la storia di mario
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La disperazione di un uomo giunto alla resa dei conti con la vita. Un breve dramma psicologico dai risvolti amari.TRANSCRIPT
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“3, 2, 1” Il frastuono che si udiva dalla finestra della sua camera da letto era così assordante, che tutti i tentativi che faceva per potere finalmente addormentarsi risultavano inutili, provò persino con infilarsi dei tappi nelle orecchie, un vecchio rimasuglio dell'attrezzatura di lavoro di suo padre, tipo quelli che usano chi lavora per strada con i martelli pneumatici, ma nulla, il chiasso che proveniva dalla via sottostante e le urla di giovani sbronzi, sembravano penetrare tra i muri sino dentro le orecchie di Mario, perforandole come un coltello nel burro. Tutta colpa di quel dannato pub, biascicò l’uomo stizzito a mezza voce, maledetto locale e maledetti teppisti, imprecò tra sé, ma perché non se ne vanno a casa loro a fare tutto questo casino, inveì poi sferrando un pugno sul cuscino e 3, 2, 1, si mise poi a contare e quindi urlò a squarciagola alle quattro mura della sua camera: «maledetti figli di puttana, che il diavolo vi porti all'inferno tutti quanti». Il pub O'Conrad era una birreria che distava all'incirca una decina di metri dalla casa di Mario, posta su una strada a senso unico, sfociava su una piazza che nelle notti di fine settimana, si trasformava in una pista di rally per piloti ubriachi e in karaoke sotto le stelle. Mario era anche un tipo che nell’ordine detestava; la birra, la musica e i week-‐end rumorosi, non sopportava il karaoke e le corse di automobili ed essendo pure un tipo alquanto nervoso, nevrastenico e facile all'ira, non aveva neanche uno straccio d’amico con cui trascorrere i suoi fine settimana, così costretto in casa, si rodeva l’esistenza imprecando contro coloro che avevano l’unico torto di divertirsi. Tutto ciò grazie al suo caratteraccio, perché la sua compagna prima e quei rari amici poi, si erano tutti allontanarsi da lui e poi con quel suo mondo di contare alla rovescia che stava sullo stomaco a tutti, chissà che cosa voleva dimostrare, così un giorno qualcuno glielo chiese. La risposta non fu per niente esauriente, venne fuori una “cosa” del tipo; sai, quando arrivo allo zero, vuole dire che la mia pazienza è davvero giunta al termine e allora passo all'azione spiegò, ma nessun tipo di azione sfociò mai dopo quel fatidico conteggio, al contrario, era proprio per questo che tutti, anche chi aveva avuto la disgrazia di conoscerlo appena, lo prendevano in giro, scimmiottando quel suo modo buffo di contare e lui ovviamente si alterava ancora di più, ma il bello stava proprio lì, farlo incazzare. Una cosa del genere avvenne anche con Lisa la sua ex compagna. Ecco cosa successe: «una cosa che non proprio sopporto, è che tu mi riprenda sempre anche davanti agli altri», urlò un giorno la ragazza come una furia. «se ti riprendo, è solo per il tuo bene, lo sai quanto ci tengo che tu non mi faccia fare brutte figure» rispose Mario cercando invece di stare calmo. «ah sì? E che brutte figure ti farei fare io, dimmelo», tuonò allora la donna già agitata di suo, il suo stato si alterò maggiormente, quando sentì la risposta:«se proprio lo vuoi sapere, è che sei di una ignoranza senza limiti, ecco cosa sei e non sai mai quando tacere, ma si può dico io, si può che nel bel mezzo di un discorso, tu te ne venga fuori con, sapete anche io sono una cinofila, ma che cazzo, si dice cinefila ignorante», concluse quasi senza prender fiato Mario. Un amaro risolino isterico scheggiò allora le labbra della ragazza, che prontamente rispose:«ridi, ridi deficiente che non sei altro, ma continua pure così, tanto oggi hai passato davvero il limite, eccome se lo hai passato e sai cosa faccio adesso»? Neanche concesse a Mario il tempo di una risposta, che subito aggiunse sbraitando con tutto il fiato aveva nei polmoni:-‐ «me ne vado (scandendo bene ogni sillaba)», «e allora vattene se
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ne sei capace, accidenti a te, tanto so che non ne hai il coraggio», gli urlò l’uomo di rimando. Ci vollero invece meno di una decina di minuti alla ragazza per prendere le sue poche cose, infilarle in fretta in un trolley e avviarsi verso l'uscita, quando ecco che invece un Mario alquanto adirato, si piazzò davanti l'uscio deciso a non farla andare via:«togliti di mezzo e fammi passare, coglione», gli intimò Lisa, «e no, tu non vai proprio da nessuna parte, anzi adesso te ne torni in camera e da brava disfi la valigia», gli ordinò invece con fare imperioso l'uomo, «perché sennò che mi fai», lo sfidò Lisa, «3, 2, 1…» -‐ conteggiò allora Mario, ma allo scadere del countdown, tutto rimase esattamente com'era: «allora»? Sbuffò spazientita la ragazza; «...3...2...1...» -‐ ripeté con più calma ancora volta l’uomo, «ma vai a fare in culo, va' », gli urlò sul grugno Lisa spostandolo in malo modo tanto da potere passare e sbattendo con gran fragore la porta, e in quel modo ne andò per sempre. Strano tipo Mario davvero anche quando si arrabbiava con i suoi colleghi, faceva solo un gran casino, molto imprecare, tanti pugni sui tavoli, a volte giungeva persino a prendersi a schiaffi fino a sfociare in quel famigerato “3, 2, 1”, cui non credeva più nessuno e forse nemmeno più lui. Anche con il suo capo faceva lo stesso, che per un po’ riusciva a sopportarlo, ma alla fine anche lui sbottava, così tra i due volavano spesso parole grosse e a volte anche qualche suppellettile, ma alla fine era solo Mario che scendeva sempre a più miti consigli. Quel 3, 2, 1, ben presto lo portò anche a perdere il suo posto di lavoro, soprattutto anche per via di quella sua innata presunzione, che lo portava a pensare che nessuno potesse mai fare a meno di lui. Mario era un buon impiegato non c'è che dire; sempre puntuale al lavoro, ligio ai suoi doveri, puntiglioso all'inverosimile e dannatamente abitudinario. Per una migliore comprensione dei fatti, sarà meglio però chiamare le sue consuetudini con loro vero nome e cioè “manie”, che è senza dubbio un aggettivo più consono; come quella di arrivare al lavoro sempre prima delle otto la mattina e precisamente alle sette e quarantacinque, sapendo benissimo che gli uffici non aprivano mai prima di quel’ora, così Mario se ne restava ad aspettare fuori, troppo taccagno per fare colazione al bar, si piazzava nell'atrio del portone ad aspettare, e che fuori piovesse, nevicasse, facesse freddo o un caldo infernale, lui era sempre lì, stoico, e mai un giorno di assenza, mai una malattia e quando la solerte segretaria che apriva gli uffici, aveva la disgrazia di arrivare in ritardo, apriti o cielo! Sembrava l’avesse lasciato all'addiaccio tutta la notte. Angela la segretaria, si era (volente o nolente), assuefatta alle sue sfuriate quasi quotidiane tanto che quel “3, 2, 1” di Mario le entrava da un orecchio e le usciva dall'altro, senza fare troppi danni. Un brutto giorno però in cui Mario si alzò col piede sbagliato, avvenne aimè, l’irreparabile. Svegliatosi tardi a causa della sua fidata sveglia che per qualche malvagio sortilegio non aveva suonato all'ora stabilita, Mario per recuperare tempo prezioso, non face come di consueto colazione, tanto è vero che sia il bricco col latte lasciato come di prassi la sera prima sul fornello, sia le fette biscottate pronte per essere imburrate e spalmate di marmellata, rimasero tristemente sul tavolo a contemplare le smanie di un uomo già alterato di prima mattina. Per non parlare che mentre uscì di corsa da casa sua per precipitarsi a prendere l'autobus, accidentalmente si scontrò con un energumeno e che per poco non gli fece perdere l'equilibro, Mario neanche tentò di scusarsi, anzi un'imprecazione gli uscì a mezza bocca purtroppo per lui abbastanza forte perché il bestione la percepisse, Mario non ebbe neppure il
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tempo di mettere piede sul primo gradino del bus, che si sentì afferrare per il bavero della giacca e strattonare in malo modo. Risultato, il bus partì e il poveretto rimase nelle grinfie ben poco rassicuranti del bruto in questione. Ne nacque un alterco, dove solo il povero Mario ovviamente ebbe la peggio, ma il peggio del peggio giunse quando incominciò il suo noto conto alla rovescia, “3, 2,1”, il meschinetto non arrivò neanche a finire la frase, che un manrovescio ben dato lo fece stramazzare per terra ansimante, quindi ben conscio di quello che gli sarebbe capitato se solo si fosse rialzato, pensò bene di rimanere a terra, almeno fino a quando l'energumeno soddisfatto del suo operato non si fosse allontanato a sufficenza. L'omaccione infatti, dopo un po’ si allontanò, Mario da terra lo seguiva con la coda dell'occhio aspettando ancora un poco prima di decidersi di alzarsi in piedi. L'energumeno però arrivato a metà strada ebbe un ripensamento, si fermò e tornando indietro imprecando come un ossesso, pensò che la lezione al povero Mario non fosse bastata, quindi volle continuare ciò che a parer suo non aveva ancora finito. Ci volle l'intervento dello Spirito Santo e di alcuni carabinieri che passavano di lì per caso a fermare quello che sarebbe diventato da lì a poco un massacro. A quel punto per una persona dotata di un minimo di buon senso, la cosa più logica da fare sarebbe stata quella di tornarsene a casa e chiudersi per il resto della giornata e quindi, telefonare in ufficio con una scusa, ecco cosa farebbe una persona di buon senso, appunto. «Sono in ritardo» imprecò tra sé Mario: -‐ «sono maledettamente in ritardo» -‐ cominciando a pure bestemmiare. Imprecando e bestemmiando ad alta voce a ritmo sostenuto, arrivò quasi senza accorgersene davanti al famigerato portone, Angela era già lì che trafficava per aprire il portone e indaffarata com’era, si accorse del sopraggiungere di Mario, solo perché lo sentì imprecare. A l’uomo sembrò invece di non accorgersi della presenza di Angela, intenta com’era ad armeggiare col portone, infatti la scartò e continuando nella sua omelia salì a tre a tre gli scalini della piccola rampa ed entrò nell'ufficio, come un cowboy irrompe in un saloon. Ufficio contabile Rossi & C. riportava la targhetta di metallo fissata alla bene e meglio sulla porta in finto legno sempre aperta, anche perché il campanello non suonava, aveva smesso di funzionare da anni, da quando il vecchio segretario se andò in pensione. Arnoldo, infatti era il segretario-‐factotum dell'ufficio, colui che riparava tutti i danni; dallo scarico del bagno intasato, fino a cambiare una lampadina, era anche colui che andava a comprare le sigarette al capo e quello che si ricordava i compleanni di tutti i dipendenti ed ovviamente era colui che riparava il campanello. Dopo anni di onorata carriera, Arnoldo dovette cedere le armi per raggiunti limiti di età, lasciando così il suo posto al genero del capo, un giovanotto male in arnese, cui non avresti dato un euro e cui interessavano solo le auto e il calcio. Per farla breve costui e Mario ebbero (tanto per cambiare) un diverbio, perché quest’ultimo, con quel suo continuo borbottare tra sé, non si sa’ mai con chi stava parlando. Così i due per un nulla, vennero quasi alle mani e toccò alla povera Angela, dopo avere vinto il suo tira e molla col portone, farsi arbitro di quella disputa. La diatriba si fece nello stesso tempo sempre più concitata, Mario col suo inutile conto alla rovescia, attirò spettatori; le segretarie giunsero per prime, poi anche certi inquilini che richiamati da quel vociare fuori dal comune, uscirono dai loro appartamenti per godersi lo spettacolo, fino a che anche il capo arcistufo di Mario e dei suoi comportamenti, uscì allo
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sbottando: -‐ «adesso mi hai proprio rotto i coglioni, hai superato ogni limite umano, veramente ora basta». Bernardo Rossi era il titolare, lo avresti detto un personaggio calmo e gentile, un capoufficio come molti sognerebbero di avere, sempre disponibile e tollerante; ma, come recita un vecchio adagio, anche i santi a volte perdono la pazienza e pare proprio che anche per lui fosse giunto quel fatidico momento. Dal canto suo, Mario parve invece non rendersi conto di quello che sarebbe successo di lì a poco, così tra un'imprecazione e un insulto, sbottò ancora nel suo ennesimo e celeberrimo “3, 2, 1” ma allo scadere della conta, fu il capo che gli urlò con quanto fiato avesse nei polmoni e scandendo bene tutte le sillabe: -‐ «sei l-‐i-‐c-‐e-‐n-‐z-‐i-‐a-‐t-‐o», quindi volendo essere più chiaro, lo ripeté in modo più adatto: -‐ «licenziato hai capito, grandissimo idiota, sei licenziato, 3, 2, 1, licenziato». Brutta cosa essere licenziato il Venerdì, così quando Mario giunse finalmente a casa ebbe la bella idea di ubriacarsi, ma non avendo mai toccato una goccia di alcool in tutta la sua vita, scartò quell’ipotesi, pensò quindi d’ingurgitare delle medicine per dormire e non svegliarsi più, ma in tutta la sua vita non si era mai ammalato neanche una volta e quindi niente farmaci. Si guardò e riguardò parecchio allo specchio del bagno, per concludere di avere solo fatto solo una cosa di buono in tutta la sua vita, fallito. Disteso sul letto fissando il soffitto immacolato, cercò di capire se di là del cielo, ci potesse essere un’altra vita, magari migliore, un qualcosa che valesse la pena darsi da fare, cercò persino di capire le ragioni del suo eterno fallimento, del perché tutti lo evitavano, della sua calvizie incipiente e di perché fosse stato messo al mondo. Improvvisamente si ricordò che suo padre buonanima gli avesse lasciato in eredità un fucile da caccia, per un lungo attimo pensò davvero di usarlo contro se stesso se avesse saputo dove fosse, quindi fece mente locale cercando a memoria in tutta casa, fino a che vinto dal sonno, tentò di addormentarsi. Tentativo inutile, perché i cani del vicino cominciarono tutto un tratto ad abbaiare furiosamente come presi da un raptus; inutile fu nascondere la testa sotto il cuscino, quindi con uno scatto d'ira saltò come una molla seduto sul letto e cominciò a urlare, “3, 2, 1”, poi si prese il volto tra le mani scoppiò in un pianto a dirotto. Si asciugò le lacrime col bordo del lenzuolo, quindi si alzò e come un automa si diresse in dispensa, gli ci vollero solo pochi minuti per mettere a soqquadro tutto lo sgabuzzino, fino a che ansimante non trovò in un vecchio fodero di pelle logoro il fucile e in una scatola di cartone tutta consunta, le cartucce. Mario non si chiese neanche se la doppietta avesse funzionato o no, o se fosse stato capace di farla sparare, ebbe solo il tempo di darle un'occhiata e senza neanche ripulirla dalla polvere, la caricò, poi richiudendo le canne con dentro le cartucce, se la pose rivolta verso il viso: -‐ «3, 2, 1», pochi attimi concitati e quella fretta di suicidarsi, annegò invece in un mare di lacrime: -‐ «neanche sono capace ad uccidermi», singhiozzò: «solo una cosa sono stato capace di fare in tutta la mia vita, fallire». II Trascorse così tutto il tempo a fissare il vuoto, le immagini dei suoi fallimenti si susseguirono come in un film che si ripeteva senza fine, fino a che esausto non decise di tentare di dormire e
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senza neanche guardare l'orologio, entrò in bagno, si sciacquò la faccia, si lavò i denti senza incrociare più il suo sguardo riflesso nella specchiera, poi si ficcò sotto le coperte, addormentandosi quasi subito. III Un gran vociare lo fece sobbalzare poco dopo sul letto, come se qualcuno gli avesse urlato da due passi nelle orecchie, d'istinto guardò la sveglia poggiata sul comodino, le quattro di mattina, ma per i giovani che uscivano belli ubriachi dal pub “O'Conrad”, sembrava invece mezzogiorno. IV Adesso veramente basta, sussurrò stizzito alzandosi dal letto, in mutande e incurante di tutto, tirò su la persiana della finestra, poi spalancando le imposte, cominciò a inveire contro i ragazzi seduti sul ciglio della strada e che avevano cominciato a cantare a squarcia gola. Nessuno di loro parve davi retta, anzi più Mario gridava, più quel gruppetto di ragazzi cantava forte, sino a che uno della combriccola accortosi del’uomo in mutande al balcone, gli urlò: -‐ «perché invece di rompere i coglioni, non mandi giù quella puttana di tua sorella»? Una fragorosa risata, per un attimo interruppe il coretto, dopo di che anche le ragazze della cricca, che prima si erano tenute in disparte, cominciarono a sfottere il povero Mario, scimmiottandolo e sbeffeggiandolo in tutti i modi e più lui si arrabbiava, più gli altri inveivano, fino a che il più grosso della compagnia, si staccò dal gruppo e avvicinandosi alla finestra di Mario, lo sfidò a scendere: -‐ «vieni giù se sei un uomo, vieni giù che ti faccio un culo tanto», dal canto suo il povero Mario non poté fare altro che minacciare: -‐ « se non la smettete chiamo la polizia, 3, 2, 1, avete capito»? Qualcuno dalla strada, scaglio un sasso che sbattendo sul vetro della finestra, ne mandò in frantumi i vetri, che ferirono Mario alle mani. L'uomo alla vista del sangue quasi svenne, mentre da sotto una valanga d’insulti e di risate, lo sommergevano definitivamente. Mario allora con un impeto di orgoglio si ritrasse dallo spavento, ma nel tentativo di rialzarsi, barcollò e scivolò cadendo sopra i vetri sparsi per la stanza, ferendosi il viso, il sangue che cominciò a defluire copiosamente gli offuscò per un attimo la vista e gli annebbiò il cervello, poi con uno sforzo riuscì ad alzarsi, corse quindi in dispensa, impugnò il fucile che aveva lasciato carico e si avvicinò alla finestra con la doppietta spianata. Un coro di fischi però lo accolse impietosamente l’uomo, col sangue che gli colava sugli occhi e il bruciore delle ferite aperte, ebbe la forza di puntare il fucile verso quello che sembrava il più grosso, poi cominciò: -‐ «3, 2, 1». V. Un boato scosse la tranquillità della notte, poi di colpo tutto tacque: -‐ «è stato solo un sogno» ripeté Mario rigirandosi nel letto…sì, solo un brutto sogno, “3, 2, 1”, adesso però dormi Mario, dormi. Un racconto di Roberto Vassallo 1/05/2015
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