite che si formò all'interno di queste nuove società. Khaldūn ricevette un'accurata formazione intellettuale nel campo delle discipline tradizionali, es- senzialmente nello studio della lingua araba, del Corano, della sunna (la Tradizione del Profeta) e del diritto. Con il gruppo di studiosi al seguito del sultano marinide conquistatore (nella breve pa- rentesi durata fino alla restaurazione hafside del 1349), allora quindicenne ebbe modo di integrare 1 Turroni, Giuliana, Il mondo della storia secondo Ibn Khaldūn, Jouvence 2003 (d'ora in poi “M”), p. 9.

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«Tra i numerosi esponenti della cultura arabo-musulmana che meritano di essere maggiormente conosciuti e apprezzati […] Ibn Khaldūn è forse il principale».Ho voluto principiare con questa lapidaria e lusinghiera affermazione di Paolo Branca, che si trova all'incipit de “Il mondo della storia secondo Ibn Khaldūn”, per invocare la meritata attenzione sulle vicende dell'autore e delle sue opere. Al di là dei raffronti possibili con personalità, a noi occidentali, più vicine come Machiavelli, Vico e Montesquieu, l'unicità di Ibn Khaldūn si ritrova nei risvolti più tormentati e travagliati del suo vissuto, nonché nella sua vasta opera principale: il Kitab al-‘ibar.Ne tenterò qui una concisa — spero non concitata — ricognizione, soffermandomi su alcuni aspetti, tacendone mio malgrado molti altri.

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Page 1: La storia di Ibn Khaldūn - A. Cangialosi (Storia della Filosofia Medievale)

Storia della Filosofia MedievaleCdL FilosofiaAA 2010-11

Elaborato diAndrea Cangialosi

La storia di Ibn Khaldūn

«Tra i numerosi esponenti della cultura arabo-musulmana che meritano di essere maggiormen-te conosciuti e apprezzati […] Ibn Khaldūn è forse il principale».

Ho voluto principiare con questa lapidaria e lusinghiera affermazione di Paolo Branca, che si trova all'incipit de “Il mondo della storia secondo Ibn Khaldūn”1, per invocare la meritata attenzione sulle vicende dell'autore e delle sue opere. Al di là dei raffronti possibili con personalità, a noi occi-dentali, più vicine come Machiavelli, Vico e Montesquieu, l'unicità di Ibn Khaldūn si ritrova nei ri-svolti più tormentati e travagliati del suo vissuto, nonché nella sua vasta opera principale: il Kitab al-‘ibar.

Ne tenterò qui una concisa — spero non concitata — ricognizione, soffermandomi su alcuni aspetti, tacendone mio malgrado molti altri.

Il contesto storicoIl periodo in cui visse Ibn Khaldūn è il quattordicesimo, epoca in cui l'Africa settentrionale versa-

va in un periodo di transizione fra la dominazione almohade agonizzante e la conquista ottomana dei secoli successivi. Gli Almohadi (al-Muwaḥḥiddūn) che aveva unificato il Nord Africa — odierna Tunisia e Marocco - e la Spagna e che avevano dato vita a una civiltà fiorente, aperta alle influenze andaluse. Proprio sotto il loro califfato vissero due importanti filosofi arabi: Ibn Ṭufayl (fra i latini, Abubacer) e Ibn Rushd (Averroè). Tramontata questa dinastia, per tre secoli i resti dell'impero al-mohade — i tre regni in cui venne frazionato — vissero una profonda crisi politica. Infatti, tre rivali di-nastie berbere (‘Abdelwadidi, Hasfidi, Marinidi), tentarono senza successo di ricostruirne l'impero, e il suo modello, dei predecessori: non solo queste erano in concorrenza fra loro, ma subivano l'in-subordinazione interna di diverse tribù che non riconoscevano l'autorità.

Durante il regno degli Hasfidi, già governatori dell'Ifrīqiya sotto gli Almohadi, Tunisi divenne un'importante capitale del Mediterraneo, al centro di un'intensa attività commerciale col l'Oriente per via terrestre e marittima e con l'Europa cristiana — Venezia, Pisa, Genova, Firenze e vari porti francesi. La dinastia hafside riuscì a esercitare il controllo della regione per tre secoli e mezzo.

Tunisia, Marocco, Spagna, Egitto: Ibn Khaldūn attraversò e visse tutti gli ambienti delle principali corti, in alterne fortuna e disgrazia, durante il corso della sua vita irrequieta e peregrina, designato ad incarichi in svariati ambiti (politica, diritto e insegnamento).

La vitaIbn Khaldūn nacque a Tunisi il primo giorno del mese di ramaḍān dell'anno musulmano 732,

corrispondente al 27 maggio 1332 dell'era cristiana. La fonte principale per la conoscenza della vita è la sua stessa autobiografia. I suoi antenati, in seguito alla conquista cattolica, abbandonaro-no l'Andalusia per il Nord Africa: legati agli Hafsidi, ricoprirono prestigiose cariche pubbliche, dive-nendo parte dell'élite che si formò all'interno di queste nuove società.

Khaldūn ricevette un'accurata formazione intellettuale nel campo delle discipline tradizionali, es-senzialmente nello studio della lingua araba, del Corano, della sunna (la Tradizione del Profeta) e del diritto. Con il gruppo di studiosi al seguito del sultano marinide conquistatore (nella breve pa-rentesi durata fino alla restaurazione hafside del 1349), allora quindicenne ebbe modo di integrare

1 Turroni, Giuliana, Il mondo della storia secondo Ibn Khaldūn, Jouvence 2003 (d'ora in poi “M”), p. 9.

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le sue conoscenze con lo studio della logica, della filosofia e delle scienze matematiche.Iniziata una carriera pubblica tanto prestigiosa quanto travagliata, prima di aver compiuto ven-

t'anni era già segretario del sultano hafside di Tunisi. Dovette poi passare alla rivale potenza mari-nide, venne imprigionato per due anni, a causa di sospetta cospirazione, e liberato, alla morte dello stesso sultano Abū ‘Inān che aveva servito. Il nuovo sultano marinide lo nominò suo segretario per-sonale e incaricato ad esercitare il maẓālim2.

Morto anche questo sultano, si trasferì a Granada, presso l'ultima delle grandi dinastie mussul-mane dei Nasridi. Gli furono offerti diversi incarichi di prestigio, fra i quali una missione diplomatica a Siviglia presso il re Pietro di Castiglia, che permise un contatto con la cristianità. A seguito di in-comprensioni, dovette far ritorno in Nord Africa, dove fu costretto a trasferirsi di città in città inse-guendo invano la fortuna politica per nove anni.

Sotto la protezione di una tribù araba, visse in ritiro per quattro anni, iniziando la redazione del Kitab al-‘ibar, di cui completò l'Introduzione: la Muqaddima. Alla ricerca di documentazione si tra-sferì nella città natale, che dovette lasciare nuovamente a causa di nuove rivalità col potere.

Lasciato l'Occidente musulmano e si trasferì al Cairo, allora capitale di un grande regno gover-nato dai Mamelucchi. Ivi ricoprì alte cariche a fase alterne, intercalando periodi di insegnamento e viaggi nell'Oriente arabo.

Minacciata dall'offensiva di Tamerlano (Tīmūr Lank), Damasco venne infelicemente difesa dal sultano: Ibn Khaldūn venne inviato in missione diplomatica ad incontrare personalmente il condot-tiero, conquistatore di un impero che andava dall'Anatolia all'India.

Ibn Khaldūn, all'età di settantatré anni, morì al Cairo nel 1406.

Le opereTestimonianze3 riferiscono che Ibn Khaldūn, prima dei trent'anni, si fosse dedicato al commento

di diversi poemi, nonché ad opere originali come scritti di logica e aritmetica; l'unica che ci è perve-nuta non è fra queste: il Nòcciolo della Summa sui fondamenti della religione (Lubāb al-muḥaṣṣal fī uṣūl ad-dīn) in riferimento a quella di Fakhr ad-Dīn ar-Rāzī4.

Successivamente, tra il 1373 e il 1375, scrisse un'opera sul sufismo, la cosiddetta mistica mu-sulmana, intitolata La soddisfazione di chi domanda circa la soluzione delle questioni (Shifā‘ as-sā‘ il li-tahadhīb al-masā‘ il), inerente ai tre gradi dell'ascesi mistica.

Iniziò il suo penultimo lavoro negli anni del ritiro (1375-78), concludendone una prima stesura a Tunisi (1382): il Libro degli esempi (Kitāb al-‘ibar), che continuò a rivedere, completare e corregge-re fino in punto di morte. Questo Kitāb è suddiviso in tre parti: Muqaddima, la prima, un'introduzio-ne sul metodo storiografico e altre riflessioni — sulla storia, sulla politica e su altre componenti della civiltà; la seconda, avente per oggetto la storia degli Arabi e di altri popoli — in particolare Turchi e Persiani; l'ultima, frutto della profonda conoscenza del Maghreb da parte di Khaldūn, è data dalla compilazione di fonti di prima mano.

Il titolo completo dell'opera è in rima e potrebbe essere tradotto come «Libro degli esempi istrut-tivi e raccolta [di notizie] sull'origine e vicende degli Arabi, degli stranieri, dei Berberi e dei maggiori potentati loro contemporanei», ne rivela l'ampiezza della portata e la profondità.

Infine, La descrizione [della vita] di Ibn Khaldūn e il suo viaggio in Occidente e in Oriente, è l'au-tobiografia aggiornata sino all'anno antecedente al suo ultimo di vita.5

La concezione storiograficaL'opera di Ibn Khaldūn contiene una sezione introduttiva dedicata interamente al problema sto-

riografico, problema che l'autore intreccia continuamente con la sua concezione della storia. In questa parte metodologica dà una definizione della sua nozione di storiografia, in contrapposizione

2 Importante settore di amministrazione della giustizia, il cui preposto decideva con piena discrezionalità sulla riparazione dei torti commessi dalle pubbliche amministrazioni. (M, p. 31)

3 Ibn al-Katīb scrive in proposito nella sua Storia di Granada. (M, p. 34)4 Esegeta, redige un commento del Corano intitolato Le chiavi dell'invisibile; filosofo e teologo, tenta di ri-

conciliare Ghazali con Avicenna nel suo libro L'acquisto della conoscenza. La sua opera principale è co-stituita da Le ricerche orientali, che risentono dell'influenza congiunta di Avicenna e di Abul-Barakat al-Ba-ghdadi.

5 M, pp. 28-26.

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alla corrente tradizionale:

In apparenza la storia non è altro che un'informazione sugli eventi politici, le dinastie e i fatti del lontano passato, presentata con eleganza e arricchita di proverbi. Essa serve a intrattenere grandi e affollate assemblee e ci porta alla comprensione degli affari umani. La storia ci mostra il mutare degli eventi, come certe dinastie sono giunte ad occupare un sempre più vasto spazio nel mondo e come vi si sono insediate, fino a quando la loro ora è suonata e il loro tempo termi -nato. Dall'altra parte, il senso intimo della storia consiste nella speculazione, nel tentativo di rag-giungere la verità, nella sottile interpretazione delle cause e delle origini delle cose e nella pro-fonda conoscenza delle modalità e delle cause degli eventi. La storia ha perciò profonde radici nella filosofia (ḥikma) e merita di essere annoverata tra le scienze [facenti parte] di essa.6

Nella classificazione khalduniana, tuttavia, questa è assente nella illustrazione — nel sesto capitolo della Muqaddima — delle branche della scienza: da un lato vi sono quelle naturali all'uomo, acces-sibili mediante ragionamento, e sono le scienze filosofiche (logica, fisica o scienza naturale, metafi-siche e scienze matematiche); dall'altro vi sono le scienze tradizionali positive, cioè le scienze reli-giose (scienze del Corano, scienze del ḥadīth7, diritto, kalām8, scienza del sufismo e scienza del-l'interpretazione delle visioni oniriche), acquisibili soltanto per tradizione.9 Si potrebbe ipotizzare che abbia voluto dare, proprio per mezzo della stessa opera, il diritto alla storia ad occupare un po-sto tra le scienze dell'intelletto.10

Rispetto ai suoi predecessori, Khaldūn muove due critiche. In primo luogo i fatti da essi narrati non sono attendibili, in quanto le fonti delle loro informazioni sono accolte in maniera acritica:

Quando passano alla descrizione di una dinastia particolare, essi riportano la notizia tale quale è giunta loro, sia essa vera o falsa.

In secondo luogo, deplorando il carattere cronachistico dei loro lavori, contrappone una ricostru-zione delle cause e delle circostanze degli eventi:

Non si occupano dell'origine della dinastia, né spiegano perché essa abbia innalzato il suo ves-sillo e sia riuscita a far prevalere il suo stemma sugli altri oppure che cosa abbia causato la sua fine. Al lettore resta dunque ancora da ricercare come le dinastie abbiano iniziato il loro corso.11

Ibn Khaldūn pone così il problema del senso dei fatti mediante la ricostruzione del contesto, il terzo di una consistente lista. Enumera, infatti, sette cause che possono originare l'errore nella sto-riografia: 1) parteggiare per determinate credenze o tendenze di pensiero; 2) fede cieca nelle fonti di informazione; 3) incapacità di comprendere il significato di un evento — non misurandone la di-stanza storica rispetto al presente; 4) presunzione di essere detentori della verità; 5) ignoranza del-le circostanze connesse ai fatti — riconducibile, quindi, alla terza; 6) preoccupazione di fare opera gradita ai poeti — mettendone in risalto il valore o sminuendo quello degli avversari; 7) ignoranza dei caratteri costitutivi della società — la più importante:

Se lo studioso conosce la natura degli eventi, le circostanze e le necessità dell'esistenza, sarà favorito nel distinguere il vero dal falso nell'esame critico delle informazioni storiche.12

Solo così la storiografia può assurgere a scienza filosofica, poiché nella visione khalduniana il mondo storico rivela una sua logica interna. Vi sono da un lato le circostanze o condizioni che sono mutevoli; dall'altro le costanti date dalla natura delle cose. Studiare le vicende umane significa pro-cedere all'analisi della vita associata, che è naturale per l'uomo. Oggetto della storiografia è per Ibn Khaldūn il prodotto della cooperazione umana, che comprende tutte le espressioni della vita asso-ciata — sussunte nel concetto di ‘umrān —, che vanno dalla politica alle istituzioni, dall'economia alle scienze alle arti e ai mestieri.13

6 M, pp. 87-887 Termine tecnico con cui i musulmani designano il racconto relativo ad azioni compiute dal Profeta o a fra-

si da lui pronunciate al di fuori della rivelazione. La Tradizione, sunna, ne è la raccolta. (M, p.. 69)8 Si può far corrispondere parzialmente alla teologia, ma ne differisce, rispetto a quella cristiana, ad esem-

pio, in quanto la sua funzione è essenzialmente di carattere apologetico. Secondo la definizione khaldu-niana «è la scienza che comporta l'argomentazione con dimostrazioni logiche in difesa degli articoli di fede e la refutazione degli innovatori, i quali deviano con i loro dogmi dai primi musulmani e dall'ortodos-sia». (M, p. 73)

9 M, pp. 66-67.10 M, p. 92.11 M, p. 89.12 M, pp. 91-92.13 M, pp. 92-94.

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Civiltà: ‘umrānLa scienza nuova di Ibn Khaldūn si fonda sulla convinzione che vi siano delle costanti nella sto-

ria, tali per cui le medesime cause producono i medesimi effetti. Ma ciò che lega e dà senso ai con-cetti fondamentali è il concetto di natura (ṭab‘), che viene assunto come criterio interpretativo. Nel mondo della storia, nel ‘umrān, le cose avvengono per natura, come nel caso di un organismo vi-vente14. La filosofia khalduniana si fonda perciò sull'idea di ordine naturale, che ha un carattere te-leologico: ogni civiltà, nel senso di formazione storica determinata, al pari di ogni organismo, com-prende le fasi della nascita, dello sviluppo, del declino e della morte. Inoltre, egli afferma:

La società umana è qualcosa di necessario. I filosofi esprimono ciò dicendo: “L'uomo è politico (madanī) per natura”

Dove il termine arabo madanī corrisponde al politikòs greco, in quanto entrambi derivano dall'i-dea di pòlis, madīna in arabo.15

Nella Muqaddima il termine ‘umrān è usato in diverse accezioni, a seconda del contesto. Nel primo capitolo, che è a carattere geografico, è usato prevalentemente nell'accezione tradizionale di terra popolata, regione abitata. Tuttavia, l'uso principale che ne fa Ibn Khaldūn del tutto originale: se ne serve per esprimere quel comprende tutto ciò che gli uomini producono nella vita associata (scienza, tecnica, economia, morale, cultura). Mentre nel primo significato il termine evoca soltanto l'idea del luogo dove l'attività umana si svolge, il secondo è più complesso, in quanto sono combi-nati e interagiscono tra di loro l'attività umana e l'ambiente in cui essa si manifesta.

La nozione di ‘umrān ha un significato di genere e un significato di specie. Nel primo caso, Ibn Khaldūn intende: «... il convivere e l'abitare insieme degli uomini in una città o in un accampamento per profittare della vita in comune e soddisfare i bisogni. Infatti gli uomini tendono per natura a coo-perare per procurarsi da vivere».16 Considerato nella sua accezione specifica — a partire dal secon-do capitolo —, dev'essere inteso come forma particolare della civiltà o, più precisamente, come modo di vita in relazione all'ambiente17:

Il deserto è un luogo di stenti e di fame, ma per gli Arabi esso è diventato familiare ed abituale. Generazioni di Arabi sono cresciute nel deserto, dove si sono affermati il loro carattere e le loro qualità naturali.18

La civiltà può essere beduina (badawī); la si incontra nei sobborghi, sulle montagne, negli ac-campamenti dei nomadi vicino a pascoli nelle zone desertiche, o alle estremità dei deserti di sabbia.19

La vita associata produce le forme più complesse dell'attività umana all'interno delle città. Per questo motivo la seconda forma di civiltà — urbana (ḥaḍarī) — costituisce il centro della speculazio-ne khalduniana, come dimostra l'organizzazione stessa della Muqaddima in cui, dopo il primo capi-tolo sulla civiltà in generale e il secondo sulla civiltà beduina, trattata peraltro in termini di confronto con l'altra, nei capitoli restanti — oltre i due terzi dell'opera — si approfondiscono i diversi aspetti che caratterizzano il modo di vita nelle città (terzo capitolo: politica; quarto: civiltà urbana in generale; quinto: economia; sesto: scienze e insegnamento).20

Come per la civiltà beduina, anche per la civiltà urbana, Ibn Khaldūn parte dalla descrizione del-l'ambiente:

La si incontra nelle grandi città (amṣār), nei villaggi (qurā), nelle città (mudun) e nei piccoli villag-gi (madāshir) che sono circondati e protetti da mura. [...]Le città sono luoghi in cui i gruppi si in -sediano quando hanno raggiunto il fine desiderato del lusso e dell'agiatezza. Allora essi preferi -scono la calma e la tranquillità ed iniziano ad abitare nelle case.

14 Il concetto che la teorizzazione khalduniana usa è spirito di corpo (‘aşabiyya), la forza propulsiva dell'unità sociale.

15 M, pp. 111-112.16 M, pp. 113-114.17 Nel contemporaneo dibattito Nature VS Nurture, Ibn Khaldūn che affermava «Le consuetudini portano la

natura umana a tendere verso le cose cui è abituata. L'uomo è figlio delle proprie abitudini, non dei suoi avi», sarebbe stato — ipoteticamente — a buon diritto fra i secondi.

18 M, p. 127.19 M, p. 124.20 M, pp. 129-130.

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La condizione propria delle due forme di civiltà si può esemplificare in due termini chiave: la ne-cessità (ḍarūra) per la prima e il lusso (taraf) per la seconda. Nella civiltà beduina gli uomini sono impegnati a strappare alla natura ciò che è loro indispensabile per vivere e si mantengono entro i li-miti della sussistenza. La loro è quindi il contrario di quella urbana, che è un'economia dell'abbon-danza.

Tuttavia, a Ibn Khaldūn non interessa stabilire un criterio per sostenere la superiorità di una for-ma di civiltà sull'altra: l'autore non stabilisce una dicotomia assiologica, ma una gradazione, che va dal più semplice al più complesso. La stessa immagine del mondo proposta da Ibn Khaldūn consi-ste in una serie ininterrotta di piani: ognuno di questi non è qualcosa di fisso e immutabile, bensì connesso al precedente e al successivo, suscettibile di trasformarsi in essi.21

Pensiero economico moderno?Tra i fattori che contribuiscono a determinare le differenti forme della vita associata e a condizio-

narne lo sviluppo, l'economia svolge un ruolo fondamentale; il pensiero economico di Ibn Khaldūn presenta tratti di sorprendente modernità, tanto da essere stato indicato da alcuni come una forma di materialismo storico ante litteram.22

Diversamente dai suoi predecessori, Ibn Khaldūn sostiene che il valore è determinato dal lavo-ro:

La ricchezza che una persona acquisisce, se risulta dall'esercizio di un mestiere, è il valore rea -lizzato dal suo lavoro […] Se il guadagno risulta da qualcos'altro che da un mestiere, il valore del guadagno risultante e della ricchezza acquisita deve includere il valore del lavoro con il quale esso è stato ottenuto.

Ibn Khaldūn usa i termini sussistenza (rizq) e guadagno (makāsib). Il guadagno è «il valore del lavoro […] ciò che una persona ottiene con i propri sforzi»: a) se questo bene è destinato a soddi-sfare i bisogni del proprietario, esso è indicato con il termine sussistenza; b) altrimenti va a costitui-re il suo fondo (riyāsh), la sua ricchezza (mutamawwil).

In una grande città il lusso aumenta […]. I bisogni aumentano a causa del lusso. A causa della domanda, gli articoli di lusso diventano abituali, e in seguito necessari. […] [Le comodità] sono ri -chieste per molti scopi e i ricchi, abituati al lusso, pagherebbero per averle prezzi esorbitanti, in quanto essi ne hanno più bisogno degli altri. In questo modo i prezzi salgono.

Come si evince dai principi trattati per spiegare i meccanismi che fanno delle società urbane si-stemi economici basati sul lusso, il pensiero economico khalduniano si caratterizza per il connotato di originalità, decisamente superiore se confrontato con la visione tradizionale islamica. Cionono-stante pare eccessivo il giudizio di chi ha accostato il suo autore a teorie formulate pressappoco cinque secoli più tardi, facendone addirittura un anticipatore del materialismo storico. Resta tuttavia innegabile la suggestione di alcuni concetti, tale da aver indotto lo stesso Franz Rosenthal, il mi-glior interprete per l'aspetto filologico della Muqaddima, a servirsi in alcuni casi di termini economici moderni (profit e capital accumulation per rendere, rispettivamente, makāsib e mutamawwil).23

ConclusioniFiglio di un'epoca, travagliata e spesso in rapporto conflittuale con il potere, curioso e instabile,

profondamente radicato nella propria tradizione ma non su di essa appiattito, egli è stato per il suo mondo l'iniziatore di una nuova scienza. Le vicende critiche che ha vissuto, stimolarono la proposi-zione di domande e la riformulazione di alcuni principi delle scienze di cui egli era cultore e alle quali diede un contributo originale.

Il problema filosofico di Ibn Khaldūn fu quello del significato e del senso della storia, che egli af-frontò da un punto di vista politico: interrogandosi sulla natura del potere, ne diede un'interpretazio-ne pessimistica. Fondandosi sull'idea che il potere, partendo da un'iniziale adesione all'ideale della giustizia, se ne discosti progressivamente, giungendo a gradi sempre maggiori di corruzione, che

21 M, pp. 130-131, 134.22 Ibn Khaldun, un mufti del Cairo predecessore di Karl Marx, S., Belgrado 1933. (Ulteriori riferimenti in M, p.

149)23 M, pp. 138-140.

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ne determinano ineluttabilmente la fine.24

Sono stati esperienze ed esempi istruttivi ciò che è andato cercando il filosofo della storia ma-ghrebino, più spinto dalla necessità di darsi ragione del carattere effimero e provvisorio delle uma-ne vicende che affascinato dalla provvidenziale continuità che dietro esse si cela, togliendo alla storia dei popoli e alle gesta delle dinastie ogni aura di sacralità. Il protagonista della sua storia, in-fatti, non è più la misteriosa ed onnipotente volontà divina, ma non lo sono neppure le grandi figure del passato tanto care alla storiografia tradizionale: elementi climatici, dati economici, fattori cultu-rali, aspetti caratteriali di sovrani e amministratori emergono in un intreccio nel quale si barcamena lo storico, o a detta di alcuni, il sociologo Khaldūn. Nel cercare il bandolo di queste intricate trame di cause ed effetti, egli ha cercato le ragioni profonde, mirando a scoprirne i meccanismi interni e le costanti.25

Voglio dunque terminare con una citazione — come in apertura — presa questa volta dalla Storia della filosofia medievale, paragrafo Fine della filosofia o filosofia della fine?, di Alain De Libera, cui demando questo gravoso compito:

L'espressione finale della filosofia nel mondo islamico è forse la nascita di una sociologia della storia. I mondi muoiono: tutti gli storici bizantini del XV secolo, i Critobulo d'Imbros (autore di una vita di Mehemet II) o i Laonikos Chalkokondyles (cantore della nazione greca) hanno vissu-to la stessa esperienza.

È in una riflessione sulla storia che risiede il principio di ogni riappropriazione del passato come di ogni rottura con il passato.26

24 M, p. 20.25 M, pp. 12-13.26 De Libera, Alain, Storia della filosofia medievale, Jaca Book 1995, p. 176.