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BioSTUDIOLa zootecnia biologica in Veneto
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BioSTUDIOLa zootecnia biologica in Veneto
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Iniziativa finanziata dal“Piano regionale di intervento per il rafforzamento e lo sviluppo dell’agricoltura biologica”
Delibera Giunta Regionale del Veneton° 4184 del 28.12.06
“Fondo per lo sviluppo dell’agricoltura biologica e di qualità”
Coordinamento del progetto dott. Gabriele Zampieri, Veneto Agricoltura - Settore Studi Economici
Autore dello studio e della relazione finaledott. agr. Roberto Bustaffa
Rilevamento datiSi ringrazia per la collaborazione nella fase di rilevamento dei dati gli Organismi di Controllo dei pro-dotti biologici e in particolare:- BIOS s.r.l. (rilevatori Piergiorgio Saccardo, Giampaolo Pandolfi)- CCPB - Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici (rilevatori Willi De Conti, Giuseppe Palleschi,
Giampietro Dal Maso)- ICEA - Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale (rilevatore Marcello Volanti)
FotoMauro Carlo Stella, Archivio Veneto Agricoltura
Pubblicazione edita daVeneto Agricoltura Azienda Regionale per i Settori Agricolo, Forestale e AgroalimentareSettore Studi EconomiciViale dell’Università, 14 - Agripolis - 35020 Legnaro (Pd) - Tel. 049.8293711 - Fax 049.8293815e-mail: [email protected] - www.venetoagricoltura.org
Realizzazione editorialeVeneto AgricolturaAzienda Regionale per i Settori Agricolo, Forestale e Agroalimentare
Coordinamento EditorialeAlessandra Tadiotto, Silvia CeroniSettore Divulgazione Tecnica, Formazione Professionale ed Educazione NaturalisticaVia Roma, 34 - 35020 Legnaro (Pd) - Tel. 049.8293920 - Fax 049.8293909e-mail: [email protected]
È consentita la riproduzione di testi, foto, disegni ecc. previa autorizzazione da parte di Veneto Agricoltura, citando gli estremi della pubblicazione.
Ministero per le politiche agricolealiMentari e forestali
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Presentazione
I risultati dell’indagine presentati in questo vo-lume rientrano, unitamente ad altri progetti, ri-guardanti la formazione, le attività dimostrative, la promozione, ecc., nel “Piano regionale d’inter-vento per il rafforzamento e lo sviluppo dell’agri-coltura biologica”, voluto dalla Regione del Vene-to e la cui realizzazione è stata affidata a Veneto Agricoltura.Con questa indagine si è cercato di approfon-dire le conoscenze sulla realtà produttiva della zootecnica biologica veneta in considerazione dell’importanza che l’allevamento biologico sem-
pre più assume nell’ambito dell’agricoltura biologica, perciò è risultato particolarmente interessante verificare le effettive prospettive di crescita di questo comparto. Il lavoro di ricerca è stato svolto secondo un approccio di filiera e pertan-to sono state considerate anche le fasi a monte e a valle dell’allevamento, mediante l’esame dei rapporti intercorrenti tra i vari operatori. Il progetto aveva alcuni obiettivi specifici, che si possono riassumere nell’impegno di acquisire ampie informazioni sulle aziende biologiche zootecniche venete, nell’aumentare le conoscenze di natura economica e commerciale riguardanti i prodotti biologici zootecnici veneti e nell’of-frire uno strumento di analisi economica agli operatori del settore.L’indagine è riuscita ad interessare la quasi totalità delle aziende biologi-che zootecniche venete, questo grazie alla collaborazione degli Organi-smi di controllo riconosciuti dal Ministero attraverso i loro tecnici verifi-catori, in particolare di BIOS, ICEA e CCPB, che ringrazio per il contributo fornito. Ci sembra, quindi, che questo lavoro possa rappresentare un’ottima base di partenza per ampliare la conoscenza della zootecnia biologica veneta e offrire diversi punti di riflessione per valutarne le prospettive e favorirne lo sviluppo.
Paolo Pizzolato Amministratore Unico
di VENETO AGRICOLTURA
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Indice
Introduzione .................................................................................... 7
1 - La zootecnIa bIoLogIca veneta ................................... 91.1 - Aspetti generali .................................................................... 91.2 - Aspetti strutturali e organizzativi ......................................... 13
2 - caratterIstIche tecnIche degLI aLLevamentI ....... 182.1 - Gli allevamenti bovini ......................................................... 18
2.1.1 - Allevamenti bovini da latte .................................... 182.1.2 - Allevamenti bovini da carne .................................. 29
2.2 - Gli allevamenti ovicaprini e suini ........................................ 342.2.1 - Allevamenti ovini ..................................................... 342.2.2 - Allevamenti caprini ................................................. 362.2.3 - Allevamenti suini ..................................................... 41
2.3 - Gli allevamenti avicoli e apicoli .......................................... 452.3.1 - Allevamenti avicoli ................................................. 452.3.2 - Allevamenti apicoli ................................................. 50
3 - ProduzIone, trasformazIonee commercIaLIzzazIone deI ProdottI bIoLogIcI .... 563.1 - Produzione e trasformazione............................................... 56
3.1.1 - Capi vivi, carne e prodotti ottenutidalla trasformazione della carne ...................................... 563.1.2 - Latte e prodotti lattiero-caseari .............................. 583.1.3 - Uova, miele e altri prodotti dell’apicoltura ........... 59
3.2 - Commercializzazione delle produzioni ............................... 603.2.1 - Vendite capi vivi, carne e prodotti ottenutidalla trasformazione della carne ...................................... 613.2.2 - Vendite latte e prodotti lattiero-caseari .................. 653.2.3 - Vendite uova, miele e altri prodotti dell’apicoltura ... 673.2.4 - Valore delle vendite e canali commerciali ............. 70
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4 - concLusIonI ........................................................................... 774.1 - Punti di forza e di debolezza ............................................... 774.2 - Aggiornamento della situazione .......................................... 81
aPPendIce ..................................................................................... 89
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Introduzione
Questo lavoro rientra tra le attività previste e finanziate dalla Regione del Veneto con il Piano regionale d’intervento per il rafforzamento e lo sviluppo dell’agricoltura biologica1, la cui realizzazione è stata affidata a Veneto Agricoltura. Gli obiettivi del piano sono: a) la realizzazione di particolari iniziative a sostegno di alcune attività strategiche per il settore (formazione, divulgazione e informazione; analisi di mercato; aziende pi-lota; promozione; offerta del prodotto e associazionismo); b) lo sviluppo di mezzi e strumenti idonei al successivo monitoraggio e valutazione dei risultati delle attività poste in essere; c) la promozione di modelli efficaci e intelligenti di produzione e di consumo degli alimenti biologici. Le iniziative riguardanti le analisi di mercato rientrano nel così detto “Biostudio” che si compone di un’indagine sulla struttura economico-produttiva della zootecnia biologica veneta e di una ricerca bibliografica2 sulle modalità di allevamento biologico in Italia. La finalità dell’indagine zootecnica è quella di approfondire le cono-scenze delle realtà produttive biologiche venete operanti nel comparto zootecnico, in considerazione del suo minore sviluppo a livello regio-nale e dell’importanza che comunque le attività zootecniche assumono nell’agricoltura biologica. Inoltre lo studio è pure indirizzato alla verifica delle effettive prospettive di crescita del comparto, mettendone in evi-denza i punti di forza e di debolezza. Di conseguenza sono stati oggetto di analisi le strutture delle aziende, la loro organizzazione produttiva e i loro rapporti con il mercato. In sostanza l’indagine, svoltasi tra il 2008 e il 2009 rilevando però la situa-zione esistente nel 2007 per disporre di dati consolidati, ha interessato le aziende con allevamenti condotti con il metodo biologico, secondo quanto prescritto dalla vigente normativa nell’anno di riferimento. Oltre alla localizzazione delle singole unità produttive e ai principali aspetti dei relativi imprenditori, sono state acquisite informazioni in merito alla suddivisione colturale della superficie aziendale, alla consistenza e alla gestione del bestiame (con particolare riferimento alla sua alimentazio-ne e ai trattamenti sanitari), alle caratteristiche dei ricoveri, alle modalità di produzione dei foraggi, alla produzione ed eventuale trasformazione
1) Allegato A alla Dgr n. 4184 del 28/12/2006 (L. n. 488/99, art. 59 e successive modifiche e integrazioni). 2) Riguardo a questo secondo lavoro sono state prodotte, a parte rispetto al presente elaborato, una specifica relazione e un’analitica raccolta di indicazioni bibliografiche.
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dei prodotti zootecnici, alle modalità di vendita di tali prodotti (canali commerciali, fattori che influenzano l’acquisto, quantità e prezzi), alle problematiche affrontate nel processo di conversione, ai fattori critici che agiscono sulle attività zootecniche e alle prospettive di sviluppo. Di fatto si è cercato di scattare una fotografia del comparto zootecnico bio-logico regionale; inoltre, per molti aspetti particolarmente significativi e suscettibili di modificarsi nel tempo, come per esempio le produzioni e i prezzi di vendita, è stato evidenziato anche l’andamento storico con riguardo agli ultimi due anni che hanno preceduto quello di riferimento, il 2007. Questo allo scopo di avere un quadro d’insieme che non fosse solo statico, ma nel quale si potessero cogliere eventuali segnali di cam-biamento. A questo proposito, all’inizio del 2010, è stata eseguita una ve-rifica campionaria per cogliere eventuali modificazioni e trend evolutivi della situazione del settore. La rilevazione in campagna è stata eseguita con la collaborazione di al-cuni tecnici ispettori degli Organismi di controllo, che hanno utilizzato un apposito questionario suddiviso in due sezioni: la prima relativa alle caratteristiche generali dell’azienda e dell’imprenditore, la seconda speci-fica per ogni tipologia di allevamento.
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La zootecn ia b io log ica veneta
La zootecnia bioLogica veneta
1.1 Aspetti generali
La rilevazione ha interessato la quasi totalità delle aziende zootecniche biologiche venete più significative dal punto di vista economico-produtti-vo, o comunque la maggioranza di queste, tenendo conto anche delle ca-ratteristiche dei singoli comparti produttivi. Sono state quindi rilevate 95 aziende (Appendice – Tab. 01) a fronte di un universo regionale di quasi 150 unità a cui fanno capo allevamenti anche molto piccoli. Complessiva-mente gli allevamenti coinvolti sono stati 104, considerato che vi sono 15 aziende con più di un allevamento. L’84% delle aziende studiate pratica dunque un solo allevamento, tuttavia non si può affermare che il livello di specializzazione sia altrettanto diffuso perché, come si vedrà in segui-to, un certo numero di allevamenti si mantiene su soglie dimensionali e produttive abbastanza modeste. Sono state rilevate tutte le tipologie di allevamento che in base alla normativa vigente potevano fregiarsi della certificazione bio, eccetto alcuni piccoli allevamenti equini di scarso rilie-vo economico. Gli allevamenti più numerosi sono quelli bovini, con una forte prevalenza di quelli da latte, a cui seguono a distanza gli apicoli e an-cor più distanziati tutti gli altri (avicoli, caprini, suini e ovini) (Grafico 1).
(1) Comprendono anche un allevamento per la produzione di capi da latte da rimonta.
Grafico 1 - Ripartizione percentuale degli allevamentibiologici rilevati, per specie (2007)
apicoli 23,1%
avicoli 10,6%suini 5,8%
caprini 10,6%ovini 3,8%
bovini misti (1) 1,9%bovini da carne 8,7%
bovini da latte 35,6%
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La numerosità delle diverse tipologie non è però indice anche dell’impor-tanza economica del corrispondente comparto. Infatti, sebbene con solo undici allevamenti, è l’avicoltura a generare il maggior fatturato, grazie alla produzione delle uova. In termini geografici gli allevamenti biologici sono presenti in tutte le province, in misura però non omogenea (Grafico 2). Le province con la più alta concentrazione sono Vicenza e Belluno, che si distribuiscono in misura quasi uguale oltre la metà degli allevamenti; seguono Verona e Treviso che ne hanno complessivamente un quarto. La restante parte si ripartisce soprattutto tra Padova e Venezia, mentre a Rovigo si contano soltanto tre allevamenti.
I 2/3 degli allevamenti sono localizzati in montagna e collina (rispetti-vamente il 44% e il 22%), a conferma che queste due zone offrono alla zootecnia biologica superfici più idonee ma soprattutto posseggono aree marginali dove questo tipo di attività più difficilmente può entrare in competizione con gli allevamenti intensivi di tipo convenzionale. Da que-sto punto di vista è interessante osservare la distribuzione altimetrica degli allevamenti biologici in base alla specie. Si nota così che in mon-tagna e collina, ma soprattutto nella prima, è dislocato oltre l’80% degli allevamenti per i quali è prescritto il pascolamento, soprattutto bovini e ovi-caprini; in particolare quasi tutti gli allevamenti di bovini da latte e più della metà di quelli da carne. In pianura, invece, è localizzata ben oltre la metà degli altri allevamenti: quasi tutti quelli di suini e di avicoli, che hanno una ridotta necessità di pascolo. La collocazione altimetrica ha
VR 14,4% BL 26,0%
PD 9,6%RO 2,9%
TV 10,6%VE 8,7%
VI 27,9%
Grafico 2 - Distribuzione geograficadegli allevamenti biologici rilevati (2007)
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invece una modesta rilevanza per gli allevamenti apicoli in quanto, non necessitando di superfici proprie, questi presentano un minore legame con il territorio.Prima di esaminare gli aspetti strutturali e organizzativi della zootecnia biologica veneta, è opportuno cercare di collocarla sia nel corrisponden-te contesto nazionale sia nel quadro complessivo della zootecnia regiona-le, allo scopo di determinarne il peso relativo3. L’unico confronto possibile con la zootecnia biologica nazionale, sulla base dei dati disponibili, è quello fatto con riferimento al numero dei capi. Nel caso dei bovini (da latte e da carne), degli ovini e dei suini, l’in-cidenza degli allevamenti veneti è molto modesta, assumendo valori pari rispettivamente allo 0,6%, 0,2% e 1,2%. La situazione cambia radicalmente riguardo agli altri allevamenti: si passa dal 2,7% dei caprini al 5% degli allevamenti di api (sulla base del numero di alveari), per arrivare fino al 10,7% degli avicoli. Viene quindi confermata anche rispetto al bio una particolare “vocazione” veneta per l’avicoltura e la produzione di uova in particolare.Le possibilità di paragone con il settore zootecnico regionale complessivo sono più ampie e consentono di esprimere una valutazione più precisa sul comparto biologico, che risulta avere un peso molto modesto (tabella 1).A parte il rapporto tra la SAU biologica a “prati permanenti e pascoli” e la corrispondente superficie regionale totale, che assume un valore abba-stanza vicino a quello del rapporto tra la SAU biologica4 e la SAU regio-nale complessiva (1,9%), tutti gli altri indici sono sotto l’1%, con la sola eccezione di alcuni. In pratica il numero degli allevamenti biologici di ciascuna specie costituisce una quota minima del corrispondente totale, però la consistenza media è analoga se non superiore al riferimento re-gionale, a esclusione degli allevamenti suini rispetto ai quali è appena 1/4. Nel caso degli avicoli la consistenza media supera di quasi il 16% quella regionale complessiva e per gli ovicaprini è addirittura più di dieci vol-te superiore. Questo aspetto relativo alle maggiori consistenze medie si potrebbe interpretare, quanto meno a livello generale, come un segnale di più elevata specializzazione degli allevamenti biologici, nonostante la
3) Con riferimento alle aziende rilevate.4) Per quanto riguarda la SAU biologica regionale, si è fatto riferimento al dato fornito dal SINAB (Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica) per il 2008, in quanto per il 2007 la stessa fonte non lo fornisce; d’altra parte la presumibile modesta differenza del valore riferito al 2007, a fronte della diminuzione dei produttori biologici veneti pari al 2,6%, non comporta alcuna sostanziale differenza nel rapporto in que-stione.
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presenza anche di piccole realtà. Inoltre per gli allevamenti apicoli, capri-ni e avicoli le rispettive produzioni di miele, latte non trasformato e uova costituiscono una quota parte anche rilevante delle corrispondenti pro-duzioni regionali complessive, evidenziando l’importanza del biologico all’interno di questi comparti.
tab. 1 - confronto tra zootecnia veneta e corrispondente comparto biologico (2007)
Superfici Produzioni Valori a confronto Tot. zootecnia veneta (1)
Compartobiologico (2)
Rapportobio/totale
SAU a prati permanenti e pascoli (ha) 128.271 1.796 1,4%
Allevamenti bovini (nr.) 16.007 48 0,3%
Allevamenti bovini da latte (3)- vacche da latte - consistenza media vacche da latte
(nr.)(nr. capi)(nr. capi)
6.091149.329
24,5
3996624,8
0,6%0,6%
-
Allevamenti ovini- consistenza media (4)
(nr.)(nr. capi)
1.64216,1
4306,2
0,2%-
Allevamenti caprini- consistenza media (4)
(nr.)(nr. capi)
1.2077,1
1195,7
0,9%-
Allevamenti suini- consistenza media
(nr.)(nr. capi)
3.634203,6
652,3
0,2%-
Allevamenti avicoli- consistenza media
(nr.)(nr. capi)
4.01511.188,0
1112.995,6
0,3%-
Carni bovine (5) (t) 217.300 47 0,02%
Carni suine (5) (t) 132.900 31 0,02%
Carni ovi-caprine (5) (t) 400 0,3 0,1%
Pollame (5) (t) 419.400 19 0,004%
Latte di vacca e bufala (6) (t) 1.054.188 4.182 0,4%
Latte di pecora e capra (6) (t) 1.554 277 17,8%
Uova (mil. pz) 1.990 37,6 1,9%
Miele (t) 600 115,7 19,3%
(1) Fonte: a) per i dati relativi alla SAU e agli allevamenti: “Struttura e produzioni delle aziende agri-cole” (SPA-2007); b) per i dati relativi alle produzioni e ai valori: “Valore aggiunto dell’agricoltura per regione” (Anni 1980-2007).(2) Con riferimento ai 104 allevamenti rilevati.(3) Con riferimento al comparto biologico comprendono un allevamento misto (produzione di latte e carne) e uno per la produzione di capi da latte da rimonta. (4) Per il comparto biologico è stato riportato il numero delle femmine adulte, rispettivamente pecore e capre.(5) Con riferimento al comparto biologico comprendono anche la carne dei capi venduti vivi ma destinati alla macellazione; la quantità di carne è stata determinata applicando al peso vivo i co-efficienti standard di resa alla macellazione. Sono stati considerati anche i prodotti ottenuti dalla trasformazione della carne.(6) Nei comparti biologici rilevati non esiste latte di bufala e di pecora.
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1.2 Aspetti strutturali e organizzativi
Complessivamente le aziende zootecniche biologiche rilevate occupano circa 2.400 ettari di SAU, dei quali il 94,6% è condotto con il metodo biolo-gico: 68,9% già a regime e 25,7% in conversione (Appendice - Tab. 02). Dal punto di vista altimetrico, la distribuzione della SAU biologica tende a ri-specchiare quella degli allevamenti, con una certa prevalenza della mon-tagna e della pianura a scapito della collina: 48% e 36% le prime due, 16% la terza. Rispetto alle province, invece, i 2/3 della SAU biologica regionale sono concentrati a Belluno e Verona. In particolare a Verona la presenza relativa della SAU bio è più che doppia rispetto a quella del numero degli allevamenti e, conseguentemente, le aziende sono mediamente di mag-giori dimensioni (Grafico 3).
Con riferimento alla tipologia degli allevamenti, i 2/3 della SAU sono rap-presentati da allevamenti bovini e ovicaprini, che più degli altri necessita-no del pascolamento, un altro quarto della superficie è in capo alle azien-de con due o più allevamenti, biologici o meno, di specie diverse, mentre la quasi totalità del restante 8,5% della SAU è rappresentata da allevamen-ti avicoli (Appendice – Tab. 03). La maggior parte degli allevamenti di api non hanno SAU certificata e le aziende con un solo allevamento di suini hanno pochissima superficie biologica. L’utilizzo colturale della super-ficie, fatta eccezione delle aziende apicole che non ne necessitano e di quelle suinicole, per la quasi totalità della SAU è funzionale al bestiame
Grafico 3 - Distribuzione geograficadella SAU condotta con metodo biologico (2007)
BL 33%
PD 2%
RO 2%TV 5%
VE 7%VI 19%
VR 32%
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allevato, per cui tutta l’azienda è finalizzata all’allevamento, a conferma della sua specializzazione zootecnica (Appendice – Tab. 04). A ulteriore riprova di questa spiccata caratterizzazione, le foraggere permanenti, co-stituite da prato, prato-pascolo e pascolo, arrivano a quasi l’80% della SAU biologica (Appendice – Tab. 05). Soltanto nelle aziende con allevamento da latte o da carne, oppure con allevamento avicolo o misto, è stata rile-vata una modesta presenza di colture ortofrutticole, di vite e/o di olivo, con una percentuale variabile da quasi il 3% a poco più del 5% della SAU dello specifico comparto.Riguardo alla densità degli allevamenti, espressa dal rapporto UBA5/ha di SAU aziendale, tutte le tipologie, esclusi gli avicoli, sono abbondante-mente al di sotto del limite imposto dalla normativa (uguale a 2), pur con ampie oscillazioni a seconda della zona altimetrica (Appendice – Tab. 06). Gli allevamenti avicoli, invece, al pari del convenzionale, presenta-no carichi di bestiame per unità di superficie molto elevati arrivando a 43 UBA/ha in collina. Di conseguenza sette su undici delle aziende con allevamento avicolo hanno dovuto adottare il “programma produttivo di comprensorio” per compensare l’insufficienza di SAU per lo smaltimento delle deiezioni prodotte dall’allevamento. Nel complesso delle aziende ri-levate sono comunque quattordici, pari al 15%, quelle che hanno dovuto ricorrere a tale programma.Circa l’88% degli allevamenti rilevati era già esistente quando ha iniziato la conversione al metodo biologico e quasi i 2/3 ha avviato il processo di conversione in epoca abbastanza recente: il 42% dopo il 2000, cioè dopo l’applicazione della normativa comunitaria relativa alla zootecnia biologica6, e un altro 20% era in fase di conversione nel 2007, anno di riferimento della presente indagine (Appendice – Tabb. 10-11). Di conse-guenza soltanto poco più di 1/3 degli allevamenti ha già accumulato una certa esperienza nella conduzione biologica, avendo avviato la conversio-ne prima del 2000: il 10% ancora prima dell’approvazione e applicazione del Reg. CEE 2092/917, il restante 28% nel periodo intercorso tra questo regolamento e quello sulla zootecnia biologica. In generale le motivazioni che hanno indotto la conversione sono state in primo luogo di natura economica, soprattutto nel caso degli allevamenti
5) Unità Bovino Adulto.6) D.M. 4 agosto 2000 “Modalità di attuazione del regolamento CE n. 1804/99 sulle produzioni animali biolo-giche”.7) Il Regolamento CEE n. 2092/91 del 24 giugno 1991 è il primo provvedimento che contiene una normativa sull’agricoltura biologica in generale, valida per tutta la Comunità e quindi anche a livello nazionale; la sua applicazione è avvenuta con il D.M. 31 dicembre 1992.
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di bovini da latte, seguite da quelle ambientali e salutistiche, considerando che la stessa scelta può essere avvenuta anche in concomitanza di consi-derazioni diverse (Grafico 4). Nella categoria “altro”, riportata nel grafico, rientrano motivazioni riguardanti prevalentemente gli allevamenti di bo-vini da latte e consistenti nella richiesta, rivolta ai produttori da parte dei caseifici di conferimento, di aderire al sistema di certificazione biologica. Dal punto di vista della forma giuridica dell’impresa, quasi il 79% delle aziende rilevate appartiene alla categoria delle aziende individuali, un al-tro 16% è costituito dalle società di persone e il restante 5% è ripartito tra società di capitali, cooperative ed ente pubblico (Appendice – Tab. 07).
Le donne e i giovani non sono molto presenti tra i conduttori. Delle 90 imprese, tra aziende individuali e società di persone, circa 1/4 è condotto da donne e nel complesso i giovani (sotto i quarant’anni) sono appe-na il 19%; la fascia di età prevalente (67%) è quella tra i 41 e i 60 anni (Appendice – Tab. 08). Con riguardo alla tipologia degli allevamenti, la componente femminile è presente in maggior misura nelle aziende con più allevamenti e in quelle con allevamento caprino, cioè in quelle realtà dove più forte è la tendenza a integrare il reddito diversificando le produ-zioni animali o realizzando la trasformazione del prodotto zootecnico di base. Analogamente, la percentuale maggiore di giovani è presente nelle aziende di alcuni comparti di punta: ovicaprino e avicolo.
Grafico 4 - Motivazioni che hanno indotto la conversione (1)
salutistiche ambientali economiche altro
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
(1) Ciascuna colonna corrisponde al n° di allevatori che hanno espresso la corrispondente motivazione.
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Il livello di istruzione dei conduttori si può definire elevato, soprattutto se confrontato con quello di tutti i conduttori veneti8, considerato che il 41% ha frequentato le scuole medie superiori o l’università (rispettiva-mente 31% e 10%) contro il 15% dei colleghi regionali (Appendice – Tab. 08). Anche la specifica formazione agraria dei diplomati e laureati risulta particolarmente alta rispetto al dato regionale: 43% quella dei biologici, 20% quella dei conduttori in generale. Il maggior numero di diplomati e laureati lavora nel comparto apicolo (40% del totale) e in quello bovino (19%). Non a caso in questi due settori vi è anche la maggiore informa-tizzazione abbinata alla più alta diffusione dell’uso della contabilità a fini gestionali (Appendice – Tab. 09). Rispetto alle modalità di aggiornamento professionale, quasi il 60% degli allevatori biologici preferisce i contatti con gli altri produttori e le fiere, i convegni e le mostre. Anche in que-sto caso spiccano per numerosità i conduttori degli allevamenti bovini e apicoli. La stampa agricola e i corsi di formazione vengono in generale al secondo posto, interessando soprattutto ancora le due categorie appena citate. Bisogna comunque segnalare che l’11% dei conduttori delle azien-
8) Fonte: ISTAT – 5° Censimento generale dell’agricoltura 2000; unica fonte disponibile.
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Grafico 5 - Presenza media dei lavoratori non conduttori,per tipologia di allevamento (2007)
% c
ondu
ttori
p.tim
e
UL/a
lleva
men
to
1,61,41,21,00,80,60,40,20,0
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%bov. da
lattebov. dacarne
bov. misto ovino caprino suino avicolo apicolo
UL t.pieno e fissi per allev. oltre il conduttore UL p.time e avv. per allev. oltre il conduttore% conduttori p.time
de individuali e delle società di persone non esprime alcun interesse per l’aggiornamento professionale. Infine, per quanto riguarda gli aspetti occupazionali, le 95 aziende zoo-tecniche biologiche rilevate impiegano complessivamente, oltre ai con-duttori, altre 80 unità tra familiari9 del conduttore e salariati fissi e avven-tizi per lo svolgimento delle attività relative agli allevamenti (Appendice – Tab. 29). Quasi l’84% dei conduttori delle aziende individuali e delle società di persone lavora a tempo pieno nell’azienda; per i familiari tale percentuale scende al 57%. I salariati, che nel complesso rappresentano più di 1/3 della manodopera non comprendente i conduttori, sono per il 76% lavoratori fissi. Facendo riferimento alle sole 80 aziende con un unico allevamento, si osserva che le tipologie che hanno una maggior presenza media di personale a tempo pieno e/o fisso, oltre al conduttore, sono gli allevamenti caprini e avicoli, seguiti da quelli bovini misti e ovini, che in generale sono quelli con le consistenze maggiori (Grafico 5); tutta-via occorre precisare che questi allevamenti spesso presentano la più alta percentuale di conduttori a tempo parziale.
9) Tra questi sono stati compresi anche eventuali soci.
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Carat te r is t i che tecn iche deg l i a l levament i
caratteristiche tecnichedegLi aLLevamenti
2.1 - Gli allevamenti bovini
2.1.1 - Allevamenti bovini da latte
Dei 39 allevamenti bovini da latte studiati, compresi anche i due alle-vamenti misti10, ben il 92% è localizzato nelle aree collinari e montane, soprattutto della provincia di Vicenza (Grafico 6). Sei allevamenti già biologici appartengono ad aziende al cui interno è presente almeno un altro allevamento, quasi sempre convenzionale. Normalmente questi alle-vamenti abbinati ad altri sono di dimensioni intorno alla media; soltanto due fanno eccezione, in quanto uno piccolo e uno grande.
10) Di questi uno si dedica effettivamente alla produzione di latte e carne, l’altro produce essenzialmente capi da latte destinati alla rimonta.
Grafico 6 - Distribuzione degli allevamenti bovini da latte,per provincia e zona altimetrica (2007)
BL PD RO TV VE VI VR
Nr.
Alle
vam
enti
25
20
15
10
5
0
Montagna Collina Pianura
19
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Gli allevamenti biologici ormai a regime sono quasi il 60%, con una con-sistenza media di 31,5 vacche da latte che, oltre ad essere una discreta consistenza tenuto conto della dislocazione altimetrica, è anche il doppio di quella degli allevamenti in conversione, sebbene in entrambi i gruppi i valori minimi e massimi, che si discostano notevolmente dalla media, sono simili (Appendice - Tab. 12.a). Infatti gli allevamenti in conversione, a parte pochi casi, sono soprattutto piccole stalle con meno di dieci vac-che. Nel complesso la consistenza totale delle vacche da latte è pari a 966 capi con una media per allevamento di circa 2411 animali (Appendice – Tab. 12.b). Il numero delle vacche nella maggior parte degli allevamenti biologici a regime è tendenzialmente stabile, soltanto in quattro è stato rilevato un trend in aumento mentre in uno è in diminuzione. Negli alle-vamenti in conversione la situazione è ancora più stabilizzata, in quanto solo due hanno evidenziato un andamento della consistenza delle vacche in aumento e sempre uno in diminuzione. Vale la pena sottolineare che gli allevamenti biologici a regime in espansione appartengono al gruppo dei più grandi, mentre quello in diminuzione è di medie dimensioni. In termi-ni complessivi, si può interpretare come un segnale positivo per il futuro di questi allevamenti il fatto che, a fronte di un 80% che mantiene stabile la propria consistenza di vacche, ve ne sia un altro 15% che la incrementa e soltanto un 5% che la riduce. Le problematiche affrontate sia nella fase di conversione che successi-vamente hanno riguardato le produzioni foraggere e quelle specificata-mente animali (Appendice – Tab. 29). Tra le prime, di natura soprattutto tecnica, particolarmente rilevanti sono state l’adeguamento del parco macchine e l’organizzazione del lavoro, seguite, sullo stesso piano, dalla gestione delle malerbe, dalle nuove modalità di concimazione, dalla mino-re produzione di foraggi e dalla difficoltà di reperire sementi certificate. Le seconde, fondamentalmente di tipo economico, sono state, in ordine di importanza, il costo dei mangimi biologici e il loro reperimento, il tut-to nell’ambito delle difficoltà di assicurare l’autosufficienza alimentare dell’allevamento. Le razze maggiormente allevate sono la Frisona, la Pezzata rossa e la Bru-na; vi è poi un piccolo numero di vacche di razza Rendena, presenti in due allevamenti, e diverse decine di incroci (Grafico 7).
11) Tra l’altro questo valore, considerando anche gli altri capi necessari alla rimonta interna (vitelle e gioven-che), corrisponde approssimativamente alla soglia pari a 30 UBA al di sotto della quale può essere riconosciuta la deroga al divieto di stabulazione fissa.
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Carat te r is t i che tecn iche deg l i a l levament i
La razza più diffusa sia negli allevamenti monorazza, che sono la maggior parte ma hanno la metà del patrimonio vaccino complessivo, sia in quelli con più razze, è la Frisona. Spesso negli allevamenti con più razze, pure in quelli più consistenti, sono presenti in varia misura tre razze.La produzione di latte per capo e per lattazione di ciascuna razza risulta profondamente diversa tra la fase “in conversione” e la situazione “a re-gime” senza una caratterizzazione costante, nel senso che per le frisone è notevolmente minore in conversione, mentre per le pezzate rosse è il contrario e torna a essere inferiore per gli incroci (Appendice – Tab. 30). Dato il modesto numero di allevamenti rilevati per ogni singola razza, qua-si certamente queste differenziazioni sono fortemente influenzate dalle differenti modalità di conduzione delle stalle, messe in evidenza anche dalla diversa gestione dell’alimentazione e dei trattamenti veterinari. Con i dati attualmente disponibili non si ritiene corretto pertanto esprimere un giudizio di merito sulla diversa produttività delle singole razze in rife-rimento alle due fasi della produzione biologica. Anche il confronto tra la produzione media di latte dell’intera mandria in conversione e quella di tutto il bestiame a regime è in una certa misura inficiato dalla disomoge-nea composizione dei due gruppi. Resta comunque il fatto che le vacche degli allevamenti a regime producono mediamente il 10% in più rispet-to a quelle in conversione (6.925 kg/capo/lattazione contro 6.270 kg/capo/lattazione)12. In ultima analisi si tratta di produttività certamente più
12) Tutte le medie indicate nel testo e riportate nelle tabelle che si trovano in Appendice sono state calcolate come media ponderata delle rese medie stalla rilevate.
Grafico 7 - Consistenza complessiva delle vacche, per razza (2007)
Pezzata rossa30%
Rendena3%
Incroci6% Bruna
21%
Frisona40%
21
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basse di quelle degli allevamenti convenzionali13 (oltre il 10% in meno), facendo riferimento agli allevamenti a regime. Questi valori sono però il risultato di medie stalla molto diverse, variabili all’interno di un inter-vallo assai ampio delimitato nella sua parte estrema maggiore da medie pari a 8-9mila kg/capo appartenenti a stalle con consistenze tra le 50 e le 90 vacche, a dimostrazione che in presenza di idonee strutture, di capi selezionati e di capacità professionali adeguate gli allevamenti biologici sono in grado di competere anche con quelli convenzionali. Confermano questa considerazione anche gli indici di qualità del latte biologico, che sono del tutto simili a quelli del latte convenzionale, in particolare i pa-rametri igienico-sanitari sono notevolmente inferiori ai limiti di legge14 (Appendice – Tab. 30). Anche in merito ad alcune importanti modalità di conduzione le stalle biologiche sono in linea con quelle convenzionali. La fecondazione ar-tificiale (FA) è praticata dalla quasi totalità degli allevamenti; soltanto in pochissimi casi, talvolta in aggiunta alla FA, si ricorre alla monta natura-le. Mediamente gli interventi di inseminazione artificiale sono stati 2,2 per vacca, compresi tra un minimo di 1,3 e un massimo di 4; il numero maggiore è relativo soprattutto agli allevamenti più piccoli. L’intervallo medio parto-concepimento è stato di 107 giorni, in particolare con gli al-levamenti di maggiori dimensioni concentrati tra i 90 e i 140 giorni e con i valori più stabili corrispondenti a quelli medio-bassi. Anche il numero medio di lattazioni per vacca, con un valore di poco superiore a 5 (negli allevamenti biologici più grandi varia tra 2,3 e 8), si attesta su posizioni decisamente migliori di quelle registrate mediamente negli allevamenti convenzionali15. Riguardo infine alle mutilazioni l’unica che viene pratica-
13) La produttività media/capo/lattazione degli allevamenti convenzionali per il 2007 è stata stimata in circa 7.800 kg in base alla produzione regionale complessiva di latte (SIAN: Progressione delle consegne mensili rettificate registrate) e al numero delle vacche esistenti (ISTAT: Struttura e produzioni delle aziende agricole – 2007). La produzione unitaria media delle quasi 118.000 vacche venete sottoposte ai controlli funzionali è stata nel 2007 pari a 8.852 kg (ARAV: Statistiche). 14) 400.000 cellule/ml e 100.000 microrganismi/ml. 15) Secondo una ricerca condotta in alcuni allevamenti veneti di vacche di razza Frisona e Bruna, maggiori-tarie anche nel comparto biologico, nel periodo compreso tra il 1980 e il 2004 si è assistito a un forte peg-gioramento dei livelli riproduttivi e quindi della redditività complessiva della stalla, che sono stati individuati in : a) aumento della durata del periodo parto-concepimento (arrivato a 182 gg. per la Frisona e a 177 gg. per la Bruna); b) diminuzione del numero medio di lattazioni (sceso per la Frisona a 2,5 e a 3,1 per la Bruna); c) aumento del tasso di sostituzione degli animali allevati (salito al 34,9% per la Frisona e al 22,7% per la Bruna) a causa dei due fattori precedenti e della necessità di mantenere costante il numero di bovine allevate. (Andri-ghetto I., Nardelli S., Come combattere due cause di bassa fertilità – L’Informatore agrario n. 4/2006 p. 111). In altre parole appare evidente come una bovina sana, efficiente e produttiva debba avere una vita di stalla più lunga proprio perché non soggetta ad ipofertilità.
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Carat te r is t i che tecn iche deg l i a l levament i
ta da poco più di 1/4 degli allevamenti, appartenenti soprattutto a quelli di maggiori dimensioni, è il taglio delle corna. L’aspetto relativo alle strutture degli allevamenti biologici da latte, con particolare riferimento ai fabbricati, è certamente tra i più dolenti. Venti-quattro allevamenti, pari a oltre il 61%, usufruiscono della deroga al divie-to della stabulazione fissa e di questi ventuno ne beneficiano in quanto si tratta di piccole stalle sotto le 30 UBA, che possiedono circa il 20% delle vacche (Appendice – Tab. 24). Una possibile spiegazione di questo fatto risiede nell’età media delle stalle, che è di 48 anni; soltanto 18 sono state ristrutturate, per la maggior parte in epoca però precedente anche di di-versi anni alla data di conversione, per cui l’intervento di ristrutturazione non ha probabilmente modificato le possibilità di movimento da parte degli animali. Soltanto 8 stalle dei 39 allevamenti considerati hanno un apposito locale per l’isolamento dei capi malati o feriti.Anche la dotazione delle attrezzature di stalla risente della dimensione dell’allevamento. Oltre l’80% degli allevamenti più grandi, quelli con un numero di vacche superiore alla media, effettuano la mungitura mecca-nica in una sala dotata mediamente di otto poste (Appendice – Tab. 24). Tutti gli altri, eccetto uno che attua ancora la mungitura manuale, sono dotati di mungitrice mobile. Tutte le aziende, una esclusa, sia che ven-dano il latte sia che lo trasformino in proprio, possiedono un impianto di refrigerazione più o meno proporzionato alle necessità aziendali. Nel 75% degli allevamenti più grandi l’asporto del letame avviene mediante raschiatori, con la ruspa nei restanti; in quelli più piccoli si effettua so-prattutto manualmente, in pochi casi con i raschiatori e in una sola stalla mediante la ruspa (Appendice – Tab. 25). Per quanto attiene le deiezioni, la cui gestione comincia in stalla mediante l’utilizzo della lettiera, occorre ricordare che per la stragrande maggioran-za degli allevamenti considerati questa è fatta di paglia; soltanto in cinque allevamenti si ricorre ad altro materiale (segatura, miscuglio di foglie e paglia, ecc.)16. Normalmente il letame viene accumulato in concimaie a platea17, che vengono svuotate con periodicità semestrale. Nell’87% dei casi la distribuzione avviene sui terreni delle aziende interessate; sono infatti soltanto quattro quelle che, provviste del “programma produttivo di comprensorio”, scaricano parte del proprio letame su terreni di altre aziende. Circa il 60% degli allevamenti ha la vasca per la raccolta dei liqua-
16) Un allevamento nelle aree di riposo adotta i materassini di gomma.17) Soltanto in pochi casi si ricorre al cumulo di letame sul terreno.
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mi e soltanto tre, provvisti del “programma produttivo di comprensorio”, li distribuiscono sui terreni di altre aziende in misura quasi totale. In pratica le realtà aziendali senza vasca per i liquami sono tutte quelle con gli alleva-menti più piccoli, cioè con un numero di vacche inferiore alla media. Altri due aspetti fondamentali sono l’alimentazione e le cure veterinarie. Sono noti i vincoli che la normativa pone ad ambedue, tuttavia è soprat-tutto sulla prima, come si è già visto in precedenza, che sono sorti i mag-giori problemi. Infatti con il passaggio al biologico, da un lato è diminuita la produzione aziendale dei foraggi, dall’altro è sorta l’esigenza di aumen-tare al massimo l’auto-approvvigionamento (garantendo almeno il 35% della sostanza secca su base annua) e di far pascolare il più possibile il bestiame. Ciò ha comportato la riformulazione delle razioni alimentari e l’introduzione dei mangimi biologici con i relativi costi.Molteplici sono i fattori che condizionano la composizione quali-quan-titativa della razione anche in condizioni normali, a cominciare dalla di-sponibilità in termini di qualità e quantità di alimenti aziendali (foraggi e concentrati), dalla razza, età, peso e produttività della bovina, dalla fase della lattazione, dal tipo di stabulazione, dalle condizioni climatiche, dalla professionalità dell’allevatore, ecc., per finire al prezzo degli alimenti da acquistare. Pertanto, rispetto a una problematica caratterizzata da un così
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Carat te r is t i che tecn iche deg l i a l levament i
ampio numero di variabili, ogni stalla è un caso a sé. Ciò nonostante si è cercato di sintetizzare la composizione delle razioni specifiche dei vari stadi del ciclo produttivo delle vacche da latte, per definire comunque un quadro complessivo della gestione della loro alimentazione. Sono state quindi individuate le razioni medie giornaliere dei capi in conversione e di quelli già a regime con riferimento alla fase in lattazione e in asciutta e alla presenza in stalla e al pascolo. Tutti i tipi di razionamento di seguito descritti sono caratterizzati dalla quasi totale assenza di autosufficienza aziendale per quanto riguarda i mangimi. Questo aspetto trova riscontro anche nel riparto colturale della SAU biologica e in conversione delle aziende che praticano gli allevamenti da latte; infatti il rapporto tra la superficie biologica delle colture cerealicole e proteaginose (soia) e quel-la delle foraggere è appena il 6,4%, che si riduce all’1,4% per la SAU in conversione (Appendice - Tab. 04). Le quantità medie di foraggio e man-gime di seguito riportate, con riferimento a ciascun tipo di razione, sono il risultato di un’ampia variabilità da un’azienda all’altra, a conferma di quanto appena esposto a proposito della composizione quali-quantitativa della razione stessa. Razione vacche in lattazione in stalla (a regime e in conversione): a) negli allevamenti a regime la razione media giornaliera per capo sem-
bra abbastanza equilibrata: il foraggio è costituito essenzialmente da fieno di varia natura, quasi sempre di origine aziendale, nella quantità di 14,7 kg; in alcuni casi in cui la quantità di fieno è al di sotto della media è stato somministrato dell’insilato di mais in misura variabile da 16 a 24 kg; i mangimi, costituiti anch’essi da alimenti di varia natura (semi di cereali e leguminose, medica disidratata, crusca, ecc.), sono pari a 5,7 kg e sono quasi sempre acquistati;
b) negli allevamenti in conversione la quantità media della componente foraggera aumenta a 18,2 kg, mentre i concentrati scendono media-mente a 4,2 kg; in questi allevamenti la razione risulta quindi energeti-camente più povera.
Razione vacche in lattazione al pascolo (a regime e in conversione): a) dei 23 allevamenti a regime, quattro non pascolano le vacche in lattazio-
ne18, in tutti gli altri gli animali vengono tenuti al pascolo mediamente per 167 giorni a cavallo della stagione estiva; nella quasi totalità il pasco-
18) Uno è quello misto che alleva solo capi da rimonta e non ha vacche in lattazione; in un altro il pascolo era in allestimento e non ancora praticabile; negli altri due vengono condotte al pascolo soltanto le vacche in asciutta.
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lamento è a rotazione e soltanto in due è brado o semibrado; quasi i 2/3 degli allevamenti che praticano il pascolo lo integrano con una quota di fieno di origine aziendale, mediamente intorno ai 9 kg, e quasi tutti con una quantità media di mangime acquistato, pari a circa 4 kg;
b) in generale negli allevamenti in conversione il pascolamento è pratica-to anche per più tempo: soltanto uno dei 16 allevamenti non pascola le vacche in lattazione19, tutti gli altri le tengono al pascolo in media per oltre sei mesi; nell’80% dei casi il pascolo è a rotazione, negli altri semibrado o brado; le integrazioni con altri alimenti sono quantitativa-mente simili alle precedenti per quanto riguarda il fieno, un po’ infe-riori per i concentrati (mediamente 3,4 kg); minore però è il numero di allevamenti che le effettuano.
Razione vacche in asciutta in stalla (a regime e in conversione): a) nelle stalle a regime, rispetto al periodo della lattazione, la quota media
giornaliera per capo dei foraggi è più consistente e minore è invece quella dei mangimi: la prima arriva a 18,4 kg ed è costituita fonda-mentalmente da fieno aziendale di vario tipo, la seconda, composta da mangimi totalmente acquistati, entra invece nella razione di 3/4 degli allevamenti con una quantità di circa 2 kg;
b) nelle stalle in conversione la quantità media dei foraggi (18,9 kg) è si-mile alla precedente ed è costituita essenzialmente da fieno aziendale; soltanto in tre allevamenti sono forniti 2,8 kg di concentrati acquistati.
Razione vacche in asciutta al pascolo (a regime e in conversione):Le vacche in asciutta sono rimaste mediamente al pascolo più a lungo ri-spetto alle vacche in lattazione, però le integrazioni alimentari sono state realizzate da un numero minore di allevamenti che hanno fornito un po’ più di foraggio ma assai meno concentrati; in particolare: a) solo uno degli allevamenti a regime non ha pascolato le vacche in
asciutta, tutti gli altri le hanno tenute al pascolo per quasi 200 giorni e circa 1/3 di questi ha inoltre applicato un’integrazione di foraggio, pari mediamente a 11,4 kg (soprattutto fieno aziendale), e di mangimi acquistati, pari a 2 kg;
b) a esclusione di uno, tutti gli allevamenti in conversione hanno pasco-lato le vacche in asciutta, che in generale non hanno ricevuto alcuna integrazione alimentare, salvo due casi: in uno hanno avuto del fieno, nell’altro un po’ di mangime.
19) Il pascolo non era ancora agibile perché si stavano ultimando i recinti.
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Sono soltanto due gli allevamenti che utilizzano alimenti convenzionali, in misura comunque modesta ma stabile (circa il 5%). Si tratta di un gran-de allevamento bio a regime e di un altro in conversione, molto piccolo, che somministrano alle vacche in lattazione rispettivamente un nucleo proteico e della crusca convenzionali.Dal punto di vista economico, sulla base dei prezzi rilevati relativi ai man-gimi acquistati (variabili da 0,18 a 0,51 E/kg a seconda della tipologia), è stato possibile calcolare il costo della componente mangimistica che quo-tidianamente entra a far parte della razione per capo e che normalmente tutte le aziende acquistano (Grafico 8) 20. Per le vacche in lattazione tale costo è risultato superiore nella situazione a regime rispetto a quella in conversione; nel caso invece delle vacche in asciutta, dove la quota dei concentrati ha un costo più basso, il rapporto si inverte per le vacche in stalla. In ultima analisi si può stimare che l’incidenza dei mangimi sul va-lore del latte prodotto possa aggirarsi intorno al 19-20%21, costituendo di conseguenza uno dei costi espliciti di produzione più rilevanti, il tutto a fronte di un andamento del prezzo dei mangimi e del latte profondamente diverso; infatti, secondo quanto evidenziato dagli allevatori con riferimento agli anni immediatamente precedenti al 2007, il primo è stato caratterizza-to da un trend di continua crescita, il secondo da un andamento stabile. È importante analizzare le modalità di produzione dei foraggi con riguar-do all’alimentazione del bestiame, in quanto possono concorrere, anche fino al 50%, alle perdite di sostanza secca e di valore nutritivo. Tutte le aziende con allevamenti da latte e misti praticano la fienagione e soltanto 1/3 anche l’insilamento (Appendice – Tab. 26). La fienagione tradizionale, che comporta le perdite maggiori, è la più diffusa e soltanto un’azienda effettua la fienagione in due tempi22, che consente di incrementare la produzione foraggera e di ottenere fieno di migliore qualità. I cantieri
20) Per il calcolo dei costi medi indicati nel grafico si è fatto riferimento soltanto alle razioni nelle quali i man-gimi sono totalmente acquistati; peraltro tali razioni costituiscono la quasi totalità dei casi.21) Tale rapporto risulta comunque inferiore a quello rilevato attraverso altre ricerche, pur essendo state realiz-zate anni addietro: a) secondo uno studio condotto dal CRPA su di un campione di allevamenti biologici da latte alimentare ubicati in zone collinari e montane dell’Emilia-Romagna, nel 2001 il costo dei concentrati acquistati incideva sul valore di ogni quintale di latte prodotto per quasi il 28% (Alberto Manghi, Kees de Roest, I costi di produzione del latte biologico – L’Informatore agrario n. 34/2002); b) secondo un altro lavoro realizzato da altri ricercatori, con riferimento agli anni 2002/2003 e a un unico grande allevamento di vacche da latte situato nella regione Molise, l’incidenza del costo dei mangimi sul valore del latte era addirittura del 40% (Davide Marino, Eli-sabetta D’Ercole, Lisa Di Luia, Latte biologico: costa un po’ di più. “Impatta” molto meno – AZBIO n. 10/2004). 22) Consiste nello sfalciare l’erba e lasciarla appassire parzialmente in campo, quindi il completamento dell’es-siccazione viene realizzato in fienile attraverso la ventilazione forzata del foraggio con aria riscaldata oppure a temperatura ambiente.
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Grafico 8 - Costo della componente mangimisticadella razione/capo/giorno delle vacche da latte (2007)
vacche inlattazione in
stalla(a regime)
vacche inlattazione in
stalla (in conversione)
vacche inlattazione al
pascolo(a regime)
vacche inlattazione alpascolo (in
conversione)
vacche inasciutta in
stalla(a regime)
vacche inasciutta installa (in
conversione)
vacche inasciutta al
pascolo(a regime)
vacche inasciutta alpascolo (in
conversione)
Euro
/cap
o/gi
orno
2,50
2,00
1,50
1,00
0,50
0,00
di raccolta sono costituiti esclusivamente da macchine a funzione sem-plice. La gran parte delle aziende che effettua l’insilamento ricorre alle rotoballe fasciate; un certo numero però utilizza anche i sili orizzontali fuori terra. Generalmente la quantità di foraggio insilato all’interno delle singole aziende si mantiene al di sotto del 30% della quantità complessiva di foraggio verde prodotto.Per quanto riguarda le cure veterinarie, gran parte degli allevamenti ha ridotto notevolmente gli interventi allopatici introducendo i trattamenti omeopatici e fitoterapici. Chi attua l’approccio omeopatico, principalmen-te nei confronti delle patologie dell’apparato mammario, in genere effet-tua due trattamenti di base a scopo preventivo. Al manifestarsi clinico della patologia si interviene ancora con prodotti omeopatici e solo nei casi più gravi con farmaci convenzionali. Talvolta, in presenza di patologie gravi, si preferisce riformare il capo piuttosto che curarlo. In generale gli animali sui quali si sono concentrati maggiormente gli interventi sono le vacche in lattazione, poi in misura più modesta quelle in asciutta e i capi più giovani (vitelli e manzette). Nell’ambito degli allevamenti a regime, che sono stati quelli con il più alto numero di trattamenti sanitari, le patologie più diffuse sono state quelle dell’apparato mammario delle vacche (mastiti acute e cro-niche, trattamento fine lattazione o pre-asciutta), sulle quali si è intervenuto
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Carat te r is t i che tecn iche deg l i a l levament i
principalmente con derivati omeopatici e in un certo numero di casi con antibiotici (Grafico 9). Poi vi sono state le patologie riproduttive e dell’appa-rato locomotore delle vacche (infertilità e zoppie), trattate soprattutto con derivati omeopatici, ma anche con fitoterapici, antinfiammatori e antibiotici. Infine le patologie respiratorie e gastro-intestinali di vitelli e manzette (sin-dromi respiratorie e diarrea neonatale) e quelle riproduttive delle vacche (ritenzione placentare) affrontate principalmente con prodotti omeopatici ma anche con antibiotici. Riguardo infine la profilassi vaccinale volonta-ria, alcuni allevamenti tra quelli a regime hanno fatto specifici trattamenti contro la diarrea virale sulle vacche, sui vitelli e sulle manzette. In qualche allevamento in conversione sono stati eseguiti interventi vaccinali contro il virus respiratorio sinciziale (BRSV) e contro la rinotracheite infettiva.
I dati raccolti non consentono di stimare la convenienza economica dei trattamenti veterinari non convenzionali, per questo bisogna far riferi-mento a specifiche ricerche. Per esempio da un’indagine23 attraverso la quale è stata monitorata per diversi anni una grande stalla da latte biolo-gica, è risultato che l’adozione dell’omeopatia per la cura del bestiame ha comportato un consistente risparmio delle spese farmaceutiche e veteri-narie e un aumento delle vendite di latte.
23) Gianni Chiappini, L’omeopatia? Più che altro conviene – Informatore zootecnico n. 1/2006.
Grafico 9 - Patologie più diffuse negli allevamenti biologicia regime di bovini da latte (2007)
109876543210
Nr.
alle
vato
ri
sindromirespiratorie
(vitelli emanzette)
diarreaneonatale
infertilità ritenzioneplacentale
mastitiacute
mastiticroniche
tratt. finelattaz. o
pre-asciutta
zoppie(vacche)
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Grafico 10 - Distribuzione degli allevamenti bovini da carne,per provincia e zona altimetrica (2007)
Nr.
Alle
vam
enti
3
2
1
0BL PD RO TV VE VI VR
Montagna Collina Pianura
2.1.2 - Allevamenti bovini da carne
I nove allevamenti bovini da carne rilevati sono distribuiti in quattro pro-vince e localizzati principalmente in montagna e in pianura; solo uno è in collina (Grafico 10). Tre di essi sono tra i più piccoli e si trovano in azien-de dove sono presenti anche altri allevamenti (da 2 a 3), tutti biologici. A esclusione di uno ancora in conversione, gli altri allevamenti sono già biologici a regime. Mediamente la consistenza di questi ultimi è relati-vamente modesta, intorno ai 35 capi; soltanto uno supera il centinaio. Quello in conversione, con quasi 100 bovini, di cui 40 vacche nutrici, è uno dei più grandi (Appendice – Tabb. 13-14). Rispetto alle dimensioni l’orientamento degli allevatori è comunque abbastanza variegato, infatti negli ultimi anni l’andamento della consistenza è stato stabile in quattro allevamenti, comprendenti i due più grandi, in altri tre, di cui due molto piccoli, è stato in aumento e negli altri due, altrettanto piccoli, è stato in diminuzione. Tra l’altro gli allevamenti in calo sono tra quelli con il più basso rapporto UBA/SAU (intorno a 0,5). Riguardo alle problematiche relative alle produzioni foraggere affrontate sia nel processo di conversione che nella fase a regime, sono state eviden-ziate la conservazione dei foraggi, l’adeguamento del parco macchine e l’organizzazione del lavoro (Appendice – Tab. 29). Rispetto alle produzio-ni animali le difficoltà più rilevanti sono state il reperimento dei ristalli biologici, quindi la composizione della razione, il reperimento dei mangi-mi e la gestione degli aspetti sanitari.
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L’intera mandria dei bovini da carne è composta per quasi i 2/3 da in-croci, la restante parte è suddivisa tra diverse razze: la Pezzata rossa, la Limousine e la Bruna sono le più rappresentate (Grafico 11).I 3/4 degli allevamenti sono organizzati secondo la linea “vacca-vitello”; di questi la maggioranza dispone del toro per la monta naturale. Soltanto due allevamenti, uno dei più grandi e uno dei più piccoli, ingrassano i ristalli acquistati24 che provengono dal Veneto (Limousine) e dalla Sarde-gna (incroci).Sulla base dei dati raccolti sono stati calcolati i seguenti indici e parame-tri riproduttivi medi relativi agli allevamenti a ciclo chiuso (linea vacca-vitello), determinati da valori anche molto diversi appartenendo a realtà assai variegate:
il numero degli interventi di fecondazione artificiale negli allevamenti a) dove non c’è il toro è uguale a 2 per vacca (valore stabile); il numero dei parti per vacca nutrice è 5,4, valore tendenzialmente b) stabile ad eccezione di due allevamenti tra cui quello con il dato più basso, nei quali è in aumento; l’età media al 1° parto è di circa 29 mesi; c) il numero dei giorni di intervallo medio parto-concepimento è 178 d) (valore stabile); l’indice di natalitàe) 25 è stabilmente intorno a 100; l’indice di mortalità pre-svezzamento è stabile e di poco superiore allo f) zero.
24) In effetti c’è un terzo allevamento che, avendo iniziato soltanto nel 2007 la costituzione di una quota di vacche nutrici, ha acquistato la maggior parte dei ristalli in Austria.25) Rapporto tra il numero dei vitelli nati vivi e il numero delle vacche rimaste gravide.
La razza Simmental è presente con un solo capo costituito da un toro.
Grafico 11 - Consistenza complessiva dei bovini da carne, per razza (2007)
Bruna 4,5% Limousine 11,8%
Pezzata rossa 16,0%
Rendena 3,7%
Romagnola 2,1%
Simmental 0,3%
Incroci 61,7%
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Riguardo all’ingrasso, circa la metà degli allevatori produce manze e vitel-loni, generalmente di età variabile intorno ai 20 mesi. Normalmente l’in-cremento medio giornaliero è abbastanza differenziato, in funzione della razza, dell’alimentazione e più in generale dell’insieme delle condizioni di allevamento e comunque varia entro valori non particolarmente elevati, arrivando al massimo a quasi 1 kg nelle stalle più grandi. Un altro terzo degli allevamenti produce manzette e vitelloni più giovani con incremen-ti ponderali relativamente bassi simili ai precedenti. Infine altri due alle-vamenti hanno scelto di produrre vitelli di sei mesi di peso superiore ai 200 kg. Generalmente negli allevamenti con più anni di attività questi parametri tendono ad assumere un andamento stabile.
Quasi la metà degli allevamenti rilevati, tra i più piccoli e del tipo linea vacca-vitello, tiene gli animali sempre al pascolo26 dove al massimo sono presenti delle tettoie di protezione (Appendice – Tab. 24). Negli altri la stalla è di età molto variabile, si va dai 5 agli oltre 90 anni, con una media intorno ai 30 anni. La quasi totalità delle stalle è dotata di paddok e di un locale di isolamento. Soltanto un allevamento, quello con le strutture più vecchie, è in deroga al divieto di stabulazione fissa in quanto sotto le 30
26) Per un allevamento si tratta di parchetti a rotazione e per un altro la stalla viene utilizzata esclusivamente per il “finissaggio” dei capi all’ingrasso (massimo due mesi).
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UBA, ha il paddok in terra ed è senza locale di isolamento. Una sola stalla è stata ristrutturata e l’intervento è stato realizzato in occasione della con-versione al biologico. Nella maggior parte dei casi l’asporto delle deiezio-ni solide viene effettuato mediante ruspa, soltanto in due stalle avviene tramite raschiatore (Appendice – Tab. 25). Il letame raccolto, originato da una lettiera formata normalmente da paglia, viene prima depositato in concimaie a platea e dopo un periodo variabile dai sei ai dodici mesi viene distribuito totalmente in azienda. Cinque stalle, tra quelle di medio-grandi dimensioni, raccolgono i liquami in apposite vasche e li distribui-scono poi esclusivamente in azienda.Come già evidenziato in precedenza, anche per i bovini da carne il ra-zionamento è risultato essere una delle problematiche del processo di conversione e della fase a regime, anche a causa delle difficoltà di repe-rimento dei mangimi biologici e del loro costo. Bisogna comunque rile-vare che negli allevamenti bovini da carne l’autosufficienza alimentare è superiore rispetto a quelli da latte, anche in considerazione del fatto che i concentrati sono somministrati meno diffusamente e in quantità minori. In pratica sono state rilevate le razioni medie giornaliere per capo di due categorie di animali particolarmente significative: le vacche nutrici gravi-de (in stalla e al pascolo) e i capi all’ingrasso dai 300 ai 600 kg, maschi e femmine (in stalla e al pascolo). Razione vacche nutrici gravide in stalla: è somministrata in tre alleva-menti ed è costituita quasi esclusivamente da fieno aziendale, fornito in dosi variabili da 15 a 20 kg, in un caso integrato con 2 kg di erba fasciata e in un altro con 2,5 kg di mangimi, in parte acquistati. Razione vacche nutrici gravide al pascolo: le fattrici gravide sono pasco-late in tutti e sette gli allevamenti in cui sono presenti; il periodo di pa-scolo ha una durata media di circa 300 giorni, in quattro allevamenti tra i più piccoli è addirittura permanente per tutto l’anno; quasi sempre viene integrato con fieno aziendale (da 5 a 15 kg) e soltanto in due allevamenti viene effettuata un’ulteriore integrazione con una quantità variabile da 0,5 a 2 kg di mangime acquistato a base di cereali.Razione bovini da ingrasso (M/F: 300/600kg) in stalla: è somministra-ta in quattro allevamenti ed è composta da foraggio aziendale costituito fondamentalmente da fieno, in quantità variabile da 5 a 15 kg, talvolta in-tegrato con insilato d’erba (da 2 a 15 kg), oppure con erba medica (4 kg); sempre è presente l’integrazione con concentrati a base di cereali nella misura variabile da 2 a 4 kg, in gran parte acquistati.
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Razione bovini da ingrasso (M/F: 300/600kg) al pascolo: questo tipo di razionamento, come quello per le nutrici gravide al pascolo, è il più diffuso essendo anch’esso presente in sette allevamenti su nove; la durata media del pascolamento è un po’ più breve, circa 290 giorni, mentre in quattro alleva-menti avviene tutto l’anno27; in cinque casi il pascolo viene integrato con fieno aziendale, in quantità variabile da 5 a 15 kg, e solo in uno viene fornita un’integrazione di 4 kg di mangimi a base di cereali prodotti in azienda.Nessun allevamento utilizza prodotti convenzionali nella composizione della razione.In ultima analisi si evidenzia che le razioni dei bovini da carne, rispetto a quelle che potrebbero essere delle composizioni standard, sono par-ticolarmente ricche di foraggi, che sono la componente per eccellenza prodotta in azienda, e mediamente un po’ povere di concentrati, che nella quasi totalità devono essere acquistati. Questo aspetto d’altra parte sem-bra essere confermato anche dagli incrementi ponderali dei capi all’in-grasso che, come descritto in precedenza, sono medio-bassi. Naturalmen-te anche il costo medio complessivo della quota acquistata della compo-nente mangimistica dei vari tipi di razione giornaliera per capo è molto contenuto e pari a 0,21 €, compreso tra un minimo di 0,10 € relativo a una razione per vacche nutrici gravide al pascolo e un massimo di 1,12 € relativo a una razione per bovini da ingrasso in stalla. Per quanto riguarda le modalità di produzione dei foraggi, la quasi totalità delle aziende con allevamento bovino da carne effettua la fienagione tradi-zionale; soltanto una attua quella in due tempi ventilando il foraggio in fie-nile con aria a temperatura ambiente (Appendice – Tab. 26). In ogni caso le macchine utilizzate sono sempre a funzione semplice. Un terzo delle azien-de, oltre alla fienagione, pratica anche l’insilamento dei foraggi mediante la fasciatura delle rotoballe; normalmente la quantità di foraggio insilato varia tra il 20 e il 25% del foraggio verde prodotto complessivamente. Un ultimo aspetto è quello relativo ai trattamenti veterinari che nel com-plesso sono stati molto contenuti. In sostanza sono stati effettuati inter-venti contro le parassitosi intestinali utilizzando prodotti antielmintici28 e derivati omeopatici, e contro le sindromi respiratorie di vitelli e manzette con antibiotici. In un allevamento sono stati attuati interventi di profilassi vaccinale volontaria contro la clostridiosi.
27) In effetti in uno di questi quattro allevamenti i capi all’ingrasso trascorrono gli ultimi due mesi in stalla per il “finissaggio”.28) Farmaci in grado di uccidere vermi parassiti intestinali o che comunque ne provocano l’espulsione.
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2.2 - Gli allevamenti ovicaprini e suini
2.2.1 - Allevamenti ovini
L’allevamento biologico delle pecore è poco presente in Veneto; sono sol-tanto quattro gli allevamenti rilevati: due nella montagna bellunese e due in pianura (in provincia di Venezia e di Verona) (Appendice - Tab. 01). Due aziende attuano altri due allevamenti biologici ciascuna. Soltanto uno de-gli allevamenti rilevati è in conversione e non è abbinato a nessun altro allevamento.A fronte del loro modesto numero, le greggi rilevate presentano però una consistenza abbastanza elevata in termini di pecore adulte, variando da 130 a più di 500 capi, con una media di quasi 240 animali negli allevamenti bio-logici e di oltre 500 capi in quello in conversione (Appendice – Tab. 16). Inoltre la consistenza di tali allevamenti si muove secondo un trend com-plessivamente positivo che ne vede due stabili e due in aumento. In linea di massima gli allevatori non hanno incontrato particolari pro-blemi nella fase di conversione e nel periodo successivo. Soltanto un alle-vamento tra i più grandi ha indicato l’introduzione della rotazione, la ge-stione del pascolo e l’organizzazione del lavoro, tra gli aspetti che hanno provocato qualche difficoltà.Nel complesso sono presenti, oltre agli incroci, sei razze delle quali tre sono considerate da carne (Bergamasca, Lamon e Vicentina), due a du-plice attitudine (Alpagota e Brogna) e una da latte (Massese29), sebbene nessun allevamento produca latte. Più dell’80% delle pecore è suddiviso tra le razze Bergamasca e Alpagota e gli incroci (Grafico 12). Tutti gli allevamenti sono indirizzati nella produzione di carne sotto for-ma di “capi vivi”, fondamentalmente agnelli. Pertanto, sulla base dei dati raccolti, sono stati determinati alcuni indici e parametri medi direttamen-te collegati con questo specifico indirizzo produttivo: a) la vita produttiva delle pecore è di 6-7 anni, con il primo parto spostato
un po’ in avanti tra il 15°-16° mese e un numero di agnelli per parto variabile da 1,2 a 1,5 (tutti valori normalmente stabili);
b) l’indice di mortalità degli agnelli è stabile intorno al 5%; c) la mortalità delle pecore varia stabilmente tra il 2 e il 3%.
29) Le pecore di questa razza appartengono tutte all’allevamento in conversione costituito però prevalente-mente da bergamasche.
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Grafico 12 - Consistenza complessiva delle pecore, per razza (2007)
Alpagota22%
Bergamasca31%
Brogna2%
Lamon2%
Massese11%
Vicentina3%
Incroci29%
La causa più segnalata di riforma delle femmine adulte è l’età.Generalmente gli agnelli da macello sono “agnelli pesanti” venduti tra i 60 e i 90 giorni a un peso che varia dai 22 ai 25 kg; soltanto un allevamento tende a prolungare la fase di ingrasso producendo “agnelloni precoci” di 120 giorni con un peso di 25-30 kg.
Solo un allevamento non possiede strutture per il ricovero degli animali, che pertanto sono mantenuti costantemente al pascolo. Gli altri, a parte uno che ha una stalla di pochi anni, dispongono di ricoveri anche molto vecchi; in un caso, in concomitanza con la conversione del gregge, sono stati eseguiti lavori di ristrutturazione (Appendice – Tab. 24). Generalmen-te la lettiera è costituita da paglia e l’asporto del letame viene realizzato mediante ruspa, ma anche manualmente. Dopo un periodo di maturazio-ne in concimaia, variabile da 6 a 12 mesi, il letame viene totalmente distri-buito in azienda. Soltanto una stalla è dotata di una vasca liquami coperta che viene svuotata una volta all’anno distribuendo tutto il contenuto sui terreni aziendali.L’alimentazione delle pecore è molto semplice, basata quasi fondamen-talmente sul foraggio; soltanto in un caso viene somministrata anche una piccola parte di mangime, acquistato a 0,38 €/kg. In pratica la razione giornaliera in stalla per capo è composta da fieno aziendale, normalmente nella dose di 2 kg, spesso integrato, durante la fase di allattamento, con mangimi a base di cereali aziendali (da 200 a 500 g/capo/giorno). Quando sono al pascolo, dove stanno sempre quelle dell’allevamento in conver-sione, generalmente non ricevono alcuna integrazione, se non in qualche
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caso30. La base alimentare degli agnelli è il latte materno che poi viene integrato con fieno e/o con il pascolo; soltanto in un caso viene aggiunta una piccola dose di orzo (circa 100 g/capo/giorno). Nessun allevamento utilizza prodotti convenzionali per l’alimentazione degli animali.Per quanto riguarda la produzione dei foraggi, ad eccezione dell’azienda che tiene il gregge costantemente al pascolo, tre attuano la fienagione: due quella tradizionale, il terzo quella in due tempi ventilando l’erba parzial-mente appassita con aria a temperatura ambiente (Appendice – Tab. 26). I cantieri di raccolta sono costituiti da macchine a funzione semplice.Nell’anno considerato sono stati effettuati alcuni trattamenti veterinari con farmaci convenzionali contro le parassitosi intestinali, sia su pecore che su agnelli. In un allevamento è stata pure eseguita la profilassi vacci-nale volontaria contro la clostridiosi.
2.2.2 - Allevamenti caprini
Gli undici allevamenti caprini rilevati sono localizzati prevalentemente in montagna e distribuiti in tre province (Grafico 13). Tre allevamenti, tra quelli medio-grandi, sono all’interno di aziende dove si attuano anche altri piccoli allevamenti biologici.
30) Un allevamento somministra un po’ di fieno (circa 0,5 kg/capo/giorno), un altro distribuisce gli scarti di lavorazione degli ortaggi.
Grafico 13 - Distribuzione degli allevamenti caprini,per provincia e zona altimetrica (2007)
BL PD RO TV VE VI VR
Montagna Collina Pianura
Nr.
Alle
vam
enti
6
5
4
3
2
1
0
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Tutti gli allevamenti sono già biologici a regime da almeno alcuni anni e han-no una consistenza, riferita alle capre adulte, che varia dai 30 ai 160 capi, con una media pari a circa 100 unità (Appendice – Tab. 18). In più di metà degli allevamenti, soprattutto in quelli di dimensioni medio-grandi, la consistenza ha un andamento in crescita, mentre in tutti gli altri tende a essere stabile. Un solo allevamento, tra quelli più piccoli, pratica il taglio delle corna. Gli aspetti che hanno reso più problematico il processo di conversione e anche la fase successiva sono stati, riguardo alle produzioni foraggere, la gestione delle malerbe, le nuove modalità di concimazione, la conserva-zione dei foraggi e l’adeguamento del parco macchine. Con riferimento invece all’allevamento vero e proprio, le maggiori difficoltà affrontate han-no riguardato l’alimentazione (composizione della razione, reperimento dei mangimi biologici e autosufficienza alimentare), gli aspetti sanitari e l’organizzazione del lavoro (Appendice – Tab. 29). I 3/4 delle greggi sono costituiti da animali di una sola razza; nel comples-so, oltre agli incroci, sono presenti soltanto due razze: la Camosciata e la Saanen, che è la più numerosa (Grafico 14).
Tutti gli allevamenti producono sia latte che carne, sotto forma di capret-ti. Complessivamente le capre sono oltre un migliaio, con una produzione media di latte pari a quasi 530 kg/capo/lattazione31, valore che risulta essere intermedio rispetto agli standard produttivi delle principali razze allevate. Tuttavia tale valore varia in misura più o meno rilevante da un
31) Normalmente si ha una lattazione all’anno.
Grafico 14 - Consistenza complessiva dei caprini, per razza (2007)
Incroci19%
Camosciata34%
Saanen47%
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allevamento all’altro, anche in presenza di capi della stessa razza, molto probabilmente per effetto della diversa genetica degli animali e della dif-ferente gestione delle greggi (Appendice – Tab. 31). Gli indici di qualità del latte sono mediamente buoni e senza grandi variazioni (grasso 3,1%, proteine 3,0%). Gli indici igienico-sanitari32, disponibili purtroppo per un numero limitato di allevamenti, variano invece considerevolmente da un gregge all’altro; in ogni caso, mentre per quanto riguarda la carica batte-rica i valori si mantengono abbondantemente al di sotto dei limiti pre-scritti, nel caso delle cellule somatiche tre allevamenti superano i valori massimi suggeriti dalla buona prassi.Sulla base dei dati raccolti sono stati calcolati i seguenti indici e parametri riproduttivi medi: a) la vita produttiva delle capre dura da 5 a 6 anni con la tendenza a spo-
starsi verso il limite massimo; b) il 1° parto avviene quando le capre hanno circa 14 mesi e in alcuni
allevamenti anche 1-2 mesi prima, il che significa che le femmine ven-gono fecondate molto giovani, appena raggiunta la maturità sessuale, anche se normalmente si consiglia di attendere ancora qualche mese per consentire un ulteriore irrobustimento dell’animale; questa scelta tende comunque a essere stabile;
c) il numero di capretti per parto è stabilmente intorno a 1,4 senza sen-sibili variazioni da un gregge all’altro, però con una mortalità media in-torno al 4%; in ogni caso la maggior parte degli allevamenti, con l’80% delle capre, ha un indice di mortalità dei capretti che è stabilmente pari o sotto la media;
d) anche la mortalità delle capre è abbastanza variabile attorno alla media che è pari all’1,6%.
Tra le cause più segnalate di riforma delle femmine adulte ci sono prin-cipalmente la diminuzione della produzione di latte e l’età, poi anche la CAEV33 e l’infertilità. I capretti da macello vengono tenuti normal-mente fino all’età di 40-45 giorni con un peso che oscilla tra gli 11 e 15 kg.
32) Per il latte di capra non esiste un valore limite delle cellule somatiche fissato per legge, come per il latte vaccino; però generalmente si ritiene opportuno che tale valore possa arrivare al massimo tra le 500.000 e le 750.000 unità/ml; riguardo invece alla carica batterica, il DPR n. 54 del 14 gennaio 1997 prescrive che il numero dei germi debba essere inferiore a 500.000/ml se il latte è destinato alla produzione di formaggi a latte crudo e a 1,5 milioni/ml per i formaggi a latte pastorizzato. 33) La CAEV (artrite-encefalite virale delle capre) è una malattia infettiva causata da un virus della famiglia dei retrovirus (i primi casi sono stati rilevati nel 1974); colpisce soprattutto le razze da latte provocando la riduzione della produzione, anche fino al 30%, una maggiore predisposizione degli animali infetti a contrarre malattie, una minore longevità degli stessi e disturbi nello sviluppo dei giovani animali.
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Tutti gli allevamenti caprini rilevati dispongono di ricoveri per gli animali costruiti in tempi abbastanza recenti (età media pari a 15 anni), e soltanto in due casi la stalla supera i vent’anni; in cinque aziende sono stati eseguiti dei lavori di ristrutturazione, alcuni in concomitanza della conversione al metodo biologico (Appendice – Tab. 24). La quasi totalità delle stalle è dotata di pad-dock pavimentati o in terra e oltre il 70% dispone di un locale di isolamento. Altrettanto diffusa è la sala di mungitura con un numero di poste variabile da 6 a 26 a seconda delle dimensioni dell’allevamento; in un gregge la mungitura è manuale, in altri due viene effettuata con mungitrice mobile. Tutti, sia che vendano il latte sia che lo trasformino in azienda, dispongono di un impianto di refrigerazione abbastanza proporzionato alle rispettive esigenze. Riguardo all’asporto del letame, generalmente formato da una lettiera a base di paglia con l’aggiunta talvolta di segatura e stocchi di mais, una sola stalla è dotata di raschiatori, nella maggior parte delle altre viene eseguito mediante ruspa e in quattro ancora manualmente (Appendice – Tab. 25). Nella quasi totalità delle aziende il letame viene depositato in concimaie a platea, soltanto in un piccolo allevamento viene accumulato direttamente sul terreno. In prevalenza lo svuotamento della concimaia avviene ogni 6-12 mesi e il letame nell’80% dei casi viene distribuito totalmente sui terreni aziendali; in due aziende, che hanno sottoscritto un “programma produttivo di comprensorio”, un parte minoritaria del letame prodotto viene portata fuori. La vasca per la raccolta dei liquami è presente in circa la metà delle stalle, è quasi sempre coperta e in alcuni casi viene effet-tuata la separazione della frazione solida. Lo svuotamento normalmente avviene ogni 6-12 mesi e i liquami vengono distribuiti in azienda, salvo il caso di una delle due aziende che dispongono del “programma produtti-vo di comprensorio”, la quale li distribuisce in parte anche fuori.Se da un lato la capra è un animale molto rustico che si adatta anche ad ambienti poveri con foraggi secchi e legnosi, dall’altro per ottenere una buona produzione di latte, soprattutto in presenza di razze selezionate e migliorate in tal senso, è necessario che l’alimentazione preveda anche l’aggiunta di concentrati. Infatti l’uso dei mangimi nella composizione della razione è particolarmente diffuso, analogamente a quanto accade per i bovini da latte; in pratica, sulla base dei dati raccolti, sono state indi-viduate le seguenti razioni giornaliere medie per capo.Razione capre in asciutta (in stalla e al pascolo): a) le capre in asciutta in stalla mangiano fondamentalmente fieno azienda-
le, in quantità variabile da un allevamento all’altro da 1 a 3 kg, integrato in taluni casi con piccole dosi di mangime acquistato (da 200 a 400 g);
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b) al pascolo ricevono spesso un’integrazione di fieno aziendale (tra 1 e 2,5 kg) e qualche volta anche piccole quantità di concentrato acqui-stato (da 200 a 500 g); il pascolo, che dura mediamente oltre otto mesi, nella maggior parte dei casi è a rotazione, in un’azienda è brado o se-mibrado, in un’altra gli animali hanno direttamente accesso al pascolo tutti i giorni e in altre due vengono condotti al pascolo per alcune ore ogni giorno durante il periodo di pascolamento.
Razione capre in lattazione (in stalla e al pascolo): a) in stalla la componente foraggera è costituita generalmente da fieno
aziendale nella dose variabile da 1 a 2,5 kg, a cui viene aggiunta una quantità di concentrati acquistati che varia da 0,3 a 1,3 kg;
b) il pascolo, di durata e gestione come indicato sopra, viene quasi sem-pre integrato con una dose di fieno aziendale, variabile da 0,5 a 2,5 kg, alla quale talvolta si aggiunge un piccola quantità di erba fasciata o medica pressata; la componente mangimistica, sempre presente e totalmente acquistata, varia da 0,3 a 1,3 kg.
Razione capretti/e da macello:i capretti vengono venduti sul “mercato convenzionale”, per cui la loro dieta non sempre segue le prescrizioni del metodo biologico; comunque la loro razione è composta da latte, principalmente in polvere, al quale dopo un certo numero di giorni dalla nascita spesso viene aggiunta una piccola dose di fieno aziendale (da 0,2 a 0,7 kg) o una piccola quantità di concentrato acquistato (da 100 a 300 g).Soltanto in due allevamenti sono presenti nella razione alimenti conven-zionali; in uno vengono somministrate alle capre in lattazione delle polpe di barbabietola nella misura del 5% (in diminuzione), nel secondo viene utilizzato come mangime del mais schiacciato in quantità inferiori al 10% (sempre in termini di sostanza secca su base annua). I prezzi dei mangimi acquistati, ritenuti dagli allevatori in continuo aumento con riferimento ai due anni che hanno preceduto il 2007, variano da 0,22 a 0,50 €/kg. Nel complesso il costo della quota di concentrati che entra nella razione media giornaliera per capo e che ne costituisce l’unica componente acquistata varia da 0,27 € per le capre in lattazione (sia in stalla che al pascolo) a 0,13-0,16 € per le capre in asciutta (rispettivamente in stalla e al pascolo).Tutte le aziende attuano la fienagione tradizionale utilizzando macchine a funzione semplice, soltanto una dispone di macchine a funzione multipla. L’insilamento è praticato da due sole aziende ricorrendo alle rotoballe fasciate con le quali viene conservato circa il 20-25% del foraggio verde
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prodotto. In particolare una, trovandosi in zona montana, effettua l’insila-mento in funzione dell’andamento meteorologico della stagione estiva.Per quanto riguarda infine i trattamenti veterinari, ancora abbastanza dif-fuso è stato il ricorso ai farmaci allopatici; in alcuni allevamenti sono stati utilizzati anche prodotti omeopatici e fitoterapici; solo nei casi più gravi si è intervenuto con farmaci convenzionali. Le patologie sulle quali si è intervenuti nel maggior numero di allevamenti sono state le parassitosi intestinali delle capre, seguite a distanza da altre, come le parassitosi re-spiratorie delle capre, la diarrea neotale, le mastiti acute, ecc. (Grafico 15). La profilassi vaccinale volontaria contro la clostridiosi è stata attuata da un solo allevamento.
2.2.3 - Allevamenti suini
I sei allevamenti suini rilevati sono già tutti biologici ormai da alcuni anni e sono localizzati prevalentemente in pianura: due in provincia di Padova, gli altri quattro rispettivamente nelle province di Rovigo, Treviso, Venezia e Belluno (Appendice – Tab. 01). Cinque di questi allevamenti si trovano in altrettante aziende dove si allevano anche altre specie, per lo più con meto-do biologico (soprattutto avicoli). Rispetto alle modalità di ingrasso, la metà è organizzata secondo il sistema a “ciclo chiuso”, cioè produce in proprio i suinetti che provvede a ingrassare, invece l’altra metà è a “ciclo aperto”, nel
Grafico 15 - Patologie più diffuse negli allevamenti biologici caprini (2007)
sindromirespiratorie
(capre)
sindromirespiratorie
(capretti)
diarreaneonatale
abortotardivo
mastitiacute
parassitosiintestinali
(capre)
parassitosirespiratorie
(capre)
parassitosirespiratorie
(capretti)
distorsioni-fratture(capre)
Nr.
alle
vam
enti
7
6
5
4
3
2
1
0
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senso che acquista i magroncelli da destinare all’ingrasso. Nel complesso sono allevamenti medio-piccoli la cui consistenza varia da poco meno di 20 a poco più di 10034 capi (Appendice – Tabb. 19-20). Normalmente tali consistenze hanno un andamento stabile, a parte i due allevamenti a ciclo chiuso più piccoli che negli ultimi tempi hanno incrementato il numero dei capi allevati. Tutti gli allevamenti sono composti o da ibridi commercia-li o da incroci aziendali, rispettivamente l’87 e il 13% dei capi.Per quanto riguarda la produzione dei foraggi, i problemi maggiormente avvertiti durante il periodo di conversione e anche in quello a regime sono stati la gestione delle malerbe, l’adeguamento del parco macchine e l’orga-nizzazione del lavoro, l’introduzione della rotazione, la minore produzione di foraggi e la loro conservazione. Molteplici sono anche le problematiche relative alla conduzione della porcilaia, quali il reperimento di suinetti bio-logici da destinare all’ingrasso, la realizzazione del piano di adeguamento delle strutture, l’autosufficienza alimentare unitamente al reperimento dei mangimi biologici, gli aspetti sanitari, ecc. (Appendice – Tab. 29). Dall’elaborazione dei dati rilevati riguardo agli allevamenti a ciclo chiuso, che ricorrono tutti alla fecondazione naturale, sono stati ricavati i seguen-ti indici e parametri riproduttivi medi, alcuni dei quali simili a quelli rela-tivi agli allevamenti convenzionali, altri superiori a questi ultimi35: a) il numero di parti per scrofa varia da 5 a 6, decisamente maggiore di
quello che si registra mediamente negli allevamenti convenzionali, con età al primo parto variabile da 11 a 13 mesi; ambedue questi parametri tendono a essere stabili;
b) l’interparto varia in modo abbastanza stabile da 150 a 180 giorni; c) il numero medio di suinetti nati vivi da ogni parto varia da 8 a 11,5; d) in due allevamenti i suinetti vengono svezzati a un’età che varia nor-
malmente tra i 35 e i 45 giorni, nel terzo si è arrivati all’età di 60 giorni per effetto di un incremento registrato negli ultimi tempi;
e) anche l’indice di mortalità dei suinetti in pre-svezzamento si mantiene stabile tra il 15 e il 20% negli stessi due allevamenti di prima, mentre nel terzo è praticamente a valori quasi nulli; nel complesso si tratta quindi di valori più che accettabili, considerato il tipo di allevamento36;
34) L’allevamento a ciclo chiuso di maggiori dimensioni (25 scrofe) è quello gestito da Veneto Agricoltura.35) Negli allevamenti suinicoli italiani tra il 2001 e il 2006 i seguenti indici si sono così modificati: a) parti per scrofa da 2,23 a 2,18; b) interparto da 164 a 168 giorni; c) suinetti nati vivi per parto da 10,3 a 10,6; d) età dei suinetti allo svezzamento da 26 a 27 giorni; e) mortalità dei suinetti in presvezzamento da 11,9 a 10,6% (Suinicoltura italiana e costo di produzione – Opuscolo C.R.P.A. N. 2/2007).36) Nelle sperimentazioni realizzate in Italia sugli allevamenti all’aperto si è arrivati anche al 30% di suinetti morti nella stagione fredda (Bondesan Valerio, Carazzolo Alberto, L’allevamento del suino all’aperto. Veneto Agricoltura, 2001).
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f) l’indice di mortalità delle scrofe è stabilmente intorno al 5% nell’alle-vamento dove hanno la vita produttiva più breve, l’età più giovane al 1° parto e l’interparto più corto; negli altri due è quasi nullo.
In tutti gli allevamenti l’ingrasso dei suinetti è finalizzato alla produzione del suino pesante con tempi e pesi abbastanza costanti. In quelli a ciclo chiuso la durata dell’ingrasso varia normalmente da 10 a 13 mesi, per arri-vare al capo finito con un peso tra i 170 e i 200 kg. Negli allevamenti a ciclo aperto la durata varia invece entro un intervallo più ampio, compreso tra gli 8 e i 14 mesi, e anche il peso finale del suino arriva a valori superiori, va-riando tra i 170 e i 220 kg. I suinetti vengono sempre acquistati in Veneto.Tutti gli allevamenti, a parte uno a ciclo aperto di dimensioni complessi-ve medie, svolgono l’intero ciclo di produzione aziendale con gli animali tenuti all’aperto o meglio utilizzando particolari ricoveri mobili costituiti da capannine poste all’interno di apposite aree recintate (Appendice – Tab. 24). Pertanto nei tre allevamenti a ciclo chiuso avvengono all’aperto la riproduzione, lo svezzamento, l’ingrasso e il finissaggio; la superficie complessiva destinata ai suini rapportata al numero delle scrofe è inver-samente proporzionale alla consistenza dell’allevamento, variando dai 5.000 mq/capo nell’allevamento più piccolo ai 1.500 mq/capo in quello più grande. Nei due allevamenti a ciclo aperto che attuano queste moda-
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lità di conduzione, gli animali restano all’aperto sia per l’ingrasso che per il finissaggio. Soltanto la metà degli allevamenti dispone di un locale di isolamento. L’unica stalla/porcilaia utilizzata, dotata di paddock pavimen-tati, è abbastanza recente avendo un’età inferiore ai 10 anni; la lettiera è costituita da paglia e il letame, asportato manualmente, viene dapprima accumulato nella concimaia per poi essere distribuito esclusivamente sui terreni aziendali ogni sei mesi circa (Appendice – Tab. 25). In tutti gli allevamenti la composizione della razione media giornaliera per capo tende a differenziarsi in misura abbastanza significativa, a con-ferma di quanto già detto in precedenza a proposito degli aspetti che condizionano l’alimentazione degli animali. Comunque negli allevamenti a ciclo chiuso, di medie e piccolissime dimensioni, la razione si diffe-renzia più in termini quantitativi che qualitativi. Di seguito si riportano in dettaglio le principali tipologie di razione media giornaliera per capo somministrate in questi allevamenti. Razione scrofe: a) in gestazione: solo nell’allevamento più piccolo con appena due scrofe
il pascolo viene integrato con una piccola quantità di altro foraggio aziendale (0,5 kg di fieno); la componente mangimistica varia da 3 a 5 kg con un costo vivo di 1,26 €/capo/giorno per l’azienda che l’acqui-sta totalmente, contro gli 0,11 e 0,16 €/capo/giorno per le altre due che l’acquistano soltanto nella misura del 20%;
b) in allattamento: stessa identica situazione riguardo al foraggio; la quota dei mangimi varia invece da 3 a circa 7 kg con un costo esplicito di 2,52 €/capo/giorno per l’azienda che l’acquista in toto e rispettiva-mente di 0,22 e 0,16 €/capo/giorno per le altre due che l’acquistano soltanto in parte.
Razione suino pesante: a) 1a fase di accrescimento (30-90 kg): anche in questo caso nell’alleva-
mento più piccolo il pascolo viene integrato con una dose molto mo-desta di foraggio aziendale; la quantità dei concentrati è invece abba-stanza simile in tutti e tre gli allevamenti, variando da 1,8 a 2,3 kg; ciò che resta ancora notevolmente diversa è la quantità acquistata, che nell’allevamento più grande comporta un costo giornaliero per capo di 0,84 € contro gli 0,09 e 0,15 € negli altri due;
b) 2a fase di accrescimento: stessa identica situazione per quanto riguarda il foraggio; la quota dei mangimi varia invece dai circa 2,7 kg dell’al-levamento più piccolo ai 4,5-5 kg degli altri due, con costi giornalieri
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per capo di 1,92 € nell’allevamento più grande e di 0,18 e 0,11 € negli altri due allevamenti.
Anche negli allevamenti a ciclo aperto, tra cui è presente l’unica struttura che non effettua il pascolo, la composizione quantitativa della razione giornalie-ra per capo del suino pesante è caratterizzata da un’ampia variabilità tra le diverse realtà aziendali. Il foraggio viene fornito esclusivamente attraverso il pascolo e i mangimi vengono acquistati in varia misura rispetto alle necessità delle singole aziende. In pratica nella prima fase di accrescimento la quantità dei mangimi varia da 1 a 2 kg, mentre il costo sostenuto per acquistare la par-te non prodotta in azienda va da 0,08 a 0,40 €/capo/giorno. Nella seconda fase sia le quantità che i costi vivi tendono a differenziarsi ulteriormente, an-dando da circa 2 a 4-5 kg le prime e da 0,08 a oltre 1,5 €/capo/giorno i secon-di, sempre con riferimento alla parte dei mangimi non prodotti in azienda.Gli alimenti convenzionali, in forma di crusca e farina di medica, entrano nella razione soltanto in due allevamenti a ciclo aperto e, rispettivamente, nella misura del 10 e 5% della sostanza secca su base annua.Riguardo alla gestione sanitaria, la maggioranza degli allevamenti ha sot-toposto i propri animali a trattamenti di profilassi vaccinale soprattutto contro la malattia di Aujeszky e poi anche contro il mal rosso e la parvo-virosi. È stato inoltre eseguito qualche trattamento con antibiotici e con prodotti fitoterapici (diarrea post-svezzamento e parassitosi intestinali).
2.3 - Gli allevamenti avicoli e apicoli
2.3.1 - Allevamenti avicoli
Gli undici allevamenti avicoli rilevati, già tutti biologici a regime, sono localizzati per la maggior parte in pianura e soltanto uno in montagna e un altro in collina. In termini geografici sono presenti in cinque province, prevalentemente in quelle di Verona e Treviso (Grafico 16).Sette sono allevamenti di grandi dimensioni specializzati esclusivamente per la produzione di uova e non sono abbinati ad alcun altro allevamento. Gli altri quattro sono invece a indirizzo misto (uova e carne) o per la sola produzione di carne; sono di dimensioni medio-piccole e per lo più sono abbinati ad altri allevamenti biologici, soprattutto suinicoli.La consistenza media degli allevamenti specializzati di ovaiole è partico-larmente elevata, supera infatti i 20.000 capi (Appendice – Tab. 21). I sin-
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goli allevamenti hanno però consistenze molto diverse, andando da un mi-nimo di 8.400 a un massimo di 30.000 capi; in ogni caso si tratta di valori normalmente stabili, a parte quello maggiore che è il risultato di un trend in aumento. Questi sono gli unici allevamenti avicoli che hanno dovuto adottare, a causa della loro consistenza, il “programma produttivo di com-prensorio”. La situazione dei quattro allevamenti da carne o misti è assai più variegata, sia in termini di consistenza complessiva (si va da quasi 140 capi a oltre 700), sia per quanto riguarda le specie allevate: capponi, anatre e pollame da carne e da uova (Appendice – Tab. 22). Anche in questo caso si tratta di valori stabili, ad eccezione di un allevamento di polli e capponi che è in fase di diminuzione. Gli allevamenti misti sono due, con alcune decine di galline ovaiole insieme con gli altri avicoli da carne. Solo in un allevamento di ovaiole tra i più grandi viene praticato il taglio del becco. Nel complesso le difficoltà affrontate nel corso della conversione e nel periodo successivo sono state numerose, anche se non si discostano dal punto di vista qualitativo da quelle incontrate dagli altri allevamenti (Ap-pendice – Tab. 29). Riguardo alle produzioni erbacee sono state evidenzia-te soprattutto la gestione delle erbe infestanti, l’organizzazione del lavoro e l’adeguamento del parco macchine. Rispetto alla conduzione dell’alle-vamento vero e proprio il problema maggiore è stato l’autosufficienza alimentare, strettamente collegato con la necessità di reperire i mangimi biologici mancanti; in secondo luogo la scelta delle razze, la formulazione della razione correlata al costo dei mangimi, la produttività delle galline
Grafico 16 - Distribuzione degli allevamenti avicoli,per provincia e zona altimetrica (2007)
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e la qualità delle uova, infine la realizzazione del piano di adeguamento delle strutture e la gestione dei parchetti per il pascolo. In tutti gli allevamenti specializzati di ovaiole è presente un’unica razza, la Hy-Line, anche se in un caso è presente un numero imprecisato di Isa-Browne. Nei due allevamenti misti, invece, le poche decine di galline da uova sono di razza Padovana in uno e nell’altro sono incroci. I capi da carne sono prevalentemente ibridi e incroci di polli e di capponi, ma ci sono anche polli di razza Collo Nudo e anatre mute (Grafico 17).
Tre dei sette allevamenti specializzati da uova, pari complessivamente a circa il 45% della consistenza totale delle ovaiole rilevate, sono condotti in “soccida”, presente soltanto in questa tipologia di allevamenti biologici.Con riferimento agli allevamenti specializzati di ovaiole e sulla base dei dati rilevati sono stati elaborati i seguenti indici e parametri tecnico-pro-duttivi medi: a) la durata della vita produttiva è poco più di 15 mesi; valore general-
mente stabile e abbastanza omogeneo in quanto varia tra i 13 e i 16 mesi;
b) la deposizione annua per soggetto, pari a 267 uova, è in linea con quan-to mediamente si registra negli allevamenti biologici; anche questo è un dato tendenzialmente stabile, salvo in un allevamento tra i più gran-di dove appare in diminuzione;
c) il peso medio delle uova, pari a 62 g, è un valore stabile e si può rite-nere abbastanza soddisfacente collocandosi tra la pezzatura delle due categorie intermedie37 L e M;
37) In base al peso, le uova vengono classificate in quattro categorie: XL, grandissime, di 73 g e più; L, grandi, 63-73 g; M, medie, 53-63 g; S, piccole, meno di 53 g; vi sono poi le uova indifferenziate che sono quelle non classificate.
Grafico 17 - Consistenza complessiva degli avicoli da carne, per razza (2007)
Anatre mute2,7%Polli-Collo nudo
20,3%
Polli-Incroci4,7%
Polli-Ibridi37,2%
Capponi-Incroci0,7%
Capponi-Ibridi34,5%
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d) la mortalità delle galline è del 6,5%; anche questo, considerando il tipo di allevamento, può considerarsi un valore abbastanza soddisfacente perché, pur essendo superiore a quello degli allevamenti in gabbia, è comunque nettamente inferiore rispetto a quello dei tradizionali alle-vamenti a terra38.
Un ultimo aspetto riguarda la rimonta, che tutti gli allevamenti considera-ti realizzano acquistando le pollastre. Per quanto riguarda gli allevamenti avicoli da carne, sono stati calcolati alcuni indici e parametri medi per le due specie più significative: a) polli: in pratica, dei tre allevamenti che li producono, sono soltanto
due quelli che hanno dimensioni di un certo rilievo (da 300 a 550 capi per ciclo). In questi la durata del ciclo produttivo è stabile e varia da 140 a 115 giorni; anche il peso medio per capo è stabile ed è rispetti-vamente pari a 2,339 e 2,5 kg;
b) capponi: la durata del ciclo produttivo nei due allevamenti più significa-tivi, di dimensioni comunque medio-piccole (dai 200 ai 250 capi), varia stabilmente da 160 a 180 giorni per produrre capi del peso medio di 3,4 kg; uno di questi produce solo capponi e realizza un ciclo all’anno, a differenza dell’altro dove si allevano sia polli che capponi con un “vuo-to sanitario” alla fine di ogni ciclo produttivo che normalmente è di 40 giorni. La mortalità dei pulcini di ambedue le specie, che vengono acqui-stati sia in Veneto che in altre regioni, è abbastanza stabile all’interno dei singoli allevamenti, però varia da uno all’altro passando dall’1 al 5%.
Tutti gli allevamenti di ovaiole sono effettuati in strutture fisse costruite in tempi abbastanza recenti, salvo in due aziende nelle quali i fabbricati utiliz-zati hanno oltre vent’anni (Appendice – Tab. 24). La quasi totalità dei ricove-ri è dotata di apparecchi per la ventilazione e tutti hanno il pavimento pie-no al 100% con lettiera40 formata da segatura, o da sabbia, o da paglia oppure da trucioli. Tutti i ricoveri dispongono di parchetti in terra sottoposti a un periodo di riposo che varia dai 45 ai 90 giorni; soltanto in un caso si arriva a 120 giorni, che normalmente coincidono con la stagione invernale, durante la quale le galline restano all’interno del capannone. Due allevamenti bene-ficiano comunque della deroga che consente di utilizzare fino alla fine del 2010 manufatti non rispondenti pienamente ai requisiti richiesti. La lettiera,
38) Da Presinger e Schmutz (2002): mortalità media delle ovaiole in gabbia 2,5%, a terra 9,7%.39) Si tratta di polli di razza Collo nudo, allevata soprattutto in Veneto, ruspante, non adatta agli allevamenti intensivi e ad accrescimento più lento. 40) Solo uno è privo di lettiera.
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dopo essere stata asportata normalmente mediante ruspa e quasi sempre accumulata in concimaia per un periodo variabile da sei mesi a oltre un anno, viene distribuita sia sui terreni propri che su quelli delle aziende ade-renti al “programma produttivo di comprensorio”. La quantità che va fuori azienda varia dal 20 al 100%, con una media complessiva di quasi il 70%.La situazione degli allevamenti da carne è molto diversa riguardo alle strutture in quanto la metà, ovvero i due più grandi che allevano polli e capponi, sono realizzati in arche mobili. Gli altri due, di modeste di-mensioni, dispongono invece di manufatti vecchi, non sempre dotati di parchetti, in quanto gli animali (polli, capponi e anche anatre) vengono lasciati liberi di razzolare nei terreni circostanti ai ricoveri. La lettiera, quando c’è, e la pollina vengono totalmente distribuite in azienda.La razione fornita giornalmente alle galline ovaiole varia dai 110 ai 125 g/capo. Per quanto riguarda la provenienza del mangime, tutti gli alleva-menti si approvvigionano all’esterno in misura più o meno consistente e comunque diversa da azienda ad azienda. Mediamente il costo giornaliero della parte acquistata della razione/capo si aggira intorno ai 0,05 e e si può stimare che su base annua rappresenti in media almeno la metà dei ricavi relativi alle uova, costituendo pertanto la maggiore voce di costo che, secondo gli allevatori, è anche in continuo aumento. Le aziende che utilizzano prodotti convenzionali nella razione, come ad esempio il gluti-ne e la proteina di patata41, in quantità comunque inferiore a quella con-sentita42, sono una o due al massimo.Nel caso dei polli e dei capponi la razione, che varia dai 100 ai 130 g/capo/giorno, è sempre mista rispetto alla provenienza dei suoi compo-nenti, variando dal 15 al 50% la parte che viene acquistata; i concentrati di produzione aziendale sono costituiti da mais, orzo, frumento e pisello proteico. Pertanto non è possibile calcolare il costo complessivo ma sol-tanto quello della parte extra-aziendale che oscilla da 0,06 a 0,23 e per capo/giorno. Soltanto un’azienda utilizza nella razione una piccola quan-tità di farina di medica convenzionale.Tutti gli allevamenti specializzati di ovaiole hanno effettuato qualche trat-tamento veterinario. Per la maggior parte sono stati vaccinati i capi adulti contro la bronchite infettiva, l’influenza aviaria, le sindromi respiratorie e
41) La proteina di patata è un sottoprodotto dell’amido di patata; è considerata una fonte proteica di alta qualità per i mangimi.42) Fino al 31 dicembre 2007, per tutte le specie diverse dagli erbivori, la massima quantità utilizzabile di mangimi convenzionali nell’arco dell’anno era pari al 15%.
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la corriza. Talvolta sono stati utilizzati degli antiparassitari allopatici, come pure prodotti fitoterapici e omeopatici, per contrastare le parassitosi in-testinali. Nei quattro allevamenti da carne i trattamenti veterinari sono stati molto modesti e sono consistiti in qualche intervento con prodotti fitoterapici contro la coccidiosi e le parassitosi intestinali. Solo in un caso è stato usato un antibiotico per combattere una sindrome respiratoria.
2.3.2 - Allevamenti apicoli
Gli allevamenti di api, dopo quelli bovini, sono i più numerosi con 24 im-prese rilevate distribuite in tutte le province, esclusa quella di Rovigo, e presenti sia in pianura che in collina, ma anche nella montagna di Verona e soprattutto di Belluno (Appendice – Tab. 01; Grafico 18).
Circa il 70% sono allevamenti “senza terra” (nel senso che non hanno SAU bio), e la parte restante, pari a sette unità, dispone complessivamente di circa 18 ha di SAU, corrispondenti allo 0,8% della SAU appartenente a tutti gli allevamenti biologici (Appendice – Tab. 03). Si tratta quindi di allevamenti che non necessitano di superfici agricole, se non di aree di dimensioni relativamente modeste per l’allestimento degli “apiari”43. Uno dei problemi fondamentali dell’apicoltura biologica, sia stanziale che no-
43) Sono le postazioni dove vengono riuniti gli alveari durante il periodo di riposo autunno-invernale e i pe-riodi di produzione primaverili-estivi.
Grafico 18 - Distribuzione degli allevamenti apicoli,per provincia e zona altimetrica (2007)
BL PD RO TV VE VI VR
Montagna Collina Pianura
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made, è proprio quello di reperire luoghi idonei nei quali collocare gli apiari soprattutto nei periodi di produzione, tenuto conto dei requisiti che tali luoghi devono possedere44.La consistenza complessiva degli allevamenti rilevati è pari a oltre 5.600 alveari tra famiglie in produzione (64,7%) e famiglie in allevamento45 (35,3%), presenti nei 2/3 degli allevamenti (Appendice – Tab. 24). Oltre i 3/4 degli alveari in produzione sono concentrati nelle province di Treviso e Belluno (Grafico 19). Un solo allevamento, tra quelli più piccoli, è situa-to in un’azienda dove sono praticati anche altri allevamenti biologici, il che conferma la peculiarità dell’allevamento apicolo.
I tre allevamenti in conversione sono di dimensioni medio-piccole, com-prese tra i 70 e i 100 alveari, e possiedono poco meno del 5% dell’intero patrimonio apicolo rilevato. La consistenza media degli allevamenti biolo-gici a regime è molto più grande, essendo quasi di 260 alveari, ma è estre-mamente variabile il numero di famiglie che li compongono, andando da poco più di 50 a 1.200. Tali consistenze sono tendenzialmente stabili per quasi il 60% degli allevamenti, tra cui molti di quelli di grandi dimensioni;
44) Basta ricordare, a questo proposito, la necessità che nell’area circostante all’apiario (per un raggio di 3 km) le coltivazioni che rappresentano le principali fonti nettarifere delle api nei diversi periodi di bottinatura siano costituite da colture biologiche e/o da flora spontanea e/o da colture soggette a cure colturali a basso impatto ambientale, che non siano in grado di contaminare in misura significativa i prodotti apistici. 45) Le famiglie in allevamento servono per rinforzare le famiglie in produzione o per costituirne di nuove, oppure per produrre famiglie da destinare alla vendita.
Grafico 19 - Distribuzione degli alveari in produzione,per provincia e zona altimetrica (2007)
BL PD RO TV VE VI VR
Montagna Collina Pianura
Nr.
alve
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900
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invece nella restante parte è stato evidenziato un trend negativo per cin-que allevamenti e positivo per altri tre.Normalmente in tutti gli allevamenti l’eventuale costituzione di nuove famiglie viene realizzata moltiplicando quelle già disponibili attraverso la sciamatura artificiale; soltanto in due casi si ricorre sporadicamente all’esterno acquistando dei nuclei. Riguardo alle nuove regine da intro-durre negli alveari in sostituzione dei soggetti più vecchi, un terzo de-gli allevamenti, oltre a produrle in proprio46, le acquista, in taluni casi in modo sistematico, in altri saltuariamente. Nella maggior parte dei casi le regine acquistate provengono da altre regioni o dall’estero, solo in pochi casi vengono acquistate in regione. Le maggiori difficoltà affrontate nel processo di conversione47 e in quel-lo successivo sono stati in primo luogo l’approvvigionamento della cera biologica, per sostituire quella dei telaini “convenzionali”, poi l’organiz-zazione del lavoro, infine la nutrizione delle api secondo le prescrizioni della normativa e gli aspetti sanitari.A proposito della cera, la periodicità con la quale vengono sostituiti i favi dei telaini da nido48 è fin troppo ampia arrivando anche a 6049 mesi, in me-dia tale sostituzione viene realizzata circa ogni 39 mesi. Quattro allevamenti, due piccoli e due medio-grandi, producono in proprio i fogli cerei necessari sia per rinnovare i favi che per realizzare nuovi telaini. Gli altri si dividono in due gruppi: il primo, composto da 1/4 degli allevamenti, acquista tutti i fogli cerei necessari al proprio fabbisogno fatti con cera fornita dal produttore dei fogli al prezzo di 8-8,5 €/kg (stabile); il secondo, che comprende oltre la metà degli allevamenti, acquista i fogli cerei realizzati con la propria cera precedentemente fornita al produttore dei fogli; il prezzo in questo caso, pur essendo abbastanza stabile in termini storici, varia molto da un alleva-mento all’altro, andando da 1,00 a 5,00 €/kg (prezzo medio 1,93 €/kg). Quasi tutti gli allevamenti praticano la nutrizione artificiale nel periodo di riposo utilizzando miele proprio in quantità variabile fino a 4 kg per alveare e per l’intero periodo. In due allevamenti, oltre al miele aziendale, si utilizza anche dello sciroppo biologico acquistato (rispettivamente 1,2 e 2 kg per alveare; prezzo 1,20 €/kg, in diminuzione); in altri due si utilizza
46) In qualche caso il rinnovo delle regine è realizzato attraverso la sciamatura artificiale.47) Quasi il 90% degli allevamenti ha iniziato la propria attività seguendo il metodo convenzionale.48) Il nido è la parte sottostante e più grande dell’arnia dove vive la famiglia, viene allevata la covata e imma-gazzinate le scorte di miele e polline.49) Secondo gli studiosi questa operazione dovrebbe essere eseguita ogni 2-3 anni allo scopo di favorire il mantenimento delle api in buona salute.
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invece dello zucchero di canna biologico (1,5 kg/alveare in uno e 10 kg/alveare50 nell’altro; prezzo stabile 1,40-1,70 €/kg). Vi è poi un allevamento che per la nutrizione artificiale usa esclusivamente del candito51 nella dose di 0,5 kg per alveare (prezzo 2,88 €/kg, in aumento). Soltanto un quarto degli allevamenti, soprattutto quelli che hanno il minor numero di alveari in produzione, non ricorre alla nutrizione artificiale nel periodo di riposo.Il 75% degli allevamenti attua il nomadismo che, da un lato, consente di arric-chire la gamma dei mieli prodotti, dall’altro, permette di sfruttare al massimo le potenzialità produttive delle api (Appendice – Tab. 27). L’esercizio della transumanza si può quindi considerare un carattere di specializzazione che richiede capacità organizzative e investimenti per dotarsi dei mezzi necessari per la sua realizzazione. Pertanto la gran parte delle aziende dispone di auto-carri e rimorchi per effettuare il trasporto degli alveari da un apiario all’altro. Eccetto un allevamento tra i più grandi, che peraltro è distribuito in numerosi apiari stanziali dislocati in altrettante località diverse, gli allevamenti che non effettuano il nomadismo appartengono al gruppo dei più piccoli, a conferma di quanto appena evidenziato. In ogni caso circa il 75% degli allevamenti ha già gli alveari dislocati in più apiari nel periodo di riposo produttivo; succes-sivamente, durante la stagione produttiva, la percentuale degli allevamenti distribuiti su più postazioni arriva quasi al 90%. In particolare in quest’ultimo periodo oltre la metà degli allevamenti ha apiari posizionati in varie località della regione e quasi il 30% ne ha anche in altre regioni. La protezione degli alveari dalle intemperie e dall’insolazione non è un accorgimento molto diffuso, infatti solo 1/4 degli allevamenti utilizza del-le strutture, come tettoie e box, per proteggere totalmente o in parte le proprie casette nella stagione autunno-invernale, e ancora meno sono quelli che le proteggono durante il periodo produttivo. Tutte le arnie utilizzate sono in legno. La quasi totalità è composta da 9-10 telaini, che è l’arnia tipica per il nomadismo in quanto ha un ingombro e un peso, soprattutto nella fase produttiva, più contenuti; inoltre il minor volume del nido riduce la crescita della famiglia a vantaggio della sua pro-duttività. Ciò nonostante quattro allevamenti, tre dei quali praticano il no-madismo, usano anche arnie da 12 telaini; infine in un altro allevamento 1/3 delle arnie è composto da 8 telaini. Circa il 23% delle arnie ha meno di 5 anni, quasi il 45% ne ha tra i 5 e i 10 e 1/3 ha più di 10 anni, che è un’età non trascurabile per delle strutture di legno che stanno sempre all’aria aperta.
50) Quantità destinata agli alveari utilizzati per la produzione di pappa reale.51) È un impasto di zucchero e miele.
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Per quanto riguarda le attrezzature, quasi il 90% delle aziende apistiche dispone di un proprio laboratorio dove vengono svolte le principali fasi della lavorazione del miele e degli altri prodotti dell’attività. Le tre aziende che non hanno questa disponibilità effettuano quanto meno la smielatura52 nel laboratorio della locale Associazione apicoltori. Ciascun laboratorio aziendale normalmente dispone di tutte le attrezzature ne-cessarie per realizzare le principali operazioni di lavorazione e di con-fezionamento del miele. In pratica in tutti i laboratori troviamo il banco disopercolatore53, lo smielatore, che nella quasi totalità dei casi è a mo-tore, e un numero variabile di maturatori54, la cui capacità complessiva generalmente è proporzionale alla dimensione e quindi alla potenzialità produttiva dell’allevamento, in ogni caso si va dai 2 ai 120 q con una ca-pacità media di oltre 34 q. Quasi il 60% degli allevamenti, sia grandi che piccoli, possiede un’invasettatrice e uno, di medie dimensioni, dispone anche dell’etichettatrice.Nella maggior parte degli allevamenti sono stati eseguiti trattamenti sa-nitari sia sugli alveari in produzione che su quelli in allevamento. La ma-lattia sulla quale si è concentrata la quasi totalità degli interventi è la varroasi, il cui agente patogeno è l’acaro Varroa jacobsoni,55 contro la quale sono stati impiegati molteplici prodotti (come l’acido ossalico, lat-tico e formico, oppure timolo, eucaliptolo, mentolo e canfora); in taluni casi, in aggiunta ai prodotti indicati, sono stati usati anche presidi ome-opatici. Inoltre sono stati utilizzati anche metodi di lotta di tipo biomec-canico, cioè particolari operazioni nell’ambito della normale conduzione dell’apiario. Per esempio 1/3 degli allevamenti ha applicato la tecnica dei “telaini indicatori trappola”56, che sfrutta il fatto che la varroa preferisce riprodursi all’interno delle cellette dei fuchi e che in pratica consiste nella distruzione della covata maschile opercolata. Un altro intervento attuato
52) È la prima e fondamentale operazione di lavorazione del miele e consiste nella sua estrazione dai favi contenuti nei telaini.53) È un banco di appoggio fatto a vasca sul quale si effettua la disopercolazione che consiste nel togliere lo strato di cera (opercolo) che tappa le cellette dei favi.54) Recipienti, generalmente in acciaio inox, che servono per conservare il miele dopo la smielatura e prima del suo confezionamento.55) Parassitizza le api adulte ma soprattutto le larve e le pupe; l’infestazione che produce, per la velocità con la quale si diffonde, i danni che provoca, la difficoltà di riconoscerne per tempo la presenza e la scarsità di mezzi di controllo, è da considerarsi una delle più gravi malattie delle api. 56) Questo metodo di lotta, che viene utilizzato in primavera, è un valido sistema per contenere l’infestazione della varroa nel periodo iniziale dell’attività produttiva delle api durante il quale, essendo appunto già iniziata la raccolta del nettare e del polline, non possono essere utilizzati i prodotti acaricidi.
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Carat te r is t i che tecn iche deg l i a l levament i
da un paio di allevamenti è stato il “blocco estivo della covata”57. Un terzo metodo adottato da un allevamento è il così detto “spazio Mussi”58. Infine bisogna ricordare che le arnie dotate di fondo mobile per la diagnosi del-la varroa sono circa il 73%, che, in considerazione della diffusione e della pericolosità della malattia, non si può considerare un valore ottimale, in quanto tutte le casette dovrebbero possedere questa caratteristica.
57) Normalmente viene praticato entro l’inizio di agosto, quando ormai l’attività produttiva delle api va dimi-nuendo e anche l’ovodeposizione della regina rallenta. In pratica si attua confinando la regina per un breve periodo in un apposito spazio separato dal nido ed effettuando successivamente un trattamento acaricida; in un caso è stato messo in atto spostando temporaneamente le famiglie ad alta quota.58) Tale metodo consiste nel distanziare i telaini all’interno del nido in modo da favorire il distacco dell’acaro dalle singole api e la sua caduta sul fondo dell’arnia, impedendo quindi il passaggio della varroa per contatto da un’ape all’altra.
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Produz ione, t ras fo rmaz ione e commerc ia l i z zaz ione de i p rodot t i b io log ic i
Produzione, trasformazionee commerciaLizzazionedei Prodotti bioLogici
3.1 - Produzione e trasformazione
Le produzioni degli allevamenti biologici considerati59 sono state raggrup-pate in diverse categorie in base ai processi di trasformazione realizzati all’interno delle aziende produttrici e alla tipologia dei prodotti stessi. Sono stati pertanto individuati per ciascuna specie interessata i capi vivi destinati alla vendita in quanto tali, la carne venduta dall’azienda, i pro-dotti ottenuti dalla trasformazione della carne, il latte venduto tal quale, i prodotti lattiero-caseari ottenuti dalla trasformazione del latte, le uova, il miele e altri prodotti dell’apicoltura.
3.1.1 - Capi vivi, carne e prodotti ottenutidalla trasformazione della carne
Riguardo ai bovini, degli oltre 200 capi biologici prodotti dagli alleva-menti da carne circa il 46%, in diminuzione rispetto agli ultimi anni, è sta-to macellato in strutture esterne alle aziende produttrici per conto delle stesse, con una produzione complessiva di carne biologica pari a 23,5 t (Appendice – Tab. 33). La maggior parte degli allevamenti che effettua la vendita diretta della carne dispone di un laboratorio per produrre i tagli anatomici e il porzionato a partire dalle mezzene e dai quarti ottenuti dal-la macellazione; inoltre possiede anche delle celle frigo. Gli allevamenti che non dispongono di queste strutture vendono la carne in mezzene e tagli anatomici realizzati in macello oppure delegano la porzionatura a macellerie esterne. In sostanza le lavorazioni più praticate sono i tagli anatomici e la porzionatura (Grafico 20).
59) Non sono state prese in considerazione le produzioni degli allevamenti in conversione in quanto non possono essere certificate come prodotti biologici.
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Produz ione, t ras fo rmaz ione e commerc ia l i z zaz ione de i p rodot t i b io log ic i
Grafico 20 - Produzione di carne bovina biologica,per categoria merceologica (2007)
mezzene10,6%
porzionatosotto vuoto
0,4%
porzionato42,6%
tagli anatomici44,3%
tagli anatomicisotto vuoto
2,1%
In aggiunta ai capi specificamente da carne, bisogna considerare anche le diverse centinaia di animali prodotti dagli allevamenti da latte biologici che vengono venduti in quanto costituiti da vacche a fine carriera e da vitelli e vitelle in esubero rispetto alle necessità di rimonta interna.Con riferimento agli allevamenti ovini e caprini a regime, sono stati prodotti rispettivamente oltre 500 agnelli e più di 1.000 capretti. In par-ticolare, circa 1/3 degli agnelli è stato macellato per conto dell’azienda produttrice, con produzione di carne non certificata.La produzione complessiva di suini pesanti è stata di circa 220 capi; di questi oltre la metà è stata macellata e trasformata in insaccati vari (sala-mi, cotechini, salsicce, ecc.) per un peso complessivo di quasi 23.000 kg. Sono anche stati prodotti oltre 400 magroncelli. Tre delle quattro aziende che macellano i propri capi presso strutture esterne dispongono di appo-siti locali per la lavorazione della carne e per la conservazione e la stagio-natura dei prodotti; la quarta affida a terzi le operazioni di trasformazione e produzione degli insaccati.Per quanto riguarda gli avicoli, occorre distinguere gli allevamenti di ovaiole da quelli specificatamente da carne. Per i primi la produzione di carne, dovuta alle galline a fine carriera, è un aspetto secondario per lo scarso valore attribuito ai capi che vengono inviati al macello. Di fatto si può stimare in oltre 100.000 il numero di galline scartate ogni anno, con-siderando che la consistenza complessiva delle ovaiole è superiore alle 140.000 unità e che la vita produttiva media è di circa 15 mesi. Riguardo agli avicoli da carne, ne sono stati prodotti oltre 2.600 capi, costituiti per
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il 75% da polli e per il 25% da capponi. Nonostante le modeste quantità, sono stati tutti macellati in strutture esterne all’azienda, ottenendo una produzione complessiva di carne di circa 6.000 kg, di cui 2/3 ricavati dai polli e 1/3 dai capponi.Anche gli allevamenti di api producono “animali vivi” sotto forma di fa-miglie, nuclei60 e api regine. Tralasciando gli insetti destinati a rinforzare le famiglie esistenti o a costituirne di nuove, sono stati prodotti poco più di 270 tra famiglie e nuclei destinati alla vendita a cui bisogna aggiungere anche 600 regine prodotte allo stesso scopo.
3.1.2 - Latte e prodotti lattiero-caseari
Il latte biologico61 veneto è costituito per il 90% da latte vaccino (4.829 t) e per il restante 10% da latte di capra (562,8 t). Per il latte di vacca è stato rilevato un andamento tendenzialmente stabile rispetto ai due anni precedenti e con riferimento alle aziende che forniscono circa i 2/3 della produzione biologica complessiva; per le restanti il trend è stato invece in crescita. Per il latte caprino la quota complessiva delle aziende con
60) Sono piccole colonie di api. 61) Sulla base dei dati rilevati la quantità di latte bovino prodotto dalle aziende in conversione è stimabile intorno alle 1.400 t.
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Produz ione, t ras fo rmaz ione e commerc ia l i z zaz ione de i p rodot t i b io log ic i
produzione in aumento è risultata nettamente superiore a quella stabile e modesta è stata quella ritenuta in diminuzione. L’attività di trasformazione del latte è particolarmente diffusa tra le aziende con allevamento caprino. Infatti, pur essendo cinque sia le aziende che trasformano il latte vaccino sia quelle che lavorano il latte di capra, que-ste ultime sono quasi la metà degli allevamenti caprini, mentre le prime rappresentano poco più di 1/5 di quelli bovini da latte e misti a regime. Normalmente ciascuna delle aziende trasformatrici si dedica a una sola tipologia di allevamento. La trasformazione del latte nella quasi totalità delle aziende che la praticano interessa tutta la produzione; soltanto un allevamento bovino e uno caprino, rispettivamente di dimensioni medie e piccole, destinano alla trasformazione una parte minoritaria (intorno a 1/4) della propria produzione di latte. In pratica circa il 13% del latte di vacca biologico è stato trasformato in quasi 62.000 kg di formaggio: freschi per il 72% e stagionati per il restante 28%. Per il latte caprino la quota trasformata è notevolmente superiore arrivando a circa il 51% con una produzione di oltre 31.000 kg di formaggio: 48,6% di freschi e 51,4% di stagionati. Non tutta la trasformazione del latte è stata certificata come attività biologica; nel caso del latte vaccino ha avuto il marchio biologico il 77,1% dei formag-gi, al contrario di quelli caprini che sono stati totalmente certificati.
3.1.3 - Uova, miele e altri prodotti dell’apicoltura
La produzione totale di uova biologiche delle aziende rilevate è stata di quasi 37,6 milioni di pezzi, con un trend valutato nel complesso tenden-zialmente stabile. Il 43% è stato realizzato dai tre allevamenti in soccida. Oltre i 2/3 della produzione totale degli allevamenti condotti in proprietà sono stati confezionati a livello aziendale.Per quanto riguarda il miele, la produzione biologica complessiva62 è stata di quasi 116.000 kg, con un andamento ritenuto in aumento dalle aziende che realizzano poco più di metà della produzione, mentre per le restanti è stato considerato in prevalenza stabile pur in presenza di una quota minoritaria in diminuzione. Oltre al miele sono stati prodotti cera, destinata al reimpiego aziendale, propoli (25 kg), pappa reale (75 kg) e polline (32 kg). Nel com-plesso sono stati prodotti numerosi tipi di miele; il miele di acacia costituisce
62) La produzione totale dei tre allevamenti in conversione, quindi non biologica, è stata di 2.300 kg.
60
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da solo quasi metà dell’intera produzione (47,8%); seguono poi a notevole distanza il millefiori (19,7%), il miele di castagno (9,2%), di tiglio (8,9%) e di melo (5,5%), per citare solo quelli maggiormente prodotti (Grafico 21).
3.2 - Commercializzazione delle produzioni
Non tutti i prodotti zootecnici realizzati secondo il metodo biologico sono stati poi venduti come prodotti biologici certificati. La causa di que-sta situazione è da ricercarsi, come hanno fatto notare molti allevatori, nell’assenza di una specifica “domanda” da parte del mercato, che potreb-be anche essere dovuta alla mancanza di una vera e propria “filiera bio-logica” che garantisca al prodotto di arrivare al consumatore. Anche per questo motivo alcuni produttori hanno accorciato la filiera effettuando in azienda tutti i processi di lavorazione e trasformazione del prodotto di base per offrirlo “finito”, se non direttamente al consumatore attraverso la vendita diretta, quanto meno alla intermediazione e distribuzione. Biso-gna però evidenziare che spesso il passaggio nel mercato convenzionale è solo formale, perché dovuto unicamente all’assenza della certificazione del prodotto. Per esempio, nel caso di vendita diretta a privati può acca-dere che questi non richiedano la certificazione anche per il rapporto di fiducia che intrattengono con il produttore, pur essendo disposti a pagare prezzi abbastanza simili a quelli dei corrispondenti prodotti certificati.
Grafico 21 - Quantità e tipi di miele biologico prodotti (2007)
acacia millefiori castagno tiglio melo bosco melata tarassaco altro
60
50
40
30
20
10
0
Qua
ntità
(000
kg)
La tipologia “altro” comprende diversi tipi di miele, con quantitativi uguali o inferiori ai 1.000 kg: arancio, eucalipto, girasole, sulla, ecc.
61
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3.2.1 - Vendite capi vivi, carne e prodottiottenuti dalla trasformazione della carne
Degli oltre 200 bovini prodotti dagli allevamenti biologici da carne a regi-me soltanto poco più del 12% è finito sul mercato tradizionale senza certi-ficazione63. Circa il 42%64, con tendenza stabile, è stato venduto come bio in via quasi esclusiva ai macelli (Appendice – Tab. 32), mentre il restante 46% scarso è stato macellato e venduto come carne biologica dalle aziende produttrici (Appendice – Tab. 33). In pratica sono stati cinque su dieci65 gli allevamenti che hanno effettuato la vendita della carne attraverso princi-palmente due canali: la vendita diretta e i gruppi di acquisto (Grafico 22).
I prezzi di vendita dei capi vivi certificati sono variati da circa 2,60 €/kg a 4 €/kg (vitelli) di peso vivo, rispettivamente per quelli venduti ai macelli e per i pochi vitelli ceduti attraverso “altro” canale di vendita. Sono stati quin-di spuntati prezzi che si possono ritenere superiori rispetto a quelli del mercato convenzionale di almeno il 10-20%66. È interessante rilevare che il “prezzo lordo di trasformazione”67 della carne venduta dalle aziende attra-verso i canali sopra indicati risulta praticamente doppio del prezzo di ven-
63) In effetti circa 1/3 di questi capi sono stati venduti direttamente ai consumatori che, pur volendo la carne biologica, non hanno richiesto la specifica certificazione.64) Comprende anche le cinque vacche da latte vendute da un’azienda all’altra per la rimonta.65) Nove allevamenti bovini esclusivamente da carne più un allevamento misto che produce sia latte che carne.66) Con riferimento ai prezzi medi del 2007 delle Borse Merci di Padova, Rovigo e Vicenza relativamente agli incroci nazionali di 1a qualità, ai pezzati rossi e ai limousine. 67) Corrisponde al valore della carne venduta diviso per il peso dei capi vivi da cui questa è stata ottenuta.
Grafico 22 - Distribuzione delle vendite di carne bovina biologicada parte delle aziende produttrici, per canale commerciale (2007)
diretta46,4%
altro (1)10,6%
agriturismo aziendale0,4%
gruppi di acquisto42,6%
(1) Vendita di mezzene all’ingrosso.
62
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dita ai macelli, fornendo seppure in via approssimativa il “valore aggiunto” di questa trasformazione. I capi provenienti dagli allevamenti da latte biolo-gici sono finiti tutti sul mercato convenzionale, a prezzi molto diversi68 da un allevamento all’altro, non essendoci richiesta di animali certificati. Per quanto riguarda gli ovini, quasi tutta la produzione di agnelli è finita sul mercato convenzionale perché non c’è domanda del prodotto biolo-gico: circa i 2/3 come capi vivi69 e poco meno di 1/3 come capi macel-lati70. In pratica soltanto un 4% scarso degli agnelli è stato venduto con la certificazione ad una struttura di macellazione che opera nel mercato biologico (Appendice – Tab. 32). In ultima analisi, considerando che in Ve-neto non si produce latte di pecora biologico e la lana di fatto viene smal-tita come rifiuto speciale, l’unica produzione dei soli tre allevamenti ovini già biologici è stata venduta quasi esclusivamente senza certificazione. Anche per la carne caprina si registra una situazione analoga a quella appena esaminata, infatti è stata venduta totalmente sul mercato conven-zionale per assenza di domanda del prodotto biologico. In sostanza tutti gli animali sono stati ceduti non certificati, in massima parte come capi vivi a macelli e macellerie71, e soltanto una modestissima quota come car-ne non biologica. La spiegazione del permanere del comparto nel sistema biologico verosimilmente sta nel fatto che la produzione principale degli allevamenti è il latte biologico che, direttamente o trasformato, viene im-messo tutto nel mercato bio.Poco più di 1/5 della produzione complessiva di suini pesanti è stato ven-duto con la certificazione a un prezzo medio di 2,60 €/kg di peso vivo, che risulta molto più alto del prezzo registrato mediamente nel mercato convenzionale72 (Appendice – Tab. 32). Anche gli insaccati, ottenuti dalla trasformazione di circa il 55% dei suini pesanti realizzati, sono stati venduti praticamente tutti come prodotti biologici, soprattutto attraverso la vendita diretta in azienda (Appendice – Tab. 35) (Grafico 23). Una piccola parte del-la carne ottenuta dalla macellazione è stata venduta direttamente dall’azien-da o utilizzata nell’agriturismo aziendale (Appendice – Tab. 33). Il 23% dei
68) I prezzi dei vitelli, a seconda della razza, sono variati da 1,2 a 3 €/kg di peso vivo, ma sono arrivati anche a 5 €/kg; quelli delle vacche a fine carriera si sono differenziati in un intervallo apparentemente più contenuto ma più ampio in termini relativi, andando da 0,3 a 2 €/kg sempre di peso vivo. 69) Acquistati principalmente da macelli, macellerie e altre aziende; il prezzo è variato ampiamente intorno ai 4 €/kg di peso vivo.70) I capi macellati sono stati venduti per 3/4 a singoli consumatori e per 1/4 alla ristorazione; prezzo riferito al capo vivo intorno ai 5 €/kg. 71) Prezzo di vendita riferito al peso vivo compreso tra i 4,50 e i 5,50 €/kg. 72) Si fa riferimento alle Borse Merci di Verona e di Rovigo dove il prezzo medio nel 2007 del suino pesante da 161-180 kg è stato rispettivamente di 1,15 €/kg e di 1,09 €/kg di peso vivo.
63
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Grafico 23 - Distribuzione delle vendite di prodotti biologici ottenuti dallatrasformazione della carne suina, per canale commerciale (2007)
direttain azienda
77%
altro4%
negozi specializzati1%
agriturismo aziendale9%
gruppi di acquisto9%
suini pesanti prodotti è passato invece nel mercato convenzionale, nel qua-le è finito anche un piccolo numero di scrofe. È il caso di sottolineare che le vendite dei suini pesanti senza certificazione sono avvenute soprattutto nei confronti di privati, spesso con prezzi simili a quelli dei capi certificati. Infi-ne oltre l’80% dei magroncelli prodotti è stato venduto ad altri allevamenti; in particolare quasi i 2/3 sono stati acquistati da aziende biologiche al prez-zo di 3,30 €/kg di peso vivo, che è un prezzo assai più elevato di quello del corrispondente capo convenzionale73 (Appendice – Tab. 32).
Facendo riferimento agli allevamenti di ovaiole condotti in proprietà, che detengono quasi il 55% della consistenza complessiva delle galline, sono stati venduti ai macelli circa 63.000 capi; di questi soltanto il 13% è stato ceduto con la certificazione, perché anche in questo caso la richiesta di capi biologici è assai modesta (Appendice – Tab. 32). Premesso che le ovaiole a fine carriera valgono molto poco, quelle certificate sono state pagate 0,30 €/capo, cioè pochi centesimi in più di quelle vendute come convenzionali. Per la carne fresca di pollo e cappone la situazione è nettamente migliore in quanto è stata venduta tutta come biologica soprattutto attraverso la vendita diretta (Grafico 24). I prezzi mediamente applicati sono stati 7,61 €/kg per i polli e 9,50 €/kg74 per i capponi (Appendice – Tab. 33).
73) Secondo la Borsa Merci di Rovigo, che è la più idonea per le vendite in questione, nel 2007 il prezzo medio dei magroncelli da 30-40 kg è stato di 1,66-1,97 €/kg di peso vivo. 74) Per avere un’idea della remuneratività di tali prezzi si possono confrontare con quelli all’ingrosso per il 2007 della Borsa Merci di Padova: polli bianchi a terra pesanti TZ (macellati) 1,90 €/kg, capponi tradizionali (macellati) 5,30 €/kg.
64
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Grafico 24 - Distribuzione delle vendite di carne avicola biologicada parte delle aziende produttrici, per canale commerciale (2007)
agriturismoaziendale
17%
diretta61%
gruppi di acquisto22%
Le vendite di api sono state tutte effettuate nei confronti di altre aziende apicole e sono sempre state certificate. In pratica il numero di famiglie e nuclei ceduti è stato relativamente modesto rispetto al totale degli alveari in produzione e in allevamento, pari a circa il 5%, mentre è stato partico-larmente elevato il numero delle regine vendute (600 unità), distribuite praticamente in tutta Italia (Appendice – Tab. 32).Premesso che la carne fresca delle diverse specie viene venduta preva-lentemente attraverso due canali, la vendita diretta e i gruppi di acquisto solidale (GAS), è stato rilevato che in ambedue i casi tra i fattori che in-fluenzano maggiormente gli acquisti, anche se con maggiore incisività riguardo ai GAS, vi sono la certificazione bio e la fiducia nel produttore e tutti e due questi aspetti pesano in egual misura nell’ambito dello stesso canale (Appendice – Tab. 44). Sempre con la stessa rilevanza, nella vendita diretta entra poi in gioco la qualità del prodotto, mentre per i GAS il rap-porto qualità/prezzo. Tutto ciò significa fondamentalmente che il cliente vuole il prodotto biologico e lo acquista dal produttore che conosce e di cui si fida. Per quanto riguarda i prodotti trasformati di origine suina, venduti oltre che in azienda e ai gruppi di acquisto anche ai negozi specializzati bio, sono determinanti nei due primi canali, anche se in misura diversa tra l’uno e l’altro, la qualità del prodotto, la certificazione bio e la fiducia nel produttore. Riguardo invece ai negozi specializzati contano esclusiva-mente la qualità e la certificazione bio. Risulta pertanto confermato il fat-to che quando l’acquisto passa attraverso un rapporto diretto produttore-consumatore entra sempre in gioco anche il fattore “fiducia”.
65
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3.2.2 - Vendite latte e prodotti lattiero-caseari
Il latte bovino biologico venduto crudo è stato l’86,6% della produzione complessiva ed è stato tutto conferito a caseifici e latterie locali, con un trend per lo più stabile rispetto al recente passato; la parte restante è sta-ta trasformata in azienda da oltre 1/5 delle aziende biologiche a regime (Appendice – Tab. 34). In particolare il 94,5% delle consegne fatte ai primi acquirenti ha riguardato tre strutture cooperative, con un prezzo medio di liquidazione pari a 0,51 €/l75, valore intermedio tra un minimo di 0,48 e un massimo di 0,53 €/l; il restante 5,5%, consegnato a caseifici privati, ha ottenuto quattro centesimi in più rispetto al prezzo medio sopra indi-cato. A proposito dei prezzi bisogna osservare che mentre il prezzo perce-pito dai caseifici cooperativi è stato considerato dai produttori stabile nel breve periodo, a quello pagato dai privati è stato attribuito un andamento in crescita. In ultima analisi il latte biologico ha spuntato mediamente un prezzo più alto del 26% rispetto a quello del latte convenzionale76. Circa la metà dell’intera produzione di latte di capra è stata conferita total-mente a due caseifici delle zone di produzione; l’altra metà è stata trasforma-ta in azienda da quasi il 50% delle imprese agricole rilevate. Nel complesso l’andamento dei conferimenti sembra tendenzialmente in aumento. I prezzi liquidati ai produttori, dagli stessi considerati stabili, sono abbastanza simili e con un valore medio pari a 0,71 €/l. La differenza con il prezzo del latte biologico vaccino è stata del 39% a favore del latte di capra.Gli oltre 47.000 kg di formaggi biologici di origine bovina sono stati venduti principalmente a grossisti (53,2%) e attraverso la vendita diretta in azienda (30,3%) (Appendice - Tab. 35; Grafico 25). Il differenziale di prezzo tra i formaggi freschi e quelli stagionati è stato rilevante, intorno al 33-34%, per le vendite praticate in azienda e ai gruppi di acquisto, assai meno, circa il 10%, per quelle fatte ai negozi specializzati e ai grossisti. Mentre l’anda-mento dei prezzi riguardanti tutti i canali commerciali è stato valutato prevalentemente stabile, quello delle quantità è stato ritenuto in aumento per le vendite effettuate direttamente in azienda e mediante i gruppi di acquisto e in calo per quelle verso i negozi e i grossisti. Contrariamente a quanto risulta dai valori medi, quando nella stessa azienda coesiste sia la vendita diretta che quella ai gruppi di acquisto i relativi prezzi sono iden-
75) Comprensivo del premio qualità e dell’IVA.76) Per il prezzo del latte convenzionale alla stalla è stato assunto il valore medio regionale di 40,44 €/100 litri (Fonte: Veneto Agricoltura).
66
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tici. Il “prezzo lordo di trasformazione” è stato di 0,71 €/l, cioè il 39% in più rispetto al prezzo medio del latte venduto crudo. I quasi 14.000 kg di formaggi non certificati (freschi 61,5% e stagionati 38,5%), corrispondenti alla trasformazione complessiva di tre aziende, sono stati venduti a prezzi medi abbastanza elevati (7,33 €/kg per i freschi e 9,32 €/kg per gli stagio-nati) e comunque abbastanza simili a quelli dei corrispondenti prodotti bio venduti in azienda, a conferma di quanto specificato in precedenza a proposito della vendita dei prodotti senza certificazione.
Anche i formaggi caprini, tutti biologici, sono commercializzati soprat-tutto attraverso la vendita diretta in azienda (37,2%) e i grossisti (40,2%) (Appendice – Tab. 35; Grafico 26). Il differenziale di prezzo tra freschi e stagionati è elevato (dal 20 al 30%) e si mantiene tale con riferimento a tutti i canali di vendita. I prezzi sono stati ritenuti dai produttori stabili rispetto ai due anni precedenti, invece le quantità sono state valutate prevalentemente in aumento, per cui sembra che l’incremento della pro-duzione di latte caprino sia andato a beneficio soprattutto della trasfor-mazione. Anche per i caprini i prezzi alla vendita diretta e ai gruppi di acquisto, con riferimento alla stessa azienda, risultano di uguale impor-to, contrariamente a quanto appare dai prezzi medi relativi ai due canali commerciali. Il “prezzo lordo di trasformazione” è risultato pari a 1,32 €/l, con un incremento dell’86% rispetto al prezzo medio di conferimento e doppio rispetto a quello realizzato dai formaggi vaccini.
Grafico 25 - Vendite dei formaggi biologici bovini: quantità e prezzi (2007)
diretta in azienda gruppi di acquisto negozi specializzati grossisti
8,03
9 ,00
6 ,20 6,20
10 ,79
12 ,00
6 ,80 6,80
q.tà formaggi freschi q.tà formaggi stagionati prezzi formaggi freschi prezzi formaggi stagionati
Prez
zi (
/kg)
Qua
ntità
(000
kg)
25
20
15
10
5
0
14,00
12,00
10,00
8,00
6,00
4,00
2,00
0,00
67
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Grafico 26 - Vendite dei formaggi biologici caprini: quantità e prezzi (2007)
diretta in azienda gruppi di acquisto negozi specializzati grossisti
q.tà formaggi freschi q.tà formaggi stagionati prezzi formaggi freschi prezzi formaggi stagionati
7
6
5
4
3
2
1
0
11,0 8
13 ,0 0
11,16
10 ,0 0
13 ,3 8
16 ,0 0
13 ,3 8 13 ,0 6
Prez
zi (
/kg)
Qua
ntità
(000
kg)
18,00
16,00
14,00
12,00
10,00
8,00
6,00
4,00
2,00
0,00
Riguardo ai fattori che influenzano gli acquisti dell’insieme dei prodot-ti lattiero-caseari (bovini e caprini), secondo il parere dei produttori è risultato che nella vendita diretta incidono maggiormente la fiducia nel produttore e poi la qualità del prodotto (Appendice – Tab. 44). Invece nel caso dei gruppi di acquisto nessuno degli aspetti considerati (qualità, certificazione, fiducia, informazione, prezzo) prevale sugli altri in quanto tutti sembrano avere lo stesso peso. Infine ai negozi specializzati e ai gros-sisti interessa soprattutto la certificazione bio e poi, ai primi, il rapporto qualità-prezzo e, ai secondi, in misura eguale tutti gli altri fattori.
3.2.3 - Vendite uova, miele e altri prodotti dell’apicoltura
La produzione di uova dei quattro allevamenti condotti in proprietà77, pari a oltre 21 milioni di pezzi, è stata venduta per più della metà ai grossisti, per quasi 1/3 alla Grande Distribuzione Organizzata e quindi ai negozi specia-lizzati bio, con trend nei diversi canali valutati abbastanza stabili dai produt-tori, ad esclusione dell’ingrosso che risulta in crescita (Appendice – Tab. 36; Grafico 27). I 2/3 di questa produzione sono stati venduti già confezionati, la restante quantità come uova indifferenziate. Nel complesso il prezzo medio è stato di 0,19 €/pezzo, però con notevoli differenze tra il prodotto sfuso e
77) In merito alle modalità di commercializzazione della produzione realizzata nei tre allevamenti in soccida non si hanno informazioni precise essendo effettuata dai rispettivi soccidanti.
68
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quello confezionato. In pratica il prezzo medio delle uova sfuse o indifferen-ziate si è posizionato intorno a 0,12 €/pezzo contro gli 0,22 €/pezzo delle uova confezionate, che pertanto hanno spuntato un prezzo più che doppio rispetto a quello medio del prodotto convenzionale78. Secondo i produttori la fiducia nel produttore continua ad avere un ruolo rilevante nella vendita delle uova nei principali canali, (Appendice – Tab. 44). Con riguardo ai negozi è nettamente superiore agli altri due fattori (qualità e prezzo); per i grossisti e la GDO è invece abbinata alla certifica-zione e alla qualità.
La quantità complessiva di miele biologico venduta non corrisponde alla produzione per effetto della formazione di nuove giacenze, dello smalti-mento di quelle vecchie, nonché della vendita di una piccola quantità di miele acquistato; in pratica le vendite hanno superato la produzione di circa 12.000 kg. Le vendite allo stato sfuso hanno interessato quasi tutti i prodotti dell’apicoltura e rispetto alle vendite complessive del singolo pro-dotto hanno sempre costituito la quota maggioritaria: per il miele il 54,8%, per la pappa reale il 56,5% e infine per la propoli il 100% (Appendice – Tab. 37). I principali canali commerciali attraverso i quali è avvenuta la vendita sono stati prevalentemente l’industria alimentare e i grossisti per il miele sfuso, che ne hanno assorbito rispettivamente quasi il 60% e più del 30%,
78) Fonte: Borse Merci di Verona, Padova e Treviso.
Grafico 27 - Distribuzione delle vendite delle uova biologiche,per canale commerciale (2007)
grossisti56%
GDO29%
altro (1)4%
agriturismo aziendale0,05%
negozi specializzati11%
(1) Nel canale “altro” è compresa la ristorazione collettiva.
69
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la vendita diretta in azienda e i negozi specializzati per il miele confeziona-to, avendone trattato complessivamente il 91% (Grafico 28). Naturalmente, come si vede anche nel grafico, i prodotti sfusi hanno realizzato prezzi no-tevolmente inferiori rispetto a quelli dei corrispondenti prodotti confezio-nati; per il miele e la pappa reale, presenti in ambedue le categorie merce-ologiche, si è nell’ordine di circa la metà. Infatti, considerando i canali che hanno assorbito i maggiori quantitativi, si nota che per il miele il prezzo del prodotto sfuso si è attestato tra i 2,93 e i 3,60 €/kg, mentre quello del confezionato si è mantenuto tra i 6,70 e i 7,27 €/kg. Così pure per la pappa reale si passa dai 565,90 €/kg della sfusa, ai 966,67 €/kg di quella confezio-nata. Per quanto riguarda l’andamento delle vendite più significative sono state valutate in crescita quelle del miele sfuso all’industria a fronte di un trend del prezzo considerato invece negativo; quelle del miele confezio-nato ai negozi specializzati, unitamente a quelle effettuate direttamente in azienda, sono ritenute stabili come i relativi prezzi; in aumento invece la vendita e il prezzo del miele confezionato ai gruppi di acquisto.
Per quanto riguarda i fattori che influenzano l’acquisto del miele, gli unici comuni a tutti i canali di vendita sono la “certificazione bio” e la “fidu-cia nel produttore” (Appendice – Tab. 44). Tuttavia l’aspetto quasi sempre presente in misura massima è il primo, in quanto il fattore fiducia lo supe-ra solo nel caso della vendita diretta in azienda. Per i gruppi di acquisto alla pari con la fiducia sta la qualità del prodotto; per i negozi specializzati
Grafico 28 - Vendite del miele biologico: quantità e prezzi (2007)
5 ,0 0
3 ,602 ,93
7 ,27 7 ,14
8,65
6 ,50 6 ,70
3 ,50
6 ,8 0
diretta in az. GAS ristorazione agriturismoaz.le
negozispec.
GDO altro industria grossisti
q.tà miele sfuso q.tà miele confezionato prezzi miele sfuso prezzi miele confezionato
Prez
zi (
/kg)
Qua
ntità
(000
kg)
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
109876543210
70
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bio qualità, certificazione e fiducia costituiscono i fattori principali; per i grossisti la situazione è analoga a quella dei negozi con la differenza che al posto della sola qualità sta il rapporto qualità/prezzo.
3.2.4 - Valore delle vendite e canali commerciali
Nei precedenti paragrafi le vendite dei vari prodotti biologici sono state analizzate raggruppandone le quantità per categorie merceologiche (capi vivi, carne, latte, ecc.) e valutandone la suddivisione nei diversi canali commerciali. Ora si cercherà di analizzarle per comparto produttivo (bo-vino, ovino, caprino, ecc.) allo scopo di determinare la ripartizione del fatturato di ciascuno tra le diverse produzioni realizzate e i vari canali di vendita79 e quindi di individuare il peso che ciascuna categoria di opera-tori del mercato esercita nei rapporti economici con le differenti tipolo-gie delle aziende zootecniche biologiche (Appendice – Tabb. 38–43).Il mercato con il quale si relaziona il comparto bovino da latte è domi-nato dall’industria di trasformazione. Infatti l’86% del fatturato, che nel complesso ammonta a circa 2,47 milioni di euro, è generato dalle vendite di latte crudo a quattro latterie/caseifici (Grafico 29).
79) Quando presenti sono state comprese nel canale “altro” pure le vendite realizzate nei mercatini bio che nel complesso hanno comunque un peso economico modesto, anche se talvolta in aumento. Il Veneto nel triennio 2006-2008 con 29 mercatini (pari al 14% del totale nazionale) si è piazzato tra le prime cinque regioni che ne avevano il maggior numero; tuttavia, mentre a livello nazionale, nel periodo considerato, il numero complessi-vo è cresciuto dell’8%, nel Veneto è rimasto costante (fonte: BioBank).
Grafico 29 - Distribuzione delle vendite di prodotti biodel comparto bovino da latte, per canale commerciale (2007)
latterie/caseifici diretta in az. gruppi di acq. negozi spec. grossisti
Valo
re (0
00
)
2.500
2.000
1.500
1.000
500
0
latte prod. lattiero-caseari
71
Produz ione, t ras fo rmaz ione e commerc ia l i z zaz ione de i p rodot t i b io log ic i
Grafico 30 - Distribuzione delle vendite di prodotti biodel comparto bovino da carne, per canale commerciale (2007)
macelli diretta gruppi di acq. agritur. az.le altro
Valo
re (0
00
)
capi vivi carne
120
100
80
60
40
20
0
Il restante 14% è dovuto ai prodotti lattiero-caseari realizzati dalle aziende e venduti prevalentemente attraverso i grossisti (46,4%) e la vendita diretta in azienda (37,2%); seguono a notevole distanza i negozi specializzati bio e i gruppi di acquisto. Vediamo quindi che la così detta “filiera corta”, rappresen-tata dalla vendita diretta e dai gruppi di acquisto, pur costituendo un canale commerciale di una certa rilevanza, con il 42% delle vendite riferite ai prodot-ti trasformati, ha nell’ambito dell’intero comparto un peso assai modesto. Nel caso del comparto bovino da carne la distribuzione delle vendi-te tra i diversi canali commerciali tende invece a essere più omogenea. Sono infatti almeno tre i canali che si ripartiscono in misura abbastanza equivalente la quasi totalità delle vendite, pari complessivamente a circa 348.000 euro; i macelli ne prendono il 28,2% attraverso la vendita dei capi vivi, mentre la vendita diretta e i gruppi di acquisto ne assorbono ri-spettivamente il 31,8% e il 29,2% mediante la vendita della carne (Grafico 30). Pertanto in questo caso la filiera corta gioca un ruolo determinante nella formazione del fatturato del comparto.
Il comparto ovino, il cui unico prodotto sono gli agnelli, sia sotto forma di capi vivi che di carne, ha avuto scambi estremamente modesti con il mercato biologico, in quanto costituiti da circa 2.500 euro ottenuti dalla vendita di agnelli a un macello.Anche nel caso degli allevamenti caprini le latterie e i caseifici rappre-sentano il canale di vendita prevalente, ma non in misura così forte come accade per i bovini da latte. Infatti il latte crudo di capra destinato all’in-
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Produz ione, t ras fo rmaz ione e commerc ia l i z zaz ione de i p rodot t i b io log ic i
Grafico 31 - Distribuzione delle vendite di prodotti biodel comparto caprino, per canale commerciale (2007)
latterie/caseifici diretta in az. gruppi di acq. agritur.az.le negozi spec. grossisti
latte prod. lattiero-caseari
200
150
100
50
0
Valo
re (0
00
)dustria di trasformazione costituisce il 34,1% del fatturato complessivo del comparto, pari a quasi 574.000 euro, e i restanti 2/3 derivano dalla vendita dei prodotti trasformati realizzati in azienda (Grafico 31). In particolare la vendita diretta in azienda e quella all’ingrosso si equivalgono con circa il 25% ciascuna, seguite dalle vendite ai negozi specializzati bio con il 13,2%. Assai modeste sono le vendite effettuate tramite i gruppi di acquisto, appe-na il 2,1%. In ogni caso la filiera corta, con oltre il 27% delle vendite, svolge un ruolo di primaria importanza nell’ambito degli scambi complessivi.
Nel comparto suino, analogamente al bovino da carne, la vendita diret-ta, dovuta quasi esclusivamente ai prodotti ottenuti dalla trasformazione della carne (salami, salsicce, cotechini, ecc.), con il 60,1% ha il maggior peso relativo nella determinazione del fatturato complessivo, pari a circa 338.000 euro (Grafico 32). In pratica la filiera corta veicola oltre l’80% delle vendite totali, comprendendo anche quasi 1/3 di quelle inserite nel canale “altro” (prodotti trasformati venduti nei mercatini). Nel caso del comparto avicolo, essendo assolutamente preponderante il fatturato ricavato dalle uova su ogni altra vendita, conviene distinguere gli allevamenti di ovaiole da quelli da carne. Riguardo al fatturato com-plessivo80 dei primi, la parte riferita alle sole uova è stata stimata in 6,978 milioni di euro. La quota prodotta esclusivamente dagli allevamenti con-dotti in proprietà, per i quali è stato possibile rilevare la destinazione del-
80) Tale fatturato è il risultato dei quattro allevamenti in proprietà e dei tre in soccida; in particolare il fatturato di questi ultimi è stato calcolato applicando alle uova commercializzate dai soccidanti il prezzo medio spun-tato dagli allevamenti in proprietà.
73
Produz ione, t ras fo rmaz ione e commerc ia l i z zaz ione de i p rodot t i b io log ic i
Grafico 32 - Distribuzione delle vendite di prodotti biodel comparto suino, per canale commerciale (2007)
macelli diretta gruppi di acq. agritur.az.le negozi spec. altro
capi vivi carne
250
200
150
100
50
0
Valo
re (0
00
)
prod. trasformati
Grafico 33 - Distribuzione delle vendite di prodotti biodel comparto avicolo da uova, per canale commerciale (2007)
agritur.az.le negozi spec. grossisti GDO altro
2.0001.8001.6001.4001.2001.000
800600400200
0
Valo
re (0
00
)
capi vivi uova (1)
(1) Nel valore delle vendite indicato non è compreso quello delle uova dei tre allevamenti condotti in “soccida”, in quanto tali uova sono commercializzate dai soccidanti.
le vendite rispetto ai vari canali commerciali, corrisponde a circa 3,979 milioni di euro distribuiti essenzialmente su tre canali: l’ingrosso che ne assorbe quasi il 46%, la Grande Distribuzione Organizzata alla quale va circa il 36% e infine i negozi specializzati bio con il 15% (Grafico 33). La parte relativa alle vendite di capi vivi, destinati alla realizzazione di pro-dotti ottenuti dalla trasformazione della carne, rappresentano una quota assolutamente irrisoria, pari allo 0,06%. Non esiste quindi nessuna forma di vendita diretta, a eccezione di una modestissima quota inferiore allo 0,1% dovuta alla cessione di uova al canale “agriturismo aziendale”.
74
Produz ione, t ras fo rmaz ione e commerc ia l i z zaz ione de i p rodot t i b io log ic i
Le vendite del comparto avicolo da carne, che ammontano a poco meno di 50.000 euro di capi macellati e rappresentano appena lo 0,7% del fatturato totale delle sole uova, avvengono invece esclusivamente attraverso la filiera corta: la vendita diretta ne costituisce oltre il 61%, quella ai gruppi di acqui-sto il 22% e la cessione all’agriturismo aziendale circa il 17% (Grafico 34).
Il comparto apicolo è certamente quello che opera sul mercato biologi-co attraverso il maggior numero di canali commerciali. Il miele costituisce quasi il 90% del suo fatturato complessivo, pari a circa 724.000 euro, mentre la rimanente parte è suddivisa tra la vendita di api81 (3%) e soprattutto di pappa reale (7,2%). La filiera corta è abbastanza sviluppata realizzando 1/3 delle vendite principalmente attraverso la vendita diretta in azienda (quasi il 30%); ancora poco presenti sono i gruppi di acquisto (circa il 3% delle vendite), anche se è stato rilevato un trend in aumento del fatturato attraver-so questo canale (Grafico 35). I negozi specializzati e l’industria alimentare, rispettivamente con il 23,7% e il 20,6%, costituiscono le altre due modalità di vendita più significative. Il canale “altro” comprende altri produttori, ri-guardo alle api e la pappa reale, e mercatini e altri canali per il miele.In ultima analisi il fatturato complessivo della zootecnia biologica vene-ta82, derivante dalle vendite effettuate sul mercato biologico, è stato di
81) Sotto forma di famiglie, nuclei e api regine. 82) Con riferimento ai 104 allevamenti rilevati e comprendendo anche le produzioni degli allevamenti di ovaiole condotti in soccida.
Grafico 34 - Distribuzione delle vendite di prodotti biodel comparto avicolo da carne, per canale commerciale (2007)
35
30
25
20
15
10
5
0
Valo
re (0
00
)
carne
diretta gruppi di acq. agritur. az.le
75
Produz ione, t ras fo rmaz ione e commerc ia l i z zaz ione de i p rodot t i b io log ic i
Grafico 35 - Distribuzione delle vendite di prodotti biodel comparto apicolo, per canale commerciale (2007)
250
200
150
100
50
0
Valo
re (0
00
)
direttain az.
gruppi diacq.
risotraz. agritur.az.le
negozispec.
industria grossisti GDO altro
api miele altro
circa 11,487 milioni di euro, ripartito tra i vari comparti come evidenzia-to nel Grafico 36. Quasi il 61% è stato prodotto dalla vendita delle uova e circa il 18% da quella del latte vaccino (il comparto bovino da latte incide complessivamente per il 21,5%). Il fatturato totale del settore depurato della quota relativa agli allevamenti di ovaiole in soccida83 è pari a 8,488 milioni di euro e i canali commerciali che ne hanno assorbito la gran parte sono stati l’industria84 (30,5%), prevalentemente per effetto della vendita del latte vaccino alle latterie/caseifici e l’ingrosso (26,2%), grazie soprattutto alla vendita delle uova (Grafico 37). Attraverso la filiera corta, rappresentata soprattutto dalla vendita diretta in azienda (circa il 10% delle vendite complessive), è stato ricavato il 12,7% del fatturato totale. Questo rapporto, in apparenza modesto, cambia radicalmente se si esclu-dono quei prodotti, come il latte e le uova, che non potrebbero comun-que trovare adeguata collocazione attraverso la filiera corta a causa delle quantità realizzate, fortemente eccedentarie rispetto al consumo più o meno locale. In tal caso le varie forme di vendita diretta raggiungono qua-si il 44% del fatturato. Questo dimostra che la filiera corta svolge un ruolo importante nella vendita di particolari tipi di prodotto, in special modo di quelli per i quali esiste un legame tra prodotto e territorio. Con riferimen-
83) Di queste vendite non si conosce la ripartizione commerciale in quanto sono state realizzate dai soccidanti.84) Questo canale è composto dalle latterie/caseifici per gli allevamenti bovini da latte e caprini, dai macelli per i bovini da carne, gli ovini e i suini e infine dall’industria alimentare per gli allevamenti apicoli.
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Produz ione, t ras fo rmaz ione e commerc ia l i z zaz ione de i p rodot t i b io log ic i
Grafico 36 - Vendite degli allevamenti biologici rilevati,per tipologia di allevamento (2007)
7.000
6.000
5.000
4.000
3.000
2.000
1.000
0
Valo
re (0
00
)
bovinolatte
bovinocarne
ovino caprino suino avicolo(uova)
avicolo(carne)
apicolo
(1) Non comprende le vendite delle uova prodotte dagli allevamenti in soccida.
Grafico 37 - Distribuzione delle vendite di prodotti bio,per tipologia di allevamento e canale commerciale (2007 (1))
3.0002.5002.0001.5001.000
5000
Valo
re (0
00
)
diretta gruppidi acq.
agritur.az.le
negozispec.
grossisti GDO industria altro
bovino latte bovino carne ovino caprino suino avicolo (uova) avicolo (carne) altro
to al numero, le aziende zootecniche biologiche che attuano una qualche forma di vendita diretta sono circa il 30% di quelle rilevate.
77
Conc lus ion i
concLusioni
4.1 - Punti di forza e di debolezza
Tenendo conto delle indicazioni fornite dagli stessi produttori, è possibi-le a questo punto riassumere le criticità della zootecnia biologica veneta, come pure individuarne i punti di forza più significativi. I fattori critici sono stati raggruppati, oltre che per tipologia di allevamento, anche in due grandi categorie: “tecnici” ed “economico-commerciali” (Appendice – Tab. 46). Tra i primi sono assolutamente preponderanti, in quanto relative a quasi tutti gli allevamenti, le problematiche connesse all’alimentazione e al pascolamento. Tra i secondi prevalgono i costi di produzione elevati, la domanda modesta e incostante da parte del mercato e la laboriosità degli adempimenti amministrativi. L’alimentazione è uno degli aspetti qualificanti la zootecnia biologica e si esprime soprattutto attraverso due principi generali: l’uso di alimenti biologici e l’autosufficienza aziendale riguardo alla loro produzione. Ciò che crea maggiori problemi agli allevamenti veneti non è tanto il primo vincolo, in quanto sono molto poche le realtà aziendali che ancora usu-fruiscono della deroga a ricorrere in piccola parte ai prodotti conven-zionali, quanto invece l’autoapprovvigionamento alimentare. Infatti tutti gli allevamenti, non essendo in grado di far fronte in modo autonomo alle proprie esigenze alimentari a causa di una insufficiente disponibilità di superficie da destinare alla produzione degli alimenti per il bestiame, sono costretti ad acquistare una parte di tali alimenti. Con ciò, da un lato, si creano le condizioni per determinare costi di produzione più elevati, che è il primo dei fattori critici di natura economica evidenziato dai pro-duttori, dall’altro, viene influenzata la composizione ottimale della razio-ne proprio per cercare di limitare i costi. Il problema è poi ulteriormente aggravato dal fatto che la maggior parte degli alimenti acquistati è costi-tuita soprattutto da mangimi che hanno subito un continuo aumento di
78
Conc lus ion i
prezzo85, come confermato dagli stessi allevatori. Un altro aspetto critico collegato all’alimentazione è rappresentato dalle modalità con le quali viene realizzata la fienagione, caratterizzata da scarsa innovazione. Si è visto infatti che è pochissimo diffusa in tutte le tipologie di allevamento la così detta “fienagione in due tempi” e quella tradizionale viene eseguita con macchine a funzione semplice. Tutto ciò è ancor più negativo se si considera che gran parte degli allevamenti di erbivori è localizzata nelle aree montane dove la fienagione, essendo resa più problematica dalle condizioni meteorologiche spesso avverse con perdita anche ingente di foraggio sia sul piano quantitativo che qualitativo, dovrebbe essere ese-guita con grande tempestività. L’esercizio del pascolo comporta difficoltà soprattutto di carattere struttura-le, in quanto legato alla disponibilità di aree idonee allo scopo e alla possibili-tà di accedervi con facilità, ma anche di natura gestionale in termini organiz-zativi e agronomici. Relativamente a questa pratica, che peraltro costituisce una delle maggiori caratterizzazioni del metodo biologico, bisogna rilevare che la zootecnia veneta di pianura parte fortemente penalizzata; infatti, non essendo il pascolo una tradizionale modalità di allevamento in quest’area, le aziende zootecniche in generale non sono né attrezzate strutturalmente né preparate dal punto di vista professionale e culturale. Non per niente la maggior parte degli allevamenti biologici veneti che necessitano di grandi superfici per il pascolo sono distribuiti in larga misura in montagna e in collina. Lo sviluppo di questi allevamenti si è quindi adattato alle peculiarità del territorio, indicando chiaramente la strada che bisogna continuare a se-guire per favorirlo ulteriormente. D’altra parte, come si è già avuto modo di evidenziare in precedenza, nelle aree collinari e montane, grazie anche alla “marginalità” di molte zone, difficilmente la zootecnia biologica può entrare in competizione con gli allevamenti intensivi convenzionali, per cui rappre-senta una buona soluzione per garantire lo sviluppo economico e ostacolare l’abbandono di questi territori. È questo certamente un punto di forza della zootecnia biologica che può essere ulteriormente ampliato valorizzandone maggiormente, soprattutto attraverso l’informazione, le ricadute ambientali in particolar modo quando si tratta di aree collinari e montane. Bisogna però osservare che la zootecnia biologica diffusasi in montagna e collina soffre di un forte handicap rappresentato dall’inadeguatezza dei ri-
85) Tra il 2005 e il 2007 il prezzo dei mangimi in generale, secondo i “numeri indici dei prezzi dei prodotti acquistati dagli agricoltori” elaborati dall’ISTAT, è cresciuto del 13,8% con riferimento all’inizio del triennio; nel 2008 si è avuto un ulteriore incremento del 13,4% rispetto all’anno prima.
79
Conc lus ion i
coveri rispetto alle prescrizioni generali della normativa. In particolare ben venticinque allevamenti bovini, quasi tutti da latte, pari ad 1/4 di tutti gli allevamenti rilevati, nel 2007 beneficiavano della deroga al divieto della sta-bulazione fissa, in quanto trattatasi per la quasi totalità di piccole stalle sotto le 30 UBA. Sono “micro-allevamenti”, la maggioranza dei quali con meno di dieci vacche, che, anche se potranno continuare a restare nel sistema biolo-gico senza l’obbligo di adeguare le proprie vecchie stalle86, non riusciranno, proprio per questo, a garantire pienamente il benessere degli animali che, tra l’altro, è una delle finalità della zootecnia biologica. Pertanto l’introduzione del metodo biologico in queste strutture, spesso sollecitata dai caseifici, ap-pare più una scelta per mantenere in vita la vecchia organizzazione produt-tiva, difficilmente sostenibile sul piano economico nel contesto convenzio-nale, piuttosto che l’adozione di un nuovo e “innovativo” modo di produrre qual è appunto quello biologico87. D’altra parte l’effettiva riconversione di queste piccole stalle sarebbe senza dubbio un intervento molto costoso e difficilmente sostenibile economicamente88. In ultima analisi anche se pos-siedono complessivamente soltanto il 20% delle vacche, questi allevamenti costituiscono certamente un fattore di debolezza per il settore.Un altro comparto in cui esistono problemi riguardanti i ricoveri è quello avicolo, l’unico, oltre a quello bovino, nel quale vi sono aziende che bene-ficiano della deroga per l’utilizzo di manufatti non rispondenti ai requisiti richiesti dalla normativa. Riguardo ai fattori critici di natura economico-commerciale, dopo i costi, di cui si è parlato sopra, viene la “domanda”, ritenuta modesta e in-costante. A questo proposito si è visto però che una parte dei produttori
86) Ora la deroga al divieto della stabulazione fissa, che avrebbe dovuto scadere alla fine del 2010, è diventata permanente per effetto del Reg. CE n. 834/2007 e del Reg. CE n. 889/2008, ai quali è stata data attuazione dal Decreto MiPAAF 18354 del 27/11/2009; in pratica ne possono usufruire a livello nazionale tutti i piccoli alle-vamenti con consistenza media annuale non superiore alle 30 UBA, confermando la dimensione adottata nel 2005 dalla Regione del Veneto (Dgr n. 3495 del 22/11/2005). 87) Il passaggio all’agricoltura biologica non è il ritorno al passato in cui non esistevano i “prodotti di sintesi” tanto diffusi oggi nell’“agricoltura convenzionale”, ma l’adozione di un diverso modo di produrre così definito nel Reg.to CE n. 834/2007: “La produzione biologica è un sistema globale di gestione dell’azienda agricola e di produzione agroalimentare basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, un alto livello di bio-diversità, la salvaguardia delle risorse naturali, l’applicazione di criteri rigorosi in materia di benessere degli animali e una produzione confacente alle preferenze di taluni onsumatori per prodotti ottenuti con sostanze e procedimenti naturali. Il metodo di produzione biologico esplica pertanto una duplice funzione sociale, prov-vedendo da un lato a un mercato specifico che risponde alla domanda di prodotti biologici dei consumatori e, dall’altro, fornendo beni pubblici che contribuiscono alla tutela dell’ambiente, al benessere degli animali e allo sviluppo rurale”. 88) Uno studio del CRPA del 2001 (Zootecnia biologica: perché e come convertire l’allevamento bovino – Opuscolo CRPA n. 1/2001) aveva stimato in 1.750-2.750 euro/capo il costo di ristrutturazione di una stalla a stabulazione libera per vacche da latte.
80
Conc lus ion i
ha organizzato le proprie attività produttive accorciando la filiera per avvicinarsi o addirittura intercettare direttamente il consumatore. Le mo-dalità sono state diverse, ma tutte sono iniziate con il portare all’interno dell’azienda la trasformazione in senso lato dei prodotti di base, siano essi latte, carne, miele o uova. Per compiere questa operazione sono però necessarie alcune fondamentali condizioni come la disponibilità di una massa critica minima, la possibilità di realizzare gli investimenti necessari e il possesso di un’adeguata professionalità. Una volta introdotta in azien-da la trasformazione o il confezionamento del prodotto, l’approccio al mercato si è potuto diversificare seguendo anche contemporaneamente strade diverse, per cui all’interno della stessa impresa zootecnica è possi-bile trovare sia la vendita ai consueti canali dell’intermediazione e della distribuzione, sia le varie forme di vendita diretta (in azienda, gruppi di acquisto, mercatini, agriturismo aziendale). A giudicare da quanto rilevato sembra che questa strada, peraltro aperta ad ulteriori e più innovative forme di vendita, abbia dato buoni risultati sul piano economico. Tuttavia, nonostante lo sviluppo conseguito89 e le ulteriori possibilità di espansio-ne, non bisogna enfatizzare troppo la filiera corta perché presenta anche dei limiti. Ad esempio un aspetto problematico è rappresentato dal fatto che il produttore deve essere in grado di gestire molteplici attività (pro-duzione, trasformazione, confezionamento, commercializzazione e pro-mozione), ognuna delle quali necessita di professionalità e disponibilità di tempo. Inoltre la vendita dei prodotti direttamente al consumo è gene-ralmente caratterizzata da quantità non particolarmente elevate in quan-to devono soddisfare i bisogni dei consumatori che possono recarsi nelle aziende di produzione o da queste essere raggiunti. Infine, a dimostrazio-ne dell’opportunità di non sopravvalutare la filiera corta, essa si posiziona al quinto posto nell’elenco delle condizioni ritenute utili dagli allevatori per lo sviluppo della loro attività, con il 22% di segnalazioni. In ogni caso la forte radicazione territoriale che hanno molti dei prodotti venduti attraverso la filiera corta costituisce un indubbio elemento di forza. In tal senso la valorizzazione dei prodotti “tipici”, intesi come espressione del territorio, delle sue risorse, delle sue tradizioni e valori, e lo sviluppo della zootecnia biologica possono trarre sicuramente reciproco vantaggio: il carat-tere “biologico” è un ulteriore aspetto di tipicizzazione del prodotto perché
89) Nel triennio 2005-2007 la vendita diretta in Italia dei formaggi è cresciuta del 157%, quella delle carni e dei salumi del 20,3% e del miele del 177% (Laura Aguglia, La filiera corta: una opportunità per agricoltori e consumatori - AGRIREGIONIEUROPA, Anno 5, Numero 17).
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Conc lus ion i
la biodiversità e la salubrità sulle quali si basa il metodo non possono essere distinte dai luoghi di produzione in quanto ne sono parte intrinseca90. Riguardo infine alle prospettive del settore, la stragrande maggioranza dei produttori coinvolti nell’indagine, cioè quasi l’85%, è ottimista in quan-to convinta che il proprio comparto abbia possibilità di sviluppo e che queste possano essere favorite se si realizzano alcune condizioni, la pri-ma delle quali è agevolare la circolazione delle informazioni tra gli stessi produttori. Questa è un’esigenza particolarmente sentita perché, come si è già visto in precedenza, i contatti tra i produttori sono anche una delle modalità preferite per l’aggiornamento professionale. Altre due condizio-ni per la promozione del settore, alle quali viene attribuita la medesima importanza, sono una maggiore diffusione dell’assistenza tecnica e una più incisiva valorizzazione dei benefici ambientali prodotti dalla zootec-nia biologica.Con riferimento ai singoli comparti, i più convinti delle potenzialità di sviluppo della propria categoria sono gli allevatori di ovini e caprini, pur vincolandolo alla realizzazione di condizioni diverse. Per i primi sono fon-damentali l’incremento della ricerca e sperimentazione e l’aumento del sostegno pubblico alla fase di mantenimento dell’attività biologica, per i secondi in primo luogo viene lo sviluppo della filiera corta poi, allo stesso livello, la diffusione dell’assistenza tecnica, la circolazione delle informa-zioni e l’aumento del sostegno pubblico. Il comparto i cui operatori sono invece un po’ meno convinti delle possibilità di sviluppo del proprio set-tore è quello bovino da latte, dove il 77% di coloro che ci credono lo con-dizionano però alla circolazione delle informazioni, alla valorizzazione dei benefici ambientali e all’aumento del sostegno pubblico.
4.2 - Aggiornamento della situazione
All’inizio del 2010, allo scopo di aggiornare la loro situazione con riferi-mento al 2009, è stato contattato quasi 1/4 dei conduttori degli allevamenti precedentemente rilevati, coinvolgendo alcuni tra gli allevamenti più si-gnificativi di ciascun comparto. Naturalmente non è possibile estendere all’intero e comunque ristretto universo regionale i risultati di questa in-dagine, basata sull’analisi di piccoli gruppi di allevamenti estratti non già
90) Fabrizio Piva, Biologico e tipico: accoppiata da sfruttare – L’Informatore Agrario, n. 34/2007.
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Conc lus ion i
secondo le regole della statistica ma sulla base di un’empirica rappresen-tatività, tuttavia possono essere utili per delineare ciò che è accaduto nei singoli comparti. In sostanza ne è venuto fuori un quadro generale fatto di luci e di qualche ombra ma in ogni caso in evoluzione, in quanto nel suo insieme il settore della zootecnia biologica veneta è in fase di crescita pur dovendo misurarsi con molteplici problemi. Tale situazione è determinata non solo dai cambiamenti della compagine produttiva, per l’ingresso defi-nitivo nel sistema biologico degli allevamenti già in conversione nel 200791 come pure dell’uscita di alcuni, ma anche dai comportamenti imprendito-riali decisi a sviluppare o consolidare l’attività aziendale in un contesto di crescita92 dei consumi biologici. In pratica la zootecnia biologica ha dovuto e deve tuttora fare i conti, da un lato, con l’aumento del costo delle materie prime, mangimi in primo luogo, dall’altro, con un mercato che, pur regi-strando l’aumento dei consumi per alcuni prodotti, rimane vischioso per altri, come la carne. Ciò nonostante, quando alla base dell’attività c’è un prodotto di qualità, lo sforzo imprenditoriale sembra trovare soddisfazione soprattutto se punta anche ad agganciare direttamente il consumatore. In sintesi, con riferimento ai bovini da latte si è osservata una reattività del management abbastanza diversificata nel definire le scelte gestionali per affrontare le difficoltà del mercato. Si va dall’atteggiamento difensivo fina-lizzato a rimodulare le tecniche di produzione per contrastare l’aumento dei costi, al comportamento più aggressivo avente per obiettivo l’espansio-ne dell’attività per incamerare nuove quote di valore aggiunto. Nell’ambito dei bovini da carne, a conferma dei maggiori problemi che la loro pro-duzione incontra nel sistema biologico e anche del diverso orientamento degli allevatori nell’affrontarli, è stata registrata una situazione contrappo-sta tra il “ciclo chiuso” in contrazione e il “ciclo aperto” in espansione. In effetti la causa del differente andamento sembra non potersi attribuire alle diverse modalità di allevamento, bensì al differente modo di rapportarsi con il mercato o meglio di posizionarsi nella filiera, che vede lo sviluppo
91) Erano 21, soprattutto bovini da latte, pari al 20% degli allevamenti rilevati. 92) Secondo i dati ISMEA il consumo da parte delle famiglie italiane dei prodotti biologici confezionati, nel 2008 e nel primo semestre 2009, è cresciuto in valore rispettivamente del 5,4% e del 7,4% (corrispondenti in termini quantitativi a +4,5% e +8,5%); in particolare, riguardo ai prodotti di origine zootecnica più acqui-stati, l’andamento dei consumi è stato per le uova +14,1% e +24,3%, per il latte fresco +2,7% e +3,2% e per il miele +7,5% e +10,4%. Inoltre si rimanda a quanto riportato in nota nel paragrafo precedente a proposito della vendita diretta in Italia di alcuni prodotti di origine animale. A fronte di questi valori nazionali non ce ne sono di altrettanto o di più specifici per il Veneto, per il quale si può ricordare che nel 2008, rispetto all’anno precedente, le aziende biologiche con vendita diretta sono cresciute di circa il 6% e i gruppi di acquisto sono aumentati di oltre il 50% (Fonte: BioBank).
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abbinato alla filiera corta. Un atteggiamento analogo a quello evidenziato a carico degli allevatori di bovini da latte più intraprendenti è presente anche in una parte del comparto caprino alla ricerca di nuovi e più van-taggiosi posizionamenti sul mercato. Gli allevamenti suini considerati han-no registrato una positiva evoluzione delle produzioni, che ha interessato fondamentalmente i capi vivi ma che ha visto una riduzione dei termini di scambio. Gli allevamenti avicoli da uova, che dal punto di vista economico rappresentano le strutture di punta della zootecnia biologica veneta, sem-bra siano stati caratterizzati da una certa stabilità produttiva ed economica anche se non sono mancate importanti iniziative per cogliere le opportu-nità offerte dal mercato in espansione. Il comparto apicolo, che come si è visto è caratterizzato da un’elevata eterogeneità sia nelle dimensioni degli allevamenti che nei comportamenti verso il mercato, non è facile da sin-tetizzare in pochi casi il cui esame ha comunque confermato la variabilità delle produzioni e la remuneratività del prodotto confezionato. Passando ora ad esaminare più in dettaglio la situazione rilevata con l’in-dagine di aggiornamento, nel comparto bovino da latte, il numero totale delle vacche degli allevamenti considerati, che nel 2007 corrispondeva a oltre il 30% del patrimonio vaccino rilevato, nel 2009 è risultato pressoché uguale, pur essendo variato da un allevamento all’altro. Invece è diminuita intorno al 4% la produzione unitaria media per capo/lattazione e la pro-duzione complessiva di latte. In pratica la produzione unitaria, passata da circa 69 a poco più di 66 q/capo/lattazione, è calata nella maggior parte degli allevamenti considerati e almeno in uno, quello che ha fatto registrare la maggiore diminuzione pari a oltre il 15%, sembra da attribuirsi alla modi-fica della composizione della razione alimentare indotta dall’aumento del costo dei mangimi biologici. È stato infatti segnalato che la riduzione del loro prezzo registrata nel corso del 2009 non ha pareggiato il forte incre-mento del 2008, per cui alla fine il livello dei prezzi resta ancora superiore a quello del 200793. È stato inoltre evidenziato che, proprio a causa dell’au-mento del costo dei mangimi biologici e della difficoltà nel reperirli, si è ulteriormente elevato il differenziale tra i costi di produzione del latte vac-cino biologico e quelli del corrispondente latte convenzionale. Nonostante l’aumento dei costi, alcuni produttori hanno realizzato nuovi investimenti riguardanti, per esempio, le strutture adibite alla trasformazione aziendale
93) Come si è già avuto modo di mettere in evidenza in una precedente nota, tra il 2007 e il 2008 il prezzo dei mangimi in generale è cresciuto del 13,4% (Fonte: ISTAT); nel 2009 è aumentato invece in misura assai più contenuta, circa l’ 0,5% (Fonte ISMEA).
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del latte. Si è quindi manifestato un duplice comportamento: da una parte coloro che hanno puntato principalmente sul contenimento dei costi, con l’effetto però di vedere sacrificati anche i ricavi, dall’altra coloro che hanno scelto lo sviluppo delle attività di produzione attraverso l’acquisizione o il consolidamento di nuove fasi produttive nell’ambito della filiera. Bisogna comunque sottolineare che le aziende che non effettuano alcuna trasformazione del proprio latte hanno dovuto subire, oltre al già citato aumento del costo dei mangimi, il mancato adeguamento o addirittura la diminuzione del prezzo del latte liquidato dai caseifici cooperativi. Infat-ti nel corso del 2009, da una stima effettuata sulla base di una verifica94 eseguita presso le tre strutture interessate, risulterebbe che in due casi il prezzo medio del latte biologico è stato ancora sostanzialmente simile ai corrispondenti valori del 2007, salvo modeste variazioni in più o in meno, essendo rimasto compreso tra 0,50 e 0,52 €/l; nel terzo caso invece si è registrata una diminuzione del 19% a fronte di una quadruplicazione del numero degli allevamenti biologici conferenti. A questo proposito bisogna rilevare che nel 2009 gli allevamenti biologici conferenti presso le struttu-re considerate sono complessivamente raddoppiati. In una situazione più fortunata si sono trovate invece le aziende che trasformano il proprio lat-te, le quali hanno potuto, sebbene in misura anche molto diversa dall’una all’altra, ritoccare il listino prezzi dei propri prodotti lattiero-caseari. In pratica, nei casi esaminati, si va da aumenti riferiti al 2007 abbastanza modesti, intorno al 3%, fino a incrementi di prezzo superiori al 20-25%. A fronte di queste variazioni di prezzo si è avuto una leggera crescita delle produzioni lattiero-casearie (circa il 3%) e un sostanziale mantenimento del livello di assorbimento relativo dei diversi canali commerciali: vendita diretta (in azienda e gruppi di acquisto, pari complessivamente al 36%), negozi specializzati (13%) e grossisti (51%). Ripartizione che in linea di massima rispecchia anche quella rilevata a livello complessivo nel 2007.Gli allevamenti bovini da carne interessati dall’aggiornamento, nel 2007 avevano oltre il 60% delle vacche nutrici biologiche e dei capi all’ingrasso. Nei due anni successivi si è verificato un forte ridimensionamento di quelli a ciclo chiuso (linea vacca-vitello) e una consistente espansione di quelli a ciclo aperto. In sostanza il numero delle nutrici è diminuito in misura mol-to elevata poiché alla riduzione di oltre il 15% di quelle già biologiche si è aggiunta l’uscita dal sistema di certificazione di quelle che in precedenza
94) La verifica in oggetto è stata realizzata nel novembre del 2009, pertanto il prezzo medio del latte biologico è stato stimato con riferimento al periodo dell’anno già trascorso.
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erano state rilevate in conversione, per cui il gruppo di riferimento in pratica ha perso quasi il 60% delle vacche da riproduzione. Al contrario gli animali all’ingrasso, tra vitelli, vitelloni e manze, è complessivamente quasi raddoppiato, ma ad opera esclusivamente del ciclo aperto in quanto nel complesso degli allevamenti a ciclo chiuso il loro numero è addirittura di-minuito di circa il 17%. Le motivazioni dell’abbandono della certificazione bio si possono ricondurre fondamentalmente a due tipologie: differenziale di prezzo del capo biologico rispetto a quello convenzionale (intorno a +10/+15%) giudicato insufficiente per remunerare in misura adeguata un metodo che comporta maggiori problemi e costi più elevati, e difficoltà a collocare gli animali nella filiera biologica. Ciò che fa la differenza però sembra non essere il diverso metodo di allevamento (ciclo chiuso e ciclo aperto), ma il differente modo di portare il prodotto sul mercato. Infatti nel caso dei capi prodotti nel ciclo chiuso, che ha subito la riduzione, la vendita è avvenuta come capi vivi e quasi completamente senza certifica-zione, invece gli animali prodotti nel ciclo aperto sono stati macellati, la carne è stata porzionata e venduta tramite gruppi di acquisto a un prezzo, riferito al peso vivo, di poco superiore a quello del 2007. Riguardo all’allevamento ovino, che come si è già visto ha una presenza molto modesta nel Veneto, i cambiamenti più significativi a carico delle greggi considerate per l’aggiornamento, che nel 2007 rappresentavano circa la metà della consistenza complessiva di quelle rilevate, consistono in un certo incremento del numero delle pecore e nell’aumento del nu-mero di agnelli venduti nel circuito biologico, trattandosi comunque di poche decine di capi vivi acquistati da un’azienda di macellazione. Per il resto tutto è rimasto pressoché immutato nel senso che la quasi totalità degli agnelli da macello prodotti sono stati venduti senza certificazione, sia come capi vivi che come capi macellati, a prezzi anche molto variabili, ma comunque simili a quelli del 2007.Negli allevamenti caprini oggetto dell’aggiornamento, che nel 2007 avevano comunque quasi la metà delle capre adulte di tutti gli alleva-menti rilevati, la consistenza delle greggi non si è complessivamente modificata. Anche il numero dei capretti destinati alla vendita è rimasto pressoché costante. È aumentata invece intorno al 10% la produzione media di latte, arrivata a quasi 660 kg/capo/lattazione, e quindi anche la produzione totale. Altri cambiamenti si sono registrati in parte nella gestione dell’alimentazione, ma soprattutto negli aspetti commerciali. Ri-guardo ai piani di razionamento alimentare le modifiche sono consistite
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nella riduzione operata da qualche allevatore della quota mangimistica nella razione/capo/giorno delle capre e in parte anche nella variazione della composizione qualitativa. Tuttavia è sulle modalità di vendita dei prodotti che gli allevatori hanno introdotto le modificazioni più rilevan-ti, abbinate in qualche caso all’esecuzione di interventi strutturali, come per esempio la realizzazione del macello aziendale. Con riferimento ai capi vivi e alla carne, pur essendo continuata in misura totale la vendita senza certificazione, è invece quasi raddoppiata la vendita diretta degli agnelli già macellati a singoli consumatori e alla ristorazione, a scapito della vendita di capi vivi soprattutto alle macellerie. Inoltre nel 2009 il prezzo medio dei capretti macellati, riferito al peso vivo, è stato stimato intorno ai 7 €/kg, quindi mediamente circa il 30% più alto di quello dei capretti venduti vivi. Per quanto riguarda la destinazione del latte prodot-to, si è registrato un incremento del processo di trasformazione aziendale con conseguente aumento delle vendite di prodotti trasformati da parte delle aziende. In sostanza oltre la metà della maggiore produzione di latte rispetto al 2007 è andata a incrementare la trasformazione a livello azien-dale, comportando un aumento della materia prima trasformata di circa il 15%. La maggiore produzione rimanente si è aggiunta invece alle quan-tità conferite ai caseifici, il cui prezzo nel complesso ha fatto registrare un aumento rispetto al 2007 stimabile mediamente intorno al 10%. Le quantità di prodotti lattiero-caseari vendute attraverso i vari canali si sono modificate non solo per effetto della maggiore produzione, ma anche per un cambiamento della politica commerciale aziendale che ha privilegiato la filiera corta, rappresentata fondamentalmente dalla vendita diretta in azienda e nei mercatini, e ha penalizzato le vendite ai grossisti. In generale i prezzi di vendita dei prodotti sono leggermente aumentati, anche se non tutte le aziende hanno ritoccato al rialzo i propri listini.Per l’aggiornamento della situazione degli allevamenti di suini, peraltro non molto diffusi nel settore biologico veneto, si è fatto riferimento a un allevamento a ciclo aperto, che nel 2007 ha prodotto circa 1/3 dei suini pesanti complessivi, e a quello a ciclo chiuso gestito da Veneto Agricoltura in considerazione del peso e del ruolo che tale allevamento esercita nel comparto di appartenenza95. Nel complesso, con riferimento al periodo considerato, la produzione è aumentata in ambedue i casi. Il ciclo chiuso, a parità di scrofe, ha leggermente incrementato il numero dei suinetti pro-
95) Pur non essendo particolarmente grande (25 scrofe) è comunque quello di maggiori dimensioni tra gli allevamenti del suo tipo e inoltre rifornisce di magroncelli numerose aziende, anche non biologiche.
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dotti (circa +3% rispetto al 2007); invece il numero dei suini pesanti ingras-sati dai due allevamenti è aumentato di quasi il 27%, mentre il loro peso è rimasto immutato sui 220 kg nell’allevamento a ciclo aperto e è salito da 170 a 190 kg nell’altro. Il razionamento delle scrofe e dei suini all’ingrasso non ha subito modificazioni, salvo il caso dei suini portati a un peso mag-giore ai quali nella prima fase d’ingrasso è stata rinforzata la dose di mangi-mi. A fronte di una maggiore produzione sono aumentate anche le vendite, mantenendo però le originarie destinazioni commerciali. In particolare è più che raddoppiata la vendita dei suini pesanti nel circuito biologico at-traverso i macelli a un prezzo però inferiore (1,80 €/kg p.v. pari a -10% rispetto al 2007). Così pure è aumentata di oltre il 10% la vendita di suinetti biologici ad altre aziende agricole allo stesso prezzo praticato nel 2007. Praticamente immutate, sia in termini di quantità che di prezzi, le vendite dei prodotti trasformati, che per oltre il 90% sono state realizzate attraverso la filiera corta; la quantità rimanente è andata ai negozi specializzati bio. L’aggiornamento del comparto avicolo da uova, che ha coinvolto gli al-levamenti condotti in proprietà che nel 2007 avevano complessivamente quasi il 55% della consistenza totale delle ovaiole rilevate, ha evidenziato una consistente espansione produttiva. In effetti questa evoluzione è stata la conseguenza di una singola iniziativa nata nel contesto imprenditoriale di un allevamento che ne ha realizzato un altro di grandi dimensioni (oltre 50.000 ovaiole), mentre gli altri allevamenti considerati hanno mantenuto le loro caratteristiche originarie. In sostanza le capacità produttive degli allevamenti facenti capo al gruppo di imprenditori presi in considerazione nella rilevazione del 2007 sono aumentate del 70%. Questo notevole incre-mento, anche se frutto di una sola impresa, dimostra comunque le grandi potenzialità che il comparto può esprimere a fronte di un andamento posi-tivo del mercato dei prodotti biologici in generale e delle uova in partico-lare, non solo a livello nazionale ma anche estero96. Dal punto di vista pro-duttivo i parametri sono rimasti immutati e anche i piani di razionamento, nonostante l’aumento del costo dei mangimi, hanno subito modeste modi-fiche indotte soprattutto dal miglioramento della genetica dei capi allevati.
96) Oltre all’aumento dei consumi dei prodotti biologici confezionati (tra cui le uova) da parte delle famiglie italiane, bisogna registrare anche l’incremento del mercato biologico europeo e di quello tedesco in partico-lare, che nel 2008 era quasi il 90% di quello italiano, francese e inglese insieme. Il mercato biologico tedesco è in continua crescita, seppur con andamenti diversi, ormai da molti anni, passando dai 2,7 miliardi di euro del 2001 ai 5,9 miliardi del 2009; tale crescita è andata a vantaggio anche delle uova che sono tra i prodotti più venduti. Da notare che l’importazione tedesca di prodotti biologici è stata stimata pari al 50% del volume totale del suo mercato bio (Fonte: ICE – 2009 e 2010).
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Anche sul piano commerciale sono state rilevate alcune novità, come l’av-vio di un consistente flusso di prodotto verso l’esportazione, una parziale rimodulazione dei canali di vendita e l’adeguamento dei prezzi. Le vendite all’estero, previste in misura rilevante, saranno costituite essenzialmente da prodotto indifferenziato mentre la ridistribuzione del prodotto sul merca-to nazionale ha interessato soprattutto le uova confezionate, essendo au-mentate le consegne nei confronti dei negozi specializzati bio a scapito in primo luogo dell’ingrosso. Riguardo infine ai prezzi le variazioni che si sono registrate non sempre sono state in aumento, nel senso che in taluni casi sono stati introdotti prezzi di vendita più bassi e in genere le riduzioni sono state percentualmente superiori agli aumenti, che nell’arco di tempo considerato sono stati dell’ordine di qualche punto percentuale. Per l’aggiornamento del comparto apicolo è stato considerato un grup-po di allevamenti che nel 2007 possedevano il 20% degli alveari già bio-logici in produzione e che si caratterizzavano per la loro dimensione me-dia. A distanza di due anni, nel gruppo considerato il numero totale del-le famiglie in produzione si è lievemente ridotto, mentre la produzione complessiva è leggermente aumentata, con un andamento tuttavia molto diversificato da un allevamento all’altro. Le vendite di miele sono inve-ce tendenzialmente aumentate anche se con discrepanze da un’azienda all’altra, mantenendo però quasi inalterato il peso relativo alle vendite del prodotto sfuso e quelle del prodotto confezionato. Per quanto riguarda invece la ripartizione del miele tra i diversi canali commerciali, le diffe-renze più significative si sono registrate a carico del prodotto confeziona-to, poiché quello sfuso è andato come in precedenza all’ingrosso. Circa i 3/4 del miele confezionato hanno continuato a essere venduti attraverso la filiera corta, rappresentata soprattutto dalla vendita diretta in azienda e poi dai gruppi di acquisto, che però hanno guadagnato diverse posizioni sulla prima. I prezzi sono cresciuti, seppur in misura diversa, per ogni tipo di prodotto e per tutti i canali di vendita. Il miele sfuso ha guadagnato circa il 4%, mentre quello confezionato ha beneficiato nel complesso di un incremento superiore al 10%.
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Appendice
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Indice tabelle
Tab. 01 Numero aziende e allevamenti biologici rilevati, per specie pro-vincia e zona altimetrica (2007)
Tab. 02 Superficie agricola utilizzata delle aziende zootecniche biologi-che rilevate, per provincia e zona altimetrica (2007)
Tab. 03 Superficie agricola utilizzata delle aziende zootecniche biologi-che rilevate, per tipologia di allevamento (2007)
Tab. 04 Superficie agricola utilizzata biologica delle aziende zootecni-che biologiche rilevate, per tipologia di allevamento e categoria colturale (2007)
Tab. 05 Superficie agricola utilizzata biologica delle aziende zootecniche biologiche rilevate, per categoria colturale e coltura (2007)
Tab. 06 Rapporto UBA/SAU aziendale, per tipologia di allevamento e zona altimetrica (2007)
Tab. 07 Forma giuridica delle imprese/aziende rilevate, per provincia e zona altimetrica (2007)
Tab. 08 Caratteristiche del conduttore delle aziende individuali e delle società di persone rilevate, per tipologia di allevamento (2007)
Tab. 09 Modalità di esercizio dell’attività del conduttore delle aziende individuali e delle società di persone rilevate, per tipologia di allevamento (2007)
Tab. 10 Motivazioni che hanno indotto la conversione dell’allevamento (2007)
Tab. 11 Inizio conversione e modalità di allevamento (2007) Tab. 12.a Consistenza delle vacche negli allevamenti bovini da latte biolo-
gici rilevati, per razza e per allevamento (2007)Tab. 12.b Consistenza complessiva delle vacche negli allevamenti bovini
da latte biologici rilevati, per razza (2007)Tab. 13 Consistenza degli allevamenti bovini da carne biologici rilevati,
per razza (2007)
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Appendice
Tab. 14 Consistenza degli allevamenti bovini da carne biologici rilevati, per categoria animale (2007)
Tab. 15 Consistenza degli allevamenti ovini biologici rilevati, per razza (2007)
Tab. 16 Consistenza degli allevamenti ovini biologici rilevati, per cate-goria animale (2007)
Tab. 17 Consistenza degli allevamenti caprini biologici rilevati, per raz-za (2007)
Tab. 18 Consistenza degli allevamenti caprini biologici rilevati, per cate-goria animale (2007)
Tab. 19 Consistenza degli allevamenti suini biologici rilevati, per razza (2007)
Tab. 20 Consistenza degli allevamenti suini biologici rilevati, per moda-lità di allevamento e categoria animale (2007)
Tab. 21 Consistenza degli allevamenti avicoli biologici rilevati, per tipo-logia e razza (2007)
Tab. 22 Consistenza degli allevamenti avicoli biologici rilevati, per cate-goria animale (2007)
Tab. 23 Consistenza degli allevamenti apicoli biologici rilevati, per cate-goria delle famiglie (2007)
Tab. 24 Fabbricati e attrezzature dedicate all’allevamento e alla trasfor-mazione dei prodotti, per tipologia di allevamento (2007)
Tab. 25 Trattamento dei reflui aziendali, per tipologia di allevamento (2007)
Tab. 26 Raccolta e conservazione dei foraggi, per tipologia di alleva-mento (2007)
Tab. 27 Organizzazione, attività e attrezzature produttive degli alleva-menti apicoli biologici rilevati (2007)
Tab. 28 Occupati nelle aziende zootecniche biologiche rilevate, per ti-pologia di allevamento e figura professionale (2007)
Tab. 29 Problematiche affrontate nel processo di conversione e dopo, per tipologia di allevamento e produzione (2007)
Tab. 30 Produzione di latte bovino biologico, per lattazione razza e capo e indici di qualità (2007)
Tab. 31 Produzione di latte caprino biologico, per lattazione razza e capo e indici di qualità (2007)
Tab. 32.a Vendite capi vivi biologici, per tipologia di allevamento, catego-rie animali e canali di vendita (2007)
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Appendice
Tab. 32.b Vendite capi vivi biologici, per tipologia di allevamento, catego-rie animali e canali di vendita (2007)
Tab. 33.a Vendite carne biologica, per specie allevata, tipo di lavorazione e canali di vendita (2007)
Tab. 33.b Vendite carne biologica, per specie allevata, tipo di lavorazione e canali di vendita (2007)
Tab. 34 Vendite latte biologico, per specie allevata e canali di vendita (2007)
Tab. 35.a Vendite prodotti lattiero-caseari biologici e altri prodotti biolo-gici trasformati, per specie allevata e canali di vendita (2007)
Tab. 35.b Vendite prodotti lattiero-caseari biologici e altri prodotti biolo-gici trasformati, per specie allevata e canali di vendita (2007)
Tab. 35.c Vendite prodotti lattiero-caseari biologici e altri prodotti biolo-gici trasformati, per specie allevata e canali di vendita (2007)
Tab. 36 Vendite uova biologiche, per canale di vendita (2007)Tab. 37.a Vendite miele biologico e altri prodotti biologici dell’apicoltura,
per canale di vendita (2007)Tab. 37.b Vendite miele biologico e altri prodotti biologici dell’apicoltura,
per canale di vendita (2007)Tab. 38 Valore delle vendite di capi vivi biologici, per tipologia di alleva-
mento categorie animali e canali di vendita (2007)Tab. 39 Valore delle vendite di carne biologica, per specie allevata e ca-
nali di vendita (2007)Tab. 40 Valore delle vendite di latte biologico, per specie allevata e ca-
nali di vendita (2007)Tab. 41 Valore delle vendite di prodotti lattiero-caseari biologici e altri
prodotti trasformati biologici, per specie allevata e canali di ven-dita (2007)
Tab. 42 Valore delle vendite di uova biologiche, per canale di vendita (2007)
Tab. 43 Valore delle vendite di miele biologico e di altri prodotti biolo-gici dell’apicoltura, per canale di vendita (2007)
Tab. 44 Fattori che influenzano l’acquisto dei prodotti biologici da par-te della clientela, per tipologia di prodotto e canale di vendita (2007)
Tab. 45 Fattori critici che agiscono sulle attività zootecniche biologiche, per tipo e allevamento (2007)
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Appendice
tab. 05 - superficie agricola utilizzata biologica delle aziende zootecniche biologiche rilevate, per categoria colturale e coltura (2007)
ColtureSAU
in conversione biologica totale
Cerealicole ha 32,50 243,84 276,34
- farro ha - 1,26 1,26
- frumento tenero ha 7,57 42,88 50,45
- mais granella ha 18,70 128,07 146,77
- orzo ha 5,06 68,64 73,70
- segale ha 1,17 2,99 4,16
Proteaginose ha - 12,16 12,16
- soia ha - 12,16 12,16
Foraggere ha 583,94 1.325,51 1.909,45
- erbaio ha 3,99 8,00 11,99
- favino ha 4,30 - 4,30
- loietto ha - 5,52 5,52
- mais ceroso ha - 5,67 5,67
- medica ha 11,51 37,67 49,18
- pascolo ha 289,07 106,43 395,50
- pisello proteico ha - 13,12 13,12
- prato ha 139,05 588,68 727,73
- prato-pascolo ha 129,30 543,45 672,75
- sorgo da foraggio ha 5,37 - 5,37
- trifoglio ha - 5,83 5,83
- foraggere ha 1,35 11,14 12,49
Orticole ha 0,93 15,02 15,95
Frutticole ha 0,05 26,07 26,12
Vite ha 0,67 12,11 12,78
Olivo ha - 0,88 0,88
Altre colture ha 1,00 21,30 22,30
- colture da sovescio ha 1,00 4,53 5,53
- terreni a riposo ha - 9,35 9,35
- altre colture ha - 7,42 7,42
Totale ha 619,09 1.656,89 2.275,98
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99
Appendice
tab. 10 - motivazioni che hanno indotto la conversione dell’allevamento (2007)
Tipologia di allevamento Allevamentigià esistenti
Motivazioni
salutistiche ambientali economiche altro
Bovino da latte (nr. allev.) 37 4 6 12 21
Bovino da carne (nr. allev.) 7 3 6 4 -
Bovino misto (1) (nr. allev.) 1 1 - - -
Ovino (nr. allev.) 4 2 3 3 1
Caprino (nr. allev.) 8 4 4 6 -
Suino (nr. allev.) 4 3 3 3 2
Avicolo (nr. allev.) 10 4 4 9 -
Apicolo (nr. allev.) 21 7 12 11 4
Totale (nr. allev.) 92 28 38 48 28
(1) Questa tipologia comprende anche un allevamento per la produzione di capi da latte da rimonta.
tab. 11 - Inizio conversione e modalità di allevamento (2007)
Tipologia di allevamento
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Bovino da carne (nr. allev.) 1 2 5 1 9 -
Bovino misto (1) (nr. allev.) - - 2 - 2 -
Ovino (nr. allev.) - 1 2 1 4 -
Caprino (nr. allev.) - 4 7 - 11 -
Suino (nr. allev.) - 2 4 - 6 -
Avicolo (nr. allev.) 1 5 5 - 11 3
Apicolo (nr. allev.) 3 7 11 3 24 -
Totale (nr. allev.) 10 29 44 21 104 3
(1) Questa tipologia comprende anche un allevamento per la produzione di capi da latte da rimonta
100
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103
Appendice
tab. 17 - consistenza degli allevamenti caprini biologici rilevati, per razza (2007)
RazzeNumero
allevamenti(1)
Consistenza media
(nr. capi)minima
(nr. capi)massima(nr. capi)
Allevamenti monorazza 8 239,4 72 382- Camosciata 3 189,3 102 264- Saanen 4 243,3 72 382- Incroci 1 374,0 374 374Allevamenti con più razze 3 215,0 117 406Totale 11 232,7 72 406
(1) Corrisponde al numero degli allevamenti nei quali è presente la razza considerata.
tab. 18 - consistenza degli allevamenti caprini biologici rilevati, per categoria animale (2007)
Categorie animaliNumero
allevamenti(1)
Consistenza media
(nr. capi)minima
(nr. capi)massima(nr. capi)
Capre 11 95,7 30 160Caprette (da rimonta) 11 31,1 10 90Capretti/caprette (da macello) 11 102,3 20 230Becchi 11 3,6 2 9
(1) Corrisponde al numero degli allevamenti nei quali è presente la categoria considerata.
tab. 19 - consistenza degli allevamenti suini biologici rilevati, per razza (2007)
RazzeNumero
allevamenti(1)
Consistenza media
(nr. capi)minima
(nr. capi)massima(nr. capi)
Allevamenti monorazza 6 52,3 17 108
- Ibridi 4 68,0 44 108
- Incroci 2 21,0 17 25
Allevamenti con più razze - - - -
Totale 6 52,3 17 108
(1) Corrisponde al numero degli allevamenti nei quali è presente la razza considerata.
104
Appendice
tab. 20 - consistenza degli allevamenti suini biologici rilevati, per modalità di alleva-mento e categoria animale (2007)
Modalità allevamento / Categorie animaliNumero
allevamenti(1)
Consistenza media
(nr. capi)minima
(nr. capi)massima(nr. capi)
Ingrasso a ciclo aperto 3 48,3 25 70
- suini da ingrasso 3 48,3 25 70
Riproduzione e ingrasso a ciclo chiuso 3 56,3 17 108
- suini da ingrasso 3 15,7 7 20
- scrofe riproduttrici 3 10,0 2 25
- verri 3 1,7 1 3
(1) Corrisponde al numero degli allevamenti nei quali è presente la categoria considerata.
tab. 21 - consistenza degli allevamenti avicoli biologici rilevati, per tipologia e razza (2007)
Tipologia allevamento / RazzeNumero
allevamenti(1)
Consistenza media
(nr. capi)minima
(nr. capi)massima(nr. capi)
Allevamenti da uova monorazza 7 20.200,0 8.400 30.000
- Galline Hy-Line 7 20.200,0 8.400 30.000
Allevamenti da carne monorazza 1 250,0 250 250
- Capponi ibridi 1 250,0 250 250
Allevamenti da carne con più razze o specie 1 750,0 750 750
Allevamenti misti (da uova e da carne) 2 276,0 142 410
Totale 11 12.995,6 142 30.000
(1) Corrisponde al numero degli allevamenti nei quali è presente la razza considerata.
105
Appendice
tab. 22 - consistenza degli allevamenti avicoli biologici rilevati, per categoria animale (2007)
Categorie animaliNumero
allevamenti(1)
Consistenza media
(nr. capi)minima
(nr. capi)massima(nr. capi)
Galline ovaiole 9 15.718,9 20 30.000
- riproduttori 1 2,0 2 2
Polli da carne 3 306,7 70 550
Capponi 4 130,0 10 250
Anatre 1 40,0 40 40
(1) Corrisponde al numero degli allevamenti nei quali è presente la categoria considerata.
tab. 23 - consistenza degli allevamenti apicoli biologici rilevati, per categoria delle famiglie (2007)
Categoria famiglieAllevamenti in conversione Allevamenti biologici
nr. (1)consistenza (nr. alveari)
nr. (1)consistenza (nr. alveari)
media minima massima media minima massimaFamiglie in produzione 3 38,3 30 45 21 169,1 30 600Famiglie in allevamento 3 49,3 38 60 13 142,4 10 600
(1) Corrisponde al numero degli allevamenti nei quali è presente la categoria considerata.
106
Appendice
tab.
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108
Appendice
tab. 26 - raccolta e conservazione dei foraggi, per tipologia di allevamento (2007)
Attrezzature / OperazioniAllevamenti
bovinolatte
bovinocarne
bovinomisto (1) ovino caprino
Allevamenti nr. 37 9 2 4 11
- di cui all’aperto (2) nr. - 4 - 1 -
Fienagione nr. 37 9 2 3 11
- di cui tradizionale nr. 36 8 2 2 11
- di cui in due tempi nr. 1 1 - 1 -
Cantieri di raccolta
- macchine a funzione semplice nr. 37 9 2 3 10
- macchine a funzione multipla nr. - - - - 1
- cantieri misti nr. - - - - -
Fienagione in due tempi
- aria a temperatura ambiente nr. - 1 - 1 -
- riscaldamento aria con energia solare nr. - - - - -
- riscaldamento aria con bruc. a biomasse nr. - - - - -
- riscaldamento aria con bruc. a gasolio nr. 1 - - - -
Insilamento nr. 11 3 2 - 2
- di cui con sili orizzontali fuori terra nr. 7 - - - -
- di cui con rotoballe fasciate nr. 9 3 2 - 2
(1) Questa tipologia comprende anche un allevamento per la produzione di capi da latte da rimonta.(2) Allevamento condotto con gli animali sempre al pascolo o mediante l’utilizzo di ricoveri mobili (es.: capannine per i suini); in effetti uno dei quattro allevamenti bovini da carne utilizza la stalla esclusiva-mente per il finissaggio dei capi all’ingrasso.
109
Appendice
tab. 27 - organizzazione, attività ed attrezzature produttive degli allevamenti apicoli biologici rilevati (2007)
Modalità produttive Allevamenti
Allevamenti nr. 24
Nomadismo nr. 18
- di cui trasporto con autocarri nr. 15
- di cui trasporto con rimorchi nr. 6
Allevamenti nel periodo di riposo
- con un solo apiario nr. 6
- con più apiari nr. 18
Allevamenti nel periodo di produzione
- con un solo apiario nr. 3
- con più apiari nr. 21
Arnie dotate di fondo mobile per diagnosi varroa % 72,8
Laboratorio nel centro aziendale nr. 21
Attività e funzioni svolte in locali aziendali
- smielatura nr. 21
- stoccaggio e confezionamento nr. 23
- immagazzinamento dei melari nr. 22
- deposito del prodotto confezionato nr. 23
- immagazzinamento dei materiali di confez. ed imbal. nr. 21
- vendita prodotto nr. 17
Attrezzature disponibili
- banco disopercolatore nr. 21
- smielatore manuale nr. 1
- smielatore a motore nr. 20
- maturatori (capacità complessiva) 100 kg 722
- invasettatrice nr. 14
- etichettatrice nr. 1
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Appendice
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114
Appendice
tab. 32.a - vendite capi vivi biologici, per tipologia di allevamento, categorie animali e canali di vendita (2007)
AllevamentiCategorie animali
Industria trasformazione Macelli
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(1) Corrisponde al trend, riferito ai due anni precedenti di conduzione biologica, prevalente rispetto alle quantità interessate (= stabile; > in aumento; < in diminuzione; # variabile).(2) Il prezzo si riferisce al capo vivo.
115
Appendice
tab. 32.b - vendite capi vivi biologici, per tipologia di allevamento, categorie animali e canali di vendita (2007)
Allevamenti / Categorie animali
Macellerie Altro Totale
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Allevamento bovino- bovini < 1 anno - - - - - 1 3 > 4,00 > 3 4,00- bovini maschi da 1 a < 2 anni - - - - - - - - - - 40 2,57- bovini femmine da 1 a < 2 anni - - - - - - - - - - 40 2,58- bovini maschi = > 2 anni - - - - - - - - - - - -- giovenche da allevamento - - - - - - - - - - - -- giovenche da ingrasso - - - - - - - - - - - -- vacche da latte - - - - - 1 5 = 3,00 = 5 3,00- vacche lattifere da riforma - - - - - - - - - - - -- vacche nutrici - - - - - - - - - - - -Allevamento ovino- pecore - - - - - - - - - - - -- agnelli/agnelle - - - - - - - - - - 20 5,56Allevamento caprino- capre - - - - - - - - - - - -- capretti/caprette - - - - - - - - - - - -Allevamento suino- magroncelli - - - - - 1 250 < 3,30 = 250 3,30- suini pesanti - - - - - 3 5 > 2,91 = 50 2,60- scrofe - - - - - - - - - - - -Allevamento avicolo- polli da carne - - - - - - - - - - - -- capponi - - - - - - - - - - - -- galline (2) - - - - - 1 8.000 = 0,30 > 8.000 0,30- altro - - - - - - - - - - - -Allevamento apicolo- famiglie - - - - - 4 173 - 69,08 - 173 69,08- nuclei - - - - - 1 100 - 35,00 - 100 35,00- api regine - - - - - 1 600 - 11,00 - 600 11,00
(1) Corrisponde al trend, riferito ai due anni precedenti di conduzione biologica, prevalente rispetto alle quantità interessate (= stabile; > in aumento; < in diminuzione; # variabile).(2) Il prezzo si riferisce al capo vivo.
116
Appendice
tab. 33.a - vendite carne biologica, per specie allevata, tipo di lavorazione e canali di vendita (2007)
Carne / Tagli
Diretta Gruppidi acquisto
Ristora-zione
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(1) Corrisponde al trend, riferito ai due anni precedenti di conduzione biologica, prevalente rispetto alle quantità interessate (= stabile; > in aumento; < in diminuzione; # variabile).(2) è il prezzo del capo a peso vivo determinato sulla base delle vendite di carne.
117
Appendice
tab. 33.b - vendite carne biologica, per specie allevata, tipo di lavorazione e canali di vendita (2007)
Carne / Tagli
Agritur. aziendale Altro
Totalequantità
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(1) Corrisponde al trend, riferito ai due anni precedenti di conduzione biologica, prevalente rispetto alle quantità interessate (= stabile; > in aumento; < in diminuzione; # variabile).(2) è il prezzo del capo a peso vivo determinato sulla base delle vendite di carne.
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Appendice
tab. 35.a - vendite prodotti lattiero-caseari biologici ed altri prodotti biologici trasformati, per specie allevata e canali di vendita (2007)
Prodotti
Diretta in azienda Gruppi di acquisto Ristorazione
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Lattiero-caseari di origine bovina
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- burro - - - - - - - - - - - - - - -
- formaggi freschi 2 9.840 > 8,03 = 1 500 > 9,00 = - - - - -
- formaggi stagionati 2 4.580 > 10,79 = 1 1.000 > 12,00 = - - - - -
- altro - - - - - - - - - - - - - - -
Lattiero-caseari di origine ovina
- formaggi freschi - - - - - - - - - - - - - - -
- formaggi stagionati - - - - - - - - - - - - - - -
- altro - - - - - - - - - - - - - - -
Lattiero-caseari di origine caprina
- formaggi freschi 5 5.060 > 11,08 = 1 300 > 13,00 = - - - - -
- formaggi stagionati 5 6.600 > 13,48 = 1 500 > 16,00 = - - - - -
- altro - - - - - - - - - - - - - - -
Prodoti trasformati di origine suina
- prosciutto crudo - - - - - - - - - - - - - - -
- prosciutto cotto - - - - - - - - - - - - - - -
- salami 4 4.850 > 17,09 = 2 1.750 > 16,40 = - - - - -
- lardo 2 100 = 8,50 = - - - - - - - - - -
- altro 4 12.560 = 9,20 = 1 400 > 10,63 = - - - - -
(1) Corrisponde al trend, riferito ai due anni precedenti di conduzione biologica, prevalente rispetto alle quantità interessate (= stabile; > in aumento; < in diminuzione; # variabile).
120
Appendice
tab. 35.b - vendite prodotti lattiero-caseari biologici ed altri prodotti biologici trasformati, per specie allevata e canali di vendita (2007)
Prodotti
Agriturismo aziendale Negozi specializzati bio Grossisti
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€/k
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(1)
Lattiero-caseari di origine bovina
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- burro - - - - - - - - - - - - - - -
- formaggi freschi - - - - - 1 5.070 < 6,20 = 1 20.270 < 6,20 =
- formaggi stagionati - - - - - 1 1.270 < 6,80 = 1 5.070 < 6,80 =
- altro - - - - - - - - - - - - - - -
Lattiero-caseari di origine ovina
- formaggi freschi - - - - - - - - - - - - - - -
- formaggi stagionati - - - - - - - - - - - - - - -
- altro - - - - - - - - - - - - - - -
Lattiero-caseari di origine caprina
- formaggi freschi - - - - - 3 3.660 = 11,16 = 2 6.200 > 10,00 =
- formaggi stagionati - - - - - 3 2.600 > 13,38 = 2 6.400 > 13,06 =
- altro - - - - - - - - - - - - - - -
Prodoti trasformati di origine suina
- prosciutto crudo - - - - - - - - - - - - - - -
- prosciutto cotto - - - - - - - - - - - - - - -
- salami 1 1.200 > 15,50 = 1 150 = 15,00 = - - - - -
- lardo 1 170 > 5,00 = - - - - - - - - - -
- altro 1 670 > 9,28 = - - - - - - - - - -
(1) Corrisponde al trend, riferito ai due anni precedenti di conduzione biologica, prevalente rispetto alle quan-tità interessate (= stabile; > in aumento; < in diminuzione; # variabile).
121
Appendice
tab. 35.c - vendite prodotti lattiero-caseari biologici ed altri prodotti biologici trasformati, per specie allevata e canali di vendita (2007
Prodotti
GDO Altro Totale
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(1)
nr.
kg
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(1)
€/k
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(1)
kg
€/k
g
Lattiero-caseari di origine bovina
- yogurt - - - - - - - - - - - -
- burro - - - - - - - - - - - -
- formaggi freschi - - - - - - - - - - 35.680 6,74
- formaggi stagionati - - - - - - - - - - 11.920 8,77
- altro - - - - - - - - - - - -
Lattiero-caseari di origine ovina
- formaggi freschi - - - - - - - - - - - -
- formaggi stagionati - - - - - - - - - - - -
- altro - - - - - - - - - - - -
Lattiero-caseari di origine caprina
- formaggi freschi - - - - - - - - - - 15.220 10,70
- formaggi stagionati - - - - - - - - - - 16.100 13,38
- altro - - - - - - - - - - - -
Prodoti trasformati di origine suina
- prosciutto crudo - - - - - - - - - - - -
- prosciutto cotto - - - - - - - - - - - -
- salami - - - - - 1 850 > 18,00 = 8.800 16,79
- lardo - - - - - - - - - - 270 6,30
- altro - - - - - - - - - - 13.630 9,24
(1) Corrisponde al trend, riferito ai due anni precedenti di conduzione biologica, prevalente rispetto alle quantità interessate (= stabile; > in aumento; < in diminuzione; # variabile).
122
Appendice
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125
Appendice
tab. 38 - valore delle vendite di capi vivi biologici, per tipologia di allevamento catego-rie animali e canali di vendita (2007)
Allevamenti / Categorie animali
Valore venditeindustria
trasformaz. macelli macellerie altro totale
Euro Euro Euro Euro EuroAllevamento bovino- bovini < 1 anno - - - 3.000 3.000- bovini maschi da 1 a < 2 anni - 56.385 - - 56.385- bovini femmine da 1 a < 2 anni - 42.820 - - 42.820- bovini maschi = > 2 anni - - - - -- giovenche da allevamento - - - - -- giovenche da ingrasso - - - - -- vacche da latte - - - 7.500 7.500- vacche lattifere da riforma - - - - -- vacche nutrici - - - - -Totale - 99.205 - 10.500 109.705Allevamento ovino- pecore - - - - -- agnelli/agnelle - 2.446 - - 2.446Totale - 2.446 - - 2.446Allevamento caprino- capre - - - - -- capretti/caprette - - - - -Totale - - - - -Allevamento suino- magroncelli - - - 28.875 28.875- suini pesanti - 19.550 - 3.119 22.669- scrofe - - - - -Totale - 19.550 - 31.994 51.544Allevamento avicolo- polli da carne - - - - -- capponi - - - - -- galline - - - 2.400 2.400- altro - - - - -Totale - - - 2.400 2.400Allevamento apicolo- famiglie - - - 11.950 11.950- nuclei - - - 3.500 3.500- api regine - - - 6.600 6.600Totale - - - 22.050 22.050Totale generale - 121.201 - 66.944 188.145
126
Appendice
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